SALMI BIBLICI: “DIXIT INSIPIENS IN CORDE SUO, DEUS …” (LII)

Salmo 52: “DIXIT INSIPIENS in corde suo, DEUS… ”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME PREMIER.

PARIS-LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 52

[1] In finem, pro Maeleth intelligentiæ. David.

   Dixit insipiens in corde suo: Non est Deus.

[2] Corrupti sunt, et abominabiles facti sunt in iniquitatibus; non est qui faciat bonum.

[3] Deus de cælo prospexit super filios hominum, ut videat si est intelligens, aut requirens Deum. (1)

[4] Omnes declinaverunt, simul inutiles facti sunt; non est qui faciat bonum, non est usque ad unum.

[5] Nonne scient omnes qui operantur iniquitatem, qui devorant plebem meam ut cibum panis?

[6] Deum non invocaverunt; illic trepidaverunt timore, ubi non erat timor. Quoniam Deus dissipavit ossa eorum qui hominibus placent: confusi sunt, quoniam Deus sprevit eos.

[7] Quis dabit ex Sion salutare Israel? Cum converterit Deus captivitatem plebis suæ, exsultabit Jacob, et lætabitur Israel. (2)

[Vecchio Testamento Secondo la VolgataTradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LII

Salmo da cantare sull’istrumento musicale detto Maeleth;

di intelligenza di Davide, perché da Davide doveasi riprendere l’insipienza del genere umano che egli nel Salmo deplora.

Per la fine: sul Maeleth; salmo d’intelligenza di David.

1. Disse lo insensato in cuor suo: Iddio non è.

2. Si sono corrotti, e sono divenuti abominevoli nelle iniquità: non havvi chi faccia il bene.

3. Dio gettò lo sguardo dal cielo sopra i figliuoli degli uomini per vedere se siavi chi abbia l’intelletto, o chi cerchi Dio. (1)

4. Tutti sono usciti di strada, son divenuti egualmente inutili: non avvi chi faccia il bene, non ve n’ha nemmen uno.

5. Non se n’avvedrann’eglino tutti coloro che fan loro mestiere della iniquità, che divoranoil popol mio, come un pezzo di pane?

6. Non hanno invocato Dio; ivi tremaron di paura, ove non era timore.

Imperocché Dio ha spezzato le ossa di coloro che godon la grazia degli uomini; son rimasti svergognati, perché Dio gli ha dispregiati.

7. Chi darà di Sionne la salute d’Israele? Quando Dio libererà il popolo suo dalla schiavitù, esulterà Giacobbe e rallegrerassi Israele. (2)

(1) Si sono qui inseriti (Ps. XIII) tre versetti che San Paolo cita a proposito del versetto 3 di questo Salmo e che egli estrae da diversi passi della Scrittura, è un artefatto del copista (Le Hir.).

(2) Questo ultimo versetto è stato probabilmente aggiunto durante la cattività di Babilonia.

Sommario analitico

Il Profeta, in questo Salmo, che è quasi una ripetizione del Salmo XIII, ci dipinge la corruzione come cosa generale nel popolo di Dio.

I. Egli mostra e deplora:

1° l’empietà dell’ateo, a) nella sua intelligenza per cui nega Dio (1); b) nella sua volontà, che egli contamina con ogni sorta di peccati (2); c) nelle sue opere, omettendo di fare il bene e commettendo positivamente il male, accanendosi contro il popolo di Dio (3-5).

2° il castigo dell’ateo, a) egli è sempre tremante, perché non invoca Dio; b) Dio lo distrugge, lo copre di confusione e lo rigetta (6).

II. Egli mostra la felicità dei giusti:

1° la salvezza che essi ottengono da Dio; 2° la libertà; 3° la gioia (7).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-6.

ff. 1. – L’insensato non osa dirlo con le labbra, lo dice nel suo cuore, o piuttosto è il suo stesso cuore, cioè i desideri corrotti del suo cuore, che lo ha detto; non che egli lo creda, ma perché vorrebbe che non ci fosse un Dio vendicatore dei suoi crimini (Dug.). – L’insensato ha trovato un accordo tra la sua ragione ed il suo cuore: la sua ragione gli ha detto che non c’è Dio, ed il suo cuore ribelle gli ha detto che non ce n’è affatto; e poiché il suo cuore sfortunatamente ha prevalso sulla sua ragione, malgrado le istanze della sua ragione, egli ha seguito i movimenti del suo cuore fino a concludere, conformemente ai suoi desideri, che non c’è Dio nell’universo (Bourd. Aveugl. spir.). – Quanti ancora dicono che il Cristo non è Dio! È il linguaggio di colui che resta pagano; è il linguaggio dei Giudei che, disseminati dappertutto, portano dappertutto con sé la testimonianza della loro confusione, ed è anche il linguaggio di molti eretici (S. Agost.).

ff. 2. – L’iniquità, cioè il peccato deliberato della volontà, è la fonte corrotta del cuore degli empi, che li rende abominevoli davanti a Dio. – « Non c’è nessuno che faccia il bene », perché oltre all’infinità di coloro che fanno apertamente il male, quanti sono quelli che fanno convenientemente il bene che sembrano fare? (Dug.).

ff. 3. – E come? Dio ignorava che fossero divenuti tali? Se dunque Egli li conosceva, se sapeva cosa essi erano, da cosa viene ciò che qui è detto: Dio ha rivolto gli occhi nel cielo, etc. Queste parole indicano l’azione di qualcuno che cerca e non di qualcuno che sa … Questa questione è risolta dal linguaggio abituale della Scrittura, che attribuisce a Dio ciò che fa la creatura con l’aiuto dei doni di Dio (S. Agost.). – L’attività, l’intelligenza degli uomini è in ogni altra cosa che non riguardi Dio. Essi cercano tutto con ardore, eccetto Dio, verso il Quale essi non hanno che insensibilità, indifferenza.

ff. 4. – Grande sventura è il non essere nel retto cammino. – Sventura ancora più grande è il fuoriuscirne quando vi si è. Vita inutile, molle, voluttuosa, in cui si attende a gioire tranquillamente della vita, della salute, dei beni acquisiti, delle dolcezze, delle comodità, del caro bene, dei piaceri della vita, è la vita di un onesto pagano, non la vita di un Cristiano, che deve essere una vita di mortificazione, di penitenza, di croce. (Dug.). – Tutti si sono allontanati dal retto cammino e sono divenuti inutili. Non applichiamo queste parole ai pagani e agli idolatri; lasciamo gli eretici e gli scismatici, non parliamo dei libertini e degli atei; non comprendiamo in questo numero neppure certi peccatori insolenti che, pur conoscendo Dio per fede, fanno professione di rinunzia con il cuore. Quanti pochi Cristiani, impegnati nel commercio del mondo, sono nello stato di agire utilmente per Dio e per se stessi, se, per farlo, devono essere amici di Dio! … essi sono tutti nell’inganno, ed ingannandosi, si sono resi inutili; inutili per Dio ed inutili per se stessi, per Dio, per cui non si sentono onorati del gran bene, anche se lo fanno; per se stessi perché tutto ciò che essi fanno, qual sia, non è scritto nel libro della vita, di modo che, pur facendo il bene e facendolo con ardore e perseveranza, essi non fanno nulla. (Bourd. Etat du pechè et état de grace).

ff. 5. – Non sarà forse un giorno ciò che essi faranno? E non lo si mostrerà loro … il vostro popolo è divorato come un pezzo di pane. Quaggiù c’è dunque un popolo che viene divorato? Certo, Voi sapete « … non c’è un uomo che faccia il bene, neanche uno solo ». Ma questo popolo che è divorato, questo popolo che soffre a contatto con i malvagi, è già passato dal numero dei figli degli uomini al numero dei figli di Dio. Ecco perché questo popolo è divorato; « … perché voi avete confuso il disegno dell’indigente, perché la sua speranza è nel Signore ». Spesso, in effetti, ciò che fa sì che il popolo di Dio sia divorato, è che esso è disprezzato perché è il popolo di Dio. Che io lo derubi, dice il malvagio, che io lo spogli, se è cristiano, cosa mi farà? « Essi mangiano il mio popolo come il pane ». In effetti, quanto ai nostri alimenti, noi possiamo mangiarne ora l’uno, ora l’altro; noi non mangeremo sempre di questi legumi, di questa carne, né sempre di questi frutti, ma noi mangiamo sempre del pane. Questi dunque divoreranno il mio popolo come un pezzo di pane (S. Agost.).

ff. 6. – « Essi sono stati presi dalla paura, ove non c’era da temere ». E cosa c’è da temere, in effetti, quando si perdono le proprie ricchezze? Non c’è motivo di temere, eppure si teme. Ma se qualcuno perde la saggezza, qui c’è motivo di temere e non si teme … Coloro che hanno detto del Cristo: Egli non è Dio, hanno paura, la dove non c’era motivo di temere … o insensati, o imprudenti, voi avete paura di perdere la terra ed avete perduto il cielo; voi avete temuto che i Romani vincessero e avessero preso la vostra città ed il vostro reame, e che essi potessero prendere il vostro Dio? Cosa vi resta, se questo non è confessare che voi avete voluto conservare questi beni, e che per conservarli, li avete perduti? Perché avete perso la vostra città e la vostra nazione perdendo il Cristo (S. Agost.). – Voler piacere agli uomini, principio dei pastori e di diversi altri. È una vile compiacenza che nasce da un gran fondo di amor proprio, e che ha sempre timore di ferire coloro dai quali si spera qualche vantaggio … « Se volessi piacere agli uomini, non sarei servo di Gesù-Cristo » (Gal. I, 10). Comunque, si teme più il disprezzo degli uomini che quello di Dio, e più si vuol piacere agli uomini della terra, più si è coperti da confusione davanti a Dio. Quale partito vogliamo noi prendere? Se vogliamo piacere agli uomini e sperare in essi, Dio frantumerà le nostra ossa e ci confonderà con l’ultimo disdegno; ma se noi amiamo maggiormente piacere a Dio, la confusione che ne riceveremo da parte del mondo tornerà alfine a nostra gloria (Dug.). – Chi non preferirebbe essere odiato con Gesù-Cristo e per Gesù-Cristo, piuttosto che essere amato da quelle che sono chiamate, con verità, sia per lusinga, le delizie del genere umano? Io non voglio essere amato dagli uomini che hanno odiato Gesù-Cristo; io preferisco piuttosto queste grida: « togli, togli, sia crocifisso » (Joan. XIX, 15), o coloro che contro San Paolo, come popolo in furore gettavano in aria polvere e la veste a terra. « eliminate dalla terra quest’uomo, non permettetegli di vivere »; (Act. XXII, 53) queste acclamazioni che si fecero ad Erode: « … è il discorso di un dio e non di un uomo »; perché, vedetene il seguito: « … l’Angelo del Signore lo colpì, perché non aveva dato gloria a Dio, e morì divorato dai vermi ». È così che Dio spezza le ossa di quelli che vogliono piacere agli uomini; e San Paolo diceva ai Galati: «Se io piacessi agli uomini, io non sarei servo di Gesù-Cristo ». (Gal. I, 10), (Bossuet, Méd. s. l’Ev., II, p. XVI).

II

ff. 7. – È l’augurio di un’anima cristiana liberata dalla servitù del peccato, dalla cattività di Babilonia, della quale neanche i giusti si sono interamente affrancati.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI-APOSTATI DI TORNO: SS. PIO XII- “ECCLESIÆ FASTOS”

… certo non mancano anche oggi coloro che la respingono (la Chiesa Cattolica), che tentano di inquinarla con fallaci errori o che – calpestando la libertà che compete alla Chiesa e ai cittadini – si sforzano con menzogne, persecuzioni e vessazioni di sradicarla dagli animi e di distruggerla …. Questa è una delle amare considerazioni che il Pontefice inserisce nel testo di questa bellissima lettera Enciclica dedicata a S. Bonifazio, Vescovo e martire della Chiesa Cattolica. In essa infatti viene brevemente delineata la figura dello straordinario Santo, evangelizzatore di barbari popoli nordici, da lui ricondotti nell’alveo della Chiesa di Cristo ed alla comunione di Fede con la Sede Apostolica Romana, la Cattedra di Pietro, Vicario del Redentore e Signore Nostro Gesù-Cristo. L’apologia del Santo Vescovo è lo spunto per richiamare l’attenzione dei credenti e dei dissidenti sulla necessità assoluta, per la salvezza dell’anima, di aderire alla Sede Apostolica del Principe degli Apostoli, come si può tra l’altro osservare da questo passaggio: « … Coloro che ricusano questa pietra e si sforzano di costruire fuori di essa non fanno che gettare sulla mobile rena i fondamenti di un edificio barcollante; e i loro sforzi, le loro opere e imprese, come tutte le cose umane, non possono essere solide, né valide, né stabili; ma, come insegna la storia antica e recente, per le opinioni di menti discordi e le varie vicende degli eventi, quasi per necessità con l’andar del tempo si mutano e si trasformano … ». Questa è infatti una delle verità più necessarie di cui tener conto nel costruire la propria vita spirituale: l’adesione al Romano Pontefice ed al suo Magistero perenne, irriformabile ed infallibile, “condicio sine qua non” per accedere alla eterna felicità. Questo è e sarà il motivo della eterna perdizione per tutti coloro che disconosceranno la pietra sulla quale il divin Redentore ha fondato il suo edificio spirituale, scala che permette l’ingresso nella vita della eterna beatitudine. Chi se ne allontana, come oggi praticamente tutti i fedeli del “novus ordo”, che aderiscono nientemeno che a … due antipapi (orrore e raccapriccio solo a leggerlo !!), i fedeli (… o meglio infedeli) delle sette scismatiche dei fallibilisti orientali ed occidentali e dei balordi sedevacantisti ( … che aderiscono a se stessi, autonominandosi papi di fatto, cani sciolti che si garantiscono da sé la loro personale falsa religione ed i sacrileghi sacramenti), praticamente sta percorrendo “allegramente” la via della perdizione che conduce negli inferi. La dottrina cattolica è chiarissima, comprensibile a tutti, almeno a coloro che non vogliono dormire ad occhi chiusi, e questa lettera né è un’ulteriore testimonianza, come da sempre è stato chiaro che: … chi non è soggetto al Romano Pontefice è fuori dalla Chiesa Cattolica, (bolla “Unam sanctam”, di un altro Bonifacio: Bonifacio VIII) e quindi da ogni forma di salvezza possibile. Godiamoci quindi questo bellissimo panegirico del Sommo Pontefice E. Pacelli sulla figura di San Bonifacio e traiamone spunto per le nostre considerazioni in merito all’eterna salvezza.

PIO XII

LETTERA ENCICLICA

ECCLESIÆ FASTOS (1)

XII CENTENARIO DELLA MORTE 
DI S. BONIFACIO

È sommamente conveniente e opportuno non soltanto rivolgere la mente ai fasti della chiesa, ma anche commemorarli con pubblici festeggiamenti, poiché di qui facilmente si vede come nessun secolo mai nella società fondata da Gesù Cristo fu sterile di santità; e inoltre, quando si propongono appositamente all’attenzione di ognuno chiari esempi di virtù che dagli stessi fasti rifulgono, l’animo s’infiamma e vivamente si accende a imitarli secondo le proprie forze. Ci ha rallegrato pertanto la notizia a Noi riferita che, soprattutto in quelle nazioni che per motivi speciali si sentono grate verso san Bonifacio, chiaro decoro e gloria dell’ordine benedettino, si intende commemorare quest’anno con grande giubilo e con pubbliche preghiere il dodicesimo centenario di quell’avvenimento per cui egli, subìto il martirio, volò alla patria celeste. Ma se le vostre nazioni hanno motivo di venerare quest’uomo santissimo e le sue preclare gesta in questa fausta ricorrenza, molto più ne ha motivo questa sede apostolica, che lo vide tre volte, dopo lungo e aspro cammino, entrare in Roma in pio pellegrinaggio, inginocchiarsi davanti al sepolcro del principe degli apostoli per venerarlo e chiedere ai Nostri predecessori con animo di figlio devotissimo il mandato per potere, come fortemente desiderava, portare a genti lontane e barbare il Nome del divino Redentore e i princìpi della cultura e della civiltà cristiana. Nato di stirpe anglosassone, fin dai primi anni sentì forte l’invito dall’alto che lo spingeva ad abbandonare l’avito patrimonio e i piaceri del mondo e a chiudersi nel sicuro recinto del chiostro per poter più facilmente attendere alla contemplazione e conformarsi interamente ai precetti evangelici. Ivi fece grandi progressi non solo nello studio delle umane lettere e delle scienze sacre, ma ancora nella cristiana virtù, tanto da venir in seguito eletto a capo del suo cenobio. Tuttavia, dotato com’era di animo fatto per maggiori e più grandi cose, già da tempo aveva in animo di portarsi in terra straniera e tra genti barbare per rischiararle con la luce dell’evangelo e informarle ai cristiani comandamenti. Nulla lo tratteneva, nulla lo impediva: non il distacco dalla patria carissima, non i lunghi e difficili viaggi e neppure i pericoli d’ogni genere che potevano venirgli da parte di popolazioni sconosciute. Nel suo animo apostolico c’era qualcosa di così appassionato, di così veemente, di così forte da non poter in alcun modo essere trattenuto da considerazioni e da vincoli umani.

I

È senza dubbio cosa ammirevole che la Gran Bretagna, la quale, circa cent’anni prima, dal Nostro predecessore d’immortale memoria Gregorio Magno – che vi aveva inviato un validissimo stuolo di figli di san Benedetto guidati da sant’Agostino – era stata richiamata alla religione cristiana dopo tante vicende; è, diciamo, cosa ammirevole che a quel tempo mostrasse già una fede così solida e fiorisse già di così accesa carità da inviare spontaneamente alle altre genti, come fiume in piena che irrighi le terre circostanti e le fecondi, non pochi uomini eccellenti di cui era fornita, i quali le guadagnassero a Gesù Cristo e le unissero con saldi legami al suo vicario in terra; ciò avvenne quasi come prova di gratitudine per i benefici da essa ricevuti della religione cattolica, della civiltà, della gentilezza cristiana. – Fra costoro primeggiava senza dubbio, per zelo missionario e per fortezza d’animo congiunta a dolcezza di costumi, Winfrido, che fu poi chiamato Bonifacio dal romano pontefice san Gregorio II. Egli con uno stuolo di compagni, piccolo per numero ma grande per virtù, si accinse all’impresa di evangelizzazione a cui già da tempo pensava; perciò salpò dai lidi di Bretagna e sbarcò sulla spiaggia della Frisia. Ma siccome colui che dominava tirannicamente in quella regione era aspro nemico della religione cristiana, gli sforzi di san Bonifacio e dei suoi compagni furono vani. Dopo inutili fatiche e vani tentativi, con i suoi compagni fu costretto a tornare in patria.  – Ma l’animo suo non si scoraggiò, e dopo non lungo intervallo volle venire a Roma, presentarsi alla sede apostolica e chiedere umilmente allo stesso vicario di Gesù Cristo il sacro mandato, per potere con esso più facilmente, con l’aiuto della divina grazia, raggiungere la difficile meta che era al colmo del suo desiderio. E così dopo che «ebbe messo piede felicemente sul soglio del beato Pietro apostolo» (2) ed ebbe venerato con somma pietà il sepolcro del principe degli apostoli, supplicò di essere ammesso alla presenza del predecessore Nostro di s. m. Gregorio II. – Il Pontefice lo accolse volentieri ed egli gli «narrò per esteso tutte le circostanze del suo viaggio e della sua venuta e gli confidò ansiosamente l’angoscioso desiderio e le lunghe fatiche. Subito il santo papa con ilare volto e sguardo gioioso lo fissò», (3) gli fece animo, lo incitò a intraprendere con fiducia questa lodevole opera e a tale fine lo munì di lettere apostoliche e di apostolica autorità. – Il mandato ricevuto dal vicario di Gesù Cristo sembrò conciliargli la grazia e gli aiuti divini; da essi confortato, senza lasciarsi impressionare da difficoltà di uomini e di cose, poté con migliori auspici e più abbondanti frutti incominciare e continuare l’impresa da tanto tempo desiderata. L’apostolico agricoltore percorse varie regioni della Germania e della Frisia: dove non vi era nessuna traccia della Religione cristiana, ma costumi barbari, selvaggi e feroci; ivi sparse con larga mano il seme dell’Evangelo e lo fecondò con le sue assidue fatiche e con il suo sudore; dove invece le comunità cristiane giacevano abbandonate e misere nell’inerzia, perché prive del legittimo pastore, o perché venivano allontanate dalla fede genuina e dai retti costumi da ministri del culto corrotti e ignoranti, ivi egli fu riformatore prudente e inflessibile della vita privata e pubblica, solerte operaio, instancabile e zelantissimo propulsore e restauratore di ogni virtù. – I felici risultati di Bonifacio furono riferiti al medesimo Nostro predecessore, che lo chiamò al soglio apostolico e a lui, benché restìo per umiltà, «dichiarò che voleva imporgli la dignità episcopale, perché così potesse con maggiore fermezza correggere e riportare sulla via della verità gli erranti, si sentisse sostenuto dalla maggiore autorità della dignità apostolica e fosse tanto più accetto a tutti nell’ufficio della predicazione quanto più appariva che per questo motivo era stato ordinato dall’apostolico presule». (4)  – In tal modo consacrato « Vescovo regionale » dallo stesso Pontefice Massimo, ritorna alle immense regioni a lui affidate, dove con la nuova dignità e autorità riprende le fatiche apostoliche con più vivo impegno. – Come fu assai caro a questo Pontefice per lo splendore della sua virtù e per il vivissimo zelo di dilatare il regno di Cristo, parimenti lo fu ai suoi successori; e cioè a san Gregorio III, che per i suoi meriti lo nominò Arcivescovo e lo onorò del sacro pallio, dandogli la facoltà di costituire legittimamente e riformare la gerarchia ecclesiastica in quelle regioni e di consacrare nuovi vescovi « per illuminare la gente germanica »; (5) a san Zaccaria, che con affettuosissima lettera confermò il suo ufficio e ne tessé ampia lode; (6) e infine a Stefano III, al quale appena eletto egli, ormai vicino al termine di questa vita mortale, scrisse una lettera piena di devoto ossequio. (7)  – Bonifacio, avvalendosi dell’autorità e della benevolenza di questi papi, per tutto il tempo del suo ufficio, con zelo sempre più ardente percorse le immense regioni ancora sommerse nelle tenebre dell’errore, le rischiarò con la luce della verità evangelica e fece sorgere per esse con la sua opera instancabile una nuova èra di cristiana civiltà. La Frisia, l’Alsazia, l’Austrasia, la Turingia, la Franconia, l’Assia, la Baviera lo ebbero instancabile seminatore della parola divina e padre di quella nuova vita che nasce da Gesù Cristo e si alimenta della sua grazia. Desiderava vivamente giungere fino a quella «antica Sassonia» (8) da cui riteneva provenissero i suoi avi; ma non poté condurre a lieto fine questi suoi propositi. – Per poter intraprendere, continuare e condurre a termine quest’opera immensa, supplicò e chiamò a sé nuovi compagni di fatica e anche compagne (cioè monache, fra le quali primeggia per perfezione di vita evangelica Lioba) dai cenobi benedettini della sua patria, allora fiorenti per dottrina, fede e carità; essi lo raggiunsero ben volentieri e gli prestarono preziosissimo aiuto. E non mancarono coloro che, nelle stesse terre da lui percorse, dopo che ebbero ricevuto il lume dell’evangelo, abbracciarono con così viva ed energica volontà la nuova religione e vi aderirono così intensamente, da impegnarsi a propagarla secondo le loro forze fra tutti quelli che potevano. Poiché dunque, come dicemmo, munito dell’autorità dei romani pontefici « san Bonifacio incominciò dappertutto, quale nuovo archimandrita, a seminare divine piantagioni e ad estirpare quelle diaboliche, a edificare cenobi e chiese, a preporre a quelle chiese pastori prudenti », (9) a poco a poco le condizioni di quei paesi mutarono. Si potevano vedere moltitudini di uomini e di donne accorrere numerosi a sentir predicare quest’uomo apostolico; ascoltandolo restare commossi; abbandonare le vecchie superstizioni; infiammarsi d’amore verso il divin Redentore; conformare alla sua attraente dottrina i propri costumi aspri e corrotti; lavarsi nelle acque purificatrici del battesimo e cominciare una vita interamente nuova. Si costruirono cenobi di monaci e di monache, che divennero sede non solo di culto divino, ma anche di civiltà, di lettere, di scienze e di arti. Ivi, dopo aver diradate o interamente tagliate e abbattute selve impervie inesplorate e tenebrose, furono coltivati nuovi campi a comune vantaggio; si cominciarono a costruire qua e là nuove dimore umane, che nel corso dei secoli sarebbero poi divenute popolose città. – Il fiero popolo germanico, il quale, gelosissimo della sua libertà, a nessuno mai aveva voluto piegarsi e, senza neppur lasciarsi atterrire dalle potentissime armi dei romani, non si era mai stabilmente sottomesso al loro dominio, dopo essere stato evangelizzato da questi inermi messaggeri di Cristo, finalmente obbedendo ad essi, piega la fronte; viene imbevuto delle bellezze della verità della nuova dottrina, ne è intimamente scosso e attratto; e infine si avvera il felice evento: e cioè spontaneamente si sottomette al soavissimo giogo di Gesù Cristo. – Per opera di san Bonifacio si aprì senza dubbio per il popolo germanico una nuova èra: nuova non solo per quanto riguarda la religione cristiana, ma anche per una vita civile e insieme più umana. A buon diritto perciò questo popolo lo considera e lo onora come suo padre, e gli deve perenne gratitudine; inoltre deve conformarsi completamente al suo fulgido esempio di ogni virtù. «Non solo Dio onnipotente si può chiamare Padre spirituale, ma anche tutti coloro che ci hanno condotti con la dottrina e con l’esempio alla conoscenza della verità, che ci hanno incitati alla fedeltà verso la Religione. … Proprio per questo motivo, il santo Vescovo Bonifacio può dirsi padre di tutti gli abitanti della Germania, perché per primo li ha generati a Cristo con la parola della sua santa predicazione, li ha confermati con l’esempio, e infine ha dato per essi la vita, carità questa di cui non può darsi maggiore». (10)  – Fra i vari cenobi, che egli eresse in quelle regioni in numero non esiguo, viene senza dubbio in primo luogo quello di Fulda, apparso ai popoli come un faro che indica con la sua luce il cammino alle navi fra le onde del mare. In esso fu fondata come una nuova Città di Dio, nella quale innumerevoli monaci, succedendosi gli uni agli altri, si formavano con diligenza nelle discipline profane e sacre; nella preghiera e nella contemplazione si preparavano a combattere le future pacifiche battaglie; indi come sciami di api, dopo aver attinto dai libri sacri e profani il dolce miele della sapienza, partivano per le varie regioni a diffonderlo e a farne generosamente partecipi gli altri. Nessun ramo di scienza e di arte fu trascurato. Gli antichi codici furono accuratamente ricercati, fedelmente trascritti, artisticamente miniati e diligentemente commentati; perciò a buon diritto si può affermare che le scienze sacre e profane, che oggi fanno tanto onore al popolo germanico, vi trovarono la culla a cui esso guarda con venerazione. – Inoltre da queste dimore partirono innumerevoli monaci benedettini, i quali con la croce e con l’aratro, cioè con la preghiera e con il lavoro, portarono alle terre ancora avvolte nelle tenebre la luce del Cristianesimo e della civiltà; per la loro lunga e instancabile opera selve immense, già popolate di bestie feroci e quasi inaccessibili all’uomo, divennero campi coltivati e fecondi. E quelle tribù, prima divise tra loro a causa di rozzi e feroci costumi, divennero col tempo una sola nazione ammansita dalla mitezza e dal vigore dell’Evangelo e luminosa per le virtù cristiane e civili. – Ma soprattutto il monastero di Fulda fu domicilio della preghiera e della contemplazione divina. Ivi i monaci, prima di intraprendere la difficile impresa di evangelizzare i popoli, nella preghiera, nella penitenza, nel lavoro si sforzavano di conformarsi all’ideale di santità. Lo stesso Bonifacio, appena poteva riposarsi per un certo tempo dalle fatiche apostoliche o appartarsi un poco, volentieri vi si rifugiava per temprare e rafforzare il suo animo nella contemplazione delle cose celesti e nella continua preghiera. « C’è una località selvaggia – così scriveva al Nostro predecessore di s. m. Zaccaria – nella solitudine di un estesissimo eremo, nel centro dei popoli ai quali predichiamo, in cui abbiamo costruito un monastero e abbiamo costituito monaci che vivono sotto la regola del santo padre Benedetto: uomini di austera penitenza, che si astengono dalla carne e dal vino, senza birra e senza servi, contenti del lavoro delle proprie mani. … In questo luogo, con il consenso della Santità vostra, mi sono proposto, riposando un po’ per pochi giorni, di recuperare le forze del mio corpo indebolito per la vecchiaia e di esservi poi sepolto dopo morto. Vi sono quattro popolazioni a cui abbiamo predicato con la grazia di Dio la verità di Cristo, che abitano nei dintorni di questo luogo; ad esse, con il vostro assenso, finché vivo e sono in me, posso essere utile. Desidero, con le vostre preghiere e con la grazia di Dio, perseverare nell’unione con la romana chiesa e al vostro servizio fra i popoli germanici ai quali fui mandato, e obbedire al vostro comando». (11) – Soprattutto nel silenzio di questo cenobio egli attinse da Dio la forza per partire animosamente a iniziare nuove battaglie e condurre dovunque poté tante popolazioni germaniche all’ovile di Gesù Cristo o ricondurle e riconfermarle nella fede, o anche, non di rado, a stimolarle a raggiungere la perfezione evangelica della vita. – Ma se Bonifacio fu in modo del tutto speciale apostolo della Germania, lo zelo che lo infiammava per la dilatazione del regno di Dio non si limitava ai confini di questa nazione. Anche la chiesa in Gallia, che fin dall’età apostolica aveva abbracciato generosamente la fede cattolica e l’aveva consacrata con il sangue di un numero sterminato di martiri, e che anche dopo la fondazione dell’impero dei Franchi aveva scritto nei fasti del Cristianesimo pagine degne di somma lode, in quell’epoca aveva bisogno di una riforma dei costumi, della restaurazione e rinnovamento della vita cristiana. Non poche erano le diocesi prive del loro Vescovo o affidate a un pastore non degno; in alcuni luoghi svariate superstizioni, eresie, scismi turbavano molti animi; già da lungo tempo per grave negligenza non si celebravano i Concili ecclesiastici, molto necessari per tutelare l’integrità della Religione, restituire la disciplina del clero, riformare i pubblici e privati costumi; i sacerdoti spesso erano ìmpari all’alta dignità del loro ufficio; e non di rado il popolo giaceva in una grande ignoranza della Religione cristiana e perciò schiavo della corruzione. Erano pervenute all’orecchio di san Bonifacio notizie di questa triste situazione; appena egli si accorse della crisi in cui si dibatteva l’illustre chiesa dei franchi, mise mano a sanare radicalmente questa situazione con assiduo zelo. – Tuttavia anche in queste gravi difficoltà capì di aver bisogno dell’autorità della sede apostolica; (12) munito della quale, come legato del romano Pontefice;(13) per lo spazio di circa cinque anni lavorò con infaticabile impegno e somma prudenza a richiamare la chiesa dei franchi al primitivo splendore. «… Allora con l’aiuto di Dio e per suggerimento dell’arcivescovo san Bonifacio fu rinsaldata l’eredità della religione cristiana, furono tra i franchi rivedute le disposizioni sinodali dei padri ortodossi e tutto fu emendato e rinnovato con l’autorità dei canoni». (14) Infatti quattro Concili furono celebrati a questo scopo per stimolo e interessamento di san Bonifacio; (15) e il quarto di essi fu per tutto l’impero franco; venne restaurata la Gerarchia ecclesiastica; furono scelti e destinati alle proprie sedi Vescovi degni di questo nome e di questo ufficio; la disciplina del clero fu con ogni impegno restaurata e riformata; garantita l’autorità dei sacri canoni; emendati con diligente cura i costumi del popolo cristiano; proibite le superstizioni; (16) riprovate e condannate le eresie; (17) felicemente composti gli scismi. Con grande gioia di san Bonifacio e di tutti i buoni si vide allora la chiesa dei franchi splendere di nuova luce e pienamente rifiorire; i vizi furono sradicati o almeno diminuiti; restituito l’onore alle virtù cristiane; la necessaria comunione con il romano pontefice rafforzata con vincoli più stretti e più saldi. I padri del Concilio generale di tutto l’impero franco inviarono gli atti, che avevano solennemente sancito, a Roma al Sommo Pontefice, quale luminoso documento della propria Fede Cattolica e di quella dei loro fedeli, documento che essi deponevano davanti al sepolcro del Principe degli Apostoli a testimonianza della propria venerazione, pietà e unità. (18) – Condotta a termine, con l’aiuto di Dio, anche questa grave impresa, san Bonifacio non si concesse il meritato riposo. Per quanto oppresso dal peso di tante sollecitudini e pur sentendosi ormai giunto alla vecchiaia e con la salute scossa per tante fatiche incontrate, si preparò tuttavia appassionatamente a una nuova e non meno ardua impresa. Rivolse di nuovo lo sguardo e il pensiero alla Frisia: a quella Frisia che era stata la prima meta dei suoi viaggi apostolici e dove anche in seguito aveva tanto lavorato. Questa regione, specialmente nella sua parte settentrionale, giaceva ancora avvolta nelle tenebre degli errori pagani; con animo giovanile si diresse dunque verso di essa per generare nuovi figli a Gesù Cristo e portare ad altri popoli la civiltà cristiana. Era infiammato dal desiderio « di ricevere la mercede al termine della sua vita anche dove aveva svolto inizialmente l’opera della predicazione, accantonando titoli per il suo premio eterno». (19) Sentendosi ormai vicino al termine della vita, con queste parole scriveva presago al suo discepolo carissimo, il Vescovo Lullo, dimostrando contemporaneamente di non volere star ad aspettare la morte in ozio: « Io desidero condurre a termine il proposito di questo viaggio; non posso in alcun modo rinunziare al desiderio di partire. È vicino il giorno della mia fine e si approssima il tempo della mia morte; deposta la salma mortale, salirò all’eterno premio. Ma tu, figlio carissimo, richiama senza posa il popolo dal ginepraio dell’errore, compi l’edificazione della già iniziata basilica di Fulda e ivi deporrai il mio corpo invecchiato per lunghi anni di vita». (20)  – Licenziatosi non senza lacrime dai suoi con un piccolo stuolo di compagni, «percorse l’intera Frisia, e, aboliti i riti pagani e stroncati i costumi depravati dei gentili, predicava dappertutto indefessamente la parola di Dio; dopo avere spezzato gli idoli dei templi pagani, costruì con grande cura delle chiese. Battezzò parecchie migliaia di uomini, donne, fanciulli».(21) Giunto nella parte settentrionale della Frisia, mentre stava per conferire il Sacramento della Cresima a una moltitudine di neofiti già battezzati con l’acqua lustrale, irruppe all’improvviso contro di essi una furibonda schiera di pagani, che agitando spaventosamente le aste e le spade minacciava di uccidere. Allora il santo Vescovo, fattosi avanti con fronte serena, « vietò ai suoi di combattere dicendo: “Cessate, figliuoli, dai combattimenti, abbandonate la guerra, poiché la testimonianza della Scrittura ci ammonisce di non rendere male per male, ma bene per male. Ecco il giorno da tempo desiderato, ecco che il tempo della nostra fine è venuto; coraggio nel Signore… Siate forti, non lasciatevi atterrire da coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima immortale; godete nel Signore e fissate l’àncora della vostra speranza in Dio, che vi darà subito la mercede del premio eterno e la sede dell’aula celeste con i cittadini del cielo, gli Angeli”». (22) Incitati da queste parole alla palma del martirio, volgendo tutti in preghiera la mente e gli occhi al cielo, dove speravano di ricevere tra breve il premio eterno, subirono l’impeto dei nemici, i quali insanguinarono quei corpi « con una felice strage di santi ». (23) Accadde che Bonifacio, al momento del suo martirio, « mentre stava per esser colpito dalla spada pose sul suo capo l’Evangeliario per ricevere il colpo del carnefice sotto di esso e avere in morte il presidio di quel santo libro, di cui in vita aveva amato la lettura». (24) – Con questa morte gloriosa, che gli apriva sicura la via all’eterna beatitudine, san Bonifacio terminò il corso della sua vita, che fu tutta spesa alla gloria di Dio e per la salvezza sua e degli altri. Le sue sacre spoglie, dopo varie vicende, « furono portate al luogo che egli vivente aveva designato », (25) cioè al monastero di Fulda, ove i discepoli al canto dei Salmi e con molte lacrime gli diedero degna sepoltura. A questo sepolcro guardarono con venerazione turbe sterminate di popoli e tuttora vi guardano, poiché ivi sembra quasi che san Bonifacio ancor vivo parli a tutti coloro, i cui avi generò a Gesù Cristo e condusse a una vita e civiltà cristiana; parla, diciamo, con l’ardore della sua carità e della sua pietà, con l’invitta fortezza del suo animo, con l’integrità della sua fede, con lo zelo indefesso fino al termine della vita, con il suo apostolato e con la sua morte decorata della palma del martirio. – Appena da questa vita mortale egli volò al cielo, tutti incominciarono a esaltare la sua santità e a venerarlo in privato e pubblicamente. Tanto presto si propagò la fama della sua santità, che in Gran Bretagna, poco dopo il martirio di san Bonifacio, Cutberto, Arcivescovo di Canterbury, scrivendo di lui, dava la seguente testimonianza: « Con piacere consideriamo e veneriamo quest’uomo, esaltandolo tra gli egregi grandi Dottori della fede ortodossa. Perciò nel nostro sinodo generale, introducendo il giorno natalizio di lui e dello stuolo di coloro che con lui subirono il martirio, abbiamo decretato di celebrarne solennemente ogni anno la festa». (26) Lo stesso fecero fin dall’antichità con uguale ardore la Germania, la Francia e altre nazioni. (27)

II

Da dove, venerabili fratelli, san Bonifacio attinse tanta instancabile energia e quella invitta fortezza d’animo con cui poté affrontare tante difficoltà, sottoporsi a tanti travagli, superare tanti pericoli; con la quale poté combattere fino alla morte per la dilatazione del regno di Gesù Cristo, conquistando la corona del martirio? Senza dubbio dalla grazia di Dio, che egli implorava con umile continua intensa preghiera. Era talmente guidato e infiammato dall’amore di Dio, che altro non desiderava che di congiungersi con lui ogni giorno con vincoli più stretti; nient’altro che stare a colloquio con lui il maggior tempo possibile; nient’altro che propagare la sua gloria anche tra popoli sconosciuti e portare a Lui in atto di venerazione, di ossequio e di amore il più gran numero possibile di uomini. Poteva a buon diritto attribuirsi e ripetere quelle parole di san Paolo: «La carità di Cristo ci spinge» (2 Cor V, 14). E anche quelle altre: «Chi ci separerà dalla carità di Cristo? La tribolazione? L’angustia? La fame? Io sono certo che né la morte, né la vita, né il presente, né il futuro, né fortezza, né altezza, né profondità, né altra creatura ci potrà separare dalla carità di Dio in Gesù Cristo Signore nostro» (Rm VIII, 35.38.39). – Ogni volta che questa divina carità invade gli animi, li informa e li stimola, ben possono gli uomini far propria la sentenza di Paolo: «Tutto io posso in colui che mi dà forza» (Fil. IV, 13); nulla perciò – e lo insegna la storia della Chiesa – nulla può impedire o ostacolare i loro sforzi e le loro fatiche. Allora in modo mirabile felicemente si ripete ciò che avvenne al tempo degli Apostoli: «… per ogni terra si diffuse la loro fama e le loro parole giunsero ai confini del mondo» (Sal. XVIII,5; Rm X,18). Per mezzo di essi l’Evangelo di Gesù Cristo ha nuovi propagatori, i quali animati da questa forza soprannaturale non possono esser trattenuti altro che dalle catene da cui siano stretti, come anche oggi vediamo con grande tristezza; nulla li può fermare se non la morte; tale morte però che, abbellita dalla palma del martirio, sempre commuove grandi moltitudini e fa sorgere – come accadde ai tempi di san Bonifacio – sempre nuovi seguaci del divino Redentore. – Quanta fiducia riponesse quest’uomo nella divina grazia, che impetrava con supplice preghiera affinché le sue imprese potessero dare abbondanti frutti, ben si vede dalle sue lettere, nelle quali si rivolgeva senza posa al romano Pontefice (28) e ai suoi amici insigni per santità, e anche alle monache, le cui comunità aveva fondato o desiderava formare, attraverso il suo saggio consiglio, all’ideale di perfezione evangelica, affinché con le loro preghiere gli volessero ottenere dal cielo conforto e aiuto. Ci piace citare come esempio ciò che scrive « alle venerabili e dilettissime sorelle Leobgita, Tecla e Cyneilda»: «Vi prego, anzi vi comando come a figlie carissime, che supplichiate Dio con le vostre incessanti preghiere, come del resto confidiamo che voi fate, avete fatto e farete senza posa… E sappiate che noi lodiamo il Signore, e sono cresciute le tribolazioni del nostro cuore, affinché il Signore Dio che è rifugio dei poveri e speranza degli umili, ci liberi dalle nostre necessità e dalle tentazioni di questa triste vita, affinché la parola di Dio si espanda e sia fatto conoscere il glorioso Evangelo di Cristo e affinché la grazia di Dio in me non sia vana. E poiché io sono l’ultimo e il peggiore di tutti coloro che la Chiesa Cattolica e Apostolica Romana ha mandato a predicare l’Evangelo, pregate perché io non muoia sterile e proprio senza alcun frutto dell’Evangelo». (29) – Queste parole, come mettono in mostra il suo zelo per diffondere il regno di Gesù Cristo, zelo che egli irrobustiva con la continua orazione sua e degli altri, così pure pongono in rilievo la cristiana umiltà e la totale devozione e unione alla Chiesa Apostolica Romana. Questa intensa devozione ed unione strettissima egli custodì accuratamente e fervidamente per tutta la vita; tanto che si può veramente dire che essa fu lo stabile fondamento del suo lavoro apostolico. – Sebbene abbiamo già sopra accennato ai suoi pii pellegrinaggi al sepolcro del beato Pietro e alla sede del Vicario di Gesù Cristo, vogliamo qui parlarne più estesamente affinché sia ben manifesto il suo impegno di obbedienza e deferenza verso i Nostri predecessori e parimenti sia messo in luce il grande affetto che avevano verso di lui i Romani Pontefici. – La prima volta che venne in quest’alma città, per ricevere da san Gregorio II, Pontefice Massimo, il mandato di predicare la divina parola, il Nostro predecessore, appena lo conobbe, gli diede l’approvazione e lo lodò, scrivendogli poi con animo paterno queste parole: «Il religioso proposito che Ci hai manifestato, pieno di amore per Cristo, e le prove che Ci sono state date dalla tua sincera fede esigono che Noi ti abbiamo come collaboratore nella predicazione della parola divina che per grazia di Dio Ci è affidata… Ci rallegriamo della tua fede e vogliamo aiutarti in quello che Ci hai chiesto; perciò in nome della indivisibile Trinità, per l’inconcussa autorità del beato Pietro, Principe degli Apostoli, del cui Magistero Noi partecipiamo per volontà e ne facciamo le veci in questa sacra Sede, investiamo la tua modesta persona di missione religiosa e ordiniamo che nella parola della grazia di Dio … a tutte le genti avvolte nell’errore dell’infedeltà a cui potrai giungere con l’aiuto di Dio, con la persuasione della verità tu proclami il regno di Dio attraverso il nome di Cristo Signore e Dio nostro ». (30) Consacrato poi Vescovo dallo stesso Nostro predecessore per i suoi grandi meriti, dopo aver giurato obbedienza a lui e ai suoi successori, (31) fece questa solenne dichiarazione: «Io professo integralmente la purità della santa Fede Cattolica e con l’aiuto di Dio voglio restare nell’unità di questa Fede, nella quale senza alcun dubbio sta tutta la salvezza dei Cristiani». (32) – Questi attestati di obbedienza e di riverenza, come a san Gregorio II, li diede apertamente anche ai romani pontefici suoi successori, e ogni qualvolta se ne presentò l’occasione li affermò apertamente. (33) Così, per esempio, scrisse al Nostro predecessore san Zaccaria, appena avuta notizia della sua elevazione al Pontificato: «Non potevamo ricevere notizia per noi più lieta e felice; levando le mani al cielo rendiamo grazie a Dio perché l’altissimo Signore ha concesso alla Vostra mitezza, Padre santo, di presiedere ai sacri canoni e di prendere il timone della Sede Apostolica. Perciò prostrati umilmente in ginocchio ai vostri piedi vi preghiamo caldamente affinché, come fummo servi devoti e sudditi fedeli del vostro predecessore per l’autorità di san Pietro, così meritiamo di essere servi obbedienti alla vostra pietà a norma del diritto canonico. Io non cesso mai d’invitare e di sottoporre all’obbedienza della Sede apostolica coloro che vogliono restare nella Fede Cattolica e nell’unità della Chiesa Romana e tutti coloro che in questa mia missione Dio mi dà come uditori e discepoli». (34) – Negli ultimi anni della sua vita, ormai vecchio e affranto dalle fatiche, così scrive devotamente a Stefano III, appena eletto Sommo Pontefice: «Dall’intimo del mio animo rivolgo calda preghiera alla mite Santità vostra, affinché io meriti di impetrare e ottenere dalla vostra clemenza familiarità e unità con la santa Sede Apostolica e, prestando servizio come pio discepolo alla vostra sede apostolica, possa continuare a essere vostro servo fedele e devoto allo stesso modo con cui ho servito la Sede Apostolica sotto i tre vostri predecessori». (35) Ben a ragione perciò il Nostro predecessore di f. m. Benedetto XV, nel dodicesimo centenario della legazione apostolica iniziata da questo glorioso martire presso i germani, scriveva ai Vescovi di detta nazione: « Mosso da questa salda fede e infiammato da siffatta pietà e carità, Bonifacio mantenne costantemente quella fedeltà e unione con la Sede Apostolica che aveva attinta dapprima in patria nell’esercizio della vita monastica, che poi sul punto d’iniziare il pubblico agone del suo apostolato, a Roma, sulla tomba di san Pietro Principe degli Apostoli, aveva solennemente giurato, e che infine in mezzo alle lotte e ai combattimenti aveva proclamato quale caratteristica del suo apostolato e regola della missione che aveva accettata; non solo, ma anche a tutti coloro che aveva conquistati all’Evangelo non cessò mai di raccomandarla caldamente e di inculcarla con tanta sollecitudine, da lasciarla quasi come suo testamento ». (36) – Questo modo di agire di san Bonifacio, dal quale appare fulgida la sua fedeltà verso i Romani Pontefici, fu sempre fedelmente seguìto, come voi sapete, venerabili fratelli, da tutti coloro che ebbero ben presente essere stato posto dal divin Redentore il Principe degli Apostoli come salda pietra, sulla quale sorge l’intero edificio della Chiesa, che resterà fino alla fine dei secoli; e a lui essere state date le chiavi del Regno dei cieli e il potere di legare e di sciogliere (cf. Mt XVI, 18-19). Coloro che ricusano questa pietra e si sforzano di costruire fuori di essa non fanno che gettare sulla mobile rena i fondamenti di un edificio barcollante; e i loro sforzi, le loro opere e imprese, come tutte le cose umane, non possono essere solide, né valide, né stabili; ma, come insegna la storia antica e recente, per le opinioni di menti discordi e le varie vicende degli eventi, quasi per necessità con l’andar del tempo si mutano e si trasformano. – Perciò stimiamo assai opportuno che in questa celebrazione giubilare si ponga nella sua piena luce, sotto la vostra guida, la strettissima unione di questo insigne martire con l’Apostolica Sede, come pure le sue grandi imprese; ciò infatti, mentre confermerà la fede e la fedeltà di coloro che aderiscono al magistero ineffabile del romano pontefice, così non potrà non scuotere salutarmente per una più profonda riflessione anche coloro che per qualsiasi motivo sono separati dai successori di san Pietro, in modo da incamminarsi a ragion veduta e animosamente, sotto l’impulso della grazia di Dio, per quella via che felicemente li riporti all’unità della chiesa. Questo è il Nostro vivo desiderio; questo domandiamo con supplici preghiere al Datore dei doni celesti, affinché si avveri finalmente l’ardente voto di tutti i buoni, che tutti cioè siano una sola cosa (cf. Gv XVII,11) e tutti convergano all’unità dell’ovìle sotto la guida di un unico Pastore (cf. Gv XXI,15.16.17). – Un altro insegnamento ancora, venerabili fratelli, ci viene dalla vita di san Bonifacio, che abbiamo in breve riassunta. Nel piedistallo della statua eretta nel 1842 nel monastero di Fulda, che rappresenta l’immagine dell’apostolo della Germania, i visitatori leggono questa frase: « La parola del Signore rimane eternamente » (1 Pt 1, 25). Non si poteva porre una scritta più significativa e più vera. Dodici secoli, l’un dopo l’altro, sono trascorsi; diverse trasmigrazioni di popoli si sono avute dall’una all’altra parte; ci sono state tante vicende e si sono susseguite tante orrende guerre; scismi e eresie hanno tentato e tentano di lacerare l’inconsutile veste della Chiesa; prepotenti imperi e dittature di uomini che sembravano non aver paura di nulla all’improvviso sono crollati; varie dottrine filosofiche che si sforzano di toccare la vetta del sapere, nel corso dei tempi si avvicendano, prendendo spesso l’apparenza di una nuova verità. Ma la parola che Bonifacio predicò alle genti di Germania, di Gallia e di Frisia, essendo parola di Colui che rimane in eterno, vigoreggia anche nella nostra età e per tutti coloro che volentieri l’abbracciano essa è via, verità e vita (cf. Gv XIV,6). Certo non mancano anche oggi coloro che la respingono, che tentano di inquinarla con fallaci errori o che – calpestando la libertà che compete alla Chiesa e ai cittadini – si sforzano con menzogne, persecuzioni e vessazioni di sradicarla dagli animi e di distruggerla. Eppure, voi bene lo sapete, venerabili fratelli, questa astuzia non è nuova; fu già conosciuta fin dai primordi dell’èra cristiana; già lo stesso divin Redentore aveva in antecedenza ammonito i suoi Discepoli con queste parole: «Ricordatevi di quanto vi ho detto: non c’è servo maggiore del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi » (Gv 15,20). Tuttavia il nostro Redentore aggiunse a conforto queste parole: «Beati coloro che patiscono persecuzione per la giustizia, poiché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,10). E ancora: «Beati siete se gli uomini vi malediranno e vi perseguiteranno e diranno di voi ogni male, mentendo, per causa mia; godete ed esultate, poiché la vostra ricompensa è abbondante nei cieli» (Mt V, 11-12). – Nessuna meraviglia, perciò, se anche oggi in alcuni luoghi si odia il nome cristiano, se in molte regioni la chiesa, nell’esplicare la missione divinamente ricevuta, è impedita in diversi modi e con diversi metodi, come pure se non pochi cattolici si lasciano ingannare da false dottrine e si mettono in grave pericolo di perdere l’eterna salute. A tutti noi dia forza e coraggio la promessa del divin Redentore: «Ecco io sono con voi per sempre fino alla consumazione dei secoli» (Mt XXVIII, 20); ci impetri forza dall’alto san Bonifacio, che per portare il regno di Gesù Cristo fra genti ostili non ricusò lunghi travagli, aspri cammini, né infine la morte stessa, alla quale anzi andò incontro con fortezza e con fiducia, versando il suo sangue. – Egli ottenga da Dio con tutto il suo patrocinio tali invitta fortezza d’animo soprattutto per coloro che oggi si trovano in angosciosa situazione per le azioni ostili dei nemici di Dio; e ancora richiami tutti a quella unità della Chiesa che fu sua costante norma di vita e d’azione, il fervido desiderio che lo sostenne per tutto il corso della sua vita nella solerte e diligente fatica. – Questo Noi domandiamo a Dio con supplice preghiera, mentre a voi tutti, venerabili fratelli, e ai singoli greggi affidati alle vostre cure impartiamo di cuore l’apostolica benedizione, che sia auspicio dei doni celesti e pegno della Nostra paterna benevolenza.

Roma, presso San Pietro, il 5 di giugno, nella festività di san Bonifacio vescovo e martire, l’anno 1954, XVI del Nostro pontificato.

PIO XII 


(1) PIUS PP. XII, Epist. enc. Ecclesiae fastos duodecimo exeunte saeculo a piissimo s. Bonifatii episcopi et martyris obitu, [Ad venerabiles Fratres Britanniae, Germaniae, Austriae, Galliae, Belgicae et Hollandiae Archiepiscopos, Episcopos aliosque locorum Ordinarios, pacem et communionem cum Apostolica Sede habentes], 5 iunii 1954: AAS 46(1954), pp. 337-356.

I. Appunti biografici su s. Bonifacio, vescovo, apostolo della Germania; Cenobi da lui fondati; Monastero di Fulda; Martire per l’evangelo. – II. Testimone della carità; Zelo per il regno di Cristo; Uomo di preghiera; Attaccamento e fedeltà alla sede apostolica romana; Apostolo della parola di Dio. 

(2) Vita S. Bonifatii, auctore Willibaldo, ed. Levison, Hannoveræ et Lipsiæ 1905, p. 21. 

(3) Ibidem.

(4) Vita S. Bonifatii, auctore Otloho, ed. Levison, lib. I, p. 127.

(5) S. Bonifatii Epistolae, ed. Tangl, Berolini 1916, Epist. 28, p. 49.

(6) Cf. ibidem, Epist. 51, 57, 58, 60, 68, 77, 80, 86, 87, 89.

(7) Ibidem, Epist. 108, pp. 233-234. 

(8) Ibidem, Epist. 73, p. 150.

(9) Vita S. Bonifatii, auctore Otloho, v. Levison, lib. I, p. 157.

(10) Ibidem, p. 158.

(11) S. Bonifatii Epistolae, ed. Tangl, Epist. 86, pp. 193-194.

(12) Cf. ibidem, Epist. 41, p.66.

(13) Cf. ibidem, Epist. 61, pp. 125-126. 

(14) Vita S. Bonifatii, auctore Willibaldo, ed. Levison, p. 40.

(15) Cf. SIRMOND, Concilia antiqua Galliae, Parisiis 1629, t. I, p. 511.

(16) Cf. S. Bonifatii Epistolae, ed. Tangl, Epist. 28, pp. 49-52.

(17) Cf. ibidem, Epist. 57, pp. 104-105; et Epist. 59, p. 109.

(18) Cf. ibidem, Epist. 78, p. 163.

(19) Vita S. Bonifatii, auctore Willibaldo, ed. Levison, p. 46.

(20) Ibidem.

(21) Ibidem, p. 47.

(22) Ibidem pp. 49-50.

(23) Cf. ibidem, p. 50; et Vita S. Bonifatii, auctore Otloho, ed. Levison, lib. II, p. 21.

(24) Vita S. Bonifatii, auctore Radbodo, ed. Levison, p 73.

(25) Vita S. Bonifatii, auctore Willibaldo, ed. Levison, p 54.

(26) S. Bonifatii Epistolae, ed. Tangl, Epist. 111, p. 240.

(27) Cf. Epistolae Lupi Servati, ed. Levillain, t. I, Parisiis 1927, Epist. 5, p. 42.

(28) Cf. S. Bonifatii Epistolae, ed. Tangl, Epist. 86, pp. 189-191.

(29) Ibidem, Epist. 67, pp. 139-140.

(30) Ibidem, Epist. 12, pp. 17-18.

(31) Cf. ibidem, pp. 28-29.

(32) Cf. ibidem, p. 29.

(33) Cf. Vita S. Bonifatii, auctore Willibaldo, ed. Levison, p. 25 et pp. 27-28; S. Bonifatii Epistolae, ed. Tangl, Epist. 67, pp.139-140; Epist. 59, pp.110-112; Epist. 86, pp. 191-194; Epist. 108, pp. 233-234.

(34) S. Bonifatii Epistolae, ed. Tangl, Epist. 50, p. 81.

(35) Ibidem, Epist. 108, pp. 233-234.(36) Epist. enc. In hac tanta: AAS 11(119), pp. 216-217; EE 4/442

Messa della DOMENICA DI CRISTO RE (2019)

Messa per la festa di CRISTO RE (2019)

DÒMINE Iesu Christe, te confiteor Regem universàlem. Omnia, quæ facta sunt, prò te sunt creata. Omnia iura tua exérce in me. Rénovo vota Baptismi abrenùntians sàtanæ eiùsque pompis et opéribus et promitto me victùrum ut bonum christiànum. Ac, potissimum me óbligo operàri quantum in me est, ut triùmphent Dei iura tuæque Ecclèsiæ. Divinum Cor Iesu, óffero tibi actiones meas ténues ad obtinéndum, ut corda omnia agnóscant tuam sacram Regalitàtem et ita tuæ pacis regnum stabiliàtur in toto terràrum orbe. Amen.

DOMENICA In festo Domino nostro Jesu Christi Regis ~ I. classis

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Apoc V: 12; 1:6
Dignus est Agnus, qui occísus est, accípere virtútem, et divinitátem, et sapiéntiam, et fortitúdinem, et honórem. Ipsi glória et impérium in sǽcula sæculórum.[L’Agnello che fu sacrificato è degno di ricevere potenza, ricchezza, sapienza, forza, onore, gloria e lode; a Lui sia per sempre data gloria e impero, per …]
Ps LXXI: 1
Deus, iudícium tuum Regi da: et iustítiam tuam Fílio Regis.
[Dio, da al Re il tuo giudizio, ed al Figlio del Re la tua giustizia] –


Dignus est Agnus, qui occísus est, accípere virtútem, et divinitátem, et sapiéntiam, et fortitúdinem, et honórem. Ipsi glória et impérium in sǽcula sæculórum…
[L’Agnello che fu sacrificato è degno di ricevere potenza, ricchezza, sapienza. Forza, onore, gloria e lode; a Lui sia per sempre data gloria e impero, per …]

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui in dilécto Fílio tuo, universórum Rege, ómnia instauráre voluísti: concéde propítius; ut cunctæ famíliæ géntium, peccáti vúlnere disgregátæ, eius suavissímo subdántur império: Qui tecum … [Dio onnipotente ed eterno, che ponesti al vertice di tutte le cose il tuo diletto Figlio, Re dell’universo, concedi propizio che la grande famiglia delle nazioni, disgregata per la ferita del peccato, si sottometta al tuo soavissimo impero: Egli che …].

Commemoratio Dominica XX Post Pentecosten V. Octobris

Orémus.

Largíre, quǽsumus, Dómine, fidélibus tuis indulgéntiam placátus et pacem: ut páriter ab ómnibus mundéntur offénsis, et secúra tibi mente desérviant. [Largisci placato, Te ne preghiamo, o Signore, il perdono e la pace ai tuoi fedeli: affinché siano mondati da tutti i peccati e Ti servano con tranquilla coscienza].

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Colossénses.
Col 1: 12-20
Fratres: Grátias ágimus Deo Patri, qui dignos nos fecit in partem sortis sanctórum in lúmine: qui erípuit nos de potestáte tenebrárum, et tránstulit in regnum Fílii dilectiónis suæ, in quo habémus redemptiónem per sánguinem ejus, remissiónem peccatórum: qui est imágo Dei invisíbilis, primogénitus omnis creatúra: quóniam in ipso cóndita sunt univérsa in cœlis et in terra, visibília et invisibília, sive Throni, sive Dominatiónes, sive Principátus, sive Potestátes: ómnia per ipsum, et in ipso creáta sunt: et ipse est ante omnes, et ómnia in ipso constant. Et ipse est caput córporis Ecclésiæ, qui est princípium, primogénitus ex mórtuis: ut sit in ómnibus ipse primátum tenens; quia in ipso complácuit omnem plenitúdinem inhabitáre; et per eum reconciliáre ómnia in ipsum, pacíficans per sánguinem crucis ejus, sive quæ in terris, sive quæ in cœlis sunt, in Christo Jesu Dómino nostro.

[Fratelli, ringraziamo con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati. Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di Lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui. Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose. Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di Lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli.]

Graduale

Ps LXXI: 8; LXXVIII: 11
Dominábitur a mari usque ad mare, et a flúmine usque ad términos orbis terrárum. [
Egli dominerà da un mare all’altro, dal fiume fino all’estremità della terra]

V. Et adorábunt eum omnes reges terræ: omnes gentes sérvient ei. [Tutti i re Gli si prosteranno dinanzi, tutte le genti Lo serviranno].

Alleluja

Allelúja, allelúja.
Dan VII : 14.
Potéstas ejus, potéstas ætérna, quæ non auferétur: et regnum ejus, quod non corrumpétur. Allelúja. [
La potestà di Lui è potestà eterna che non Gli sarà tolta e il suo regno è incorruttibile]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem. – Joann XVIII: 33-37
In illo témpore: Dixit Pilátus ad Jesum: Tu es Rex Judæórum? Respóndit Jesus: A temetípso hoc dicis, an álii dixérunt tibi de me? Respóndit Pilátus: Numquid ego Judǽus sum? Gens tua et pontífices tradidérunt te mihi: quid fecísti? Respóndit Jesus: Regnum meum non est de hoc mundo. Si ex hoc mundo esset regnum meum, minístri mei útique decertárent, ut non tráderer Judǽis: nunc autem regnum meum non est hinc. Dixit ítaque ei Pilátus: Ergo Rex es tu? Respóndit Jesus: Tu dicis, quia Rex sum ego. Ego in hoc natus sum et ad hoc veni in mundum, ut testimónium perhíbeam veritáti: omnis, qui est ex veritáte, audit vocem meam.

[In quel tempo, disse Pilato a Gesù: “Tu sei il re dei Giudei?”. Gesù rispose: “Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio conto?”. Pilato rispose: “Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?”. Rispose Gesù: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù”.  Allora Pilato gli disse: “Dunque tu sei re?”. Rispose Gesù: “Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”].

OMELIA

[Giov. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle Feste del Signore e dei Santi – Soc. Edit. Vita e Pesiero, Milano, VI ed. 1956]

II

CRISTO RE DEI CUORI

Il vecchio Giacobbe, presagendo imminente la sua fine, chiama dattorno i suoi dodici figliuoli. Non era giusto che portasse con sé nel secreto della tomba la gran promessa che Dio gli aveva fatto. Per ciò, prima di morire sentì il bisogno di confidarla ai figli e parlò loro con accento profetico : « Venite e ascoltate, figliuoli di Giacobbe; ascoltate vostro padre ». E dopo aver predetto ad alcuni il proprio avvenire, si rivolse a Giuda: «Giuda, mio piccolo leone! tu regnerai sopra i tuoi fratelli, e la tua mano premerà la cervice dei tuoi nemici. Regnerai; ma fin quando verrà colui che deve venire. Tutte le genti lo aspetteranno, allora; sarà di una bellezza sovrumana; avrà gli occhi più fulvi del vino e i denti più bianchi del latte. Giuda, tu gli cederai il tuo scettro e il tuo impero » (Genesi, XLIX). – I dodici capi delle dodici tribù, con gli occhi aperti, sognavano il gran re, che sarebbe venuto, ed il loro cuore balzava, attraverso i secoli, incontro a Lui. Da Giacobbe, tutti i patriarchi prima di morire chiamavano i figli e i nipoti per richiamare in loro la speranza del re venturo, poi in pace chiudevano gli occhi nella morte. E Noè benedirà Sem perché nei suoi padiglioni nascerà il gran re. E Mosè dirà al popolo di non piangere per la sua morte, perché verrà un condottiero, più grande di lui. Quando i tempi furono maturi, quando tutte le generazioni erano in attesa, il gran re venne: Gesù Cristo. Ma i Giudei lo rifiutarono e lo condussero davanti a Pilato, che gli disse: « Sei tu il re dei Giudei? » Risponde Gesù : « Lo dici da te, o perché altri te l’ha suggerito? » Risponde Pilato: « Forse ch’io son Giudeo? È la tua gente, sono i tuoi sacerdoti che ti hanno trascinato a me: che hai fatto? ». Risponde Gesù: « Il mio regno non è di questo mondo. Se fosse di questo mondo, vedresti come i miei sudditi, con le armi, mi strapperebbero dalle mani dei Giudei. Ma il mio regno non è di quaggiù ». Allora Pilato gli domanda: « Dunque, tu sei Re? Risponde Gesù: « Tu lo dici: io lo sono ». – Fu un urlo brutale che salì dalla folla aizzata: « Non sappiamo che farne di questo re. Vogliamo Barabba ». Gesù Cristo allora patì il più acerbo dei suoi dolori, e la più bassa delle sue ingiurie: il re era tra i suoi sudditi, e i sudditi non lo volevano. In propria venit et sui eum non receperunt (Giov., I , 11). Ma oggi i popoli hanno compreso lo sbaglio fatale di quel branco di Giudei. È passata la guerra che ci ha fatto piangere e sanguinare tanto, ed ognuno ha sentito il bisogno di un re, che non ha regno nelle ingiustizie e nelle iniquità di questo mondo, di un re che comprenda i nostri dolori e le nostre aspirazioni e ci voglia bene, di un re di pace. Princeps pacis (Isaia). E tutti i popoli nell’anno santo andarono a Roma dal Papa a contare i propri bisogni, e passando sotto al Vaticano, tutti gridavano la parola di S. Paolo: « Questo abbiam bisogno; che Egli regni ». Pio XI comprese; e nella sua enciclica, dell’11 dicembre 1925 impose che si facesse una festa a Cristo Re, ogni anno, all’ultima Domenica di Ottobre, e tutti consacrassero il proprio cuore a Lui. Cristo è Re, e Re dei cuori!

« O popoli, battete le mani; tutti! Cantate un canto di gioia. Il Signore altissimo, il Signore terribile, il Re grande su tutta la terra finalmente regna ». (Salm., XLVI, 1-3). –

1. CRISTO È RE

Davide vide il Messia seduto sopra un trono di maestà e di gloria nell’atto d’umiliare la baldanza sciocca dei suoi nemici; e l’udì pronunciare queste parole: «Io sono stato costituito re da Dio. Il Signore mi ha detto: tu sei il figlio mio: oggi ti ho generato. Domandalo, e ti darò in eredità le genti e in possesso i confini di tutta la terra » (Salm., II). – Se Dio stesso l’ha creato re, chi oserà contestargli la dignità regia? Cristo è re perché ne ha tutti i diritti: di nascita e di conquista. È re perché lo hanno proclamato i profeti, e lo proclamano oggi tutti i popoli del mondo.

Re per diritto di nascita. — Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo: due nature in una persona. Come Dio è figlio di Dio e possiede tutto quello che Dio possiede. Per ciò è padrone di tutte le cose e regna dall’uno all’altro mare. Dominabitur a mari usque ad mare. (Ps., LXXI, 8). Anzi non solo è re, ma il Re dei re, per il quale soltanto i re possono regnare; perché ogni potestà viene da Lui. Come uomo, Gesù è figlio di re e discende direttamente da Davide. Ecco perché l’Arcangelo nell’Annunciazione dirà alla Vergine : « Il Signore lo porrà sul trono di Davide, padre suo » (Lc., I, 32).

Re per diritto di conquista. — Il peccato d’origine ci aveva resi schiavi e figli della maledizione: Gesù Cristo ci ha conquistati, tutti, non sborsando oro e argento come un vile mercenario, ma tutto il suo sangue, generosamente come non saprebbe il più coraggioso dei re (1 Petr., I , 18).

Re per diritto di proclamazione. — I patriarchi, i profeti, i re lo proclamano. Isaia dice che nascerà bambino, che gli porranno sulle spalle l’imperio, e sarà un imperio di pace (IX, 6-7). E Davide canta che ai piedi di questo re si prostreranno gli Etiopi, e i suoi nemici davanti a lui lambiranno la polvere. I re di Tarso e gli abitanti dell’isola gli offriranno doni; i monarchi degli Arabi e di Saba gli faranno offerte. Tutti i re della terra lo adoreranno; tutti i popoli della terra si metteranno sotto il suo impero (Salm. LXXII). Oggi la magnifica profezia si è avverata: in quest’ultima domenica di ottobre, di qua e di là dei mari, un coro unisono s’eleva: « Viva Cristo re ».

2. RE DEI CUORI

I Dori, con arma e con incendio, invadevano l’Attica. In fretta s’arruolarono uomini per arrestare l’invasore: e già gli eserciti erano schierati a battaglia. Narra la leggenda che sia gli Atticesi che i Dori consultarono l’oracolo sul risultato dell’impresa e n’ebbero in risposta che la vittoria sarebbe toccata a quella parte il cui re fosse morto in guerra. Re d’Attica era Codro. Costui fu preso da tanto amore per i suoi che si travestì da contadino, si insinuò nel campo nemico e si fece uccidere. Quando i Dori seppero che il re d’Attica era morto, si spaventarono e fuggirono urlando. – Codro è una favola; Gesù Cristo è una realtà. Egli ha dato la sua vita per noi. E perché potesse morire per la nostra salute, da Dio si è travestito da vero uomo, si è cacciato in mezzo ai suoi nemici, che l’hanno messo in croce. Ma la sua morte fu la vittoria: il demonio vinto ritornò nell’inferno. Ma che re può essere quello che dà la vita per i suoi, se non un re d’amore? Cristo allora è re d’amore; re dei cuori. Osservate. Quando Gesù venne al mondo fu posto in una greppia vicino a due animali. Pure si capi’ che era un re. Una gran luce attraversò il cielo nel cuor della notte, gli Angeli cantarono, occorsero i pastori, accorsero tre re. Una bella occasione per cominciare il suo regno, se Gesù avesse voluto regnare con soldati e con oro. Ma re di questo mondo, Cristo non ha voluto esserlo: e lasciò tornare, per un’altra via i re magi. Quando Gesù nel deserto moltiplicò i pani e sfamò migliaia di persone, tutto il popolo delirante d’entusiasmo per la sua persona lo proclamava re. Bella occasione se avesse voluto regnare come un re dei corpi, che sa nutrirli prodigiosamente. Ma re dei corpi, Cristo non ha voluto esserlo; e fuggì a nascondersi in mezzo alle montagne. Quando Gesù fu mostrato al popolo dal litostrato di Pilato aveva in testa una corona, ma di spine; aveva sulle spalle e sul petto la porpora, di sangue suo; stringeva nelle mani lo scettro, ma di canna. Pilato gridò al popolo : « Ecco il vostro Re». Ecce rex vester (Giov., XIX, 14). Il popolo ghignava. Bella occasione di far piovere fuoco e zolfo, di soffocare eternamente quegli uomini crudeli. Ma re di terrore di strage, Cristo non ha voluto esserlo, mai. Cristo è Re, e Re del cuore. Eccolo in trono: sulla croce. In alto in diverse lingue sta scritta la sua dignità, re dei Giudei. Porta la corona di spine, la porpora di sangue, decorazioni di piaghe atroci. Un soldato, con la lancia gli trapassa il petto, gli mostra il cuore. Ora veramente è re. Dominus regnavit a ligno. – Guardiamolo, Cristiani, il nostro Re sopra quel legno! Dal suo lato perforato esce un grido regale: « Figlio, dammi il tuo cuore! ».

CONCLUSIONE

So di un’anima, di una giovane anima che, durante la persecuzione messicana del 1927, gli ha risposto: «Sì, Cristo re, il mio cuore te lo do ». Il suo nome, che bisogna dire con venerazione come quello dei martiri, è Juan Sanchez dello stato di Ialisco nel Messico. Ricco e nobile di famiglia, più ricco e più nobile per sentimenti cattolici, fu arrestato dai legionari di Calles. Pretendevano che apostatasse. Pubblicamente gli fu imposto di rinunciare alla Religione; egli rispose: «Viva Cristo Re». Il martirio fu cruento e degno dei carnefici, i quali cominciarono a tagliargli un orecchio poi l’altro e quindi ad amputargli le gambe. Ma benché immerso nel suo sangue non cessava d’acclamare a Cristo Re. – Con un vero furore satanico i carnefici gli squarciarono la gola: ma dalla gola squarciata insieme al gorgoglio del sangue usciva un rantolo: «Viva Cristo Re!». Non potevano farlo tacere, e gli strapparono la lingua. E fu finita («Civiltà Catt. » 16 luglio 1927). – Appena compiuto il truce misfatto la folla si precipitava sulla salma martoriata per intingere in quel sangue i pannolini; né minacce, né colpi, né scoppi valsero a trattenerla. – Poveri barbari che strappate le lingue! Se anche le lingue tacessero, lo griderebbero le pietre. Anzi, e meglio, voi stessi lo griderete, in un giorno non lontano: « Galileo, hai vinto! ». E noi preghiamo perché Cristo Re li vinca nella forza del suo amore e non in quella della sua vendetta.

[Lettera Enciclica “Quas primas” di S. S. Pio XI]

Nella prima Enciclica che, asceso al Pontificato, dirigemmo a tutti i Vescovi dell’Orbe cattolico — mentre indagavamo le cause precipue di quelle calamità da cui vedevamo oppresso e angustiato il genere umano — ricordiamo d’aver chiaramente espresso non solo che tanta colluvie di mali imperversava nel mondo perché la maggior parte degli uomini avevano allontanato Gesù Cristo e la sua santa legge dalla pratica della loro vita, dalla famiglia e dalla società, ma altresì che mai poteva esservi speranza di pace duratura fra i popoli, finché gli individui e le nazioni avessero negato e da loro rigettato l’impero di Cristo Salvatore. – Pertanto, come ammonimmo che era necessario ricercare la pace di Cristo nel Regno di Cristo, così annunziammo che avremmo fatto a questo fine quanto Ci era possibile; nel Regno di Cristo — diciamo — poiché Ci sembrava che non si possa più efficacemente tendere al ripristino e al rafforzamento della pace, che mediante la restaurazione del Regno di Nostro Signore. – Frattanto il sorgere e il pronto ravvivarsi di un benevolo movimento dei popoli verso Cristo e la sua Chiesa, che sola può recar salute, Ci forniva non dubbia speranza di tempi migliori; movimento tal quale s’intravedeva che molti i quali avevano disprezzato il Regno di Cristo e si erano quasi resi esuli dalla Casa del Padre, si preparavano e quasi s’affrettavano a riprendere le vie dell’obbedienza.

L’Anno Santo e il Regno di Cristo

E tutto quello che accadde e si fece, nel corso di questo Anno Santo, degno certo di perpetua memoria, forse non accrebbe l’onore e la gloria al divino Fondatore della Chiesa, nostro supremo Re e Signore? – Infatti, la Mostra Missionaria Vaticana quanto non colpì la mente e il cuore degli uomini, sia facendo conoscere il diuturno lavoro della Chiesa per la maggiore dilatazione del Regno del suo Sposo nei continenti e nelle più lontane isole dell’Oceano; sia il grande numero di regioni conquistate al cattolicesimo col sudore e col sangue dai fortissimi e invitti Missionari; sia infine col far conoscere quante vaste regioni vi siano ancora da sottomettere al soave e salutare impero del nostro Re. E quelle moltitudini che, durante questo Anno giubilare, vennero da ogni parte della terra nella città santa, sotto la guida dei loro Vescovi e sacerdoti, che altro avevano in cuore, purificate le loro anime, se non proclamarsi presso il sepolcro degli Apostoli, davanti a Noi, sudditi fedeli di Cristo per il presente e per il futuro? – E questo Regno di Cristo sembrò quasi pervaso di nuova luce allorquando Noi, provata l’eroica virtù di sei Confessori e Vergini, li elevammo agli onori degli altari. E qual gioia e qual conforto provammo nell’animo quando, nello splendore della Basilica Vaticana, promulgato il decreto solenne, una moltitudine sterminata di popolo, innalzando il cantico di ringraziamento esclamò: Tu Rex gloriæ, Christe!  – Poiché, mentre gli uomini e le Nazioni, lontani da Dio, per l’odio vicendevole e per le discordie intestine si avviano alla rovina ed alla morte, la Chiesa di Dio, continuando a porgere al genere umano il cibo della vita spirituale, crea e forma generazioni di santi e di sante a Gesù Cristo, il quale non cessa di chiamare alla beatitudine del Regno celeste coloro che ebbe sudditi fedeli e obbedienti nel regno terreno. – Inoltre, ricorrendo, durante l’Anno Giubilare, il sedicesimo secolo dalla celebrazione del Concilio di Nicea, volemmo che l’avvenimento centenario fosse commemorato, e Noi stessi lo commemorammo nella Basilica Vaticana tanto più volentieri in quanto quel Sacro Sinodo definì e propose come dogma la consustanzialità dell’Unigenito col Padre, e nello stesso tempo, inserendo nel simbolo la formula «il regno del quale non avrà mai fine», proclamò la dignità regale di Cristo. – Avendo, dunque, quest’Anno Santo concorso non in uno ma in più modi ad illustrare il Regno di Cristo, Ci sembra che faremo cosa quanto mai consentanea al Nostro ufficio apostolico, se, assecondando le preghiere di moltissimi Cardinali, Vescovi e fedeli fatte a Noi sia individualmente, sia collettivamente, chiuderemo questo stesso Anno coll’introdurre nella sacra Liturgia una festa speciale di Gesù Cristo Re. – Questa cosa Ci reca tanta gioia che Ci spinge, Venerabili Fratelli, a farvene parola; voi poi, procurerete di adattare ciò che Noi diremo intorno al culto di Gesù Cristo Re, all’intelligenza del popolo e di spiegarne il senso in modo che da questa annua solennità ne derivino sempre copiosi frutti.

Gesù Cristo è Re

Gesù Cristo Re delle menti, delle volontà e dei cuori

Da gran tempo si è usato comunemente di chiamare Cristo con l’appellativo di Re per il sommo grado di eccellenza, che ha in modo sovreminente fra tutte le cose create. In tal modo, infatti, si dice che Egli regna nelle menti degli uomini non solo per l’altezza del suo pensiero e per la vastità della sua scienza, ma anche perché Egli è Verità ed è necessario che gli uomini attingano e ricevano con obbedienza da Lui la verità; similmente nelle volontà degli uomini, sia perché in Lui alla santità della volontà divina risponde la perfetta integrità e sottomissione della volontà umana, sia perché con le sue ispirazioni influisce sulla libera volontà nostra in modo da infiammarci verso le più nobili cose. Infine Cristo è riconosciuto Re dei cuori per quella sua carità che sorpassa ogni comprensione umana (Supereminentem scientiæ caritatem) e per le attrattive della sua mansuetudine e benignità: nessuno infatti degli uomini fu mai tanto amato e mai lo sarà in avvenire quanto Gesù Cristo. Ma per entrare in argomento, tutti debbono riconoscere che è necessario rivendicare a Cristo Uomo nel vero senso della parola il nome e i poteri di Re; infatti soltanto in quanto è Uomo si può dire che abbia ricevuto dal Padre la potestà, l’onore e il regno, perché come Verbo di Dio, essendo della stessa sostanza del Padre, non può non avere in comune con il Padre ciò che è proprio della divinità, e per conseguenza Egli su tutte le cose create ha il sommo e assolutissimo impero.

La Regalità di Cristo nei libri dell’Antico Testamento.

E non leggiamo infatti spesso nelle Sacre Scritture che Cristo è Re ? Egli invero è chiamato il Principe che deve sorgere da Giacobbe,, eche dal Padre è costituito Re sopra il Monte santo di Sion, che riceverà le genti in eredità e avrà in possesso i confini della terra. Il salmo nuziale, col quale sotto l’immagine di un re ricchissimo e potentissimo viene preconizzato il futuro Re d’Israele, ha queste parole: «II tuo trono, o Dio, sta per sempre, in eterno: scettro di rettitudine è il tuo scettro reale». – E per tralasciare molte altre testimonianze consimili, in un altro luogo per lumeggiare più chiaramente i caratteri del Cristo, si preannunzia che il suo Regno sarà senza confini ed arricchito coi doni della giustizia e della pace: «Fiorirà ai suoi giorni la Giustizia e somma pace… Dominerà da un mare all’altro, e dal fiume fino alla estremità della terra». A questa testimonianza si aggiungono in modo più ampio gli oracoli dei Profeti e anzitutto quello notissimo di Isaia: «Ci è nato un bimbo, ci fu dato un figlio: e il principato è stato posto sulle sue spalle e sarà chiamato col nome di Ammirabile, Consigliere, Dio forte, Padre del secolo venturo, Principe della pace. Il suo impero crescerà, e la pace non avrà più fine. Sederà sul trono di Davide e sopra il suo regno, per stabilirlo e consolidarlo nel giudizio e nella giustizia, da ora ed in perpetuo». E gli altri Profeti non discordano da Isaia: così Geremia, quando predice che nascerà dalla stirpe di Davide il “Rampollo giusto” che qual figlio di Davide «regnerà e sarà sapiente e farà valere il diritto e la giustizia sulla terra»; così Daniele che preannunzia la costituzione di un regno da parte del Re del cielo, regno che «non sarà mai in eterno distrutto… ed esso durerà in eterno» e continua: «Io stavo ancora assorto nella visione notturna, quand’ecco venire in mezzo alle nuvole del cielo uno con le sembianze del figlio dell’uomo che si avanzò fino al Vegliardo dai giorni antichi, e davanti a lui fu presentato. E questi gli conferì la potestà, l’onore e il regno; tutti i popoli, le tribù e le lingue serviranno a lui; la sua potestà sarà una potestà eterna che non gli sarà mai tolta, e il suo regno, un regno che non sarà mai distrutto». E gli scrittori dei santi Vangeli non accettano e riconoscono come avvenuto quanto è predetto da Zaccaria intorno al Re mansueto il quale «cavalcando sopra un’asina col suo piccolo asinello» era per entrare in Gerusalemme, qual giusto e salvatore fra le acclamazioni delle turbe?

Gesù Cristo si è proclamato Re

Del resto questa dottrina intorno a Cristo Re, che abbiamo sommariamente attinto dai libri del Vecchio Testamento, non solo non viene meno nelle pagine del Nuovo, ma anzi vi è confermata in modo splendido e magnifico. E qui, appena accennando all’annunzio dell’arcangelo da cui la Vergine viene avvisata che doveva partorire un figlio, al quale Iddio avrebbe dato la sede di David, suo padre, e che avrebbe regnato nella Casa di Giacobbe in eterno e che il suo Regno non avrebbe avuto fine  vediamo che Cristo stesso dà testimonianza del suo impero: infatti, sia nel suo ultimo discorso alle turbe, quando parla dei premi e delle pene, riservate in perpetuo ai giusti e ai dannati; sia quando risponde al Preside romano che pubblicamente gli chiedeva se fosse Re, sia quando risorto affida agli Apostoli l’ufficio di ammaestrare e battezzare tutte le genti, colta l’opportuna occasione, si attribuì il nome di Re, e pubblicamente confermò di essere Re  e annunziò solennemente a Lui era stato dato ogni potere in cielo e in terra. E con queste parole che altro si vuol significare se non la grandezza della potestà e l’estensione immensa del suo Regno? – Non può dunque sorprenderci se Colui che è detto da Giovanni «Principe dei Re della terra», porti, come apparve all’Apostolo nella visione apocalittica «scritto sulla sua veste e sopra il suo fianco: Re dei re e Signore dei dominanti». Da quando l’eterno Padre costituì Cristo erede universale, è necessario che Egli regni finché riduca, alla fine dei secoli, ai piedi del trono di Dio tutti i suoi nemici. – Da questa dottrina dei sacri libri venne per conseguenza che la Chiesa, regno di Cristo sulla terra, destinato naturalmente ad estendersi a tutti gli uomini e a tutte le nazioni, salutò e proclamò nel ciclo annuo della Liturgia il suo autore e fondatore quale Signore sovrano e Re dei re, moltiplicando le forme della sua affettuosa venerazione. Essa usa questi titoli di onore esprimenti nella bella varietà delle parole lo stesso concetto; come già li usò nell’antica salmodia e negli antichi Sacramentari, così oggi li usa nella pubblica ufficiatura e nell’immolazione dell’Ostia immacolata. In questa laude perenne a Cristo Re, facilmente si scorge la bella armonia fra il nostro e il rito orientale in guisa da render manifesto, anche in questo caso, che «le norme della preghiera fissano i principi della fede». Ben a proposito Cirillo Alessandrino, a mostrare il fondamento di questa dignità e di questo potere, avverte che «egli ottiene, per dirla brevemente, la potestà su tutte le creature, non carpita con la violenza né da altri ricevuta, ma la possiede per propria natura ed essenza»; cioè il principato di Cristo si fonda su quella unione mirabile che è chiamata unione ipostatica. Dal che segue che Cristo non solo deve essere adorato come Dio dagli Angeli e dagli uomini, ma anche che a Lui, come Uomo, debbono essi esser soggetti ed obbedire: cioè che per il solo fatto dell’unione ipostatica Cristo ebbe potestà su tutte le creature. – Eppure che cosa più soave e bella che il pensare che Cristo regna su di noi non solamente per diritto di natura, ma anche per diritto di conquista, in forza della Redenzione? Volesse Iddio che gli uomini immemori ricordassero quanto noi siamo costati al nostro Salvatore: «Non a prezzo di cose corruttibili, di oro o d’argento siete stati riscattati… ma dal Sangue prezioso di Cristo, come di agnello immacolato e incontaminato». Non siamo dunque più nostri perché Cristo ci ha ricomprati col più alto prezzo: i nostri stessi corpi sono membra di Cristo.

Natura e valore del Regno di Cristo

Volendo ora esprimere la natura e il valore di questo principato, accenniamo brevemente che esso consta di una triplice potestà, la quale se venisse a mancare, non si avrebbe più il concetto d’un vero e proprio principato. – Le testimonianze attinte dalle Sacre Lettere circa l’impero universale del nostro Redentore, provano più che a sufficienza quanto abbiamo detto; ed è dogma di fede che Gesù Cristo è stato dato agli uomini quale Redentore in cui debbono riporre la loro fiducia, ed allo stesso tempo come legislatore a cui debbono obbedire. – I santi Evangeli non soltanto narrano come Gesù abbia promulgato delle leggi, ma lo presentano altresì nell’atto stesso di legiferare; e il divino Maestro afferma, in circostanze e con diverse espressioni, che chiunque osserverà i suoi comandamenti darà prova di amarlo e rimarrà nella sua carità . Lo stesso Gesù davanti ai Giudei, che lo accusavano di aver violato il sabato con l’aver ridonato la sanità al paralitico, afferma che a Lui fu dal Padre attribuita la potestà giudiziaria: «Il Padre non giudica alcuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio». Nel che è compreso pure il diritto di premiare e punire gli uomini anche durante la loro vita, perché ciò non può disgiungersi da una propria forma di giudizio. Inoltre la potestà esecutiva si deve parimenti attribuire a Gesù Cristo, poiché è necessario che tutti obbediscano al suo comando, e nessuno può sfuggire ad esso e alle sanzioni da lui stabilite.

Regno principalmente spirituale

Che poi questo Regno sia principalmente spirituale e attinente alle cose spirituali, ce lo dimostrano i passi della sacra Bibbia sopra riferiti, e ce lo conferma Gesù Cristo stesso col suo modo di agire. – In varie occasioni, infatti, quando i Giudei e gli stessi Apostoli credevano per errore che il Messia avrebbe reso la libertà al popolo ed avrebbe ripristinato il regno di Israele, egli cercò di togliere e abbattere questa vana attesa e speranza; e così pure quando stava per essere proclamato Re dalla moltitudine che, presa di ammirazione, lo attorniava, Egli rifiutò questo titolo e questo onore, ritirandosi e nascondendosi nella solitudine; finalmente davanti al Preside romano annunciò che il suo Regno “non è di questo mondo”. – Questo Regno nei Vangeli viene presentato in tal modo che gli uomini debbano prepararsi ad entrarvi per mezzo della penitenza, e non possano entrarvi se non per la fede e per il Battesimo, il quale benché sia un rito esterno, significa però e produce la rigenerazione interiore. Questo Regno è opposto unicamente al regno di Satana e alla “potestà delle tenebre”, e richiede dai suoi sudditi non solo l’animo distaccato dalle ricchezze e dalle cose terrene, la mitezza dei costumi, la fame e sete di giustizia, ma anche che essi rinneghino se stessi e prendano la loro croce. Avendo Cristo come Redentore costituita con il suo sangue la Chiesa, e come Sacerdote offrendo se stesso in perpetuo quale ostia di propiziazione per i peccati degli uomini, chi non vede che la regale dignità di Lui riveste il carattere spirituale dell’uno e dell’altro ufficio?

Regno universale e sociale

D’altra parte sbaglierebbe gravemente chi togliesse a Cristo Uomo il potere su tutte le cose temporali, dato che Egli ha ricevuto dal Padre un diritto assoluto su tutte le cose create, in modo che tutto soggiaccia al suo arbitrio. Tuttavia, finché fu sulla terra si astenne completamente dall’esercitare tale potere, e come una volta disprezzò il possesso e la cura delle cose umane, così permise e permette che i possessori debitamente se ne servano. A questo proposito ben si adattano queste parole: «Non toglie il trono terreno Colui che dona il regno eterno dei cieli». Pertanto il dominio del nostro Redentore abbraccia tutti gli uomini, come affermano queste parole del Nostro Predecessore di immortale memoria  Leone XIII, che Noi qui facciamo Nostre: «L’impero di Cristo non si estende soltanto sui popoli cattolici, o a coloro che, rigenerati nel fonte battesimale, appartengono, a rigore di diritto, alla Chiesa, sebbene le errate opinioni Ce li allontanino o il dissenso li divida dalla carità; ma abbraccia anche quanti sono privi di fede cristiana, di modo che tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesù Cristo». – Né v’è differenza fra gli individui e il consorzio domestico e civile, poiché gli uomini, uniti in società, non sono meno sotto la potestà di Cristo di quello che lo siano gli uomini singoli. È lui solo la fonte della salute privata e pubblica: «Né in alcun altro è salute, né sotto il cielo altro nome è stato dato agli uomini, mediante il quale abbiamo da essere salvati», è lui solo l’autore della prosperità e della vera felicità sia per i singoli sia per gli Stati: «poiché il benessere della società non ha origine diversa da quello dell’uomo, la società non essendo altro che una concorde moltitudine di uomini». – Non rifiutino, dunque, i capi delle nazioni di prestare pubblica testimonianza di riverenza e di obbedienza all’impero di Cristo insieme coi loro popoli, se vogliono, con l’incolumità del loro potere, l’incremento e il progresso della patria. Difatti sono quanto mai adatte e opportune al momento attuale quelle parole che all’inizio del Nostro pontificato Noi scrivemmo circa il venir meno del principio di autorità e del rispetto alla pubblica potestà: «Allontanato, infatti — così lamentavamo — Gesù Cristo dalle leggi e dalla società, l’autorità appare senz’altro come derivata non da Dio ma dagli uomini, in maniera che anche il fondamento della medesima vacilla: tolta la causa prima, non v’è ragione per cui uno debba comandare e l’altro obbedire. Dal che è derivato un generale turbamento della società, la quale non poggia più sui suoi cardini naturali».

Regno benefico

Se invece gli uomini privatamente e in pubblico avranno riconosciuto la sovrana potestà di Cristo, necessariamente segnalati benefici di giusta libertà, di tranquilla disciplina e di pacifica concordia pervaderanno l’intero consorzio umano. La regale dignità di nostro Signore come rende in qualche modo sacra l’autorità umana dei principi e dei capi di Stato, così nobilita i doveri dei cittadini e la loro obbedienza. – In questo senso l’Apostolo Paolo, inculcando alle spose e ai servi di rispettare Gesù Cristo nel loro rispettivo marito e padrone, ammoniva chiaramente che non dovessero obbedire ad essi come ad uomini ma in quanto tenevano le veci di Cristo, poiché sarebbe stato sconveniente che gli uomini, redenti da Cristo, servissero ad altri uomini: «Siete stati comperati a prezzo; non diventate servi degli uomini». Che se i principi e i magistrati legittimi saranno persuasi che si comanda non tanto per diritto proprio quanto per mandato del Re divino, si comprende facilmente che uso santo e sapiente essi faranno della loro autorità, e quale interesse del bene comune e della dignità dei sudditi prenderanno nel fare le leggi e nell’esigerne l’esecuzione. – In tal modo, tolta ogni causa di sedizione, fiorirà e si consoliderà l’ordine e la tranquillità: ancorché, infatti, il cittadino riscontri nei principi e nei capi di Stato uomini simili a lui o per qualche ragione indegni e vituperevoli, non si sottrarrà tuttavia al loro comando qualora egli riconosca in essi l’immagine e l’autorità di Cristo Dio e Uomo. – Per quello poi che si riferisce alla concordia e alla pace, è manifesto che quanto più vasto è il regno e più largamente abbraccia il genere umano, tanto più gli uomini diventano consapevoli di quel vincolo di fratellanza che li unisce. E questa consapevolezza come allontana e dissipa i frequenti conflitti, così ne addolcisce e ne diminuisce le amarezze. E se il regno di Cristo, come di diritto abbraccia tutti gli uomini, cosi di fatto veramente li abbracciasse, perché dovremmo disperare di quella pace che il Re pacifico portò in terra, quel Re diciamo che venne «per riconciliare tutte le cose, che non venne per farsi servire, ma per servire gli altri”» e che, pur essendo il Signore di tutti, si fece esempio di umiltà, e questa virtù principalmente inculcò insieme con la carità e disse inoltre: «II mio giogo è soave e il mio peso leggero?». – Oh, di quale felicità potremmo godere se gli individui, le famiglie e la società si lasciassero governare da Cristo! «Allora veramente, per usare le parole che il Nostro Predecessore Leone XIII venticinque anni fa rivolgeva a tutti i Vescovi dell’orbe cattolico, si potrebbero risanare tante ferite, allora ogni diritto riacquisterebbe l’antica forza, tornerebbero i beni della pace, cadrebbero dalle mani le spade, quando tutti volentieri accettassero l’impero di Cristo, gli obbedissero, ed ogni lingua proclamasse che nostro Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre».

La Festa di Cristo Re

Scopo della festa di Cristo Re

E perché più abbondanti siano i desiderati frutti e durino più stabilmente nella società umana, è necessario che venga divulgata la cognizione della regale dignità di nostro Signore quanto più è possibile. Al quale scopo Ci sembra che nessun’altra cosa possa maggiormente giovare quanto l’istituzione di una festa particolare e propria di Cristo Re. – Infatti, più che i solenni documenti del Magistero ecclesiastico, hanno efficacia nell’informare il popolo nelle cose della fede e nel sollevarlo alle gioie interne della vita le annuali festività dei sacri misteri, poiché i documenti, il più delle volte, sono presi in considerazione da pochi ed eruditi uomini, le feste invece commuovono e ammaestrano tutti i fedeli; quelli una volta sola parlano, queste invece, per così dire, ogni anno e in perpetuo; quelli soprattutto toccano salutarmente la mente, queste invece non solo la mente ma anche il cuore, tutto l’uomo insomma. Invero, essendo l’uomo composto di anima e di corpo, ha bisogno di essere eccitato dalle esteriori solennità in modo che, attraverso la varietà e la bellezza dei sacri riti, accolga nell’animo i divini insegnamenti e, convertendoli in sostanza e sangue, faccia si che essi servano al progresso della sua vita spirituale. – D’altra parte si ricava da documenti storici che tali festività, col decorso dei secoli, vennero introdotte una dopo l’altra, secondo che la necessità o l’utilità del popolo cristiano sembrava richiederlo; come quando fu necessario che il popolo venisse rafforzato di fronte al comune pericolo, o venisse difeso dagli errori velenosi degli eretici, o incoraggiato più fortemente e infiammato a celebrare con maggiore pietà qualche mistero della fede o qualche beneficio della grazia divina. Così fino dai primi secoli dell’era cristiana, venendo i fedeli acerbamente perseguitati, si cominciò con sacri riti a commemorare i Martiri, affinché — come dice Sant’Agostino — le solennità dei Martiri fossero d’esortazione al martirio. E gli onori liturgici, che in seguito furono tributati ai Confessori, alle Vergini e alle Vedove, servirono meravigliosamente ad eccitare nei fedeli l’amore alle virtù, necessarie anche in tempi di pace. – E specialmente le festività istituite in onore della Beata Vergine fecero sì che il popolo cristiano non solo venerasse con maggior pietà la Madre di Dio, sua validissima protettrice, ma si accendesse altresì di più forte amore verso la Madre celeste, che il Redentore gli aveva lasciato quasi per testamento. Tra i benefici ottenuti dal culto pubblico e liturgico verso la Madre di Dio e i Santi del Cielo non ultimo si deve annoverare questo: che la Chiesa, in ogni tempo, poté vittoriosamente respingere la peste delle eresie e degli errori. – In tale ordine di cose dobbiamo ammirare i disegni della divina Provvidenza, la quale, come suole dal male ritrarre il bene, così permise che di quando in quando la fede e la pietà delle genti diminuissero, o che le false teorie insidiassero la verità cattolica, con questo esito però, che questa risplendesse poi di nuovo splendore, e quelle, destatesi dal letargo, tendessero a cose maggiori e più sante. – Ed invero le festività che furono accolte nel corso dell’anno liturgico in tempi a noi vicini, ebbero uguale origine e produssero identici frutti. Così, quando erano venuti meno la riverenza e il culto verso l’augusto Sacramento, fu istituita la festa del Corpus Domini, e si ordinò che venisse celebrata in modo tale che le solenni processioni e le preghiere da farsi per tutto l’ottavario richiamassero le folle a venerare pubblicamente il Signore; così la festività del Sacro Cuore di Gesù fu introdotta quando gli animi degli uomini, infiacchiti e avviliti per il freddo rigorismo dei giansenisti, erano del tutto agghiacciati e distolti dall’amore di Dio e dalla speranza della eterna salvezza. – Ora, se comandiamo che Cristo Re venga venerato da tutti i cattolici del mondo, con ciò Noi provvederemo alle necessità dei tempi presenti, apportando un rimedio efficacissimo a quella peste che pervade l’umana società.

Il “laicismo”

La peste della età nostra è il così detto laicismo coi suoi errori e i suoi empi incentivi; e voi sapete, o Venerabili Fratelli, che tale empietà non maturò in un solo giorno ma da gran tempo covava nelle viscere della società. Infatti si cominciò a negare l’impero di Cristo su tutte le genti; si negò alla Chiesa il diritto — che scaturisce dal diritto di Gesù Cristo — di ammaestrare, cioè, le genti, di far leggi, di governare i popoli per condurli alla eterna felicità. E a poco a poco la religione cristiana fu uguagliata con altre religioni false e indecorosamente abbassata al livello di queste; quindi la si sottomise al potere civile e fu lasciata quasi all’arbitrio dei principi e dei magistrati. Si andò più innanzi ancora: vi furono di quelli che pensarono di sostituire alla religione di Cristo un certo sentimento religioso naturale. Né mancarono Stati i quali opinarono di poter fare a meno di Dio, riposero la loro religione nell’irreligione e nel disprezzo di Dio stesso. – I pessimi frutti, che questo allontanamento da Cristo da parte degli individui e delle nazioni produsse tanto frequentemente e tanto a lungo, Noi lamentammo nella Enciclica Ubi arcano Dei e anche oggi lamentiamo: i semi cioè della discordia sparsi dappertutto; accesi quegli odii e quelle rivalità tra i popoli, che tanto indugio ancora frappongono al ristabilimento della pace; l’intemperanza delle passioni che così spesso si nascondono sotto le apparenze del pubblico bene e dell’amor patrio; le discordie civili che ne derivarono, insieme a quel cieco e smoderato egoismo sì largamente diffuso, il quale, tendendo solo al bene privato ed al proprio comodo, tutto misura alla stregua di questo; la pace domestica profondamente turbata dalla dimenticanza e dalla trascuratezza dei doveri familiari; l’unione e la stabilità delle famiglie infrante, infine la stessa società scossa e spinta verso la rovina. – Ci sorregge tuttavia la buona speranza che l’annuale festa di Cristo Re, che verrà in seguito celebrata, spinga la società, com’è nel desiderio di tutti, a far ritorno all’amatissimo nostro Salvatore. Accelerare e affrettare questo ritorno con l’azione e con l’opera loro sarebbe dovere dei Cattolici, dei quali, invero, molti sembra non abbiano nella civile convivenza quel posto né quell’autorità, che s’addice a coloro che portano innanzi a sé la fiaccola della verità. – Tale stato di cose va forse attribuito all’apatia o alla timidezza dei buoni, i quali si astengono dalla lotta o resistono fiaccamente; da ciò i nemici della Chiesa traggono maggiore temerità e audacia. Ma quando i fedeli tutti comprendano che debbono militare con coraggio e sempre sotto le insegne di Cristo Re, con ardore apostolico si studieranno di ricondurre a Dio i ribelli e gl’ignoranti, e si sforzeranno di mantenere inviolati i diritti di Dio stesso.

La preparazione storica della festa di Cristo Re

E chi non vede che fino dagli ultimi anni dello scorso secolo si preparava meravigliosamente la via alla desiderata istituzione di questo giorno festivo? Nessuno infatti ignora come, con libri divulgati nelle varie lingue di tutto il mondo, questo culto fu sostenuto e sapientemente difeso; come pure il principato e il regno di Cristo fu ben riconosciuto colla pia pratica di dedicare e consacrare tutte le famiglie al Sacratissimo Cuore di Gesù. E non soltanto famiglie furono consacrate, ma altresì nazioni e regni; anzi, per volere di Leone XIII, tutto il genere umano, durante l’Anno Santo 1900, fu felicemente consacrato al Divin Cuore. – Né si deve passar sotto silenzio che a confermare questa regale potestà di Cristo sul consorzio umano meravigliosamente giovarono i numerosissimi Congressi eucaristici, che si sogliono celebrare ai nostri tempi; essi, col convocare i fedeli delle singole diocesi, delle regioni, delle nazioni e anche tutto l’orbe cattolico, a venerare e adorare Gesù Cristo Re nascosto sotto i veli eucaristici, tendono, mediante discorsi nelle assemblee e nelle chiese, mediante le pubbliche esposizioni del Santissimo Sacramento, mediante le meravigliose processioni ad acclamare Cristo quale Re dato dal cielo. – A buon diritto si direbbe che il popolo cristiano, mosso da ispirazione divina, tratto dal silenzio e dal nascondimento dei sacri templi, e portato per le pubbliche vie a guisa di trionfatore quel medesimo Gesù che, venuto nel mondo, gli empi non vollero riconoscere, voglia ristabilirlo nei suoi diritti regali. – E per vero ad attuare il Nostro divisamento sopra accennato, l’Anno Santo che volge alla fine Ci porge la più propizia occasione, poiché Dio benedetto, avendo sollevato la mente e il cuore dei fedeli alla considerazione dei beni celesti che superano ogni gaudio, o li ristabilì in grazia e li confermò nella retta via e li avviò con nuovi incitamenti al conseguimento della perfezione. – Perciò, sia che consideriamo le numerose suppliche a Noi rivolte, sia che consideriamo gli avvenimento di questo Anno Santo, troviamo argomento a pensare che finalmente è spuntato il giorno desiderato da tutti, nel quale possiamo annunziare che si deve onorare con una festa speciale Cristo quale Re di tutto il genere umano. – In quest’anno infatti, come dicemmo sin da principio, quel Re divino veramente ammirabile nei suoi Santi, è stato magnificato in modo glorioso con la glorificazione di una nuova schiera di suoi fedeli elevati agli onori celesti; parimenti in questo anno per mezzo dell’Esposizione Missionaria tutti ammirarono i trionfi procurati a Cristo per lo zelo degli operai evangelici nell’estendere il suo Regno; finalmente in questo medesimo anno con la centenaria ricorrenza del Concilio Niceno, commemorammo la difesa e la definizione del dogma della consustanzialità del Verbo incarnato col Padre, sulla quale si fonda l’impero sovrano del medesimo Cristo su tutti i popoli.

L’istituzione della festa di Cristo Re

Pertanto, con la Nostra apostolica autorità istituiamo la festa di nostro Signore Gesù Cristo Re, stabilendo che sia celebrata in tutte le parti della terra l’ultima domenica di ottobre, cioè la domenica precedente la festa di tutti i Santi. Similmente ordiniamo che in questo medesimo giorno, ogni anno, si rinnovi la consacrazione di tutto il genere umano al Cuore santissimo di Gesù, che il Nostro Predecessore di santa memoria Pio X aveva comandato di ripetere annualmente. – In quest’anno però, vogliamo che sia rinnovata il giorno trentuno di questo mese, nel quale Noi stessi terremo solenne pontificale in onore di Cristo Re e ordineremo che la detta consacrazione si faccia alla Nostra presenza. Ci sembra che non possiamo meglio e più opportunamente chiudere e coronare 1’Anno Santo, né rendere più ampia testimonianza della Nostra gratitudine a Cristo, Re immortale dei secoli, e di quella di tutti i cattolici per i beneficî fatti a Noi, alla Chiesa e a tutto l’Orbe cattolico durante quest’Anno Santo. – E non fa bisogno, Venerabili Fratelli, che vi esponiamo a lungo i motivi per cui abbiamo istituito la solennità di Cristo Re distinta dalle altre feste, nelle quali sembrerebbe già adombrata e implicitamente solennizzata questa medesima dignità regale. – Basta infatti avvertire che mentre l’oggetto materiale delle attuali feste di nostro Signore è Cristo medesimo, l’oggetto formale, però, in esse si distingue del tutto dal nome della potestà regale di Cristo. La ragione, poi, per cui volemmo stabilire questa festa in giorno di domenica, è perché non solo il Clero con la celebrazione della Messa e la recita del divino Officio, ma anche il popolo, libero dalle consuete occupazioni, rendesse a Cristo esimia testimonianza della sua obbedienza e della sua devozione. – Ci sembrò poi più d’ogni altra opportuna a questa celebrazione l’ultima domenica del mese di ottobre, nella quale si chiude quasi l’anno liturgico, così infatti avverrà che i misteri della vita di Gesù Cristo, commemorati nel corso dell’anno, terminino e quasi ricevano coronamento da questa solennità di Cristo Re, e prima che si celebri e si esalti la gloria di Colui che trionfa in tutti i Santi e in tutti gli eletti. – Pertanto questo sia il vostro ufficio, o Venerabili Fratelli, questo il vostro compito di far sì che si premetta alla celebrazione di questa festa annuale, in giorni stabiliti, in ogni parrocchia, un corso di predicazione, in guisa che i fedeli ammaestrati intorno alla natura, al significato e all’importanza della festa stessa, intraprendano un tale tenore di vita, che sia veramente degno di coloro che vogliono essere sudditi affezionati e fedeli del Re divino.

I vantaggi della festa di Cristo Re

Giunti al termine di questa Nostra lettera Ci piace, o Venerabili Fratelli, spiegare brevemente quali vantaggi in bene sia della Chiesa e della società civile, sia dei singoli fedeli, Ci ripromettiamo da questo pubblico culto verso Cristo Re. – Col tributare questi onori alla dignità regia di nostro Signore, si richiamerà necessariamente al pensiero di tutti che la Chiesa, essendo stata stabilita da Cristo come società perfetta, richiede per proprio diritto, a cui non può rinunziare, piena libertà e indipendenza dal potere civile, e che essa, nell’esercizio del suo divino ministero di insegnare, reggere e condurre alla felicità eterna tutti coloro che appartengono al Regno di Cristo, non può dipendere dall’altrui arbitrio. – Di più, la società civile deve concedere simile libertà a quegli ordini e sodalizi religiosi d’ambo i sessi, i quali, essendo di validissimo aiuto alla Chiesa e ai suoi pastori, cooperano grandemente all’estensione e all’incremento del regno di Cristo, sia perché con la professione dei tre voti combattono la triplice concupiscenza del mondo, sia perché con la pratica di una vita di maggior perfezione, fanno sì che quella santità, che il divino Fondatore volle fosse una delle note della vera Chiesa, risplenda di giorno in giorno vieppiù innanzi agli occhi di tutti. – La celebrazione di questa festa, che si rinnova ogni anno, sarà anche d’ammonimento per le nazioni che il dovere di venerare pubblicamente Cristo e di prestargli obbedienza riguarda non solo i privati, ma anche i magistrati e i governanti: li richiamerà al pensiero del giudizio finale, nel quale Cristo, scacciato dalla società o anche solo ignorato e disprezzato, vendicherà acerbamente le tante ingiurie ricevute, richiedendo la sua regale dignità che la società intera si uniformi ai divini comandamenti e ai principî cristiani, sia nello stabilire le leggi, sia nell’amministrare la giustizia, sia finalmente nell’informare l’animo dei giovani alla santa dottrina e alla santità dei costumi. – Inoltre non è a dire quanta forza e virtù potranno i fedeli attingere dalla meditazione di codeste cose, allo scopo di modellare il loro animo alla vera regola della vita cristiana. – Poiché se a Cristo Signore è stata data ogni potestà in cielo e in terra; se tutti gli uomini redenti con il Sangue suo prezioso sono soggetti per un nuovo titolo alla sua autorità; se, infine, questa potestà abbraccia tutta l’umana natura, chiaramente si comprende, che nessuna delle nostre facoltà si sottrae a tanto impero.

Conclusione

Cristo regni!

È necessario, dunque, che Egli regni nella mente dell’uomo, la quale con perfetta sottomissione, deve prestare fermo e costante assenso alle verità rivelate e alla dottrina di Cristo; che regni nella volontà, la quale deve obbedire alle leggi e ai precetti divini; che regni nel cuore, il quale meno apprezzando gli affetti naturali, deve amare Dio più d’ogni cosa e a Lui solo stare unito; che regni nel corpo e nelle membra, che, come strumenti, o al dire dell’Apostolo Paolo, come “armi di giustizia”  offerte a Dio devono servire all’interna santità delle anime. Se coteste cose saranno proposte alla considerazione dei fedeli, essi più facilmente saranno spinti verso la perfezione. – Faccia il Signore, Venerabili Fratelli, che quanti sono fuori del suo regno, bramino ed accolgano il soave giogo di Cristo, e tutti, quanti siamo, per sua misericordia, suoi sudditi e figli, lo portiamo non a malincuore ma con piacere, ma con amore, ma santamente, e che dalla nostra vita conformata alle leggi del Regno divino raccogliamo lieti ed abbondanti frutti, e ritenuti da Cristo quali servi buoni e fedeli diveniamo con Lui partecipi nel Regno celeste della sua eterna felicità e gloria. – Questo nostro augurio nella ricorrenza del Natale di nostro Signore Gesù Cristo sia per voi, o Venerabili Fratelli, un attestato del Nostro affetto paterno; e ricevete l’Apostolica Benedizione, che in auspicio dei divini favori impartiamo ben di cuore a voi, o Venerabili Fratelli, e a tutto il popolo vostro.

[Dato a Roma, presso S. Pietro, il giorno 11 Dicembre dell’Anno Santo 1925, quarto del Nostro Pontificato.]

Credo … https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Ps II: 8.
Póstula a me, et dabo tibi gentes hereditátem tuam, et possessiónem tuam términos terræ.
[Chiedi a me ed Io ti darò in eredità le nazioni e in dominio i confini della terra]

Secreta

Hóstiam tibi, Dómine, humánæ reconciliatiónis offérimus: præsta, quǽsumus; ut, quem sacrifíciis præséntibus immolámus, ipse cunctis géntibus unitátis et pacis dona concédat, Jesus Christus Fílius tuus, Dóminus noster:Qui tecum …[Ti offriamo, o Signore, la vittima dell’umana riconciliazione; fa’, Te ne preghiamo, che Colui che immoliamo in questo Sacrificio, conceda a tutti i popoli i doni dell’unità e della pace: Gesù Criato Figliuolo, nostro Signore, Egli …]

Præfatio
de D.N. Jesu Christi Rege

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui unigénitum Fílium tuum, Dóminum nostrum Jesum Christum, Sacerdótem ætérnum et universórum Regem, óleo exsultatiónis unxísti: ut, seípsum in ara crucis hóstiam immaculátam et pacíficam ófferens, redemptiónis humánæ sacraménta perágeret: et suo subjéctis império ómnibus creatúris, ætérnum et universále regnum, imménsæ tuæ tráderet Majestáti. Regnum veritátis et vitæ: regnum sanctitátis et grátiæ: regnum justítiæ, amóris et pacis. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia coeléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Che il tuo Figlio unigénito, Gesú Cristo nostro Signore, hai consacrato con l’olio dell’esultanza: Sacerdote eterno e Re dell’universo: affinché, offrendosi egli stesso sull’altare della croce, vittima immacolata e pacífica, compisse il mistero dell’umana redenzione; e, assoggettate al suo dominio tutte le creature, consegnasse all’immensa tua Maestà un Regno eterno e universale, regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt coeli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Comunione spirituale

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Ps XXVIII:10;11
Sedébit Dóminus Rex in ætérnum: Dóminus benedícet pópulo suo in pace.[Sarà assiso il Signore, Re in eterno; il Signore benedirà il suo popolo con la pace]

Postcommunio

Orémus.
Immortalitátis alimóniam consecúti, quǽsumus, Dómine: ut, qui sub Christi Regis vexíllis militáre gloriámur, cum ipso, in cœlésti sede, júgiter regnáre póssimus: Qui
[Ricevuto questo cibo di immortalità, Ti preghiamo o Signore, che quanti ci gloriamo di militare sotto il vessillo di Cristo Re, possiamo in cielo regnare per sempre con Lui: Egli che …]

Preci leonine:

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/26/domenica-xx-dopo-pentecoste-2019/

DOMENICA XX DOPO PENTECOSTE (2019)

DOMENICA XX DOPO PENTECOSTE (2019)

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Dan III: 31; 31:29; 31:35
Omnia, quæ fecísti nobis, Dómine, in vero judício fecísti, quia peccávimus tibi et mandátis tuis non obœdívimus: sed da glóriam nómini tuo, et fac nobíscum secúndum multitúdinem misericórdiæ tuæ.
[In  tutto quello che ci hai fatto, o Signore, hai agito con vera giustizia, perché noi peccammo contro di Te e non obbedimmo ai tuoi comandamenti: ma Tu dà gloria al tuo nome e fai a noi secondo l’immensità della tua misericordia.]
Ps CXVIII: 1
Beáti immaculáti in via: qui ámbulant in lege Dómini.
[Beati gli uomini di condotta íntegra: che procedono secondo la legge del Signore.]

Omnia, quæ fecísti nobis, Dómine, in vero judício fecísti, quia peccávimus tibi et mandátis tuis non oboedívimus: sed da glóriam nómini tuo, et fac nobíscum secúndum multitúdinem misericórdiæ tuæ. [In  tutto quello che ci hai fatto, o Signore, hai agito con vera giustizia, perché noi peccammo contro di Te e non obbedimmo ai tuoi comandamenti: ma Tu dà gloria al tuo nome e fai a noi secondo l’immensità della tua misericordia.]

Oratio

Orémus.
Largíre, quǽsumus, Dómine, fidélibus tuis indulgéntiam placátus et pacem: ut páriter ab ómnibus mundéntur offénsis, et secúra tibi mente desérviant.
[Largisci placato, Te ne preghiamo, o Signore, il perdono e la pace ai tuoi fedeli: affinché siano mondati da tutti i peccati e Ti servano con tranquilla coscienza.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios.
Ephes V: 15-21
Fratres: Vidéte, quómodo caute ambulétis: non quasi insipiéntes, sed ut sapiéntes, rediméntes tempus, quóniam dies mali sunt. Proptérea nolíte fíeri imprudéntes, sed intellegéntes, quae sit volúntas Dei. Et nolíte inebriári vino, in quo est luxúria: sed implémini Spíritu Sancto, loquéntes vobismetípsis in psalmis et hymnis et cánticis spirituálibus, cantántes et psalléntes in córdibus vestris Dómino: grátias agéntes semper pro ómnibus, in nómine Dómini nostri Jesu Christi, Deo et Patri. Subjecti ínvicem in timóre Christi.

Omelia I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1920]

LA PRUDENZA

“Fratelli: Badate di camminare con circospezione, non da stolti, ma da prudenti, utilizzando il tempo, perché i giorni sono tristi. Perciò non siate sconsiderati, ma riflettete bene qual è la volontà di Dio. E non vogliate inebriarvi di vino, sorgente di dissolutezza, ma siate ripieni di Spirito Santo. Trattenetevi insieme con salmi e inni e cantici spirituali, cantando e salmeggiando coi vostri cuori, al Signore, ringraziando sempre d’ogni cosa Dio e Padre nel nome del Signor nostro Gesù Cristo. Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo. (Ef. V, 15-21).”

S. Paolo aveva esortato gli Efesini a vivere come figli della luce, nella pratica delle buone opere, e a non seguire, anzi a riprovare le opere delle tenebre. Ora li esorta a diportarsi con prudenza, approfittando del tempo che ci è concesso per fare la volontà di Dio. Non devono provare altra ebbrezza che quella che viene dallo Spirito Santo: si radunino tutti assieme a lodare il Signore con i cantici sacri, rendendo grazie al Padre, nel nome di Gesù. L’ammonimento dell’Apostolo agli Efesini vale anche per noi, che dobbiamo, mediante la prudenza, virtù «che da pochi si osserva»,

1. Riflettere sulle nostre azioni,

2. Approfittare d’ogni circostanza per arricchirci di meriti

3. Allontanarci dalle occasioni.

1.

Badate di camminare con circospezione, non da stolti, ma da prudenti.

Qui è raccomandata la prudenza cristiana; la prudenza virtù cardinale, cioè una delle quattrovirtù su cui si basano tutte le altre. «La prudenza ci fadistinguere il bene dal male» (S. Agost. En. in Ps. LXXXIII, 11). È, quindi, la regola delle nostre azioni, o, come dice il Catechismo: È la virtù che dirige gli atti al debito fine e fa discernere e usare i mezzi buoni. Il fine del Cristiano è la vita eterna, e la prudenza ci fa riflettere come dobbiamo diportarci per arrivarvi. Nelle cose importanti noi non ci fidiamo del solo nostro modo di vedere; domandiamo i suggerimenti e i consigli degli altri. Così, il Cristiano prudente prega il Signore che lo illumini sullo stato di vita a cui lo chiama, perché possa raggiungere il suo ultimo fine. Messosi in questo stato prega costantemente Dio «Padre dei lumi» (Giac. 1, 17) perché illumini i suoi passi nella via intrapresa, avendo sempre di mira il maggior bene spirituale, anziché l’accontentamento dei propri gusti. Quando un esploratore vuol raggiungere mete assai lontane, sa benissimo che lo attendono incognite di ogni genere. Ed egli riflette a lungo, prima di mettersi in viaggio. Calcola tutti gli incidenti che gli possono capitare da parte della natura del luogo, da parte degli elementi, da parte delle fiere, da parte degli uomini, e prende tutte le precauzioni necessarie per non essere impedito di raggiungere la meta. – Tra le precauzioni che prende, importantissima è quella del rifornimento dei viveri. Il Cristiano, che ha considerato tutta l’importanza della via spirituale che ha da percorrere, vede che tra le precauzioni più necessarie c’è quella di nutrirsi del cibo spirituale, affinché non venga meno per via. A questo scopo frequenta i Sacramenti. La prudenza gli suggerisce di nutrirsi spesso del pane dei forti; e di risorgere subito col mezzo della Confessione, se lungo la via fosse caduto nel peccato. La prudenza insegna a non aspettar tutto dagli altri, « Poiché  se noi saremo vigilanti non avremo bisogno dell’aiuto altrui. Se, al contrario, dormiamo a nulla ci giova l’aiuto degli altri» (S. Giov. Grisost. In Epist. 1 ad Thess. Hom. 1, 3). Alla meta cui siamo avviati dobbiamo arrivare con l’opera nostra, guidata e sostenuta dalla grazia del Signore. Pretendere di arrivare in paradiso dolcemente, dormendo, sulle spalle degli altri, sarebbe un vero assurdo. Non si va in paradiso a dispetto dei Santi. Le vergini prudenti della parabola evangelica si danno cura di provvedere da sé la scorta d’olio per la lampada. Le vergini stolte non si scomodano di procurarsi la scorta d’olio. E quando viene lo sposo non possono prender parte al banchetto. Ricorrono alle vergini prudenti per avere parte della loro scorta, ma non l’ottengono. Le loro lampade rimangono spente, ed esse sono escluse dal banchetto (S. Matt. XXV, 1-13). Se vogliamo arrivare al banchetto celeste dobbiamo cercare d’arrivarvi, aiutati da Dio, con le opere nostre e non con le opere degli altri; se non vogliamo correre il pericolo di rimanerne esclusi.

2.

L’Apostolo vuole che gli Efesini camminino da prudenti utilizzando il tempo. La prudenza non solo ci deve far distinguere quel che si deve fare o non fare; ma ci spinge all’opera. Essa ci fa essere buoni economi del tempo, facendoci cercare e trovare l’opportunità di fare il bene. Un industriale avveduto non tralascia viaggi, ricerche; non si stanca di assumere informazioni e di darne; di mettersi al corrente di tutte quelle innovazioni, che adottate migliorerebbero e accrescerebbero la produzione delle sue industrie. E un Cristiano prudente non deve lasciarsi sfuggire circostanza alcuna, senza usarne per arricchirsi di meriti. – Colui che prudentemente spera di venire a capo dell’opera da lui intrapresa, non si lascia abbattere dal nessuna difficoltà. Quanto più esse sono numerose, tanto più si sente spinto ad operare per vincerle. Noi diciamo che le circostanze sono troppo difficili per poter fare il bene, che gli ostacoli sono troppo forti; ma ci dimentichiamo d’una cosa: «che tutto coopera a bene per quelli che amano Dio» (Rom. VIII, 28). E il tempo delle difficoltà da superare è appunto il tempo più opportuno per ammassare meriti che ci accompagnino in paradiso. Una fatica sopportata per amor di Dio, un sollievo recato a chi soffre, la difesa di un perseguitato, l’appoggio dato a un oppresso, una persecuzione sostenuta, un offesa perdonata, un’umiliazione accettata sono tutte azioni preziose all’occhio di Dio, son tutti mezzi che ci fanno percorrere a gran passi sicuri la via che conduce al paradiso. Una vecchia mendica, la quale era stata più volte beneficata da S. Elisabetta d’Ungheria, che l’aveva assistita inferma e medicata con le proprie mani, vedendo un giorno la sua antica benefattrice avanzare guardinga lungo una sottile striscia di pietre che attraversava un fangoso ruscello, invece di tirarsi in disparte e lasciarla passare, la urtò brutalmente facendola cadere nella fanghiglia, poi aggiunse beffandola: «Tu non hai voluto vivere da duchessa; eccoti ora povera e nel fango; ma io non verrò a tirartene fuori». Con le vesti inzuppate, le mani infangate, contuse e sanguinanti, la Santa si alza e dice con gran calma: «Questo per le acconciature e gli ornamenti e le gioie che portavo un tempo» (Emilio Horn. S. Elisabetta d’Ungheria Trad. ital. di Bice Facchinetti. Milano 1924 p. 157). Ecco, come si può utilizzare qualsiasi circostanza per arrichire di beni spirituali. La prudenza c’insegna non solo a metterci con impegno nell’esercizio del bene, ma vuole che vi ci mettiamo subito. L’uomo d’affari se può conchiudere un buon affari oggi, non aspetta domani: domani potrebbe mancare l’occasione che oggi è ottima. Domani si potrebbe non essere più in tempo. La prudenza cristiana c’insegna a non rimandare in avvenire l’adempimento dei nostri doveri, l’esercizio delle virtù, la rinuncia al peccato, il ritorno a Dio. Sappiamo noi qualche cosa del nostro avvenire? Il futuro è nelle mani di Dio. Generalmente i nostri calcoli sull’avvenire hanno la sorte di quelli del ricco del Vangelo, il quale non avendo più posto da riporvi il raccolto disse: « Ecco quel che farò; demolirò i miei granai, ne fabbricherò dei più vasti e quivi raccoglierò tutti i miei prodotti e i miei beni, e dirò alla mia anima: O anima mia, tu hai messo in serbo molti beni per parecchi anni; riposati, mangia, bevi e godi. Ma Dio gli disse: — Stolto, questa stessa notte l’anima tua ti sarà ridomandata, e quanto hai preparato di chi sarà? — Così è di chi tesoreggia per sé e non arricchisce presso Dio» (Luc. XII, 18-21). Altrettanto stolto è chi cerca di vivere quest’oggi tranquillamente in ozio, e rimanda all’avvenire il tesoreggiare per il cielo. Sarà in tempo?

3.

Non vogliate inebriarvi di vino, sorgente di dissolutezza

… dice S. Paolo, e a ragione. Si cerca l’ebbrezza nel vino e, attraverso la stoltezza e la sfacciataggine, si finisce nella libidine. È quello che avviene di tutte le occasioni. Si finisce dove non si credeva d’arrivare. Sansone non avrebbe mai pensato che l’eccessiva confidenza con Dalila l’avrebbe condotto alla perdita della sua forza prodigiosa, degli occhi, della libertà. Davide non si sarebbe mai immaginato che uno sguardo imprudente l’avrebbe condotto all’adulterio, all’omicidio, all’indurimento nel peccato. L’uomo prudente non si mette mai nelle occasioni prossime libere; non diffida mai abbastanza di certe compagnie, di certi ritrovi, di certi divertimenti, di certi giornali, di certi libri.Il viandante prudente schiva tutte quelle vie lungole quali potrebbe trovare degli intoppi o dei pericoli. Seuna via è interrotta da una frana, da una valanga, dalla caduta d’un ponte, da un’alluvione, si rassegna a fare un giro un po’ più lungo, passando alla larga, pur di arrivare alla meta. Se sa che qualche punto della via è pericoloso, perché battuto dai grassatori, cerca di passarlo in pienogiorno, senza indugiarvisi. Nel cammino della vita spirituale non mancano degli ostacoli che cercano di fermarci, delle occasione che vorrebbero farci interrompere ilcammino. Giriamo alla larga, se non vogliamo dimenticarci del nostro fine; se non vogliamo lasciarci cogliere dalle passioni che, depredandoci della grazia, ci facciano cadere nel peccato. «Non è un timor vano né una precauzione inutile questa, che provvede alla via della nostra salvezza» (S. Cipriano. Lib. de hab. Virg. 4). – Certi strappi sono dolorosi, certi distacchi costano, l’abbandono di certe abitudini ci sembra impossibile. Eppure la prudenza insegna che tra due mali bisogna scegliere il minore. Chi ha una mano o un piede incancrenito sceglie la loro amputazione, anziché lasciar incancrenire tutto il corpo. Il navigante che vede la nave affondare per troppo peso, è pronto a gettar la sua merce in mare, anziché lasciarsi ingoiar lui dalle onde. Tra la perdita di Dio e la perdita dell’amicizia degli uomini; tra il sacrificio di certe abitudini e la perdita del paradiso; tra i piaceri terreni e i godimenti eterni la scelta non dovrebbe lasciare un istante di titubanza. Lasciamo, dunque, l’ebbrezza che viene dai piaceri, e scegliamo l’ebbrezza che viene dallo Spirito Santo. È un’ebbrezza senza rimorsi, senza turbamenti. Manifestiamo questa ebbrezza con salmi e inni e cantici spirituali; manifestiamola, prendendo parte con assiduità e fervore alle funzioni sacre; manifestiamola ovunque, non fosse altro, salmeggiando al Signore nei nostri cuori ringraziando sempre d’ogni cosa Dio e Padre nel nome del Signor nostro Gesù Cristo.

Graduale

Ps CXLIV:15-16
Oculi ómnium in te sperant, Dómine: et tu das illis escam in témpore opportúno.

Aperis tu manum tuam: et imples omne ánimal benedictióne. [Tutti rivolgono gli sguardi a Te, o Signore: dà loro il cibo al momento opportuno. V. Apri la tua mano e colmi di ogni benedizione ogni vivente.]

Allelúja.

Ps CVII:2
Allelúja, allelúja
Parátum cor meum, Deus, parátum cor meum: cantábo, et psallam tibi, glória mea. Allelúja.
[Il mio cuore è pronto, o Dio, il mio cuore è pronto: canterò e inneggerò a Te, che sei la mia gloria. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠  sancti Evangélii secúndum S. Joánnem.
Joannes IV: 46-53
In illo témpore: Erat quidam régulus, cujus fílius infirmabátur Caphárnaum. Hic cum audísset, quia Jesus adveníret a Judaea in Galilæam, ábiit ad eum, et rogábat eum, ut descénderet et sanáret fílium ejus: incipiébat enim mori. Dixit ergo Jesus ad eum: Nisi signa et prodígia vidéritis, non créditis. Dicit ad eum régulus: Dómine, descénde, priúsquam moriátur fílius meus. Dicit ei Jesus: Vade, fílius tuus vivit. Crédidit homo sermóni, quem dixit ei Jesus, et ibat. Jam autem eo descendénte, servi occurrérunt ei et nuntiavérunt, dicéntes, quia fílius ejus víveret. Interrogábat ergo horam ab eis, in qua mélius habúerit. Et dixérunt ei: Quia heri hora séptima relíquit eum febris. Cognóvit ergo pater, quia illa hora erat, in qua dixit ei Jesus: Fílius tuus vivit: et crédidit ipse et domus ejus tota.

Omelia II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE XLVIII.

“In quel tempo eravi un certo regolo in Cafarnao, il quale aveva un figliuolo ammalato. E avendo questi sentito dire che Gesù era venuto dalla Giudea nella Galilea, andò da lui, e lo pregava che volesse andare a guarire il suo figliuolo, che era moribondo. Dissegli adunque Gesù: Voi se non vedete miracoli e prodigi non credete. Risposegli il regolo: Vieni, Signore, prima che il mio figliuolo si muoia. Gesù gli disse: Va, il tuo figlinolo vive. Quegli prestò fede alle parole dettegli da Gesù, e si partì. E quando era già verso casa, gli corsero incontro i servi, e gli diedero nuova come il suo figliuolo viveva. Domandò pertanto ad essi, in che ora avesse incominciato a star meglio. E quelli risposero: Ieri, all’ora settima, lasciollo la febbre. Riconobbe perciò il padre che quella era la stessa ora, in cui Gesù gli aveva detto: Il tuo figliolo vive: e credette egli, e tutta la sua casa” (Jo. IV, 46-53)

Quando Gesù con la sua predicazione e co’ suoi miracoli si andava facendo nella Giudea un gran numero di discepoli, i farisei cominciarono a sentire e dispiegare verso di Lui una grande invidia e gelosia. E sapendolo Gesù, che era tanto mansueto, per non irritare troppo i suoi nemici lasciò la Giudea e s’avviò verso la Galilea, Per istrada passando per la Samaria, andò ad assidersi presso al pozzo di Giacobbe, dove convertì la Samaritana. Quindi fermatosi due giorni in Sichem, pregato dai concittadini di quella donna, dove molti credettero in Lui per averlo udito a parlare, prosegui il suo viaggio per la Galilea. Ma invece di recarsi a Nazaret, ben sapendo il poco rispetto che gli avrebbero usato i suoi compatrioti, si recò nella Galilea superiore, dove fu accolto con grande gioia. E percorrendo questa regione andò in Cana, dove aveva operato il suo primo miracolo convertendo l’acqua in vino. E fu in questa piccola città che operò il nuovo miracolo narrato dal Vangelo di questa domenica.

1. Eravi un certo regolo in Cafarnao, il quale aveva un figliuolo ammalato. E avendo quegli sentito a dire, che Gesù era venuto dalla Giudea nella Galilea, andò da lui, e lo pregava che volesse andare a guarire il suo figliuolo, che era moribondo. Gliinterpreti non sono d’accordo nel dirci chi fossequesto regolo: alcuni vedono in lui un principedella reale famiglia di Erode Antipa, tetrarcadella Galilea, altri vogliono che fosse soltanto unuffiziale della corte, ed altri pretendono che fosse un piccolo re. Ma comunque sia la cosa, voi vedete come anche i grandi e i potenti della terra, quando sono travagliati da qualche sventura, allora pensano a Gesù, riconoscono chi Egli sia, ed a Lui si rivolgono per essere consolati. Difatti quel regolo ha un figlio, oggetto della più cara sua speranza, e questo figlio è prossimo a morire: i medici disperano, l’umana scienza è impotente; l’infelice padre vede la morte che si avanza, che sta per varcare le soglie della sua casa e colpire nel fior degli anni il diletto suo figliuolo. Egli ha udito a parlare di un personaggio straordinario che opera dei prodigi; sa che quel personaggio è a Cana: da Cafarnao a questa città vi ha più d’una giornata di cammino…. Che importa?…. L’uffiziale si mette in viaggio. Purché incontri quel Gesù ed ottenga da lui il compimento de’ più cari suoi voti: ecco tutto il pensiero del suo cuore. Senza dubbio se costui non fosse stato minacciato nelle sue più care speranze, non si sarebbe dato pensiero del Salvatore e l’avrebbe lasciato pacificamente continuare il corso delle sue mirabili predicazioni. Così, o miei cari, lo sprone della sventura ridesta sovente un’anima addormentata, e la spinge ad indirizzarsi a Colui che solo può sollevarla e guidarla. Voi, vi lagnate d’una croce che sopravviene, d’una prova che vi accade. E Dio non ha permesso quella pena passeggera che per ricondurvi a sentimenti migliori, e darvi occasione di meritare la felicità dell’eterna vita. Oh come il dolore serve efficacemente ad illuminare le nostre anime! Vi è una moltitudine di cose, che l’uomo, che non ha patito non conosce, ed un’altra moltitudine che non sarà mai capace di conoscere, se per impossibile continuasse a vivere senza patire. Al contrario non vi ha alcun uomo il quale, nell’ora che soffre, voglia o non voglia, non sia condotto alla conoscenza della verità. La nostra vita sopra la terra è tutta piena di fantastiche illusioni, le quali tanto più si moltiplicano ed hanno forza per sedurci, quanto più siamo allegri e viviamo nella prosperità. Oh quante vane sicurezze e quanta presunzione nell’uomo, dal momento che non sente più nulla che lo molesti o lo affligga! quante cose dimentica! quante altre ne immagina! qual compiacenza prende nel suo stato! Ah! se egli sgraziatamente rimane così, senza alcuna sofferenza né fisica, né morale, anche solo per qualche anno, la terra avrà per lui tali incanti da fargli impallidire e persino eclissare quelli del Paradiso. Quest’uomo insomma diventerà del tutto cieco non vedendo più né il suo fine, né la strada che vi conduce. Ma viene il dolore, ed allora che succede? Ecco, i fantasmi svaniscono, ricompaiono le realtà e ripigliano sulla sua mente l’imperio loro dovuto. Vedete quel povero giovane? Novello prodigo abbandonò la casa paterna per gettarsi tra le braccia dei falsi amici, sognando nella loro compagnia una felicità sconosciuta. Stoltamente seguì i loro consigli, accontentò i loro desideri, dissipò con loro i suoi averi, il suo onore, la sua vita; ma quando rimasto a mani vuote credette di appoggiarsi sopra la loro amicizia, essi erano scomparsi dal suo fianco per non comparirgli innanzi mai più. Il dolore della sua miseria gli rischiarò allora la mente e al baglior di quella luce divina egli conobbe quanto è vera la parola del Savio: che nulla vi ha di più raro che un vero amico; che assai meglio si sta l’ultimo nella casa paterna sotto l’obbedienza dei genitori, che il cuore non si appaga tra le creature, che solo è beato riposando in Dio. – Ed oh quanti altri ancora, i quali non brancicando che nelle tenebre degli onori, dei piaceri e delle ricchezze se ne vivevano lontani affatto da Dio, perseguitati al fine dalla passione, colpiti dalla calunnia, spogliati d’un tratto d’ogni loro avere, sopraffatti dal dolore, apersero gli occhi alla luce della verità ed esclamarono compunti: Ci siamo ingannati: Erravimus a via veritatis (Sap. V. 6): Bisogna ritornare sul retto sentiero. Miei cari, il dolore illumina. Esso fa toccar con mano la vanità del mondo, il nulla dei beni temporali, la stoltezza di ogni vita che non ha Iddio per fine, ed illuminandoci in sulla vanità delle cose terrene ci conduce a quel Dio, a quel caro Gesù, che solo può confortarci e far paghi i nostri cuori. Quando perciò le afflizioni verranno a travagliare l’anima nostra, seguiamo pure l’esempio del regolo di Cafarnao: non esitiamo un istante di recarci ai piedi di Gesù Cristo, di aprirgli il nostro cuore e di invocare il suo soavissimo conforto.

2. Se non che alla preghiera, che quel regolo venne a fare a Gesù di recarsi a casa sua per guarirgli il figliuolo infermo, Gesù benedetto rispose: Voi se non vedete miracoli e prodigi, non credete. E ben a ragione. Imperciocché, come nota S. Gregorio, bisognava ben che quel regolo avesse una certa fede, giacché veniva a trovare Gesù e a domandargli la guarigione di suo figlio; ma tale fede doveva essere ben imperfetta giacché stimava necessario che il Salvatore si recasse a Cafarnao per guarire il malato, non pensando che egli lo poteva fare anche da lungi. Se infatti costui avesse avuto una fede perfetta, avrebbe saputo, che essendo Iddio dappertutto non ha bisogno di trasferirsi da un luogo all’altro per far quel che gli piace, e non si sarebbe così stranamente ingannato, attribuendo alla corporale presenza del Salvatore una virtù, che apparteneva alla sua divinità. Era ben altrimenti viva la fede del centurione, che con umiltà sì profonda domandava la guarigione del suo servo. Ora a quello il Salvatore proponeva di portarsi a trovar l’infermo, ed il centurione rispondeva: Signore, io non son degno che entriate nella mia casa, ma dite una parola delle vostre labbra, e il mio servo sarà guarito. Il regolo adunque non credeva ancora alla divinità del Salvatore; lo riguardava come un profeta, che coll’imporre le mani o con la recita di qualche preghiera potesse restituire la sanità al suo figlio. Quindi il divin Redentore ben a ragione gli rivolse quel rimprovero affine di dar alla sua fede quell’energico stimolo, di cui abbisognava affine di perfezionarsi. Ai nostri giorni, o miei cari, quanti Cristiani meriterebbero il rimprovero che Gesù rivolse a quel regolo! Ancora essi chiedono dei prodigi: se vedessi, se comprendessi, allora sì crederei, ci ripetono del continuo, e rimangono intanto nella loro indifferenza e nel loro induramento. Ma il Salvatore risponde loro: « Beati coloro che non han veduto, e credettero » E noi potremmo ancor soggiungere: Pigliate il Vangelo, e vedete ciò che accadeva, son ormai diciannove secoli; la verità non invecchia. Voi domandate dei miracoli! Eccone di quelli che furono operati in presenza d’una nube di testimoni, e di testimoni che han versato il loro sangue e dato la loro vita per confermare la sincerità della loro testimonianza. Non sono essi numerosi assai ed assai forti per convincervi? Mirate anche questo perpetuo miracolo d’una Religione sempre combattuta, sempre perseguitata, sempre maledetta dalle potenze infernali; eppure sempre giovane, sempre bella, invincibile sempre, sempre segnata in fronte col suggello dell’immortalità. Non domandate dunque dei nuovi prodigi. I soli che restano a farsi, che voi dovete desiderare, che dovete sollecitare, eccoli: sono i miracoli dell’ordine spirituale, che possono cangiare e convertire le anime vostre. Udite S. Gio. Grisostomo: « Se da avaro ch’eravate, divenite generoso, avete guarito una mano inaridita, che non si poteva stendere per dare l’elemosina. Se rinunziate al teatro, al divertimento, alla festa mondana per intervenire alle nostre chiese, avete guarito uno zoppo e l’avete fatto dirittamente camminare. Se ritirate i vostri sguardi da tutti gli oggetti pericolosi per non aver più in avvenire che sguardi casti, avete reso la vista ad un cieco. Se detestate le infami canzoni per non cantare in avvenire che dei cantici spirituali, avete fatto parlare un mutolo. Ecco le meraviglie che sono veramente stimabili; ecco i miracoli che vi auguro. Questi, o miei cari, non solo vi permetto di domandare, ma ve ne consiglio e v’invito. Né chiedeteli una volta soltanto, ma chiedeteli con perseveranza, direi quasi con importunità, somiglianti al regolo che senza fermarsi alla risposta del Signore, si affrettò a dirgli: Vieni, Signore, prima che il mio figliuolo si muoia ».

3. Allora Gesù gli disse: va, il tuo figliuolo vive. Quegli prestò fede alle parole dettegli da Gesù e si partì. E quando era già verso casa, gli corsero incontro i servi, e gli diedero nuova come il figliuolo viveva. Domandò pertanto ad essi in che ora avesse cominciato a star meglio. E quegli risposero: Ieri all’ora settima lasciollo la febbre. Riconobbe perciò il padrone che quella era la stessa ora in cui Gesù gli aveva detto: Il tuo figliuolo vive; e credette egli e tutta la sua casa.. E qui ponderiamo bene, o mieicari; quello che Gesù si degnò di rispondere a quelregolo: Va, il tuo figliuolo vive: che fu come un dirgli: Va, che non è necessario che Io venga con te. Esaudirò la tua preghiera, ma non nel modo che tu chiedi. S’Io ti accompagnassi alla tua casa, la tua fede non diverrebbe già più viva: senza dubbio si raddoppierà quando saprai che da lontano ho potuto sanare il figliuol tuo. Vedete, omiei cari, come nostro Signore tratta le anime giusta i bisogni di ciascuna di esse. Il centurione chiede la guarigione del suo servo; e per far risaltare la sua fede e la sua umiltà, il Salvatore gli dice: Andrò e lo sanerò. No, no, Signore, questo non è necessario, ed io non lo merito; dite una parola e il mio servo sarà guarito. Qui all’opposto l’uffiziale gli dice: Venite, Signore, affrettatevi. Ed il Salvatore vedendo questa fede così debole, la fortifica, la perfeziona, ricusando un viaggio inutile pel compimento del prodigio. Di fatti, dice il venerabile Beda, la fede che in quel regolo aveva cominciato, quando andò a trovare Gesù per domandargli la guarigione del figlio, crebbe poi quando credette alla parola di colui che gli disse: Il tuo figlio vive; ma fu perfetta quando alla relazione che gli fecero i suoi servi conobbe ch’era stato guarito all’ora stessa che Gesù aveagli detto: Filius tuus invit.Ecco adunque come il medico celeste dà a ciascun’anima ciò che le torna meglio per la sua eterna salute. Questo pertanto deve essere lo spirito, che animi le nostre preghiere: domandare a Dio le grazie di cui abbisogniamo, ma disposti interamente a rimetterci alla sua santa volontà, la quale è sempre il meglio per noi. Anzi, non solo le nostre preghiere devono essere animate da un tale spirito, ma tutta quanta la nostra vita. Tutta la perfezione dell’amor verso Dio consiste nell’uniformar la nostra alla divina volontà; ciò venne principalmente ad insegnarci dal cielo col suo esempio il nostro Salvatore. Ecco quelch’Egli disse in entrare nel mondo, come scrive l’Apostolo: « Voi, Padre mio, avete rifiutate le vittime degli uomini, volete ch’Io vi sacrifichi con la morte questo corpo, che mi avete dato, eccomi pronto a far la vostra volontà ».E ciò più volte dichiarò, dicendo ch’Egli non era venuto in terra, se non per fare la volontà del suo Padre. Quindi poi aggiunge ch’Egli riconosceva per suoi solamente coloro che facessero la divina volontà.Oh quanto vale un atto di perfetta rassegnazione alla volontà di Dio! basta per fare un santo. Mentre S. Paolo perseguitava la Chiesa, Gesù gli apparve, l’illuminò e lo convertì. Il Santo allora altro non fece, che offrirsi a fare il voler divino: Signore, che volete ch’io faccia? Ed ecco che Gesù Cristo subito lo dichiarò vaso d’elezione, e Apostolo delle genti! Chi fa digiuni, fa limosine, chi si mortifica per Iddio, dona a Dio parte di sé; ma chi gli dona la sua volontà, gli dona tutto. E questo è quel tutto che Dio ci domanda, il cuore, cioè la volontà. Questa insomma ha da essere la mira di tutti i nostri desideri, delle nostre divozioni, meditazioni, comunioni e di tutte le altre buone opere, l’adempiere la divina volontà. Questo ha da essere lo scopo di tutte le nostre preghiere, l’impetrare la grazia di eseguire non quello che piace a noi, ma quello che Iddio vuole da noi. Ma bisogna uniformarci non solo nelle cose prospere, ma anche in quelle avverse, e non solo nelle avverse che ci vengono direttamente da Dio, come sono le infermità, le desolazioni di spirito, le perdite di robe o di parenti; ma anche in quelle che ci vengono anche da Dio, ma indirettamente, cioè per mezzo degli uomini come le infamie, i dispregi, le ingiustizie, e tutte le altre sorta di persecuzioni. Ed avvertiamo che quando siamo offesi da taluno nella roba o nell’onore, non vuole già Dio il peccato di colui che ci offende, ma ben vuole la nostra povertà e la nostra umiliazione. È certo che quanto succede, tutto avviene per divina volontà. Narra Cesario che un certo monaco, con tutto che non facesse vita più austera degli altri non di meno faceva molti miracoli. Di ciò meravigliandosi l’abbate, gli domandò un giorno quali divozioni egli praticasse. Rispose, che egli era più imperfetto degli altri, ma che solo a questo era tutto intento, ad uniformarsi in ogni cosa alla divina volontà. E di quel danno, ripigliò il superiore, che giorni or sono ci fece quel nemico nel nostro podere, voi non ne aveste alcun dispiacere? No, padre mio, disse, anzi ne ringraziai il Signore, mentr’Egli tutto fa o permette per nostro bene. E da ciò L’abbate conobbe la santità di questo buon religioso. Lo stesso dobbiamo far noi quando ci accadono le cose avverse; accettiamole tutte dalle divine mani non solo con pazienza, ma persino con allegrezza. Ed in vero che maggior contento dovremmo avere che soffrire qualche croce, e sapere che abbracciandola noi diamo gusto aDio? Se vogliamo dunque vivere con una continua pace, procuriamo da oggi innanzi di abbracciarci col divino volere, con dir sempre intutto ciò che ci avviene: Signore, cosi è piaciuto a voi, cosi sia fatto. A questo fine indirizziamo tutte quante le opere nostre, e del continuo offriamo noi stessi al Signore sempre dicendo: Mio Dio, eccomi, fate di me quello che vi piace. E così sarà certo che se non sempre Iddio disporrà della nostra vita in quel modo che piace a noi, ne disporrà sempre tuttavia nel modo più giovevole per il bene dell’anima nostra e per la nostra eterna salute.

Credo …https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Ps CXXXVI: 1
Super flúmina Babylónis illic sédimus et flévimus: dum recordarémur tui, Sion.
[Sulle rive dei fiumi di Babilonia ci siamo seduti e abbiamo pianto: ricordandoci di te, o Sion.]

Secreta

Cœléstem nobis præbeant hæc mystéria, quǽsumus, Dómine, medicínam: et vítia nostri cordis expúrgent. [O Signore, Te ne preghiamo, fa che questi misteri ci siano come rimedio celeste e purífichino il nostro cuore dai suoi vizii.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Ps CXVIII: 49-50
Meménto verbi tui servo tuo, Dómine, in quo mihi spem dedísti: hæc me consoláta est in humilitáte mea.
[Ricordati della tua parola detta al servo tuo, o Signore, nella quale mi hai dato speranza: essa è stata il mio conforto nella umiliazione.]

Postcommunio

Orémus.
Ut sacris, Dómine, reddámur digni munéribus: fac nos, quǽsumus, tuis semper oboedíre mandátis.
[O Signore, onde siamo degni dei sacri doni, fa’, Te ne preghiamo, che obbediamo sempre ai tuoi precetti].

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

LO SCUDO DELLA FEDE (83)

LO SCUDO DELLA FEDE (83)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

PARTE TERZA.

CONSEGUENZE DEL PERDERE LA S. FEDE E MODI DI PREVENIRLE

CAPITOLO VI.

COME DEBBONO DIPORTARSI QUEI CHE SONO TENTATI DAI PROTESTANTI CON LIBRI MALVAGI.

Oltre ai discorsi, impiegano i Protestanti anche il mezzo dei libri per trascinare nell’errore. Vi presentano certi libricciuoli galanti, pieni zeppi di veleno e ve li danno anche gratis, tanta è la loro carità. Questi libri sono: primieramente la Scrittura Sacra, ma tradotta male dal Diodati, come già vi ho detto; poi certi scritterelli di varii Apostati come il De Sanctis, il Borella e simili: libri che contengono molte empietà, contro la Chiesa, il Sommo Pontefice, il Sacerdozio, i Sacramenti, ec. che mettono in derisione le cose più sante della fede e della pietà. Ora voi potreste facilmente essere presi di curiosità a volerli almeno conoscere, almeno percorrere. Però ricordatevi che non si possono né leggere né ritenere. Se Eva non cominciava a rimirare il pomo con curiosità, non sarebbe stata alfine sedotta come purtroppo fu. Né vi muovano la eleganza, la bellezza ed i titoli pomposi con cui si inorpellano, perché sono veleno e non meno micidiale perché racchiuso in coppa d’oro. – Il solo ritenere quei libri è già un peccato, ricordatevene bene, è un altro peccato il leggerli, è un altro peccato il farli leggere anche ad altri. La S. Chiesa che ha legittima autorità sopra di noi, li ha proibiti sotto grave colpa e così non si possono tenere. – Il dire che la S. Chiesa non ha autorità di proibirceli è già un errore da Protestanti. Ma infine non sarebbe meglio il conoscere anche quel che dicono i nemici della S. Chiesa? Così sapremmo l’una e l’altra parte. Né la dottrina Cattolica, se è vera, deve temere il confronto. A questi sofismi ecco quello che io vi replicherò. Se voi trovate che è un’ingiustizia il non lasciarvi conoscere gli errori, perché non dite anche che è un’ ingiustizia il non lasciarvi assaggiare il veleno? E che? se noi prendiamo il veleno, abbiamo anche in pronto il contravveleno. Vi acconcereste voi a lasciarvi mordere da uno scorpione, perché avete in casa l’olio che ve ne guarirà? Mangereste volentieri un’insalata di cicute, quando sapeste di avere poi in pronto la panacea? Vi fareste così per trastullo una ferita in una mano o in un braccio, perché avete del balsamo che vi può risanare? Eh sono queste proposizioni da pazzo. Ma e perché non dite l’istesso rispetto alla vostra fede? Mentre per misericordia di Dio l’avete sana ed intatta nel cuore, si ha da permettere che essa riceva una ferita dalla lettura di quei libracci sul pretesto che sentirete l’una e l’altra parte? Chi ha mai detto che per istar meglio in salute bisogna provare anche l’infermità? Eppure si dice così rispetto all’anima. Che pazzia è mai questa! Molto più che forse pei mali del corpo potrete trovare un qualche rimedio: ma se leggete quei libri il rimedio forse non lo troverete mai: perocché, parliamo chiaro, siete voi tanto istruiti che possiate render conto dei misteri che credete, dei dommi che professate, di tutte le verità che vi propone la S. Chiesa? Ma e quando avete fatti cotesti studii? Avete imparato da fanciullo un poco di Catechismo e l’avete appreso con molta svogliatezza e però con molta superficialità. Fatta poi la prima Comunione avete sentito qualche spiegazione di Vangelo, qualche poco di Predica, e dico poco perché il più delle volte anche non v’interveniste, e non vi ricordate già più quasi di niente: e con questo bel corredo di scienza vi mettete a leggere un libro perverso? Ma come farete a scoprire le frodi e le fallacie che sono in essi senza una cognizione alquanto ampia della dottrina Cattolica? Se avete in mano un orologio che non cammina, conoscete voi perciò il motivo per cui non cammina? Eh bisogna aver pratica di tutto il suo meccanismo interiore per iscoprire dove stia il difetto. Lo stesso è a dirsi nel caso nostro. Dovreste conoscere tutta la Scrittura con tutti i suoi fondamenti per ravvisare subito in che siano riposti gli errori che essi v’insinuano, e non avendo voi mai fatti quegli studii, beverete grosso yutto quello che essi vi presenteranno; troverete buoni tutti i sofismi, vi parranno verità tutti gli errori, e riuscendovi al tutto impossibile di conoscere le frodi, le arti, le insidie che quei perversi mettono in campo, rimarrete alla fine miseramente sedotti. Ecco quello che è accaduto ad altri, ed ecco quello che avverrà anche a voi. Aggiungete che voi dite di voler conoscere l’una e l’altra parte: ma nel fatto poi non è vero. Vi conducete volentieri a leggere quei sofismi, ma quando è che leggete poi la verità? Su qual libri, a quale scuola l’apprendete? Anche nelle città dove vi è maggior copia di libri e d’istruzione, l’esperienza insegna che non si leggono né punto né poco i libri che espongono la S. Fede, che la illustrano, che la difendono, che ne mostrano i saldissimi fondamenti, che questi libri non si conoscono e non si vogliono conoscere: tanto che si giudica sempre della S. Fede da quel che ne dicono i nemici di lei: ma nelle campagne non solo non si fa nessuno studio della Religione, perché non si trova il tempo, ma non vi è pur possibilità alcuna di farlo perché mancano al tutto i libri opportuni. Laonde se si beve il veleno, il contravveleno affatto non vi è. – E ciò per non dir nulla di quel che accade molte volte, che Dio per gastigo della disobbedienza fatta alla Chiesa quando si legge quello che essa divieta, permette poi che chi si fidava di sé provi con l’esperienza la sua debolezza e venga a prevaricare. Che se non si giunge sino a quest’ultimo eccesso, la Fede rimane almeno indebolita, sorgono poi dei dubbi, delle angustie, e così o l’anima resta molto tempo travagliata oppure si apre una strada funesta che può mettere col tempo sino all’incredulità. Ma le vostre precauzioni in fatto di libri non si hanno a restringere solamente a quelli che apertamente malvagi assaltano senza riguardo la S. Fede; si deve stendere anche a quelli, che il fanno forse con maggior efficacia, perché più copertamente. Iovoglio significare con ciò una turba di Romanzi i quali avventano qua e là come di passaggio i loro colpi contro la Chiesa, certe storie maligne che mettono sotto false vedute le gesta dei Romani Pontefici, certe novelle scostumate che deridono i Sacerdoti ed i Religiosi, certe gazzette maligne che ne’ racconti infami delle loro appendici non rispettano nulla di quello che è più venerando in cielo ed in terra: tutte queste letture feriscono se non sempre direttamente, almeno indirettamente la S. Fede e le tolgono la vivezza, il lustro e lo splendore che dovrebbe avere. Il perché ricordatevi bene che avete obbligo strettissimo di rigettare quei libri funesti non accettandoli né conservandoli presso di voi, non leggendoli né prestandoli a leggere a veruno. E se siete padroni di casa, capi di bottega, padri di famiglia o in qualunque modo superiori ad altri, non dovete e non potete permettere ai vostri figliuoli. ai vostri subordinati e dipendenti che li tengano o comunque li leggano. Sapete quel che dice il proverbio? Tanto ne va a chi ruba quanto a chi tiene il sacco: tanto ne va a chi tiene come a chi scortica. E questo giudizio si pronunzia nell’altro mondo non meno che in questo.

SALMI BIBLICI: “QUIS GLORIARIS IN MALITIA” (LI)

SALMO 51: “QUIS GLORIARIS in malitia”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME PREMIER.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 51

In finem. Intellectus David, cum venit Doeg Idumæus, et nuntiavit Sauli: Venit David in domum Achimelech.

[1] Quid gloriaris in malitia,

qui potens es in iniquitate?

[2] Tota die injustitiam cogitavit lingua tua; sicut novacula acuta fecisti dolum.

[3] Dilexisti malitiam super benignitatem; iniquitatem magis quam loqui æquitatem.

[4] Dilexisti omnia verba præcipitationis, lingua dolosa.

[5] Propterea Deus destruet te in finem; evellet te, et emigrabit te de tabernaculo tuo, et radicem tuam de terra viventium.

[6] Videbunt justi, et timebunt; et super eum ridebunt, et dicent:

[7] Ecce homo qui non posuit Deum adjutorem suum; sed speravit in multitudine divitiarum suarum, et prævaluit in vanitate sua.

[8] Ego autem, sicut oliva fructifera in domo Dei; speravi in misericordia Dei, in æternum et in sæculum sæculi.

[9] Confitebor tibi in sæculum, quia fecisti; et exspectabo nomen tuum, quoniam bonum est in conspectu sanctorum tuorum.

[Vecchio Testamento Secondo la VolgataTradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LI (1)

Riprensione a Doeg Idumeo, che calunniò Davide e Achimelech Sacerdote presso il re Saulle, e divenne con ciò causa della strage dei sacerdoti di Nobe. (Vedi lib. 1 Reg., c. 21).

Per la fine: salmo d’intelligenza di David, quando Doeg Idumeo andò a dar avviso a Saul, dicendo: David è stato a casa di Achimelech.

1. Perché fai tu gloria della malvagità, tu che sei potente a far male?

2. Tutto il dì la tua lingua ha meditato l’ingiustizia; quale affilato rasoio hai fatto tradimento.

3. Hai amato la malizia più che la bontà; il parlare iniquo, piuttosto che il giusto.

4. Hai amato tutte le parole da recar perdizione, o lingua ingannatrice.

5. Per questo Iddio ti distruggerà per sempre; ti schianterà, e ti scaccerà fuori del tuo padiglione; e ti sradicherà dalla terra dei vivi.

6. Vedran ciò i giusti, e temeranno, e di lui rideranno, dicendo:

7. Ecco l’uomo, il quale non ha eletto Dio per suo protettore; ma sperò nelle sue molte ricchezze, e si fece forte nei suoi averi.

8. Ma io, come ulivo fecondo nella casa di Dio, ho sperato nella misericordia di Dio per l’eternità e per tutti i secoli.

9. Te loderò io pei secoli, perché hai fatta tal cosa e aspetterò l’aiuto del nome tuo, perché buona cosa è questa nel cospetto dei santi tuoi.

Sommario analitico

In questo Salmo, il cui titolo fa sufficientemente conoscere l’occasione ed il soggetto, ed in cui c’è Doeg, traditore di Davide e del gran sacerdote, per i suoi interessi temporali, c’è un’immagine viva di Giuda che tradisce e vende il suo divino Maestro.

I. – Davide mostra tutta l’iniquità e la malvagità delle calunnie di Doeg e ne descrive i caratteri principali:

– 1° la sua ostinazione nell’iniquità, della quale si glorifica (1), – 2° la sua malizia premeditata e continua (2); – 3° la sua affezione al male (3); – 4° i suoi discorsi che non hanno come scopo se non la rovina del prossimo (4);

II.Egli descrive il castigo che lo attende sotto la figura di un albero abbattuto e sradicato:

– 1° egli sarà divelto, abbattuto, sradicato (5); – 2° i giusti, testimoni della sua rovina, applaudiranno e rideranno di lui, a) perché egli non ha riposto la sua forza il Dio, b) si è affidato alle moltitudini delle sue ricchezze, c) e si è raffermato nella sua malvagità (6, 7).

III Egli descrive in opposizione la sua felicità e quella dei giusti, sotto l’emblema di un ulivo verdeggiante:

– 1° Che produce frutti abbondanti, – 2° che è piantato in un luogo ameno, la casa di Dio (8); – 3° i cui rami che si estendono in lontananza sono: a) la speranza in Dio (8); b) la lode di Dio; c) la longanimità; d) la contemplazione e la carità della comunione dei santi (9).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-4.

ff. 1. – Glorificarsi delle proprie buone opere, è commettere una grave ingiustizia verso Dio, perché è come prendergli ciò che Gli appartiene come proprio, la sua gloria, che Egli stesso dichiara di non cedere a nessuno. Ma glorificarsi nella propria malizia, è fare a Dio l’oltraggio più sensibile, poiché è dichiararsi suo nemico. – « Perché colui che è potente si glorifica della propria malvagità? » Vale a dire, perché colui che è potente nel male si glorifica? L’uomo ha bisogno di essere potente, ma nel bene, e non nel male. È dunque qualcosa di grande glorificarsi della propria malvagità? Il costruire una casa è affare di pochi; nel distruggerla, ogni ignorante può venirne a capo. È concesso ad un piccolo numero di persone il saper seminare il frumento, coltivare le messi, attendere la maturazione del grano, e raccogliere con gioia il frutto di questo lavoro; ma il primo venuto può con una semplice fiammella, incendiare tutta una messe. Far nascere un bambino, nutrirlo, allevarlo, condurlo fino all’età della giovinezza, è un grande compito, ma non c’è nessuno che non possa ucciderlo in poco tempo. Tutto ciò che non tende che a distruggere è dunque molto facile. Colui che si glorifica, si glorifichi nel Signore (1 Cor. I, 31); colui che si glorifica, si glorifichi nel bene; voi vi glorificate perché siete potenti nel male; cosa farete dunque o potenti con tutta la vostra iattanza? Voi ucciderete un uomo? Uno scorpione fa altrettanto; una febbre fa altrettanto, un fungo velenoso fa altrettanto. Tutta la vostra potenza è così ridotta ad eguagliare quella di un animale o di una pianta velenosa? (S. Agost.).

ff. 2. – Il cuore del giusto è interamente nella legge di Dio, che egli medita giorno e notte (Ps. I, 2). Il cuore del malvagio è interamente nell’ingiustizia, e la sua lingua è sempre occupata a produrre all’esterno i suoi tristi frutti (Dug.). – Come spiegare ciò che qui dice il profeta, che la lingua pensa e medita l’ingiustizia, allorché i pensieri escono dal senso ragionevole dell’anima vivente, mentre la lingua non è che lo strumento materiale del pensiero? Un altro scrittore ispirato ci fa comprendere la giustezza di questa espressione: « il cuore degli insensati – egli dice – è nella loro bocca » (Eccl. XXI, 29), perché essi non fanno niente con il consiglio della ragione e secondo le deliberazioni della loro intelligenza, ma al contrario si lasciano andare allo scorrere precipitoso della loro lingua, e tengono i discorsi più sconsiderati e più temerari. Ecco perché l’autore sacro dice che il loro cuore è nella loro bocca, perché essi non dicono affatto quel che hanno pensato, ma ciò che hanno pensato e che hanno detto. Il salmista parla tutt’altrimenti della lingua del saggio: la lingua del giusto, egli dice, mediterà la saggezza (Ps. XLIV, 2), perché la lingua si forma ed è diretta sulla meditazione del suo cuore (S. Hil.). – Quanta pena ci si prende per aguzzare un rasoio, quanta cura per affilarlo, quante volte lo si fa passare sulla pietra? E questo per radere quanto più profondamente i peli della barba, e dare al viso tutta la sua pulizia, tutta la sua nettezza. Ma se in luogo di tagliare la barba, il rasoio taglia la pelle della persona, esso porta un colpo ingannatore e perfido, perché invece di contribuire alla bellezza del viso, produce una ferita. (S. Hilar.).

ff. 3. –  « Voi avete preferito la malvagità alla bontà » Uomo ingiusto, uomo senza regole, voi volete, nella vostra perversità, mettere l’acqua sopra l’olio; l’acqua sarà sommersa, e l’olio emergerà. Voi volete nascondere la luce sotto le tenebre, ma le tenebre saranno dissipate, e la luce sussisterà. Voi volete mettere la terra al di sopra del cielo, ma la terra, con tutto il suo peso, cadrà sul suo luogo naturale. Voi sarete sommersi dunque per aver preferito la malvagità alla bontà; poiché mai la malvagità avrà la meglio sulla bontà. « Voi avete preferito la malvagità alla bontà, ed il linguaggio dell’iniquità a quello della giustizia ». Davanti a voi è la giustizia e davanti a voi vi è pure l’ingiustizia: voi avete una lingua, la muovete come vi pare; perché dunque la volgete piuttosto dal lato dell’ingiustizia e non dal lato della giustizia? Voi non sapete dare al vostro stomaco un nutrimento amaro, e date alla vostra lingua un nutrimento d’iniquità? Come scegliete il vostro nutrimento, così scegliete anche le vostre parole. Voi preferite l’ingiustizia alla giustizia; voi la preferite, è vero, ma chi la spunterà, se non la bontà e la giustizia? (S. Agost.).

II. — 5 – 7.

ff.5. – La giusta retribuzione dovuta al peccato, spesso è esercitata sui peccatori in questa vita, e sempre nell’altra. – Essi cercano di distruggere gli altri e non vi riescono che troppo spesso; ma saranno essi stessi distrutti, saranno scacciati dai luoghi ai quali si erano attaccati più tenacemente, le loro dimore, ove si erano stabiliti come se non ne dovessero mai uscire e mai sradicarsi con la loro morte dalla terra dei viventi. (Dug.). – Ogni anno, per un gran numero di uomini, il tempo fugge rapido come il fulmine, ed allora, dopo effimeri successi, c’è lo sterminio assoluto; ed allora dopo una vana affermazione di potenza e di grandezza, arriva lo schiacciamento senza pietà: … l’espulsione e l’esilio in luogo delle superbe dimore; l’annientamento della discendenza in luogo di una numerosa posterità; ecco ciò che Dio riserva ai malvagi, ecco come punisce l’insolenza e l’orgoglio con cui avevano preteso di lottare contro di Lui (Rendu). – Noi dobbiamo dunque avere la nostra radice nella terra dei viventi. La radice è in un luogo nascosto: se ne possono vedere i frutti, non la radice: occorre che le nostre opere procedano dalla carità, ed allora la nostra radice è nella terra dei viventi (S. Agost.). – Ah, io comprendo Signore, che la buona radice è il vostro amore, e che quella dell’empio è il suo criminale attaccamento alle cose della terra. Voi strappate questa radice perversa dalla terra dei viventi, e ricacciate l’empio lontano dal vostro tabernacolo. Cosa diventerò io, Signore, se agite così con me? Come potrò vivere lontano da Voi? Lontano dalla terra dei viventi, e lontano dal tabernacolo dove si impara ad amarvi? Radicatemi, Signore, nel vostro amore, ai piedi del Tabernacolo eucaristico (Mgr. De La Bouil. Symb., p. 279). – Quando i giusti avranno timore? Quando rideranno? Comprendiamo e discerniamo questi due tempi nei quali sia utile temere o ridere. Mentre siamo in questo mondo, non è ancor tempo di ridere, per paura di avere poi da piangere. Coloro dunque che sono i giusti ora e che vivono della fede, vedono questo Doeg e ciò che gli debba accadere, e temono per se stessi la stessa sorte; essi sanno in effetti cosa sono oggi, ma non sanno cosa saranno domani. Ora, dunque « i giusti verranno e temeranno », ma quando rideranno di lui? Quando l’iniquità sarà trascorsa; quando sarà tolta, come è già tolta, in gran parte, questo tempo incerto; quando saranno dissipate le tenebre di questo mondo, in mezzo alle quali noi non camminiamo ora che alla luce delle sante Scritture, ciò che fa che noi temiamo come se fossimo nella notte (S. Agost.).

ff. 7. – Il Profeta non ha detto: ecco quest’uomo che era ricco, ma: « ecco quest’uomo che non ha cercato il suo appoggio in Dio, e che ha messo la sua speranza nella moltitudine delle sue ricchezze ». Non è perché ha posseduto ricchezze, ma perché vi ha riposto le sue speranze, non mettendo le sue speranze in Dio, che egli è condannato, ed è per questo che egli è punito; è per questo che è cacciato dalla sua tenda, non essendo che terra e movimento, come la polvere che il vento alza sopra la superficie della terra; è per questo che la sua radice è divelta dalla terra dei viventi (S. Agost.). – I giusti, così sensibili quaggiù alle calamità dei propri fratelli, così ingegnosi nello scusare le loro colpe, a coprirle con un velo di carità, e ad addolcirle agli occhi degli uomini, quando non possono trovare scuse apparenti; i giusti, spogliati nel giorno del giudizio, sull’esempio del Figlio dell’uomo, di questa indulgenza e di questa misericordia che essi avevano esercitato verso i propri fratelli sulla terra, sibileranno sui peccatori, dice il profeta, l’insulteranno e divenendo essi stessi i suoi giudici, diranno loro beffandoli. « … ecco dunque quest’uomo che non aveva voluto mettere il suo soccorso e la sua fiducia nel Signore, e che aveva amato meglio confidare nella vanità e nella menzogna ». Ecco questo insensato che si credeva il solo saggio sulla terra, che riguardava la vita dei giusti come follia, e che si compiaceva nel favore dei grandi, nella vanità dei titoli e delle dignità, nell’estensione delle terre e dei possedimenti, nella stima e nelle lodi degli uomini, degli appoggi del fango che doveva perire con lui » (Massil., Jug. Univ.).

III. — 8, 9.

ff. 8. – L’olivo sterile, come il fico del Vangelo che non produce nulla, è l’immagine del peccatore. Essi non sono buoni, l’uno e l’altro, che ad essere tagliati e gettati nel fuoco. L’olivo fertile, al contrario, che porta frutto in abbondanza, è l’immagine del giusto che merita un posto nella casa del Signore. Fondamento solido della salvezza eterna, è la speranza nella misericordia di Dio. Quale differenza con la speranza che il peccatore pone nelle sue ricchezze, nella vanità e la menzogna! – « Io ho messo la mia speranza nella misericordia del Signore ». Ma non sarebbe solo per il presente? Perché talvolta gli uomini si ingannano su questo punto. In verità essi adorano Dio; ma benché abbiano confidenza in Dio, non è che in vista della loro prosperità temporale che essi dicono: io adoro il mio Dio che mi renderà ricco sulla terra, che mi darà dei figli, una sposa. Questi beni, in effetti non li dà se non Dio, ma Egli non vuole che Lo si ami a causa di questi medesimi beni. Egli li dà spesso anche ai malvagi, per far comprendere ai buoni di chiedergli ben altri beni. In che senso allora voi dite: « io ho messo la mia speranza nella misericordia di Dio? » … non è per caso onde acquisire dei beni temporali? No, « per l’eternità, e per i secoli dei secoli » (S. Agost.).

ff. 9. – « Io vi glorificherò per sempre, per quanto Voi avete fatto ». È una confessione completa del Nome di Dio con queste parole « per quanto avete fatto ». Cosa avete fatto se non ciò che si sta dicendo, che cioè, grazie a Voi, io sono come un ulivo fertile nella casa del Signore, e che ho messo la mia speranza nella misericordia divina per l’eternità e per i secoli dei secoli? Questo Voi lo avete fatto. Io non mi glorifico per ciò che ho, come se non avessi ricevuto nulla, ma io me ne glorifico in Dio. « Ed io confesserò per sempre che Voi lo avete fatto »; vale a dire, in ragione della vostra misericordia e non in ragione dei miei meriti; perché per me, io cosa ho fatto? Se voi cercate nel passato, io sono stato un bestemmiatore, un persecutore, un calunniatore. E Voi cosa avete fatto? Per Voi io ho attenuto misericordia, perché avevo fatto il male per ignoranza (1 Tim. I, 13). – Il Nome di Dio è Dio stesso, così aspettare il suo santo Nome, è come aspettare la manifestazione di Dio, il momento in cui Egli scoprirà la sua essenza eterna. Noi tutti siamo sulla terra in attesa di questo momento; noi non vediamo il santo Nome di Dio che in enigma e per fede. Quando si rivelerà a noi senza mezzi e senza veli, noi sapremo pienamente ciò che Egli è, e saremo perfettamente felici (Berthier). « Ed io aspetterò il vostro Nome perché è pieno di dolcezza ». Il mondo è pieno di amarezza, ma il vostro Nome è pieno di dolcezza, e se pure nel mondo vi è qualcosa di dolce al gusto, la digestione ne è amara. Il vostro Nome è l’oggetto delle mie preferenze, non solo a causa della sua grandezza, ma a causa ancor più della sua dolcezza. In effetti « gli ingiusti mi hanno raccontato le delizie delle quali godono, ma esse, Signore, non erano dolci come la vostra legge » (Ps. CXVIII, 86). Se in effetti non ci fosse stata qualche dolcezza nelle sofferenze dei martiri, essi non avrebbero sopportato con tanta costanza le amarezze di queste sofferenze, ma non era facile per tutti gli uomini gustare la dolcezza che esse racchiudevano. Il Nome di Dio è dunque – per coloro che amano Dio – di una dolcezza che sorpassa tutte le altre dolcezze, « io attenderò il vostro Nome, perché è pieno di dolcezza ». E a chi dimostrare la dolcezza di questo Nome? Datemi un palato al quale questo Nome sia stato dolce, lodate il miele finché volete, esagerate la sua dolcezza con tutte le espressioni che potete trovare, un uomo che non sa ciò che il miele sia, non comprenderà quel che direte, finché non l’avrà gustato. C’è un altro salmo in cui il Profeta invita particolarmente a sperimentare questa dolcezza e vi dice: « Gustate e vedete come è dolce il Signore » (Ps. XXXIII, 8). Voi rifiutate di gustarlo e dite: Egli è dolce! (S. Agost.).

SALMI BIBLICI: “MISERERE MEI, DEUS, SECUNDUM MAGNUM” (L)

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME PREMIER.

PARIS LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 50

In finem. Psalmus David, cum venit ad eum Nathan propheta, quando intravit ad Bethsabee.

[1] Miserere mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam;

[2] et secundum multitudinem miserationum tuarum, dele iniquitatem meam.

[3] Amplius lava me ab iniquitate mea, et a peccato meo munda me.

[4] Quoniam iniquitatem meam ego cognosco, et peccatum meum contra me est semper.

[5] Tibi soli peccavi, et malum coram te feci; ut justificeris in sermonibus tuis, et vincas cum judicaris.

[6] Ecce enim in iniquitatibus conceptus sum, et in peccatis concepit me mater mea.

[7] Ecce enim veritatem dilexisti; incerta et occulta sapientiæ tuæ manifestasti mihi.

[8] Asperges me hyssopo, et mundabor; lavabis me, et super nivem dealbabor,

[9] Auditui meo dabis gaudium et laetitiam, et exsultabunt ossa humiliata.

[10] Averte faciem tuam a peccatis meis, et omnes iniquitates meas dele.

[11] Cor mundum crea in me, Deus, et spiritum rectum innova in visceribus meis.

[12] Ne projicias me a facie tua, et spiritum sanctum tuum ne auferas a me.

[13] Redde mihi lætitiam salutaris tui, et spiritu principali confirma me.

[14] Docebo iniquos vias tuas, et impii ad te convertentur.

[15] Libera me de sanguinibus, Deus, Deus salutis meæ, et exsultabit lingua mea justitiam tuam.

[16] Domine, labia mea aperies, et os meum annuntiabit laudem tuam.

[17] Quoniam si voluisses sacrificium, dedissem utique; holocaustis non delecta-beris.

[18] Sacrificium Deo spiritus contribulatus; cor contritum et humiliatum, Deus, non despicies.

[19] Benigne fac, Domine, in bona voluntate tua Sion, ut ædificentur muri Jerusalem.

[20] Tunc acceptabis sacrificium justitiæ, oblationes et holocausta; tunc imponent super altare tuum vitulos.

[Vecchio Testamento Secondo la VolgataTradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO L (1)

Salmo di Davide da cantare fino alla fine del mondo, e composto da lui quando Nathan profeta entrò da lui a rimproverarlo del suo adulterio con Bethsabea, e anche dell’omicidio di Uria. Davide chiede a Dio perdono del suo peccato (vedi lib. 2 Reg., c. 12).

Per la fine, salmo di David; quando andò a trovarlo il profeta Nathan, allorché egli si accostò a Bethsabea.

1. Abbi misericordia di me, o Dio, secondo la grande tua misericordia.

2. E secondo le molte operazioni di tua misericordia scancella la mia iniquità.

3. Lavami ancor più dalla mia iniquità, e mondami dal mio peccato:

4. Perocché io conosco la mia iniquità, e il mio peccato mi sta sempre davanti;

5. Contro di te solo peccai, e il male feci dinanzi a te; affinché tu sii giustificato nelle tue parole, e riporti vittoria quando sei chiamato in giudizio.

6. Imperocché ecco che io nelle iniquità fui concepito, e nei peccati mi concepì la madre.

7. Ed ecco che tu hai amato la verità! svelasti a me gl’ignoti e occulti misteri di tua sapienza.

8. Tu mi aspergerai coll’issopo, e sarò mondato; mi laverai, e diverrò bianco più che la neve.

9. Mi farai sentir parola di letizia e di gaudio, e le ossa umiliate tripudieranno.

10. Rivolgi la tua faccia dai miei peccati, e cancella le mie iniquità.

11. In me crea, o Dio, un cuor mondo, lo spirito retto rinnovella nelle mie viscere.

12. Non rigettarmi della tua faccia, e non togliere da me il tuo santo spirito.

13. Rendimi la letizia del tuo Salvatore per mezzo del benefico Spirito tu mi conforta.

14. Insegnerò le tue vie agli iniqui, e gli empi a te si convertiranno.

15. Liberami dal reato del sangue, o Dio, Dio di mia salute, e la mia lingua canterà con gaudio la tua giustizia.

16. Signore, tu aprirai le mie labbra, e la mia bocca annunzierà le tue lodi.

17. Imperocché, se un sacrifizio tu avessi voluto, lo avrei offerto; tu non ti compiacerai degli olocausti.

18. Sacrifizio a Dio lo spirito addolorato; il cuore contrito e umiliato nol disprezzerai o Dio.

19. Colla buona volontà tua sii benefico, o Signore, verso Sionne, affinché stabilite sieno le mura di Gerusalemme.

20. Tu accetterai allora il sacrifizio di giustizia, le oblazioni o gli olocausti; allora porranno dei vitelli sul tuo altare. (1)

(1) Ci sono degli autori che pensano che i versetti 19 e 20 siano stati aggiunti durante la cattività.

Sommario analitico

In questo Salmo, di cui il titolo ne spiega sufficientemente l’occasione ed il soggetto, Davide, pentito del suo peccato (due anni dopo), fa tre cose:

I. – Adduce diverse ragioni per piegare Dio affinché gli ottenga il suo perdono:

– 1° la misericordia infinita di Dio e gli affetti multipli della sua misericordia (1, 3);

– 2° la conoscenza che egli ha del suo peccato ed il ricordo che ne conserva (4);

– 3° egli ha peccato sotto gli occhi di Dio solo, poiché Dio solo poteva dargli delle leggi, e Dio solo poteva punirlo con giustizia (5); – 4° il peccato originale e l’inclinazione al male che ha lasciato in noi (6); – 5° la semplicità e le verità del suo cuore, dove risiedono, volendo, la promessa che Dio gli ha fatto di perdonarlo, ed i doni profetici dei quali lo ha ricolmato (7).

II. – Egli descrive le giustificazione del peccatore ed i suoi numerosi effetti: domanda a Dio: – 1° di purificarlo con l’infusione della grazia santificante. Due sono gli effetti di questa infusione di grazia: egli sarà purificato, e diventerà più bianco della neve (8); – 2° di rendergli la gioia per cui la remissione dei peccati si espanda nell’anima (9); – 3° di dimenticare completamente le sue colpe e cancellarle completamente (10); – 4° di creare in lui un cuore puro ed uno spirito retto (11); – 6° di raffermarsi nella perseveranza (12, 13).

III. – Davide, per testimoniare la sua riconoscenza a Dio, promette: – 1° nei riguardi del prossimo, di insegnargli le vie di Dio (14); – 2° nei riguardi di Dio, di celebrarlo e di lodarne l’indulgere della sua giustizia (15, 16). – 3° nei riguardi di se stesso, di allontanare il suo cuore dal peccato, a) immolando a Dio un cuore contrito ed umiliato (17, 18); b)edificando in lui l’edificio delle virtù (10), c) offrendoGli, in questo tempio e su questo altare interiore, la vittime della pietà (20).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 6.

ff. 1 – Davide, uscendo alfine dal sonno letargico in cui il suo duplice crimine lo aveva sprofondato, vede sulla terra il sangue di Uria che grida vendetta contro di lui; in mezzo al suo palazzo, davanti al profeta Natan, che viene per fargli sentire le minacce della giustizia divina, egli ascolta i mormorii dei grandi della sua corte, il riso ed il sarcasmo dei pagani; nel cielo percepisce la mano vendicativa di Dio, pronta ad appesantirsi su di lui; oh! Allora, egli non si sogna di richiamare il ricordo delle sue passate virtù, non cerca di difendersi con lo splendore e la maestà della porpora, egli si getta nel seno paterno di Dio ed implora la sua misericordia. – Il colpevole, condotto davanti al suo Giudice sovrano, considera che questo Giudice non possa essere ingannato, perché Egli è la saggezza stessa, che non si possa vincere, perché Egli è onnipotente; che non si possa sfuggire al suo tribunale, perché Egli è dappertutto. Nessuna scusante, nessuna difesa possibile, non ci sono speranze che nella misericordia …io non oso dirvi: Mio Dio, perché peccando io Vi ho perduto; seguendo il vostro nemico, io mi sono allontanato da Voi, amando il male, io mi sono allontanato dal bene. Coloro che sono puri, che sono buoni, che sono veramente figli vostri e vostri eredi, vi chiamino “mio Dio”; ma io, coperto di sozzura, io che ho abbandonato mio Padre, che mi sono venduto al suo nemico, che mi sono smarrito nelle regioni lontane dove ho dissipato tutta la mia eredità, dandomi al mondo, alle mie passioni, tutto ciò che Dio voleva avere, io non oso chiamarvi “mio Dio”, io non oso chiamarvi “mio Padre”, io non posso che dirvi: o Dio, abbiate pietà di me, trattatemi come uno dei vostri mercenari, perché io non sono degno di essere chiamato vostro figlio (Hug. De Saint Victor). – Colui che invoca una grande misericordia, confessa una grande miseria. Questi vi chiedono soltanto un po’ della vostra misericordia, perché hanno peccato senza saperlo; ma di me, abbiate pietà secondo la vostra grande misericordia. Trattate con tutta la potenza dei vostri rimedi, la gravità delle mie ferite. Le mie ferite sono gravi, ma io mi rifugio presso l’Onnipotente. Io dispererei della guarigione di una simile malattia, se non ricorressi ad una simile medicina (S. Agost.). – Dio è un oceano infinito di misericordia. La vostra iniquità ha dei limiti, la clemenza, la bontà di Dio non ha limiti; la vostra malizia, qual essa sia, è una malizia umana, la clemenza di Dio è una clemenza divina che non può essere circoscritta da alcun limite. – La misericordia di Dio è grande. 1° perché essa viene da Dio ed è di causa efficiente, l’amore immenso che Egli ha per noi; 2° perché essa ci è data dal suo Figlio unico Gesù-Cristo; 3° perché essa viene in soccorso della più grande miseria.; 4° perché essa è per noi la più grande sorgente dell’abbondanza delle grazie; 5° perché essa si estende agli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi; 6° perché essa ha come fine il condurci al cielo e metterci in possesso della magnifica eredità dei cieli. Il peccato è scritto in tre libri: la coscienza del peccatore, nel ricordo dei demoni, nella memoria di Dio, che vede tutto e punisce ogni iniquità a suo tempo. Dio cancella il peccato da questi tre libri del ricordo. « Io stesso – dice – Io stesso cancellerò le iniquità; a causa mia, Io voglio dimenticare i tuoi crimini » (Is. XLIII, 25). – Dio cancella il peccato: dalla sua memoria nel senso che non lo punirà mai; dal ricordo del demonio che mai potrà farne oggetto delle sue accuse; dalla coscienza del peccatore, che il ricordo dei peccati rimessi non potrà più contristare.

ff. 2. – Dopo che il peccato sia stato rimesso, non bisogna credere che non ne resti alcun residuo, e che possiamo trascorrere la nostra vita in assoluta sicurezza. La grazia della penitenza ci ha sottratto alla morte eterna, ma siamo ancora abbattuti da mortali e perniciosi languori; ci resta infatti una grande disposizione al male, ed una debolezza ancora più grande verso il bene, come succede ad un malato che viene fuori da lunga e violenta malattia. Così chiediamo a Dio di guarire tutte le piaghe le une dopo l’altra, al fine di meglio avvertire la miseria dalla quale ci libera, e la grazia con la quale ci salva. (Bossuet; Duguet.). Ma si dirà, un peccato è perdonato o non; il perdono è un atto istantaneo, poco importa se gratuito o condizionale, e domandare perdono per ciò che è stato già perdonato, è avvicinarsi a Dio con parola senza significato. Ma Davide dà voce al dolore. « Amplius lava me », « purificatemi ancor più, o mio Dio! ». E la Chiesa universale ha adottato il suo « miserere »: incessantemente in ginocchio, da un capo all’altro del mondo, Essa ripete e grida: « Amplius lava me ». O come l’anima sospira dopo questo « amplius lava me ». I teologi ci dicono che le fiamme del Purgatorio, nell’esecuzione del loro ufficio, nello stesso tempo dolce e crudele, non cauterizzano nell’anima le cicatrici del peccato, perché veramente queste cicatrici non esistono più; il sangue prezioso le ha fatte sparire coprendole con il suo perdono; e nonostante queste fiamme brucino sempre. È lo stesso per le fiamme di questo « amplius » che consumano l’anima; è una cosa che si avverte più che spiegarsi, si ama, ma non saprebbe definirsi (Faber, progès de l’âme, cap. XIX).

ff. 3. – La conoscenza del peccato, è condizione necessaria per ottenerne il perdono. « Quali sono i miei crimini e le mie iniquità? Mostratemi i miei peccati e le mie colpe » (Giob. XIII, 23). – La misericordia di Dio è nel perdonare al peccatore; la sua giustizia, nel punire il peccato. Che dunque? Voi chiedete misericordia, il vostro peccato resterà impunito? Che risponda Davide, che rispondano coloro che sono caduti, che rispondano tutti con Davide, alfine di meritare la misericordia con Davide, ed essi dicano: no, Signore, il mio peccato non sarà impunito, ma io desidero che voi non mi puniate affatto, perché io stesso punisco il mio peccato. Io chiedo che voi mi rimettiate la colpa, perché io la riconosco. (S. Agost.). – Alla fine impariamo che questa conoscenza, questa confessione del proprio peccato, ben lungi dall’attirarci da parte di Dio un giudizio di condanna, previene al contrario tutti i giudizi che noi avremmo da temere per timore della sua giustizia, e ce ne preserva. Davide non si serviva di alcun altro motivo per chiedere a Dio di purificarlo da tutte le macchie di peccato e ricondurlo nel suo favore, se non il dirgli: « Voi vedete, Signore, che io riconosco la mia iniquità » … Quale conseguenza! Essa è giustissima, risponde S. Crisostomo; e Davide, parlando in tal modo, era perfettamente istruito delle intenzioni di Dio e delle sue vedute tutte misericordiose; perché è come se dicesse: … è vero, Signore, che questa confessione che io ho fatto dell’offesa commessa è una riparazione molto lieve; ma poiché Voi la gradite e ve ne contentate, io oso offrirvela, e spero di riconciliarmi con Voi (Bourd. sur la confess.). – « … e il mio peccato è sempre davanti a me ». Mi è sempre presente per rinfacciarmi sempre sia la mia indegnità, sia la vostra bontà: la mia indegnità per averlo commesso, e la vostra bontà che me lo ha rimesso. Esso mi è sempre presente, per ispirarmi sempre lo zelo ed un coraggio nuovo, sia nelle avversità della vita, sia nelle pratiche di penitenza. Che mi giunga per vostro ordine, o che lo imponga da me stesso, il mio peccato o il perdono del mio peccato sarà sempre un motivo pressante che mi risveglierà, mi ecciterà, mi incoraggerà ad intraprendere tutto per voi, a sacrificarmi, e al bisogno, ad immolarmi per Voi. (Bourd., Conv. De Magd.). – Il primo passo del penitente è quello di riconoscere i propri peccati; il secondo è farne la confessione, il terzo è di sollecitarne il perdono; il quarto è l’espiazione per la soddisfazione conveniente; il quinto è di non perderne il ricordo (Berthier).

ff. 4. « Davanti a voi solo ho peccato »! Che cos’è questo? Non era cosa evidente agli uomini una donna macchiata da adulterio e suo marito messo a morte? (II Re XI, 4, 15). E non sapevano tutti ciò che Davide aveva fatto? Cosa dunque significano queste parole? « Davanti a Voi solo ho peccato ». Solo Voi siete senza peccato. Giustamente punisce colui che non ha in sé nulla di reprensibile (S. Agost.). – L’uomo non pecca contro l’uomo, perché anche egli è gravato di una colpa uguale o più grande. Dio solo punisce i peccati con giustizia, perché Egli è il solo in cui non si possa trovare colpa soggetta al castigo. Per questo dunque, Dio solo può dunque risparmiare il peccatore, Egli solo può giudicare con giustizia, ed è Lui solo che colpisce colui che pecca (S. Greg.). – Contro Dio solo Davide ha peccato: sebbene abbia fatto un’ingiuria atroce ad Uria ed a Bethsabea, questo non è nulla nei confronti dell’oltraggio fatto a Dio. – Quante volte commettiamo contro Dio ed i suoi Santi colpe che gli uomini non vedono, che non sospettano neppure, e che non hanno altri testimoni che Dio e la coscienza? Peccati di orgoglio e di vano compiacimento, colpe di ambiziosi o cupidi desideri, colpe di voluttuosi pensieri, colpe di distrazioni volontarie, peccati di invidia contro il prossimo, colpe di giudizio temerario, di scoraggiamento, di impazienza e di mormorazioni. C’è di che umiliarci e spiegare tutte le severità di Dio nei nostri confronti! (Rendu). – Noi abbiamo peccato contro Dio, è là e non altrove che occorre andare a cercare la causa dei nostri mali. È là l’inizio triste di tutte le nostre colpe, e di conseguenza il punto di inizio di tutti i nostri malanni. Noi abbiamo da tempo ribaltato un primo trono, quello di Dio; abbiamo negato la prima sovranità, la sovranità divina. Tutti noi siamo stati colpevoli: i grandi hanno cospirato contro i piccoli, ed i piccoli contro i grandi; il potere ed il sapere hanno ugualmente dato una mano alla ribellione. Lo stendardo dell’indipendenza è stato issato innanzitutto contro Dio; ed in verità, tutti gli altri nostri torti impallidiscono in confronto a questo primo attentato: « … contro Dio solo noi abbiamo peccato » (Mgr. Pie, Disc. et inst. past. I, 128). – Cosa vuol dire « In modo che siate giustificato nelle vostre parole, etc. ». io ho peccato davanti a voi solo, ed ho fatto il male contro di Voi, di modo che siate riconosciuto giusto nei vostri discorsi, nei rimproveri che mi avete indirizzato con Nathan, e che, se sorgesse un dibattito tra noi due, ed io volessi negare questo crimine di cui mi avete accusato, voi trionfereste e la causa si rivolgerebbe contro di me (Bellarm.). – Or bene Davide vede che il giudice da venire deve subire egli stesso un giudizio; egli vede che il giusto deve essere giudicato dai peccatori, e lo vede vincitore in questo giudizio, perché egli non ha niente in Lui che possa essere oggetto di giudizio; perché l’Uomo-Dio è il solo tra gli uomini che abbia potuto dire con verità: « Se voi trovate un peccato in me, ditelo » (S. Agost.).

ff. 5. – Davide si dice concepito nell’iniquità, perché l’iniquità dell’uomo discende da Adamo. Questo legame, anche della morte che ci avvolge, è strettamente unito al peccato. Nessuno quaggiù viene al mondo senza portare con sé il castigo, portando cioè la colpa che meriti il castigo … Se dunque gli uomini sono concepiti nell’iniquità, e se nel seno della loro madre sono nutriti col peccato, non perché l’atto del matrimonio sia un peccato, ma perché questa opera non si fa che in una carne che porta il castigo del peccato. In effetti, la morte è il castigo della carne, è questa mortalità è sempre in essa. Come dunque ciò che deve la sua concezione ed il suo germe ad un corpo morto per il peccato, potrebbe nascere esente dai legami col peccato? (S. Agost.).

ff. 6. – Voi avete amato la verità, cioè non avete lasciato impunito il peccato di quegli stessi ai quali avete perdonato. Voi avete « amato la verità », avete accordato alla misericordia tutte le sue prerogative, riservando alla verità tutti i suoi diritti. Voi perdonate a coloro che confessano i propri peccati, Voi perdonate, ma a coloro che si puniscono da se stessi. È così che conservate misericordia e verità: la misericordia, perché l’uomo è liberato, la verità perché il peccato è punito (S. Agost.). – Davide si riconosce molto meno scusabile a causa della bontà con la quale Dio si era degnato di scoprirgli tutti i segreti della saggezza che nascondeva agli altri. – Nessuna scienza, nessun dono soprannaturale, nessuna santità è al riparo da pericoli mentre l’uomo vive sulla terra: ecco un profeta, un uomo illuminato dalle luci più pure della Religione, che erra in modo sì deplorevole. Dio solo è verità, e solo Egli è inaccessibile all’errore; coloro ai quali Egli confida i suoi segreti devono restare pertanto sempre in guardia, perché onorati da grazie più particolari (Berthier).

II. — 7-12.

ff. 7. – Noi abbiamo bisogno di essere purificati, non con l’issopo, di cui si serviva Mosè per aspergere il popolo, ma con il sangue che esso figurava. Il sangue del divino Mediatore che ci purifica da ogni peccato, dice S. Giovanni (I Giov. I, 7), dà alla nostra anima un biancore più intenso di quello della neve. – « Se il sangue dei capri e dei tori e l’aspersione dell’acqua mescolata alla cenere di una giovenca, santificano coloro che sono stati lordati e purificano la loro carne, quanto più il Sangue di Gesù-Cristo, che per mezzo dello Spirito Santo si è offerto Egli stesso come vittima senza macchia, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per farci rendere un vero culto al Dio vivente? » (Hebr. IX, 13). – In effetti, lo splendore ed il chiarore della neve ci richiamano la purezza dell’anima. « Quando anche le vostre iniquità, dice il Signore per bocca del Profeta, vi avessero reso scarlatti come la porpora, voi potete ancora diventare bianchi come la neve » (Is. I, 18). Ed è nello stesso senso che Davide rivolge a Dio questa preghiera. – Se, in una bella giornata invernale, i nostri occhi si posano su un’immensa pianura coperta di neve, questo bello spettacolo ci colpisce e ci commuove. La natura – è vero – è spoglia delle foglie e dei fiori, ma l’eclatante biancore che la ricopre, ci sembra un simbolo pieno di fascino, il simbolo della purezza: eleviamo le nostre anime a Dio, e domandiamoGli per questo, il bagliore senza macchia che Egli dà alla neve (Mgr. De la Bouillerie, Symbol. I, 141).

ff. 8. – L’effetto ed il segno di una perfetta giustificazione, si ha quando lo Spirito rende testimonianza al nostro spirito che noi siamo i figli di Dio. Quando mi avrete completamente purificato, dice il Profeta, aggiungerete a questi benefici l’avvertirmi di questa grazia resa, con la dolce impressione della grazia interiore, gioia che sarà come un messaggio di felicità di cui la mia anima sentirà la voce; allora il mio spirito, distrutto e annientato dallo spirito di timore, riprendendo il suo coraggio, si riempirà di gioia (Bellarm.).

ff. 9. – Allontanate la vostra faccia, non da me, ma dai miei peccati. Egli dice in effetti, in un altro Salmo: « Non allontanate il vostro volto da me » (Ps. XXVI, 9). Egli non vuole che Dio allontani il suo volto da lui, ma che Dio lo allontani dai suoi peccati; perché Dio distingue i peccati dai quali non allontana il suo volto, e quelli che Egli nota, li punisce (S. Agost.). – Allontanate i vostri occhi dai miei peccati, per rivolgerli sul Figlio vostro, sulla sua croce, sul suo sangue; « o Dio, nostro protettore, guardate e ponete i vostri occhi sulla faccia del vostro Cristo » (Ps. LXXXIII).

ff. 10. – La giustificazione dell’uomo è una vera creazione, perché essa è in effetti pura misericordia di Dio e non c’è nulla nell’uomo che possa servire come materia o come fondamento di questa formazione, e così, senza la grazia del Redentore, il peccatore non ha più potenza per darsi un cuore nuovo di cui l’uomo non possa darsene l’essere. – Passare dal peccato alla grazia, è come passare dallo stato dell’uomo vecchio allo stato dell’uomo nuovo: si opera nell’anima un cambiamento che è opera dell’onnipotenza di Dio. Quando il profeta Ezechiele annuncia la riconciliazione di Dio con il suo popolo, egli ha l’ardire di annunziare che gli sarà dato un cuore nuovo, che uno spirito nuovo sarà stabilito nel suo interno, e che allora egli sarà fedele alla legge del Signore. San Paolo dice che per il sangue di Gesù-Cristo noi siamo state costituite nuove creature; che noi dobbiamo essere rivestiti dall’uomo nuovo. Infine tutto il Nuovo Testamento, figurato dall’Antico, non ci parla che di rinnovamento, sia per questa vita mortale che per la vita futura; perché è scritto anche che noi dobbiamo attendere dei nuovi cieli, una nuova terra, una Gerusalemme nuova. Un Cristiano fedele alla sua vocazione è dunque un uomo nuovo nei suoi sentimenti, nella sua condotta, nel suo linguaggio (Berthier). L’amore abituale che domina in me e che è il mio cuore, non tale come Dio lo ha fatto, ma come l’ho fatto da me stesso, buono o cattivo, virtuoso o vizioso, è un peso che inclina e determina l’elezione ed il giudizio secondo il quale la mia persona si dirige da se stessa, e si sente vivente nei suoi rapporti interiori con se stessa ed esterni con il mondo. Io posso – è vero – prendere per una volta un’altra direzione ed imprimere alla mia vita un movimento diverso, opposto anche, e questo sia portandomi a produrre qualche atto isolato al di fuori di questo amore abituale e dominante del mio cuore, sia formando al posto di questo amore un altro amore che, anch’esso diventerà abituale o dominante quando avrà scacciato il primo, o almeno l’avrà ridotto in cattività, ma in questi atti ed in questi cambiamenti, è un altro amore che è il vincitore dell’amore, e questo non distrugge la verità morale di questo adagio: « che l’uomo agisce secondo il suo cuore », vale a dire secondo l’amore che domina in lui. Quando c’è un profitto del bene contro il male che questa vittoria, sia parziale che totale, debba essere riportata, non è se non con il soccorso della grazia che ciò sia possibile, perché è una sorta di creazione questa sostituzione di un amore ad un altro amore. Ma, fragile creatura, io non posso creare nulla; bisogna dunque che Dio mi dia questo amore, e perché Egli me lo dia, bisogna che io non cessi di gridare verso di Lui con il salmista: « Signore, create in me un cuore puro, un cuore nuovo, un cuore buono ». O mio Dio, felice è colui che porta un cuore nuovo, un cuore santo, forte e vittorioso sul male. Che bella è la vita che scaturisce da tale fonte! Essa esprime bene le beltà, le armonie della vita di Dio, che è il suo tipo eterno! (Mgr. Baudry, Le Coeur de Jésus, p. 115). – Davide comincia col domandare un cuore puro, perché è il cuore puro che rende lo spirito retto nei suoi pensieri, nei suoi affetti. Uno spirito retto, è un affetto retto che non è altro che carità. Le vie ella lussuria sono sempre tortuose; il cammino della virtù, al contrario, è un piccolo sentiero ed una via stretta e serrata, e nello stesso tempo estremamente retta. (Is. XXVI, 7).

ff. 11. – Davide chiede qui la perseveranza, che è un dono speciale della misericordia divina. Dio non rigetta, non abbandona mai l’uomo giusto; non gli toglie mai il suo Spirito Santo, a meno che quest’uomo non cominci ad allontanarsi dalla giustizia. Egli è il padrone dei nostri giorni e può toglierci da questo mondo, nel momento in cui cesseremo di obbedire alla sua voce; Egli può fissare il termine della nostra vita nell’istante in cui saremmo in sua disgrazia, e sarebbe per noi come togliere per sempre il suo Santo Spirito e rigettarci dalla sua presenza (Berthier).

ff. 12. – Questa gioia interiore è il frutto di una buona coscienza, essa fa sopportare con costanza tutti i mali di questa vita, ed è pegno di salvezza. – Questo Spirito principale non può che essere lo Spirito di Dio; tutti gli altri spiriti che gli uomini consultano, sono gli spiriti subalterni che non dovrebbero che obbedire allo Spirito principale. Che cos’è lo spirito di politica, se è abbandonato a se stesso? Spesso uno spirito di inganno, di finezze insidiose, di artifici segreti ed oscuri; esso è incapace di fare la felicità dell’uomo ed è capace invece di renderlo maledetto. Che cos’è lo spirito di scienza, separato dalle vedute di Dio e dagli interessi della sua gloria? Uno spirito di vanità, di presunzione, di errore e di ostinazione; esso fa il tormento di colui che lo possiede e trae in inganno coloro che vi ripongono la loro fiducia. Che cos’è lo spirito di società che si vanta d’essere sì forte, e che non si dà pena di legare così poco con i principi della religione? Uno spirito di adulazione, di false compiacenze, di frivolezze e di menzogne; abusa del tempo senza rimediare alla noia, e riunisce gli uomini senza ispirare loro la carità. Che cos’è lo spirito del corpo quando non ha come obiettivo il servizio di Dio e la salvezza del prossimo? Un entusiasmo impetuoso, un tessuto di pregiudizi, una fonte di ingiustizie: intraprende senza ragione, esegue senza moderazione. Percorrete tutti gli spiriti che regnano nel mondo, ma non troverete che abusi, piccolezze, tenebre, seduzione. Lo Spirito principale, che è lo Spirito di Dio, non inganna mai, ed ispira tutto ciò che è compreso nella parola di cui si serve il Salmista, la liberalità, l’ingenuità, la grandezza d’animo, la buona volontà, la forza per intraprendere ed eseguire (Berthier).

III. — 13-18.

ff. 13. – Il pilota più abile è colui che dirige il suo naviglio in mezzo ad un mare pieno di scogli. Il dottore perfetto è quello che sa convincere gli spiriti più ottusi e far loro comprendere le lezioni di verità. Il generale veramente ammirevole è quello che infiamma di ardore nel combattimento i soldati più timidi. Il Re-Profeta si dimostra egualmente qui un maestro dei più sperimentati e di maggior zelo. Egli non dice: io insegnerò ai giusti, perché i giusti conoscono la via del Signore; ma io insegnerò agli empi, ai peccatori, sull’esempio del divino Maestro della Saggezza, del celeste Medico delle anime nostre, che ha detto: « … Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori » (Matt. IX, 13), (S. Ambr. Apol. David). – Coloro che Dio chiama tra gli altri, li ha tirati via dal peccato, per poter meglio annunziare la remissione dei peccati. Era questo il suo disegno, quello di chiamare alla fiducia le anime che il peccato aveva abbattuto. E chi erano coloro che potevano predicare con più frutto la misericordia divina, se non coloro che ne erano stati essi stessi esempio illustre? Chi altri poteva dire con più effetto: « È un discorso fedele che Gesù è venuto a salvare i peccatori », ed un San Paolo poteva poi aggiungere: « di chi io sono il primo »? non è di sé che egli parlava quando ebbe a dire al peccatore che desiderava attirare: non temere, io conosco la mano del medico al quale ti indirizzo; è Lui che mi invia a te per dirti come mi ha guarito, con quale facilità, con quali carezze e felicità (Bossuet, Nat. De la S.te V.). – Il dovere di un’anima veramente penitente, è veramente quello di essere sensibile alla rovina spirituale di tanti peccatori che ha precipitato nel crimine, è il ricondurre sulla via della salvezza coloro i quali ha condotto sulla via dell’iniquità. Signore – esclama David – io ho scandalizzato il vostro popolo, ma la mia consolazione è che questo scandalo non sia senza rimedio; il mio esempio lo distruggerà, e riprendendo le vostre strade, io le insegnerò a coloro che ho allontanato, e la mia penitenza sarà una lezione per essi: quando essi mi vedranno tornare a Voi, impareranno a ritornarvi da se stessi. (Bourd. Convers. De Magd.). – Davide è modello di tutti coloro che annunziano la parola di Dio, affinché lo facciano utilmente. Egli insegna loro come e a chi devono proporsi nel parlare: – 1° « Io insegnerò »; non lusingherò le orecchie delicate, ma le istruirò in modo da fare loro intendere. – 2° Annunciare la parola di Dio ai poveri: così come pure ai ricchi, ai piccoli e ai grandi, agli ignoranti ed ai sapienti, perché tutti sono peccatori. – 3° Non insegnerò loro delle curiosità profane, neanche le verità sublimi della teologia, ma le vie di Dio, le vie per le quali Dio viene a noi, le vie per le quali noi dobbiamo andare a Lui. – 4° Non si deve predicare né per interesse, né per attirare la stima degli uomini, ma affinché i peccatori si convertano a Dio.

ff. 14. – Dallo zelo per la salvezza delle anime, David si eleva fino a Dio. Gli sembrava di avere continuamente presente all’orecchio del suo cuore la voce del sangue di Uria che, come quello di Abele, gridava potentemente davanti a Dio contro di lui, e gli rimproverava continuamente la sua crudeltà. Egli chiede a Dio di togliere dai suoi occhi questo sangue importuno la cui voce muta, ma intellegibile, domanda vendetta contro colui che l’ha sparso, di liberarlo da questo terribile accusatore che non gli da tregua, e lo cita continuamente davanti al suo tribunale, per rispondere alla sua accusa (Dug.). – Nessun c’è alcun peccatore al quale non convenga questa preghiera, perché non c’è alcuno che non sia stato soggetto di scandalo per il prossimo, che non sia stato causa, per coloro con i quali abbia vissuto o frequentato, di un allontanarsi dalle vie della giustizia. Quante imprudenze, negligenze, cattivi consigli, discorsi perniciosi, connivenze, hanno causato la caduta dei nostri fratelli, dei nostri amici, dei nostri eguali, dei nostri inferiori! Ci sono tante azioni cruente che, nel giudizio di Dio, gridano vendetta contro i colpevoli. (Berthier).

ff. 15. –  Davide aveva detto nel versetto precedente: « … e la mia lingua annunzierà la vostra giustizia con cantici di gioia ». Egli riconosce qui la sua impotenza e la sua indegnità, a meno che Dio non venga Egli stesso ad aprirgli la bocca; perché come chiude la bocca al peccatore, l’apre ai giusti, ed è segno questo che Dio giustifica questo peccatore quando gli apre le labbra perché annunzi la gloria dell’Autore della sua giustificazione (Duguet). – « … Signore voi aprite le mie labbra, e la mia bocca annunzierà la vostra lode »; lode, perché io sono stato creato; la vostra lode perché, benché peccatore, non sono stato abbandonato da Voi; la vostra lode, perché sono stato purificato per ritrovare la mia sicurezza (S. Agost.).

ff. 16-19. – Dopo la salvezza del prossimo e le lodi di Dio, David viene all’immolazione di se stesso. Egli esce dal miserabile stato del peccato ed immola a Dio un cuore contrito ed umiliato, offre un sacrificio di giustizia nello stato di virtù e di perfezione. Dio è spirito, ed è in spirito e verità che bisogna adorarlo, ed Egli ha diritto ad esigere un culto interiore e spirituale. – « Gli olocausti non Vi sarebbero graditi ». Non offriremo dunque nulla? Verremo a Dio a mani vuote? E come Lo ricompenseremo? Fate dunque la vostra offerta: avete in voi qualcosa da offrire? Non fate provvigione di incenso, ma dite: « in me, mio Dio, sono i voti che Vi renderò come lode », (Ps. LV, 12). – Non andate a cercare fuori da voi una vittima da immolare; questa vittima, voi la troverete in voi stesso. «Uno spirito afflitto dal pentimento è un sacrificio gradito a Dio. Dio non disprezza un cuore contrito ed umiliato » (S. Agost.). – Dio non può disprezzare questo sacrificio di un cuore penitente, poiché è Lui che lo forma, ed è per il sacrificio di un cuore lacerato dal dolore, che sente la sua povertà che si annienta davanti a Dio, che si riparano le rovine che producono l’amore del piacere, delle ricchezze e gli onori. – Non è sufficiente aver ridotto i vizi in polvere in un cuore contrito ed umiliato: bisogna edificare la città delle virtù, le mura di Gerusalemme che Dio ha scelto per farne dimora e costruire il suo tempio santo, le mura della Chiesa di cui Gerusalemme era figura, le mura dell’anima santa. Occorre ristabilire le rovine della città santa, cioè rinnovare la propria anima nell’amore di Dio ed offrirvi il sacrificio di tutto ciò che si ha di più caro. – Per il rinnovo di questo tempio, ci sono tre cose da fare: innanzitutto non solo abbattere tutti gli idoli, ma abolire tutti i residui del culto profano; bisogna secondariamente santificarlo e farne la dedica con qualche cerimonia misteriosa, con la quale consacrarlo ad un uso migliore; infine bisogna sostenere con cura le sue fondamenta vacillanti, e visitarle spesso per farvi le necessarie riparazioni, affinché i misteri di Dio vi si celebrino con decenza e con religiosa riverenza (Bossuet, III Serm. s. le jour de Pàq.). – Elevate le mura, bisogna andare al tempio ad offrire il sacrificio di giustizia. Questo sacrificio di giustizia è un atto di virtù; è ancora il sacrificio cruento della Croce, che è stato un vero Sacrificio di giustizia: a causa della giustizia del Sacerdote (Hebr. VII, 26); a causa del valore infinito della vittima, Dio ed uomo insieme; a causa del fine di questo Sacrificio, che è stato quello di giustificarci dopo averci liberato da tutti i nostri peccati. Il Sacrificio della Croce comprendeva nel suo valore infinito tutte le oblazioni, tutti gli olocausti dei sacrifici antichi; è infine il Sacrificio dell’Eucaristia, che è anche un Sacrificio di giustizia, perché Gesù-Cristo, Sacerdote e vittima di questo Sacrificio, è la fonte di ogni giustizia e di ogni santità; perché noi possiamo rendere a Dio delle azioni di grazie eguali ai benefici che noi abbiamo ricevuto da Lui; perché non ammette che i giusti provati dalla penitenza prima di partecipare a questo Sacrificio; perché Egli dà, benché secondariamente, la giustizia e la grazia.

LA GRAZIA (Note di Teologia Ascetica) -5-

LA GRAZIA (5)

(Note di teologia ascetica)

NATURA DELLA VITA CRISTIANA (2)

[A. Tanquerey: Compendio di Teologia ascetica a mistica – Desclée e Ci. Roma-Tournai – Parigi; 1948]

§ III. Della parte della SS. Vergine, dei Santi e degli Angeli nella vita cristiana.

154. Non vi è certamente che un Dio solo e un solo Mediatore necessario, Gesù Cristo : « Unus enim Deus, unus et mediator Dei et hominum homo Christus Jesus » (1 Tim. II, 5). Ma piacque alla Sapienza e alla Bontà divina di darci dei protettori, degli intercessori e dei modelli che siano o che almeno sembrino più vicini a noi; e sono i Santi, i quali, avendo ricopiato in se stessi le perfezioni divine e le virtù di Nostro Signore, fanno parte del suo Corpo mistico e si danno pensiero di noi che siamo loro fratelli. Onorandoli, onoriamo in loro Dio stesso e un riflesso delle sue perfezioni; invocandoli, a Dio in ultima analisi vanno le nostre invocazioni, perché chiediamo ai Santi di essere nostri intercessori presso Dio; imitandone le virtù, imitiamo Gesù, perché essi non furono Santi se non in quella misura che imitarono le virtù del divino modello. Questa devozione ai Santi non solo non nuoce al culto di Dio e del Verbo Incarnato, ma anzi lo conferma e lo compie. Ora poiché tra i Santi la Madre di Gesù occupa un posto a parte, esporremo prima l’ufficio suo e poi quello dei Santi e degli Angeli.

I . Dell’ufficio di Maria nella vita cristiana.

155. 1° Fondamento di quest’ufficio.

Quest’ufficio dipende dalla sua stretta unione con Gesù o in altri termini dal domma della divina maternità, che ha per corollario la sua dignità e l’ufficio suo di Madre degli uomini.

A) Nel giorno dell’Incarnazione Maria divenne Madre di Gesù, Madre di un Figlio-Dio, Madre di Dio. Ora, se teniamo conto del dialogo tra l’Angelo e la Vergine, Maria è Madre di Gesù non solo in quanto è persona privata, ma anche in quanto è Salvatore e Redentore. “L’Angelo non parla soltanto delle grandezze personali di Gesù; ma del Salvatore, dell’atteso Messia, dell’eterno Re dell’umanità rigenerata viene proposto a Maria di diventar Madre… Tutta l’opera redentrice è sospesa al Fiat di Maria e Maria ne ha piena coscienza. Sa ciò che Dio le propone e a ciò che Dio le domanda acconsente senza condizioni né restrizioni; il suo Fiat risponde all’ampiezza delle proposte divine e s’estende a tutta l’opera redentrice” (Beinvel). Maria è dunque la Madre del Redentore, e, come tale, associata all’opera sua redentrice; nell’ordine della riparazione tiene il posto che tenne Eva nell’ordine della nostra spirituale rovina, come con S. Ireneo e i Padri fanno rilevare. Quale Madre di Gesù, Maria avrà le più intime relazioni con le tre divine Persone : sarà la Figlia prediletta del Padre, la sua associata nell’opera dell’Incarnazione; la Madre del Figlio, con diritto al suo rispetto, al suo amore, e anche, sulla terra, alla sua obbedienza, e che, per la parte che prenderà ai suoi misteri, parte secondaria ma reale, ne diviene collaboratrice nell’opera della salvezza degli uomini e della loro santificazione; il tempio vivo, il santuario privilegiato dello Spirito Santo e, in senso analogico, la Sposa, in quanto che con Lui e dipendentemente da lui Lavorerà a partorire anime a Dio.

156. B) Nel giorno dell’Incarnazione Maria divenne pure madre degli uomini. Gesù, come abbiamo detto (n. 142), è il capo dell’umanità rigenerata, è la testa d’un Corpo mistico di cui noi siamo le membra. Ora Maria, madre del Salvatore, lo genera tutto intero e quindi come capo dell’umanità e come testa del corpo mistico. Ne genera quindi anche i membri, tutti quelli che sono incorporati con Lui, tutti i rigenerati o quelli che son chiamati ad esserlo. Cosi, diventando Madre di Gesù secondo la carne, Maria ne diviene nello stesso tempo Madre dei membri secondo lo spirito. La scena del Calvario non farà che confermare questa verità; nel momento stesso in cui la nostra redenzione sta per ricevere l’ultimo suo compimento con la morte del Salvatore, Gesù dice a Maria mostrandole S. Giovanni e in lui tutti i suoi discepoli presenti o futuri: « Ecco tuo Figlio »; e a S. Giovanni: « Ecco tua madre »; era questo un dichiarare, secondo una tradizione che risale ad Origene, che tutti i rigenerati sono figli spirituali di Maria. – Da questo doppio titolo di Madre di Dio e Madre degli uomini deriva l’ufficio di Maria nella nostra vita spirituale.

157. Maria causa meritoria della grazia.

Abbiamo visto (n. 133) che Gesù è causa meritoria principale e in senso proprio di tutte le grazie che riceviamo. Maria, sua associata nell’opera della nostra santificazione, meritò secondariamente e solo de congruo (questa espressione venne ratificata da S. Pio X nell’Enciclica del 1904 (Ad Diem Illum https://www.exsurgatdeus.org/2019/09/29/unenciclica-al-giorno-toglie-gli-usurpati-apostati-di-torno-s-s-pio-x-ad-diem-illum-laetissimum/) in cui dichiara che Maria ci meritò de congruo tutte le grazie che Gesù, ci meritò de condigno), in merito di convenienza, tutte queste stesse grazie. Non meritò che secondariamente, vale a dire in dipendenza dal Figlio e perché Gesù le conferì il potere di meritare per noi. Le meritò prima nel giorno dell’Incarnazione, nel momento in cui pronunziò il Fiat. Perché l’Incarnazione è la redenzione incominciata; quindi cooperare all’Incarnazione è cooperare alla redenzione e alle grazie che ne saranno il frutto e per conseguenza alla nostra salute e alla nostra santificazione.

158. Del resto Maria, la cui volontà è in tutto conforme a quella di Dio come a quella del Figlio, in tutta la vita s’associa all’opera riparatrice. È Lei che alleva Gesù, che nutre e prepara per l’immolazione la vittima del Calvario; associata alle sue gioie come alle sue prove, alle umili sue fatiche nella casa di Nazaret e alle sue virtù, si unirà con generosissima compassione alla passione e alla morte del Figlio, ripetendo il Fiat al piede della Croce e acconsentendo all’immolazione di Colui che amava assai più di se stessa, mentre l’amante suo cuore veniva trafitto da dolorossissima spada: “tuam ipsius animam gladius pertransibit” (Luc. II, 31). Quanti meriti acquistò Maria con questa perfetta immolazione! E continuò ad acquistarne nel lungo martirio sostenuto dopo il ritorno del Figlio al cielo: priva della presenza di Colui che formava la sua felicità, sospirando ardentemente il momento d’essergli unita per sempre e accettando amorosamente quella prova per fare la volontà di Dio e contribuire a edificare la Chiesa nascente, Maria accumula per noi meriti innumerevoli. I suoi atti sono tanto più meritori in quanto che sono fatti con la più perfetta purità d’intenzione “Magnificat anima mea Dominum“, con fervore intensissimo compiendo in tutta la sua interezza la volontà di Dio “Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum“, e in unione strettissima con Gesù, sorgente di ogni merito. – È vero che questi meriti erano anzitutto per Lei stessa e ne aumentavano il capitale di grazia e i diritti alla gloria; ma, in virtù della parte che prendeva all’opera redentrice, meritava pure de congruo per tutti; ed essendo per sé piena di grazia, lascia che questa grazia ridondi su noi, secondo la parola di S. Bernardo (In Assumpt., sermo II, 2): “Piena sibi, nobis superplena et supereffluens

159. Maria causa esemplare.

Dopo Gesù, Maria è il più bel modello che si possa da noi imitare; lo Spirito Santo che, in virtù dei meriti del suo Figlio, viveva in Lei ne fece una copia vivente delle virtù di questo Figlio: “Hæc est imago Christi perfectissima, quam ad vivum depinxit Spiritus Sanctus“. Mai Ella commise la minima colpa o la minima resistenza alla grazia, adempiendo alla lettera il fiat mihi secundum verbum tuum. Perciò i Padri, specialmente S. Ambrogio e il Papa S. Liberio, la presentano come modello perfetto di tutte le virtù,”caritatevole e premurosa verso tutte le compagne, sempre pronta a rendere servizio, nulla dicendo o facendo che potesse causar la minima pena, piena d’amore per tutte e da tutte riamata” (J.-V. BAINVEL, Le Saint Cœur de Marie, p. 313-314). – Ci basti rammentare le virtù additate nello stesso Vangelo: 1) la fede profonda che le fa crederesenza esitazione alcuna le meraviglie che l’Angelole annunzia da parte di Dio, fede di cui Elisabetta,ispirata dallo Spirito Santo, si congratula con Lei,“Beata te che credesti! – Beata quæ credidisti, quoniam perficientur ea qua dicta sunt tibi a Domino (Luc., I, 45); — 2) la verginità che appare nella risposta data all’Angelo: ” Quomodo fiet istud, quoniam vìrum non cognosco“? onde si vede la ferma volontà di rimanere vergine, quand’anche occorresse per questo di sacrificare la dignità di Madre del Messia; — 3) l’umiltà che risplende nel turbamento sorto in Lei per gli elogi dell’Angelo, nella dichiarazione di essere sempre la serva del Signore nel momento stesso in cui è proclamata Madre di Dio, in quel Magnificat anima mea Dominum che venne chiamato l’estasi della umiltà, nell’amore che dimostra alla vita nascosta mentre come Madre di Dio aveva diritto a tutti gli onori; — 4) nell’interno raccoglimento, che le fa raccogliere e silenziosamente meditare tutto ciò che si riferiva al divino suo Figlio: “Conservabat omnia verba hæc conferens in corde suo“; 5) l’amore per Dio e per gli uomini, che le fa generosamente accettare tutte le prove d’una lunga vita e principalmente l’immolazione del Figlio sul Calvario e la lunga separazione da questo Figlio prediletto che va dall’Ascensione al momento della morte.

160. Questo modello così perfetto è nello stesso tempo pieno d’attrattiva: Maria è una semplice creatura come noi, è una sorella, è una madre che ci sentiamo tratti ad imitare, se non altro per attestarle la nostra riconoscenza, la nostra venerazione, il nostro amore. – Ed è del resto modello facile ad essere imitato, nel senso almeno che Maria si santificò nella vita comune, nell’adempimento dei doveri di giovinetta e di madre, nelle umili cure della famiglia, nella vita nascosta, nelle gioie come nelle tristezze, nell’esaltazione come nelle più profonde umiliazioni. Siamo quindi certi d’essere in via molto sicura quando imitiamo la SS. Vergine; è questo il mezzo migliore d’imitare Gesù e d’ottenerne la potente mediazione.

161. Maria mediatrice universale di grazia.

Sono già parecchi secoli che S. Bernardo (Sermo de aquaductu, n. 7), formulò questa dottrina in quel notissimo testo: « Sic est voluntas eius qui totum nos habere voluit per Mariam». E bene determinarne il senso. È certo che Maria ci diede in modo mediato tutte le grazie col darci Gesù autore e causa meritoria della grazia. Ma inoltre, secondo l’insegnamento sempre più unanime, non vi è una sola grazia concessa agli uomini che non venga immediatamente da Maria, vale a dire senza il suo intervento. Si tratta quindi qui d’ una mediazione immediata, universale, ma subordinata a quella di Gesù.

162. Per maggiormente determinare questa dottrina, diciamo col P. de la Broise (Marie, Mère de gràce, p. 23-24), che « l’ordine presente dei decreti divini vuole che ogni beneficio soprannaturale sia concesso al mondo col concorso di tre volontà e che non se ne conceda mai altrimenti. Anzitutto la volontà di Dio che conferisce tutte le grazie; poi la volontà di Nostro Signore, mediatore che le merita e le ottiene in tutta giustizia di per sé stesso; infine la volontà di Maria, mediatrice secondaria, che le merita e le ottiene in tutta convenienza per mezzo di Nostro Signore ». Questa mediazione è immediata, nel senso che per ogni grazia concessa da Dio, Maria interviene con i suoi meriti passati o con le sue preghiere presenti; il che però non inchiude necessariamente che la persona che riceve queste grazie debba pregare Maria, potendo Maria intervenire anche senza esserne pregata. È universale, estendendosi a tutte le grazie concesse agli uomini dopo la caduta di Adamo. Ma resta subordinata alla mediazione di Gesù, nel senso che Maria non può meritare od ottenere grazie se non per mezzo del suo divin Figlio; e così la mediazione di Maria serve a far sempre meglio spiccare il valore e la fecondità della mediazione di Gesù. – Questa dottrina venne testé confermata dall’ufficio e dalla Messa propri in onore di Maria mediatrice concessi dal Papa Benedetto XV alle chiese del Belgio e a tutte quelle che ne faranno domanda (Ecco in quali termini S. E . il Cardinale MERCIER, con lettera del 27 Gennaio 1921, l’annunzia ai suoi diocesani : « Da molti anni l’episcopato belga, la facoltà di teologia dell’ Università di Lovanio, tutti gli ordini religiosi della nazione, facevano istanze presso il Sommo Pontefice perché autenticamente si riconoscesse alla SS. Vergine Maria, Madre di Gesù e Madre nostra, il titolo di mediatrice universale nell’impetrazione e nella distribuzione delle grazie divine. Ed ecco che S. Santità Benedetto XV concede alle chiese del Belgio e a tutte quelle della Cristianità che ne faranno domanda, un ufficio e una Messa propri, in data 31 maggio, in onore di Maria mediatrice). È  quindi una dottrina sicura di cui possiamo in pratica giovarci, valendo ad ispirarci grande confidenza in Maria.

CONCLUSIONE: DEVOZIONE ALLA SS. VERGINE.

163. Avendo Maria una parte così importante nella nostra vita spirituale, dobbiamo avere verso di Lei una grande devozione. Questa parola significa dedizione e dedizione e dono di sé. Saremo quindi devoti di Maria se ci diamo interamente a Lei e, per Lei, a Dio. In ciò non faremo che imitare Dio stesso che dà sé e suo Figlio a noi per mezzo di Maria. Le daremo la intelligenza con la venerazione più profonda, la volontà con una confidenza assoluta, il cuore col più filiale amore, tutto il nostro essere con l’imitazione più perfetta possibile delle sue virtù.

164. A) Venerazione profonda.

Questa venerazione si fonda sulla dignità di Madre di Dio sulle conseguenze che ne derivano. Non potremmo infatti stimare mai troppo colei che il Verbo Incarnato riverisce come Madre, che il Padre amorosamente contempla come figlia prediletta e che lo Spirito Santo riguarda come tempio di predilezione. – Il Padre la tratta col più grande rispetto, inviandole un Angelo che la saluta piena di grazia e le chiede il consenso all’opera dell’Incarnazione, in cui se la vuole così intimamente associare; – il Figlio la venera e l’ama come Madre e le ubbidisce; – lo Spirito Santo viene in Lei e vi prende le sue compiacenze. Venerando Maria, non facciamo quindi altro che associarci alle tre divine Persone e stimare ciò che Esse stimano. È vero che bisogna badare a evitare gli eccessi, specialmente tutto ciò che tenderebbe ad uguagliarle a Dio e farne la sorgente della grazia. Ma finché la consideriamo come creatura, che non ha grandezza di santità e di potenza, se non quel tanto che Dio le conferisce, non vi sono eccessi da temere: in Lei veneriamo Dio. Questa venerazione dev’essere maggiore di quella che abbiamo per gli Angeli e per i Santi, appunto perché per la dignità di Madre di Dio, per l’ufficio di mediatrice, per la santità supera tutte le creature. Ecco perché il suo culto, pur essendo culto di dulia e non di latria, viene a ragione detto culto d’iperdulia, essendo superiore a quello che si rende agli Angeli ed ai Santi.

165. B) Confidenza assoluta, che è fondata sulla potenza e sulla bontà di Maria, – a) Questa potenza viene non da Lei ma dal suo potere d’intercessione, non volendo Dio rifiutar nulla di legittimo a colei che venera ed ama più di tutte le creature. Ed è cosa pienamente equa; avendo infatti Maria somministrato a Gesù quell’umanità con cui poté meritare, e avendo coi suoi atti e coi suoi patimenti collaborato con lui all’opera redentrice, è pur conveniente che abbia parte nella distribuzione dei frutti della redenzione; nulla quindi di legittimo Ei potrà rifiutare alle sue domande, e così potrà dirsi che Maria è onnipotente con le sue suppliche, omnipotentia supplex. – b) Quanto alla bontà, è quella d’una madre che riversa su noi, membri di Gesù Cristo, l’affetto che porta al Figlio; d’una madre che, avendoci partoriti nel dolore, tra le angosce del Calvario, ha tanto maggior amore per noi quanto più le siamo costati. La nostra confidenza in Lei sarà quindi incrollabile ed universale. –

1) Incrollabile non ostante le nostre miserie e le nostre colpe; è infatti madre di misericordia, mater misericordiæ, che non ha da occuparsi di giustizia, ma che fu scelta per esercitare anzitutto la compassione, la bontà, la condiscendenza: sapendo che siamo esposti agli assalti della concupiscenza, del mondo e del demonio, ha pietà di noi che non cessiamo d’essere suoi figli anche quando cadiamo in peccato. Appena quindi manifestiamo la minima buona volontà, il desiderio di tornare a Dio, Ella ci accoglie con bontà; anzi spesso è Lei che, prevenendo questi movimenti, ci ottiene le grazie che ce li eccitano nell’anima. La Chiesa ha così bene inteso questa verità, che per alcune diocesi istituì una festa sotto un titolo che a prima vista pare un poco strano ma che in fondo è perfettamente giustificato, la festa del Cuore immacolato di Maria rifugio dei peccatori; appunto perché è Immacolata e non commise mai la minima colpa, tanto maggior compassione sente pei poveri suoi figli che non hanno come Lei il privilegio dell’esenzione dalla concupiscenza.

2) Universale, vale a dire che s’estende a tutte le grazie di cui abbiamo bisogno, grazie di conversione, di progresso spirituale, di perseveranza finale, grazie di preservazione in mezzo ai pericoli, alle angosce, alle più gravi difficoltà che possano presentarsi. Una tal confidenza raccomanda instantemente San Bernardo (Homil. I, de Laudibus Virg. Matris, 17): “Se sorgono le tempeste delle tentazioni, se ti trovi in mezzo agli scogli delle tribolazioni, leva lo sguardo alla stella del mare, invoca Maria in tuo soccorso; se sei sbattuto dai flutti della superbia, dell’ambizione, della maldicenza, della gelosia, guarda la stella, invoca Maria! Se l’ira, l’avarizia, i diletti del senso ti agitano la navicella dell’anima, guarda Maria. Se turbato dell’enormità dei tuoi delitti, confuso dello stato miserando della tua coscienza, compreso d’orrore al pensiero del giudizio, ti senti affondare nell’abisso della tristezza e della disperazione, pensa a Maria. In mezzo ai pericoli, alle angosce, alle incertezze, pensa a Maria, invoca Maria. La sua invocazioni, il suo pensiero non abbandonino mai né il tuo cuore né il tuo labbro, e, per ottenere più sicuramente l’aiuto delle sue preghiere, non trascurare d’imitarne gli esempi. Seguendola non ti puoi smarrire, supplicandola non ti puoi disperare, pensando a lei non puoi traviare. Se ella ti tiene per mano, non puoi cadere; sotto la sua protezione non hai nulla da temere; sotto la sua guida nessuna stanchezza, e col suo favore si arriva sicuramente al termine”. Avendo noi costantemente bisogno di grazie per vincere i nostri nemici e progredire, dobbiamo rivolgerci spesso a Colei che a così buon diritto viene detta la Madonna del perpetuo soccorso.

166. C) Alla confidenza aggiungeremo l’amore, amore filiale, pieno di candore, di semplicità, di tenerezza e di generosità. Maria è certamente la più amabile delle madri, perché, avendola Dio destinata a Madre del suo Figlio, le diede tutte le qualità che rendono amabile una persona, la delicatezza, la finezza, la bontà, l’abnegazione d’una madre. È la più amante, perché il suo cuore fu creato espressamente per amare un Figlio-Dio e amarlo quanto più perfettamente fosse possibile. Ora l’amore che aveva per il Figlio, Maria lo riversa su noi che siamo i membri viventi di questo Figlio divino, la sua estensione e il suo complemento. Quest’amore risplende pure nel mistero della Visitazione, in cui Maria s’affretta di portare alla cugina Elisabetta quel Gesù che ricevette nel seno e che con la sola sua presenza santifica tutta la casa; nelle nozze di Cana in cui, attenta a tutto ciò che succede, interviene presso il Figlio, per risparmiare ai giovani sposi una penosa umiliazione; sul Calvario, ove consente a sacrificare per la nostra salute ciò che ha di più caro; nel Cenacolo, ove esercita il potere d’intercessione per ottenere agli Apostoli maggior copia dei doni dello Spirito Santo.

167. Se Maria è la più amabile e la più amante delle madri, dev’essere pure la più amata. È questo infatti uno dei suoi privilegi più gloriosi: dovunque Gesù è conosciuto ed amato, lo è anche Maria; non si separa la Madre dal Figlio e, pur tenendo conto della differenza che passa tra l’uno e l’altra, sono entrambi circondati dello stesso affetto benché in grado diverso: al Figlio si rende l’amore che è dovuto a Dio, a Maria quello che è dovuto alla Madre d’un Dio, amor tenero, generoso, devoto ma subordinato all’amor di Dio. – È amore di compiacenza, che gioisce delle grandezze, delle virtù e dei privilegi di Maria, riandandoli spesso nella mente, ammirandoli, compiacendosene e congratulandosi con Lei che sia cosi perfetta. Ma è pure amore di benevolenza, che brama sinceramente che il nome di Maria sia meglio conosciuto e meglio amato, che prega perché se ne allarghi l’influsso sulle anime e che alla preghiera aggiunge la parola e l’azione. È amore filiale, pieno d’abbandono di semplicità, di tenerezza e di premura, che va sin a quella rispettosa intimità che una madre permette al figlio. È finalmente e principalmente amore di conformità, che si sforza di conformare in ogni cosa la propria volontà a quella di Maria e quindi al quella di Dio, essendo l’unione delle volontà il segno più autentico dell’amicizia. Il che ci conduce all’imitazione della SS. Vergine.

168. D) L ‘imitazione è infatti l’omaggio più delicato che le si possa rendere; è un proclamare non solo a parole ma a fatti che è un modello perfetto che siamo lieti d’imitare. Abbiamo già detto (n. 159) come Maria, essendo un ritratto vivente di suo Figlio, ci dà l’esempio di tutte le virtù. Accostarci a Lei è accostarci a Gesù; non possiamo quindi far di meglio che studiarne le virtù, meditarle spesso, sforzarci di imitarle. Per riuscirvi, non possiamo far di meglio che compiere tutte ed ognuna delle nostre azioni per Maria, con Maria e in Maria; per ipsam, et cum ipsa et in ipsa [Era la pratica del Sig. Olier, che il B. GRIGNION di Montfort ha meglio determinata e resa popolare nel le Secret de Marie e nel Traité de la vraie dévotion à la Sainte Vierge. (Trattato della vera devozione a Maria).

Per Maria, cioè domandando per mezzo suo le grazie che ci occorrono ad imitarla, passando per Lei per andare a Gesù, ad Jesum per Mariam. Con Maria cioè considerandola come modello e collaboratrice, chiedendoci spesso: Che cosa farebbe Maria se fosse al mio posto? e umilmente pregandola di aiutarci a conformare le nostre azioni ai suoi desideri. In Maria, in dipendenza da questa buona Madre, assecondandone i pensieri e le intenzioni, e facendo, come Lei, le nostre azioni per glorificar Dio: Magnificat anima mea Dominum.

169. Reciteremo con questo spirito le preghiere in onore di Maria: l’Ave Maria e L’Angelus che le ricordano la scena dell’Annunziazione e il titolo di Madre di Dio; il Sub tuum præsidium, che è l’atto di confidenza in Colei che ci protegge in mezzo a tutti i pericoli; l’0  Domina mea, l’atto d’intero abbandono nelle sue mani, con cui le affidiamo la nostra persona, le opere nostre, i nostri meriti; e specialmente la Corona o il Rosario che, unendoci ai suoi misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi, ci fa santificare con Lei e con Gesù le nostre gioie, le nostre tristezze e le nostre glorie.

Il Piccolo Ufficio della SS. Vergine è, per le persone che lo possono recitare, il riscontro del Breviario, che rammenta loro più volte al giorno le grandezze, la santità e l’ufficio santificatore di questa Buona Madre.

ATTO DI CONSACRAZIONE TOTALE A MARIA

[GRIGNION DE MONTFORT, op. cit.; A. LHOUMEAU, La Vie spírituelle à l’école du B. Grignion de Montfort, 1920, p. 240-427

170. Natura ed estensione di quest’atto.

È un atto di divozione che contiene tutti gli altri. Quale è esposto dal B. Grignion di Montfort, consiste nel darsi interamente a Gesù per mezzo di Mariae abbraccia due elementi: un atto di consacrazione che si rinnova ogni tanto, e uno stato abituale che ci fa vivere ed operare sotto la dipendenza di Maria. L’atto di consacrazione, dice il B. Grignion, “consiste nel darsi interamente, come schiavo, a Maria e per suo mezzo a Gesù”. Nessuno si scandalizzi di questa parola schiavo, a cui bisogna togliere ogni senso peggiorativo, vale a dire ogni idea di costrizione: non solo quest’atto non inchiude costrizione alcuna ma è l’espressione del più puro amore; se ne conservi quindi il solo elemento positivo quale è spiegato dal Beato: Un semplice servo riceve salario, resta libero di lasciare il padrone, non dà che il suo lavoro ma non la sua persona, i suoi diritti personali, i suoi beni; uno schiavo invece acconsente liberamente a lavorare senza stipendio, fiducioso nel padrone che gli dà vitto e vestito,si dà per sempre, con tutte le sue energie, la sua persona, i suoi diritti, per vivere in piena dipendenza da lui.

171. Facendone applicazione alle cose spirituali il perfetto servo di Maria dà a Lei e per suo mezzo a Gesù:

a) Il corpo, con tutti i suoi sensi, non conservandone che l’uso, e obbligandosi a non servirseli che secondo il beneplacito della SS. Vergine o del suo Figlio; e accetta anticipatamente tutte le disposizioni della Provvidenza riguardanti la salute, la malattia, la vita e la morte.

b) Tutti i beni di fortuna, non usandone che sotto la sua dipendenza per la gloria sua e per quella di Dio.

c) L’anima con tutte le sue facoltà, consacrandole al servizio di Dio e delle anime, sotto la guida di Maria, e rinunziando a tutto ciò che può compromettere la nostra salvezza e santificazione.

d) Tutti i beni interiori e spirituali, i meriti, le soddisfazioni e il valore impetratorio delle buone opere, in quella misura in cui questi beni sono alienabili. Spieghiamo questo ultimo punto:

1) I meriti propriamente detti (de condigno) per mezzo dei quali meritiamo per noi un aumento di grazia e di gloria, sono inalienabili; se quindi li diamo a Maria, è perché li conservi e li aumenti, non perché li applichi altrui. Quanto ai meriti di semplice convenienza (de congruo), potendo questi essere offerti per gli altri, ne lasciamo la libera disposizione a Maria.

2) Il valore soddisfattorio dei nostri atti, comprese le indulgenze, è alienabile, e ne lasciamo l’applicazione alla SS. Vergine (S. Thom. Suppl., q.13, a. 2).

3 ) Il valore impetratorio, vale a dire le nostre preghiere e le nostre opere buone in quanto godono di tal valore, possono esserle abbandonate e in fatto lo sono con quest’atto di consacrazione.

172. Una volta dunque fatto quest’atto non si può più disporre di questi beni senza il permesso della SS. Vergine; possiamo però e talora dobbiamo pregarla che si degni, in quella misura che le piacerà, disporne a favore delle persone verso le quali abbiamo speciali obbligazioni. Il mezzo di conciliar tutto è d’offrirle nello stesso tempo non solo la nostra persona e i nostri beni, ma anche tutte le persone che ci sono care “Tuus totus sum, omnia mea tua sunt, et omnes mei tui sunt“; così la SS. Vergine attingerà dai nostri beni e specialmente dai tesori suoi e da quelli di suo Figlio per venire in aiuto di queste persone; ed esse non vi perderanno nulla.

173. Eccellenza di quest’atto. È un atto di santo abbandono, ottimo già per questo verso, ma che inoltre contiene gli atti delle più belle virtù.

1) Un atto di religione profonda verso Dio, verso Gesù e verso Maria: con ciò infatti riconosciamo il sovrano dominio di Dio e il nostro nulla, e proclamiamo di gran cuore i diritti che Dio diede a Maria su noi.

2) Un atto di umiltà, con cui riconoscendo il nostro nulla e la nostra impotenza, ci priviamo del possesso di tutto ciò che il Signore ci diede, restituendoglielo per le mani di Maria, da cui, dopo Lui e per Lui, abbiamo ricevuto ogni cosa.

3) Un atto d’amore confidente, perché l’amore è il dono di sé, e per donarsi occorre una confidenza perfetta, una fede viva. – Si può dunque dire che quest’atto di consacrazione, se è ben fatto, spesso rinnovato di cuore e messo in pratica, è più eccellente ancora dell’atto eroico, con cui non si rinunzia che il valore sodisfattorio dei propri atti e le indulgenze che si guadagnano.

174. Frutti di questa devozione. Derivano dalla sua natura. 1) Con essa glorifichiamo Dio e Maria nel modo più perfetto, perché gli diamo tutto ciò che siamo e tutto ciò che abbiamo senza riserva e per sempre; e ciò nel modo a Lui più gradito, seguendo l’ordine stabilito dalla sua sapienza, ritornando a Lui per la via da Lui tenuta per venire a noi.

175. 2) Assicuriamo pure in questo modo la nostra santificazione. Maria infatti, vedendo che cediamo a Lei la nostra persona e i nostri beni, si sente vivamente mossa ad aiutare a santificarsi coloro che sono, per così dire, sua proprietà. Ci otterrà quindi copiosissime grazie, che aumenteranno i nostri piccoli tesori spirituali che sono suoi, ce li conserveranno e ce li faranno fruttificare sino al punto della morte. Porrà per questo in opera l’autorità del suo credito sul cuore di Dio e la sovrabbondanza dei suoi meriti e delle sue soddisfazioni.

3) Finalmente anche la santificazione del prossimo, e specialmente delle anime a noi affidate, verrà a guadagnarci; lasciando che Maria distribuisca i nostri meriti e le nostre soddisfazioni secondo il suo beneplacito, sappiamo che tutto sarà applicato nel modo più sapiente, perché è più prudente, più previdente, più premurosa di noi; i nostri parenti ed amici non potranno quindi che guadagnarci.

176. Si potrà, è vero, obiettare che a questo modo noi alieniamo tutto il nostro patrimonio spirituale, specialmente le nostre soddisfazioni, le indulgenze e i suffragi che si potessero offrire per noi, e che così potrebbe accadere che restassimo poi  lunghi anni in purgatorio. Per sé questo è vero, ma si tratta di confidenza: abbiamo, si o no, più confidenza in Maria che in noi stessi e nei nostri amici? – Se sì, non temiamo nulla; saprà Ella prendersi cura dell’anima nostra e dei nostri interessi meglio che non potremmo far noi; se no, è meglio che non facciamo quest’Atto di consacrazione totale di cui più tardi potremmo pentirci. In ogni caso non deve farsi che dopo matura riflessione e d’accordo col proprio direttore.

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/07/consacrazione-di-se-stesso-a-gesu-cristo-sapienza-incarnata-per-le-mani-di-maria/

II. Della parte dei Santi nella vita cristiana.

177. I Santi, che possiedono Dio nel cielo, si prendono cura della nostra santificazione e ci aiutano a progredire nella pratica delle virtù con la loro potente intercessione e coi nobili esempi che ci lasciarono, dobbiamo quindi venerarli; sono potenti intercessori, dobbiamo quindi invocarli; sono i nostri modelli, dobbiamo quindi imitarli.

178. Debbiamo venerarli, e con ciò veneriamo in loro lo stesso Dio e lo stesso Gesù Cristo. Infatti quanto in loro è di buono è opera di Dio e del suo divin Figlio. Il loro essere naturale non è che un riflesso delle divine perfezioni; le loro doti soprannaturali sono l’opera della grazia divina meritata da Gesù Cristo, compresi gli atti meritori, che, pur essendo un bene loro nel senso che col libero consenso vi hanno collaborato con Dio, sono anche e principalmente dono di Colui che ne resta causa prima ed efficace: coronando merita nostra coronas et dona tua “. Onoriamo quindi nei Santi : a) i santuari viventi della SS. Trinità, che si degnò di abitare in loro, di ornarne l’anima con le virtù e coi doni, di operare sulle loro facoltà per farne produrre atti meritori, e concedere loro la grazia insigne della perseveranza;

b) i figli adottivi del Padre, da lui singolarmente amati, circondati della sua sollecitudine paterna, a cui seppero corrispondere avvicinandosi a poco a poco alla sua santità e alle sue perfezioni;

c) i fratelli di Gesù Cristo, suoi membri fedeli, che, incorporati al suo Corpo mistico, ricevettero da Lui la vita spirituale e la coltivarono con amore e costanza;

d) i tempii e i docili strumenti dello Spirito Santo, che da Lui si lasciarono guidare e dalle sue ispirazioni anziché seguir ciecamente le tendenze della guasta natura. Tali sono i pensieri espressi molto bene dal Sig. Olier: “Potrete adorare con profonda venerazione questa vita di Dio diffusa in tutti i Santi; onorerete Gesù Cristo che li anima tutti e tutti li perfeziona col divino suo Spirito per non farne che una cosa sola in Lui … Gesù è in tutti il cantore delle divine lodi; Gesù mette loro in bocca tutti i loro cantici; per Gesù tutti i Santi lo lodano e lo loderanno per tutta l’eternità”.

179. 2° Dobbiamo invocarli, per ottenere più facilmente, con la possente loro intercessione, le grazie di cui abbiamo bisogno. È vero che la sola mediazione necessaria è quella di Gesù, che basta pienamente in sé stessa; ma appunto perché membri di Gesù risuscitato, i Santi uniscono le loro preghiere alle sue; è quindi tutto il Corpo mistico del Salvatore che prega e che fa dolce violenza al cuore di Dio. Pregare coi Santi è quindi un unire le nostre preghiere a quelle dell’intero corpo mistico ed assicurarne così l’efficacia. I Santi del resto sono lieti d’intercedere per noi: “Amano in noi i fratelli nati dallo stesso Padre; hanno compassione di noi; rammentando, al vedere il nostro stato, quello in cui furono essi stessi, riconoscono in noi anime che devono, come loro, contribuire alla gloria di Gesù Cristo. Quale gioia non provano quando possono trovare associati che li aiutino a rendere i loro omaggi a Dio e a soddisfarne il desiderio di magnificarlo con mille e mille bocche, se l’avessero!”[J . – J . OLIER, Pensies choisies, p. 176]. La loro potenza e la loro bontà ci devono dunque ispirare piena confidenza. E li invocheremo specialmente nel celebrarne le feste; entreremo così nella corrente liturgica della Chiesa e parteciperemo alle virtù particolari praticate da questo o quel Santo.

180. Dobbiamo infatti imitare pure e principalmente le virtù. Tutti si studiarono di imitare gli esempi del modello divino e tutti ci possono ripetere la parola di S. Paolo: “Siate imitatori miei come io di Cristo: Imitatores mei estote sicut et ego Christi” (1 Cor. IV, 16) . Essi però coltivarono per lo più una virtù speciale che ne è, a così dire, la virtù caratteristica: gli uni l’integrità della fede, gli altri la confidenza e l’amore, questi lo spirito di sacrifizio, l’umiltà, la povertà; quelli la prudenza, la fortezza, la temperanza, la castità. Chiederemo a ciascuno più specialmente la virtù che ha praticato, convinti che ha grazia particolare per ottenercela.

181. Ecco perché la nostra devozione si volgerà specialmente a quei Santi che vissero nelle stesse nostre condizioni, che occuparono uffici simili ai nostri e praticarono la virtù che ci è più necessaria. Considerando le cose sotto un altro aspetto, avremo pure devozione particolare ai nostri santi patroni, vedendo nella scelta che se ne fece un’indicazione provvidenziale di cui dobbiamo giovarci. Ma, se per ragioni speciali, le attrattive della grazia ci portano verso questo o quel Santo le cui virtù consuonano meglio coi bisogni dell’anima nostra, nulla vieta che ci diamo alla loro imitazione consigliandocene prima da un savio direttore.

182. Così intesa la devozione ai Santi riesce molto utile: gli esempi di coloro che ebbero le stesse nostre passioni, che subirono le stesse tentazioni, e ciò non ostante, sorretti dalle stesse grazie, riportarono vittoria, sono stimolo potente per fare arrossire della nostra codardia, prendere energiche risoluzioni e indurci a sforzi costanti per metterle in pratica, sopratutto rammentandoci delle parole d’Agostino: “Tu non poteris quod isti et istæ Le loro preghiere poi compiranno l’opera e ci aiuteranno a batterne le orme.

III. Della parte degli Angeli nella vita cristiana.

Questo ufficio deriva dalle loro relazioni con Dio e con Gesù Cristo.

183. 1° Gli Angeli rappresentano anzitutto la grandezza e gli attributi di Dio: “Ognuno in particolare porge un qualche grado di quest’Essere infinito e gli è specialmente consacrato. Negli uni se ne ammira la forza, negli altri l’amore, in altri la fermezza. Ognuno è imitazione d’una bellezza del divino originale; ognuno l’adora e lo loda nella perfezione di cui è l’immagine” (Olier) . Dio stesso adunque onoriamo nei suoi Angeli: sono “fulgidi specchi, sono puri cristalli, sono brillanti sfere, che rappresentano le fattezze e le perfezioni di questo infinito Tutto”. Elevati all’ordine soprannaturale, partecipano della vita divina, e usciti vittoriosi dalla prova, godono della visione beatifica: “Gli angeli di questi fanciulli, dice Nostro Signore, vedono costantemente la faccia del Padre mio che è nei cieli: Angeli eorum in cœlis semper vident facieni Patris mei qui in cœlis est(Matth. XVII, 10).

184. 2° Considerando le loro relazioni con Gesù Cristo, non è certo, è vero, che ne abbiano ricevuto la grazia, è però certo che in cielo si uniscono a questo mediatore di Religione per lodare, adorare e glorificare la maestà divina, lieti di poter dare così maggior valore alle loro adorazioni: “Per quem maiestatem tuam laudant Angeli, adorant Dominationes, tremunt Potestates“. Quando dunque ci uniamo a Gesù per adorar Dio, ci uniamo pure agli Angeli e ai Santi, armonioso concerto che non può che glorificare più perfettamente la divinità. Possiamo quindi ripetere col già citato autore: “Che tutti i custodi dei cieli, tutte queste possenti virtù che li muovono, suppliscano mai sempre, in Gesù Cristo, alle nostre lodi; vi ringrazino essi per i beneficiche riceviamo dalla vostra bontà così nell’ordinedi natura come in quello della grazia” (Olier)

185. 3° Si deduce da queste due considerazioni che gli Angeli, essendoci fratelli nell’ordine della grazia, poiché partecipiamo, come loro, alla vita divina e siamo, come loro, in Gesù Cristo i religiosi di Dio, si prendono grande cura della nostra salute, bramosi di averci presto in cielo a glorificar Dio e partecipare alla stessa visione beatifica, a) Accettano quindi con gioia le missioni che Dio loro affida in servizio della nostra santificazione: “Dio – dice il Salmista – affidò loro il giusto, perché lo custodiscano in tutte le sue vie: “Angelis suis mandavit de te ut custodiant te in omnibus viis tuis (Ps. XC, 11-12)— E San Paolo aggiunge che sono tutti subordinati spiriti, mandati in servigio per quelli che hanno da ereditare la salute: “Nonne omnes sunt administratorii spiritus, in ministerium missi propter eos qui hæreditatem capient salutis? ” (Hebr. I, 14). Nulla infatti tanto bramano quanto radunare eletti per riempire i posti resi vacanti dalla caduta degli angeli ribelli, e adoratori per glorificar Dio in loro vece. Avendo trionfato dei demoni, altro non chiedono che di proteggerci contro questi perfidi nemici; è quindi specialmente opportuno invocarli per vincere le tentazioni diaboliche.

b) Offrono le nostre preghiere a Dio (Tob., XII, 12): il che significa che le avvalorano aggiungendovi le loro suppliche. È  dunque utile per noi l’invocarli, principalmente nei momenti difficili e soprattutto in punto di morte, perché ci proteggano contro gli ultimi assalti del nemico e portino l’anima nostra in paradiso [È dottrina tradizionale che gli angeli conducono le anime nostre il cielo, come dimostra DON LECLERQ, Dict. d’Archeologie, Les Anges psychagogues, t. I, 2121, sq.).

186. Gli Angeli custodi. Tra gli Angeli ve ne sono di quelli incaricati di ogni anima in particolare; sono gli Angeli custodi. Istituendo una festa in loro onore, la Chiesa consacrò la dottrina tradizionale dei Padri, fondata del resto sui testi della Sacra Scrittura e appoggiata su buone ragioni. Queste ragioni nascono dalle nostre relazioni con Dio: siamo i suoi figli, i membri di Gesù Cristo e i tempii dello Spirito Santo. “Essendo suoi figli, dice l’Olier,  ci dà per precettori i principi della sua corte, che si stimano molto onorati di tal carica, avendo noi l’onore appartenergli così da vicino. Essendo suoi membri vuole che quegli stessi spiriti che servono Lui siano sempre al nostro fianco per renderci mille buoni servizi. Essendo suoi tempi ed abitando in noi, vuole che abbiamo degli Angeli che siano pieni di venerazione verso di Lui, come lo sono nelle nostre chiese; vuole che vi stiano in continuo ossequio alla sua grandezza, supplendo a ciò che dovremmo far noi e spesso gemendo per le irriverenze che commettiamo verso di Lui”. Vuole pure in questo modo, egli aggiunge, intimamente collegare la Chiesa del cielo con quella della terra: “A tal fine fa scendere in terra questo misterioso esercito degli Angeli, i quali, unendosi a noi e legandoci a loro, ci collocano nel loro ordine, così da non formare che un sol corpo della Chiesa del cielo e di quella della terra”.

187. Per mezzo dell’Angelo custode siamo dunque in comunicazione permanente col cielo, e a trarne maggior profitto, non possiamo far di meglio che pensare spesso all’angelo custode, per esprimergli la nostra venerazione, la nostra confidenza e il nostro amore: — a) la nostra venerazione, salutandolo come uno di coloro che vedono sempre il volto di Dio, che sono per noi i rappresentanti del Padre celeste; nulla quindi faremo che possa dispiacergli o contristarlo, ci studieremo invece di mostrargli il nostro rispetto, imitandone la fedeltà nel servizio di Dio: modo veramente delicato di mostrargli la nostra stima; b) la nostra confidenza, rammentandoci la potenza che possiede per proteggerci e la bontà che ha per noi affidati alla sua custodia da Dio stesso. – Dobbiamo poi invocarlo principalmente nelle tentazioni del demonio, perché è abituato a sventare le astuzie di questo perfido nemico; come pure nelle occasioni pericolose, in cui la sua previdenza e la sua destrezza possono venirci molto opportunamente in aiuto; e nell’affare della vocazione, in cui può conoscere meglio di tutti, i disegni di Dio sopra di noi. – Inoltre quando abbiamo qualche cosa importante da trattare col prossimo, giova rivolgerci agli Angeli custodi dei nostri fratelli, perché li dispongano all’ufficio che vogliamo compiere presso di loro;

C) il nostro amore, riflettendo che fu sempre e sempre sarà per noi un ottimo amico, che ci ha reso ed è sempre disposto a renderci ottimi servizi, di cui solo in cielo potremo conoscere il valore ma che fin d’ora possiamo intravvedere con la fede, il che ci deve bastare per esprimergliene riconoscenza ed affetto. Soprattutto quando sentiamo il peso della solitudine, possiamo ricordarci che non siamo mai soli, ma che abbiamo al fianco un amico affezionato e generoso, con cui possiamo familiarmente conversare. Non dimentichiamo mai del resto che onorare quest’Angelo è onorare Dio stesso, di cui è il rappresentante sulla terra, e uniamoci qualche volta a lui per meglio glorificarlo.

SINTESI DELLA DOTTRINA ESPOSTA.

188. Dio ha dunque una parte grandissima nella nostra santificazione. Viene Egli stesso a risiedere nell’anima nostra per darsi a noi e santificarci. Per renderci capaci di elevarci a Lui, ci dà un intero organismo spirituale: la grazia abituale che, penetrando la sostanza stessa dell’anima, la trasforma e la rende deiforme; le virtù e i doni che, perfezionando le facoltà, le abilitano, col soccorso della grazia attuale che le mette in moto, a fare atti soprannaturali meritori di vita eterna.

189. Ma questo non basta ancora al suo amore: ci manda l’unico suo Figlio, il quale, facendosi uomo come noi, diventa il modello perfetto che ci guida nella pratica delle virtù che conducono alla perfezione e al cielo; ci merita la grazia necessaria per calcarne le orme non ostante le difficoltà che troviamo dentro e fuori di noi; e che, per meglio trarci alla sua sequela c’incorpora a sé, fa passare in noi, per mezzo del divino suo Spirito, la vita di cui possiede la pienezza, e con questa incorporazione dà alle nostre anche minime azioni un immenso valore; queste azioni infatti, unite a quelle di Gesù nostro capo, partecipano al valore delle sue, poiché in un corpo tutto diventa comune tra il capo e le membra. Con Lui e per Lui possiamo quindi glorificar Dio come merita, ottenere nuove grazie e avvicinarci così al Padre celeste ricopiandone in noi le divine perfezioni. Maria, essendo madre di Gesù e sua collaboratrice, benché secondaria, nell’opera della Redenzione, prende pur parte alla distribuzione delle grazie da Lui meritateci; per Lei andiamo a Lui, per Lei chiediamo la grazia; la veneriamo e l’amiamo come madre, studiandoci d’imitarne le virtù. E poiché Gesù non è soltanto capo nostro ma anche dei Santi e degli Angeli, mette a nostro servizio questi potenti ausiliari per proteggerci contro gli assalti del demonio e la debolezza della nostra natura: i loro esempi e la loro intercessione ci sono di efficacissimo aiuto. Poteva Dio far di più per noi? E s’Egli si diede così generosamente a noi, che cosa non dobbiamo far noi per corrispondere al suo amore e coltivare la partecipazione della vita divina di cui ci ha così generosamente gratificati?

LA GRAZIA (Note di Teologia Ascetica) -4-

LA GRAZIA – 4 –

(Note di teologia ascetica)

NATURA DELLA VITA CRISTIANA (1)

[A. Tanquerey: Compendio di Teologia ascetica a mistica – Desclée e Ci. Roma-Tournai – Parigi; 1948]

§ II. Della parte che ha Gesù nella vita cristiana.

132. Tutta la SS. Trinità ci conferisce quella partecipazione della vita divina che abbiamo descritta. Ma lo fa per riguardo ai meriti e alle soddisfazioni di Gesù Cristo, il quale sotto questo aspetto ha una parte cosi essenziale nella nostra Vita soprannaturale, che questa a buon diritto viene detta vita cristiana. Secondo la dottrina di S. Paolo, Gesù Cristo è il capo dell’umanità rigenerata, come Adamo lo era stato dell’umana stirpe al suo nascere, in guisa però assai più perfetta. Egli coi suoi meriti ci riconquistò il diritto alla grazia e alla gloria; coi suoi esempi ci mostra come dobbiamo vivere per santificarci e meritare il cielo; ma Egli è soprattutto il capo d’un corpo mistico di cui noi siamo le membra: è quindi causa meritoria, esemplare e vitale della nostra santificazione.

I . Gesù causa meritoria della nostra vita spirituale.

133. Quando diciamo che Gesù è causa meritoria della nostra santificazione, prendiamo questa parola nel suo più esteso significato in quanto comprende la soddisfazione e il merito; « Propter nimiam charitatem qua dilexit nos, sua sanctissima passione in ligno crucis nobis iustìficatione in meruit et prò nobis satisfecit ». Logicamente la soddisfazione precede il merito, nel senso che, per ottenere il perdono dei nostri peccati e meritare la grazia, è prima necessario riparare l’offesa fatta a Dio; ma in realtà tutti gli atti liberi di N. Signore erano nello stesso tempo soddisfatorii e meritorii, e avevano tutti un valore morale infinito, come abbiamo detto al n. 78. Non ci resta che trarre da queste verità alcune conclusioni.

A) Non vi sono peccati irremissibili, purché, contriti e umiliati, ne chiediamo umilmente perdono. E questo noi facciamo nel sacro tribunale della penitenza, ove la virtù del sangue di Gesù ci viene applicata per mezzo del ministro di Dio. Questo facciamo pure nel santo sacrificio della Messa, ove Gesù continua ad offrirsi, per le mani del sacerdote, vittima di propiziazione, eccita nell’anima nostra profondi sentimenti di contrizione, ci rende Dio propizio, ci ottiene perdono sempre più pieno dei nostri peccati e una remissione sempre più abbondante della pena che dovremmo subire per espiarli. Possiamo aggiungere che tutti i nostri atti cristiani, uniti ai patimenti di Gesù, hanno un valore soddisfattorio per noi e per le anime per cui li offriamo.

134. B) Gesù ci meritò pure tutte le grazie di cui abbiamo bisogno per conseguire il nostro fine soprannaturale e coltivare in noi la vita cristiana: « Benedixit nos in omni benedictione spirituali in celestibus in Christo Jesu » (Ephes., I, 3), Dio ci benedisse in Cristo con ogni sorta di benedizioni spirituali: grazie di conversione, grazie di perseveranza, grazie per resistere alle tentazioni, grazie per trar profitto dalle tribolazioni, grazie di consolazione, grazie di rinnovamento spirituale, grazie di nuova conversione, grazia di perseveranza finale, tutto Egli ci meritò; e ci assicura che tutto ciò che chiederemo al Padre in suo nome, vale a dire appoggiandoci sui suoi meriti, ci sarà concesso. Per ispirarci anche maggior fiducia, istituì i Sacramenti, segni visibili che ci conferiscono la grazia in tutte le circostanze più importanti della vita e ci danno diritto a grazie attuali che riceviamo a tempo opportuno.

135. C) Ma fece anche di più; ci diede il potere di sodisfare e di meritare, volendo così associarci a Lui come cause secondarie e far di noi gli artefici della nostra santificazione. Ce ne fa perfino un precetto e condizione essenziale della nostra vita spirituale. S’ei portò la croce, gli è perché anche noi lo seguiamo portando la nostra: « Si quis vult post me venire, abneget semetipsum, tollat crucem suam, et sequatur me ». (Matth. XVI, 24). Così l’intesero gli Apostoli: « Se vogliamo partecipare alla sua gloria, dice S. Paolo, dobbiamo anche partecipare ai suoi patimenti, « si tamen compatimur ut et conglorificemur» (Rom. VIII, 17); e S. Pietro aggiunge che se Gesù Cristo patì per noi, lo fece perché noi battiamo le sue orme (I S. Pietr. II, 21). Anzi, le anime generose si sentono stimolate, come S. Paolo, a soffrir lietamente, in unione con Cristo, per il suo corpo mistico che è la Chiesa (Colos. I, 24); a questo modo partecipano all’efficacia redentrice della sua Passione e collaborano come cause seconde alla salute dei fratelli. Oh! quanto questa dottrina è più vera, più nobile, più consolante dell’incredibile affermazione di certi protestanti che hanno il triste coraggio d’affermare che, avendo Gesù Cristo patito sufficientemente per noi, noi non abbiamo che da godere dei frutti della sua redenzione senza berne il calice! Pretendono con ciò di esaltare la pienezza dei meriti di Cristo, mentre in verità è il potere di meritare quello che fa risaltar meglio la pienezza della redenzione. Non è infatti più onorifico per Cristo il manifestare la fecondità delle sue soddisfazioni, associandoci all’opera sua redentrice e rendendoci capaci di collaborarvi, benché in modo secondario, con imitarne gli esempi?

II. Gesù causa esemplare della nostra vita.

136. Gesù non si contentò di meritare per noi, ma volle pur essere la causa esemplare, il modello vivente della nostra vita soprannaturale. Gran bisogno noi avevamo d’un modello di questo genere; perché, per coltivare una vita che è una partecipazione della vita stessa di Dio, dobbiamo avvicinarci quanto più è possibile alla vita divina. Ora, osserva S. Agostino, gli uomini che avevamo sotto gli occhi erano così imperfetti da non poterci servire da modelli, e Dio, che è la santità stessa, sembrava troppo distante. E allora l’eterno Figlio di Dio, viva sua immagine, si fa uomo e ci mostra coi suoi esempi come si può sulla terra avvicinarci alla perfezione divina. Figlio di Dio e figlio dell’ uomo, visse una vita veramente deiforme e poté dire « qui videt me, videt et Patrem » (Joan XIV, 9) chi vede me, vede anche il Padre mio. Avendo manifestato nelle sue azioni la santità divina, poté proporci come possibile l’imitazione delle divine perfezioni: « Estote igitur perfecti sicut et Patervester cœlestis perfectus est » (Matth. V, 48). Ecco perché il Padre ce lo propone come modello: nel Battesimo e nella Trasfigurazione, apparendo ai discepoli dice loro parlando del Figlio: « Hic est filius meus in quo mihi bene compiacui» (Matth. III, 17): ecco il mio Figlio nel qualemi sono compiaciuto. Se trova in Lui tutte le sue compiacenze, Ei vuole dunque che noi l’imitiamo. Anche Nostro Signore ci dice con tutta sicurezza: « Ego sum via… nemo venit ad Patrem nisi per me… Discite a me quia mitis sum et humilis corde… Exemplum enim dedi vobis ut quemadmodum ego feci vobis, ita et vos faciatis(Joan XIV, 6). E che cos’è in sostanza il Vangelo se non il racconto della vita, della passione e morte e risurrezione di Nostro Signore, onde proporlo alla nostra imitazione? « cœpit facere et docere» (Act. I, 1).Che cos’è il Cristianesimo se non l’imitazione di Gesù Cristo? tanto che S. Paolo compendierà tutti i doveri Cristiani in quello d’imitare Nostro Signore: « Imitatores mei estote sicut et ego Christi» (I Cor. IV, cfr. XI, 1). Vediamo dunque quali sono le qualità di questo modello.

137. a) Gesù è un modello perfetto; anche per confessione di coloro che non credono alla sua divinità, Egli è il tipo più compito di virtù che sia mai comparso sulla terra. Praticò le virtù in grado eroico e con le disposizioni interne più perfette: religione verso Dio, amore del prossimo, annientamento di se stesso, orrore del peccato e di ciò che può condurvi. Eppure è un modello imitabile ed universale, pieno d’attrattiva, i cui esempi sono pieni d’efficacia.

138. b) È un modello che tutti possono imitare; perché  volle assumere le nostre miserie e le nostredebolezze, subire persino la tentazione, esserci similein tutto fuori del peccato: « Non enim habemus Pontificem qui non possit compati infirmitatibus nostris; tentatum autem per omnia prò similitudine absque peccato » ( Hebr., IV, 15). Per trent’anni Ei visse la vita più nascosta, più oscura, più comune, obbedendo a Maria e a Giuseppe, lavorando come garzone ed operaio, “fabri filius” (Matth., XIII, 55 ); e perciò divenne il modello perfetto della maggior parte degli uomini, che non hanno se non doveri oscuri da compiere e che devono santificarsi in mezzo alle occupazioni più comuni. Ma visse pure la vita pubblica e praticò l’apostolato sia in un gruppo scelto, formando gli Apostoli; sia tra la folla, evangelizzando il popolo; e quindi dovette soffrire la fatica e la fame; godette l’amicizia di alcuni come ebbe a sopportare l’ingratitudine di altri; provò trionfi e sconfitte; passò insomma per le peripezie di ogni uomo che ha relazioni con gli amici e col pubblico. La sua vita sofferente ci diede l’esempio della pazienza più eroica in mezzo alle torture fisiche e morali che Ei tollerò, non solo senza lamentarsi, ma pregando per i suoi carnefici. Né si dica che, essendo Dio, patì di meno; era anche uomo: dotato di squisita sensibilità, sentì più vivamente di noi l’ingratitudine degli uomini, l’abbandono degli amici, il tradimento di Giuda; provò tali sentimenti di tedio, di tristezza, di timore, che non poté tenersi dal pregare che l’amaro calice, se fosse possibile, s’allontanasse da Lui; e, sulla croce, emise quel grido straziante che mostra la profondità delle sue angoscie: « Deus, Deus meus, ut quid dereliquisti me? » (Matth., XXVII, 46). Gesù fu dunque un modello universale.

139. c) Si mostra pieno d’attrattiva. Aveva predetto che, quando fosse elevato da terra (alludendo al supplizio della croce), avrebbe attirato tutto a sé: « Et ego, si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum » (Joan. XII, 32). La profezia si avverò. Vedendo ciò che Gesù fece e patì per loro, i cuori generosi si accesero d’amore pel divin Crocifisso e quindi per la sua croce (Tale è il senso della preghiera di S. Andrea Apostolo, crocifisso per Gesù, che saluta amorosamente la croce: O bona crux”; non ostante le ripugnanze della natura, portano valorosamente le croci interne od esterne, sia per meglio rassomigliare al divino Maestro, sia per attestargli il loro amore, soffrendo con Lui e per Lui, sia per avere una parte più abbondante dei frutti della redenzione e collaborare con Lui alla santificazione dei fratelli. E ciò che chiaramente si vede nella vita dei Santi, i quali corrono dietro la croce con più avidità che non i mondani dietro i piaceri.

140. d) Questa attrattiva è tanto più forte in quanto che Egli vi aggiunge l’efficacia della sua grazia: essendo le azioni fatte da Gesù prima della morte tutte meritorie, egli ci meritò la grazia di farne di simili; quando noi consideriamo la sua umiltà, la sua povertà, la sua mortificazione e le altre sue virtù, siamo eccitati ad imitarlo non solo per la forza persuasiva dei suoi esempi, ma anche per l’efficacia delle grazie che ci meritò praticando le virtù e che in quell’occasione ci concede.

141. Vi sono poi certe particolari azioni di Nostro Signore che hanno una maggiore importanza e a cui dobbiamo in modo speciale unirci perché contengono più copiose grazie: sono i suoi misteri. Così il mistero dell’Incarnazione ci meritò la grazia della rinunzia a noi stessi e della unione con Dio, perché Nostro Signore ci offrì con Lui per consacrarci tutti al Padre; il mistero della crocifissione ci meritò la grazia di crocifiggere la carne e le sue cupidigie; il mistero della morte ci meritò di morire al peccato e alle sue cause, ecc. La qual cosa, del resto, intenderemo meglio, vedendo in che modo Gesù è il capo del Corpo mistico di cui noi siamo le membra.

III. Gesù capo del corpo mistico o fonte di vita.

142. Questa dottrina si trova già sostanzialmente nelle parole di Nostro Signore : “Ego sum vitis, vos palmites(Joan. XV, 5),Io sono la vite e voi i tralci. Egli afferma infatti che noi riceviamo la vita da Lui come i tralci della vite la ricevono dal ceppo a cui sono uniti. Questo paragone fa dunque risaltare la comunanza di vita che corre tra Nostro Signore e noi; onde è facile passare all’idea del corpo mistico in cui Gesù, come capo, fa scorrere la vita nelle membra. Chi insiste di più su questa dottrina così feconda di risultati è S. Paolo. In un corpo sono necessari un capo, un’ anima e delle membra. Appunto questi tre elementi descriveremo, attenendoci alla dottrina dell’Apostolo.

143. 1° Il capo esercita nel corpo umano un triplice ufficio: ufficio di preminenza, perché ne è la parte principale; ufficio di centro d’unità, perché riunisce e dirige tutte le membra; ufficio d’influsso vitate, perché da lui parte il movimento e la vita. Ora appunto questo triplice ufficio esercita Gesù nella Chiesa e sulle anime, a) Ha certamente la preminenza su tutti gli uomini Egli che, come uomo, è il primogenito tra tutte le creature, l’oggetto delle divine compiacenze, il modello perfetto d’ogni virtù, la causa meritoria della nostra santificazione, Egli che, pei suoi meriti, venne esaltato su tutte le creature e al cui cospetto deve piegarsi ogni ginocchio in cielo, in terra e nell’inferno.

b) Gesù è nella Chiesa il centro d’ unità. Due cose sono essenziali in un organismo perfetto: la varietà degli organi e delle funzioni che compiono e la loro unità in un comune principio; senza questo doppio elemento non si avrebbe che una massa inerte o un aggregato d’esseri viventi senza vincolo organico. Ora è pur sempre Gesù che, dopo avere costituito nella Chiesa la varietà degli organi con l’istituzione della gerarchia, ne rimane centro d’ unità, poiché è Lui, capo invisibile ma reale, che imprime ai capi gerarchici la direzione e il movimento.

e) Gesù è pure il principio dell’influsso vitale che anima e vivifica tutte le membra. Anche come uomo riceve la pienezza della grazia per comunicarcela: “Vidimus eum plenum gratiae et veritatis… de cuius plenitudine nos omnes accepimus, et gratiam prò gratia” (Joan. I, 14-16). Non è infatti causa meritoria di tutte le grazie che riceviamo e che ci sono distribuite dallo Spirito Santo? Anche il Concilio di Trento afferma senza esitare quest’ azione e quest’influsso vitale di Gesù sui giusti: “Cum enim ille ipse Christus Jesus tanquam caput in membra… in ipsos iustificatos iugiter virtutum influat(Sess. VI, VIII).

144. 2° A d ogni corpo è necessario non solo un capo ma anche un’anima. Ora l’anima del corpo mistico di cui Gesù è il capo, è lo Spirito Santo (cioè la SS. Trinità indicata con questo nome); è lui infatti che diffonde nelle anime la carità e la grazia meritate da Nostro Signore: “Charitas Dei diffusa est in cordibus nostris per Spiritum Sanctum qui datus est nobis” (Rom., V, 5). – Ecco perché è chiamato Spirito vivificante: “Credo in Spiritum… vivificantem’. Ecco perché S. Agostino dice che lo Spirito Santo è per il corpo della Chiesa ciò che l’anima è pel corpo naturale: “Quod est in corpore nostro anima, id est Spiritus Sanctus in corpore Christi quod est Ecclesia ” (Sermo 187 de tempore).Questa espressione, del resto, fu consacrata da Leone XIII nella Enciclica sullo Spirito Santo (Atque hoc affirmare sufficiat quod cum Christus caput sit Ecclesiæ, Spiritus Sanctus sit eius anima “. (Encicl. 9 Maggio 1897)

— È pure questo divino Spirito che distribuisce i vari carismi: agli uni il discorso della sapienza o la grazia della predicazione, agli altri il dono dei miracoli, a questi il dono della profezia, a quelli il dono delle lingue, ecc. : “Hæc autem omnia operatur unus atque idem Spiritus, dividens singulis prout vult (1 Cor., XII, 6).

145. Queste due azioni di Cristo e dello Spirito Santo non solo non s’intralciano ma si compiono a vicenda. Lo Spirito Santo ci proviene da Cristo. Quando Gesù viveva sulla terra, possedeva nella santa sua anima la pienezza dello Spirito; con le sue azioni e principalmente coi suoi patimenti e con la sua morte, meritò che questo Spirito ci fosse comunicato: è dunque in grazia sua che lo Spirito Santo viene a comunicarci la vita e le virtù di Cristo e a renderci simili a Lui. Così si spiega tutto: Gesù, essendo uomo, può egli solo essere il capo di un corpo mistico composto di uomini, dovendo il capo e le membra essere della stessa natura; ma, come uomo, non può da se stesso conferire la grazia necessaria alla vita delle membra, onde vi supplisce lo Spirito Santo compiendo appunto quest’ufficio; ma poiché lo fa in virtù dei meriti del Salvatore, si può ben dire che l’influsso vitale parte in sostanza da Gesù per arrivare alle membra.

146. 3° Quali sono dunque i membri di questo corpo mistico? Tutti coloro che sono battezzati. Di fatti col Battesimo veniamo incorporati a Cristo, come dice S. Paolo: ” Etenim in uno Spiritu omnes nos in unum corpus baptizati sumus(1 Cor. XII, 13; Gal. III, 25; Rom. III, 17). Ecco perché  aggiunge che fummo battezzati in Cristo e che colBattesimo ci rivestiamo di Cristo (Rom. VI, 3), vale a dire che partecipiamo alle disposizioni interne di Cristo: la qual cosa il Decreto per gli Armeni spiega dicendo che col Battesimo diventiamo membri di Cristo e parte del corpo della Chiesa: per ipsum (baptismum) enim membra Christi ac de corpore efficimur Ecclesiæ(DENZIGER-BANN., n. 696).

– Ne viene che tutti i battezzati sono membri di Cristo ma in grado diverso: i giusti gli sono uniti per mezzo della grazia abituale e di tutti i privilegi che l’accompagnano; i peccatori per mezzo della fede e della speranza; i beati per mezzo della visione beatifica. Gli infedeli poi non sono attualmente membri del suo corpo mistico, ma, finché vivono sulla terra, sono chiamati a divenirlo; i dannati soltanto sono esclusi per sempre da questo privilegio.

147. Conseguenze di questo domma. —

A) Su questa incorporazione a Cristo è fondata la comunione dei Santi; i giusti che vivono quaggiù, le anime del Purgatorio e i Santi del cielo, fanno tutti parte del Corpo mistico di Gesù, tutti ne partecipano la vita, ne ricevono l’influsso e devono scambievolmente amarsi e aiutarsi come le membra d’uno stesso corpo; perché, dice S. Paolo, « se un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui; e se un membro è glorificato, tutte godono con lui: Si quid patitur unum membrum, compatiuntur omnia membra; sive gloriatur unum membrum, congaudent omnia membra. » (1 Cor. XII, 26; Gal. III, 28; 1 Cor. XII, 13; Rom. X, 12)

148. B) Ecco perché tutti i Cristiani sono fratelli: non vi è più ormai né Giudeo, né Greco, né uomolibero né schiavo; siamo tutti uno solo in Cristo Gesù (Ephes., I, 23). Siamo dunque tutti solidarii e ciò che è utile ad uno è utile agli altri, perché, qualunque sia la diversità dei doni e degli uffici, tutto il corpo s’avvantaggia di ciò che vi è di buono in ciascun membro, come ciascun membro si avvantaggia a sua volta dei beni dell’intero corpo. Con questa dottrina si spiega pure perché Nostro Signore poté dire: Ciò che fate al più piccolo dei miei, a me lo fate; il capo infatti si identifica con le membra.

149. C) Ne viene che, secondo la dottrina di S. Paolo, i Cristiani sono il compimento di Cristo: Dio infatti “lo diede per capo supremo alla Chiesa, che è il corpo di Lui e la pienezza di Lui, il quale compie tutto in tutti: “Ipsum dedit caput supra omnem Ecclesiam, quce est corpus ipsius et plenitudo eius, qui omnia in omnibus adimpletur(Ephes. I, 23). – Gesù, infatti, pur essendo perfetto in se stesso, ha bisogno d’un compimento per formare il suo Corpo mistico: sotto questo aspetto, non basta a se stesso ma ha bisogno di membra per esercitare tutte le funzioni vitali. Onde l’Olier conchiude (Pensèes, p. 15-16): “Cediamo le anime nostre allo Spirito di Gesù Cristo perché Egli cresca in noi. Se trova soggetti ben disposti, si dilata, s’accresce, s’espande nei loro cuori, li profuma dell’unzione spirituale di cui è Egli stesso profumato “. E questo il modo con cui possiamo e dobbiamo compiere la Passione del Salvatore Gesù, soffrendo come ha sofferto Lui, affinché questa passione, così compita in se stessa, si compia anche nei suoi membri nel corso del tempo e dello spazio:Adimpleo ea qua desunt passionum Christi in carne mea prò corpore eius quod est Ecclesia (Colos. I, 24). Come si vede, non v’ è nulla di più fecondo di questa dottrina sul corpo mistico di Gesù.

CONCLUSIONE:

DEVOZIONE AL VERBO INCARNATO (P. BÉRULLE – chiamato l’apostolo del Verbo Incarnato-, Discours de l’Estat et des Grandeurs de Jesus).

150. Da tutto il fin qui detto sulla parte di Gesù nella vita spirituale risulta che, per coltivar questa vita, dobbiamo vivere in unione intima, affettuosa, abituale con Lui, o, in altri termini, praticare la devozione al Verbo Incarnato: ” Qui manet in me et ego in eo, hic fert fructum multuni; Chi resta ime ed Io in lui, produce frutti abbondanti (Joan. XV, 5). È quello che c’inculca la Chiesa, ricordandoci verso la fine del Canone della Messa, che per Lui noiriceviamo tutti i beni spirituali, per Lui siamo santificati, vivificati e benedetti, per Lui, con Lui e in Lui dobbiamo rendere ogni onore e ogni gloria a Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo (Per quem hæc omnia, Domine, semper bona creas, sanctificas, vivificas, benedicis et præstas nobis; per ipsum, et cum ipso et in ipso est tibi Deo Patri omnipotenti, in unitate Spiritus Sancti, omnis honor et gloria). Ecco un intero programma di vita spirituale: avendo ricevuto tutto da Dio per mezzo di Cristo, per Lui dobbiamo pure glorificar Dio, per Lui dobbiamo chiedere nuove grazie, con Lui e in Lui dobbiamo fare tutte le nostre azioni.

151. 1° Essendo Gesù il perfetto adoratore del Padre, o, come dice l’Olier, il religioso di Dio, il solo che gli possa offrire omaggi infiniti, è evidente che per rendere i nostri ossequi alla SS. Trinità, non possiamo far di meglio che unirci intimamente a Lui ogni volta che vogliamo compiere i nostri doveri di Religione. Il che è tanto più facile in quanto che, essendo Gesù il capo d’un Corpo mistico di cui noi siamo le membra, adora il Padre non solo in nome suo ma anche in nome di tutti coloro che gli sono incorporati, e mette a nostra disposizione gli omaggi che rende a Dio, permettendoci di appropriarceli per offrirli alla SS. Trinità.

152. 2° Con Lui e per Lui noi possiamo pure chiedere con la massima efficacia nuove grazie; perché Gesù, Sommo Sacerdote, prega incessantemente per noi, (semper vivens ad interpellandum prò nobis) (Hebr. VII, 25). Anche quando abbiamo la disgrazia d’offendere Dio, Egli perora la nostra causa, con tanto maggior eloquenza in quanto offre nello stesso tempo il sangue versato per noi: « Si quis peccaverit, advocatum habemus apud Patrem Jesum Christum iusttim, et ipse est propitiatio prò peccatis nostris»(Joan. II, 1). Inoltre dà alle nostre preghiere tal valore che, se noi preghiamo in suo nome, cioè appoggiandoci sugli infiniti suoi meriti, siamo sempre sicuri d’essere esauditi: « Amen, amen, dico vobis, si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis » (Joan. XVI, 23). Infatti il valore dei suoi meriti viene comunicato ai suoi membri, e Dio non può rifiutar nulla a suo Figlio: « exauditus est prò sua reverentia» (Hebr. V, 7).

153. Bisogna in ultimo fare tutte le nostre azioni in unione con Lui, avendo abitualmente, secondo una bella espressione dell’Olier (Introd. à la vie et aux vertus chrétiennes, cap. IV, p. 47, ed. 1906), Gesù davanti agli occhi, nel cuore e nelle mani: davanti agli occhi, vale a dire considerandolo come modello che dobbiamo imitare e chiedendoci, come S. Vincenzo De Paoli: Che cosa farebbe Gesù se fosse al mioposto? Nel cuore, attirando in noi le sue interne disposizioni, la sua purità d’intenzione, il suo fervore, per fare le nostre azioni secondo il suo spirito; nelle mani, eseguendo con generosità, energia e costanza le buone ispirazioni che ci suggerisce.Allora la nostra vita sarà trasformata e noi vivremo della vita di Cristo: « Vivo autem, iam non ego, vivit vero in me Christus: vivo, non più ioma vive in me Cristo » (Gal. II, 20).

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/23/la-grazia-note-di-teologia-ascetica-5/

SALMI BIBLICI: “DEUS DEORUM, DOMINUS LOCUTUS EST” (XLIX)

Salmo 49: “DEUS DEORUM, DOMINUS LOCUTUS EST”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME PREMIER.

PARIS LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 49

[1] Psalmus Asaph.

       Deus deorum, Dominus, locutus est,

et vocavit terram a solis ortu usque ad occasum.

[2] Ex Sion species decoris ejus:

[3] Deus manifeste veniet; Deus noster, et non silebit. Ignis in conspectu ejus exardescet; et in circuitu ejus tempestas valida.

[4] Advocabit cœlum desursum, et terram, discernere populum suum.

[5] Congregate illi sanctos ejus, qui ordinant testamentum ejus super sacrificia.

[6] Et annuntiabunt cœli justitiam ejus, quoniam Deus judex est.

[7] Audi, populus meus, et loquar Israel, et testificabor tibi. Deus, Deus tuus ego sum.

[8] Non in sacrificiis tuis arguam te; holocausta autem tua in conspectu meo sunt semper.

[9] Non accipiam de domo tua vitulos, neque de gregibus tuis hircos;

[10] quoniam meae sunt omnes feræ silvarum, jumenta in montibus, et boves.

[11] Cognovi omnia volatilia cœli; et pulchritudo agri mecum est.

[12] Si esuriero, non dicam tibi: meus est enim orbis terræ, et plenitudo ejus.

[13] Numquid manducabo carnes taurorum? aut sanguinem hircorum potabo?

[14] Immola Deo sacrificium laudis, et redde Altissimo vota tua.

[15] Et invoca me in die tribulationis; eruam te, et honorificabis me.

[16] Peccatori autem dixit Deus: Quare tu enarras justitias meas? et assumis testamentum meum per os tuum?

[17] Tu vero odisti disciplinam, et projecisti sermones meos retrorsum.

[18] Si videbas furem, currebas cum eo; et cum adulteris portionem tuam ponebas.

[19] Os tuum abundavit malitia, et lingua tua concinnabat dolos.

[20] Sedens, adversus fratrem tuum loquebaris, et adversus filium matris tuæ ponebas scandalum.

[21] Hæc fecisti, et tacui. Existimasti inique quod ero tui similis: arguam te, et statuam contra faciem tuam.

[22] Intelligite hæc, qui obliviscimini Deum: nequando rapiat, et non sit qui eripiat.

[23] Sacrificium laudis honorificabit me; et illic iter quo ostendam illi salutare Dei.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XLIX (1)

Asaph è il primario cantore costituito da Davide. Forse compose anche qualche Salmo degli intitolati a lui. La venuta di Cristo nell’umiltà a radunar gli uomini alla fede; la seconda venuta nella maestà a congregar gli uomini al giudizio. Di quali cose si avrà a render conto principalmente al giudizio.

Salmo per Asaph.

1. Il Dio degli dei, il Signore ha parlato, e ha chiamata la terra, dall’oriente fino all’occaso.

2. Da Sionne (apparirà) lo splendore di sua magnificenza.

3. Manifesto verrà Iddio, il nostro Dio,  non istarà in silenzio. Innanzi a lui un fuoco ardente, e con questo fuoco un turbine violento.

4. Chiamerà di lassù il cielo e la terra a giudicare il suo popolo.

5. Congregate a lui tutti i suoi santi, i quali formaron con lui alleanza per mezzo dei sacrifizi.

6. E i cieli annunzieranno la giustizia di lui, perché il giudice è Dio.

7. Ascolta, popol mio, e io parlerò; Israele (ascolta), e io spiegherommi con te; Dio io sono e tuo Dio:

8. Non ti riprenderò per ragione dei tuoi sacrifizi, e i tuoi olocausti sono sempre dinanzi a me.

9. Non riceverò dalla tua casa i vitelli, né dai tuoi greggi i capretti.

10. Imperocché sono mie tutte le fiere dei boschi, i giumenti nei monti ed i bovi.

11. Io conosco tutti gli uccelli dell’aria, ed è mia l’amenità delle campagne.

12. Se io avessi fame, a te noi direi; imperocché mia è la terra e quello che la riempie.

13. Mangerò io forse le carni dei tori? O beverò io il sangue dei montoni?

14 Offerisci a Dio sacrifizio di lode, e le promesse adempì fatte da te, all’Altissimo.

15. E invocami nel giorno della tribolazione; ti libererò e tu darai a me gloria.

16. Ma al peccatore disse Dio: Perché fai tu parola dei miei comandamenti, e hai nella bocca la mia alleanza?

17. Tu però hai in odio la disciplina, e ti sei gettate dietro le spalle le mie parole.

18. Se vedevi un ladro, correvi con lui, e facevi combriccola cogli adulteri.

19. La tua bocca è stata piena di malvagità, e la tua lingua ordiva inganni.

20. Stando a sedere, parlavi contro del tuo fratello, e al figliuolo di tua madre ponevi inciampo; queste cose hai fatte, ed io ho taciuto.

21. Hai creduto, o iniquo, ch’io sia per essere simile a te; ti riprenderò, e te porrò di contro alla tua faccia.

22. Ponete mente a queste cose, voi che vi scordate di Dio; affinché non vi rapisca una volta senza che sia chi vi liberi.

23. Il sacrifizio di lode mi onorerà; ed esso è la via per cui farò vedere all’uomo la salute di Dio.

Sommario analitico

Per ben comprendere l’oggetto primario e letterale di questo salmo, bisogna ricortarsi, come nota il rabbino Anyrald, che nella nazione giudea esistevano due classi di uomini: gli uni, religiosi, ma poco istruiti, facevano consistere tutta la giustizia nell’offrire olocausti e vittime secondo il rito consacrato; gli altri, dottori ipocriti, predicavano la legge di Dio, ma non ne tenevano conto nella loro condotta. Dio discende dal cielo per giudicarli tutti, illumina l’ignoranza degli uni e rimprovera severamente agli altri la loro falsa pietà. Questo salmo morale, nel quale Asaf si erge con tanta forza ed eloquenza contro l’oblio di Dio e l’allontanamento dai costumi, non può rapportarsi ai tempi di Obcozia e di Athalia, come gli altri dello stesso autore. Esso si applica perfettamente al doppio monito di Gesù-Cristo. Nel primo egli separa dai Giudei carnali i Giudei spirituali, di cui Egli fa le primizie della Chiesa. Nel secondo Egli farà il discernimento tra gli eletti ed i riprovati tra tutti gli uomini.

I. – Nel magnifico esordio il salmista descrive l’avvento di Dio che viene a giudicare la terra, e le circostanze che preparano questo giudizio:

1° Egli fa conoscere i personaggi:

a) il Giudice -1° è il Dio degli dei; -2° Egli è mirabile per la sua potenza; -3° è terribile per la sua giustizia (1);

b) coloro che devono essere giudicati: sono tutti gli uomini dall’oriente al ponente (2);

La modalità del giudizio:

a) le circostanze che lo precederanno: – 1) il giudice che viene in tutto il suo splendore e in tutta la sua maestà, uscendo dal suo silenzio contro i colpevoli (3); – 2) un fuoco divoratore lo precederà; – 3) una violenta tempesta lo circonderà (4);

b) le circostanze che lo accompagneranno: – 1) i testimoni chiamati dal cielo e dalla terra (4); – 2) i giusti separati per la gloria; – 3) i Santi condotti nella gloria (5); – 4) i giudizi di Dio che ricevono l’approvazione dei cieli, cioè dai Santi (6).

II. – La materia del giudizio sui due tipi di uomini in questione:

1° Quanto ai primi, non è per non aver offerto a Dio dei sacrifici materiali, come il sangue dei capri e dei tori, che Dio li condannerà (7): – a) questi sacrifici sono sgraditi a Dio, a causa della loro frequenza e molteplicità (8); – b) essi non sono necessari al sovrano Maestro dell’universo (9-11); – c) essi sono inutili per Colui che non ne ha bisogno (12, 13); – d) ciò che è gradito a Dio è: l’offrirgli un sacrificio di lode (14); – e) compiere i voti a Lui fatti; – f) invocarlo nella tribolazione; – g) rendergli ogni onore e gloria (15).

2° Quanto ai secondi, che vivono una vita criminosa, e che osano farsi predicatori ed interpreti di una legge che li condanna (16): Egli rimprovera loro: -a) i peccati di pensiero, vale a dire l’odio che hanno come loro disciplina ed il disprezzo per la parola di Dio (17); – b) i peccati di azione, cioè di inclinazione all’appropriarsi dei beni del prossimo, e la tendenza che hanno al libertinaggio (18); – c) i peccati di parole, malvagità, furberie, maldicenze (19, 20); – d) la loro falsa sicurezza, ingiuriosa a Dio, che essi credono simile a loro (21); vana, quando sentiranno gli effetti della sua vendetta; insensata, perché non sarà evitata da così grandi mali in considerazione del giudizio e per la preghiera (22, 23).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-6.

ff. 1-3. – « Il Dio degli dei », gli dei delle nazioni, non che da essi esistano realmente, ma perché l’errore dei popoli ha dato loro una supposta esistenza. Il Re-Profeta cerca di purificare lo spirito dei Giudei da questo errore, mostrando loro che Dio è il sovrano maestro di tutti questi pretesi dei (S. Chrys.). – Il Dio degli dei ha parlato in diverse maniere: Egli ha parlato per mezzo degli Angeli, ha parlato per mezzo dei Profeti (Heb. I, 1), ha parlato con la propria bocca, ha parlato per mezzo degli Apostoli con i suoi fedeli, Egli parla ancora per mezzo degli umili ministri, quando dicono qualcosa di vero. Così vediamo che, pur parlando un gran numero di volte in molte maniere, con mille strumenti, con mille organi diversi, è sempre Lui che si fa intendere dappertutto, che tocca, che trasforma e che ispira le anime (S. Agost.). – Nel corso delle sue prime apparizioni, Egli è venuto in modo non eclatante, sconosciuto al maggior numero degli uomini, e prolungando per lunghi anni il mistero della sua vita nascosta. Così non sarà per un secondo avvento: Egli verrà con grande splendore e non avrà bisogno di annunciare di annunciare la prossima sua venuta (S. Chrys.). – « Finora Io ho taciuto, dice il Signore », e « l’uomo solo ha parlato per giudicarmi, per condannarmi; Io sono pieno di pazienza, parlerò come una donna prima di partorire, Io distruggerò, Io annienterò ». (Isaia XLII, 14). – « Egli verrà visibilmente e non manterrà il silenzio ». Ma ora tace? E da dove viene ciò che noi diciamo? Da dove vengono questi comandamenti? Da dove vengono questi avvertimenti? Da dove viene questo banditore di terrore? Egli non tace, eppur tace; Egli non tace per avvertire, Egli tace nel giudicare. In effetti Egli sopporta i peccatori che fanno il male tutti i giorni senza curarsi né di Dio, né nella loro coscienza, né in cielo né sulla terra. Certamente nulla di tutto questo Gli è nascosto; Egli avverte tutti gli uomini senza eccezione, e quando punisce qualcuno sulla terra, questo è ancora un avvertimento, non una condanna. Egli tace dunque quanto al giudizio; nascosto in cielo, Egli intercede ancora per noi; Egli è paziente nel punire i peccatori e non esercita con essi la sua collera, attendendone la penitenza (S. Agost.). – È cosa sorprendente che ci sia questo grande silenzio di Dio tra i disordini del genere umano. Tutti i giorni i suoi comandamenti sono disprezzati, le sue verità bestemmiate, i diritti del suo impero violati; e ciò nonostante il suo sole non si eclissa sugli empi; la pioggia bagna i loro campi; la terra non viene aperta sotto i loro piedi; Egli vede tutto, e dissimula; Egli tutto considera e tace. Io mi inganno: Egli non tace, e la sua bontà, i suoi benefici, il suo stesso silenzio sono una voce pubblica che invita tutti i peccatori a riconoscersi tali. Ma siccome i nostri cuori induriti sono sordi a tali propositi, Egli fa risuonare una voce più chiara, una voce netta ed intellegibile che ci invita alla penitenza. Egli non parla per giudicarci, ma parla per avvertirci, e questa parola di avvertimento deve servire da preparazione al suo terribile giudizio (Bossuet, Serm. I Diman. de l’Avv.). – Queste comparazioni con il fuoco, la tempesta, hanno come oggetto il farci comprendere la sovrana immutabilità di Dio, la luce splendida che Lo circonda, la sua natura inaccessibile, ed il castigo terribile che riserva ai peccatori (S. Chrys.). – E tutto intorno a Lui sarà una tempesta violenta che spazzerà l’aria, quantunque sia vasta. E sarà il soffio di questa tempesta che spazzerà dai santi tutto ciò che è immondo; dai fedeli, tutto ciò che è ipocrita, dai Cristiani pii che temono la parola di Dio, tutti gli orgogliosi che disprezzano questa parola. Ora, in effetti, dal sorgere al tramonto del sole si trova su questa terra una mescolanza di elementi diversi. Vediamo dunque come farà Colui che deve venire, ciò che farà per mezzo di questa tempesta violenta che solleverà intorno a sé e che, senza alcun dubbio, opererà una separazione. Questa separazione non l’hanno attesa coloro che, prima di arrivare in riva, hanno rotto le reti (Luc. V, 6). Questa prima separazione stabilisce già una certa distinzione tra i cattivi ed i buoni (S. Agost.).

ff. 4-6. – Gli Angeli e gli uomini sono chiamati a questo terribile giudizio: – discernimento pieno di luce e di giustizia; – separazione eterna dei malvagi tra di mezzo ai giusti, del padre dai suoi figli, del marito dalla moglie, del fratello da sua sorella, dell’amico dal suo amico (Dug.). – « Egli chiamerà dall’alto del cielo e chiamerà la terra, per fare il discernimento del suo popolo ». Da chi, … se non dai malvagi? Egli chiama dunque la terra non per accoglierla per intero, senza esame, ma per farne il discernimento. Già Egli discerne la terra dal concerto con il cielo, cioè il cielo si unisce a Lui per fare il discernimento della terra. Come fa questo discernimento? Egli pone gli uni alla sua destra e gli altri alla sua sinistra (S. Agost.). – Questo richiamo del cielo e della terra per essere testimoni del giudizio di Dio e per giudicare anche con Dio, è sufficiente a dimostrare che tutte le creature raziocinanti avranno mezzi di salvezza, benché noi ignoriamo sovente sulla terra quali siano questi mezzi ed in cosa essi consistano. Dio non temerà, in qualche modo, di rimettere la sua causa tra le mani degli Angeli e degli uomini (Berthier). – Un altro tratto del salmista rileva la divina misericordia verso questo mondo che è chiamato in giudizio, ed aggrava la perversità dei colpevoli che hanno esasperato un così buon Padre benefattore: « Tutti coloro che hanno contratto con me un’alleanza sigillata con i sacrifici ». Dio comincia per così dire il suo giudizio dalla sua casa propria, da quelli dei solenni giuramenti, delle cerimonie particolari, dei sacrifici multipli; in due parole, prima di Gesù-Cristo, della circoncisione e la legge di Mosè; e da quelli che dopo Gesù-Cristo, con il Battesimo e la legge evangelica, si sono legati in modo tutto speciale al suo servizio, cosicché tutti gli uomini possono attingere una importante e salutare istruzione in questa prima manifestazione della giustizia divina. Essi vedranno chiaramente che il culto esteriore, per quanto ragionevole e necessario esso sia, non è sufficiente per rendere a Dio l’omaggio che Gli è dovuto. Bisogna, come la legge antica prescriveva, e come lo prescrive pure la nuova ancor più imperiosamente, aggiungere alle dimostrazioni esterne il culto interiore di un amore sincero, di una profonda riconoscenza, di una umile fervente preghiera. Allora soltanto Dio è adorato come vuole esserlo: in spirito e verità (Rendu). – I Cristiani che posseggono la qualità dei Santi in ragione della loro vocazione e che hanno dovuto mantenere questa qualità con la loro vita, particolarmente sono chiamati a questo giudizio. Più essi hanno ricevuto delle grazie dal Giudice sovrano, più il loro giudizio sarà severo. I Preti, che hanno fatto alleanza con Lui per offrirgli dei sacrifici, saranno giudicati in rapporto alla loro dignità, ai loro obblighi, ed ai talenti che sono stati loro affidati (Duguet). – Perché vien dato questo nome di Santi a coloro che Egli vuole accusare e condannare? È per imprimere più forza alle accuse, e far servire questo titolo di onore per rendere la punizione più eclatante. Così, noi stessi, quando cogliamo in fallo dei colpevoli, quando vogliamo rendere i nostri rimproveri più severi, li designiamo e li chiamiamo con le dignità di cui sono rivestiti, per dare più peso all’accusa, e diciamo: chiamate il diacono, chiamate il prete (S. Chrys.). – Carattere eclatante della giustizia di Dio, è la sua irresistibile evidenza, alla quale tutti saremo forzati a render conto … in Dio, il titolo di Giudice, è inseparabile dalla giustizia (S. Chrys.). – Non perdiamo mai di vista questa parola del Profeta: Dio è Giudice, per farne la regola di tutte le proprie azioni, di tutti i pensieri, dei propri desideri, di tutte le parole, dei propri sforzi. « Colui che giudica – diceva l’Apostolo – è il Signore », i giudizi degli uomini non devono né indurirci, né intimidirci, né turbarci (Berthier).

II. — 7-13.

ff. 7. – Esordio che spira dolcezza e bontà: Dio agisce come un uomo che direbbe ad uno dei suoi simili che vuol fare strepitio o esercitare scompiglio: se volete ascoltarmi io parlerò; se volete essere attenti, io vi farò intendere la mia voce (S. Chrys.). – Ascolta popolo mio, ed io ti parlerò, perché se tu non ascolti io non potrò più parlarti; se tu non mi ascolti, quand’anche io parlassi, non sarebbe per te … io sono Dio e Io sono il tuo Dio, ed anche quando non sarò il tuo Dio, io sono Dio. È per mia felicità che sono Dio, e per tua disgrazia che Io non sia il tuo Dio. Voi chiedete a Dio una ricompensa; voi gli domandate qualcosa che, una volta data, sia per voi un bene: ecco che Dio stesso che deve darvela, è a voi. Cosa c’è più ricco di Lui? Voi chiedete un dono, quando voi possedete Colui medesimo che è l’Autore di ogni dono (S. Agost.). – Se noi vogliamo conoscere bene quale sarà la materia del giudizio che Dio eserciterà su di noi, cominciamo a ben meditare questo versetto. Dio ci invita ad ascoltarlo e ci dichiara subito ciò che Egli è. – Dio parla: che cosa rimprovera a coloro che sta per condannare? L’oblio di Dio, l’oblio della vera Religione, l’oblio della virtù. – Confessare Dio e la verità del suo Essere, adorarne la perfezione, ammirarne la pienezza, sottomettersi alla sua sovrana potenza, abbandonarsi alla sua alta ed incomprensibile saggezza, confidare nella sua bontà, temere la sua giustizia, sperare nella sua eternità, ecco tutto il dovere dell’uomo, tutto il suo oggetto, tutta la sua natura (Bossuet, Or. fun. de la Duch. d’Or.).

III. — 8 – 23.

ff. 8-13. – Tutto il culto esteriore della Religione non ci sarà di alcuna utilità, se noi ci separiamo dal culto spirituale, interiore. «Dio è spirito, ed è in spirito e verità che bisogna adorarlo » (S. Giov. IV, 24). Tutto il Vangelo ci porta all’esercizio delle virtù che hanno il loro principio nel cuore. Cantare dei salmi al Signore, assistere al divino Sacrificio, partecipare ai Sacramenti, fare l’elemosina ai poveri, sono delle azioni religiose, ma delle azioni morte … senza il sacrificio dello spirito e della volontà (Berthier).

ff. 14-15. – Vediamo ciò che Dio domanda all’uomo. Quale imposte esige da noi, Egli, nostro Dio, nostro Imperatore e nostro Re, dal momento che ha voluto essere il nostro Re, ed ha voluto che noi fossimo il suo reame? Il povero non tema la tassa che Dio gli ha imposto: la tassa di cui Dio reclama il pagamento, comincia, Egli che la impone, con il darne l’ammontare ai suoi tributari. Dio non esige ciò che non abbia dato, ed Egli ha dato a tutti ciò che esige da loro (S. Agost.). O Dio mio, qual tributo mi imponete? « Immolate a Dio un sacrificio di lode ». Io temevo che mi domandaste qualcosa che fosse fuori di me, ed io non ho che da rientrare in me stesso, per trovarvi l’immolare una vittima di lode, e la mia coscienza sarà il vostro altare. O sacrificio gratuito la cui grazia ha dato la vittima! Io non ho comprato ciò che devo offrirvi, ma Voi stesso me l’avete data, perché senza di Voi, io non l’avrei posseduta. E questa immolazione di un sacrificio di lode consiste nel rendere delle azioni di grazie a Colui da cui ottenete tutto ciò che vi è di buono, e la cui misericordia vi rimetterà tutto ciò che, da voi stessi, avete di cattivo. (S. Agost.). – « Invocatemi nel giorno della vostra afflizione, Io vi libererò e voi mi glorificherete ». Ed è in effetti per questo scopo che Io ho permesso per voi il giorno dell’afflizione; perché forse, se voi non foste stati afflitti, voi non mi avreste invocato; ma quando voi siete afflitti, voi mi invocate; quando voi mi invocherete, io vi libererò; quando Io vi avrò liberato, voi mi glorificherete per non allontanarvi più da me (S. Agost.). « … e voi mi glorificherete », ecco il senso di queste parole: fate in modo che Dio sia glorificato dalla vostra vita, secondo le raccomandazioni di nostro Signore (Matth. V, 16). In effetti, lodare qualcuno è farne l’elogio, glorificarlo, celebrarne il nome. Che la vostra vita dunque, sia una lode perpetua di Dio, e voi avrete offerto un sacrificio perfetto. È questo sacrificio che San Paolo esige dai fedeli: « offrite i vostri corpi, dice loro, come un’ostia vivente, santa e gradita a Dio ». (Rom. XII, 1). « E rendete i vostri voti ». Rendete: una promessa, in effetti, ci rende veri debitori. Qualunque sia l’oggetto della vostra promessa, dare un’elemosina, far professione di una vita pura o qualcosa di simile, non tardate nell’adempierla. Io dirò ancor più: dopo un esame serio, voi riconoscerete che la virtù è per noi un obbligo rigoroso ed indipendente da ogni promessa. Gesù-Cristo stesso ce lo dichiara, quando dice (Luc. XVII, 10): « … noi abbiamo fatto ciò che noi dovevamo fare. (S. Chrys.).

ff. 16, 17. – Diverse sono le colpe che Dio rimprovera in coloro che annunziano la sua parola: 1° annunziarla senza averne avuto la missione, senza esservi stati chiamati; 2° essere peccatori; 3° aprire la bocca per parlare dell’alleanza di Dio con gli uomini, ed essere essi stessi fuori da questa alleanza; 4° non predicare le regole della pura morale del Vangelo e la disciplina della Chiesa, ma delle false regole accomodate al rilassamento ed alla cupidigia degli uomini; 5° rigettare le parole di Dio che si troverebbero nella preghiera, nelle meditazioni della Scrittura santa, nella lettura dei santi Padri, e sostituirle con discorsi, pensieri tratti dalla lettura di autori profani; 6° correre con prontezza nelle assemblee mondane, e non compiacersi che nella compagnia di uomini di mondo e nella conversazione con le donne; 7° Fare delle alleanze che sotto il pretesto di spiritualità, legano il cuore e finiscono con attaccamenti che, dopo aver iniziato con lo spirito, finiscono con la carne (Galat. III, 3); 8° esser se stesso un ladro, cercando di sottrarre la gloria che è unicamente di Dio, per attribuirla a se stesso; 9° avere una bocca tutta piena di malignità, dalla quale non esca se non ciò che proviene da un cuore guasto e corrotto, ed una lingua scaltra nell’ingannare con una ipocrisia fine e delicata, 10° disprezzare gli altri predicatori, rimproverare la loro condotta, tentare di renderli sospetti, non semplicemente di passaggio o come per occasione, ma espressamente e con proposito deliberato; 11° prendere i figli della Chiesa come cattivi esempi, 12° attirarsi con lo sconvolgimento dei propri costumi, il più terribile dei castighi di Dio, che è il tenersi in silenzio; 13° immaginarsi follemente che Dio possa essere simile al peccatore. Non serve a nulla istruire gli altri, se non si pratichi la virtù, e si perdano così i propri diritti alla dignità di dottore. Se nei giudizi umani, l’uomo ritenuto colpevole è condannato ad osservare il silenzio, come permettere a colui che è schiavo del peccato di prendere la parola per insegnare nell’assemblea dei fedeli, in questo spazio ben più angusto dei tribunali della terra? … Nessuno nelle corti regali potrebbe essere l’interprete e l’organo della parola del sovrano, se la sua vita è lordata da qualche crimine. Perché dunque narrate le mie giustizie e le insegnate agli altri, facendo voi invece il contrario? Perché con una contraddizione deplorevole tra la vostra vita ed i vostri discorsi, allontanate coloro che vorrebbero rendersi docili ai vostri insegnamenti? Non è più questo un insegnare con le vostre parole, ma è un pervertire con i vostri esempio (S. Chrys.). – « Voi avete disprezzato l’istruzione, ed avete rigettato le mie parole lontano da voi ». L’istruzione qui è la dottrina della Legge, che regola i sentimenti dell’anima, ne scaccia il vizio e vi depone il germe della virtù. Come dunque oserete insegnare questa dottrina, e seminarla nel cuore degli altri, quando essa non dirige affatto le vostre azioni? « Perché avete rigettato le mie parole lontano da voi ». Non soltanto la dottrina della Legge non vi ha insegnato nulla, ma avete anche distrutto in voi gli insegnamenti della natura. Dio in effetti ha posto nella nostra anima la distinzione tra ciò che dobbiamo fare e ciò che dobbiamo evitare; ma, voi, voi avete rigettato questi insegnamenti e li avete banditi dai vostri ricordi (S. Chrys.).

ff. 18. – « Se vedete un ladro, correte a lui ». Ecco la causa di tutti i mali, ecco il grande principio distruttore della virtù, ciò che affievolisce e finisce per spegnere in un gran numero, l’amore del bene. Questo significa esentarsi dal condannare coloro che fanno il male, indirizzar loro delle felicitazioni, delle compiacenze colpevoli quanto il peccato che si approva. Ascoltate l’Apostolo Paolo che vi dice: « … non soltanto coloro che fanno di tali azioni, ma ancora coloro che le approvano » (Rom. I, 32). Non è certo un crimine leggero riunirsi con coloro che fanno il male, anche se si fosse esenti da ogni peccato. Colui che pecca può addurre la necessità o la povertà, benché queste siano cattive scusanti; ma voi, perché lodate il male che egli ha commesso e da cui non potete trarre il benché minimo piacere? E cosa c’è di più triste per voi, se egli forse si pentirà, mentre voi vi chiudete questa porta di salvezza, escludete questo rimedio, annientate questo gran principio di consolazione, ostruite con le vostre mani tutte le vie che potrebbero condurvi al porto della penitenza. Quando dunque Egli verrà, per voi che siete estranei al male e che avete come compito di riprendere i colpevoli, non solo di osservare il silenzio, e cercate di dissimulare il crimine, giungendo a farvi complice, quale giudizio si emetterà di loro e delle proprie azioni? Un gran numero di uomini, nella maggior parte dei tempi, non giudicano secondo le proprie idee ciò che devono fare, ma si lasciano influenzare e corrompere in ciò dalle altrui opinioni. Se dunque colui che fa il male vede tutti allontanarsi da lui con orrore, egli comprenderà da se stesso che ha commesso un grave peccato; ma se, invece di questa indignazione, di questo orrore, egli incontra una facile tolleranza, forse degli applausi, il giudizio della propria coscienza finisce con l’alterarsi per l’appoggio che l’opinione pubblica dà all’idea che il suo spirito, già corrotto, si fa del crimine, ed allora a quali eccessi non giungerà? Quando si condannerà e metterà termine ai crimini che commette senza scrupoli? (S. Chrys).

ff. 19. – « La vostra bocca è stata piena di malizia e la vostra lingua ha sostenuto la menzogna ». Il Profeta parla qui della malizia e della perfidia di certi uomini che per lusinga, benché essi sappiano che quel che intendono sia malefico, e per paura di offendere coloro dalla cui bocca l’ascoltano, si fanno loro complici, non solo non riprendendoli, ma ancor più tacendone. Neanche semplicemente dicono: … voi avete fatto male; ma al contrario dicono: … voi avete fatto bene, mentre sanno che si è fatto male: la loro bocca dunque è piena di malizia e la loro lingua professa la menzogna. La menzogna è una frode nel linguaggio: pensare in un modo e parlare in un altro. Il Profeta non dice: la vostra lingua ha ammesso la menzogna, ma per mostraci che c’è complicità nel male stesso, dice: « essa ha ordito la menzogna ». È poco il fare il male, … voi ve ne compiacete, lodate il peccatore alla sua presenza, e vi burlate di lui in silenzio (S. Agost.).

ff. 20. –  « Voi avete fatto queste cose ed io ho taciuto » vale a dire, Io ho rimandato la punizione, ho differito l’azione della mia severità, sono rimasto paziente ai vostri sguardi, ho atteso per lungo tempo la vostra penitenza. Ora, mentre attendevo la vostra penitenza, voi al contrario, avete meritato l’applicazione di queste parole dell’Apostolo: « … per la durezza del vostro cuore impenitente, voi ammassate contro di voi un tesoro di castighi per il giorno della collera e della manifestazione del giusto giudizio di Dio » (Rom. II, 5), (S. Agost.). – Per voi è poco che le vostre cattive azioni piacciano a voi, voi credete che esse piacciano anche a me. Perché voi non sentite ancora i colpi di un Dio vendicatore, voi volete averlo come complice ed associarlo, come un giudice corrotto, alle vostre iniquità (S. Agost.).

ff. 21. – « Io vi accuserò ». E cosa farò nell’accusarvi? Voi ora non vi vedete, ed Io farò in modo che voi vi vediate; perché se vi vedete e vi dispiacerete, piacerete a me; mentre non vedendovi, vi compiacerete di voi stessi, e dispiacerete così nello stesso tempo a me e a voi: a me quando sarete giudicati, a voi quando sarete nel fuoco eterno. Cosa farò dunque, dice il Signore? « … Io mi compiacerò in faccia a voi stessi ». Perché in effetti volete restar nascosti a voi stessi? Voi vi girate il dorso e non vedete. Io vi obbligherò a vedervi. Ciò che avete messo dietro di voi, Io lo metterò davanti ai vostri occhi; voi vedrete il vostro immondo putridume, non per correggerlo, ma per arrossirne. Fate dunque ora da voi stessi, in qualunque stato siate, ciò che Dio minaccia di fare contro di voi: cessate di voltare il dorso per non vedervi e dissimulare le vostre azioni, mettetevi davanti a voi, entrate nel tribunale della vostra coscienza, siate giudici di voi stessi; che il timore vi torturi, e questa confessione sfugga dal vostro cuore ed arrivi fino a Dio: « Signore, io ho riconosciuto la mia iniquità ed i miei peccati sono incessantemente davanti a me ». (Ps. L, 5) – (S. Agost.).

ff. 22. – Voi vi ripromettete – dice Dio – e siete veramente insensati per credere che Io abbia gli stessi vostri intendimenti; e come voi vi compiacete nell’accecarvi spegnendo tutte le luci che vi illuminano, Io avrò tanta indulgenza nel favorire il vostro accecamento, senza forzarvi mai ad aprire gli occhi; ma in questo non mi avete conosciuto; perché essendo Io ciò che sono, e come Giudice sovrano, potendo dispensarmi dal farvi vedere ciò che voi siete, e convincervene, Io vi riprenderò, e con le censure del mio giudizio, supplirò ai consigli fedeli che avete rigettato, alle sagge rimostranze che avete negletto, alle reprensioni salutari di coloro che volevano e dovevano indirizzarvi, ma che la vostra indocilità ha raffreddato e come annientato lo zelo; Io vi riprenderò, e poiché non avete voluto profittare della sincerità degli uomini, né per correggervi, né per istruirvi, Io vi esporrò, vi metterò davanti a voi stessi (Bourd. Sur le jug. de Dieu).

ff. 23. – Secolo indocile, tu hai preso in odio la disciplina, ed hai rigettato dietro di te le mie parole. Tu non hai rispettato né la giustizia, né la morale: denaro e piacere, cupidità e voluttà, questo era tutto il tuo programma, tutta la tua legge. Tutti i guadagni erano buoni, tutte le sregolatezze erano approvate, purché potevi parteciparne. La tua bocca abbondava di risa maliziose, la tua lingua e la tua penna con arte preparavano perfidi sofismi. A sangue freddo, ed a mente riposata, organizzavi la guerra, non – direi – solo contro tuo fratello, ma contro tuo Padre, il Capo della grande società cristiana; tu ponevi delle pietre di inciampo non solo davanti ai figli, ma davanti allo Sposo di tua Madre la Santa Chiesa, e nella sua persona tu attentavi, percuotevi la famiglia umana tutta intera. Tu hai fatto questo ed Io ho taciuto; cioè Io mi sono astenuto dal punirti subito: poiché Io ti ho avvertito, Io non ho mai cessato di avvertirti con la bocca dei miei Profeti, dei miei Pontefici. Ora poiché Io tacevo, tu hai concepito il pensiero criminale che diventassi simile a te, e che la mia pazienza fosse complicità. « Io ti punirò per questo, non avrò che da metterti in faccia a te stesso », e vedrai che tutta la tua forza non è che debolezza, che la tua gloria non è che vergogna, che la tua ricchezza non è che miseria. Ed ora che se ne è avuta la prova, ora che ne è stata acquisita la dimostrazione, comprendete queste cose, voi che mettete Dio nell’oblio, per timore che non appesantisca la sua mano su di voi e che questa volta la vostra liberazione non sia impossibile (Mgr. Pie). – L’uomo accecato dalle sue passioni non comprende queste cose. – L’oblio di Dio lo mette nell’impossibilità di comprendere le verità più chiare. – Il sacrificio di lodi offerto sull’altare di un cuore infuocato di carità, è l’onore più vero ed il culto più degno che esige dai suoi servitori. – Il sacrificio dell’immolazione spirituale dell’uomo profondamente annientato davanti alla grandezza di Dio, è la via per la quale arriveremo a conoscere la salvezza di Dio (Duguet).