SALMI BIBLICI: “DOMINUS ILLUMINATIO MEA ET SALUS” (XXVI)

SALMO 26: DOMINUS illuminatio mea et salus

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou

LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR RUE DELAMMIE, 13

1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

SALMO XXVI

[1] Psalmus David, priusquam liniretur.

    Dominus illuminatio mea

et salus mea; quem timebo?

[2] Dominus protector vitæ meæ; a quo trepidabo?

[3] Dum appropiant super me nocentes, ut edant carnes meas,

[4] qui tribulant me inimici mei, ipsi infirmati sunt et ceciderunt.

[5] Si consistant adversum me castra, non timebit cor meum.

[6] Si exsurgat adversum me prælium, in hoc ego sperabo.

[7] Unam petii a Domino, hanc requiram, ut inhabitem in domo Domini omnibus diebus vitæ meæ,

[8] ut videam voluptatem Domini, et visitem templum ejus.

[9] Quoniam abscondit me in tabernaculo suo; in die malorum protexit me in abscondito tabernaculi sui.

[10] In petra exaltavit me, et nunc exaltavit caput meum super inimicos meos.

[11] Circuivi, et immolavi in tabernaculo ejus hostiam vociferationis; cantabo, et psalmum dicam Domino.

[12] Exaudi, Domine, vocem meam, qua clamavi ad te; miserere mei, et exaudi me.

[13] Tibi dixit cor meum, exquisivit te facies mea; faciem tuam, Domine, requiram.

[14] Ne avertas faciem tuam a me; ne declines in ira a servo tuo.

[15] Adjutor meus esto; ne derelinquas me, neque despicias me, Deus salutaris meus.

[16] Quoniam pater meus et mater mea dereliquerunt me; Dominus autem assumpsit me.

[17] Legem pone mihi, Domine, in via tua, et dirige me in semitam rectam, propter inimicos meos.

[18] Ne tradideris me in animas tribulantium me, quoniam insurrexerunt in me testes iniqui, et mentita est iniquitas sibi.

[19] Credo videre bona Domini in terra viventium.

[20] Expecta Dominum, viriliter age, et confortetur cor tuum, et sustine Dominum.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata 

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXVI.

Prima che Davide fosse unto, la seconda volta, solennemente in re stando ancora in esilio, ei compose questo salmo, in cui desidera il regno celeste, disprezzando sia prosperità, sia avversità temporali.

Salmo di David, prima che fosse unto.

1. Il Signore mia luce e mia salute: chi ho io da temere?

2. Il Signore difende la mia vita: chi potrà farmi tremare?

3. Nel mentre che i cattivi mi vengon sopra per divorar le mie carni:

4. Questi nemici miei, che mi affliggono, eglino stessi hanno inciampato, e sono caduti.

5. Quando io avrò contro di me degli eserciti attendati, il mio cuore non temerà.

6. Quando si verrà a battaglia contro di me, in questa io porrò mia speranza.

7. Una sola cosa ho domandato al Signore, questo io cercherò: che io possa abitare nella casa del Signore per tutti i giorni della mia vita;

8. Affine di vedere il gaudio del Signore, frequentando il suo tempio.

9. Imperocché egli mi ha ascoso nel suo tabernacolo; nel giorno delle sciagure mi pose al coperto nell’intimo del suo tabernacolo.

10. Sopra di un’alta pietra mi trasportò, e adesso ha innalzata la mia testa sopra dei miei nemici.

11. Starò intorno a lui, immolando sacrifizi nel suo tabernacolo al suon delle trombe; canterò e salmeggerò, lodando il Signore.

12. Esaudisci, o Signore, la voce mia colla quale ti ho invocato; abbi misericordia di me, ed esaudiscimi.

13. Con te parlò il cuor mio, gli occhi miei ti hanno cercato; la tua faccia cercherò io, o Signore.

14. Non rivolgere la tua faccia da me, non ritirarti per isdegno dal servo tuo.

15. Sii tu mio aiuto: non mi abbandonare, e non disprezzarmi, o Dio mio salvatore.

16. Perché il padre mio e la madre mia mi hanno abbandonato; ma il Signore si è preso cura di me.

17. Ponmi davanti, o Signore, la legge della tua vita; e per riguardo ai nemici miei guidami pel diritto sentiero.

18. Non abbandonarmi ai desiderii di coloro che mi perseguitano, dappoiché si son presentati contro di me dei testimoni falsi, e l’iniquità s’inventò delle menzogne.

19. Credo che io vedrò i beni del Signore nella terra dei vivi.

20. Aspetta il Signore, diportati virilmente, e prenda vigore il cuor tuo e aspetta pazientemente il Signore.

Sommario analitico

Davide prima della sua seconda consacrazione, nel fuggire alla persecuzione di Saul, condannato a condurre una vita errante, senza poter visitare il santo tabernacolo, e gemente nell’esilio, rappresenta ogni uomo giusto provato dalle tentazioni della vita e dalle persecuzioni del mondo, ritirato in spirito davanti al santo Tabernacolo, col desiderio di dimorarvi sempre e rianimato nella fede dalle promesse del Signore e dai beni invisibili della vita eterna. Malgrado tutti gli sforzi dei suoi nemici, egli si dichiara senza timori, perché egli possiede Dio (1):

(1) Il carattere dei giusti si manifesta qui in tutta la sua verità. Non si tratta qui della impassibilità rigida né della sfida superba lanciata al dolore dal giusto degli stoici, immortalati da Orazio. Qui ci sono le alternanze tra il coraggio e la paura, la debolezza e la forza, di un’anima che dubita nella speranza e che spera nel dubbio, pregando sempre senza cessare d’amare. Questa non è l’attitudine calma e fiera di una personalità esaltata, né dell’orgoglio umano che si erge da solo contro l’universo e si avvolge nel suo diritto come in un mantello, ma è il contegno di un figlio davanti a suo padre, che in un istante è intrepido davanti al pericolo da cui si sente minacciato, ed un istante dopo, gridando e tremando, quando il male diventa imminente, si stringe presto contro il suo protettore e lo invoca tra le lacrime:

I. – Come guida nei combattimenti, in cui viene in suo soccorso: – 1) rischiarando la sua intelligenza; – 2) fortificando la sua volontà (1); – 3)proteggendo tutte le potenze della sua anima (2); – 4) distruggendo i nemici che sono: a) spudorati e crudeli (3), b) numerosi e accaniti onde perderlo (4-6).

II. – Come asilo nel pericolo; Dio gli offre il suo tabernacolo, ove egli trova: – 1° un’abitazione stabile per tutti i giorni della sua vita (7); – 2° le delizie ineffabili nella visita del suo tempio (8); – 3° una protezione sicura contro tutti gli assalti dei nemici: a) Dio lo sottrae ai loro inseguimenti, b) lo protegge nel segreto del suo tabernacolo, c) lo eleva e lo rende superiore a tutti i loro sforzi (9, 10); – 4° un mezzo facile per rendere a Dio il culto che Gli è dovuto: a) frequentando il suo tempio e circondando i suoi altari, b) offrendogli vittime, c) cantando le sue lodi, d) componendo salmi in suo onore (11). –

III. Come remuneratore dopo la vittoria: – 1° nell’altra vita, mostrandosi a Lui faccia a faccia, cosa che Davide chiede: a) con le sue preghiere e le sue grida (12), b) con le affezioni e gli slanci del suo cuore, c) con lo zelo che egli mette nel ricercare Dio, d) con gli sguardi ardenti che rivolge al cielo (13). – 2° in questa vita, egli domanda a Dio: a) di dargli man forte contro i suoi nemici, perché Dio è sempre stato il suo Salvatore (15), e Dio si è dichiarato suo protettore quando veniva abbandonato da tutti (16); b) di dirigerlo nella via dei suoi comandamenti, dandogli la sua legge che: 1) gli impedirà di errare, 2) gli farà conoscere le trappole che gli tendono i suoi nemici (17), 3) lo difenderà contro tutte le menzogne e le loro calunnie (18); c) di fortificare il suo spirito ed il suo cuore: 1) con una fede perfetta nei beni futuri (19); 2) con una speranza ferma e paziente; 3) con una carità che porta ad atti eroici, alla pazienza nelle tribolazioni, all’attesa perseverante del Signore (20).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1- 6.

ff. 1-6. –  Ci sono tre grandi verità nei primi sei versetti di questo salmo. Dio è nostra luce, Egli è l’autore della nostra salvezza, Egli è il nostro unico protettore con il quale non abbiamo nulla da temere. Senza la luce di Dio, noi saremmo nelle tenebre; senza la salvezza che Egli ci ha meritato, noi saremmo tutti vittime della riprovazione eterna; senza la forza che Egli ci dà, noi cadremmo nel niente della natura e nel niente del peccato (Berthier). – Queste tre cose rendono un uomo intrepido, invincibile contro tutte le avversità: – che Dio lo illumini, perché egli veda ciò che è giusto; – che Dio lo guarisca e lo salvi, perché egli possa mettere in esecuzione ciò che ha conosciuto essere giusto; – che Dio sia il suo protettore, perché possa resistere a tutte le tentazioni (Ruffin). – « Il Signore è la mia luce e la mia salvezza, di cosa avrò paura? » Egli mi illumina affinché le tenebre spariscano, sicché io cammini saldo in piena luce: cosa temerò? Perché Dio non ci dà affatto una salvezza per cui altri possa sopraffarci; Egli non è una luce per cui altri possa avvolgerci nelle tenebre. Dio ci rischiara, noi siamo illuminati; Dio ci salva, noi siamo salvati; se dunque ci illumina e ci salva, è evidente che fuori da Lui non siamo che tenebre e debolezza (S. Agost.). – Quale invincibile fiducia deve dunque avere colui che sa dire: « Il Signore è protettore della mia vita, davanti a cosa mai tremerò? ». Un imperatore è protetto da uomini armati di scudo e non teme; un mortale è protetto da altri mortali e si sente in sicurezza; ed il mortale protetto da un Difensore immortale dovrebbe forse temere e tremare? – Ma quale baldanza, quale sicurezza non debba avere, comprendete bene, colui che dice: « Quando anche fossero accampate intorno a me delle armate, il mio cuore non tremerebbe! » Se i campi sono fortificati, sono essi mai più fortificati di Dio? « Quand’anche una guerra scoppiasse contro di me », chi mi muove guerra? Può essa togliere la mia speranza? Può togliermi ciò che da l’Onnipotente? Così come non si può vincere Colui che dà, così non mi si può togliere ciò che Egli mi dà. Se si può togliere il dono, si può vincere colui che dona (S. Agost.). – « Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? » (Rom. VIII, 31). – Non c’è che una parola da dire … « Io sono », e tutti i nostri nemici cadranno all’indietro.

II — 7-11.

ff. 7-11. –  L’unico desiderio, l’oggetto unico del Re-Profeta, è di abitare nella casa di Dio, di conversare con Dio, di gioire delle dolcezze inseparabili dal servizio di Dio. Egli non divide affatto le sue affezioni tra Dio e il mondo, tra Dio e le sue passioni; egli non riserva alcun giorno all’ambizione, ai piaceri, alle cure nell’aumentare la sua fortuna, le sue ricchezze, ma tutto è donato a Dio (Berthier). – L’unico desiderio del Cristiano, è la ricerca unica alla quale tutti devono tendere. C’è una sola cosa necessaria, e qual è questa unica cosa? … È abitare nella casa del Signore. In questa vita passeggera ci si serve del termine di « casa »; ma a propriamente parlare, non bisognerebbe servirsi se non del termine di « tenda ». La tenda conviene al viaggiatore, al soldato in campagna, a colui che combatte un nemico. Quando dunque noi abitiamo una tenda in questa vita, è manifesto che abbiamo un nemico da combattere. Noi abbiamo quindi quaggiù una tenda, ed in alto una casa (S. Agost.). – « … Tutti i giorni della mia vita », non dei giorni che potrebbero finire, ma dei giorni eterni. I giorni della vita presente sono piuttosto una morte che una vita, ma i giorni della vita eterna sono come gli anni di Dio che non finiranno mai, questi giorni non sono in realtà che uno stesso giorno che non tramonta mai (S. Agost.). – Nelle abitazioni terrene gli uomini cercano diverse gioie e piaceri vari; ognuno vuole abitare una casa nella quale nulla turbi la sua anima, ma ove al contrario tutto lo rallegri, e se le cose che lo affascinano vengono eliminate, vuole ad ogni costo cambiare casa … Ed il profeta ci dice cosa desidera fare in questa casa: … contemplare le gioie del Signore. Che il nostro cuore si elevi più in alto di tutte le cose ordinarie; che il nostro spirito si elevi più in alto di tutti i pensieri che ci sono abituali e che sono nati dai desideri del nostro corpo … Se arriva un pensiero che non ecceda la nostra intelligenza, dite: la non c’è il cielo; perché se ci fosse il cielo, io non sarei stato capace di concepire questa idea. È così che bisogna desiderare il bene, ma quale bene? Il bene per il quale tutte le cose sono buone, il bene dal quale deriva tutto ciò che è buono. Tale è la gioia del Signore che noi saremo ammessi a contemplare senza che ci circonda nessuna suggestione, senza che alcuna potenza si allontani da noi, senza che alcun nemico vi si opponga (S. Agost.). – Perché il Signore ci fa questa grazia nell’eternità? « … Perché nel giorno della sciagura Egli mi ha messo al riparo nel segreto della sua dimora ». La vita presente forma i giorni delle nostre avversità. Come Colui che mi ha guardato con misericordia mentre ero lontano da Lui, non mi renderà felice quando sarò presso di Lui? Colui che ha dato una tale dimostrazione di protezione al viaggiatore esiliato, lo abbandonerà forse al termine del viaggio? (S. Agost.). – Gli antichi favori di Dio ci danno il diritto di attenderne di nuovi. – Mentre agli uomini, dopo aver ricevuto un beneficio, non bisogna subito chiederne un altro, al fine di danneggiare il proprio credito e rendersi inopportuno; con Dio invece, noi possiamo dire in tutta verità, … Egli mi proteggerà, perché Egli mi ha già protetto. Dio aveva nascosto e protetto Davide nell’interno del suo tabernacolo, perché lo aveva sottratto al furore dei suoi nemici, ed aveva assicurata la sua anima contro tutti i danni ai quali questo santo re fosse esposto. Questo segreto del tabernacolo è ancora aperto a tutti i perseguitati e ai sofferenti. Nel tempo della tempesta, essi si ritirano nella presenza del Signore, e ricorsi alla preghiera, ne escono non solo consolati, ma pieni di forza contro tutti i nemici della salvezza (Berth., Applic. à l’Euch.). – Noi immoliamo un’ostia di giubilazione, un sacrificio di azione di grazia che ci è impossibile spiegare con le nostre parole; noi l’immoliamo, ma dove? Nel suo tabernacolo, nella Santa Chiesa. Cosa immoliamo dunque? Una gioia immensa ed inenarrabile, che nessuna parola, nessuna voce può descrivere. Tale è l’ostia di giubilazione. Ma dove la si cerca? Dove la si trova? Percorrendo ogni cosa. « Io ho percorso ogni cosa, dice il Profeta, ed ho immolato nel suo tabernacolo un’ostia di giubilazione ». Che il vostro spirito percorre la creazione intera, ed ogni parte della creazione vi griderà: è Dio che mi fatto! Ciò che vi affascina nell’opera, è vanto dell’operaio, e più percorrete l’universo in tutti i sensi, più questo esame manifesta ai vostri occhi la gloria del suo Autore. Voi considerate i cieli, essi sono le grandi opere di Dio, voi considerate la terra, è Dio che ha creato queste numerose semenze, questi germi di infinita varietà, questa moltitudine di animali. Percorrete i cieli e la terra, non omettete alcunché: da ogni luogo, tutte le cose proclamano davanti a voi il loro Autore, e le creature di tutte le specie sono come tante voci che lodano il Creatore. Ma chi potrebbe dipingere la creazione intera? Chi potrebbe farne l’elogio che merita? E se il linguaggio dell’uomo è così ridotto all’impotenza quando si tratta delle creature di Dio, cosa può nei riguardi del Creatore? La parola viene meno e all’uomo non resta che l’emozione della sua gioia (S. Agost.).

III. — 12-20.

ff. 12. – Nella preghiera, soprattutto nell’orazione, è il cuore che deve parlare, che deve dire, come si esprime il Re-Profeta. È l’occhio dell’anima che deve cercare. Questo linguaggio del cuore, è il solo degno di essere ascoltato da Dio. La preghiera vocale senza il grido del cuore, non è che un suono che batte l’aria; ma il grido del cuore, senza parole, è una vera preghiera, è il nodo del santo rapporto che l’uomo deve intrattenere con Dio (Berthier).

ff. 13. Se la nostra gioia fosse posta nel sole che rischiara questo mondo, non sarà il nostro cuore a dire: « Io ho cantato la vostra lode »; per questo ci sarebbero gli occhi del nostro corpo.A Chi il nostro cuore dice: « … io ho cercato il vostro volto », se non a Colui che possono vedere gli occhi del nostro cuore? Gli occhi del corpo ricercano la luce del sole, gli occhi del cuore la luce di Dio. Ma voi volete vedere questa luce che contemplano gli occhi del cuore, perché questa luce è Dio stesso; perché Dio è luce, dice San Giovanni, e in Lui non ci sono tenebre (Giov. I, 5). – Volete dunque vedere questa luce? Purificate l’occhio che può contemplarla; perché sono beati coloro il cui cuore è puro, perché essi vedranno Dio (Matt. V, 8). (S. Agost.).

ff. 14. –  C’è una sorta di progresso nelle espressioni di cui si serve il Profeta. Dio nasconde il suo volto quando cessa di irradiare i raggi della sua luce; Egli monta in collera quando non parla più al cuore dell’uomo, Egli lo abbandona quando lo lascia in preda alle sue passioni, Egli lo allontana e lo rigetta quando lo prova senza ritorno, quando lo toglie cioè da questo mondo per fargli provare le sue vendette nell’altra vita. I peccatori non si accorgono del loro stato deplorevole se non al momento di questa ultima catastrofe, e quando non c’è oramai più tempo per implorare la misericordia divina (Berthier). – Non c’è altra terra dei viventi che il cielo, non c’è altro libro dei viventi che il libro della predestinazione; ed ancora, non c’è altro Dio dei viventi se non il vero Dio il cui regno è eterno (Idem).

ff. 15. –  Noi abbiamo domandato a Dio solo una cosa, di abitare nella sua casa tutti i giorni della nostra vita, di contemplare le sue delizie, di vederlo faccia a faccia. Noi siamo sulla strada per arrivare a tanto; ma se Dio ci abbandona, la rovina ci assalirà lungo il cammino, e noi ci arresteremmo senza camminare più: Voi siete il mio aiuto, non mi abbandonate, etc. (S. Agost.).

ff. 16. –  Il Re-Profeta si fa un figlio di Dio, fa di Dio suo padre, fa di Dio sua madre. Dio è suo padre perché Egli lo ha creato, perché lo chiama, perché gli da dei comandi, perché lo dirige. Dio è sua madre perché lo tiene nelle sue braccia, lo nutre, lo allatta, lo porta nel suo seno. « Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, etc. ». I genitori mortali hanno generato dei figli, dei figli mortali sono succeduti ai genitori mortali, affinché coloro che li hanno generato morissero; Colui che mi ha creato non morirà affatto, ed io non mi separerò mai da Lui (S. Agost.). –È triste l’abbandono in cui i genitori lasciano l’anima dei loro figli nell’età in cui essi avrebbero tanto bisogno di essere illuminati, sostenuti, guidati meno ancora che dalle istruzioni, bensì con degli esempi viventi di religione, di pietà, di virtù. Quale gioia per noi aver ricevuto nel nostro Battesimo Dio come padre, e per madre la Chiesa Cattolica, nel seno della quale noi siamo stati posti, per apprendervi le verità della salvezza e le massime della vera pietà! – Abbiamo lo spirito ed il cuore di un bambino celeste, staccato dalla terra dalla sua nascita novella, animato dallo spirito di adozione divina, e da una docilità, da una sottomissione assoluta a Colui che è il Padre degli spiriti, affinché noi viviamo (Ebr. XII, 9). – È dall’abbandono totale da parte delle creature, che appare la fede dei servitori di Dio. È allora che l’uomo di fede esclama con S. Agostino: « … mi si tolgano le cose che Dio mi aveva dato, ma non mi si tolga Dio che me le aveva date ». È allora che Dio pure raccoglie i suoi servitori, e si dichiara Dio e Padre, il divino amico dei solitari e degli abbandonati.

ff. 17. – Il Profeta desidera essere condotto lungo le vie della giustizia, a causa dei suoi nemici. Il gran numero di nemici invisibili che incessantemente tendono insidie per farci uscire dal sentiero della giustizia che conduce dritto alla vita, è un motivo potente per chiedere più ardentemente a Dio la sua luce alfine di farci conoscere la sua volontà e la sua grazia per metterla in esecuzione.

ff. 18. – Come gli uomini sono liberati dalla volontà di coloro che li affliggono? « perché i testimoni dell’iniquità si sono levati contro di noi ». Siccome sono dei testimoni mendaci, se io sono legato alla loro volontà, io mentirò con essi e diverrò come uno di loro, non partecipando più alla vostra verità, ma alla loro menzogna. Al contrario, quando essi esercitano secondo volontà il loro furore contro di me, e si sforzano di ostacolare il mio cammino; se non mi abbandonate alla loro volontà e conseguentemente mi offrirò ai loro desideri, io resterò fermo, sarò nella vostra verità e l’iniquità avrà mentito a suo detrimento e non al mio (S. Agost.). – Testimoni ingiusti, sono una tentazione pericolosa da cui si può chiedere a Dio di essere preservati. Volendo perderci, questi testimoni di iniquità perdono se stessi, e la loro menzogna ricade su di loro.

ff. 19. –  È nei mali, nelle persecuzioni da cui il Re-Profeta è assediato, che si trovano i pegni certi che lo rassicurano, per un’altra vita, al possesso dei beni del Signore, per cui ha avuto una conoscenza chiara e distinta dei beni eterni che contempla come se avesse davanti agli occhi il cielo aperto; perché la sua ragione e la sua fede gli dicono dal fondo all’anima che questi mali, queste persecuzioni, sono contrarie ad ogni giustizia, dalla Provvidenza di Dio egli ebbe, per l’avvenire, un altro stato in cui la sua innocenza fu riconosciuta e la sua pazienza glorificata (S. Agost.). – Egli ritorna ancora alla sola cosa che ha domandato: dopo questo pericolo, dopo questi travagli, dopo queste difficoltà, agitato, affannato, sfinito tra le mani di quelli che lo perseguitano e lo affliggono, è fermo e pieno di sicurezza, perché il Signore lo ha preso in adozione, perché il Signore è suo aiuto, perché il Signore lo conduce, perché il Signore lo dirige; dopo l’esame di tutte le cose e di questo sacrificio di giubilo, dopo i trasporti della sua allegria, dei suoi gemiti nelle pene, infine respira ed esclama: « Io credo fermamente che vedrò i beni del Signore ». O beni deliziosi, immortali, incomparabili, eterni, immutabili! E quando vi vedrò, o beni del Signore? Io vi vedrò, ma non sarà in questa terra dei mortali, ma nella terra dei viventi (S. Agost.). – Non c’è altra terra dei viventi se non il cielo, così come non c’è altro libro dei viventi che il libro della predestinazione; e non c’è altro Dio dei viventi se non il vero Dio, il cui regno è eterno.

ff. 20. – Dio differisce ma non negherà il compiersi della sua promessa. « Attendere il Signore » … voi non attendete qualcuno che possa ingannare, né che possa ingannarsi, o che non saprà prendere, per darlo, ciò che ha promesso. Voi avete la promessa di colui che è Onnipotente, la promessa di Colui che è infallibile, la promessa di Colui che è verace. « … Attendo il Signore, agisco con coraggio ». A colui che lo insidia ha fatto perdere la pazienza e lo fatto diventare debole come una donna, facendogli perdere ogni vigore, « Attendo il Signore », e nell’aspettarlo, lo possederete, possederete cioè Colui che aspettate. Desiderate qualcos’altro se potete mai trovare qualcosa di più grande, di meglio, di più dolce! (S. Agost.).

I SERMONI DEL CURATO D’ARS -SUL MATRIMONIO

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

[Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, curato d’Ars – Vol. I, Quarta ed. – Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]

Sul Matrimonio.

Quanto i Cristiani sarebbero felici, se avessero la sorte come questi due sposi fedeli che si recarono a pregare Gesù Cristo di assistere alle loro nozze per benedirle e per conceder loro le grazie necessarie alla loro santificazione! Ma no, pochissimi fanno quello che devono fare per impegnare Gesù Cristo a recarsi alle loro nozze per benedirle; all’opposto, sembra che si impieghino tutti i mezzi per impedirlo. Ah! quante persone dannate per non aver invitato Gesù Cristo alle loro nozze, quante persone che cominciano il loro inferno in questo mondo! Ah! quanti Cristiani che abbracciano questo stato colle stesse disposizioni dei pagani e forse son più colpevole! Diciamo, gemendo, che, di tutti i sacramenti non ve ne è alcun altro che sia tanto profanato. Sembra che non si riceva questo gran sacramento che per commettere un sacrilegio. Ah! se noi vediamo molti contrarre dei cattivi matrimoni, molti infelici, molti che colla maledizioni che si vomitano l’uno contro l’altro, veramente cominciano il loro inferno in questo mondo, non cerchiamone altra causa se non nella profanazione di questo sacramento. Ah! se di tutti i trenta matrimoni, ne occorressero tre soli che avessero ricevute tutte le grazie, sarebbe già molto. Ma che cosa ne conseguita da queste profanazioni, se non una generazione di riprovati? Mio Dio, possiamo noi pensarvi e non tremare, vedendo tante povere persone le quali non entrano in questo stato che per cadere nell’inferno? Qual è il mio disegno, M. F.? Eccolo. Dapprima di mostrare a coloro che hanno abbracciato questo stato, le colpe che vi hanno commesse, e poscia a coloro che pensano di abbracciarlo, le disposizioni che vi devono recare.

I. — Nessuno dubita che noi possiamo salvarci in tutti gli stati che Dio ha creati, ciascuno in quello che Dio ci ha destinato, se noi vi rechiamo le disposizioni che Dio domanda da noi: di guisa che, se noi ci perdiamo nel nostro stato, segno è che non l’abbiamo abbracciato con buone disposizioni. Ma è vero che ve ne sono i quali presentano maggiori difficoltà degli altri. Noi sappiamo qual è quello che ne presenta di maggiori, è quello del matrimonio; e tuttavolta noi vediamo che è quello che si riceve con più cattive disposizioni. Quando si vuol ricevere il sacramento della confermazione, si premette un ritiro, si procura di farsi bene istruire, per rendersi degni delle grazie che vi sono annesse; ma per quello del matrimonio, dal quale dipende ordinariamente la felicità o l’infelicità di colui che lo riceve, lontano dal prepararvisi con un ritiro o con qualche altra buona azione, sembra che non si saranno mai accumulati abbastanza peccati sopra peccati per riceverlo, sembra che non si avrà mai commesso tanto male per meritare la maledizione del buon Dio, affine di essere infelici per il volgere di tutta la vita preparandosi un inferno per l’eternità. Quando si vuol abbracciare lo stato ecclesiastico, od entrare in un monastero, o restare nel celibato, si consulta, si prega, si compiono delle buone opere, affine di domandare a Dio la grazia di conoscere la propria vocazione; benché nell’ordine religioso tutto converga a Dio. tutto ci allontani dal male, nonostante ciò, si prendono molte precauzioni; ma per il matrimonio, nel quale è così difficile il salvarsi, o per meglio dire, nel quale tanti si dannano, dove sono le preparazioni che si premettono per domandare a Dio la grazia di meritare il soccorso del cielo che ci è così necessario per potere santificarci? Quasi nessuno vi si prepara, o vi si prepara in un modo così debole che il cuore non vi ha alcuna parte. Quando un giovane od una giovane cominciano a voler pensare a collocarsi, prendono le messe dall’allontanarsi da Dio, abbandonando la religione, la preghiera, i sacramenti. Gli abbigliamenti ed i piaceri prendono il posto della religione, e i peccati più vergognosi prendono il posto dei sacramenti. Essi battono questa via fino al momento di contrarre il matrimonio, nel quale la maggior parte consumano tre sacrilegi in due o tre giorni; vo’ dire profanando il sacramento della penitenza, quello dell’Eucaristia e quello del matrimonio, se il prete è tanto infelice da amministrar loro i due primi; io dico almeno la maggior parte, se non di tutti. Il più gran numero di Cristiani, vi recano un cuore mille volte più corrotto dal vizio infame dell’impurità, che un gran numero di pagani non oserebbero di commettere. Una giovane che desidera impalmarsi con un giovane, non ha più alcuna riservatezza. Ah! ella abbandona il buon Dio, e il buon Dio alla sua volta la abbandona; ella si getta a corpo perduto in tutto ciò che è più infame. Ah! che possono essere e che possono diventare queste povere persone che ricevono il sacramento del matrimonio in un simile stato, e quanti di questi infelici non lo rivelano neppure in confessione? O mio Dio, con qual orrore il cielo può e deve riguardare tali matrimoni! Ma che avviene di queste persone infelici? Ah! lo scandalo d’una parrocchia ed una sorgente di sventure per i poveri figli che nasceranno da essi! Che cosa si ascolta in questa casa? Nient’altro, se non giuramenti, bestemmie, imprecazioni e maledizioni. Quella giovane credeva che se poteva avere quell’uomo, o quell’uomo quella giovane, nulla sarebbe loro mancato; ma ah! dopo aver fondata la famiglia, quale cangiamento, quante lagrime, quanti patimenti, quanti gemiti! Ma tutto ciò a nulla giova. La sventura li ha incolti, ed è necessario restarvi fino alla morte, è necessario vivere con una persona che il più spesso non si può né vedere né udire; diciamo meglio, essi cominciano il loro inferno in questo mondo per continuarlo per tutta l’eternità. Ah! che il numero di questi matrimoni infelici, è grande! Tuttavolta, tutto ciò proviene dalla profanazione di questo sacramento. Ah! se si ponesse mente a quello che si fa abbracciando il matrimonio, i doveri da adempire e le difficoltà che vi si incontreranno per salvarsi, o mio Dio, più savia sarebbe la loro condotta! Ma la sventura del gran numero, è che hanno già perduto la fede quando lo abbracciano. D’altra parte, il demonio nulla omette per renderli indegni delle grazie che Dio loro concederebbe se fossero ben preparati. Il demonio, non solamente spera di averli nel suo potere, ma che anche i figli che nasceranno da essi saranno le sue vittime. Oh! che coloro che Dio non chiama a questo stato sono felici! Oh! quali azioni di grazie devono rendere a Dio di preservarli da tanti pericoli di perdersi! senza contar che saranno più vicini a Dio in cielo, che tutte le loro azioni saranno più accettevoli a Dio, e che la loro vita sarà più dolce, e la loro eternità più felice. Mio Dio, chi potrà ben comprendere ciò? Ah! quasi nessuno, perché ciascuno segue, non la propria vocazione, ma la tendenza delle proprie passioni. – Tuttavia, per quanto sia difficile salvarsi nello stato del matrimonio, e che il più gran numero, senza porvi mente un sol momento, saranno dannati, coloro che Dio vi chiama possono salvarvisi, se hanno la ventura di recarvi le disposizioni che Dio domanda da essi; Egli loro concederà coi sacramenti suoi le grazie che loro sono promesse. Ciascuno deve entrare dove Dio lo chiama, e noi possiamo dire che il più gran numero dei Cristiani si perdono perché non seguono la loro vocazione, ossia non domandandola a Dio o rendendosi indegni di conoscerla colla loro cattiva vita. Per mostrarvi che si può salvarsi nel matrimonio, se è Dio che chiama, ascoltate quello che ci dice S. Francesco di Sales, il quale essendo in collegio, si intratteneva un giorno con uno dei suoi compagni intorno lo stato nel quale entrerebbero. S. Francesco gli disse: io credo che il buon Dio mi chiami ad essere prete, io vi trovo tanti mezzi di santificarmi e di guadagnare delle anime a Dio, che al solo pensarvi mi sento il cuore ripieno di gioia; quanto mi troverei felice, se potessi convertire dei peccatori a Dio! Per tutto il volgere dell’eternità, io li sentirei cantare le lodi di Dio, li vedrei in cielo. L’altro gli disse: Io credo che Dio mi chiami nello stato del matrimonio e che avrò dei figli e che ne formerò dei buoni Cristiani e che io medesimo mi santificherò. Tutti e due seguirono una vocazione diversa, perché l’uno fu prete e Vescovo, e l’altro abbracciò il matrimonio, tuttavolta tutti due sono santi. Colui che contrasse il matrimonio ebbe dei figli e delle figlie; uno dei figli fu arcivescovo, ed è stato santo; un secondo religioso; un altro, presidente in una camera, il quale fece della propria casa quasi un monastero. Si levava di letto ogni giorno alle quattro ore del mattino, a cinque ore recitava la preghiera con tutti i suoi domestici, li istruiva ogni giorno. Parecchie delle sue figlie furono religiose; di guisa che, dice S. Francesco di Sales, che tutti, in quella famiglia, furono modelli di virtù nel paese dove soggiornavano. Voi vedete che, benché sia molto difficile di salvarsi nello stato del matrimonio, coloro che vi sono chiamati da Dio, se vi recano delle buone disposizioni, possono sperare di santificarvisi. Ma trattiamo in modo più diretto quello che riguarda questo sacramento.

II — Se io domandassi ad un fanciullo che cos’è il sacramento del matrimonio, egli mi risponderebbe: è un sacramento istituito da nostro Signor Gesù Cristo e che conferisce le grazie necessarie per santificare coloro che abbracciano il matrimonio secondo le leggi della Chiesa e dello Stato. Ma quali sono le disposizioni per ricevere le grazie che Dio comunica con questo sacramento? Eccole:

1° Di essere sufficientemente istruito dei doveri del proprio stato e delle miserie che in esso si provano; 2° di essere in stato di grazia, vo’ dire di avere premessa una buona confessione di tutti i propri peccati, con un vivo desiderio di non più commetterli. Se mi domandate perché è necessario essere in istato di grazia per ricevere questo sacramento, io vi risponderò: 1° Perché è un sacramento dei vivi; è necessario adunque che l’anima nostra sia esente da peccati; 2° Non essendo in istato di grazia, si commette un sacrilegio, eccetto che non siasi sufficientemente istruito. Coloro che vogliono ricevere degnamente questo sacramento devono essere istruiti sufficientemente per conoscere i loro doveri, e per insegnare ai loro figli quello che devono fare per vivere cristianamente. Se una persona che contrae il matrimonio non sa che cos’è il sacramento che riceve, chi l’ha istituito, quali grazie ci conferisce, e quali sono le disposizioni che dobbiamo recarvi, egli è certo che commette un sacrilegio. Ah! quanti sacrilegi nel ricevere questo gran sacramento, e quanti che abbracciano questo stato senza neppure sapere i principali misteri; vo’ dire, quale delle tre Persone divine si è fatta uomo! Essi non saprebbero solamente rispondervi che è la seconda Persona che ha preso un corpo ed un’anima nel seno della Ss. Vergine per l’opera dello Spirito Santo, e che fu il 25 marzo; che il 25 dicembre questo Gesù è venuto al mondo. Quanti che non sanno che è nato come uomo e non come Dio, perché come Dio è da tutta l’eternità. Quanti che non sanno che è il Giovedì santo che Gesù Cristo ha istituito il sacramento adorabile dell’Eucaristia, prendendo del pane, benedicendolo e cangiandolo nel suo corpo; e che poscia prese del vino e lo cangiò nel suo sangue, e che disse a’ suoi apostoli: “Tutte le volte che voi pronuncerete queste medesime parole, voi opererete lo stesso miracolo.„ Quanti che non sanno che fu il Giovedì santo che Gesù Cristo ha istituito i sacerdoti, dicendo loro queste parole: “Fate questo in memoria di me. Tutte le volte che voi pronuncerete le medesime parole, voi cangerete il pane nel mio corpo, il vino nel mio sangue.„ (I Cor. XI, 23-26). Forse alcuni ignorano il giorno che il buon Dio è morto, che è risuscitato e che è salito al cielo. Ciò vi meraviglia? Ah! ne occorrono più di due che non sanno quanto e come Dio ha sofferto, e come è morto; vo’ dire che non sanno che Dio ha sofferto ed è morto come uomo e non come Dio, perché come Dio non poteva né patire, né morire. Quanti che credono che le tre Persone della Ss. Trinità hanno sofferto e sono morte. Quanti non sanno che Gesù Cristo, come uomo, è più giovane della Ss. Vergine, e che, come Dio, è da tutta l’eternità! Quanti sarebbero stati bene impacciati, se, prima di maritarsi, si avesse loro domandato: Chi ha istituito i sacramenti, e quali sono gli effetti di ciascun sacramento in particolare, e quali sono le disposizioni che domanda ciascun sacramento? Quanti credono che è la Ss. Vergine e gli apostoli che hanno istituiti i sacramenti, e che non sanno veramente che è Gesù Cristo, e che Lui solo poteva istituirli e comunicar loro le grazie che vi riceviamo: vo’ dire, che il battesimo ci purifica dal peccato che noi rechiamo, nascendo, che è il primo sacramento che un Cristiano può ricevere, e che le acque per il battesimo sono state santificate quando S. Giovanni battezzò Gesù Cristo nel Giordano, che Gesù Cristo l’ha istituito, dicendo ai suoi apostoli: “Andate, istruite tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre, ecc. „ (Matth. XXVIII, 19). Quanti non sanno che sia lo Spirito Santo ch’essi ricevono nel sacramento della Confermazione, e che questo sacramento non può essere conferito che dai Vescovi, e che è necessario essere in istato di grazia per riceverlo! Quanti non sanno in qual momento essi ricevono il sacramento di Penitenza e non sanno che è quando si confessano e che loro si imparte l’assoluzione, e non tutte le volte che si confessano! Quanti non sanno che, nel sacramento dell’Eucaristia, essi ricevono il corpo, il sangue e l’anima di nostro Signore Gesù Cristo, e non ricevono né gli angeli né i santi! Quanti non sanno far la differenza tra il sacramento dell’Eucaristia e gli altri, vale a dire, che non sanno che, nel sacramento dell’Eucaristia, essi ricevono il corpo adorabile e il sangue prezioso di Gesù Cristo, invece che negli altri non riceviamo che l’applicazione dei meriti del suo sangue prezioso! Quanti non sanno conoscere, quali sono i sacramenti dei vivi e i sacramenti dei morti, e perché si danno loro questi nomi; essi non sanno che il Battesimo, la Penitenza e qualche volta l’Estrema-Unzione, sono i sacramenti dei morti, perché ci restituiscono la vita della grazia che abbiamo perduta col peccato, e gli altri sono chiamati sacramenti dei vivi, perché è necessario che non abbiamo nessun peccato sopra la coscienza quando vogliamo riceverli. Quanti altri non sanno quello che ricevono quando si fanno le unzioni sopra i loro sensi, e quale grazia questo sacramento dell’Estrema Unzione conferisce agli ammalati che lo ricevono degnamente, vo’ dire che essi non sanno che questo sacramento li purifica da tutti i peccati che hanno commesso coi loro sensi. Finalmente quanti altri hanno ignorato la grazia che conferiva il sacramento del matrimonio! Quanti altri che non sanno che i sacramenti non hanno avuto il loro effetto che dopo la Pentecoste. Ah! quanti sacrilegi! ah! quante persone maritate miseramente perdute! Tuttavia se voi ignorate queste cose, voi potete essere certi che tutti i sacramenti che avete ricevuti sono, vorrei dire, dei sacrilegi. – Una seconda ragione che deve persuaderci a ben prepararsi per ricevere tutte le grazie che conferisce questo gran sacramento, è che vi sono molte miserie da sopportare. Quante povere mogli che sono costrette di passare la loro vita con dei mariti di cui gli uni sono irascibili, i quali un nulla li fa montar in collera; somiglievoli a leoni, essi sono sempre ai loro fianchi, sono sempre a contese e spesse volte le maltrattano; essi non possono vederle a mangiare. Esse muoiono di crepacuore; è ben raro che passino un giorno senza versare delle lagrime; altre hanno dei mariti che mangiano tutto quello che hanno nelle bettole, mentre che una povera moglie perisce di miseria coi suoi figli nella casa. Quello che io dico dei mariti, lo dico parimente delle mogli. Quanti mariti che hanno delle mogli che non dicono loro mai una parola con dolcezza, che li disprezzano, che trascurano tutto ciò che vi è nella casa, che non fanno che contendere da mane a sera. Voi sarete d’accordo con me che per soffrire tutto ciò senza lagnarsi, in modo da renderlo meritorio per il cielo, occorre una grazia straordinaria. Ora, se voi aveste ricevuto tutte le grazie che vi conferisce questo sacramento, voi ne avreste un tesoro infinito per il cielo; le grazie che Dio vi ha preparato per salvarvi, che ha annesso alla vostra vocazione, vi renderebbero ciò sopportabile senza mandare alcun lamento. Ma donde proviene che l’uomo non può tollerare i difetti che egli scopre nella propria moglie, e che la moglie maledice ad ogni istante il proprio marito perché è un ubbriacone? Gli è perché queste persone non hanno ricevuto le grazie del sacramento del matrimonio; esse non possono essere che infelici nel volgere della loro vita e dannate dopo la loro morte. Ma una più grave sventura è che i loro figli loro rassomigliano. Ah! chi potrà dire a virtù di parole lo stato deplorevole dei figli che nascono da tali matrimoni? Voi li vedete quasi vivere come le bestie. Dapprima, i genitori non hanno mai saputo la loro religione, quindi non possono insegnarla ai loro figli. Ah! dei figli che hanno dieci o undici anni, e non sanno non solamente la loro preghiera, né una parola della loro religione; essi non hanno che giuramenti e cattivi discorsi in bocca. Ah! quante persone maritate e quanti figli perduti! almeno se non fossero maritate, si sarebbero perdute sole! Come la profanazione di questo sacramento popola l’inferno! Ma, mi direte voi, che cosa bisogna fare per abbracciare santamente questo stato? — Eccolo. Ascoltatelo attentamente, fortunati se ne approfittate! È necessario che il vostro matrimonio non sia contratto al modo dei pagani. Ecco i matrimoni dei pagani. Quando vogliono collocarsi, gli uni prendono una donna per averne dei figli ai quali lasciare il loro nome e i loro beni; altri perché hanno bisogno di una compagna per aiutarli nelle sollecitudini della vita; questi per la bellezza e le attrattive, ma pochissimi per la virtù. Dopo ciò, si prendono le debite cautele da una parte e dall’altra, si stipula il contratto, e si celebra il matrimonio, che è accompagnato da qualche cerimonia religiosa al loro modo; si imbandisce un gran banchetto, e si lascia un libero freno ad ogni sorta di gioie e di eccessi. Ecco il modo col quale procedono i pagani, vo’ dire coloro che non hanno come noi la ventura di conoscere il vero Dio. Se i vostri matrimoni non hanno niente di meglio, state sicuri che voi avete profanato questo sacramento; e, dopo ciò, risolvetevi a passare la vostra eternità nell’inferno. Non è dunque veramente che lo spirito di pietà che forma il matrimonio cristiano: è necessario dunque farlo in nome di Gesù Cristo, nell’intendimento di piacere a Lui e di seguire la propria vocazione, proporsi il salvamento dell’anima propria e null’altro. Non è dunque né l’interesse, né il desiderio di seguire l’inclinazione del proprio cuore che deve muovere un Cristiano a contrarre il matrimonio; ma quello di seguire la voce di Dio che vi chiama in questo stato, di educare cristianamente i figliuoli che piacerà a Dio concedervi. Ma in un affare così importante, nulla si deve fare con precipitazione, né mai omettere di consultare i propri genitori, e nulla conchiudere senza il loro consentimento. I genitori, non occorre dirlo, non devono costringere i loro figli ad unirsi con persone che non amano, perché non possono essere che infelici l’uno e l’altra. È necessario sempre scegliere persone che abbiano della pietà: voi dovete preferirle, quand’anche avessero poche ricchezze, perché voi siete sicuri che Dio benedirà il vostro matrimonio; invece che per coloro che non hanno religione, i loro beni periranno in breve tempo. Non conviene fare come molte che impalmano un uomo ubbriacone e cattivo soggetto, dicendo che, quando sarà maritato si correggerà; è vero l’opposto, e non diventerà che più cattivo, e voi passerete la vostra, vita in una specie d’inferno. Ah! questi matrimoni sono numerosi È colla preghiera e colle buone opere che voi dovete domandare a Dio di farvi conoscere colui o colei che Dio vi destina. Si dice che affinché un matrimonio sia ben fatto, vo’ dire felice, è necessario sia fatto in cielo prima di esserlo sopra la terra. Dapprima i giovani che vogliono meritare le grazie del matrimonio che Dio prepara a coloro che sperano di santificarvisi, non devono parlarsi da soli né il giorno né la notte, senza la presenza dei loro genitori, e non permettersi mai la più piccola famigliarità, né la più piccola parola indecente, senza di che sono sicuri di allontanare Dio dalle loro nozze, e se Dio non vi assiste, sarà il demonio. Ah! non ne occorre uno sopra duecento che osservi ciò. Si può egualmente dire che non occorre un matrimonio sopra duecento che sia veramente tale e nel quale la pace e la religione vi regnino, in modo che si possa dire che è una casa del buon Dio. All’opposto, ne occorrono che si trascinano per tre o quattro anni nelle danze, nei balli, nelle commedie, nelle bettole, che passano i tre quarti delle loro notti soli, a permettersi tutto ciò che il demone dell’impurità può loro inspirare. Mio Dio! sono costoro cristiani che devono portare sotto il velo del sacramento un cuore puro e libero da ogni peccato? Ah! chi potrà contare il numero dei peccati dei quali è coperto il loro cuore e la loro anima imputridita? Ah! come poter sperare che il buon Dio potrà, onnipotente quale Egli è, benedire tali matrimoni di persone che vivono nella imparità più infame chi sa da quanti anni? che non recitano forse le preghiere né il mattino né la sera? che hanno abbandonato i sacramenti da parecchi anni, o, se li hanno frequentati, non l’hanno fatto che per profanarli? Ah! come pretendere che il sangue adorabile di Gesù Cristo possa discendere sopra queste nozze per santificarle, e rendere le pene del matrimonio dolci e meritorie per il cielo? Ah! quanti sacrilegi, e quante persone maritate che andranno ad ardere negli abissi! Mio Dio, come i Cristiani conoscono poco la loro sventura e la loro perdita eterna! Ah! essi non abbandoneranno i loro delitti infami dopo le loro nozze; sempre le stesse infamie, e sempre battendo la via dell’inferno, nel quale ben presto cadranno. No, non entriamo nel particolare degli orrori che si commettono nel matrimonio, tutto ciò fa morire d’orrore. Abbassiamo il velo, che non si alzerà che nel gran giorno della vendetta, nel quale vedremo tutte queste turpitudini senza temere di contaminare la nostra immaginazione. Gente maritata, non perdete mai di vista che tutto si vedrà nel giorno del giudizio; ma ciò che ecciterà la meraviglia di una infinità di persone, è che cristiani si sieno permessi infamie simili. Facciamo punto.

III. — Se voi ora mi domandate quali sono le condizioni richieste perché un matrimonio sia buono davanti a Dio e davanti agli uomini, ecco, due cose: che il matrimonio sia contratto secondo le leggi della Chiesa, senza di che il matrimonio sarebbe nullo, vo’ dire che le persone vivrebbero nel peccato; come due persone che convivono insieme senza maritarsi davanti alla Chiesa. La Chiesa ha promulgato le sue leggi, assistita, diretta dallo Spirito Santo. Se voi mi domandate che cosa sono gli sponsali: è la promessa che si fanno due persone d’impalmarsi. Dal momento che due persone si sono fidanzate, esse non devono restare nella stessa casa, senza commettere un grave peccato, per causa dei pericoli e delle tentazioni alle quali saranno esposte; perché il demonio tutto mette in opera per renderle indegne della benedizione del buon Dio che loro è promessa nel sacramento del matrimonio. – Per questo la Chiesa proibisce loro di abitare sotto il medesimo tetto nel tempo degli sponsali. Vi ho detto che non occorre sacramento per il quale si prendano tante precauzioni esterne, che si riceva con tanto apparato come quello del matrimonio. Dopo che il contratto è stipulato, per tre domeniche di seguito si pubblicano le persone che vogliono maritarsi, e ciò per due ragioni: la prima, per invitare i fedeli a pregare per loro, affinché Dio conceda loro le grazie che sono loro necessarie per abbracciare santamente questo stato. La seconda ragione, per scoprire gli impedimenti che potrebbero mettere ostacolo a questo matrimonio. I oasi nei quali la Chiesa proibisce il matrimonio si chiamano impedimenti; di questi impedimenti ve ne sono che rendono le nozze nulle, di guisa che persone che si fossero maritate con alcuno di questi impedimenti, e vedremo quali, non sarebbero maritate, la loro vita non sarebbe che una fornicazione continua. Ah! occorrono di questi infelici matrimoni, che fanno cadere le maledizioni del cielo con delle pene dovunque si trovano! Non occorre dire che la profanazione di questo sacramento e le colpe che si commettono nel matrimonio, non sieno la causa dei grandi mali coi quali Dio ci colpisce, e noi lo riconosceremo nel giorno del giudizio! – Noi diciamo dunque che vi sono degli impedimenti che si chiamano dirimenti; ecco quelli che si incontrano il più spesso. Il primo è la parentela, detta consanguineità, fino al quarto grado inclusivamente, vo’ dire che comprende il quarto grado e non il quinto; ciò si intende agevolmente. Quando si annuncia il matrimonio, se voi pensate che colui che lo pubblica non sappia ciò che i fidanzati gli nascondono, voi siete obbligati di manifestarlo a colui che l’ha pubblicato, altrimenti commettereste un grave peccato mortale, perché  ne occorrono molti che lo nascondono per quanto lo possono, per timore di domandare la dispensa e che costi loro qualche cosa. Il secondo, è l’affinità, cioè che un vedovo non può sposare i parenti della defunta sino al quarto grado, né la vedova i parenti del defunto. Il terzo è la parentela spirituale, cioè che non si può contrarre matrimonio col figlio che si è levato al fonte battesimale, né col padre, né colla madre di questo figlio. Il quarto è l’onestà pubblica, vale a dire che, quando una persona è stata fidanzata con una persona, ella non può maritarsi né colla madre, né colla figlia, né colla sorella della persona colla quale era stata fidanzata. Ecco gli impedimenti che i fedeli possono conoscere facilmente, e quando si pubblica un matrimonio che si conoscesse essere in alcuno di questi casi, si è obbligati di manifestarlo, per non commettere un peccato mortale, e si mette nel caso di essere scomunicato, cioè rimosso dal seno della Chiesa. Ne occorrono alcuni altri che sono meno comuni, alcuni che sono segreti e infamanti, come l’adulterio e l’omicidio; coloro che ne sono colpevoli devono avvertire il loro confessore. Le leggi della Chiesa che proibiscono questi matrimoni sono sapientissime, sono tutte state dettate dallo Spirito Santo. Vi è ancora il voto semplice di castità, di sei mesi, di un anno, che sono impedimenti impedienti. Tuttavolta la Chiesa concede delle dispense imponendo qualche limosina a coloro che le domandano, ma non dimenticate mai che tutte le dispense che si domandano, e nelle quali non si espongono le cose quali sono, nulla valgono. Il Santo Padre non concede che alla condizione che ciò che si espone sia vero; di guisa che se ciò che noi esponiamo non è vero, cioè se voi recate delle ragioni che non sussistono o le amplificate, le vostre dispense nulla valgono, quindi il vostro matrimonio è nullo; vale a dire che non siete maritati e che avete commesso un sacrilegio ricevendo il sacramento del matrimonio, come tutti i sacramenti che poscia ricevete. Ah! quanto è grande il numero di questi infelici, e che dormono tranquilli, mentre il demonio loro scava un inferno eterno! Voi non dovete dunque mai recare delle ragioni che non sussistono, e se i vostri pastori non le trovano di peso guardatevi dal pressarli, dicendo che voi egualmente vivrete insieme. Ah! quante persone maritate miseramente perdute. Ma, mi direte voi, in qual modo si deve passare il tempo degli sponsali? — Ecco: Questo tempo è un tempo sacro che si deve passare nel ritiro, nella preghiera e nel praticare ogni sorta di buone opere per meritare che Gesù Cristo vi conceda, come agli sposi di Cana in Galilea, la grazia di assistere alle vostre nozze per benedirvi, concedendovi i soccorsi necessari per potervi santificare. È cosa buona e spesse volte necessaria il premettere una confessione generale, sia per riparare le cattive che fossero state fatte nel corso della vita, sia per rendersi maggiormente degni di ricevere questo sacramento, perché le grazie vi sono copiose, in proporzione delle disposizioni che vi si recano. Ditemi, M. F., è codesto il modo col quale si passa un tempo così prezioso come quello degli sponsali? Ah! non prendete per modello i pagani, i quali neppur fanno tutto ciò che il più gran numero dei Cristiani dei giorni nostri si permettono! Questi infelici Cristiani non sono contenti di aver trascinato quasi tutta la loro vita o almeno una parte notevole nel delitto e nell’infamia più nera! Sembra che non siasi fatto abbastanza il primo giorno dei loro sponsali: le danze, i balli, le bettole o la carne, se è giorno di magro. Non contenti di commettere il male soli, quasi temessero di non irritare abbastanza la giusta collera di Dio sopra di essi, affinché invece di benedirli li maledica, saranno tre o cinque persone; vale a dire secondo i loro mezzi: coloro che hanno da spendere ne invitano un numero maggiore, e coloro che ne hanno meno ne invitano un numero minore; ma sempre in proporzione di quanto hanno. Ne occorrono forse che perderanno le loro anime, contrarranno dei debiti passando i tre quarti della notte, senza contare il giorno, nelle bettole, ad abbandonarsi ad ogni sorta di eccessi; una parte trascinandosi per le vie, e fors’anco la sposa. — Ma, mi direte voi, ciò non vi riguarda, non è il vostro denaro che noi spendiamo; di nulla vi siamo tenuti. — No, certamente il vostro denaro non mi riguarda, ma mi riguardano le anime vostre delle quali Dio mi ha dato l’incarico. Or bene, ecco il principio del santo ritiro dei giovani che si sono fidanzati; ecco la loro preparazione per ricevere il sacramento del matrimonio. Non è tutto; il demonio non è ancora contento. Dopo di aver trascorsi alcuni giorni nello stravizzo essi passeranno tutto il resto del tempo a correre le case per annunciare gli sponsali. In ciascuna casa, essi, commetteranno, forse, tre o quattro gravi peccati per gli abbracciamenti che fanno o che permettono. — Ma, mi direte voi, è il costume. — Ah! i vostri costumi sono quelli dei pagani; come avete seguito fino a quest’ora l’andazzo dei pagani, è necessario continuare! Non ostante quello che voi direte, ciò non impedirà che, quando comparirete al tribunale di Dio per rendervi conto della vostra sciagurata vita, tutti gli abbracciamenti che avrete dati e ricevuti in questo tempo degli sponsali, non sieno peccati e la maggior parte, peccati mortali. — Oh! io non ne credo nulla. — Voi non ne credete nulla? È perché i vostri occhi sono un po’ turbati; ma non vi inquietate, il grande giudice li illuminerà! Il tempo degli sponsali si passa in questa dissipazione o piuttosto in questa catena di peccati, senza contare di ciò che avviene tra le donne. Mio Dio, sono costoro Cristiani o pagani? Ah! io non ne so nulla; solo io so che sono delle povere anime che il demonio trascina e divora fino a che le precipiti nelle fiamme. Arriva il tempo del matrimonio, non mancano più che tre o quattro giorni; si presentano al tribunale della penitenza senza pentimento e senza neppure il desiderio di condursi meglio. La prova ne è ben chiara: essi corrono ai piaceri, alle stesse danze, agli eccessi nel mangiare e nel bere; essi fondano le famiglie abbandonandosi a tutto ciò che il demonio può loro inspirare il giorno delle loro nozze, e ancor peggio se lo possono. Essi hanno ricevuto questo gran sacramento; ah! io m’inganno, essi hanno commesso un orribile sacrilegio, e mettono il suggello alla loro riprovazione passando, forse, un giorno o due in stravizzi. – Mio Dio, qual cosa pensare di questi poveri Cristiani? Che sarà di loro? Ah! voi li avete già abbandonati, perché nulla hanno omesso per costringervi a maledirli e a riprovarli. Ma, mi direte voi, non è permesso lo stare allegri in quel giorno? — Sì, certamente, ma rallegrarsi nel Signore. Voi direte quello che vorrete, non lascerete di render conto fino dell’ultimo soldo speso inutilmente; voi potete ridervene, ma la cosa è quale ve la dico. Un giorno noi lo vedremo, badate che non sia troppo tardi per voi. — Tutto ciò è molto difficile da credere, perché se noi operassimo male, il buon Dio ci punirebbe; tuttavolta noi vediamo molti i quali si divertono e gli affari dei quali prosperano. — Tutto ciò, invece di essere un buon segno, è la più grande di tutte le sventure. Sapete voi perché il buon Dio si conduce in tal modo? È perché Egli è giusto. Egli vi ricompensa di tutto il bene che avete operato, affinché dopo la vostra morte, non abbia che a gettarvi nell’inferno. Ecco la ragione per la quale sembra che vi benedica nonostante tutti gli orrori che avete commesso nei vostri sponsali e nelle vostre nozze, senza contare che tutti i peccati che coloro che avete invitati hanno commessi saranno a voi imputati, senza che essi medesimi sieno innocenti. Ah! la morte farà scoprire dei peccati là dove molti credevano non esistessero punto. Che cosa dovrebbe fare un Cristiano per ricevere degnamente questo sacramento? Sarebbe di prepararvisi con tutto il suo cuore, d’avere premessa una buona confessione, e di aver passato santamente il giorno dei suoi sponsali; e, quello che avrebbe potuto spendere, distribuirlo ai poveri, per attrarre sopra di lui le divine benedizioni. Il giorno delle loro nozze, che si rechino di buon mattino alla chiesa per implorare il soccorso e i lumi dello Spirito Santo, ricevendo la benedizione nuziale. Che il sangue di Gesù Cristo fluisca sopra le loro anime. Il giorno nel quale si saranno impalmati lo passino nella presenza di Dio, pensando quale sciagura sarebbe se profanassero questo giorno così santo. Dopo il loro matrimonio, essi devono recarsi da un confessore per farsi istruire, per non perdersi senza saperlo, o piuttosto affinché possano condursi come veri figli di Dio. Ah! dove sono i Cristiani che si conducano in questo modo? Ah! dove sono i coniugi che saranno salvi? Quanti che andranno perduti! Di coloro che vi rechino buone disposizioni, è esiguo il numero. Che cosa inferire da ciò? Che la maggior parte dei Cristiani abbracciano il matrimonio senza domandare a Dio le grazie che sono loro necessarie, vi recano un cuore ed un’anima contaminata di mille e mille peccati, e profanano questo sacramento; ciò che è la sorgente di sventure in questo mondo e nell’altro. Avventurati i Cristiani i quali entrano in queste buone disposizioni e vi perseverano fino alla fine! È quello che io vi desidero…

SALMI BIBLICI: “JUDICA ME, DOMINE, QUONIAM EGO” (XXV)

Salmo 25: JUDICA ME, DOMINE, quoniam ego …”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR RUE DELAMMIE, 13

1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

SALMO XXV

[1] In finem. Psalmus David.

   Judica me, Domine, quoniam ego

in innocentia mea ingressus sum, et in Domino sperans non infirmabor.

[2] Proba me, Domine, et tenta me; ure renes meos et cor meum.

[3] Quoniam misericordia tua ante oculos meos est, et complacui in veritate tua.

[4] Non sedi cum concilio vanitatis, et cum iniqua gerentibus non introibo.

[5] Odivi ecclesiam malignantium, et cum impiis non sedebo.

[6] Lavabo inter innocentes manus meas, et circumdabo altare tuum, Domine;

[7] ut audiam vocem laudis, et enarrem universa mirabilia tua.

[8] Domine, dilexi decorem domus tuæ, et locum habitationis gloriæ tuæ.

[9] Ne perdas cum impiis, Deus, animam meam, et cum viris sanguinum vitam meam;

[10] in quorum manibus iniquitates sunt, dextera eorum repleta est muneribus.

[11] Ego autem in innocentia mea ingressus sum; redime me, et miserere mei.

[12] Pes meus stetit in directo; in ecclesiis benedicam te, Domine.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXV.

L’argomento è il medesimo del salmo settimo: invocare Dio a testimonio della sua innocenza, e supplicarlo per la sua liberazione.

Per la fine, salmo di David.

1. Sii tu mio giudice, o Signore, perché io ho camminato nella mia innocenza; e sperando nel Signore, io non vacillerò.

2. Fa saggio di me, o Signore, e ponimi alla prova; purga col fuoco i miei affetti e il mio cuore.

3. Imperocché sta dinanzi ai miei occhi la tua misericordia, e mi compiaccio della tua Verità.

4. Non mi posi a sedere nell’adunanza di uomini vani, e non converserò con coloro che operano iniquamente.

5. Ho in odio la società dei maligni, e non mi porrò a sedere cogli empi.

6. Laverò le mani mie tra gli innocenti, e starò intorno al tuo altare, o Signore;

7. Affìn di udire le voci di laude e raccontare le tue meraviglie.

8. Signore, io ho amato lo splendore della tua casa, e il luogo dove abita la tua gloria.

9. Non sperdere, o Dio, cogli empi l’anima mia, né con gli uomini sanguinarii la vita mia.

10. Nelle mani loro sta l’iniquità: la loro destra è ricolma di donativi.

11. Ma io ho camminato nella mia innocenza; salvami tu, ed abbi pietà di me.

12. I miei passi furon sempre nella diritta strada; te io benedirò, o Signore, nelle adunanze.

Sommario analitico

Davide, esposto nel suo esilio presso i Filistei alle calunnie di Saul e del suo seguito, che lo accusavano di alto tradimento e di essersi rifugiato presso gli idolatri, per abbandonare il culto del vero Dio per abbracciare il culto degli idoli, chiede a Dio di vendicarlo da queste ingiuste accuse e di richiamarlo nella sua patria, ove potrà rendere a Dio, nel suo tabernacolo, l’onore che Gli è dovuto. – In senso tropologico, è la preghiera che può fare qualunque giusto che soffre ingiustamente le persecuzioni dei malvagi. – L’uso che la Chiesa fa di questo salmo nella liturgia, mostra che esso racchiude delle importanti istruzioni per coloro che Gesù Cristo ha associato al suo sacerdozio.

I. – Egli si appella al giudizio di Dio verso Saul, come re, non avendo superiori in terra, e si appoggia:

1° su due buoni avvocati, la sua innocenza e la sua speranza in Dio (1);

2° sul modo con il quale Dio esegue il suo giudizio, in cui Egli prova, tenta, passa al crogiuolo i reni ed i cuori (2);

3° sulle qualità del suo giudizio: Egli è misericordioso, Egli è verace (3);

4° sulla bontà della sua causa, egli non si è seduto nell’assemblea della vanità e non frequenterà coloro che commettono l’iniquità (4,5).

II. – Egli promette a Dio la più grande riconoscenza e si offre interamente a Dio, suo liberatore, se fa trionfare la sua causa; egli offre il suo essere:

1° le sue mani, i suoi piedi (6);

2° le sue orecchie per ascoltare le sue lodi, la sua bocca per lodarlo (7),

3° i suoi occhi per contemplare lo splendore del suo tabernacolo, il suo cuore per amare la bellezza della casa di Dio, e tutte le sue membra per riposare nel luogo ove abita Dio (8).

III. – Egli scongiura Dio di liberarlo dalle persecuzioni di Saul (9) e ne riporta una duplice ragione:

1° la perversità dei suoi nemici (9, 10);

2° la sua virtù che consiste in – a) un’intenzione pura in tutte le azioni (11), – b) un grande zelo nel seguire il retto cammino, – c) una grande riconoscenza per i benefici che ha ricevuto da Dio (12).

Spiegazioni e Considerazioni

I. – 1-5.

ff. 1, 2. –  Colui che cammina nell’innocenza e nella semplicità di un cuore retto, si richiama volentieri a Dio, Giudice della sua condotta, quando si vede attaccato dalle calunnie degli uomini. – La testimonianza favorevole della coscienza, è un potente bastione contro tutti gli attacchi (Dug.). – Se metto la mia speranza in un uomo, forse lo vedrò un giorno condurre una via cattiva, allontanarsi dalle vie del bene che ha appreso o insegna nella Chiesa, e seguire un cammino che lo spirito del male gli avrà insegnato, e perché avrò messo la mia speranza in un uomo, venendo quest’uomo a cancellarsi, la mia speranza si cancellerà con lui, e venendo a cadere quest’uomo, la mia speranza cadrà con lui; ma poiché ho messo la mia speranza in Dio solo, io non sarò deluso (S. Agost.). – Nulla di più proprio nel far conoscere all’uomo il fondo del suo cuore, quando è nella prova, nella tribolazione, nella violenza e nella persecuzione. « Bruciate i miei reni ed il mio cuore, bruciate le mie potenze, bruciate i miei pensieri, per paura che io non pensi a qualcosa di male. Ma come brucerete i miei reni ed il mio cuore? Con il fuoco della tribolazione, con il fuoco della vostra carità, con il fuoco del vostro spirito » (S. Agost.).

ff. 3. –  « La vostra misericordia è davanti ai miei occhi, etc. ». Io non ho messo le mie compiacenze in un uomo, ma in Voi, dentro di me, ove penetrano i vostri sguardi. Io non mi inquieto se vado al di là ove penetrano gli sguardi degli uomini (S. Agost.). – Non si appoggia la nostra innocenza sui nostri sforzi, ma sulla misericordia divina, che deve essere sempre presente al nostro spirito. Non c’è che la verità di Dio nella quale noi possiamo riporre con sicurezza le nostre compiacenze; quel che si chiama verità nel mondo è troppo soggetta all’errore e all’incostanza. – Occorre amare la verità di Dio anche quando essa ci condanna.

ff. 4, 5. –  Quattro sono i caratteri che presentano la maggior parte di queste riunioni che la Scrittura chiama « mondo »: la vanità, l’iniquità, la malignità, l’empietà. È una peste, un’influenza, un’atmosfera, una pompa esteriore, una moda, un gusto, un incanto, un sistema insaziabile. Il suo potere sull’uomo è terribile, la sua presenza universale, le sue seduzioni incredibili. Noi viviamo in mezzo ad esso, lo respiriamo, agiamo sotto la sua influenza, siamo ingannati dalle sue apparenze, e senza accorgercene, adottiamo i suoi principi. – I dottori dell’iniquità danno lezioni pubbliche di libertinaggio, ed attaccano apertamente i grandi princìpi della Religione. Altri più sottili, tengono lezione senza dogmatizzare, non provano mai le loro massime, ma le imprimono senza che vi si pensi. Si deve aver paura in questa scuola, in queste riunioni, di tutto, dice Tertulliano, finanche dell’aria che è infettata dai cattivi discorsi, dalle massime anticristiane e corrotte (De Spect. XXVII). – Sedersi in queste assemblee di vanità, di iniquità, di malignità, di empietà, è prender parte ai sentimenti di coloro che vi sono seduti. Se voi non partecipate, benché presenti col corpo, voi non siete affatto seduti con essi; se voi partecipate, benché assenti col corpo, voi siete realmente seduti in queste assemblee. (S. Agost.). – Bisogna quindi separarsi interamente dal mondo? « Vi è permesso, dice ancora Tertulliano, vivere con il mondo, ma non di morire con esso. » – « Una cosa è la vita di società, altra cosa è la corruzione e la disciplina. Allietatevi con i vostri simili per società di natura, e potendo con quella di religione; ma che il peccato non stabilisca legami, che la dannazione non entri nei vostri rapporti. La natura deve essere comune ma non il crimine, la vita e non la morte; noi dobbiamo partecipare agli stessi beni, e non associarci agli stessi mali » (De idolatr. n. 14).

II. – 6-8.

ff. 6-8. – Tanto la compagina degli empi e dei malvagi è piena di cose dannose, tanto quella delle persone di virtù e di pieta è invece vantaggiosa. Niente è più potente nel portare al bene, che la frequentazione di persone virtuose (Dug.). – Voi lavate le vostre mani quando pensate alle vostre azioni con pietà ed innocenza sotto lo sguardo di Dio, perché sotto lo sguardo di Dio è posto l’altare dove è venuto il sacerdote che per primo si è offerto per noi. È l’altare del cielo; non c’è nessuno che abbracci questo altare che non abbia lavato le mani in compagnia degli innocenti. Quanto a questo altare visibile, ci sono molti che lo toccano, benché indegni, e Dio soffre per un tempo che i suoi misteri ricevano questo oltraggio (S. Agost.). – Tutte le volte che entriamo nel tempio materiale, nell’assemblea visibile dei fedeli, figura della loro invisibile unione con Dio nell’eternità, ci uniamo in spirito alla santa ed eterna Gerusalemme, ove è il tempio di Dio, dove sono riuniti i Santi purificati e glorificati che attendono pertanto nell’ultima resurrezione la loro perfetta glorificazione, e la venuta ultimato dei loro fratelli che mancano ancora nella loro santa società, e che Dio non cessa di radunare tutti i giorni (Bossuet, Elév. XVIII: VII Elév.). – Volete ornare qualcosa che sia degna delle vostre cure, ornate il tempio di Dio e dite con Davide: « Signore, io ho amato la bellezza e il decoro della vostra casa, e la gloria del luogo ove Voi abitate ». E come conclude? « Non perdete la vostra anima con gli empi », perché io ho amato i veri ornamenti e non mi sono lasciato sedurre da un vano splendore (Bossuet, Trait. de la Conc.). – Il fine di intendere i canti di lode, è il comprenderli: si tratta in effetti di intendere davanti a Dio, e non udire solo dei suoni che molti sentono e pochi comprendono. Quanti ci sono che ascoltano e sono sordi nei riguardi di Dio? Quanti hanno orecchie, ma non quelle di cui Gesù ha detto. « Chi ha orecchie per intendere, intenda »? (S. Agost.). – Ma cosa ci si deve proporre venendo in Chiesa: ascoltare e cantare le lodi di Dio; comprendere la parola di Dio, metterla in pratica e raccontare a se stessi le meraviglie di Dio (Dug.). – Il mondo canta le gioie del mondo, e noi cosa cantiamo dopo aver ricevuto il Dono celeste, se non le gioie eterne? Il mondo canta i suoi folli e criminali amori, e noi cosa cantiamo, se non ciò che amiamo? (Bossuet, Médit. LXV journ.). – La Chiesa è la casa di Dio, essa annovera ancora dei malvagi, ma la bellezza della casa di Dio è nei buoni, è nei santi; è la bellezza stessa della casa di Dio che io ho amato! Per sospirare poi la bellezza della vera casa di Dio, che è il cielo. Si ama attendendo allo splendore ed al bagliore delle case della terra, che sono le nostre Chiese, contribuendo con la propria persona o i propri beni a preparare gli altari, a decorare i luoghi santi (Dog.). – Quando si è donato a Dio tutta la propria anima con il bene, perché Egli l’accresca, ed il male perché lo distrugga, non è ancor troppo offrire ai templi, ove Egli si degna abitare realmente con noi fino alla consumazione dei secoli, e alla rappresentazioni materiali che noi ci facciamo di Lui e dei suoi Santi, tutto ciò che il genio delle arti può nobiliare, e tutto ciò che il seno inesauribile della terra produce di più raro e prezioso (L. Veuvill. Rome e Lor. I, 276.).

III. – 9-12.

ff. 9-12. –  Il rapporto con gli empi è così pericoloso che anche senza partecipare alle loro empietà, ci si può trovare coinvolti nei castighi che Dio commina loro (Dug.). –  È ugual crimine l’offrire o il ricevere dei regali per invogliare a commettere ingiustizie. – I regali non sono solo l’oro o l’argento o cose simili, ma anche mediante una lode si riceve un presente, e in quest’ultimo caso, il più vano di tutti; perché si è tesa la mano per ricevere l’attestato di una lingua estranea, e si è persa l’attestato della propria coscienza (S. Agost.). – Si può intendere l’innocenza in due maniere diverse. Noi diamo il nome di innocenza a questo allontanamento da ogni peccato che si fa con un atto razionale, con una vigilanza perseverante, con una meditazione profonda delle verità cristiane, che tagliano il vizio alla sua radice. Noi chiamiamo così innocente, lo stato di un’anima che non ha fatto ancora l’esperienza del male: felice stato che è privilegio dell’infanzia o delle cure più vigilanti. Così, per esempio, un bambino non conosce l’orgoglio, è estraneo ad ogni astuzia, ad ogni artificio. Ugualmente avviene per gli abitanti della campagna che, nella loro semplicità, ignorano le astuzie delle pratiche delle città e le frodi del negozio. Noi li chiamiamo innocenti, non perché si sono allontanati dal male con un atto di lor buona volontà, ma perché essi non hanno ancora né la conoscenza né l’esperienza del male. L’innocenza propriamente detta è quella che Davide protesta a Dio in questo salmo: « Quanto me, io ho camminato nell’innocenza » perché aveva allontanato dalla sua anima ogni peccato con una lunga pratica di virtù alla quale Dio promette in eredità la beatitudine (Ps. LXXXIII, 13): « Dio non priverà di beni coloro che camminano nell’innocenza » (S. Basilio, Hom. in Pr. Prov.). – Camminare nell’innocenza è un effetto grandissimo della Redenzione, ed una grazia della quale dobbiamo essere riconoscenti al Salvatore, più che dell’essere stati allontanati dal peccato. – Tutte le volte che ci siamo liberati da qualche afflizione, possiamo dare a questa grazia il nome di redenzione, perché l’abbiamo ottenuta, in effetti, a prezzo del sangue di Gesù Cristo, nostro Redentore. – Il piede della ragione si è tenuto nella via retta della verità senza deviare verso l’errore; il piede dell’affezione si è tenuto nella via retta della carità senza cadere nella vanità; il piede dell’azione si è tenuto nelle via retta della giustizia, senza deviare nelle vie dell’iniquità (Hug.). – Davide qui non fa menzione che di un solo piede, perché colui che ha spento nel suo cuore ogni desiderio dei godimenti del secolo, tiene già sospeso dalla terra il piede che poggiava quando amava ancora il mondo (S. Greg.). – Quale soggetto serio di riflessione per un Sacerdote che recita ogni giorno i sette ultimi versetti di questo salmo, durante il santo Sacrificio! Quale non debba essere l’innocenza di colui che sale tutti i giorni all’altare del Signore! Quale zelo non debba egli avere per la casa di Dio, quale non debba essere il suo allontanarsi dalla condotta dei peccatori! Quanto deve vegliare su se stesso per perseverare, con la grazia di Dio, nella giustizia; quanto deve temere di essere coinvolto nella sventura che minaccia gli empi!

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI-APOSTATI DI TORNO: S.S. PIO XI – “RERUM OMNIUM PERTUBATIONEM”

La lettera Enciclica che segue, è un breve panegirico di un grande santo dell’epoca moderna, S. Francesco di Sales, un santo che, lottando strenuamente contro gli eretici calvinisti, avrebbe gettato le basi per una riscossa religiosa di una Francia uscita dalle rovine materiali e morali e ferita mortalmente dalla rivoluzione massonica anticattolica del 1789. La sua profonda e viva spiritualità sarebbe poi maturata in una scuola spirituale con il de Berulle, l’Olier, l’Oratorio francese del 700, che annoverera’ Santi del calibro di S. Giovanni M. Vianney, S. Giovanni Eudes, S. Luigi Grignion de Montfort, S. Giovanni Bosco e tanti teologi, moralisti e mistici “partoriti” dal seminario parigino di S. Sulpizio. Il santo Padre Ratti, Pio XI, ne tesse qui le giuste lodi, additandolo a modello di vita spirituale per i sacerdoti ed i fedeli. In particolare sottolinea il dovere che il Santo Vescovo proponeva ai suoi seguaci nella fede e a tutti i Cattolici, di tendere alla perfezione della vita cristiana ed alla Santità, a tutti accessibile, che essa procura. Il Santo Padre vuol così lasciare intendere che lo studio e la pratica della teologia ascetica e mistica, come esposta da S. Francesco di Sales nelle sue opere più conosciute e giustamente da tutti lodate, si impone come mezzo di santità per tutti – ognuno nel suo stato di vita – e di salvezza eterna. Tendere alla perfezione cristiana è santità a tutti possibile, anzi indispensabile per ottenere l’eterna salvezza, e chi non aspira ad essa non ama né la propria anima, né Dio né il proprio simile, ed in eterno perirà. Qui non c’è spazio per il libertinaggio modernista ed il paganesimo imposto dalle logge massoniche attraverso la falsa chiesa del “novus ordo” e i satelliti finto-tradizionalisti, sempre più svelata e che mostra la sua vera identità di sinagoga di satana, infiltrata com’è da apostati, truffaldini prelati di ogni risma, usurpanti indegnamente cattedre e cariche ecclesiali e che sbandierano ipocritamente la misericordia per tutti i peccatori incalliti, senza pentimento e senza proposito di emendarsi e convertirsi, in realtà idea gnostica di “scintilla divina” che ritorna nell’Ensof, nel nulla universale (o se preferite “cabalistico”) dal quale proviene, senza che sia implicata la redenzione,  la vita illibata e non peccaminosa, ed escludendo per questo inferno o paradiso, la pena eterna per gli empi o la beatitudine senza fine per i buoni Cristiani. La gnosi soppianta la Dottrina cristiana, ecco il senso della misericordia satanica del “Novus Ordo”, contrapposta all’idea di vita nella santità, quindi vissuta in vista della salvezza, raggiungibile solo nella Chiesa Cattolica, quella “vera”, fondata e sostenuta da Gesù Cristo e contro la quale le immondezze del Novus Ordo e della kazaro-massoneria mondiale … non prævalebunt. Solo di passaggio segnaliamo la tremenda stoccata, che non ha bisogno di commento, per i “cani sciolti” sedevacantisti ed per i disobbedienti fallibilisti della loggia di Sion-Ecône, “ … che nella Chiesa di Cristo non si può neppure pensare un’autorità data senza legittimo mandato”. Infine l’idea a noi particolarmente cara e che abbiamo adottato per le nostre pubblicazioni: « … ma vorremmo che da queste solenni ricorrenze precipuo vantaggio ritraessero tutti quei Cattolici, che con la pubblicazione o di giornali o di altri scritti illustrano, promuovono e difendono la cristiana dottrina. Ad essi è necessario, nelle discussioni, imitare e mantenere quel vigore, congiunto con moderazione e carità, tutto proprio di Francesco. … Se si presenta il caso di combattere gli avversari, sappiano, sì, confutare gli errori e resistere alla improbità dei perversi, ma in modo da dare a conoscere di essere animati da rettitudine e soprattutto mossi dalla carità … », per cui San Francesco di Sales viene proclamato Dottore della Chiesa e Patrono degli scrittori cattolici; e noi altri, modestissimi difensori della dottrina e della Chiesa di Cristo, a lui guardiamo ed a lui ci ispiriamo, come modello di “martello degli eretici” e di perfezione cristiana e santità.

LETTERA ENCICLICA
RERUM OMNIUM PERTURBATIONEM
DI SUA SANTITA’
PIO XI
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI,
PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI
ED AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI
CHE HANNO PACE E COMUNIONE
CON LA SEDE APOSTOLICA


SU SAN FRANCESCO DI SALES



Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Esaminando nella Nostra recente Enciclica lo scompiglio in cui si dibatte oggi il mondo, al fine di adottare l’opportuno rimedio a tanto male, ne scorgemmo la radice nell’anima stessa degli uomini, e ne vedemmo l’unica speranza di guarigione nel ricorso all’opera del divino Medico nostro Gesù Cristo per mezzo della santa Chiesa. Si tratta infatti d’imporre un freno alla smoderatezza delle cupidigie, prima origine delle guerre e delle contese, dissolvitrice non meno dei vincoli sociali che delle relazioni internazionali; di stornare dai beni transitori di quaggiù le mire degli individui per rivolgerle ai beni imperituri troppo trascurati dalla maggior parte degli uomini. Che se ognuno si proporrà di attenersi fedelmente al proprio dovere, subito si verificherà il miglioramento della società. E a questo tende appunto la Chiesa col suo Magistero e ministero: cioè ad istruire gli uomini con la predicazione delle verità divinamente rivelate e a santificarli con la copiosa infusione della grazia divina; argomentandosi in tal guisa di richiamare alla primitiva prosperità questa stessa società civile da lei un giorno plasmata secondo lo spirito cristiano, ogni qual volta la vede allontanarsi dal retto cammino. – E ad una tale opera di comune santificazione la Chiesa attende con la maggiore efficacia, quando, per benigno dono del Signore, può proporre all’imitazione dei fedeli or questo or quello dei suoi figli più cari, che riuscirono insigni nell’esercizio di tutte le virtù. E ciò fa secondo l’indole tutta sua propria, costituita com’è da Cristo suo Fondatore, santa in se stessa e sorgente di santità; mentre quanti si affidano alla guida del suo magistero debbono per volere di Dio tendere vigorosamente alla santità della vita. «Questa è la volontà di Dio», dice San Paolo, « la vostra santificazione» (1); e quale debba essere questa santificazione dichiarò lo stesso Signore: « Siate dunque perfetti com’è perfetto il Padre vostro celeste» (2). Né si creda già che l’invito sia rivolto solo ad alcune poche anime privilegiate, e che gli altri possano rimanersene contenti di un grado inferiore di virtù. Al contrario, come appare dal tenore delle parole, la legge è universale e non ammette eccezione; d’altra parte, quella moltitudine di anime di ogni condizione ed età, le quali come attesta la storia, toccarono l’apice della perfezione cristiana, sortirono le medesime debolezze della nostra natura e dovettero superare i medesimi pericoli. Tant’è vero, come dice ottimamente Sant’Agostino, che « Dio non comanda l’impossibile; ma quando comanda, avverte di fare ciò che si può e di domandare ciò che non si può » (3). – Orbene, Venerabili Fratelli, la solenne commemorazione, celebratasi l’anno passato, del terzo centenario dalla canonizzazione dei cinque grandi santi Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, Filippo Neri, Teresa di Gesù ed Isidoro Agricoltore, giovò non poco a rinfervorare nei fedeli l’amore alla vita cristiana. Ed ora, ecco ricorrere con felice augurio il terzo centenario della nascita al cielo di un altro grande Santo, il quale rifulse non solo per l’eccellenza delle virtù da lui stesso esercitate, ma anche per la perizia nel guidare le anime nella scuola della santità. Intendiamo parlare di San Francesco di Sales, Vescovo di Ginevra e Dottore della Chiesa; il quale, come già quei luminari di perfezione e sapienza cristiana poc’anzi ricordati, parve inviato da Dio, per opporsi all’eresia della Riforma, origine di quell’apostasia della società dalla Chiesa i cui dolorosi e funesti effetti ogni animo onesto oggi deplora. Oltre a ciò, sembra che il Sales sia stato donato da Dio alla Chiesa per un intento particolare: per smentire cioè il pregiudizio, fin d’allora già in molti radicato e oggi non ancora estirpato, che la vera santità, quale viene proposta dalla Chiesa, o non si possa conseguire, o almeno sia così difficile raggiungerla da sorpassare la maggioranza dei fedeli ed essere riservata unicamente ad alcuni pochi magnanimi; che per di più sia impastoiata di tante noie e fastidi da non potersi affatto adattare a chi vive fuori del chiostro.  – Pertanto il venerato Nostro antecessore Benedetto XV, parlando di quei cinque Santi ed accennando alla prossima commemorazione della morte beata di San Francesco di Sales, manifestò il desiderio di parlarne di proposito in un’Enciclica al mondo intero. E Noi ben volentieri adempiamo a questo desiderio come ad una cara eredità ricevuta dal Nostro antecessore; spinti inoltre dalla speranza che i frutti delle feste poc’anzi celebrate vengano compiuti e coronati dai frutti di questa nuova commemorazione. – Chi studia attentamente la vita del Sales, troverà che, fin dai primi anni, egli fu modello da una santità non austera e cupa, ma amabile e accessibile a tutti, potendosi con tutta verità dire di lui: « La sua conversazione non ha nulla di amarezza, né il convivere con lui dà tedio, ma letizia e gioia» (4). Adorno di ogni virtù, brillava tuttavia per una dolcezza di animo così propria da poterla rettamente dire la sua virtù caratteristica; dolcezza però ben diversa da quell’amabilità artefatta che consiste tutta nella ricercatezza dei modi e nello sfoggio di un’affabilità cerimoniosa, e affatto aliena sia dall’apatìa, che di nulla si commuove, sia dalla timidità che non ardisce, anche quando bisogna, indignarsi. Tale virtù, germogliata nel cuore del Sales come frutto soavissimo della carità, nutrita in lui dallo spirito di compassione e di accondiscendenza, ne temprava con la sua dolcezza la gravità dell’aspetto e ne illeggiadriva la voce ed il gesto in modo da conciliargli presso tutti la più affettuosa riverenza. – Sono note la sua facilità nell’ammettere e l’amabilità nel ricevere ognuno, ma particolarmente i peccatori e gli apostati che gli affluivano in casa per riconciliarsi con Dio ed emendare la vita; le sue predilezioni per i poveri carcerati, che cercava di consolare con mille iniziative caritatevoli nelle frequenti sue visite; la grande indulgenza con la quale soleva trattare con i propri domestici, tollerandone con eroica loganimità le lentezze e le sbadataggini. La qual dolcezza d’animo non gli venne mai meno per variare o di persone o di tempi o di circostanze, ora prospere ora avverse; né mai gli eretici stessi, per quanto lo molestassero, ebbero a sperimentarlo meno affabile o meno accessibile. Quando, sacerdote da un anno appena, senza badare alle opposizioni del padre, si offerse spontaneamente per procurare la riconciliazione del Chiablese con la Chiesa e ben volentieri venne esaudito dal Granier, Vescovo di Ginevra, grande fu certo lo zelo che dimostrò, niuna fatica ricusando, niun pericolo fuggendo, nemmeno di morte; ma ad ottenere la conversione di tante migliaia di persone, meglio della sua grande dottrina e della sua vigorosa eloquenza, gli valse l’inalterata sua dolcezza nel compimento degli svariati uffici del sacro ministero. Solito ripetere quella sentenza memorabile, che « gli Apostoli non combattono se non con i patimenti, non trionfano se non con la morte», è difficile dire con qual vigore e costanza promuovesse la causa di Gesù Cristo nel Chiablese. Fu visto allora correre per valli profonde e arrampicarsi per gole scoscese allo scopo di portare a quei popoli il lume della fede ed il conforto della speranza cristiana; sfuggito, correr loro dietro chiamandoli a gran voce; respinto brutalmente, non darsi per vinto; minacciato, ritentare l’impresa; cacciato spesso dagli alberghi, passare le notti tra le nevi e a cielo scoperto; celebrare anche quando nessuno volesse intervenire; continuare la predica, anche quando gli uditori l’uno dopo l’altro se ne andavano quasi tutti, senza perdere mai nulla della sua serenità d’animo, dell’amabile sua carità verso gli ingrati; e con ciò finalmente espugnare la resistenza degli avversari più ostinati. – Errerebbe però chi si desse a credere che nel Sales fosse questo piuttosto privilegio di una natura prevenuta dalla grazia di Dio « con le benedizioni della dolcezza » come si legge di altre anime fortunate. Che anzi, Francesco, per la stessa sua complessione, fu di carattere vivo e pronto all’ira. Ma, propostosi come modello da imitare quel Gesù che aveva detto: « Imparate da me che sono mansueto ed umile di cuore»(5), mediante la vigilanza continua e la violenza fatta a se stesso, seppe reprimere e frenare i moti dell’animo in modo tale da riuscire un vivo ritratto del Dio della pace e della dolcezza. E ciò viene confermato dalla testimonianza dei medici, i quali, come si legge, nel trattarne la salma per imbalsamarla, ne ritrovarono il fiele come impietrito e ridotto in minutissimi calcoli; dal quale portento giudicarono quanto violenti sforzi gli fosse dovuto costare il trattenere per cinquant’anni la sua naturale iracondia. Tanta dolcezza fu dunque nel Sales frutto di una grande forza d’animo, nutrita continuamente dal vigore della fede e dal fuoco della divina carità; sicché a lui si può applicare il motto della Sacra Scrittura: «Dal forte è uscita la dolcezza»(6).

Non è dunque a stupire se la dolcezza pastorale onde andava ornato e della quale, al dire del Crisostomo, « nulla è più violento » (7), godesse, nell’attirare i cuori, di quell’efficacia che Gesù Cristo promise ai mansueti: «Beati i mansueti perché essi possederanno la terra»(8). D’altra parte, quale fosse anche la fortezza d’animo in questo esemplare di mansuetudine, apparve chiaramente allorché gli toccò opporsi ai potenti per tutelare gli interessi della gloria di Dio, della dignità della Chiesa e della salute delle anime. Così quando dovette difendere l’immunità della giurisdizione ecclesiastica contro il Senato di Chambéry. Avendo ricevuto da esso una lettera con cui lo si minacciava di togliergli una parte delle rendite, non solo egli rispose conforme alla propria dignità all’inviato, ma non desistette dal chiedere riparazione all’ingiuria fattagli se non quando ebbe dal Senato piena soddisfazione. Con uguale fermezza d’animo sostenne lo sdegno del sovrano, presso il quale era stato accusato coi fratelli a torto; né meno vigorosamente resistette alle ingerenze degli ottimati quando si trattava di conferire benefizi ecclesiastici; parimenti, riuscito inutile ogni altro mezzo, condannò i contumaci che avevano ricusato di pagare le decime al Capitolo di Ginevra. – E così fu solito riprovare con evangelica libertà i vizi pubblici e smascherare l’ipocrisia, simulatrice di virtù e di pietà; e, benché rispettoso, quanto altri mai, verso i sovrani, giammai si piegò a lusingarne le passioni o ad accondiscendere alle loro smodate pretese. – Ed ora, Venerabili Fratelli, passiamo a dare uno sguardo al modo con il quale il Sales, per se stesso modello amabile di santità, mostrò agli altri, nei suoi scritti, la via sicura ed agevole alla perfezione cristiana, anche in questo imitatore di Gesù Cristo, il quale « cominciò ad operare e ad insegnare» (9). – Molte sono le opere che egli pubblicò con questo medesimo intento; ma tra esse vanno segnalati i due suoi libri più conosciuti: la Filoteae il Trattato dell’amor di Dio. Nel primo, il Sales, dopo aver messo in chiaro quanto la durezza, che atterrisce e scoraggia nell’esercizio delle virtù, sia aliena dalla pietà genuina, benché egli non privi questa della severità conveniente alla morigeratezza cristiana, si mette di proposito a dimostrare come la santità sia perfettamente conciliabile con ogni sorta di ufficio e di condizione della vita civile, e come in mezzo al mondo ciascuno possa comportarsi in modo confacente alla salvezza dell’anima, purché si mantenga immune dallo spirito mondano. – Pertanto da lui apprendiamo a fare quello che tutti comunemente fanno — eccettuata beninteso, la colpa — ma insieme a farlo — il che non tutti fanno — santamente e con l’intenzione appunto di piacere a Dio. Inoltre egli c’insegna ad osservare le convenienze, da lui chiamate leggiadro ornamento delle virtù; non a distruggere la natura, ma a vincerla, e a poco a poco levarci con agevole sforzo al cielo, a guisa delle colombe, se non ci è dato il volo dell’aquila; cioè a conseguire la santità della vita per la via comune, quando non siamo chiamati ad una perfezione straordinaria. – Sempre con stile dignitoso e scorrevole, ma altresì vario per ingegnosa acutezza di pensiero e grazia di dettato, onde più accetti e di più piacevole lettura riescono i suoi insegnamenti, dopo avere esposto come dobbiamo tenerci lontani dalla colpa, combattere le cattive inclinazioni e scansare le cose inutili e le nocive, passa a spiegare quali siano gli esercizi che nutrono lo spirito e quale il modo di tenere unita l’anima con Dio. Dopo di che indica la scelta di una particolare virtù da coltivare di proposito e costantemente, sino ad averla acquisita.  – Indi tratta delle singole virtù, della decenza, dei discorsi onesti e degli scorretti, dei divertimenti leciti e dei pericolosi, della fedeltà a Dio, dei doveri dei coniugati, delle vedove e delle vergini. Infine ci ammaestra a conoscere non meno che a vincere i pericoli, le tentazioni e le attrattive dei piaceri; e come ogni anno si abbia a rinnovare e a riaccendere il fervore dello spirito con i santi propositi. – Dio volesse che questo libro, il più perfetto nel suo genere, a giudizio dei suoi contemporanei, come fu una volta nelle mani di tutti, così ora fosse da tutti letto; allora sì che la pietà cristiana rifiorirebbe dappertutto e la Chiesa di Dio si rallegrerebbe nel vedere farsi comune tra i suoi figli la santità. – Di maggiore rilievo ed importanza è il Trattato dell’amor di Dio, nel quale il santo Dottore tratta quasi la storia dell’amore di Dio, esponendone le origini e i progressi, nonché le ragioni per cui comincia a raffreddarsi ed a languire, ed insegnando poi il modo di esercitare e progredire in esso. E quando se ne presenta l’occasione, egli spiega con chiarezza le questioni più difficili, quali intorno alla grazia efficace, alla predestinazione, alla vocazione alla fede; e non aridamente, ma, conforme al suo ingegno fecondo e pronto, adornando la trattazione con tanta piacevolezza ed insieme soavità di unzione, e illustrandola con tanta varietà di similitudini, di esempi e di citazioni, tolte per lo più dalla Sacra Scrittura, da sembrare che quanto egli scrive fiorisca, non meno che dalla sua mente, dal suo cuore e dalle sue più intime fibre. – I medesimi princìpi della vita spirituale, contenuti in questi due volumi, egli li volse a profitto delle anime e nella quotidiana cura e direzione spirituale e nelle sue mirabili Lettere. Gli stessi princìpi egli applicò nel governo delle Religiose della Visitazione, l’istituto da lui fondato che conserva ancora fedelmente il suo spirito. Infatti tutto, per così dire, spira moderazione e soavità in questa religiosa famiglia, la quale è destinata ad accogliere le vergini, le vedove e le donne deboli o inferme, o innanzi nell’età, nelle quali le forze del corpo non sono pari al fervore dello spirito. E così non è ivi costume di lunghe vigilie o salmodie, non asprezza di penitenze e di mortificazioni, ma soltanto la osservanza di regole tanto miti ed agevoli, che tutte le religiose, anche quelle di poca salute, possono facilmente osservarle. – Senonché tali agevolazioni e soavità di osservanza devono essere animate da tanto fuoco di amor di Dio, che le religiose, le quali si gloriano di essere figlie del Sales, vanno segnalate nella perfetta abnegazione di sé e nella più umile obbedienza, mettendo ogni studio non per apparenti ma per solide virtù, ed a morire a se stesse per vivere in Dio. – E in ciò chi non riconosce quella singolare unione di forza e di soavità, quale si ammira nel Santo Fondatore? – Pur tacendo di molti scritti del Sales, dai quali pure « la sua celeste dottrina, quasi fiume d’acqua viva, irrigando il campo della Chiesa… corse utilmente a salute del popolo di Dio » (10), non possiamo non citare il libro delle Controversie, nel quale, senza dubbio, si contiene « una piena dimostrazione della fede cattolica » (11). È noto, Venerabili Fratelli, in quali circostanze Francesco intraprese la missione nel Chiablese. Quando, come narra la storia, il Duca di Savoia concluse una tregua con i Bernesi e i Ginevrini sul finire dell’anno 1593, parve proprio che nulla avrebbe giovato a riconciliare con la Chiesa i popoli del Chiablese come lo spedire colà zelanti e dotti predicatori, perché con la persuasione li attirassero a poco a poco alla fede. E poiché colui che per primo si era recato in quella contrada aveva disertato il campo, o perché disperasse dell’emendazione degli eretici o perché li temesse, il Sales che, come si disse, si era offerto missionario al Vescovo di Ginevra, nel settembre del 1594 si mise in cammino, e a piedi, senza viveri e senza provvisioni, con la sola compagnia di suo cugino, dopo ripetuti digiuni e preghiere a Dio, da cui soltanto si riprometteva il felice esito dell’impresa, fece il suo ingresso nella terra degli eretici. Ma poiché questi schivavano le sue prediche, deliberò di confutare i loro errori con fogli volanti, da lui scritti fra una predica e l’altra, e disseminati in tante copie, che, passando di mano in mano, finissero con l’insinuarsi anche tra gli eretici. Questo lavoro di fogli volanti andò diminuendo e cessò del tutto quando gli abitanti cominciarono a frequentare in gran numero le prediche; i fogli che erano stati scritti di mano del santo Dottore, e che dopo la sua morte erano andati dispersi, vennero molto tempo dopo raccolti in volume ed offerti al nostro Predecessore Alessandro VII, il quale ebbe la sorte di ascrivere il Sales, fatti i debiti processi, prima fra i beati, poi tra i santi. Ora in queste Controversie, benché il santo Dottore si serva, con ogni larghezza del corredo polemico, diciamo così, dei secoli precedenti, tuttavia nel disputare ha un modo tutto suo proprio; e prima d’ogni altra cosa stabilisce che nella Chiesa di Cristo non si può neppure pensare un’autorità data senza legittimo mandato, del quale mancano totalmente i ministri del culto eretici; quindi, mostrati i loro errori intorno alla natura della Chiesa, definisce le note proprie della vera Chiesa e fa vedere che esse si riscontrano nella Chiesa Cattolica, ma non nella « riformata ». Poi spiega accuratamente le Regole della fede, e dimostra che esse sono violate dagli eretici, mentre presso di noi esse sono rigorosamente osservate; aggiunge infine speciali trattati, dei quali però ci rimangono solo le questioni sui Sacramenti e sul Purgatorio. E sono veramente ammirabili il copioso apparato di dottrina e gli argomenti sapientemente schierati come in falange, con cui egli investe gli avversari e svela le loro menzogne e le loro falsità, servendosi anche, assai garbatamente, di una coperta ironia. – Che se talvolta le sue parole sembrano alquanto forti, da esse però spira sempre, come gli stessi avversari ammettevano, quel soffio di carità, che era la virtù regolatrice di ogni sua disputa; giacché anche quando ai figli erranti rinfaccia la loro defezione dalla fede cattolica, si vede chiaramente come egli non ha altra mira che di aprirsi la strada per scongiurare più caldamente di ritornare alla stessa fede. E anche nel libro delle Controversie è facile riscontrare la stessa espansione dell’animo e quel medesimo spirito, del quale abbondano le opere che egli compose per aumentare la pietà. Lo stile poi è così elegante, così garbato, così efficace, che gli stessi ministri dell’eresia solevano mettere in guardia i loro seguaci perché non si lasciassero allettare e vincere dalle lusinghe del Vescovo di Ginevra. – Pertanto, Venerabili Fratelli, dopo questo saggio che abbiamo dato delle imprese e degli scritti di Francesco di Sales, non ci rimane che esortarvi a celebrare salutarmente la centenaria memoria di lui nelle vostre diocesi. Infatti, non vorremmo che tale solenne ricorrenza si riducesse ad una sterile commemorazione di cose passate o si restringesse a pochi giorni, ma desideriamo che nel corso di quest’anno sino al 28 dicembre, giorno in cui egli dalla terra volò al cielo, con la maggior cura possibile cerchiate di fare istruire i fedeli intorno alle virtù e agli insegnamenti del santo Dottore. – Sarà dunque, innanzi tutto, vostra cura di far conoscere al clero e al popolo a voi affidato, le cose che Noi vi abbiamo esposte e di spiegarle loro con ogni diligenza.  – Poiché il Nostro più vivo desiderio è che voi richiamiate i fedeli al dovere di praticare la santità propria dello stato di ciascuno, essendo purtroppo grande il numero di coloro che o non pensano mai all’eternità o trascurano del tutto quanto riguarda la salute dell’anima loro. Vi sono, infatti, taluni che, tutti immersi negli affari, d’altro non si curano che di accumular danaro, mentre lo spirito resta miseramente vuoto; altri, invece, tutti dediti a soddisfare le proprie passioni, cadono così in basso, da rendersi incapaci di gustare quanto trascende i sensi; altri, infine, si danno alla vita politica, ma così presi dal governo della cosa pubblica, dimenticano se stessi. Pertanto, Venerabili Fratelli, sull’esempio del Sales, adoperatevi a far bene intendere ai fedeli che la santità della vita non è un privilegio di pochi, a esclusione degli altri, ma che ad essa tutti sono chiamati, e che a tutti ne incombe l’obbligo; che l’acquisto delle virtù poi, sebbene non sia senza fatica — la quale trova, nondimeno, anche un meritato compenso nella consolazione dell’anima e nei conforti d’ogni genere che l’accompagnano — pure è reso a tutti possibile con l’aiuto della grazia divina, a nessuno negata. E in una maniera tutta speciale proponete all’imitazione dei fedeli la mansuetudine di Francesco; giacché questa virtù, che così bene ricorda ed esprime la benignità di Gesù Cristo, e ha tanta forza da legare gli animi, non condurrà facilmente, ove si diffonda fra gli uomini, a comporre tutte le differenze, pubbliche e private? – E non è forse da ripromettersi, dalla pratica di questa virtù, che a ragione può dirsi l’esterno ornamento della divina carità, perfetta pace e concordia nella famiglia e nella società stessa? E al cosiddetto apostolato, sia dei sacerdoti, come dei laici, non sarà forse aggiunta una forza potente per il miglioramento della società ove sia condotto con cristiana dolcezza? Vedete, dunque, quanto importi che il popolo cristiano volga la mente agli esempi santissimi di Francesco, se ne edifichi, e prenda gli insegnamenti di lui come regola di vita. A tal fine, appena può immaginarsi di quanto giovamento debbano riuscire i libri e gli opuscoli già ricordati, se saranno il più largamente possibile diffusi fra il popolo; giacché tali scritti, facili come sono ad intendersi e di gradita lettura, ecciteranno negli animi dei fedeli l’amore alla vera e solida pietà, amore che i sacerdoti riusciranno a coltivare con ottimo esito, ove essi sappiano convertire in succo e sangue la dottrina del Sales ed imitarne il soavissimo eloquio. Al qual proposito, Venerabili Fratelli, si narra che il nostro precedessore Clemente VIII già allora avesse preannunciato quanto mirabile giovamento avrebbero recato al popolo cristiano le parole e gli scritti di Francesco. Avendo, infatti, il Pontefice, circondato da Cardinali e altri dottissimi personaggi, esaminata la perizia nelle scienze sacre del Sales, eletto alla dignità episcopale, ne fu preso da tanta ammirazione, che, abbracciandolo con grande affetto, gli rivolse queste parole: «Va, o figlio, e bevi dell’acqua della tua cisterna e della sovrabbondanza del tuo pozzo; al di fuori si spandano le tue sorgenti e distribuisci per le piazze le tue acque » (12). E in verità, tale era la maniera tenuta da Francesco nei suoi sermoni, che tutta la sua predicazione era « nella dimostrazione dello spirito interiore e della virtù », come quella che, derivata dalla Sacra Scrittura e dai Padri, non solamente si alimentava del solido nutrimento d’una sana dottrina teologica, ma dalla dolcezza della carità era resa anche più gradita e soave. Così non è da meravigliarsi se, per opera sua, sia tornato alla Chiesa un numero così grande di eretici, e se, dietro il suo magistero e la sua guida, tanti fedeli, in questi ultimi tre secoli, siano pervenuti ad un alto grado di perfezione. – Ma vorremmo che da queste solenni ricorrenze precipuo vantaggio ritraessero tutti quei Cattolici, che con la pubblicazione o di giornali o di altri scritti illustrano, promuovono e difendono la cristiana dottrina. Ad essi è necessario, nelle discussioni, imitare e mantenere quel vigore, congiunto con moderazione e carità, tutto proprio di Francesco. Egli, infatti, con il suo esempio, insegna loro chiaramente la condotta da tenere. Innanzi tutto studino con somma diligenza e giungano, per quanto possono, a possedere la dottrina cattolica; si guardino dal venir meno alla verità, né, con il pretesto di evitare l’offesa degli avversari, la attenuino o la dissimulino; abbiano cura della stessa forma ed eleganza del dire, e si studino di esprimere i pensieri con la perspicuità e l’ornamento delle parole, in maniera che i lettori si dilettino della verità. Se si presenta il caso di combattere gli avversari, sappiano, sì, confutare gli errori e resistere alla improbità dei perversi, ma in modo da dare a conoscere di essere animati da rettitudine e soprattutto mossi dalla carità. E poiché non consta che il Sales sia stato dato a Patrono dei ricordati scrittori cattolici con pubblico e solenne documento di questa Apostolica Sede, Noi, cogliendo questa fausta occasione, di certa scienza e con matura deliberazione, con la Nostra apostolica autorità diamo o confermiamo, e dichiariamo, mediante questa Lettera Enciclica, San Francesco di Sales, vescovo di Ginevra e Dottore della Chiesa, celeste Patrono di essi tutti, nonostante qualsiasi cosa in contrario. – Ora, Venerabili Fratelli, affinché queste solennità centenarie riescano più splendide e più fruttuose, conviene che ai vostri fedeli non manchi nessuna specie di pii impulsi perché onorino con la debita venerazione questo gran luminare della Chiesa, e con la sua intercessione, purificate le anime dai resti della colpa e corroborate alla mensa divina, s’indirizzino con forza e dolcezza insieme ad acquistare in breve tempo la santità. Procurate, quindi, che nelle vostre città vescovili e in ogni parrocchia delle vostre diocesi, nel corso di quest’anno fino al 28 dicembre, si celebri un triduo o una novena di sacre funzioni, con predicazione della divina parola, giacché importa soprattutto che il popolo sia bene istruito di tutte quelle verità che, con la guida del Sales, lo sollevino a più alta vita dello spirito. E sarà del pari vostro impegno far commemorare, negli altri nodi che vi sembreranno più opportuni, le imprese del Santo Vescovo. – Intanto, per aprire a bene delle anime il tesoro delle sante indulgenze a Noi affidato da Dio, concediamo, a quanti interverranno piamente alle funzioni suddette, l’indulgenza di sette anni e sette quarantene ogni giorno, e nel giorno ultimo o in qualsiasi altro che a ciascuno piacerà scegliere, l’indulgenza plenaria da lucrarsi alle solite condizioni. Ma, non volendo che restino senza qualche particolare dimostrazione del Nostro affetto né il monastero della Visitazione di Annecy, dove il Sales riposa — innanzi alle cui spoglie Noi avemmo già occasione di celebrare con immenso gaudio spirituale — né quello di Treviso dove si conserva il suo cuore, né le altre case delle religiose della Visitazione, concediamo che durante le funzioni mensili che esse celebreranno quest’anno in rendimento di grazie, e di più, ma parimenti per quest’anno solo, il giorno 28 del mese di dicembre, tutti coloro che visiteranno al modo solito le loro chiese, e, premessa la santa confessione e la comunione eucaristica, pregheranno secondo l’intenzione Nostra, guadagnino del pari l’indulgenza plenaria. – E voi, Venerabili Fratelli, esortate vivamente i fedeli che avete in cura, affinché preghino per Noi il santo Dottore: piaccia a Dio, poiché ha voluto che Noi prendessimo a reggere la sua Chiesa in tempi così difficili, che, con l’auspicio del Sales, il quale ebbe per la Sede Apostolica un amore ed una riverenza insigne, e difese anche mirabilmente i suoi diritti e la sua autorità nelle Controversie, felicemente avvenga che, quanti sono lontani dalla legge e dalla carità di Cristo, tutti tornando ai pascoli di vita eterna, Ci sia dato di abbracciarli nella comunione e nel bacio di pace. Intanto vi giunga, come pegno dei doni celesti e della Nostra paterna benevolenza, l’Apostolica Benedizione, che a voi, Venerabili Fratelli, e a tutto il clero e popolo vostro con ogni affetto impartiamo.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 26 gennaio 1923, anno primo del Nostro Pontificato.

PIO XI

1 I Thess., IV, 3.

2 Matth., V, 48.

3 S. Aug., 1. De natura et gratia, c. 43, n. 50.

4 Sap., VIII, 16.

5 Matth., XI, 29.

6 Iudic., XIV, 14.

7 Hom. 58 in Gen.

8 Matth., V, 4.

9 Act., I, 1.

10 Litt. Ap. Pii IX d. 16 Nov. 1877.

11 Ibidem.

12 Proverb., V, 15, 16.

DOMENICA XI DOPO PENTECOSTE (2019)

DOMENICA XI DOPO PENTECOSTE (2019)

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXVII: 6-7; 36
Deus in loco sancto suo: Deus qui inhabitáre facit unánimes in domo: ipse dabit virtútem et fortitúdinem plebi suæ.
[Dio abita nel luogo santo: Dio che fa abitare nella sua casa coloro che hanno lo stesso spirito: Egli darà al suo popolo virtú e potenza.]
Ps LXVII: 2
Exsúrgat Deus, et dissipéntur inimíci ejus: et fúgiant, qui odérunt eum, a fácie ejus.
[Sorga Iddio, e siano dispersi i suoi nemici: fuggano dal suo cospetto quanti lo odiano.]
Deus in loco sancto suo: Deus qui inhabitáre facit unánimes in domo: ipse dabit virtútem et fortitúdinem plebi suæ. [Dio abita nel luogo santo: Dio che fa abitare nella sua casa coloro che hanno lo stesso spirito: Egli darà al suo popolo virtú e potenza.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui, abundántia pietátis tuæ, et merita súpplicum excédis et vota: effúnde super nos misericórdiam tuam; ut dimíttas quæ consciéntia metuit, et adjícias quod orátio non præsúmit.
[O Dio onnipotente ed eterno che, per l’abbondanza della tua pietà, sopravanzi i meriti e i desideri di coloro che Ti invocano, effondi su di noi la tua misericordia, perdonando ciò che la coscienza teme e concedendo quanto la preghiera non osa sperare.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.
1 Cor XV: 1-10
“Fratres: Notum vobis fácio Evangélium, quod prædicávi vobis, quod et accepístis, in quo et statis, per quod et salvámini: qua ratione prædicáverim vobis, si tenétis, nisi frustra credidístis. Trádidi enim vobis in primis, quod et accépi: quóniam Christus mortuus est pro peccátis nostris secúndum Scriptúras: et quia sepúltus est, et quia resurréxit tértia die secúndum Scriptúras: et quia visus est Cephæ, et post hoc úndecim. Deinde visus est plus quam quingéntis frátribus simul, ex quibus multi manent usque adhuc, quidam autem dormiérunt. Deinde visus est Jacóbo, deinde Apóstolis ómnibus: novíssime autem ómnium tamquam abortívo, visus est et mihi. Ego enim sum mínimus Apostolórum, qui non sum dignus vocári Apóstolus, quóniam persecútus sum Ecclésiam Dei. Grátia autem Dei sum id quod sum, et grátia ejus in me vácua non fuit.”

Omelia I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia,

LA RISURREZIONE DELLA CARNE

“Fratelli: Vi richiamo il Vangelo che vi ho annunziato, e che voi avete accolto, e nel quale siete perseveranti, e mediante il quale sarete salvi, se lo ritenete tal quale io ve l’ho annunciato, tranne che non abbiate creduto invano. Poiché in primo luogo vi ho insegnato quello che anch’io appresi: che Cristo è morto per i nostri peccati, conforme alle Scritture; che fu seppellito, e che risuscitò il terzo giorno, conforme alle Scritture; che apparve a Cefa, e poi agli undici. Dopo apparve a più di cinquecento fratelli in una sol volta, dei quali molti vivono ancora, e alcuni sono morti. Più tardi appare a Giacomo, e quindi a tutti gli Apostoli. Finalmente, dopo tutti, come a un aborto, appare anche a me. Invero io sono l’ultimo degli Apostoli, indegno di portare il nome d’Apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per la grazia di Dio, però sono quel che sono; e la sua grazia in me non è rimasta infruttuosa.” (1 Cor. XV, 1,10).

L’ultima questione di grande importanza a cui risponde S. Paolo nella prima lettera ai Corinti è quella della risurrezione dei morti. Questo domma, stimato assurdo dai pagani, ripugnava a molti cristiani di Corinto, i quali avevano difficoltà ad ammetterlo. S. Paolo prova la risurrezione dei morti argomentando dalla risurrezione di Gesù Cristo, e dimostrando le assurde conseguenze che verrebbero dalla negazione di questa verità. L’epistola di quest’oggi contiene la prova della risurrezione di Gesù Cristo. Parliamo anche noi della risurrezione dei morti, la quale:.

1. È un punto fondamentale della dottrina cattolica,

2.  È basata sulla risurrezione di Gesù Cristo,

3. Avrà conseguenze diverse pei giusti e per i reprobi.

I.

Vi richiamo il Vangelo che vi ho annunziato, e che voi avete accolto, e nel quale siete perseveranti. Parole solenni con le quali S. Paolo si introduce a parlare della resurrezione dei morti. Per mezzo della fede nel Vangelo i Corinti perverranno all’eterna salvezza, se saranno costanti sino alla fine, e se crederanno nel Vangelo tal quale l’Apostolo l’ha predicato, senza togliere o travisare alcuna verità. Quei Corinti che non credono alla verità della risurrezione dei morti, credono invano. Al conseguimento dell’eterna salute a nulla giova credere le altre verità, se negano questa. La fede nella risurrezione dei morti è di grande efficacia nel sostenere il Cristiano in questa vita « Fiducia dei Cristiani è la risurrezione dei morti» (Tertull. De Resurr. carnis). Nella speranza della futura risurrezione i martiri trovano la forza di andar contro ai tormenti e alla morte. Se essi perdono, tanto volentieri la vita presente, è per la speranza di entrare nella vita futura. S. Ignazio martire che scongiura i Romani a non impedirgli il martirio, esclama: « È bello tramontare al mondo diretti a Dio per risorgere in Lui!» (ad Rom. 2). Senza l’immortalità dell’anima e la conseguente risurrezione del corpo, sarebbe irragionevole esporsi alla perdita della vita; bisognerebbe anzi cercar di prolungarla il più possibile. Le malattie, le privazioni, le fatiche, logorano questo nostro corpo continuamente; gli anni gli tolgono ogni vigore; la morte lo riduce in polvere. Chi può sottrarsi a un senso di grande tristezza e di noia della vita? Chi pensa alla risurrezione. Chi pensa che un giorno Gesù Cristo «trasformerà il nostro miserabile corpo, rendendolo conforme al suo corpo glorioso» (Filipp. III, 21). Chi pensa che questo stesso nostro corpo risorgerà immortale, e non sarà più soggetto alle debolezze e ai dolori. – Una delle più amare circostanze per l’uomo quaggiù, è la perdita dei suoi cari. Il dolore in quel momento è troppo giusto e legittimo. È impossibile sottrarsi alle lagrime. S. Ambrogio, parlando delle lagrime che aveva versato per la morte del fratello Satiro, osserva: «Ho pianto anch’io, si, è vero; ma pianse anche il Signore. Egli sopra un estraneo; io sopra un fratello» (De excessu. frat. sui. Sat. Lab. 1, 10). Ma al momentaneo tributo di lagrime, che pagano tutti, succede nei Cristiani un pensiero consolante: I nostri cari, partendosi da questo mondo, non ci lasciano, ma ci precedono. «Non vogliamo — scriveva l’Apostolo ai Tessalonicesi — che siate nell’ignoranza intorno a quelli che si sono addormentati, affinché non vi rattristiate come gli altri che non hanno speranza» (1 Tess. IV, 13). Se si sono addormentati, un giorno si sveglieranno. Quando Gesù, entrato nella casa di Giairo, vide gente che piangeva e ululava per la morte della figlia di questi, disse: «Perché v’affannate e piangete? La fanciulla non è morta, ma dorme» (Marc. V, 39). E, dette queste parole, la sveglia da quel breve sonno di morte. Quando s’apre la tomba per qualche persona amata la fede dice a ciascuno di noi: quella persona a te cara non è morta, ma dorme. I nostri parenti, i nostri amici, i nostri benefattori, dovunque abbiano avuto una sepoltura, non sono morti, ma dormono. Catene di monti, distese di mari divideranno i sepolcri d’una stessa famiglia; ma verrà il giorno in cui questi sepolcri si apriranno; i cadaveri riprenderanno nuova vita; e i beati riprenderanno in Dio quell’unione che la morte non ha potuto troncare che temporaneamente. –

II.

Che cosa aveva insegnato San Paolo ai Corinti? Udiamolo da lui: In primo luogo vi ho insegnato quello che anch’io appresi: che Cristo è morto per i nostri peccati, conforme alle Scritture; che fu seppellito e che risuscitò il terzo giorno, conforme alle Scritture. Il racconto della Resurrezione di Gesù Cristo, fatto dai Vangeli, contiene quanto è necessario per ottenere fede indiscussa sulla realtà della risurrezione di Lui. Lo stupore e il dolore delle pie donne che trovano vuoto il sepolcro. Il timore là cui erano state prese, tanto da mettersi a fuggire e da non aver parola, sulle prime, per narrare quanto avevano veduto; l’Angelo che mostra il luogo preciso ove giaceva Gesù, il quale non va più cercato tra i morti, perché è risuscitato; l’apparizione a Maria Maddalena, dicono abbastanza perché uno che non sia dominato da preconcetti debba credere alla verità della risurrezione di Gesù Cristo. Ma v’ha di più. Dopo che alla Maddalena Gesù apparve a Cefa, e poi agli undici. Dopo apparve a più di cinquecento fratelli in una sol volta… Più tardi apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli Apostoli. – È da notare che quando le pie donne annunciano agli Apostoli la risurrezione di Gesù Cristo, sono trattate da deliranti. Pietro entra nel sepolcro, vede i lenzuoli per terra, non trova più il corpo del Maestro, ne è meravigliato, ma non si decide ancora a credere alla risurrezione. La Maddalena annunzia agli Apostoli d’averlo visto risuscitato, d’aver parlato con Lui, « ed essi, avendo udito com’egli era vivo, e com’ella l’aveva visto, non credettero » (Marc. XVI, 11). È necessario che Gesù appaia a Pietro, appaia agli Apostoli e ai discepoli radunati insieme, e mostri loro le mani e il costato con le cicatrici gloriose, perché ogni dubbio sia tolto da loro. Davanti a prove così numerose e così palmari, anch’essi sono costretti a credere la risurrezione del divin Maestro, che predicheranno poi con una fermezza incrollabile. – Gli Apostoli danno principio alla predicazione insistendo sul fatto della risurrezione di Gesù Cristo. San Pietro rinfaccia ai Giudei: «Gesù di Nazaret… voi lo avete trafitto per mano d’empi, e ucciso… Dio l’ha risuscitato, avendo infranto i legami della morte» (Att. XXII-24) E questo si rinfacciava ai figli d’Israele pochi giorni dopo l’avvenimento; quando era facilissimo interrogare, controllare, vivendo ancora tutti o quasi tutti coloro a cui Gesù Cristo era apparso. E vediamo che i Giudei invece di fare obiezione alle parole di Pietro si compungono nei loro cuori, e gli domandano quel che han da fare. Non sappiamo se si possono desiderare prove più concludenti. Ne consegue che se risuscitò Gesù Cristo, risusciteranno anche i fedeli. Questi formano un sol corpo mistico con Lui. Gesù è il capo; e se il capo è risuscitato, non si spiega perché le membra debbano rimanere nel sepolcro. La risurrezione di Gesù Cristo ha introdotto un nuovo ordine di cose. Con Adamo era entrato nel mondo il dominio della morte. Con la risurrezione di Gesù Cristo questo dominio fu vinto. Egli lo ha vinto per sé e lo ha vinto per noi. E così «la morte del Figlio di Dio, che egli subì nella carne, distrusse in noi la duplice morte, quella dell’anima e quella del corpo, e la risurrezione della sua carne ci apportò la grazia della risurrezione spirituale e corporale » (S. Fulgonio Episcop. 17,16).

III

S. Paolo aggiunge che Gesù Cristo apparve anche a lui l’ultimo degli Apostoli. Tanto egli poi, l’ultimo degli Apostoli, già persecutore della Chiesa, a cui Gesù apparve sulla via di Damasco, quanto gli altri Apostoli, ai quali Gesù risorto apparve prima di salire al cielo, hanno sempre predicato la stessa cosa: la risurrezione di Gesù Cristo. «Cristo è risuscitato, primizia dei dormienti !» esclama più innanzi S. Paolo, con un grido come di vittoria (I. Cor. XV, 20). – Non si può parlar di primizia senza supporre il seguito della messe. Quando compare la primizia, la messe è garantita. Gesù Cristo risorge pel primo a vita immortale: primo per ordine di tempo, di dignità, di merito. Dopo di Lui, a suo tempo, quando Egli comparirà di nuovo su questa terra. resusciteranno tutti i giusti. – Anche i reprobi resusciteranno? La parola di Gesù Cristo non lascia dubbio alcuno. «Verrà un tempo — dice il Redentore — in cui tutti quelli che sono nei sepolcri udiranno la voce del Figliuolo di Dio, e usciranno fuori quelli che hanno fatto opere buone risorgendo per vivere: quelli poi che avranno fatto opere malvage, risorgendo per essere condannati» (Giov.V, 28-29). « La maniera della resurrezione sarà duplice. La prima è quella dei santi i quali, radunati con distintivo reale, al primo suono della tromba ricevono, con grande trionfo, il regno della beatitudine sotto Cristo, re eterno: la seconda è quella che assegna alla pena eterna gli empi assieme con i peccatori e con tutti gli increduli» (S. Zenone, L. 1, Tract. 16, 11). Il corpo dei giusti fu unito all’anima nel fare il bene; riceva, dunque, con essa il premio eterno. Il corpo dei cattivi cooperò con l’anima a fare il male: riceva con essa il meritato castigo. A ciascuno il suo. La società non è composta né esclusivamente di buoni, né esclusivamente di cattivi. Come in un campo frammischiata al buon grano si trova la zizzania, così, nella società, frammisti ai buoni si trovano i cattivi. E come al tempo della raccolta si lega la zizzania in fastelli per essere bruciata e il grano vien radunato nei granai, così succederà alla fine del mondo. Verranno gli Angeli e separeranno i cattivi dai giusti, «e getteranno quelli nella fornace di fuoco: ivi sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del loro Padre» (Matt. XIII, 42-43). È chiaro che un tal giorno infonda coraggio ai buoni che l’attendono come il giorno del trionfo finale, e rechi sgomento ai peccatori, che lo temono come il giorno della finale rovina. Questo timore sarebbe salutare, se servisse a trattenerli dal peccato, o meglio a farli uscire dallo stato di peccato. S. Agostino narra di sé stesso: « Né altro mi richiamava dal profondo abisso dei piaceri carnali, che il timor della morte e del giudizio avvenire: il qual timore,… non si partì mai dal mio petto » (Conf. L. 6, 16,). Se non ci dimenticheremo del giorno della risurrezione della carne, e del giudizio che vi avrà luogo, sarà facile la riforma di noi stessi. Chi teme quel giorno comincia a vegliare sulle proprie passioni, a guardarsi dall’avarizia, dall’impurità, dall’odio. Per vincer gli assalti del demonio comincia a mortificar se stesso con la custodia dei sensi. Le buone opere che prima gli erano pesanti diventeranno una necessità. I doveri del proprio stato gli saranno molto leggeri da compiere, e finirà per desiderare ciò che prima temeva: la seconda venuta di Cristo, nella speranza, di risalire con Lui in cielo a godere nel regno della gloria.

Graduale

Ps XXVII: 7 – 1
In Deo sperávit cor meum, et adjútus sum: et reflóruit caro mea, et ex voluntáte mea confitébor illi.
[Il mio cuore confidò in Dio e fui soccorso: e anche il mio corpo lo loda, cosí come ne esulta l’ànima mia.]

Alleluja

V. Ad te, Dómine, clamávi: Deus meus, ne síleas, ne discédas a me. Allelúja, allelúja [A Te, o Signore, io grido: Dio mio, non rimanere muto: non allontanarti da me.]

Ps LXXX: 2-3
Exsultáte Deo, adjutóri nostro, jubiláte Deo Jacob: súmite psalmum jucúndum cum cíthara. Allelúja.

[Esultate in Dio, nostro aiuto, innalzate lodi al Dio di Giacobbe: intonate il salmo festoso con la cetra. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Marcum.
R. Gloria tibi, Domine!
Marc VII:31-37
In illo témpore: Exiens Jesus de fínibus Tyri, venitper Sidónem ad mare Galilaeæ, inter médios fines Decapóleos. Et addúcunt ei surdum et mutum, et deprecabántur eum, ut impónat illi manum. Et apprehéndens eum de turba seórsum, misit dígitos suos in aurículas ejus: et éxspuens, tétigit linguam ejus: et suspíciens in coelum, ingémuit, et ait illi: Ephphetha, quod est adaperíre. Et statim apértæ sunt aures ejus, et solútum est vínculum linguæ ejus, et loquebátur recte. Et præcépit illis, ne cui dícerent. Quanto autem eis præcipiébat, tanto magis plus prædicábant: et eo ámplius admirabántur, dicéntes: Bene ómnia fecit: et surdos fecit audíre et mutos loqui.


Omelia II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE XXXIX.

“In quel tempo Gesù, tornato dai confini di Tiro, andò por Sidone verso il mare di Galilea, traversando il territorio della Decapoli. E gli fu presentato un uomo sordo e mutolo, e lo supplicarono a imporgli la mano. Ed Egli, trattolo in disparte della folla, gli mise le sua dita nelle orecchie, e collo sputo toccò la sua lingua: e alzati gli occhi verso del cielo, sospirò e dissegli: Effeta, che vuol dire: apritevi. E immediatamente se gli aprirono le orecchie, e si sciolse il nodo della sua lingua, e parlava distintamente. Ed Egli ordinò loro di non dir ciò a nessuno. Ma per quanto loro lo comandasse, tanto più lo celebravano, e tanto più ne restavano ammirati, e dicevano: Ha fatto bene tutte lo cose: ha fatto che odano i sordi, e i muti favellino!”

(Marc. VII, 31-37)

Il divin Salvatore, al principio del terzo anno della sua predicazione, aveva lasciato la Giudea per andarsene ai confini di Tiro e di Sidone; e colà, dietro l’umile e confidente preghiera d’una povera donna pagana, chiamata Cananea dal Vangelo, perché era discendente dalla stirpe dei Cananei, ne aveva guarita la figlia posseduta dal demonio. Il Salvatore avrebbe potuto prolungare il suo soggiorno in quel paese idolatra, ma i Giudei erano facili a scandalizzarsi: epperò se il Salvatore avesse più a lungo avuto commercio coi gentili, i Giudei si sarebbero levati contro di Lui, l’avrebbero accusato di mancare alla legge mosaica e l’avrebbero trattato come un prevaricatore. Gesù pertanto ritornò in Galilea E fu nel suo ritorno a quella regione, che operò il miracolo narratoci dal Vangelo di questa domenica, quello cioè della guarigione di un sordomuto.

1. Dice adunque il Vangelo di oggi: In quel tempo Gesù tornato dai confini di Tiro, andò per Sidone verso il mare di Galilea, traversando il territorio della Decapoli. Quivi gli fu presentato un uomo sordo e muto, e lo supplicarono di imporgli la mano. Le malattie che affliggono il corpo, o miei cari, sono come i segni delle malattie spirituali, che assai più gravemente travagliato le anime. E quell’infelice sordo-muto, che non può né udir la voce dei suoi simili, né esprimere i pensieri della sua mente e i sentimenti del suo cuore, è l’immagine di coloro, che sono sordi alla voce di Dio e muti quando trattasi di parlare a gloria di Dio e a bene delle anime. Ed oh quanto sono brutte e gravi queste malattie della sordità e del mutismo spirituale. Ed in vero la sordità del corpo è una infermità certamente penosa, poiché il farsi ripetere cento volte una cosa, esser di peso agli altri, esser privo della parola di Dio, dei canti della Chiesa, del suon delle musiche, dei concerti degli uccelli, e vivere come straniero alla società degli uomini, è senza dubbio una vita ben triste. Ma finalmente uno si avvezza, e l’abitudine di un male fa rassegnati a patirlo. E poi mentre la sordità nulla toglie al ben essere corporale, può essere molto utile alla salute dell’anima; imperocché il sordo non sente le bestemmie contro la Religione, le calunnie e le maldicenze contro il prossimo, e tutte quelle facezie non sempre buone, che alimentano le conversazioni mondane. Ma invece quanto più deplorevole è la sordità dell’anima! Per essa il peccatore, smarrito per i sentieri dell’iniquità, non ascolta più le ispirazioni di Dio, né i consigli di chi lo ama e lo vuole strappar dall’abisso; non sente più nulla; i giudizi di Dio non lo spaventano più, e se nell’ultima ora non viene un colpo inaspettato della grazia a destarlo da quel fatale assopimento, sen muore nell’impenitenza finale. Il furore dei traviati, dice il Santo re Davide, è simile a quello dell’aspide e del serpente che si rende sordo col turarsi le orecchie, e non vuol più sentire la voce del magico incantatore, che usa astuzia per incantarlo (Ps. LVII, 5, 6). E non è adunque una grave disgrazia l’essere colpiti dalla sordità spirituale? E non ci sarebbe qui tra di noi qualcuno già affetto da tale infermità! Che chiude le orecchie alla voce di Dio, a quella dei sacerdoti, dei genitori, de’ suoi superiori? Ah! per carità, mentre è ancor in tempo apra le sue orecchie ed obbedisca alla voce di chi vuole soltanto il suo bene; del resto gli potrebbe capitare la disgrazia di non intenderla più.Ma se è tanto grave la malattia della sordità spirituale, non lo è meno quella del mutismo. Ed in vero quando vedete un tale che è privo della favella, non ne sentite pietà? Senza dubbio, perché il muto è privo dell’organo più essenziale all’uomo, animale socievole, quello col quale esprime il suo pensiero e lo comunica ai suoi simili, e se col linguaggio convenzionale, che s’è inventato, si fa intendere da qualcuno, non è men vero che vive isolato in mezzo al mondo. Cosa ben triste anche questa! Eppure per essa quante colpe si schivano! Le calunnie, le maldicenze, le parole disoneste, le delazioni, le bugie, i motteggi, i discorsi contro la carità, per non dire di tanti altri, sono tutti peccati, che fa commettere la lingua.Ma per altra parte non sono minori quelli che produce il mutismo spirituale, per cui si compromette la propria coscienza in più modi. Per esempio: è un peccato il tacere del continuo le lodi del Signore e il non invocare di tanto intanto il suo aiuto col lasciare la recita delle preghiere del buon Cristiano. È un peccato il tacere, quando vedendo altri a commettere un’azione cattiva e noi avendo sopra di loro autorità non ci facciamo colle nostre riprensioni a giustamente sgridarli. È un peccato il tacere, quando potendo con la nostra parola difendere chi è attaccato dalla calunnia e dalla maldicenza, e salvare un innocente, rimuovere alcuno da un grave pericolo, preservarlo da una disgrazia, non lo facciamo. È un peccato il tacere, quando avendo la capacità di dare altrui un consiglio, che lo libera da un dubbio, che lo induce ad un’opera buona, noi lasciamo di dirglielo. È un peccato il tacere quando potendo insegnare qualche cosa buona ed utile a chi la ignora, non ci diamo pensiero di farlo. È un peccato tacere quando richiesti da qualche nostro offensore di perdono noi ci ostiniamo a negarlo, come è un peccato il non voler aprir bocca per riconciliarci con chi abbiamo offeso. Così quando taluno tacendo rifiuta di mostrarsi apertamente Cristiano in faccia a quelli, che si vantano di non essere tali, ei pecca, perché allora appunto bisognerebbe manifestare i sentimenti che si han nel cuore, avendo detto Gesù Cristo: Guai a chi arrossirà di confessarmi al cospetto degli uomini! E finalmente vi è ancora una specie di mutismo spirituale, più colpevole e pericoloso di tutti, ed è quello che si tiene in confessione, tacendo qualche colpa grave per un ingiusto timore, per una malintesa vergogna. Tacere volontariamente le colpe nel tribunale di penitenza è silenzio sacrilego. Si, in tutti questi casi, ed in altri ancora, il tacere è peccato, perché in tutti questi casi noi siamo obbligati dalla legge del Signore di parlare. Epperò quel Dio, che nel dì del giudizio ci giudicherà su ogni parola oziosa da noi profferita, ci giudicherà altresì del silenzio, che abbiamo tenuto allora che dovevamo parlare.Ecco adunque il nostro stretto dovere: tacere e parlare secondo che la carità verso Dio e verso il prossimo ci impone o di tacere o di parlare.Epperò studiamoci per una parte di amare e praticare anche più perfettamente il silenzio, stando più che possiamo ritirati dai convegni e dalle conversazioni, e non solamente da quelle colpevoli, in cui si tengono discorsi osceni, irreligiosi, di maldicenza, e si cantano canzoni sconce, ma anche da quelle che non servono ad altro che a dissipare il nostro spirito e ad allontanarlo dal pensiero di Dio. La ritiratezza, il raccoglimento ed il silenzio sono ornamenti vaghissimi per un Cristiano e a tutti riescono di utilità immensa per fuggire il peccato e farsi santi, giacché è nella tranquillità e nel silenzio che il Signore parla più intimamente ed efficacemente al Cristiano e più amorosamente lo trae a gustar le delizie del suo amore. Per altra parte poi, presentandosi l’occasione, pieni di santo zelo per la gloria di Dio e per il bene delle anime, non tralasciamo di parlare, anche allora che non abbiamo stretto obbligo, e così noi praticheremo con grande nostro vantaggio il precetto incluso in quelle parole dell’Arcangelo Raffaele a Tobia: È ben fatto di tener nascosti i segreti dei re, ossia tacere quando si deve; ma è cosa lodevole di rivelare ed annunziare le opere di Dio: Sacramentum regis nascondere honum est; opera autem Dei revelare et confiteri honorificum est (Tob. XII, 7).

2. Ci dice in seguito il Vangelo che Gesù tratto in disparte dalla folla quel sordo-muto, gli mise le sue dita nelle orecchie, e collo sputo toccò la sua lingua: e alzati gli occhi al cielo, sospirò, e dissegli: Ephpheta, parola che vuol dire: apritevi. E immediatamente se gli aprirono le orecchie, e si sciolse il nodo della sua lingua, e parlava distintamente. Or bene tutte queste particolarità, con cui Gesù Cristo accompagnò il miracolo della guarigione di questo sordo-muto, sono di tale importanza, che meritano di essere considerate ad una ad una.Gesù comincia dal trarre l’infelice in disparte fuori della turba. E qui impariamo subito che quando siamo per praticare delle opere buone, dobbiamo come nasconderci ed evitare gli sguardi altrui, fuorché in certe circostanze, in cui siamo in obbligo di edificare i nostri fratelli. Per certo nei doveri che sono imposti a tutti, sarebbe da biasimare chi si nascondesse per adempierli: ad esempio chi pe’ suoi natali, per il suo stato, per le sue doti o per la sua condizione potesse esercitare una salutare influenza sugli altri, e cercasse la solitudine per fare la sua Pasqua, ed anche per frequentare i sacramenti, sotto pretesto dell’umiltà e della modestia, questi intenderebbe male le sue obbligazioni; egli più di ogni altro deve dare buon esempio, poiché con la sua fedeltà al dovere cristiano può incoraggiare i deboli, e servire anche a ricondurre sul buon sentiero quei che sono sviati. Ma fuori di queste occasioni non cerchiamo mai la piena luce per compiere le buone opere. Avremmo a temere, che la nostra intenzione non avesse tutta la purezza, che domanda Iddio. Quando poi Gesù Cristo ebbe condotto in disparte il sordo-muto, gli mise dapprima le sue dita nelle orecchie: e a questo proposito il venerabil Beda dice: Le dita di Dio poste nelle orecchie di quel sordo sono i doni dello Spirito Santo, per mezzo dei quali Egli dispone i cuori, che sono nell’ignoranza d’ogni verità, a conoscere la scienza della salute. Quindi allorché vediamo un uomo finora impenitente ed indurato, divenir ad un tratto penitente e fedele, diciamo: « Qui v’ha il dito di Dio! » Ed il Salvatore in altro luogo dice, che pel dito di Dio vengono cacciati i demoni. Ma se è vero che per l’azione dello Spirito Santo il Salvatore sanò la sordità esteriore di quell’uomo, è altresì vero che vi ha aggiunto un’azione esteriore e sensibile; pose le dita nelle orecchie di quel sordo quasi per farci intendere, che se il peccatore non può esser guarito che per l’efficacia della grazia, Iddio non lascia però di servirsi sovente dell’opera degli uomini, e soprattutto di quella dei sacerdoti per compiere i prodigi di sua misericordia: epperò fortunati coloro, che ne ascoltano la predicazione ed i consigli con un cuor docile. – Mise poi il Salvatore della sua saliva sulla lingua del mutolo. E secondo l’insegnamento dello stesso venerabile Beda, la saliva figura la sapienza che deve slegare la lingua del peccatore ed inspirargli l’umile e salutare confessione delle sue colpe, ed insegnargli a pregare e cantare le lodi del Signore. Poscia Gesù, levando gli occhi al cielo, diede un sospiro, e disse: Ephpheta, che significa: Apritevi. Ed eccolo qui agire propriamente da Dio ed usare della suprema sua potenza. Apritevi: questo è il comando espresso dal suo sovrano potere. A questa parola nulla resiste, perciocché è la parola istessa, con la quale nella creazione del mondo diceva: Si faccia la luce, e la luce fu fatta. Epperò quando ebbe fatto quel comando le orecchie del sordo-muto si aprirono e si snodò la sua lingua per modo, che parlava distintamente. Così quando Iddio tocca con la sua grazia un povero peccatore, subito si aprono le orecchie del suo spirito ad intendere la voce di Lui, della coscienza, della Chiesa, anzi delle creature stesse, che lo invitano ad amare il Signore; e la sua lingua si snoda per lodare, ringraziare, e benedire in mille guise Colui, che con la sua destra onnipotente ha operato in lui quel grande mutamento. Voi vedete adunque come tutte le particolarità di questo miracolo non erano a caso, ma per dare a noi importanti ammaestramenti, e farci conoscere sopra tutto quanto sia difficile uscir dallo stato di peccato, e che per sottrarsi alla sua trista e lamentevole servitù vi vogliono molti sforzi, penitenti sospiri e fervorose preghiere.

3. Finalmente ci dice il Vangelo, che, operato il miracolo, Gesù, dandoci una grande lezione di umiltà, insegnandoci cioè a fuggire gli applausi e le lodi degli uomini, ordinò a tutti quelli che gli erano d’intorno a non dir nulla a nessuno.Ma quella gente nel comando di Gesù Cristo non vedendo altro che l’ammirabile modestia del benefattore, per quanto loro lo comandasse, tanto più lo celebravano, e tanto più ne restavano ammirati, e dicevano: Ha fatto bene tutte le cose, ha fatto che odano i sordi, e i muti favellino. Ecco, o miei cari, l’elogio più eloquente: Bene omnia fecit; ha fatto bene ogni cosa. Ora, perché Gesù fece bene ogni cosa? Perché lo scopo di tutte le azioni, dal principiar di sua vita sino al Calvario, fu la gloria di Dio e la santificazione degli uomini. Non cerco la mia gloria, Egli diceva, ma quella di Colui, che mi ha mandato (Ioan. V. 3.). Così noi faremo bene ogni cosa, quando agiremo in tutto per la gloria di Dio e per la santificazione dell’anima nostra ed altrui. Adempiamo adunque i nostri doveri, qualunque siano, con l’intenzione di piacere a Dio e di salvarci. Ma osserviamo infine che quel bene omnia fecit, che di Gesù Cristo ci dice il Vangelo, significa ancora che tutte le opere, cui Egli pose mano, furono da Lui compiute con tutta proprietà ed esattezza. E ciò Egli fece altresì per dare a noi un grande ammaestramento intorno al modo di compiere le nostre azioni. Intendiamolo bene adunque, o miei cari; non è necessario di fare cose strepitose, che chiamino l’altrui attenzione e attraggano gli altrui sguardi; quello che massimamente importa è applicarsi a far bene le cose più ordinarie. Quando perciò ci dedichiamo al santo esercizio dell’orazione, preghiamo con tutta l’anima nostra, sotto lo sguardo di Dio e col desiderio d’esser intesi; quando siamo al lavoro, adempiamo il nostro compito con coraggio ed energia, come se Dio in persona ce lo avesse affidato; quando pigliamo il nostro nutrimento, portiamo con ogni semplicità alle labbra il pane quotidiano, pensando a Dio che ce lo dà; quando gustiamo le dolcezze del sonno, ristoriamo le nostre forze sotto lo sguardo di Colui, che su di noi veglia notte e giorno. Insomma, qualunque sia la cosa che ci occupa, facciamola con purità d’intenzione e con esattezza di modo. E così anche noi avremo fatto bene ogni cosa.

 Credo …

Offertorium

Orémus
Ps XXIX: 2-3
Exaltábo te, Dómine, quóniam suscepísti me, nec delectásti inimícos meos super me: Dómine, clamávi ad te, et sanásti me.
[O Signore, Ti esalterò perché mi hai accolto e non hai permesso che i miei nemici ridessero di me: Ti ho invocato, o Signore, e Tu mi hai guarito.]

Secreta

Réspice, Dómine, quǽsumus, nostram propítius servitútem: ut, quod offérimus, sit tibi munus accéptum, et sit nostræ fragilitátis subsidium. [O Signore, Te ne preghiamo, guarda benigno al nostro servizio, affinché ciò che offriamo a Te sia gradito, e a noi sia di aiuto nella nostra fragilità.]

Communio

Prov III: 9-10
Hónora Dóminum de tua substántia, et de prímitus frugum tuárum: et implebúntur hórrea tua saturitáte, et vino torculária redundábunt.
[Onora il Signore con i tuoi beni e con l’offerta delle primizie dei tuoi frutti, allora i tuoi granai si riempiranno abbondantemente e gli strettoi ridonderanno di vino.]

Postcommunio  

 Orémus.
Sentiámus, quǽsumus, Dómine, tui perceptióne sacraménti, subsídium mentis et córporis: ut, in utróque salváti, cæléstis remédii plenitúdine gloriémur.
[Fa, o Signore, Te ne preghiamo, che, mediante la partecipazione al tuo sacramento, noi sperimentiamo l’aiuto per l’ànima e per il corpo, affinché, salvi nell’una e nell’altro, ci gloriamo della pienezza del celeste rimedio.]

Per l’odinario vedi:

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

LO SCUDO DELLA FEDE (74)

LO SCUDO DELLA FEDE (74)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

PARTE SECONDA.

FRODI PER CUI S’INTRODUCE IL PROTESTANTISMO

CAPITOLO IX

NONA FRODE: LUSSO DEL PAPA E DEI PRELATI DI S. CHIESA.

Dopo d’avere rimproverata 1avarizia passano a rimproverare il lusso dei Sacerdoti e questo lo ritrovano specialmente nel Papa,nei Cardinali e nei Prelati di S. Chiesa, Vedete,dicono, se S. Pietro si sedeva sul trono, e se gli altri Apostoli si vestivano di porpora, e se sfoggiavano tanto lusso di palazzi e di cocchi: e dicendo ciò, par loro di poter condannare come falsa la Religione. Ora ascoltate: fingete per un momento, che tutto ciò sia un eccesso, che pure non è come ora diremo, ma fingete pure che sia un eccesso: ebbene che ha che fare ciò con la verità della Religione di Gesù Cristo? Al più al più si potrebbe dire che i Prelati non la osservano a dovere, ma perché essi non la osservano, dunque la Religione è falsa? Ci vuole un cervello d’oca per venire a questa conclusione. – Ma poi perché i Protestanti che hanno tanto zelo per la povertà Apostolica non incominciano a procurarla in casa loro? L’Inghilterra e la Prussia sono i paesi che servono di modello a tutti i Protestanti: nessuno lo reca in dubbio. Ebbene costì chi sono i Capi della Religione? In Prussia il Re, in Inghilterra laRegina. Se ripugna la dignità regia, il lusso e lo sfarzo all’autorità di Capo della Chiesa, questi che si arrogano di essere i Capi, perché fanno poi tanto sfoggio non solo di cavalli e di cocchi, ma ancora di spettacoli e di teatri? Perché non solamente lo procurano per sé, ma ancora per la moglie e per i figliuoli, o pel marito? Perché non riprendono le immense rendite ed il lusso dei Vescovi Anglicani i quali sono tanto più ricchi dei nostri Vescovi e Cardinali, e che sprecano tutto il loro danaro nel lusso della moglie e nel collocamento de’ loro figliuoli e delle loro figliuole invece di distribuirlo ai poveri? Ma sono anche Sovrani, direte voi. Sì, ma e perché non trovate anche qui da dire che S. Pietro non istava sul trono e nella porpora, e potreste con più ragione aggiungere che non istava tra tanti cortigiani e cortigiane? Ah ipocriti, avete la trave negli occhi propri e cercate il bruscolo negli occhi altrui quando anche non vi è! Ma infine non è vero che S. Pietro e gli Apostoli non avevano tanto lusso, e che però bisogna ridurre le cose a quella forma? Orsù se volete ridurre le cose a quella forma, io spero che non sarete uomini di doppio peso e di doppia misura. Se le cose si hanno da recare all’uso di quei tempi, le ridurrete tutte, non solo cioè il Papa ed i Prelati di S. Chiesa, ma anche i laici, ma tutto il popolo Cristiano. Sappiate adunque che quando S. Pietro e gli Apostoli andavano coperti di cenci, anche i semplici Fedeli non istavano molto largamente. Incominciate dunque anche voi a vivere nelle Catacombe come vivevano essi; là in quei segreti, tra quegli orrori, al buio in quei sepolcri. Allora i Fedeli (e l’abbiamo negli Atti Apostolici),vendevano tutti i loro beni e ne portavano il prezzo agli Apostoli, perché  lo distribuissero ai poveri ed alle vedove; fate voi altrettanto. Allora i Cristiani perseveravano nella s. Orazione le lunghe ore: da bravi incominciate a farvi vedere a pregare un po’ più assiduamente. Allora si comunicavano frequentemente ed anche tutti i giorni, intervenendo al Divino Sacrifizio: orsù fatevi vedere assidui alla S. Messa in  ogni festa ed alla Comunione almeno ogni mese. Allora stavano i Fedeli sempre parati a dare il sangue e la vita per Gesù Cristo in mezzo ai tormenti; mostrate dunque voi un poco di coraggio, se non in faccia ai Proconsoli ed ai Carnefici, almeno in faccia ai miscredenti ed ai libertini. Se volete ridurre tutto secondo l’uso di quei tempi, non siate ingiusti, non riducete soltanto il Papa ed i Vescovi. ma riducete tutti, anche i semplici Fedeli. Vi garba questo nuovo modo di vivere Cristiano? abbracciatelo dunque prontamente e poi riprenderete quei che non lo praticano. Che se vi riesce per ventura più comodo il vivervene a casa vostra tranquillamente ed attendere alle vostre faccende ed andare in Chiesa quando vi pare, anzi se vi pesa tanto l’andarvi anche quel poco, a cui con tutta discrezione vi obbliga la S. Chiesa, perché fate poi i falsi zelanti addosso ai Prelati di S. Chiesa, ai Cardinali, al Sommo Pontefice? Ah ipocriti, io ripeto di bel nuovo, ipocriti, che avete una bilancia a doppio peso, l’uno per voi e l’altro per gli altri. Ma spieghiamo ormai la verità. È egli vero che ripugni l’esterno decoro ed anche il Principato al Capo della Chiesa ed ai Prelati? Falso falsissimo. Nei primi tempi la Chiesa era in uno stato di estrema abiezione sì, ma non era quello il suo stato normale: come lo stato d’infanzia non è lo stato ordinario dell’uomo. Gesù permise per un tratto di tempo, che la Chiesa fosse piccola, nascosta, perseguitata, perché ognuno comprendesse che se ciò non ostante essa si stabiliva, si propagava, non era opera umana la sua fondazione, e così ognuno vi riconoscesse il braccio divino: ma passato quel tempo e somministrata quella prova alla nostra durezza, intenzione divina era che la S. Chiesa prevalesse e si rendesse cospicua a tutto l’universo, perché potesse spargere da per tutto la sua luce ed attrarre a sé tutti gli sguardi e conquidere i cuori di tutti gli uomini. Voleva adunque che fosse molto illustre anche per esterno decoro, mentre questa sua esterna grandezza doveva servire ad attirarle un maggior numero di figliuoli, e quindi quel lustro esterno non era di utile ai Pastori principalmente, ma bensì ai fedeli. – Così lo dimostrano tutte le profezie, che parlano della Chiesa, come di un gran regno, che si stenderà da un capo all’altro della terra, come altrove vi ho detto. Così ce lo significa lo stesso Gesù il quale gettò i primi semi di questa grandezza, col possedere che Egli fece in comune con gli Apostoli quel denaro che gli veniva fornito dai suoi fedeli, come si raccoglie dal santo Vangelo, il quale racconta che Giuda appunto era quello che li conservava presso di sé. Poi gli stessi Apostoli disponevano di grandi somme, come si ritrae dalla necessità in cui furono di eleggere sette Diaconi che le amministrassero a dovere. I Romani Pontefici successori di quelli erano nella stessa condizione, come si ricava dalle restituzioni che Costantino Imperatore fece fare alla Chiesa di molti denari rubati già prima dei suoi tempi dai suoi antecessori. S. Gregorio Magno nelle sue lettere fa vedere chiaramente di quali beni egli potesse disporre in Roma, in Sicilia ed altrove: sicché voi potete conchiudere che la Chiesa nacque col diritto di possedere come qualunque società; ed infatti ebbe subito ricchezze da disporre. Ma pazienza se la Chiesa se ne servisse per i poveri, ma impiegare quelle somme nel lusso, ohibò! Questa bella ragione del lusso fu tratta fuori la prima volta sapete da chi? Da Giuda, il quale trovò che la Maddalena aveva con troppo lusso impiegato un gran vaso di unguento prezioso intorno a Gesù, mentre si poteva adoprarne meglio il prezzo in vantaggio dei poverelli. E come fu adoperata contro Gesù, così fu poi spesso spesso messa in campo contro la sposa di Gesù Cristo la S. Chiesa. Gesù Cristo però non menò molto buona al perfido quella ragione ed anzi lodò la Maddalena di quel lusso come di un’opera molto santa, che essa aveva fatto: ed il somigliante vuol dirsi di quel decoro, che adoprano i Pastori di S. Chiesa che costoro riguardano come lusso. Imperocché come si adornano con gran magnificenza i Sacri Tempi, perché il lustro esterno c’innalzi la mente a Dio ed aiuti la nostra pietà e serva alla nostra divozione; così la S. Chiesa approva il lustro esterno dei sacri Pastori perché quell’esterna magnificenza ci dia un qualche concetto della stragrande autorità di cui essi sono investiti da Gesù Cristo e della riverenza che perciò loro si debba. I Principi della terra per dimostrare la loro potenza e dignità si valgono di ogni mezzo, impiegano a loro servizio gran numero di ministri, abitano palagi sontuosi e spiegano una somma magnificenza; ed i Prelati di S. Chiesa che hanno un autorità tanto più eccelsa di quella dei Monarchi terreni, quanto lo spirito eccede il corpo, non dovranno darlo a conoscere in nessun modo? Oppure si dovrà stimare una vanità quello che ritorna a gloria di Gesù, che ha dato tal potere agli uomini, ad onore della S. Chiesa che è stata fatta sì grande, ed a vantaggio dei fedeli i quali sono condotti perciò più soavemente da quella maestà esteriore a riverire ed ossequiare ed a sottomettersi all’autorità del Pontefice e dei Prelati? E che! Nell’antica legge non fu Dio stesso, il quale prescrisse ornamenti di immenso pregio al sommo Sacerdote ed ai Leviti? – Il trono però non sarebbe necessario al Sommo Pontefice, replicano i Protestanti. Ebbene fingete che non sia necessario: dunque per questo sarebbe un male? Tante cose non sono necessarie, che però non è male il farle. Che ripugnanza vi ha ad unire insieme queste due qualità di Principe e di Pontefice? Si sono riunite tante volte queste due dignità nell’antico popolo Giudaico, che fu la figura del popolo Cristiano, perché si dovrà adesso ritrovare in questo una ripugnanza? Ricordatevi anche dei Principi protestanti che sono Capi delle Chiese, contro cui nessuno però schiamazza, nessuno protesta. – Ma Gesù Cristo ha detto che il mio regno non è di questo mondo. Sì: ma perché i Protestanti che pretendono di aver presso di sé la vera Chiesa perché non si applicano questo testo; e perché sopportano dei Capi che sono Re o Regine? La verità è che queste parole di Gesù Cristo vogliono significare tutt’altro da quel che fanno dir loro tutti questi maestri d’ iniquità che v’imbecherano tutto giorno. Queste parole vogliono significare che Gesù Cristo, tuttoché sia Re universale di tutti gli uomini, tuttavia non si propose per fine di stabilire qui sulla terra un regno temporale nel quale egli reggesse gli uomini, come fanno i monarchi terreni: ma bensì che il suo intendimento quaggiù fu d’indirizzare tutti gli uomini a costituire quel gran Regno che avrà il suo pieno atto e compimento nel cielo, e che perciò è detto tante volte nel Vangelo il Regno dei cieli. Se queste parole s’intendono diversamente, riescono ad esprimere una bestemmia contro di Gesù; perché verrebbero a significare che Gesù non ebbe suprema potestà sopra tutti gli uomini, e che non può regnare sopra di essi anche quaggiù. Ora chi non sa che Gesù è uomo-Dio, ed in quanto è Dio è padrone di tutte le cose, in quanto è uomo ha ricevuto ogni cosa dal suo Padre, il quale tutto pose nelle sue mani, come parla il Vangelo (Joan. III, 35)? Adunque quando Gesù dice che il suo regno non è di questo mondo, non vuol dir altro se non se che Egli, sebbene padrone assoluto di tutti, non è venuto per fondare un regno temporale in cui regnare alla maniera degli altri Monarchi, come credevano molti Giudei ed anche i due Apostoli Giacomo e Giovanni, che perciò ambivano di sedere l’uno a destra, l’altro a sinistra di Gesù; ma che volle invece fondare una Monarchia spirituale che abbracciasse tutti i Fedeli, che Egli avrebbe poi accolto nel suo Regno spirituale e celeste dove se ne fossero resi degni. Ora che cosa fa il Sommo Pontefice? Continua l’opera stessa di Gesù, ordina tutti i membri di S. Chiesa, li regola, li sopravveglia, li ammaestra, li conferma, cioè costituisce i Vescovi, mantiene in tatto il deposito della Fede, definisce i dubbi dei Fedeli, che sono sparsi per tutto il mondo, e come è chiaro, non li indirizza a formare una Monarchia celeste e spirituale. Epperò può con tutto rigore dire anch’esso che il suo regno non è di questo mondo: se già qualcuno non giunge a tanto di stupidità da affermare che tutti i Cattolici dell’Universo siano sudditi temporali del Papa. – Né però questa qualità che egli ha di ordinatore dirò così del Regno spirituale di tutti i fedeli, toglie che egli possa essere anche ordinatore temporale di un piccolo stato qual è l’Ecclesiastico. Che anzi la sua immensa dignità lo rende più degno e lo fa più capace di bene amministrarlo: poiché sarà sempre, parlando generalmente, meno appassionato un Pontefice che un Monarca, e la scienza sacra della Religione di cui è fornito, gli gioverà sommamente eziandio per la temporale amministrazione. Tutto sta che a quel Trono egli vi abbia un qualche diritto legittimo. Ma il mettere anche solo in dubbio questo diritto del Papa al dominio temporale è il massimo assurdo che si possa immaginare, perché il Papa fu fatto Sovrano per spontanea sommissione che a lui fecero e Principi e popoli, perché la sua autorità è confermata dalla prescrizione di tanti secoli quanti non ne conta veruna Monarchia, perché è stato riconosciuto da tutti i Sovrani dell’universo ed anche da loro protetto. Se questi diritti non valgono, sbalzate pure da tutti i Troni quanti sono i Principi della terra, perché niuno ve ne ha che possa vantare diritti, che pareggino anche da lungi i diritti dei Romani Pontefici. Né niuno creda che l’avere da amministrare un Regno temporale, sia per nuocere all’amministrazione del Regno spirituale di tutta la Chiesa, perché è anzi tutto l’opposto. Che cosa ha da fare il Sommo Pontefice per indirizzare tutti alla beatitudine sempiterna? Risogna che possa parlare liberamente a tutti, a tutti annunziare le verità cristiane, tutti animare, tutti anche riprendere, minacciare e se sia necessario anche colpire con le debite pene. Se il Papa non ha le mani sciolte, come potrà fare a comandare liberamente? Ora fra le sue pecore conta anche i Principi, i Re, gl’Imperatori cristiani. Anche sopra di loro deve potere stendere la sua spirituale autorità ed ammonirli e consigliarli e riprenderli e se fa bisogno scomunicarli: se già non vogliamo dire che non siano più Cristiani e pecorelle di Gesù, perché sono costituiti in dignità. Ora come potrebbe il Papa esercitare tutti questi suoi inalienabili diritti sopra tali personaggi, se non fosse indipendente da loro? E come potrebbe essere indipendente da loro se fosse loro suddito? se essi gli potessero metter le mani addosso ed incarcerarlo e violentarlo ogni momento? Vi ricorderete certo di quando il S. Padre stava a Gaeta nel quarantanove. Che cosa dicevano tutti gli scellerati allora? Dicevano che quel che Egli stabiliva e decretava non era ordinazione sua, ma bensì del Re di Napoli, nel cui dominio egli stava: e da ciò pigliavano pretesto di non obbedirgli. Eppure ognuno sa che Egli era in pienissima libertà di costituire tutto quel che voleva senza che niuno gli facesse ostacolo. Altrettanto direbbero al presente, se fosse suddito temporale di qualche Monarca. Ed i Principi stessi sarebbero spesso tentati a dinegargli la debita sommissione. Imperocché qual Sovrano che l’avesse suo suddito, soffrirebbe poi di ricevere da Lui gli ordini nelle cose spirituali, specialmente quando questi gli fossero molesti? Se Egli poi fosse suddito temporale per esempio dell’Austria, gli obbedirebbe volentieri la Francia? Se fosse suddito temporale della Francia, gli obbedirebbe volentieri l’Austria? Chi conosce le cose del mondo non penerà a vedere quanto sarebbe difficile. Laddove essendo Egli stesso Sovrano, niuno può scusarsi col dire, o che gli manchi la libertà d’ordinare, o che ordini per altrui insinuazione. Nel che è mirabilissima la divina Provvidenza, la quale pel bene di Santa Chiesa, per la quiete dei Fedeli, e per l’accrescimento del Regno di Gesù, ha disposto che egli abbia un Regno non sì vasto che lo occupi soverchiamente, non sì piccolo che non lo renda augusto e venerando a tutto l’orbe, e bastevole però a mantenergli la necessaria libertà. – Da tutto ciò finalmente alcuni conchiudono, che dunque la S. Chiesa non potrebbe reggere senza l’umana potestà. A questa sciocca illazione io risponderò con una similitudine. La S. Chiesa non può reggere senza un qualche mezzo, come non può reggere la vita dell’uomo senza qualche cibo. Or come al presente ha destinato Iddio che sia il pane nostro cibo comune, così noi lodiamo la sua Provvidenza che ce lo manda. Similmente avendo Iddio per ora destinato che sia il Trono che mantenga al Pontefice la libertà necessaria a reggere la Chiesa, così noi lo ringraziamo che mantenga nel Pontefice questo Trono che gli conserva la libertà. Ma e se questo venisse a mancare, che cosa ne nascerebbe? E se mancasse il pane agli uomini che cosa avverrebbe? Come Dio avrebbe infiniti mezzi nella sua sapienza ed onnipotenza per provvedere agli uomini il cibo senza del pane, così avrebbe infiniti mezzi per sostentare la Chiesa senza del Trono Pontificale. Come però sarebbe un iniquo chi non ammirasse e lodasse la bontà di Dio nel darci il pane ora che Egli ha voluto che questo sia il mezzo del nostro sostentamento: così sarebbe uno scellerato chi impugnasse l’autorità temporale ora che Dio l’ha scelta come mezzo per mantenere al suo Vicario la necessaria indipendenza e libertà. In una parola Iddio provvederebbe alla sua Chiesa con altri mezzi dove lo volesse e dove gli piacesse di togliere questo, perché  la Chiesa deve durare sino alla fine dei secoli; ma avendo scelto questo, a noi appartiene l’accogliere con ogni riverenza la sua volontà. – Per ultimo volete sapere chiaro il motivo per cui si scatenano tanto contro il dominio temporale del Romano Pontefice tutti i settari e tutti quelli che li imitano? Non è per zelo di povertà Evangelica, poiché, senza calunniarli, voi sapete che non sono i più devoti e più grandi amatori della virtù quelli che così declamano: ma è invece un desiderio furibondo di spiantare la Fede dalla terra quel che li muove. La Regia dignità di cui è accompagnato il Pontefice, gli dà un tal lustro, un tal decoro, che giova immensamente a scolpire negli uomini, che si governano coi sensi, il rispetto e la sommissione. Rispettato e riverito così, egli ha maggior efficacia a soddisfare coi popoli al suo gran debito di reggerli nello spirito. Ora come essi vorrebbero levargli ogni autorità se fosse possibile, così fanno la guerra ad un mezzo che gliela concilia. Adoperano lo stesso con tutti i Principi anche secolari. Li consigliano che per rendersi popolari si spoglino della maestà esteriore, perché spogliati di questa si diminuisca il concetto loro e sia più facile il fare le rivoluzioni e balzargli dai troni. Similmente se potessero ridurre il Papa ad essere come un Sacerdote privato, lo metterebbero a poco a poco in disprezzo alle moltitudini e con ciò avrebbero resi i popoli meno disposti ad inchinarsi alla sua spirituale autorità. – Ed ecco spiegato il motivo per cui con tanto fiele sparlano di lui, sino a fingere torcendo il collo amore all’evangelica povertà. Per questo non possono patire che venga onorato con tante mostre di ossequio, che i popoli si prostrino a lui dinanzi, che gli bacino il piede e somigliante. Per questo ripetono che egli non è altro che il primo Vescovo, che è un uomo siccome noi. È tutto un finissimo odio che portano alla S. Chiesa. Ora voi dovete rispondere a costoro che è il primo Vescovo non solo, ma che ha un’autorità verissima sopra tutti i Vescovi; che è uomo siccome noi, ma che ha una dignità che non abbiamo noi; che è un uomo sì, ma un uomo a cui Gesù Cristo eterna verità ha promessa la sua assistenza, perché non erri mai nell’insegnare la verità; è un uomo sì, ma sopra cui Gesù ha fondata la sua Chiesa; è un uomo sì, ma che ha in mano dategli da Gesù le chiavi del Regno dei cieli; è un uomo sì, ma che ha potestà di sciogliere e di legare qualunque cosa sopra la terra, protestando Gesù che Egli riconoscerà tutti gli atti che egli farà; è un uomo sì, ma è il centro, il capo, il vertice di tutta la Chiesa, e la voce per cui parla Gesù a tutti i Fedeli. – Se però gli baciamo il piede, noi non facciamo nulla che non sia di gran lunga inferiore a quello che gli dobbiamo. Imperocché non ci curviamo dinanzi a lui perché è uomo, ma perché è uomo rivestito di una divina autorità: e questa è per l’appunto quella che con tale ossequio noi vogliamo riconoscere. A quegli sventurati che non hanno altri occhi che quei del corpo e che dell’anima sono al tutto ciechi, potrà questa apparire troppa sommissione; ma a quelli che intendono dirittamente le cose, tutta quella sommissione parrà un nulla. Che cosa direste di una talpa che si lamentasse che non esiste il sole? Ah se tu avessi gli occhi che hanno le aquile lo vedresti. Dite il simile a costoro; perocché sono uomini carnali incapaci di sollevarsi fino a comprendere le celesti verità.

SALMI BIBLICI: “AD TE, DOMINI, LEVAVI ANIMAM MEAM” (XXIV)

SALMO 24: Ad te Domine, levavi animam meam …

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

SALMO XXIV

[1] In finem. Psalmus David.

   Ad te, Domine, levavi animam meam.

Deus meus, in te confido; non erubescam.

[2] Neque irrideant me inimici mei: etenim universi, qui sustinent te, non confundentur.

[3] Confundantur omnes iniqua agentes supervacue.

[4] Vias tuas, Domine, demonstra mihi, et semitas tuas edoce me.

[5] Dirige me in veritate tua, et doce me, quia tu es Deus salvator meus, et te sustinui tota die.

[6] Reminiscere miserationum tuarum, Domine, et misericordiarum tuarum quae a saeculo sunt.

[7] Delicta juventutis meæ, et ignorantias meas ne memineris.

[8] Secundum misericordiam tuam memento mei tu, propter bonitatem tuam, Domine.

[9] Dulcis et rectus Dominus; propter hoc legem dabit delinquentibus in via.

[10] Diriget mansuetos in judicio; docebit mites vias suas.

[11] Universæ viæ Domini, misericordia et veritas, requirentibus testamentum ejus et testimonia ejus.

[12] Propter nomen tuum, Domine, propitiaberis peccato meo; multum est enim.

[13] Quis est homo qui timet Dominum? legem statuit ei in via quam elegit.

[14] Anima ejus in bonis demorabitur; et semen ejus haereditabit terram.

[15] Firmamentum est Dominus timentibus eum; et testamentum ipsius ut manifestetur illis.

[16] Oculi mei semper ad Dominum, quoniam ipse evellet de laqueo pedes meos.

[17] Respice in me, et miserere mei; quia unicus et pauper sum ego.

[18] Tribulationes cordis mei multiplicatæ sunt; de necessitatibus meis erue me.

[19] Vide humilitatem meam et laborem meum, et dimitte universa delicta mea.

[20] Respice inimicos meos, quoniam multiplicati sunt, et odio iniquo oderunt me.

[21] Custodi animam meam, et erue me; non erubescam, quoniam speravi in te.

[22] Innocentes et recti adhæserunt mihi, quia sustinui te.

[23] Libera, Deus, Israel ex omnibus tribulationibus suis.S

[Vecchio Testamento secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da Mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXIV

Preghiera che gli incipienti nella giustizia fanno a Dio pel perdono dei peccati e per la grazia di vivere rettamente. È il primo salmo alfabetico, che ha tanti versetti quante lettere dell’alfabeto (22), cominciando il primo dalla prima lettera, il secondo dalla seconda, ecc.; forse per aiuto di memoria.

Per la fine, salmo di David.

1. A te, o Signore, innalzai l’anima mia. Dio mio, in te confido, non abbia io da arrossire;

2.Nè mi deridano i miei nemici; imperocché tutti coloro, che li aspettano, non rimarranno confusi.

3. Sieno confusi tutti coloro, che invano commettono l’iniquità.

4. Mostrami le tue vie, o Signore, e insegnami i tuoi sentieri.

5. Fa ch’io cammini nella tua verità, e ammaestrami; perché tu sei il Dio mio Salvatore, e te ho io aspettato tutto il giorno.

6. Ricordati di tue misericordie, o Signore, delle tue misericordie che furono nei secoli addietro.

7. Non ti ricordare dei delitti di mia giovinezza, né delle mie ignoranze.

8. Secondo la tua misericordia, abbi memoria di me, o Signore, per la tua benignità.

9. Il Signore è buono e giusto; per questo ci darà ai peccatori la legge della via da tenere.

10. Condurrà gli umili alla giustizia; insegnerà le sue vie ai mansueti.

11. Tutte le vie del Signore (sono) misericordia e verità por coloro che cercano il testamento di lui e i suoi comandamenti

12. Pel nome tuo, o Signore, tu perdonerai il mio peccato; perché egli è grande.

13. Che uomo è quello che teme il Signore? (Dio) ha data a lui la legge della via, ch’egli elesse.

14. L’anima di lui sarà nella copia dei beni e la stirpe di lui avrà in retaggio la terra.

15. Il Signore è sostegno di coloro che lo temono; e il testamento di lui è per essere ad essi manifestato.

16. Gli occhi miei sempre rivolti al Signore, perché Egli trarrà dal laccio i miei piedi.

17. A me volgi il tuo sguardo, e abbi pietà di me, perché io son solo e son povero.

18. Le tribolazioni del mio cuore sono moltiplicate; tu mi libera dai miei affanni.

19. Mira la mia abiezione e le mie pene, e perdona tutti i miei peccati.

20. Pon mente ai miei nemici, come son molti di numero e ingiustamente mi odiano.

21. Custodisci l’anima mia, e dammi salute: non abbia io da arrossire perché ho sperato in te.

22. Gli innocenti e quelli di retto cuore si sono uniti con me, perché io ti ho aspettato.

23. O Dio, libera Israele da tutte le sue afflizioni.

Sommario analitico

Questo salmo è una preghiera composta da Davide quando era in preda ai molteplici sforzi dei suoi nemici per perderlo. Gli si può assegnare l’epoca della persecuzione di Saul o meglio ancora, quella di Assalonne. Egli era allora un oggetto di derisione per i suoi nemici, non sapeva dove rifugiarsi e si rimproverava i gravi peccati ai quali fa sovente allusione. Infine ricorda l’umiliazione alla quale è ridotto, la moltitudine dei suoi nemici ed i soggetti fedeli che si erano legati a lui, e prega Dio perché il suo popolo, in previsione degli orrori della guerra civile, sia liberato da tutte le persecuzioni. Nel senso allegorico si può applicare questo salmo a Gesù Cristo che parla in nome e nella persona della Chiesa; è la preghiera di ogni anima penitente in cui il regno di Gesù Cristo non è ancora pienamente stabilito e chiede a Dio di essere diretta nella via che conduce al cielo.

I. – Davide domanda a Dio di fargli conoscere la via nella quale debba camminare: 1) dove egli si sforza di entrare elevando la sua anima a Dio, e mettendo in Lui la sua fiducia, al punto da non dover arrossire e di non essere più oggetto di derisione per i suoi nemici e non essere confuso come tutti coloro che commettono il male senza soggezione (1-3); 2) ove egli prega Dio per essere aiutato con potenza: – a) facendogli conoscere la via dei suoi precetti ed il sentiero dei suoi consigli, dirigendolo Egli stesso in questa via (4), perché Dio è verità e non può ingannare né ingannarsi – b) perché Egli è un Dio salvatore che con il suo sangue ci ha aperto la via che conduce al cielo, – c) perché Egli ama coloro che sperano in Lui ed attendono pazientemente il suo soccorso (5); 3) nell’alleggerirlo del fardello che ritarderebbe la sua marcia, cioè rimettendogli i peccati commessi durante la sua giovinezza e per ignoranza (6, 7).

II. – Dopo aver chiesto a Dio di fargli conoscere la via che conduce a Lui, Davide si eleva più in alto e, contemplando Dio da vicino, invita tutti gli uomini ad avvicinarsi a lui: – 1) egli mostra al termine della via Dio come un vero padre pieno di dolcezza e giusto rimuneratore dei meriti; – 2) presenta la legge che Dio dà: – a) come un maestro che riprende e corregge i peccatori, – b) come una guida sicura che conduce i penitenti, – c) come un dottore che istruisce le anime umili, i perfetti (9, 10); 3) egli descrive questa via nella quale Dio ci impegna e ci conduce, essendo pieno di misericordia e di verità (4); 4) egli enumera i vantaggi ed i frutti che raccolgono coloro che camminano in questa via: – a) il perdono accordato ai peccatori, per la gloria del nome del Dio Salvatore (12); – b) per i veri penitenti, la considerazione continua della legge di Dio (14); – c) l’accrescimento delle virtù, « la sua anima riposerà in mezzo ai beni »; – d) la salvezza dei loro figli e della loro posterità; – e) per i perfetti, una forza granitica, e la manifestazione di Dio (15).

III. – Davide deplora gli impedimenti che lo tengono prigioniero sulla terra e chiede a Dio di esserne liberato: 1) eleva gli occhi a Dio, suo liberatore, e nutre la più viva speranza della sua liberazione (16); 2) non contento di elevare gli occhi, egli apre la bocca ed implora il soccorso divino e presenta a Dio diverse ragioni in appoggio alla sua preghiera: – a) egli è destituito di ogni soccorso e nell’estrema indigenza (17), – b) è nella più grande afflizione (17), – c) è ridotto ad una eccessiva umiliazione; conclude domandando a Dio di essere liberato dalle insidie ove i suoi peccati lo hanno condotto (18); 3) egli ricorda a Dio la moltitudine dei suoi nemici, il loro odio accanito contro di lui e gli chiede di salvare la sua anima, il suo corpo e la sua reputazione contro i loro sforzi uniti, perché egli ha sperato in Dio (20); 4) egli ricorda la fedeltà e l’attaccamento delle persone dabbene alla sua causa, e prega Dio di salvare il suo popolo da tutte le sue tribolazioni (21, 22).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1- 7.

ff. 1, 2, 3. – « Signore, io ho elevato la mia anima verso di Voi, per un desiderio spirituale, essa che era prima ricacciata in terra dai desideri carnali » (S. Agost.). – Primo atto, prima condizione della preghiera, è elevare a Dio la nostra anima forzatamente abbassata, depressa verso la terra per tutto ciò che la circonda. « Il corpo che si corrompe appesantisce l’anima, e questa abitazione terrestre abbatte lo spirito che vuole elevarsi a pensieri più alti » (Sap. IX, 15). – « Esaminiamo le nostre vie, interroghiamole e torniamo al Signore. Leviamo verso Dio che è nei cieli i nostri cuori e le nostre mani » (Lam. III, 40), vale a dire le nostre affezioni con le nostre opere. – Verso chi il Re-Profeta eleva la sua anima? verso Dio! Non è verso i grandi, i potenti della terra. Troppo spesso noi crediamo di poter loro indirizzare le nostre voci, le nostre speranze, le nostre preghiere, le nostre sollecitazioni. Qual frutto ne raccogliamo se non il conoscere per esperienza le volontà cangianti, le parole ingannevoli, le diverse facce dei tempi, le delusioni delle promesse, l’illusione delle amicizie terrene che se ne vanno con gli anni e gli interessi? (Bossuet). – Niente di simile è da temere riponendo tutta la propria fiducia in Dio. « Considerate, figli miei, la moltitudine degli uomini, e sappiate che nessuno di quelli che hanno sperato nel Signore è rimasto confuso » (Eccli. II, 11). – C’è per Dio come per ogni fedele una specie di punto di onore acciocché i loro nemici comuni non rendano la preghiera impotente. – Mio Dio, la fiducia che avevo in me stesso mi ha fatto cadere nelle debolezze della carne; abbandonando Dio, io ho voluto essere come Dio, e temendo allora che il più piccolo degli animali mi desse la morte, ho arrossito a causa degli scherni meritati dal mio orgoglio. Ma ora io rimetto la mia fiducia in Voi, e non devo più arrossire (S. Agost. Su questo Salmo). – Falsa delicatezza di un’anima convertita da poco tempo, è l’apprendere le beffe dei peccatori che sono i suoi nemici più irriducibili. – Occorre porsi al di sopra di questa debolezza, persuadendosi bene che il genio del mondo è quello di beffarsi di ciò che non comprende e che non ama e di ciò che non vuole imitare, di irritarsi per quello che crediamo ed insegniamo dei giudizi di Dio, del suo continuo intervento, della maniera calma con cui rende i suoi giudizi, della lentezza con la quale esegue le sue sentenze. – Tutta le scienza della vita spirituale si condensa in questa espressione; « sospirare verso il Signore », mai disperare del suo soccorso, pazientare nelle attese, perché Egli conosce al meglio i tempi più opportuni per soccorrerci, profittando dei suoi ritardi per umiliarci. La confusione sarà il risultato di coloro che commettono l’iniquità, che insultano la virtù, la religione, la pietà, portandosi fino alla derisione, che è l’ultimo eccesso e come il trionfo dell’orgoglio, ed è parte di quei beffardi il cui giudizio è così prossimo, secondo la parola del saggio (Prov. XIX, 24).

ff. 4, 5. –  «Insegnatemi non le vie larghe che conducono la moltitudine a perdersi, ma gli stretti sentieri, che solo pochi uomini conoscono » (S. Agost.). –Le vie sono i mezzi necessari, i mezzi generali e comuni, cioè la via dei Comandamenti; i sentieri sono come le vocazioni speciali, le vie dei consigli. – Ciascuno di noi ha la sua vocazione, il suo sentiero particolare; non ci sono mai state due vocazioni precisamente identiche dall’inizio del mondo, e non se ne troveranno mai da qui fino al giorno del giudizio. Poco importa quale sia la nostra posizione nella vita, poco importa quanto dei nostri doveri possa sembrare ordinario, poco importa l’aspetto volgare di un’esistenza comune: ciascuno di noi, segretamente, ha questa grande vocazione. Posto questo, occorre ammettere che tutta la vita spirituale va all’avventura, se non è basata sulla conoscenza di questa vocazione o sugli sforzi da fare per scoprirla. Questa vocazione, qualunque essa sia, è la volontà di Dio su di noi; Egli può volere che essa non ci sia pienamente conosciuta, ma vuole però che tentiamo di scoprirla. La santità consiste semplicemente in due cose che sono entrambe uno sforzo: lo sforzo di conoscere la volontà di Dio, e lo sforzo di compierla una volta conosciuta (Faber. Conf. spirit. vocal. speci.). – Bisogna chiedere al più presto a Dio che ci faccia conoscere le sue vie, e che ce le insegni Egli stesso. – I sentieri sono strade strette; è poco conoscere le vie di Dio se non vi si cammina; è poco che Dio ce le insegni, a meno che non ci conduca Egli stesso. Privilegio delle nuova legge è « essere istruiti in tutto da Dio » (Giov VI, 40), essere istruiti non solo della lettera morta e i suoi Comandamenti, ma essere toccati dalla voce interiore ed onnipotente del suo Spirito (Duguet). – Essere condotto dalla verità di Dio, essere istruito nella verità da Colui che non ha detto solamente agli uomini come gli altri maestri: Venite a me, io ho la verità, bensì « Io sono la verità ». Gli altri uomini vogliono dirigerci secondo i loro interessi, le loro idee, le loro inclinazioni, le loro passioni; Dio come nostro Dio, Dio come nostro Salvatore non può dirigerci che secondo le regole della sua eterna Verità. – « Io sono la via, la verità e la vita, la via per la quale bisogna camminare, la verità verso la quale bisogna tendere, la vita nella quale bisogna perseverare; Io sono la via esente dall’errore, la verità pura da ogni menzogna, la vita al riparo dalla morte; Io sono la via nei miei esempi, la verità nelle mie promesse, la vita nelle mie ricompense; Io sono la via sicura, la verità irrevocabile, la vita senza fine; Io sono la via larga e spaziosa, la verità potente ed abbondante, la vita piena di gioia e di gloria » (S. Bern. Sermon. VI, in cæna).

ff. 6, 7. –  L’oblio non può esistere in Dio, la sua misericordia è sempre attiva; essa è antica quanto l’esistenza del male, risale all’inizio dei secoli, copre la terra come gli acque coprono il fondo del mare. Una delle nostre gioie più dolci è sapere che la sua sovrabbondanza sfugge ai nostri sguardi e che non possiamo comprenderla. – Quando, colpiti come siamo in tutte le facoltà della nostra anima, esauriti nelle forze da ferite così profonde, ci sentiamo attaccati da violente tentazioni, soccombenti sotto i piedi delle opposte cupidigie, esposti alle cadute alle debolezze che ci fanno gemere, noi crediamo qualche volta di essere dimenticati da Dio. Ma Dio è la, vicino a noi, la sua misericordia plana su di noi e ci copre con le sue ali (S. Agost. Conf. 1. III, c. III), essa ci sostiene nei nostri combattimenti e nelle nostre cadute. Essa protegge ancora questo cuore da cui Dio si ritira, con i ricordi che si degna di lasciarci, con l’adorabile facilità del suo ritorno, con questa profusione di clemenza che l’anima cristiana sa riconoscere fin nelle punizioni che lo colpiscono, sia per punirlo dei suoi peccati, sia per svegliarlo dal suo torpore. – Occorre pregare Dio di ricordarsi sempre delle sue misericordie, di dimenticarsi dei nostri peccati, ma soprattutto dei peccati di questa età in cui l’uomo sente, più vivamente che in ogni altra, la legge che combatte contro la legge dello spirito, e che lo tiene schiavo sotto la legge del peccato che è nelle sue membra (Rom. VII, 23); … di questa età in cui l’ardore, l’impazienza, l’impetuosità dei desideri, la forza, il vigore, il sangue caldo e ribollente, simile ad un vino fumante, che non permettendo nulla di stantio e di moderato; di questa età in cui tutto si fa con un calore sconsiderato, che si compiace del movimento e del disordine, che non è quasi mai in un’azione composta, che non ha onta che della moderazione e del pudore (Bossuet, Paneg. de S. Barn.); di questa età scossa da tentazioni numerose e terribili, battuta di volta in volta da tutte le tempeste delle passioni con una incredibile violenza, presumendo delle sue forze, mettendo tutta la sua felicità, tutta la sua gloria nel vedere il mondo e ad esserne visto, correndo con furore dietro alle false voluttà, allo splendore delle dignità menzognere o all’attrazione delle false voluttà (S. Agost.). – Sembra che Davide avrebbe voluto dire: ricordatevi di tutte le mie ignoranze che, dal momento che mi devono servire da scusante presso di Voi, è mio interesse che ne conserviate la memoria. È così che ne parla? No, ma dice a Dio: dimenticatele, cancellatele da questo libro terribile che voi produrrete contro di me quando verrete a giudicarmi (Bourdal, Aveug. Spir.). – Le ignoranze della nostra giovinezza o della nostra infanzia, possono ben diminuire la gravità delle nostre colpe, ma non rendere tuttavia la nostra condotta esente da ogni colpa. – Lo stato di ignoranza è senza dubbio quello che oppone l’ostacolo minore ai disegni e all’azione della misericordia divina, purché questa ignoranza non accheti ogni desiderio di verità, e non sia il frutto di qualche cattiva passione. – C’è sempre ignoranza nel peccato, anche nel peccato che è da condannare più duramente, come è il crimine di deicidio, del quale Gesù Cristo diceva: « Padre, perdonate loro, perché non sanno quello che fanno ». Nessuno può volere il male così come tale, perché l’oggetto della volontà non può essere che il bene. Coloro dunque che scelgono il male, lo scelgono sempre in tanto che esso si presenta al loro spirito sotto l’apparenza del bene (Bellar. Le sette parole). – Vi sono due tipi di ignoranza, l’una che viene dalla debolezza e dall’incapacità naturale di intendere ciò che potrebbe essere utile; l’altra è uno spirito ingegnoso nell’ingannare se stesso, avendo la luce sufficiente per comprendere ciò che sia necessario alla salvezza, ma il cui cuore corrotto non può soffrire la rettitudine della Verità che gli comanda di separarsi da ciò che egli ama. Tali spiriti amano la luce della Verità, ma non possono soffrire queste censure. Essa piace loro quando la si scopre, perché è bella; cominciano però ad urtarsi quando scoprono che esse stesse sono deformi. (S. Agost. De la correct, et de la grace).

II. — 8-15.

ff. 8-10. –  « Ricordatevi di me secondo la vostra misericordia », non secondo la collera della quale sono degno, ma secondo la misericordia che è degna di voi, « a causa della vostra bontà, e non a causa dei miei meriti » (S. Agost.). – Il Signore è dolce, perché Egli ha pietà dei peccatori al punto da favorirli con tutte le sue grazie; ma nello stesso tempo Egli è giusto e retto, perché dopo il dono misericordioso della vocazione e del perdono, grazie che essi non avevano potuto meritare, Egli esigerà da loro dei meriti degni del giudizio che Egli eserciterà nell’ultimo giorno (S. Agost.). – La bontà di Dio fa sì che Egli perdoni facilmente: la rettitudine fornisce ai peccatori i mezzi per rientrare nei diritti della giustizia. – Egli è dolce dando gratuitamente la sua grazia, ed è retto nell’esigere il buon uso della grazia che Egli dona; Egli è dolce perché non vuole che noi periamo, Egli è retto perché non dimentica di punirci. Egli è dolce perché è come una madre, è retto perché è come un padre. Egli è dolce per il nostro cuore, è retto per la nostra intelligenza. Egli è dolce perché è la nostra vita, è retto perché è la nostra via. (Hug. Card.). – Mai si devono separare questi due attributi che devono essere presenti nel cuore sia dei giusti che dei peccatori. La sola vista della bontà è capace di portare i peccatori all’impenitenza ed i giusti al rilassamento. La vista della sola giustizia è capace di precipitare gli uni nella disperazione e di diminuire l’umile confidenza negli altri (Dug.). – « Egli dirigerà coloro che sono docili: Egli insegnerà le sue vie a coloro che sono docili », non a coloro che vogliono correre da se stessi in avanti, come se fossero capaci di dirigersi meglio, ma a coloro che non alzano con fierezza la testa e che non si lamentano affatto quando si impone loro un giogo che è pieno di dolcezza ed un fardello che è leggero (S. Agost.). – Dio solo è il maestro dei cuori; Egli ha formato lo spirito ed il cuore dell’uomo, Egli conosce il modo per arrivare a loro, e dirigerli, raddolcirli, ed operare metamorfosi. Egli possiede mezzi all’infinito; ma per essere istruiti da Dio, e fare in modo che divenga efficacemente il nostro maestro, occorre che non abbiamo né orgoglio, né indocilità di cuore. Dio non si rivela che alle anime umili, che il Profeta chiama dolci, perché l’umiltà e la dolcezza sono virtù inseparabili l’una dall’altra.

ff. 11. – Quali vie insegnerà loro se non quella della sua misericordia, che fa che si pieghi facilmente, e quella della sua verità, che fa che Egli sia incorruttibile. Egli ci ha mostrato l’una, perdonando i nostri peccati; Egli ci mostrerà l’altra, giudicando i nostri meriti (S. Agost.). – Se ci sono delle ombre nelle condotte misteriose della Provvidenza di Dio, ci sono anche delle luci; se il velo non può togliersi interamente, Egli può nondimeno dischiuderlo e mostrare a quelli che cercano con ardore di conoscere la legge divina che le vie di Dio sono tutte piene di misericordia e di verità. È a questi che Egli dà a vedere in tutta la sua condotta una economia ammirabile ed una mescolanza tutta divina di questa giustizia e di questa misericordia che Egli esercita sugli uomini, proporzionando i mali ed i beni di questa vita ai disegni di misericordia o di giustizia che ha su di essi.

ff. 12-14. –  L’enormità e la moltitudine dei peccati per coloro che ne hanno un vero pentimento, sono una ragione per sperarne il perdono. Il nome di Dio non è mai tanto glorificato se non con l’esercizio e la manifestazione di questa grande misericordia. « A causa del suo nome » e qual è questo Nome? Il Nome di Gesù. « Voi Gli darete il nome di Gesù, cioè Salvatore, perché è Lui che salverà il suo popolo dai suoi peccati » (Matt. I, 21). – Altri hanno portato questo nome per aver liberato il popolo da una lunga prigionia, o dai pericoli della guerra, o dagli orrori della carestia. Ogni lingua deve confessare che questi è un Salvatore a miglior titolo, perché non viene per salvarci come gli altri, dalle pene o da qualche conseguenza di peccato; Egli viene a salvarci dal peccato stesso, ed estirpando il male fin dalla radice, è il vero liberatore ed il Salvatore per eccellenza (Bossuet, III Serm. Circ.). – « Chi è che teme il Signore »? Domanda giusta e fondata, ma terribile. In effetti ce n’è pochi che hanno veramente questo timore salutare! « Felice l’uomo che ha ricevuto il dono del timor di Dio! Colui che lo possiede a chi sarà comparato? » (Eccli. XXV, 25). – Questa via che l’uomo che teme Dio ha scelto, è lo stato particolare della vita al quale si è determinato, la vocazione speciale alla quale egli ha risposto, il genere di perfezione che ha abbracciato. – Ovunque arrivi, sarà felice, ed i suoi figli gioiranno della medesima gioia, sia in questa vita, sia nell’altra. – Il timore sembra riservato ai deboli e sembra essere l’appannaggio delle persone timide; ma il timore del Signore rende più forti, perché il Signore è il fermo appoggio di quelli che Lo temono (S. Agost.). – Si può essere anche molto versati nella scienza divina, si può aver approfondite le questioni più elevate della teologia, e ciò nondimeno essere lontani da Dio e conoscere molto poco della sua santa legge, di questa conoscenza viva e pratica come la ebbero i Santi che, sotto la guida e la scuola di Dio stesso, ne scoprirono rapporti sconosciuti ai sapienti.

ff. 16-22. –  « I miei occhi sono sempre al Signore; perché Egli liberi i miei piedi dalle reti e dalle trappole ». Sei caduto nelle reti delle avversità? Oh! Non guardare la tua disavventura, né le trappole in cui sei finito; guarda Dio e lascialo fare, Egli avrà cura di te; « … poni il tuo pensiero su di Lui, ed Egli ti nutrirà ». Perché tu vuoi immischiarti nel volere o non volere gli avvenimenti e gli accidenti del mondo? tu non sai ciò che devi volere, e quel che Dio vorrà per te, sempre a tuo vantaggio, e tutto ciò che tu potrai volere senza che ti metta in pena? (S. Franc. De Sales. Tratt. dell’am. di Dio, IX, c. XV). – « Gli occhi del Profeta non si volgono per contemplare ed ammirare il vano spettacolo delle cose nuove; essi non si fermano a considerare la bellezza dei corpi, scoglio frequente del pudore; essi non si lasciano prendere dal lavorio ricercato degli abiti preziosi, dal candore temperato dell’argento, dallo splendore seducente dell’oro, dal vano brillare delle pietre, etc.; ma, in mezzo a tutte queste opere magnifiche, essi si levano fino all’Autore di tutte queste meraviglie » (S. Ilar. Su questo Sal.). – Guardiamo sempre Dio come l’unico dal quale si attende il soccorso. Con questo sguardo, non c’è nessuna trappola da cui non potersi liberare. – Questo è il modello della vera orazione mentale: non si tratta che di girare gli occhi dell’anima, cioè l’attenzione dello spirito e le affezioni della volontà, verso il Signore (Berthier). – Mezzo infallibile per attirare questo sguardo favorevole di Dio, è il riconoscere la propria povertà, il proprio niente, la propria indigenza, la propria debolezza, la propria impotenza per ogni tipo di bene (Dug.). – Io alzo gli occhi verso di Voi, abbassate il vostro sguardo su di me per la vostra misericordia. Il mio dovere è quello di amarvi, a Voi il salvarmi! « Perché io sono solo, unico », conservando l’unità della vostra Chiesa che è unica, che nessuno scisma, nessuna eresia mi possano raggiungere, perseverando nell’unità della fede, della speranza e della carità; perché io sono il vostro povero, che non cerca al di sopra di Voi né l’oro, né l’argento, né i possedimenti, né le ricchezze. Io non mi presumo, non sono gonfio dei miei meriti, ma sono dolce ed umile di cuore e che non cerca nulla se non Voi. Gettate dunque gli sguardi su questo povero solitario ed abbiate pietà di lui (Ruffin, sul salmo). – Siamo ridotti a necessità spirituali, anche dopo che i nostri peccati siano stati perdonati: ancora abbattuti da mortali e perniciosi languori; feriti in tutte le facoltà della nostra anima, svuotati di forze da queste profonde lesioni, noi non facciamo che vani sforzi. Abbiamo mai preso una generosa risoluzione il cui effetto non ci abbia ben presto smentito? Abbiamo mai avuto un buon pensiero che non sia stato contrariato da qualche cattivo desiderio? Abbiamo mai iniziato una azione virtuosa in cui il peccato non si sia come messo di traverso? Si mescolano quasi sempre certi compiacimenti che vengono dall’amor proprio, e tanti altri peccati sconosciuti che si nascondono nelle pieghe della nostra coscienza, che è un abisso senza fondo, impenetrabile a noi stessi (Bossuet, Conc. de la S.te V.). – « Maledetto l’uomo che io sono, chi mi libererà da questo corpo di morte »? la grazia di Dio, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, che solo ci salva dai peccati, rimettendo quelli commessi ed aiutandoci a non commetterne più, conducendoci alla vita ove non se ne possono più commettere (S. Agost.). – Indirizziamoci a Lui: « Vedete le mie umiliazioni e la mia pena, etc. », c’è una moltitudine spaventosa di nemici che ci circondano e che vogliono perderci. – Di tutti i nemici che ci attaccano, quelli della salvezza sono i più accaniti, i più protervi; l’odio che ci portano è oltremodo ingiusto, perché essi non possono trovare nella nostra perdita altra soddisfazione che la maligna gioia che viene ai malvagi nell’avere dei complici, dei compagni dei loro errori e dei loro tormenti. – Moltitudine non meno grande è quella dei nemici interiori, delle nostre passioni, delle nostre cattive inclinazioni, etc. – Gli innocenti ed i giusti non si congiungono a me con una presenza corporea, come i malvagi; ma essi si legano a me mediante l’accordo intimo dei cuori, fondato sull’innocenza e la giustizia, e questo perché io non sono portato ad imitare i malvagi, ma vi sono rimasto fedele, aspettando la separazione che farete del grano dalla pula nella vostra ultima mietitura (S. Agost.).

SALMI BIBLICI: “DOMINI EST TERRA, ET PLENITUDO EJUS” (XXIII)

SALMO 23: “DOMINI EST TERRA et … plenitudo ejus”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR RUE DELAMMIE, 13

1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

PSALMUS XXIII

[1] Prima sabbati. Psalmus David.

   Domini est terra, et plenitudo ejus;

orbis terrarum, et universi qui habitant in eo.

[2] Quia ipse super maria fundavit eum, et super flumina praeparavit eum.

[3] Quis ascendet in montem Domini? aut quis stabit in loco sancto ejus?

[4] Innocens manibus et mundo corde, qui non accepit in vano animam suam, nec juravit in dolo proximo suo.

[5] Hic accipiet benedictionem a Domino, et misericordiam a Deo salutari suo.

[6] Hæc est generatio quærentium eum, quærentium faciem Dei Jacob.

[7] Attollite portas, principes, vestras, et elevamini, portæ æternales, et introibit rex gloriæ.

[8] Quis est iste rex gloriæ? Dominus fortis et potens, Dominus potens in prælio.

[9] Attollite portas, principes, vestras, et elevamini, portæ æternales, et introibit rex gloriæ.

[10] Quis est iste rex gloriæ? Dominus virtutum ipse est rex gloriæ.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXIII

Il salmo è sulla ascensione di Cristo. I Greci hanno aggiunto il titolo: pel primo giorno della settimana, forse perché si cantava in quel giorno (che noi diciamo domenica).

Salmo di Davidde pel primo giorno della settimana.

1. Del Signore ell’è la terra, e tutto quello che la riempie; il mondo, e tutti i suoi abitatori.

2. Imperocché egli la fondò superiore ai mari, e al di sopra dei fiumi la collocò.

3. Chi salirà al monte del Signore o chi starà nel suo santuario?

4. Colui che ha pure le mani e il cuore mondo, e non ha ricevuta invano l’anima sua, e non ha fatto giuramento al suo prossimo per ingannano.

5. Questi avrà benedizione dal Signore, e misericordia da Dio suo Salvatore.

6. Tale è la stirpe di coloro, che lo cercano, di coloro che cercano la faccia del Dio di Giacobbe.

7. Alzate, o principi, le vostre porle, e alzatevi voi, porte dell’eternità; ed entrerà il Re della gloria.

8. Chi è questo Re della gloria? il Signore forte e potente, il Signore potente nelle battaglie.

9. Alzate, o principi, le vostre porte, e alzatevi voi, porte dell’eternità; ed entrerà il Re della gloria.

10. Chi è questo Re della gloria? il Signore degli eserciti egli è il Re della gloria.

Sommario analitico

Davide in questo salmo che egli compose per il trasporto dell’arca dalla casa di Obededon alla montagna di Sion, descrive con linguaggio poetico l’Ascensione del Signore nell’alto dei Cieli e la sua entrata trionfale nel suo reame; nel senso spirituale, l’entrata di Gesù Cristo nelle anime mediante la sua grazia. Vi sono in questo salmo come tre parti che esprimono i tre regni di Dio: il suo regno nella natura, il suo regno nell’economia della grazia, il suo regno nella gloria. Il Re-Profeta dichiara che la gloria di cui è stato coronato Gesù Cristo nella sua Ascensione è dovuta a tre titoli:

I) – come Creatore e Padrone assoluto dell’universo:

1° della terra, di tutto ciò che essa contiene, e di tutti coloro che la abitano (1);

2° della stabilità della terra che Egli stesso ha fondato sui mari ed elevata al di sopra dei fiumi (2).

II) – In ragione della sua innocenza e della sua santità; dopo aver assegnato il termine del trionfo: il cielo che designa sotto il nome della montagna del Signore e del suo luogo santo (3), Egli indica le quattro virtù principali che sono come le quattro ruote del carro trionfale che Lo conducono verso il cielo:

1° l’innocenza delle opere;

2° la purezza del cuore;

3° il fervore dell’anima nella pratica di tutte le virtù;

4° la moderazione e la sincerità della lingua e dei discorsi (4).

Ecco colui che riceve la benedizione di Dio per sé, e la misericordia per i suoi membri, affinché essi cerchino il Signore, Lo amino e desiderino vederlo (5, 6).

III) – Come vincitore e trionfatore:

1) Egli descrive il santo giubilo degli Angeli e dei cittadini del cielo nel riceverlo (7); 2) descrive Se stesso trionfante, splendente di gloria, con davanti al carro i nemici sui quali ha trionfato e di cui si è coperto delle spoglie sottratte nel combattimento (8-10).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1, 2.

ff. 1. – « Al Signore appartiene la terra e quanto essa contiene ». – « O Israele – esclama il profeta Baruch – quanto è grande la casa di Dio, e quanto sono vasti i luoghi che possiede! Egli è grande, non ha fine; Egli è elevato, immenso » (III, 24). – Dopo che il chierico ha fatto la sua pubblica professione di fede nelle mani del Vescovo, ed ha scelto il Signore come sua parte, la Chiesa gli risponde ad alta voce con questo bel cantico di Davide, come se gli dicesse: « È con grande ragione che voi confidate in Dio; voi potete ben rimettervi nelle sue mani e contentarvi della vostra parte, perché il Signore che voi avete scelto come eredità, è il sovrano padrone della terra e di tutto quanto essa contiene (Olier, Traité des Saints Ordres). – « La terra è del Signore », nonostante gli uomini vogliano rendersene padroni. Egli dà a ciascuno di essi qualche porzione di questa terra, per coltivarla e raccoglierne i frutti, ed essi pretendono di esserne i proprietari assoluti. – Non contenti di quanto loro assegnato, cercano di impossessarsi della parte degli altri. – « Tutti quelli che abitano la terra sono del Signore », ed essi vogliono essere di se stessi, vivere per sé, non pensare che a sé, lavorare solo per sé (Duguet). –

ff. 2. – Gli uomini non costruiscono che sulla terra ferma; Dio ha stabilito i fondamenti dell’universo sui mari e sui fiumi, prova eclatante della sua onnipotenza, che ha fatto stabilire e riposare sulle acque la base ed il fondamento di una massa così prodigiosa come la massa della terra. – Egli non gli ha voluto dare altro fondamento che le acque, per far conoscere che essa dipende sempre da Lui nel suo appoggio, e far comprendere così a tutti gli uomini che essi dipendono dalla sua mano, e che la terra che li sostiene, senza il suo soccorso, si inabisserebbe nelle acque (Olier). I palazzi magnifici costruiti dalla mano dell’uomo su solidi fondamenti, crollano e rovinano, ma la terra, fondata sulle acque, resta sempre ferma. – Dio ha stabilito la Chiesa sulle acque, cioè sul Sangue di Gesù Cristo, sulle acque del Battesimo, sui fiumi dei Sacramenti, di tutte le grazie e di tutte le consolazioni spirituali.

II — 3-6.

ff. 3. –  Siccome è piccolo il numero di quelli che salgono sulla montagna del Signore, il Re-Profeta ha ragione di porre questa domanda: « Chi salirà etc. …? », come se dicesse: non sarà affatto il primo venuto, colui i cui costumi sono comuni e volgari, ma colui la cui vita presenta un meraviglioso concentrato di tutte le virtù (S. Ambr.). – Ci possono essere molti che salgono; ma tenersi sulla montagna santa è appannaggio di un piccolo numero, di coloro che sono perfetti. Quanti sono saliti, ma in seguito non sono tornati indietro. Chi dunque potrà resistere senza esporsi alla caduta ed a ritirarsi nel giorno della tentazione? (Ruffin.).

ff. 4. –  Essere puri significa essere senza compromessi, semplice come la luce, trasparente come il cristallo, limpido come l’acqua della roccia, affrancato dalla materia, come l’idea pura del vero, del bene, del bello. Lungi da noi quindi le tenebre, il peccato; lungi da noi tutto ciò che teme lo splendore dell’anima ed offusca la limpidezza del suo sguardo; lungi da noi gli attaccamenti, le affezioni, benché legittime in se stesse, perché possono ritardare lo slancio della nostra anima verso Dio. Così intesa, la purezza, è la castità, la verginità, l’amore santo della Verità eterna, è il matrimonio mistico del cuore e della divina saggezza, è una partecipazione di questa unione ineffabile che esiste al cuore di Gesù tra la sua anima umana ed il Verbo divino (Mgr. Baudry, Le Coeur de Jésus). – Ma chi potrà glorificarsi di aver le mani innocenti de il cuore puro? Nessuno è esente da peccati, nemmeno il bambino che ha vissuto solo un giorno sulla terra. Pertanto non ce n’è che uno innocente tra i colpevoli, uno tra gli impuri, vivo in mezzo ai morti, ce n’è uno e non ce ne sono altri. È Colui di cui leggiamo nel III capitolo di San Giovanni: « Nessuno è salito in cielo se non Colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’Uomo, che è nel cielo ». Le sue mani erano innocenti, perché Egli non ha commesso peccato; ma dopo aver operato una moltitudine di buone opere, poteva dire apertamente ai Giudei (Giov. VIII, 46): « Chi di voi può convincermi di peccato? » (S. Bern. Sur le Ps. XXIII). – « Colui che non ha ricevuto la sua anima invano »; Chi non ha confidato nella sua anima nel numero delle cose passeggere, e che, sentendola immortale, ha voluto prepararle una dimora immortale; colui che non ha seguito la vanità, la vanagloria, il fasto, l’orgoglio che gonfia senza riempire, la menzogna che è opposta alla verità; colui che non ha ricevuto la vita inutilmente ma che si è esercitato nella pratica delle buone opere per raggiungere il fine per il quale era stato creato, cioè la beatitudine eterna (S. Agost.). Ogni uomo che vive senza produrre dei frutti, ha ricevuto invano la sua anima. Coloro ai quali il Padre di famiglia diceva: « … perché ve ne state tutto il giorno senza far nulla? » avevano ricevuto la loro anima invano. Bisogna vivere in modo da poter dire con San Paolo: « è per grazia di Dio che io sono ciò che sono e la sua grazia non è stata vana in me » (I Cor XV, 10); e con il servo buono: « Signore, voi mi avete dato cinque talenti, ecco io ne ho guadagnati altri cinque » (Matt. XXV, 20). – A maggior ragione, colui che, per sua vocazione, è una delle principali parti di questa Chiesa, che Gesù Cristo vuole presentare a Dio tutto pura e senza rughe, senza avere nulla dell’uomo vecchio, santo e senza alcuna macchia; a maggior ragione egli deve essere innocente nelle sue opere e puro nel suo cuore. – È d’obbligo rinunziare completamente a tutte le vanità del mondo e ai suoi piaceri, se non si vuole aver ricevuto invano la sua anima. Tutto il suo dovere, tutto il suo oggetto, tutta la sua natura, è quello di attaccarsi agli interessi di Dio e del suo culto, che Gesù Cristo stesso chiama Verità: carità perfetta verso i propri fratelli, che evita tutte le parole piene di artifizi, gli abili giri di parole, le menzogne confermate da giuramenti; ecco i pensieri, le parole, le azioni rettificate, e tutto l’uomo preparato per la santa montagna di Dio.

ff. 5, 6. –  La benedizione del Signore, è principio di ogni bene; la benedizione del Salvatore, è principio di tutte le misericordie che si ottengono da Dio. – Il Re-Profeta ha chiesto al singolare « chi salirà sulla montagna, etc. », ed ha risposto egualmente al singolare: « colui le cui mani sono innocenti, etc. »; poi in seguito dice al plurale « … questa è la generazione di quelli che lo cercano ». Egli non parla inizialmente che di uno solo: « è colui che riceverà, etc. »; ma egli intende ora questa benedizione su tutta una generazione, aggiungendo: « Tale è la generazione di coloro che lo cercano », affinché in questo solo uomo di cui ha parlato all’inizio, non intendiate la singolarità della persona, ma l’unità di spirito. Poiché Egli è lo sposo, e la Chiesa la sua sposa, e noi sappiamo che ha detto: « Non sono più due, ma una sola carne » (Gen. II 2, 4; Efes. V, 31). Questi dunque salirà per ricevere la benedizione, ma con Lui, o piuttosto in Lui salirà colui che ha ricevuto da Lui la benedizione. È ciò che il Re-Profeta dice altrove (Sal. LXXXIII, 6) « il sovrano Legislatore li colmerà di benedizioni; essi andranno di virtù in virtù, essi contempleranno il Dio degli dei in Sion » (S. Bern.). – Altro è la generazione e l’inclinazione naturale degli uomini come figli di Adamo, altro sono le loro inclinazioni, i loro umori, il loro genio, come Cristiani e come figli di Dio. « Ecco la generazione di Adamo », dice la Scrittura, riferendosi alla discendenza della posterità del nostro primo padre; e ben presto questa generazione dimenticherà Dio e si abbandonerà all’idolatria e a tutti i vizi. Non è lo stesso della generazione di cui Gesù Cristo è il Capo, « essa cerca sinceramente Dio, essa cerca la faccia del Dio di Giacobbe », espressioni che sottolineano una continuità di desideri, di impressioni, di lavori, e non solo degli sforzi passeggeri, degli eccessi, se così si può parlare, di pietà e di regolarità (Berthier).

III. – 7-10.

ff. 7-10. –  Porte del cielo aperte a Gesù Cristo, e che Lui stesso ha aperto agli uomini, e che il peccato di Adamo ed i peccati propri avevano chiuse. – Cuori dei Cristiani, porte dell’anima chiuse da lungo tempo a tutti i movimenti di grazia, apritevi infine al Re della gloria, che bussa e che vi dice (Apoc. III, 20): « Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, Io entrerò in lui, e cenerò con lui e lui con Me » ( Dug.). – L’entrata del chierico nella Chiesa, che è il paradiso della terra, è comparato all’entrata gloriosa di Gesù Cristo in cielo nel giorno della sua Ascensione (Olier.). – Cuori induriti, ai quali bisogna spesso ripetere la medesima cosa per obbligarli ad arrendersi, porte aperte a tutte le vanità del secolo, alla falsa gloria del mondo, non vi aprirete mai al Re della vera gloria? Non chiedete più chi sia il Re della gloria, di cui parlate così spesso: è Gesù Cristo umiliato, è Gesù Cristo povero, sofferente e morto sulla croce, che è diventato, proprio per questo, il Re della gloria, e che ci grida che noi non entreremo mai nella sua gloria se non per gli obbrobri, le umiliazioni e la croce (Duguet).

LE BEATITUDINI EVANGELICHE (-8B-)

LE BEATITUDINI EVANGELICHE (- 8B-)

[A. Portaluppi: Commento alle beatitudini; S.A.L.E.S. –ROMA, 1942, imprim. A. Traglia, VIII, Sept. MCMXLII]

CAPO OTTAVO

Beati qui persecutionem patiuntur propter justitiam: quoniam ipsorum est regnum cælorum.

[Beati i perseguitati]

IV

LA VITA RELIGIOSA ODIATA DAL MONDO

FAMIGLIA CRISTIANA

Le vie della salvezza sono molte. Ogni forma e grado di vocazione al servizio di Dio è strada che mena al Cielo. Dio tutti quanti arricchisce dei suoi beni coloro che gli si accostano quaggiù con l’intenzione di essere pronti al suo comando. Non è Egli il distributore della felicità e la sorgente d’ogni gaudio? Qui offre i saggi, lassù, poi, conferisce il pieno godimento dei suoi doni. Basta osservare la famiglia cristiana. È lo spettacolo più attraente e ricco di commozione. Poiché tu vi vedi l’amore nelle sue forme più varie, con le età diverse, i compiti più disparati, le delicatezze che fanno sentire a chiunque la forza della religione cristiana sulla condotta. Fedeltà, che non subisce ombra di seduzione; carità dell’uno verso l’altro; come cosa normale e piacente, più d’un servizio ottenuto, il servigio offerto; gioia scoppiarne dai volti sereni e volontari, perché sempre tesi verso il piccolo o grave dovere. Parlare improntato alla naturalezza semplice e spontanea; godere senza ansietà o foga, lavoro e diporto, sempre come dovere e diritto della vita, senza un pensiero di stanchezza per il primo o di abuso per il secondo. E poiché tutto si svolge in armonia con la divina legge, anche i corpi sono di solito sani. La salute dei grandi è assicurata dalla frugalità, quella dei piccoli dall’obbedienza; quella di tutti dal costume semplice e devoto alla legge austera del vivere a servizio del Signore. La sobrietà sostiene le energie d’ognuno, poiché chi è padrone della gola rinvigorisce la volontà e così raddoppia le forze morali. La delicatezza, che sveglia la sensualità, è cagione di molti disordini e morali e fisici. Tu sai leggere negli occhi, che irraggiano, in codeste famiglie nutrite di Dio, la intima pace nell’equilibrio dei sentimenti e nella intera soggezione al precetto divino. Ma avverti altresì, che sovente accanto a queste vivono le famiglie disordinate e senza legge. Forse che possono esse tollerare il contrasto che le umilia e le urta? Ed eccole in armi per diffamarle, per destare contro di loro il malumore, per dipingerle come singolari e ipocrite e, insomma, meritevoli dell’ostracismo. E spesso anche persone non pessime si accodano a codeste per giustificare la persecuzione contro i buoni, che sono sempre luce fastidiosa all’occhio malato.

CHIAMATE ALL’ALTO

Se poi passiamo dalla onestà familiare alla vita religiosa ed ecclesiastica, scorgiamo anche meglio l’intolleranza del maligno, che rimarrà sempre terribilmente seccato dalla virtù. Si osservi, che le vocazioni ecclesiastiche o religiose comunemente sbocciano dalle famiglie cristiane migliori. Le eccezioni ci sono, ma non sono frequenti e indicano piuttosto una sorta di prodigio che avviene nella coscienza illuminata dallo Spirito Santo. Bisogna riconoscere, che la vocazione spesso anche nelle migliori famiglie desta una preoccupazione avversa. Ma se in questa è per il timore dell’illusione e dell’errore forse irreparabile, nelle altre l’opposizione nasce da ragione d’interesse, come la volontà di guadagno, la speranza di avere nel figlio o nella ragazza un appoggio per la vecchiaia, la vanità e la ambizione, forse anche, d’un buon partito e di avanzare nella scala sociale. L’opporre qualche difficoltà è cristiana prudenza e mira a provare la sincerità della vocazione; ma l’insistenza e l’uso delle forme violenti sono sommamente riprovevoli. Tradiscono infatti la concezione mondana della vita e l’antipatia per queste schiere di anime, che nella Chiesa stanno dal principio della sua storia come strumenti insostituibili a beneficio dell’umanità. Il loro sacrificio infatti è condizione di innumerevoli vittorie dell’opera di Dio. Non si può pertanto ammettere, che un Cristiano sincero opponga resistenza insormontabile ai propri figli, chiamati a dare un così ambito contributo di attività a servizio della Chiesa. – Non il loro amore verso la famiglia s’è spento, ma è venuto ad accendersi un nuovo amore grande per Gesù e per il prossimo. E i figli e le figlie offerti a Dio rimarranno i più disinteressati, tenaci e fedeli nella loro dilezione alla famiglia abbandonata. Oltre a questo, solo essi le daranno il frutto delle loro fatiche, sovente misconosciute e negate, e rappresenteranno la più sicura benedizione. – Il celibato e la verginità, l’apostolato della intelligenza o la carità dei corpi, la dedizione a prò delle vite menomate e inferme, dei deficienti e minorati dalla nascita, sono le prove della vocazione. Ma la radice di essa non è quella che talvolta muove gli spiriti comuni: la pietà verso la miseria umana, la compassione per la disgrazia fisica o spirituale; bensì l’amore di Dio. Soltanto se vibra questo unico sentimento si ha l’energia dell’eroismo. Il quale non ha da fare nulla con quello umano, che dura un attimo e che sa talora più di disperazione che di vera forza, ma l’eroismo della vita eterna. L’eroismo d’ogni giorno d’ogni ora, d’ogni anno sino alla morte.

OLOCAUSTO

Vuoi sentire da una di codeste anime la commozione che la portò alla offerta libera della vita? Leggi santa Caterina da Genova, una patrizia, che conobbe il fasto, ma che seppe anche scoprire l’oggetto dell’amore eterno. – « O anima felice, anima beata che hai gioito di questo amore; tu non puoi più gustare né vedere altra cosa, poiché questa è veramente la tua patria per la quale fosti creata! O dolcissimo amore, sconosciuto, chiunque t’ha gustato non può vivere senza di te! O uomo! Tu, che sei creato per questo amore, come mai potrai contentarti senza questo amore? come essere in riposo, come vivere? Tu trovi in esso tutto ciò che puoi desiderare e con una soddisfazione tanto grande che è impossibile esprimerla né figurarsela. Colui che saprà esprimere bene il sentimento d’un cuore scaldato dall’amore di Dio farà sciogliersi o spezzare gli altri cuori, fossero essi più duri del diamante e più ostinati del demonio ». (Dialoghi., II, 4). È per questo, che le loro opere sono tutta fiamma di carità, tutto splendore di bellezza, e candore di semplicità trasparente e ingenua, giacché nulla hanno da nascondere né da sofisticare. Le opere sono l’espressione irrompente dell’amore più alto, più santo, dell’unico grande amore. Né stupisce allora l’odio con cui satana li perseguita. Ma non avvenga, che Cristiani fedeli si lascino travolgere da istinti umani, non illuminati dalla fede, a contrastare la vocazione. Bisogna saperla difendere, riconoscerla ed esaltarla. Se il caso lo impone, metterla in valore e farne risaltare i meriti religiosi e sociali; essa è una forma comune di incarnazione di Dio, che si ripete nei secoli cristiani a redenzione dell’umanità sempre miserabile e sviata. È il mezzo con cui Cristo riscatta via via la schiava, che misconosce la sua libertà e la vende e prostituisce per un nulla, che sono tutte le soddisfazioni del peccato. La beatitudine di questi eletti comincia subito ora, è un compenso immediato, un premio che noi constatiamo con i nostri occhi. Ma poi li vedremo coronati di gloria e colmati di felicità. Accanto al Martire della giustizia per tutti i secoli. Neque esurìent, neque sitient amplius, nec cadet super illos sol, neque ullus æstus (Apoc, VII, 16). Non proveranno più la fame, né la sete, non sentiranno più l’ardore del sole, né alcuna intemperia ».

V.

PREPARARE I GIOVANI

A BATTERE LA LORO STRADA

Non educate i figli ad alcuna forma di viltà. Questa « beatitudine » dice come si debba essere beati quando s’è presi di mira da una ingiusta persecuzione. L’amore delle giustizia prepara anche codeste sorprese, che poi si risolvono in benefici preziosi e augurabili.

L E STRADE OVATTATE E SICURE

È forse raro il caso di genitori i quali hanno troppa cura di preparare ai loro figlioli tutte le strade ovattate e scevre da fatiche e da inciampi? E notisi, non perché occorra cercarli o provocarli, dato che ve n’ha molti, e vengono da sé; ma per la estrema paura d’ogni disagio e delle più piccole privazioni o rinunce. Devono, secondo il loro modo di concepire la vita, passarla liscia liscia, senza scosse; e a qualunque costo. Ma per garantirsi questa immunità, i buoni genitori non si peritano di acconsentire a compromessi e di indurre i figli ad accettarli sempre che si possa, senza altre compromissioni maggiori. Una tale educazione è errata alla partenza, come già sopra s’è varie volte prospettato. È l’educazione alla paura, alla viltà. Il giovane formato a siffatto metodo di vita, per cui debba calcolare il danno o il vantaggio per giudicare la moralità d’un’azione, sarà uno schiavo, uno spregevole servitore del violento. Anche se farà la posizione agognata, non potrà godere la stima di alcuno (neppure dei suoi padroni), né avrà la coscienza in pace, poiché la vergogna della sua condizione morale lo farà abbietto a se medesimo. – La teoria della soggezione al più forte non è stata insegnata da Cristo. L’evitare i fastidi, le « grane » a tutti i costi, non avvia un giovine sulla strada dell’onore. Ma non devesi mai credere sulla parola colui, che non vi è coerente nell’azione. Mille volte un pane guadagnato a frusto a frusto, che una propina lauta e fastosa, a prezzo della dignità. Se non che il mondo ragiona diversamente; e noi non abbiamo che a tenerne conto, non per compatirlo o seguirlo, ma per giudicare con criteri opposti.

ABITUDINI DI VILTÀ

Una delle forme di soggezione ispirate dalla viltà, consiste nell’adattamento al gergo e alle abitudini di servilismo, che fanno strada nel mondo. Il sacrificio della naturalezza, della spontaneità è un segno evidente di rinuncia e di servilità. Il giovine non ama questi atteggiamenti artificiosi. Egli sente piuttosto piacere ad affermare le sue qualità peculiari, che a farne sacrificio per ottenere protezione o benevolenza. Preferisce la manifestazione spontanea del tipo suo e del suo criterio di vita conforme alla educazione del Vangelo. « Sì, sì, no, no ». Tutto quello che non è in questi termini è per il giovane almeno sospetto d’inganno. Ed egli, poco esperto delle abitudini della vita mondana, ne nutre schietta ripugnanza. Bisogna preparare i giovani alla naturalezza, tanto simpatica; alla chiarezza di espressione e all’affermazione, modesta e misurata fin che si vuole, ma aperta e senza doppiezze. Né questo è singolarità. La legge dell’ordine e della dignità appare presente di continuo nella storia umana, e con Cristo è diventata il patrimonio di tutti i suoi veri seguaci. La persecuzione non ha peso nel conflitto fra la giustizia e l’interesse materiale. Vorrei dire, che colui il quale ama la giustizia ha gusto di trovare malagevole la strada che ve lo conduce. È il piacere dell’amore difeso e onorato; è la soddisfazione di vedersi la meta agognata; e il premio antecedente la stessa vittoria. I giovani sani entrano facilmente in questo criterio e giudicano secondo una vena di moderato eroismo e di ragionata ostentazione. Nutrono un chiaro disprezzo della persecuzione, come mezzo di sopraffazione della giustizia. Ed è testimonianza della rettitudine di quelli i quali non sono ancora compromessi con il male. I giovani appaiono il documento vivo delle tendenze della natura ed essi ci si presentano piuttosto con carattere di indipendenza e di una spiccata personalità. Poi le circostanze vengono ad attenuare e tanto spesso anche a soffocare l’impulso alla spontanea affermazione di essa. Occorre pertanto, che i genitori e gli educatori si guardino dell’insegnare ai giovani la strada delle timidezze e dei compromessi. Che cosa può essere per loro di maggiore soddisfazione, che degli allievi capaci di guardare la vita in faccia e di affrontarne le difficoltà con animo generoso? Naturalmente per questo necessita la disposizione di sopportare sovente anche il danno. O forse una tale prospettiva deve intimidire un animo cristiano? Non posso vincere la tentazione che mi prende di citare una pagina biografica di Newman, per dimostrare come fosse la sua linea spirituale. Essa portava in sé tanto fermento di quelle novità, le quali ebbero benefico influsso nella sua patria e fuori. La cito per mostrare quanta fosse la semplicità di questa grande anima. Essa fu ben lontana dall’equilibrarsi e dalle decisioni diplomatiche proprie degli spiriti angusti e divorati dall’ambizione. Osservate attentamente dove si appiatti la sollecitudine di far bella figura e di adattarsi, di proporzionarsi, e di conquistarsi il buon nome e le riverenze. « Chiunque — scrisse l’indomani della morte del cardinale uno dei suoi amici più intimi — chiunque ha seguito con attenzione la carriera del Newman, ha dovuto sentirsi colpito da questo tratto del suo carattere, la naturalezza, la viva e libera semplicità con la quale egli parlava ad un amico o esprimeva la sua opinione, l’assenza di ogni sorta d’affettazione e di formalismo. Doveva talvolta, per necessità, portare le insegne della sua dignità (negli anni della sua maturità era cardinale); si poteva scorgere insieme la piena obbedienza all’autorità che gli imponeva la porpora, ma anche la sua impazienza sorridente, per vedersi vestito di tanta maestà. Non accoglieva come amici particolari se non coloro con i quali potesse (come si dice) parlare in manica di camicia; e giudicava con severità un amico troppo cerimonioso e formalista. Tutto ciò che avesse un sapore di unreality, ogni pomposità, solennità di portamento, affettazione, lo impazientava. Ma più che tutto lo disgustava quando lo si faceva oggetto d’una ammirazione beata. Lui, un eroe, un profeta; la sola idea lo faceva andar fuori dai gangheri ».

INCOMPRENSIONE NEI FELICI

Come accadde, tale atteggiamento gli procurò fastidì e incomprensioni. Ma non è anche questo affrontare in qualche senso la persecuzione per amore di giustizia? Davanti agli esempi, che poi nella vita appaiono ripugnanti, di ricerca della simpatia, dell’ossequio e della popolarità a qualunque prezzo, questo criterio di condotta è veramente evangelico ed anche perciò sommamente imitabile. Una dama, con la quale egli aveva scambiato qualche lettera, venne a visitarlo a Oxford, mentre era ancoa anglicano. Ne fu delusa e ne scrisse in tono modesto a Newman, come « per raggiustare i lembi del suo sogno », dice Bremond nella meravigliosa biografia psicologica del grande uomo. Ecco la risposta. « Quanto a me. siate sicura che, se voi tornerete a vedermi, tutto sarà esattamente come l’altro giorno. Io non sono affatto, ma niente affatto venerabile e nulla mi può rendere tale. Io sono come sono. Somiglio a chiunque altro, e, dove non ci sia male, non ho ragione per astenermi da pensieri e da sentimenti uguali a quelli di chiunque. Io non posso parlare come un libro, ciò che qualcuno fa senza sforzo. Non fatevi delle idee e sbagliate sul conto mio. Chiunque mi conosce, non sogna neppure di soffocarmi con segni di ossequio e di deferenza. È il mio desiderio più caro e la mia supplica, che nessuno mi tratti così. Non fui mai su un piedistallo, né ho mai ricevuto inchini. Non li potrei tollerare. Per dire tutto, io ho la debolezza di ricevere duramente coloro che a me vengono con un atteggiamento di deferenza ». E questo, se sa un poco dell’orso, quanto insegna ad un mondo che affoga, non dico nelle dichiarazioni di quel rispetto che è d’uomini consapevoli dei rapporti sociali, ma nelle esaltazioni, ipocrite e nelle corrispondenti dimostrazioni di soggezione, che dicono spesso perfettamente il contrario di ciò che è dentro l’animo. Sicché « beati i perseguitati per amore di giustizia » e di verità. Beati quelli i quali sopportano volontariamente il peso della loro sincerità e della semplicità del loro costume; quelli che dicono ciò che hanno dentro, che fanno ciò che il dovere e come il dovere impone; ma che insieme sono soddisfatti del frutto della fatica, senza enfasi, smorfie e viltà. E non sarà dunque lecito ripetere: « Beati i perseguitati » anziché i fortunati? Con questi è il mondo in tutte le sue forme basse e piccine, con quelli è il Vangelo di Cristo Signore, che fu il vessillifero d’ogni schiettezza, il nemico d’ogni ipocrisia. Che egli salvi i suoi dall’inganno del formalismo. Nei rapporti sociali essi siano maestri di semplicità e di sarà  verità a servizio della carità.

VI.

SARÀ IN CIELO LA PIENA BEATITUDINE

GRAZIE AL MEDICO DIVINO

Tutte le considerazioni venute su dal cuore e distese in queste rapide pagine, sincere fino all’evidenza, hanno un valore relativo. Che cosa miriamo con esse, se non a temperare un’arsura, ma senza l’illusione di soddisfare la nostra sete? – È pertanto una sorta di ricerca di calmanti, che sappiamo essere effimeri, questo nostro sforzo. Non rimane tuttavia senza effetti promettenti. Il dolore attenuato non affatica troppo, non stanca, non arresta la salita della vita. E il calmante consente di arrivare alla meta. Ciò che importa è la natura della medicina. Non deve essere per altre vie nociva. Ma se davvero sana è, se è fatta di ingredienti utili e combinati abilmente, così da conservare le proprietà iniziali e da concordare ciascuna al comune scopo, siano benedetti la medicina e il chimico, che l’ha spremuta dal suo ingegno. Non possiamo noi pertanto ringraziare il Signore Gesù? – Le « Beatitudini », riferite da Matteo nella forma compiuta e che io ho preso a meditare, sono il calmante e la medicina prodigiosa, che il Cuore di un Dio fatto nostro fratello, ci ha ammannito come mezzo di energia e di saggezza, nella vicenda di questa nostra esistenza, dove si incontrano fattori di bontà, di bellezza, di gioia e di incoraggianti promesse, insieme ad elementi purtroppo deprimenti, sconfortanti e talora disperanti. Queste otto parole del Signore ci furon date a tale fine, di renderci il peso leggero e la soddisfazione sufficiente, di svelare il pericolo per farci atti a superarlo felicemente, di rafforzare la nostra resistenza per andare incontro a tutte le forme del dovere senza sbandare dalla paura, dall’incertezza o dal panico fatale. L’averle meditate e studiate lungamente, sotto i diversi aspetti, che la vita nostra di questa epoca singolare ci offre, ne ha certo rivelato un succo di salute, di forza e di costanza. Sentiamo, spero, che non siamo esseri sperduti su questo pianeta, per la crudeltà d’un Creatore insensibile alle nostre difficoltà c alle debolezze della natura. Avvertiamo, al contrario, di essere vigilati assistiti carezzati da un occhio attento benevolo e amoroso. Sappiamo chiaramente e sicuri, che quest’occhio è guidato da un cuore sommamente buono e caritatevole, da una volontà potente e decisa di plasmare gli stessi esterni avvenimenti secondo un piano di benevolenza paterna.

ALLE EDUCATRICI

Non posso nascondere un’altra circostanza riguardante la nascita di questo libretto. Esso fu scritto per invito della Presidenza dell’Unione Donne di Azione Cattolica. Benché lo svolgimento non abbia rispettato i limiti intesi da essa, il mio intento di somministrare alle Donne della nostra amata Patria un sussidio, pur tenue, per aiutarle nel compimento della loro missione mi pare in certa misura raggiunto. Ho avuto sempre davanti agli occhi questa donna italiana. Essa ha il merito di conservare nel mondo il primato della religiosità familiare e della morale cristiana. Di essa possiamo concepire le speranze migliori per l’avvenire, poiché nella sua grande maggioranza si mantiene salda e compatta intorno ai principii di vita emananti dal Vangelo e che ci vengono inculcati dalla nostra Madre Chiesa. L’essere la nostra la famiglia più prossima alla Sede del Vicario di Cristo, ne fa quasi un vessillo e un emblema che Egli possa talvolta mostrare al mondo. Voglia Iddio, che essa perseveri e migliori su questa sicura strada, collaudata dai secoli e benedetta da Dio. La tradizione cattolica della famiglia, checché se ne dica, all’eco di certi pregiudizi, che traversano i tempi ma non intaccano la verità, è la più aderente al pensiero di Cristo, dalla Chiesa conservato puro e intatto. L’unica Nazione al mondo, forse, nella quale il divorzio non ebbe il più modesto successo, fa onore alle sue donne e queste la onorano. [Purtroppo questo primato è stato perduto vergognosamente per l’opera ed il contributo dei cani muti, delle jene vestite da agnelli, i falsi prelati massoni della quinta colonna infiltranti la Chiesa ed usurpanti cattedre e istituti religiosi, che hanno minato dalle fondamenta il tempio cattolico morale e dottrinale italiano e mondiale, travolgendo donne e famiglie in primis … alberi marci dai frutti bacati e corrotti, servi dell’anticristo insediati nei sacri palazzi dell’urbe …- ndr. -]. Esse sono eccellenti per la robustezza del buon senso, che respinge, nel suo insieme, la procacità di mode straniere; per la serietà dell’amore alla casa, curata nel casto solco dei più austeri principii; per il culto della Religione, nella quale essa trova il sostegno massiccio e lo stimolo acuto per ogni dovere; per la sodezza del metodo educativo, sicché i figli loro, nonostante tutte le deficienze, crescono in un ambiente di sano amore, di rispetto scrupoloso, di austerità serena e parca ad un grado unico. A codeste donne, spose e madri o educatrici che siano, questo libretto sulle « Beatitudini » è dedicato. È scritto per esse. Venne steso con l’occhio di continuo fisso su di loro, come per scoprire i rapporti, i richiami, gli echi che dalla mirabile pagina del Vangelo passano alle guide della nostra gioventù. Talvolta l’argomento ha costretto lo scrittore a indugiare su temi particolarmente vasti e implicanti fenomeni più sociali, che familiari; tuttavia anche queste pagine offriranno all’occhio attento e allo spirito accorto della lettrice, posata e lenta, lo spunto personale atto a svegliare in cuore una sollecitudine rilevante e opportuna. Il cuore sovrattutto avrà modo di trasalire talvolta e di sentirsi tutto preso, in talune considerazioni, dove la responsabilità della educatrice risulta maggiormente impegnata. Anche i punti scabrosi e delicati verranno tuttavia osservati con occhio sereno e comprensivo e daranno il frutto inteso. Ma sappiamo bene che tutto questo non si limita a quaggiù. Che cosa sarebbe la nostra appassionata sete di felicità, se dovessimo contentarci di una misura così ristretta e che non esclude il sospiro insaziato?

LA META SOVRANA

Noi guardiamo assai più lontano e più alto. Teniamo l’occhio volto al Cielo dove le ansie si placano e i desideri vengono appagati infinitamente. Al Paradiso mirano le nostre aspirazioni senza limiti e senza rinunce. Al Paradiso volano dì per dì i nostri pensieri, dove sappiamo quante anime, a noi ben note, sono giunte e ci aspettano con l’affetto diventato più retto, più disinteressato, più intero. A quelle miriadi di spiriti, che a Dio offersero il frutto della loro fatica di quaggiù, noi pensiamo e sospiriamo, umili e fidenti. Beatitudine piena è soltanto in essi. Donde l’asprezza della nostra è scomparsa, rimanendo soltanto gli elementi positivi di soavità gaudiosa… Lassù i poveri sono diventati i ricchi effettivamente e con assoluta interezza; perché il Signore ha consegnato loro tutto il suo patrimonio di felicità. I miti sono riconosciuti per tali e amati e onorati. Posseggono tutto e tutti nel gesto della loro benignità compiacente e longanime. Dio li onora. Lassù, i dolenti sono consolati, così da ringraziare il ricordo del male sofferto e da benedirlo. Lassù i famelici e gli assetati di giustizia vedono effettuato il loro sogno siffattamente da sentirsene colmi e ripagati in misura pigiata, scossa e strabocchevole. Oh! i mondi di cuore sentono quanto bene si sono opposti al sudiciume di questa terra, dove la mondezza era guardata come angustia di cuore e inettitudine al godere. Ora vedono capovolti i criteri e avvertono da lontano i gemiti dei pentimenti tardivi e delle impossibili resipiscenze. L’Agnello è fissato dai loro occhi ed essi lo seguono per sempre in una dovizia di appagamenti ineffabili, e cantano l’Inno che solo dice alfine la loro trionfale vittoria. Dio lassù chiama suoi « figli » i pacifici. L’aver lottato per mettere pace nel mondo li fa sovrani e centro di ammirazione. La loro pace interiore li rende luminosi di una luce che tutto vede giusto e dolcemente in Dio. E tutti gli spiriti celesti gridano ai perseguitati della terra: « Orsù, possedete e godete il Regno dei Cieli; è vostro per diritto di conquista e Dio ve lo dona in tutta la sua vastità… Avete ben combattuto e siete coronati ». – Qui, pertanto, abbiamo un piccolo e sufficiente saggio della ricchezza e lautezza di Dio; lassù il possesso pieno. Al Cielo teniamo dunque levato l’occhio. Il Cielo è fatto per tutti. Gesù ha detto che « è in noi », per farci intendere questa nostra destinazione superiore e definitiva. Esso è lo sviluppo del bene, da questa vita sino ai confini dell’altra, dove ha compimento. Il suo segno è la felicità. « Io vi dissi queste cose, affinché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia perfetta ». Il più miserabile degli uomini non disperi della sua fortuna, egli « ha ancora un regno intero ». – Nel Cielo il bene sarà soddisfazione, ma non senza nuova speranza. Dal suo interno il bene posseduto ha uno sviluppo continuo e proporzionato al merito di ciascuna anima beata. Ora tutto questo è difficile e oscuro. L’unione con Dio stabilitasi quaggiù, si farà più «sensibile» e goduta, più totale. «Ci sono tante dimore nella casa del Padre mio », ha detto il Signore. Ciascuno di noi troverà la « beatitudine » alla quale si è andato preparando in questa vita di prova.

« E la carità rimane ».

[Fine]

LE BEATITUDINI EVANGELICHE (-8A-)

LE BEATITUDINI EVANGELICHE (- 8A-)

[A. Portaluppi: Commento alle beatitudini; S.A.L.E.S. –ROMA, 1942, imprim. A. Traglia, VIII, Sept. MCMXLII]

CAPO OTTAVO

Beati qui persecutionem patiuntur propter justitiam: quoniam ipsorum est regnum cælorum.

[Beati i perseguitati]

I.

LA PROVA DI FEDELTÀ

Ma sapeva il Signore, che i suoi seguaci in tutti i secoli sarebbero stati colpiti dalla calunnia, dalle malvagie accuse, dalla persecuzione in vasta misura? Egli lo leggeva nell’avvenire con il suo occhio infallibile e anche nella sua personale esperienza. Poteva perciò ammonire con senso paterno i pochi intimi. La folla anche se avesse ascoltato una simile profezia non l’avrebbe saputo intendere nel suo giusto senso, e si sarebbe scandalizzata. Agli intimi darà spiegazioni. Tuttavia anche la folla ascolti, e tutti, perché in seguito non si ritengano ingannati o illusi. – Desiderano essi vivere quaggiù come la turba? Beati non saranno mai; qualunque sia per essere la loro accortezza. Intendono essi di assicurarsi un avvenire sicuramente felice? Siano capaci di affrontare anche la persecuzione. Malevolenza, calunnia, tormenti morali e anche fisici, come darà lui medesimo esempio tra breve, Su codesta strada, siano certi, troveranno la beatitudine, che non soffre diminuzioni.Saranno beati, non soltanto perché Dio nell’altra vita ha modo di premiare ogni sacrificio compiuto per Lui, ma proprio qui, come inizio visibile della eternità felice. – Non è proprio vero, che soltanto dopo questa esistenza tormentata, assente da ogni agio, spesa totalmente e austeramente per il bene, arida, fredda, oscura, malmenata e appesantita dal malvolere di molti, possa riceversi da Dio la prova del suo compiacimento. Anche ora il giusto è sovente scoperto, riconosciuto, premiato. Egli non sempre ne sarà consapevole; ma qui gli uomini sanno indovinare la bontà, anche se non sappiano essere buoni sempre.

UN’ANIMA

Leggo il titolo di alcuni capitoli della mirabile vita di santa Elisabetta d’Ungheria, langravia di Turingia. « Come la cara santa Elisabetta fosse cacciata dal suo castello coi suoi teneri figli e ridotta all’estrema miseria; e della ingratitudine grande e crudeltà degli uomini inverso di lei ». « Come il misericordiosissimo Gesù consolasse la cara santa Elisabetta nella sua miseria e nel suo abbandono, e come la dolcissima e misericordiosissima e clementissima Vergine Maria venisse a istruirla e fortificarla ». « Come i cavalieri di Turingia facessero pentirsi il langravio Enrico della sua fellonia e rendere giustizia alla cara santa Elisabetta ». – Tutta la storia della santa si può intuire da questi argomenti. Perduta la potenza con la morte del marito durante la crociata, essa cade vittima del cognato. È ammirabile la sua condotta in questo frangente. Cacciata di notte dalla sua casa, insieme ai figli, essa si reca alla chiesa dei cappuccini, che era aperta mentre si cantava mattutino e fa intonare per carità il Te Deum di ringraziamento al Signore per la sorte toccatale. – Ma il Signore non l’abbandona e presto viene la rivincita. Se poi questa non fosse venuta, la sua vittoria era piena e nella coscienza di tutti i buoni, dei quali il giudizio morale soprattutto conta, e nella propria coscienza, la quale conta anche maggiormente. Non occorre di più in questa misera esistenza terrena. La nostra posizione è necessariamente incomoda. Il mondo essendo posto « totus » nel maligno, che cosa possono pretendere coloro che aspirano invece a servire Dio? – Lo spirito del mondo è l’antitesi dello spirito di Dio. Anche prima di Cristo era così. Chi aspirava a giustizia, era considerato come nemico. Non lo si legge di Aristide? Fu bandito da Atene perché i suoi concittadini erano stanchi ed annoiati di sentirsi ripetere, che egli era « giusto ». E di Socrate pure si legge, che fu condannato a bere la cicuta, perché aveva insegnato troppo assiduamente di amare la virtù. – Il mondo è un campo di battaglia nel quale la luce combatte contro le tenebre, il bene contro il male; chiunque si sforza di propagare la luce e di fare il bene, lavora a vantaggio di Colui che fu detto Sole di giustizia. Come il mondo potrà tollerarli? Se volessimo recare esempi, quanti mai ne avremmo nella storia dell’umanità! Abele fu perciò ucciso da Caino; Abramo fu visto di malo occhio dai Cananei, perché fu il primo ad onorare il vero Dio; Isacco perseguitato da Ismaele; Giacobbe da Esaù; Giuseppe dai suoi fratelli, che lo vendettero, simulando che fosse stato divorato dalle fiere, ma le fiere erano essi. – E Gesù Signore fu soppresso dai Giudei, fratelli di sangue. Sicché san Gerolamo commenta: « Un giorno non mi basterebbe se volessi enumerare in quanti modi gli empi prevalgono quaggiù sui giusti e li opprimono ». (Com., in Habacuc). C’è anche la storia della Chiesa, ci sono le vite dei Santi, per somministrarci esempi. Ma chi non ne ha esperienza personale? Non perché ciascuno si possa sentire Santo; ma perché ogni volta che uno fa sinceramente bene, incontra ostacoli, che invece non incontra allorché seconda lo spirito del demonio. « Ho amato la giustizia, ed ho odiato l’iniquità, diceva sul letto di morte il Papa Gregorio VII, propterea morior in exilio ». E la persecuzione può venire da ogni parte, anche dalle meno pensabili.

DIO È MEDICO

La persecuzione prende anche le forme meno solenni e visibili e agisce sullo spirito sottilmente, copertamente, con gli effetti del fiele da cui una vita può essere disfatta senza apparire. Dai prossimi più intimi, nella stessa tua famiglia, nel tuo gruppo sociale, con il quale dividi gli ideali e la sorte dell’apostolato e del sacrificio, nel respiro della medesima fede. E forse questa è la più acre e avvelenante. La più difficile da concepire e da tollerare. Nondimeno il Signore soccorre, medica, consola, sostenendo sino all’estremo. E gli effetti per l’anima sono veramente sostanziosi. Una purificazione senza pari, un consolidamento della fiducia in Dio solo, una più chiara visione dell’intervento di Lui, una più massiccia decisione della volontà d’aderire con pienezza a Dio. Gaudio dell’anima ringiovanita e fatta più castamente ardente per la virtù. « Dio è medico, dice sant’Agostino, è tu hai ancora qualche infezione. Tu gridi, ma egli ha ancora qualcosa da potare. Ed egli non leva la mano sin che non ci sia qualche cosa, secondo il suo giudizio, da togliere. È medico crudele quegli che si lascia commuovere dai lamenti del paziente e perdona alla ferita e all’infezione. Osserva le madri: con quale energia esse trattano i loro piccoli nel bagno, per la loro salute!… Difettano forse di tenerezza? Tuttavia i loro bimbi gridano, ed esse non li ascoltano. Così il nostro Dio è pieno di carità, ma pure non sembra che ci ascolti, per guarirci e risparmiarci nell’eternità ». (Enarr. in Ps., XXXIII, 16). – Tutto questo non scusa i persecutori. È Dio mirabile nella sua arte di prodigioso utilizzatore del male a beneficio dei suoi. Ad essi Egli dà così, per via solo a lui praticabile, la beatitudine, che è un bene senza confine e senza pari. Piuttosto che lagnarci, facciamo d’essere fra i perseguitati anziché fra quelli che perseguitano, fra le vittime piuttosto che fra i carnefici. Siamo, sì, strumenti in mano al Signore, ma a servizio della virtù e non del vizio. Qui è meglio ricevere che dare. Poiché dare è frutto di cattiveria, ricevere è atto di adesione al Signore, che apprezza l’accorta virtù di chi si piega senza colpa a sopportarne il peso e il castigo.

II

NON DIAMO PRETESTO AI PERSECUTORI

Ci sono Cristiani i quali porgono ai maligni il fianco alle critiche e alle persecuzioni? Ci sono. È una delle conseguenze della umana fragilità. Si aderisce ad un grande ideale di vita, e si rimane indietro alla retroguardia di tutte le infermità morali, onde è tempestata la nostra esistenza quaggiù. Aneliti sinceri ma facili, cedimenti incresciosi e d’ogni dì.

I PRETESTI CI SONO

È vero, che talora passano, come aderenti a Cristo, anime dannate e che a Cristo offrono il segno della loro considerazione, calpestandone la legge e negandone i principi di vita. Disertori dall’esercito pacifico dei suoi veri seguaci, si fanno belli del suo nome e dei meriti dei fedeli per accaparrare profitti. Negatori delle sue verità, si adornano, data occasione, della fragranza delle parole del divino Maestro e della sua Chiesa. Usano della conoscenza, che ne hanno, attraverso la buona educazione, per coprirla di ingiurie e perseguitarla con la calunnia. Traditori come Giuda, ve n’ha ancora e quanti… Son questi i più pericolosi fra i persecutori, perché sono informati delle fragilità umane, che anche i migliori debbono portare con sé giorno per giorno. – I loro metodi di persecuzione hanno del diabolico. Con la negazione delle fondamentali verità della Fede, accoppiano il disprezzo e il ridicolo. Sicché sovente presso il pubblico ignaro giungono ad ottenere l’effetto di uno stupore e di un disagio umiliante e deprimente. Vi sono poi i trascurati. A questi guardano i primi, per dire a colpo sicuro, che la Fede è da cercare fra le donnette, ma che non esiste neppure più in troppi membri della Cristianità. Poiché le loro povertà di opere li fa insignificanti parti della società; soprattutto la deficienza della carità verso i bisognosi, li fa oggetto di facile critica ed esposti alla demolizione della loro sincerità di fedeli. La carità in vero, è la prova della convinzione d’appartenere al Corpo mistico di Cristo. Lo si può affermare ed insegnare, ma se le opere non corrispondono, e il bisognoso dell’elemosina e della indulgenza e comprensione morale fa difetto, a che serve la stessa Fede? Sicché costoro sono una autentica zavorra della comunità della Chiesa e forniscono il pretesto di polemiche e di persecuzioni.

NON LE RAGIONI

È pur vero, che Gesù nostro Signore ha insegnato che fossimo « perfetti » come lo è il Padre. Ed è questo l’ideale splendente che irraggia su ogni novella anima, dall’istante che viene irrorata dalle onde battesimali. La giovinezza di molti poi si svolge nell’atmosfera di purezza c di ardore, che li fa aderenti ad esso e li cresce nel dolce clima dell’amore delle cose alte. Ma in seguito viene la prova delle tentazioni, delle seduzioni mondane, le insidie di cui si incaricano con il Demonio anche la carne e il mondo. Parecchi cedono presto all’assalto, non proprio interamente; ma si fanno tiepidi, fiacchi, esitanti al sacrificio, che la battaglia impone. Che cosa volete dire contro la condotta della guerra se il soldato, anziché entusiasmarsi del coraggio del capitano, si intimidisce e abbandona il posto? E Gesù è il capitano in questa resistenza al male, e son degni di lui tanti suoi rappresentanti, da lasciare nell’insieme dei militi la più schietta ammirazione. Ma i deboli non difettano e la loro condotta offre motivi di critica e di maldicenza. Sono anime non affatto indegne della divisa che vogliono portare, ma c’è della zavorra nella loro condotta e, se occorre riconoscerla, bisogna altresì dare aiuto e protendere loro la mano, invece di gravarla sulle accuse ed esporli alla irrisione dei malevoli. Stimolarli, spingerli avanti con l’esempio più schietto di calore, di fervore, di santa letizia. Anche da queste constatazioni, che talvolta affiorano nella cronaca quotidiana ed entrano nell’ambito della conversazione di famiglia, la mamma accorta sa trovare argomento per sollecitare le volontà alla interezza della fede consapevole e vissuta. Le mezze misure del tiepido Cristiano sono tradimento della verità e di Cristo stesso, sono frode alla buona fede e tranelli contro il prossimo e illusione nociva a chi le va perpetrando. Le debolezze della vita morale devono essere battute in breccia con chiarezza di portamento consapevole e non scusate o velate al proprio occhio. La pietà ipocrita non serve e danneggia sempre. Si faccia tuttavia ben rilevare la bassa astuzia del persecutore, che abusa di ombre, incolpabili ai singoli, per oscurare lo splendore della veste, che orna il corpo mistico di Cristo. La Chiesa soffre di codeste cattiverie, ma il suo dolore è vivo soprattutto per il danno che colpisce gli ignari scandalizzati e le anime stesse dei colpevoli. Ogni Cristiano senta la maternità della Chiesa e se ne serva nei frangenti più difficili quando il tiepido scivola nella ingratitudine. – Il Cristianesimo si presenta al mondo come una potenza di elevazione spirituale. Non soltanto il suo Fondatore ha giustificato un tale concetto, ma tutta la sua storia ne è una dimostrazione. Gli effetti del suo lavoro nei secoli sono troppo evidenti; e, benché il peso delle fragilità umane venga ogni momento a gravare sui settori secondari della sua attività, sono palesi le elevate mète raggiunte, la nobiltà di schiere di anime, la distinzione di tanti suoi membri, l’efficacia stimolante per le folle che ne vissero. Oggi si tende a sopravalutare le deficienze della media e la esiguità del suo successo complessivo sulla vita sociale.

LA PIÙ GIUSTA REAZIONE

Questa tendenza antistorica, è il massimo argomento in mano ai negatori e agli illusi fondatori di una certa nuova religione mitica e psicologica. In ogni tempo ci furono fuggiaschi dalla Fede di Cristo. Non ci furono tra gli Apostoli stessi? Eresie, che travolsero intere regioni, vigoreggiarono per secoli. Scismi durano ancora e di proporzioni formidabili. Ma che cosa valgono nei riguardi della essenza del Cristianesimo? Non prevarranno « le porte dell’Inferno ». Le vicende particolari non contano. E pare, che due mila anni possano bastare a provare la consistenza intima e la divina protezione su di esso. I frantumi che lo circondano servono a dargli rilievo. A noi si impone di non servire codeste deviazioni dei giudizi degli uomini. Spetta ad ogni fedele di Cristo il dovere di compiere le opere della virtù con tutta quella perfezione, che esige il servigio di Dio. In tal modo offriremo al mondo l’esempio di cui ancora ha bisogno per ravvedersi e migliorare. Come sarà grande la nostra gioia lassù, allorché il Signore ci riceverà coronati dalle spine della persecuzione, che se non gli altri, noi a noi medesimi avremo confitto intorno alla nostra fronte, per amor suo e dei suoi fratelli! Ci sentiremo invitati ad accostarlo, a sedere a Lui vicino, a godere della sua intimità, poiché l’avremo in qualche senso meritata, vivendo quaggiù nella sua sequela più umile e disagiata. – Ma intanto intorno ai servi buoni si sviluppa un alone di vera simpatia, che attira al Signore e alla Chiesa gli sviati, gli ignari, quelli che soltanto per errore si erano allontanati dalla strada del bene. La virtù così praticata porta alla beatitudine di un efficace apostolato. Conferisce alla somiglianza viva con Gesù. Non sarà consolante di poter esclamare come alcune anime sante hanno fatto quaggiù: «Signore, se sono piccolo e fiacco, la mia energia l’ho spesa tutta per te! ». – Che cosa peseranno allora le calunnie, le ingiurie, le persecuzioni, quando tutto sarà messo a chiaro e ognuno si renderà conto del premio offerto da Dio alla nostra piccolezza? Santa Giovanna d’Arco, in un dramma letterario, a un certo punto chiede: « Signore, tu, che hai preparato questa contrada, dimmi quando essa sarà alfine pronta per ricevere i tuoi santi? Quanto tempo dovrà ancora passare, o Signore, quanto tempo? ». Sappiamo, ormai, che tocca a noi di essere questi santi. Quando ci decideremo a farci tali?

III

COME I SANTI AFFRONTANO LA PERSECUZIONE

CONCEZIONE AGONISTICA

Parliamo di cose irreali? Dove sono i segni d’una prova, che Iddio sia per chiedere ai suoi seguaci? Non occorre essere informati in misura particolare, per conoscere quanti popoli siano nel crogiolo della durissima prova della loro fedeltà al Cristo Signore. Le persecuzioni sono permanenti qua e là contro la Chiesa Cattolica. Ora è una nazione ora è l’altra; mentre essa benefica tutte le nazioni e consola tutti i popoli guidandoli alla salvezza, per la via della civiltà. Le sue vittorie son queste. Fin che essa è in grado di sostenere la fiducia nel bene, che è il dovere verso Dio e verso il proprio Paese, la Chiesa si dichiara soddisfatta e contenta di soffrire su quella strada feconda. Ma ciascuno è pure impegnato personalmente a sostenersi in faccia alle prove, che sono le opposizioni dello spirito del male e le seduzioni che esso esercita contro di noi. Non è una prova permanente questa? Non siamo noi così senza respiro nella persecuzione? Chi non rimane quasi permanentemente in stato di allarme, domani sarà con probabilità uno sconfitto. La battaglia è ingaggiata dal principio del mondo. La prova è d’ogni istante. La resistenza deve essere costante e vigile. Salda la convinzione della verità e delle sue basi storiche. Chiari i fondamenti razionali e le prove comuni, per sostenere le piccole obbiezioni quotidiane. Crescente l’impegno e l’accortezza per conoscere le ragioni della condotta della Chiesa e le difficoltà, che essa incontra qua e là. Soldato consapevole dei suoi doveri e delle difficoltà da superare, deve oggi insomma essere il fedele di Cristo. Se non che combattere è atto dello spirito e questo ha da essere nutrito e sostenuto con cura. Indichiamo tre atteggiamenti necessari allo scopo di sostenere la parte d’un saggio milite di Cristo. Innanzi ogni altra cosa un vivo senso d’umiltà.

ALCUNI CONSIGLI

È tanto facile convincersene, quando uno osservi le proprie insufficienze in cento aspetti della giornata intima e del lavoro. L’umiltà è un giudizio veritiero della propria condizione. I doni di Dio, le buone opportunità in cui siamo venuti a trovarci, la riuscita di questo o di quest’altro affare, sono in gran parte da attribuirsi ad altri che a noi. Chi se ne esalta dimostra di non averne rilevata l’origine. Splendori effimeri sono certi modi di intendere la propria consistenza morale e intellettuale. Fuochi fatui sono certi sogni fioriti soltanto nella fantasia. Quando io sono sincero con me medesimo e non tengo conto delle lusinghe o delle facili adulazioni, sento la mia povertà e mi stupisco della considerazione che presso taluni posso forse godere. Riflettiamo, che l’orgoglio allontana le simpatie e l’umiltà ci concilia quella degli Angeli e Dio ci ama. Riconosciamo il suo potere e la sua volontà; siamo soggetti ai suoi comandi senza inani proteste; siamo pronti ad accettare i doveri, i posti, le responsabilità che Egli ci affida ed egualmente disposti a rinunciarvi. Docili così, non può che rallegrarsi con noi e compensarci in proporzione. Come l’orgoglio che è il principio d’ogni peccato » (Eccli., X, 15), così l’umiltà è il piano su cui tutte le virtù si possono erigere. Cara virtù, che attira altresì la benevolenza degli uomini. Essi non sono mai minacciati nei loro possessi o materiali o spirituali dall’umile, e da questi ricevono esempi di remissività, di indulgenza, di bontà. L’umile non si appropria nulla da alcuno e riconosce a ciascuno il suo. E questa è la condizione prima di godere buona pace col prossimo. La seconda condizione per sostenere efficacemente la persecuzione è la piena confidenza in Dio, per cui si rimette a Lui la difesa della sua causa e non si reagisce con alcuna delle forme usate dagli uomini del mondo. Come fece il Signore. Si legge nel salmo XXXVII: « Sono diventato come un uomo che non ode e che non ha parole di risposta nella sua bocca. Poiché in te, Signore, ho poste le mie speranze; e tu ascoltami, Signore Dio mio ». – « Il Signore, scrive sant’Agostino, ti mostra ciò che devi fare, se la persecuzione si abbatte su di te. Tu cerchi di difenderti e nessuno ti presta ascolto. Eccoti colmo di turbamento, come se avessi perduta la tua causa: nessuno ti difende, nessuno reca testimonianza in tuo favore. Ma se l’accusa ha prevalso contro di te, ciò è soltanto davanti gli uomini: pensi tu che così avverrà anche al tribunale di Dio, dove la tua causa deve essere trattata in appello? Quando avrai Dio per giudice, tu non avrai altro teste che la tua coscienza. Tra essa e questo giusto Giudice, non temere nulla, se non la tua causa. Che questa non sia cattiva e tu non avrai né accusatori da temere, né difensori da sollecitare ». (Enarr., in Ps. XXXVII, 16). – Questo richiamo alla sovrana giustizia di Dio, capace di correggere qualunque umano errore, è sommamente consolante. Esso ci porta a concepire un assoluto abbandono in Lui, anche fra le laceranti angustie e le delusioni dalle quali l’umana accortezza sia incapace di liberarci.

METODI GLORIOSI

Non dico neppure, che la fiducia in Dio miri ad ottenere questo intervento risolutivo a nostro vantaggio. La fiducia deve avere un altro oggetto. La santa Chiesa non intende ottenere, pregando, la immediata fine della persecuzione; sebbene che la intenzione del Signore, il quale è sempre Padre, sia raggiunta nel miglior modo per la sua gloria e per la salute dei suoi figli. Altrettanto dobbiamo fare noi. Fiducia nella bontà di Dio. In Lui ci riferiamo in ogni tribolazione con la speranza della salute dell’anima, raggiunta con quelle forme e con quei mezzi, che siano di suo gradimento. Sicuri, come rimaniamo in qualunque frangente, della sua saggezza e del suo paterno amore. Lasciamo fare a Lui, che conosce i nostri bisogni. – È per questo atteggiamento del tutto superiore alle capacità dell’uomo, privo di grazia, che le persecuzioni contro la Chiesa, furono di costante profitto persino a molti dei persecutori. Questi strumenti della rabbia di satana e, in diverso senso della divina giustizia, furono sempre così vivamente colpiti dalla sovrumana serenità dei veri Cristiani, dalla loro accettazione del male senza reazioni violenti e ribelli, che sovente ne trassero l’unica conclusione naturale: essere la Chiesa alimentata da un succo divino, i suoi fedeli nutriti da una forza superiore, e la sua missione condotta a termine a dispetto di tutte le più disperate risoluzioni, dalla mano stessa del Signore. È la gloria dei Cristiani nel mondo: d’essere sovente oggetto di odio e di non mai odiare. Anzi di insegnare, con una assiduità e una fermezza che in certi frangenti della sua storia stupisce, che occorre amare gli stessi nemici. « Diligite inimicos vestros, benefacite his qui oderunt vos et orate prò persequentibus et calumniantibus vos » (Mt., V,. 44). – Lo stupore del mondo rimane sempre questa generosità senza uguale nel suo dominio. Si legge di san Francesco di Sales, il quale ebbe a dichiarare a chi lo offendeva atrocemente, che se gli avesse pur cavato un occhio, non avrebbe potuto impedirgli di guardarlo dolcemente con l’altro. Questo stato d’animo è innanzi tutto ispirato dall’amor di Dio, che sa e vede e protegge i suoi, poi dall’amore del prossimo e dall’istinto dell’apostolato, che alberga in ogni cuore di Cristiano. Per questo ognuno si considera « pescatore d’uomini ». Orbene il pescatore con l’amo non attira pesci se lancia sassi. Sappiamo dunque aspettare che si accostino e siano così presi senza violenza.

[Continua …]