SALMI BIBLICI: “PRINCIPES PERSECUTI SUNT ME GRATIS” (CXVIII – 10)

SALMO 118 (10): PRINCIPES PERSECUTI SUNT ME GRATISr

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS -LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 118 (10)

SIN

[161]. Principes persecuti sunt me gratis,

et a verbis tuis formidavit cor meum.

[162] Lætabor ego super eloquia tua, sicut qui invenit spolia multa.

[163] Iniquitatem odio habui, et abominatus sum, legem autem tuam dilexi.

[164] Septies in die laudem dixi tibi, super judicia justitiæ tuæ.

[165] Pax multa diligentibus legem tuam, et non est illis scandalum.

[166] Exspectabam salutare tuum, Domine, et mandata tua dilexi.

[167] Custodivit anima mea testimonia tua, et dilexit ea vehementer.

[168] Servavi mandata tua et testimonia tua, quia omnes viæ meæ in conspectu tuo.

TAU.

[169] Appropinquet deprecatio mea in conspectu tuo, Domine; juxta eloquium tuum da mihi intellectum.

[170] Intret postulatio mea in conspectu tuo; secundum eloquium tuum eripe me.

[171] Eructabunt labia mea hymnum, cum docueris me justificationes tuas.

[172] Pronuntiabit lingua mea eloquium tuum, quia omnia mandata tua æquitas.

[173] Fiat manus tua ut salvet me, quoniam mandata tua elegi.

[174] Concupivi salutare tuum, Domine, et lex tua meditatio mea est.

[175] Vivet anima mea, et laudabit te, et judicia tua adjuvabunt me.

[176] Erravi sicut ovis quæ periit; quaere servum tuum, quia mandata tua non sum oblitus.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXVIII (10).

SIN.

161. I principi mi han perseguitato senza ragione; ma il mio cuore temette le tue parole.

162. Mi goderò io sopra le tue parole, come chi abbia fatto acquisto di molta preda.

163. Ho avuta in odio e in abbominazione l’iniquità, ed ho amata la tua legge.

164. Sette volte al giorno ho a te dato laudi sopra i giudizi di tua giustizia.

165. Pace molta per quelli che amano la tua legge; e inciampo per essi non è.

166. Io aspettava, o Signore, la salute, che vien da te; e amai i tuoi comandamenti.

167. L’anima mia ha osservati i tuoi precetti, e gli ha amati ardentemente.

168. Ho osservato i tuoi comandamenti e le tue testimonianze; perché tutti i miei andamenti sono sotto degli occhi tuoi.

TAU.

109. Abbia accesso al tuo cospetto la mia preghiera, o Signore, secondo la tua parola dammi intelligenza.

170. Penetrino le mie suppliche al tuo cospetto: liberami, secondo la tua parola.

171. Canteranno le labbra mie inno di laude, quando mi avrai tu insegnate le tue giustificazioni.

172. La mia lingua annunzierà la tua parola; perocché tutti i tuoi precetti sono equii.

173. Stendasi la tua mano a salvarmi; perocché io preelessi i tuoi comandamenti.

174. L’anima mia, o Signore, ha desiderata la salute, che vien da te; e mia meditazione ell’è la tua legge.

175. Viverà l’anima mia e te loderà; e i tuoi giudizi saranno mio aiuto.

176. Andai errando qual pecora traviata cerca il tuo servo, perché io non mi sono scordato dei tuoi comandamenti.

Sommario analitico

Xa SEZIONE

161-176

In questa ultima parte, Davide considera Dio come il supremo remuneratore del combattimento che ricompensa e corona il vincitore.

I. Il Profeta si felicita nel vedere i suoi nemici vinti [161] e fa conoscere di quali armi si sia servito contro di essi:

1° il timore di Dio (161,

2° la gioia nella speranza della ricompensa (162),

3° l’odio dell’iniquità e l’amore della legge di Dio (163),

4° la lode continua di Dio, perché i suoi giudizi sono giusti, e le sue leggi richiudono la giustizia sovrana (164).

II. Dopo la guerra, egli spera:

1° una pace profonda e piena di dolcezza (165);

2° la salvezza eterna, che egli ha meritato:

a) per la sua viva speranza,

b) con il suo amore per la legge di Dio (166),

c) con l’osservanza fedele di questa legge (167),

d) per la considerazione della presenza di Dio in tutte le sue azioni (168).

III. – Benché egli giunga al porto, e sia sul punto di ottenere la corona, nel timore di far naufragio nel porto stesso, si rivolge a Dio e:

1° gli domanda:

a) che la sua preghiera penetri nella presenza di Dio,

b) che gli dia l’intelligenza (169),

c) che gli accordi la salvezza (170);

2° gli promette di essere riconoscente per tutta l’eternità per una sì grande grazia, lodando Dio,

a) a causa della sua giustizia, per cui ha le ricompense promesse (171),

b) a causa della sovrana equità della sua legge (172);

3° Egli domanda a Dio di tendergli una mano misericordiosa, per attirarlo e salvarlo con la grazia della perseveranza finale, e prova come non sia indegno di questa grazia:

a) perché ha preferito i comandamenti di Dio a tutte le cose della terra (173),

b) perché ha desiderato vivamente la grazia della salvezza,

c) perché ha meditato tutto il giorno la legge di Dio (174);

4° Grazie a questo soccorso potente che egli spera contro i nemici della salvezza:

a) la sua anima vivrà eternamente;

b) la sua bocca non cesserà di lodarlo (175),

c) e non temerà più di smarrirsi, come per il passato, perché conserva perpetuamente il ricordo della legge di Dio (176).

Spiegazioni e Considerazioni

X SEZIONE — 161-176

I. – 161-164

« I principi mi hanno perseguitato senza motivo, ed il mio cuore non ha temuto che le vostre parole. » In effetti in cosa i Cristiani nuocevano ai regni della terra, quando il loro Re aveva loro promesso il regno dei cieli? Il loro Re certo non proibiva ai suoi soldati di rendere ai re della terra il servizio che era loro dovuto! Non ha forse Egli detto ai Giudei che cercavano di calunniarlo su questo punto: « Rendete a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio? » (Matth. XXII, 27). Non aveva pagato Egli stesso il tributo estratto dalla bocca di un pesce? E ai suoi persecutori, rispondendo ai soldati di un regno terrestre che gli domandavano cosa dovessero fare per ottenere la salvezza eterna, invece di dire: “separatevi dai vostri centurioni, gettate via le vostre armi ed abbandonate il vostro re, per poter combattere per il Signore”, non ha loro detto: « Non usate violenza né frode verso nessuno, e contentatevi della vostra paga? » (Luc. III, 14). E ad uno dei suoi soldati ed uno dei più cari compagni non ha detto a coloro che combattevano con lui: « Ciascuno sia sottoposto alle autorità costituite; » (Rom. XIII, 1) ed un po’ più oltre: « … rendete ad ognuno ciò che è loro dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi l’imposta, l’imposta; a chi il timore, il timore; a chi l’onore, l’onore) » (Ibid. 17, 18).  Lo stesso Apostolo non ha ordinato che la Chiesa pregasse per gli stessi re? (1 Tim. II, 1, 2). In cosa dunque i Cristiani li hanno offesi? Cosa, non è stato reso di ciò che era dovuto,? In cosa i Cristiani hanno mancato nell’obbedire ai re? I re della terra hanno dunque perseguitato senza motivo i Cristiani. Ma vediamo cosa aggiunge il Profeta: « Il mio cuore non ha temuto che le vostre parole. » Senza dubbio i re hanno preferito delle parole minacciose: io vi esilierò, vi proscriverò, vi metterò a morte, vi lacererò con unghie di ferro, vi farò perire nelle fiamme, vi esporrò alle fiere, vi farò strappare le membra; ma più che tutte queste minacce, io sono stato colpito dalle vostre parole: « Non temete coloro che uccidono il corpo e non possono farvi più alcun male; temete piuttosto colui che può perdere sia il corpo che l’anima all’inferno. » (Matth. X, 28), (S. Agost.). – Ma ci sono altri persecutori: questi sono i princîpi di questo mondo, come li chiama S. Paolo, le potenze delle tenebre, che cercano di opprimere la vostra anima, che rinnovano dal di dentro tutto ciò che le persecuzioni hanno avuto di più crudele, promettendovi anche la potenza, gli onori, le ricchezze, se la vostra anima è debole nel cedere, per obbedire ai loro ordini. Questi principi vi perseguitano senza motivo, senza ragione. Essi perseguitano senza motivo colui che trovano non appartenere loro, e cercano di asservirlo al loro impero; ma essi non perseguitano senza motivo colui che si è votato interamente al loro potere, che è interamente sotto la potenza del secolo; perché essi esercitano un legittimo impero su coloro che dichiarano di appartener loro, e chiedono la ricompensa della loro iniquità … Quando mi perseguitano in questo modo, io ho un solo timore, che un giorno Gesù-Cristo non venga a rinnegarmi, che non mi escluda, che non mi respinga dall’assemblea dei sacerdoti, non mi giudichi indegno di questo augusto collegio. Che mi veda tremante davanti alle persecuzioni esteriori, purché io tema molto di più i giudizi della sua giustizia. (S. Ambr.). –  « Io gioirò delle vostre parole, come colui che ha trovato un ricco bottino. » Il timore che ha delle parole di Dio è buono, poiché produce in lui il trasporto della gioia. Colui dunque che conserva nella sua dimora, cioè nel suo cuore, le parole di Dio, ne escluda le parole dei principi, e trova la sua gioia nelle parole di vita uscite dalla bocca del Signore … « Io sono trasportato dalla gioia come colui che ha trovato un ricco bottino. » Io ho trovato, senza lavoro, ciò che non possedevo: io ho trovato i primi sette libri dell’Antico Testamento, ho trovato i libri dei Re, ho trovato i Salmi, ho trovato i Proverbi, ho trovato il Cantico dei cantici, ho trovato questo mirabile consigliere, Gesù-Cristo … Qual ricco bottino possiede colui che ha in se stesso il Verbo di Dio! Egli ha la certezza della resurrezione, ha la giustizia, la forza, la saggezza. Ha tutte le cose, perché tutte le cose sussistono in lui. Gli Ebrei hanno spogliato gli Egiziani ed hanno preso le loro ricchezze. I Cristiani possiedono oggi le spoglie dei Giudei, e noi abbiamo tutte queste ricchezze di cui essi non sapevano di esserne in possesso. Essi hanno asportato per noi come un bottino, l’oro e l’argento; e noi abbiamo ricevuto l’oro spirituale dell’anima, abbiamo acquistato l’argento della parola celeste. (S. Ambr.). –  « Io ho odiato l’ingiustizia e l’ho avuta in abominio. »  È a giusto titolo che colui che è rivestito delle armi della giustizia odi l’iniquità .. ma nessuno può odiare e fuggire l’iniquità se non colui che ama l’equità; così il Profeta aggiunge: « Io ho amato la vostra legge. » (Idem). –Il timore che gli avevano ispirato le parole di Dio non ne aveva generato l’odio, ma al contrario, aveva mantenuto il lui la carità nella sua integrità. In effetti, la Legge di Dio non è altro che le parole di Dio. Lungi dunque dal pensare che il timore distrugga l’amore, quando il timore è casto. (S. Agost.). – L’odio dell’iniquità è la misura dell’amore di Dio, poiché non si può amare nulla quando non si odia il suo contrario. – « Io vi ho lodato sette volte al giorno, a causa dei giudizi della vostra giustizia. » Questo numero di solito indica la totalità, perché Dio, dopo aver lavorato sei giorni, si è riposato nel settimo, e tutto il corso dei tempi si svolge lungo periodi di sette giorni che scorrono continuamente. (S. Agost.). – I giudizi della giustizia di Dio forniscono un’ampia ed eccellente materia di lode di Dio. – Non è mirabile, dice San Crisostomo, vedere le condizioni del mondo più esposte a questo preteso decadimento delle cure (di cui si fa obiezione nel mondo), essere quelle a cui Dio ha preso piacere di far apparire uomini più occupati della loro salvezza e più legati al suo culto? Davide era Re, ed un re guerriero: qual esempio non abbiamo nella sua persona? Trascurando di occuparsi di Dio per pensare al suo stato, e trascurando il suo stato per non occuparsi che di Dio? Egli conciliava l’uno e l’altro perfettamente. Nell’impegno degli affari pubblici, egli trovava dei momenti per ritirarsi e pregare sette volte al giorno; e nel mezzo della notte, egli usciva dal suo giaciglio reale per meditare la legge del Signore, tuttavia egli adempiva degnamente ai suoi doveri di re: sosteneva le guerre, metteva armate in piedi, rendeva giustizia al suo popolo, prendeva conoscenza di tutti, e mai la Giudea fu, come sotto di lui, un regno più felice e perfetto. (BOURD. Eloign. et fuite du monde.)

II. — 165-168

f. 165-168. – « Pace abbondante a coloro che osservano la vostra legge. » La pace è il bene sovrano e la somma di tutti i beni. Essa è il fondamento della fede e la base di tutte le virtù. (S. Piet. Crisol.). – Essa è la dimora del Dio delle virtù: « è nella pace che ha fissato la sua dimore. » (Ps. LXXV, 2). Essa è il riposo più dolce dei santi: « Che la pace di Dio, che sorpassa ogni sentimento, regni nei vostri cuori e nelle vostre intelligenze in Gesù-Cristo. » (Filip. IV, 7). – Una delle condizioni essenziali di questa pace, è la carità: « Pace abbondante a coloro che osservano la vostra legge. » Questa carità non si arresta nella contemplazione di Dio, essa abbraccia tutti i comandamenti della legge per metterli in pratica. È con l’osservanza della legge che Dio dà la pace all’anima. La pace, grazie a questo amore, a questa osservanza dei comandamenti, ci dà una tranquillità ed una sicurezza tra le più grandi; « non c’è per essi alcun punto di scandalo. » – Abbiamo detto in precedenza che la carità scaccia il timore; noi diciamo ora che essa lo esclude fino al minimo turbamento, perché colui che ama Dio ha, come sua parte, la profonda tranquillità di un’anima confermata nel bene (S. Ambr.). – Dove trovare la pace del cuore? Nell’assoggettarsi alla legge di Dio. Fuori da questo noi non la speriamo. Sì, mio Dio, è per coloro che amano la vostra Legge che c’è una pace interiore; non è giusto e neanche possibile, che sia per altri come per essi, perché essendo la vostra legge, come lo è, il principio dell’ordine, essa è essenzialmente il principio della pace. Pace incrollabile da parte di Dio, incrollabile da parte del prossimo, ed incrollabile anche da parte nostra (Bourd. Sur la paix chrét.). – Cercate dunque di gioire di questa pace; e la lussuria, la cupidigia, la collera, la voluttà, non facciano della vostra anima il teatro delle loro guerre intestine, e se proprio è necessario che siate attaccato, che l’attacco venga dal di fuori e non dall’interno. Combattete contro coloro che vi perseguitano, benché spesso convenga cedere loro in silenzio, perché è per voi che essi trionfano, la loro potenza è la vostra vittoria; essi sono vinti quando credono di essere i vincitori … Gioite dunque di questa pace abbondante che sorpassa ogni sentimento. Il fine ultimo e sovrano della saggezza, è che la nostra anima sia calma e tranquilla; il fine principale della giustizia, è che l’iniquità non possa turbare l’anima del giusto; la fine del coraggio quaggiù ed anche della forza corporale, è che alle fatiche e ai pericoli della guerra succedano le dolcezze della pace (S. Ambr.). – « … e non c’è per essi scandalo. Il Profeta vuol dire che la legge non è uno scandalo per coloro che la amano, o che non c’è alcuna parte di scandalo per coloro che amano la legge? I due sensi sono egualmente accettabili. In effetti, colui che ama la legge di Dio onora in se stesso ciò che non comprende, e quando gli sembra che essa dica una cosa strana, egli giudica di preferenza che non ci sia intelligenza di questa parola e che essa nasconda qualche mistero; ecco perché per lui la legge di Dio non è per lui oggetto di scandalo. D’altra parte, se non si vuole incontrare alcuno scandalo, non si esaminino gli uomini la cui professione è tutta santa, in modo da far dipendere la fede dai loro costumi, per timore che non vedano cadere qualcuno di cui avevano grande stima, e non sia preso e non perisca egli stesso nella trappola dello scandalo. Bisogna al contrario che egli ami la Legge di Dio in se stessa, e sarà per lui la sorgente di una pace profonda, senza mai causargli scandalo; perché egli amerà in tutta sicurezza una Legge sulla quale, è vero, molti uomini peccano, ma che è essa stessa esente da peccato. (S. Agost.). – Quaggiù vi sono tante cause ed occasioni di scandalo e di turbamento interiore: ora una donna ingannata dalle suggestioni del serpente che si sforza di tormentare lo spirito del marito; ora è un padre che si burla della fede di suo figlio; ora è uno sposo che insulta con i suoi oltraggi la pietà della sua sposa; … è lo spettacolo di un giusto nell’indigenza, di un empio nell’abbondanza; di un santo al quale Dio ha rifiutato dei figli, di un peccatore che ha tutto in abbondanza … figli, onori, dignità, reputazione. ma in tutte queste cose il vero giusto resta vincitore dicendo con l’Apostolo: « Chi ci separerà dalla carità che è in Gesù-Cristo? » (Rom. VIII, 55). Da un altro canto, la croce del Signore Gesù, altre volte scandalo per i Giudei, o follia per i gentili, lo è ancora per i pretesi saggi del mondo … non lasciatevi tentare, né turbare dai loro discorsi, non permettete ai loro pensieri di introdursi nella loro anima. Là dov’è la pace, ed una pace abbondante, la croce è un soggetto non di obbrobrio, ma di salvezza … La croce è un obbrobrio per colui che non ha la fede, ma, per il Cristiano fedele, essa è la grazia, la redenzione, la resurrezione, perché è per noi che il Signore ha sofferto, perché ci ha riscattati con il suo sangue, perché ci ha richiamati in cielo con la sua Resurrezione. Come potrebbe, colui che ha questa fede, essere turbato, allorché gli dà la speranza sì eccelsa del Regno dei cieli? (S. Ambr.). – « Io aspettavo la vostra salvezza Signore, ed ho amato i vostri comandamenti. » Colui che attende la salvezza, spera. La speranza precede dunque la carità, e la salvezza viene in seguito; la speranza precede l’azione, ecco perché colui che attende la salvezza compie i comandamenti di Dio. Così il Signore, nel Vangelo, chiama non più suoi servi, ma suoi amici, coloro che hanno osservato i suoi precetti. In effetti, colui che ama, agisce, e nell’agire merita la ricompensa del suo amore. (S. Ambr.). – Chi attende, desidera; chi desidera, soffre penosamente il ritardo; chi soffre geme, chi geme sente la sua miseria, ed è ben lungi dal ricercare i piaceri ed i divertimenti del mondo. – Aspettiamo il Signore, come un prigioniero aspetta il suo liberatore, un esule il suo richiamo, un malato il suo medico, un figlio suo padre, una sposa il suo sposo, un debitore il suo riscatto, un orfano oppresso il suo protettore e suo sostegno (Duguet). – « La mia anima ha conservato le vostre testimonianze, e le ha amate ardentemente. Amare è molto più che osservare; perché, come detto in precedenza, si osservano spesso i comandamenti per necessità o per timore, ma non appartiene che alla carità l’amarli. Così il salmista, dopo aver detto qui: « io ho osservato, » si affretta ad aggiungere: « Io ho amato, » per mostrare che questa fedeltà di osservare i comandamenti è ispirata dall’amore e non dal timore; colui che ama molto, osserva molto (S. Ambr.). – « Io ho osservato i vostri comandamenti e le vostre testimonianze, perché tutte le mie vie sono davanti ai vostri occhi. » Felice colui che po’ dire: « Tutte le mie vie sono davanti ai vostri occhi, » e che non cerca di sottrarvi la conoscenza di tutti i suoi pensieri, di tutte le sue azioni. È così che Adamo cercava di nascondere a Dio la sua via, che Eva voleva nascondersi dopo la sua colpa, che Caino voleva nascondere la morte di suo fratello. Noi non possiamo che desiderare il nascondere le nostre vie a Dio, ma senza mai giungervi. Tuttavia, il crimine di colui che vuol sottrarsi ai suoi sguardi non è meno grande, benché possa non riuscire … Dio vede ciò che di più segreto c’è nel nostro cuore; ma Egli è buono, tuttavia, e ciascuno di noi gli apra e gli sveli la propria anima e vada davanti alla sua luce ed al suo calore … Così anche di coloro che dicono con il Profeta, a Gesù-Cristo, che è la via e la verità, coloro che desiderano entrare nella vera via con la loro fede, i loro costumi e tutta la condotta della loro vita: «Tutte le mie vie sono davanti ai vostri occhi; » perché nessuna via può essere buona se non vi degnate di illuminarla con la vostra luce (S. Ambr.). – « Io ho dunque osservato i vostri comandamenti, perché tutte le mie vie sono davanti ai vostri occhi. » Il Salmista ha voluto farci intendere che Do ha riguardato le sue vie con occhio propizio ed incoraggiante, come lo domanda in un altro salmo: « Non voltate il vostro volto da me … » (Ps. XXVI, 9). Ogni via che non è sotto lo sguardo del Signore, non potrebbe essere la via della giustizia … Le vie dei giusti sono dunque sotto lo sguardo del Signore, perché Egli dirige i loro passi; perché queste vie sono quelle di cui è stato detto nel libro dei Proverbi: « Ora, il Signore conosce le vie che sono rette, ma quelle che sono a sinistra sono perverse … » (Prov. IV, 7). Ma per farci apprezzare i frutti di questa conoscenza che il Signore ha delle vie che sono rette, cioè le vie dei giusti, il libro dei Proverbi aggiunge: « Perché Egli raddrizzerà i vostri passi e vi condurrà in pace nel vostro cammino. » Ecco perché il Profeta dice anche: « Io ho osservato i vostri comandamenti e le vostre testimonianze. » E siccome noi gli domandiamo come abbia potuto osservarli, egli risponde: «Perché tutte le mie vie sono davanti ai vostri occhi, Signore. » (S. Agost.)

III. — 169-176.

ff. 169-171. — « La mia preghiera, Signore, si sta avvicinando voi. » Una vita santa fa prendere alla preghiera il suo slancio, gli dà delle ali spirituali che elevano fino a Dio le preghiere dei santi. Lo spirito stesso nel quale noi preghiamo solleva la preghiera del giusto, soprattutto se essa esce da un cuore contrito e da un’anima compassionevole. Questa fiducia è il privilegio di un uomo consumato nella virtù. Nei versetti precedenti, il Profeta domandava che la parola di Dio fosse una luce per i suoi passi, per timore che non deviasse nella via che percorreva sulla terra. Ora che è avanzato in questa via, e che è giunto quasi al termine del viaggio, si eleva interamente più in alto. Egli dirige la sua preghiera verso il cielo, la invia in presenza del suo Signore e del suo Salvatore, dandogli, per elevarlo fin là, il soffio della giustizi, la brezza della saggezza, le redini della fede e della pietà, il sostegno dell’innocenza e della purezza. Perché il peccato appesantisce la preghiera e l’allontana da Dio, ed è tanto più appesantita quanto più la vita di colui che prega è maggiormente colpevole; al contrario, la preghiera dell’anima innocente e pura, sale e si eleva a Dio senza ostacoli … Impariamo allora come la nostra preghiera possa avvicinarsi a Dio, e ciò sarà per i nostri atti: se elevate le vostre azioni, voi avete elevato la vostra preghiera. Colui che sa elevare le sue mani dirige la sua preghiera alla presenza di Dio, come dice il Profeta in un altro salmo: « Che la mia preghiera si innalzi come l’incenso in vostra presenza, l’elevazione delle mani è come il sacrificio della sera » (Ps. CXL, 2) … Egli aggiunge: « Datemi intelligenza secondo la vostra parola. » Considerate ciò che egli domanda: non è l’intelligenza in generale, ma l’intelligenza secondo la parola di Dio, perché c’è un’intelligenza che conduce alla morte, come c’è anche una prudenza che porta l’uomo alla sua perdita: « I figli di questo secolo, dice Gesù-Cristo, sono più scaltri nella condotta dei loro affari dei figli della luce. » (Luc. XVI, 8). Ma questa prudenza del secolo non ha alcuna utilità per la vita eterna; essa è tutta intera applicata nell’ottenere gli onori, ad accumulare i guadagni, le proprie ricchezze, piuttosto che attenta ad acquisire dei meriti per il cielo; essa è più versata nella scienza degli elementi di questo mondo che nella vera saggezza, come ogni filosofia che cerca ciò che è fuori dall’uomo, ignorando quel che interessa di più; essa gli fa scrutare l’immensità del cielo, percorrere la distesa della terra, cose non gli sono di utilità alcuna, e gli lascia ignorare completamente Dio, cioè Colui che dovrebbe essere l’unico oggetto delle sue ricerche. Così un vero saggio ci dice. « Se c’è qualcuno tra voi che si ritiene saggio secondo il secolo, diventi folle per divenire saggio » (I Cor. III, 18, 19) … possa io imitare questa follia che mi sembra saggia; possa io camminare sulle tracce di quest’uomo che dirige ogni sua intenzione verso Dio, che respinge anche gli onori che gli vengono offerti, che si preoccupa poco della filosofia profana, anche quando l’ha studiata, e come precedentemente, la dissimula come se la ignorasse e la dimentichi cessando di studiarla! Egli non cerca i propri interessi, ma l’utilità degli altri, e per se stesso non cerca che il possesso dei beni eterni. Costui può dire: « Datemi intelligenza secondo la vostra parola, » cioè non secondo i filosofi, secondo gli avvocati, secondo i mercanti di questo secolo, secondo gli architetti dei palazzi, ma secondo la vostra parola, che è il fondamento della vera saggezza e delle buone opere, affinché possa posare su questo fondamento l’oro del suo cuore, l’argento dei suoi discorsi, le pietre preziose delle sue azioni, ed elevi così un edificio che non possa mai crollare, né perire. (S. Ambr.). – « Che la mia supplica penetri fino alla vostra presenza. » Vedete l’ordine che segue il salmista. Egli ha cominciato con il dire: « Che la mia preghiera si avvicini, » poi ha domandato a Dio di dargli intelligenza secondo la sua parola, ed in terzo luogo: « Che la mia supplica – dice – penetri fino alla vostra presenza. » Forse il Signore non ci invita con una certa familiarità, non ci riserva un’accoglienza piena di affetto? Quando desiderate presentarvi ad un uomo potente della terra, non vi avvicinate dapprima alla sua casa, non cercate poi di informarvi, di rendervi edotto sul carattere di colui che l’abita; infine non domandate di entrare, per non essere esposto ad essere rigettato? Bussate dunque alla porta del palazzo celeste; bussate, non con la mano del corpo, ma come con la mano destra della preghiera. Non è soltanto la mano che bussa, ma anche la voce, perché è scritto: « La voce del mio diletto bussa alla porta. » (Cant. V, 2). Bussate alla porta, è Gesù-Cristo che è questa porta, Egli che ha detto: « Se qualcuno entra attraverso di me, sarà salvato. » (Giov. X, , 9).  Quando avrete così bussato alla porta, vedrete come vi entrerete, per timore che dopo essere entrati non siate ammessi alla presenza del re. Ci sono molti che entrano nei loro palazzi e non sono immediatamente introdotti presso questi re della terra; essi spiano per lungo tempo il momento in cui potranno infine vederli. Essi non si lusingano di ottenere da se stessi questo favore, ma vengono presentati solo dopo un ordine, e cominciano col rivolgere una richiesta onde essere ricevuti con benevolenza, ed hanno cura di evitare tutto ciò che possa infastidire o essere disdicevole. Quanto più noi dobbiamo pregare Dio perché con la nostra preghiera si possa attraversare la porta della sua misericordia! … Ora, qual è l’oggetto di questa preghiera? È l’essere liberato da questo combattimento che si sostiene contro le potenze del male e contro le tentazioni e le prove di questa vita (S. Ambr.). – «  Le mie labbra si apriranno per lodarvi, quando mi avrete insegnato le vostre giustizie. » Costui può aprire legittimamente le proprie labbra per lasciarne uscire le lodi di Dio, colui che può dire: « Noi siamo il buon odore di Gesù-Cristo per Dio » (II Cor. II, 45), che ha cominciato a gustare la soavità dei precetti del Signore. Si, la sua bocca si spande in inni di lode, se comincia a produrre una buona parola (Ps. XLIV, 2). Davide, precedentemente ha prodotto questa buona parola; qui le sue labbra si aprono in inni di lode. In effetti, egli ha gustato questo pane sì pieno di soavità che è disceso dai cieli, e di cui è detto: colui che mangerà di questo pane non morrà in eterno. La parola di Dio ha anche i suoi festini, gli uni più forti, più sostanziali, come la Legge, ed il Vangelo; gli altri più soavi e squisiti, come i Salmi e i Cantici dei cantici. La Chiesa o l’anima pia, faceva risentire questo inno, essa a cui Dio il Verbo diceva: « Il vostro sposo diceva: la vostra voce è giunta alle mie orecchie, perché la vostra voce è dolce, » (Cant. II, 14), ed anche quella a cui lo sposo diceva: « La vostre labbra, mia sposa, sono il raggio che distilla il miele; il miele ed il latte sono nella vostra bocca. » (Ibid. IV, 11). Ma nessuno può elevare i suoi inni di lode, se non ha prima appreso le giustizie di Dio, e se non le ha apprese alla scuola di Dio stesso. Anche Davide chiede in modo speciale che Dio si degni di insegnargli, perché egli aveva appreso per ispirazione dello Spirito che non vi era che un solo Maestro; » (Matth. XXIII, 10); e dappertutto vediamo domandare che Dio voglia ben rendersi suo maestro, ed insegnargli i suoi ordini, pieni di giustizia … Nutriteci dunque Voi stessi delle vivande squisite che racchiudono le sante Scritture, e che questo nutrimento resti per la vita eterna. Qualunque sia il nutrimento di tutti i giorni, prendete questo alimento divino per riempirvi, perché la vostra anima possa espandersi abbondantemente in parole celesti. È così pure che il Profeta voleva essere riempito quando diceva (Ps, LXXVIII, 8): « Che la mia bocca si riempia di lodi, affinché io canti la vostra gloria. » (S. Ambr.).   

ff. 172-176. – « La mia lingua loderà la vostra legge, perché tutti i vostri comandamenti sono peni di equità. » Colui che è stato istruito delle giustizie di Dio, proclama la parola di Dio, e colui la cui bocca si apre per proclamare la parola di Dio non dice parola vana. La parola vana è quella che ha per oggetto le opere degli uomini (Ps. XVI, 4). Ecco perché il santo Profeta domanda a Dio questa grazia che la sua bocca non parli il linguaggio delle opere degli uomini, perché è una parola non solo vana, ma pericolosa e di cui dobbiamo rendere conto al giudizio di Dio (Matth. XII, 36). Non è ad un pericolo ordinario che vi esponete, quando avendo tanti libri santi nell’Anrico e nel Nuovo Testamento, che racchiudono la recita delle opere di Dio, voi li lasciate con negligenza, per non parlare, per non intendere, per non gustare che il linguaggio del secolo (S. Ambr.). – « Stendete la vostra mano per salvarmi, perché io ho scelto i vostri comandamenti. » Il Profeta sembra qui chiedere l’avvento del Signore, perché la mano di Dio, è Gesù-Cristo, che in altro salmo egli chiama la destra di Dio « La destra del Signore ha fatto splendere la sua potenza, la destra del Signore mi ha elevato (Ps. CXVII, 16) … Colui che ha scelto volontariamente e di buon grado i comandamenti di Dio, gli chiede con sicurezza di accordargli il suo soccorso divino, (S. Ambr.). « Io ho desiderato, Signore, la vostra salvezza, e la vostra legge è la mia meditazione. » Gli uni gioiscono nella speranza di vivere lungo tempo e desiderano prolungare questa vita del corpo fino al limite dell’estrema vecchiaia; gli altri sono tormentati dalle infermità della malattia, senza che possano dire con San Paolo: « … è quando sono debole che sono forte. » (II Cor. XII, 10). Essi si stimano felici se godono di una salute inalterabile, essi per i quali l’infermità non sarebbe un’occasione di salvezza. Ora nessuno di essi può dire: « Io ho desiderato la vostra salvezza, Signore, » perché essi cercano piuttosto la salute del loro corpo che la salute di Dio, ed obbediscono piuttosto ai medici che alle Scritture. I precetti della medicina sono nocivi per coloro che si applicano alla conoscenza delle cose divine: essi allontanano dal digiuno, proibiscono le veglie, si oppongono ad ogni idea di meditazione. Colui dunque che si affida ai medici rinuncia ad ogni libertà; colui invece che cerca la salute di Dio, segue Gesù-Cristo, la vera salvezza di Dio; egli cerca non ciò che può lusingare il suo corpo, ma i beni eterni, mentre vive in questo corpo, e si applica interamente, notte e giorno, alla meditazione dei decreti divini (S. Ambr.). –  « La mia anima vivrà e vi loderà, ed i vostri giudizi saranno il mio sostegno. » È la ricompensa della vita futura, e non quella della vita presente, che qui spera il Profeta; perché come chiamare una vita di cui è scritto: « Voi mi ridurrete alla polvere della morte. » (Ps. XXI, 16) … Qual vita quella dell’anima coperta da questo involucro di morte! Qual è questa vita che passa come un’ombra? Noi siamo nella regione dell’ombra di morte; la nostra vita è nascosta, non è libera, non avrà tutta la sua libertà, tutta la sua espansione, che nella regione dei viventi, nella quale il giusto ha la certezza di poter piacere a Dio (Ps. CXIV, 9). È là che la nostra anima vivrà veramente, perché non avrà più questo rivestimento di morte e di infermità, e non avrà da pagare il debito del peccato; è là che essa loderà il Signore, allorché avendo spogliato il suo corpo debole ed infermo, comincerà ad essere simile al corpo glorioso di Gesù-Cristo … Ora, i giudizi di Dio sono veramente l’appoggio dei Santi, quando Dio dà alle loro buone opere la ricompensa della vita eterna. Beato colui che può dire: « E i vostri giudizi, saranno il mio appoggio. » Io sono debole, e la coscienza che ho dei miei peccati mi ispira il timore, il terrore dei giudizi di Dio. Questo pensiero mi turba e mi spaventa, mentre esso è il sostegno e la meditazione dei Santi. Tuttavia questi giudizi, possono essere la forza ed il sostegno del peccatore, benché in altro modo. Il santo vi trova il suo sostegno quando è provato, il peccatore trova pure il suo sostegno quando è umiliato, castigato, quando paga il doppio per i suoi crimini, le suo opere consumate, purché sia salvato, ma come per il fuoco.  (S. Ambr.). – « Ho errato come pecora smarrita; cercate il vostro servo, perché non ho dimenticato i vostri comandamenti. » Quanto facile è per l’uomo lo sbandarsi lungo la via larga che lo conduce alla perdizione e alla morte! Quanto stretta è la via che riporta a casa e alla vita! (Matth. VII, 13). Il nostro spirito si smarrisce tutte le volte che pratichiamo il sentiero dell’errore; il nostro cuore erra tutte le volte che si abbandona a desideri colpevoli. Ma se siamo forzati nel dire con il Re- Profeta: « Io mi sono smarrito come la pecora che va a morire, » cerchiamo almeno di aggiungere con lui: « cercate il vostro servo, perché la pecora che si è smarrita deve esser cercata dal pastore, perché in pericolo di morire. Ecco perché il Profeta dice: « io ho errato ». Confessate dunque anche le vostre iniquità al fin di essere giustificati. Questa confessione delle vostre colpe è comune a tutti gli uomini, perché nessuno quaggiù è senza peccato; negare questa verità, è un sacrilegio, perché Dio solo è senza peccato. Fare a Dio la confessione delle proprie colpe, è il solo modo di sfuggire al castigo. « Io ho errato » – egli dice – ma colui che ha sbandato, può rientrare nella via, può essere ricondotto sulla retta via… « Cercate il vostro servo, perché io non ho dimenticato i vostri comandamenti. » Venite dunque, Signore Gesù, cercate il vostro servo, cercate questa pecora stanca e affaticata, venite buon Pastore, cercate di nuovo le pecore di Giuseppe. La vostra pecora si è smarrita mentre voi tardavate a venire e percorrevate le montagne. Lasciate dunque le novantanove altre pecore e correte alla ricerca della sola che si è smarrita. Venite senza i cani, senza i cattivi operai, venite senza mercenari, che non possono entrare dalla porta; venite senza assistente, senza messaggero, da tempo attendo la vostra venuta. Io so che dovete venire, « perché non ho dimenticato i vostri comandamenti. » Venite, non con la verga, ma con la carità e lo spirito di dolcezza. Non esitate a lasciare sulle montagne le altre novantanove pecore; perché su queste montagne esse sono al riparo dalle escursioni dei lupi … Venite a me che sono esposto ai loro attacchi; venite a me che, dopo essere stato cacciato dal Paradiso, sono in preda alle suggestioni velenose del serpente, perché mi sono separato dal resto del gregge. Voi mi avete posto nel Paradiso, ma il lupo mi ha fatto uscire dall’ovile durante la notte. Cercatemi, perché anche io vi cerco; degnate di prendere sotto la vostra protezione colui che avete trovato e ponete sulle vostre spalle colui di cui vi dichiarate il protettore. Non disdegnate questo pio fardello, non sia per Voi questo trasporto un carico. Venite, dunque Signore, perché io ho errato, tuttavia « io non ho dimenticato i vostri comandamenti, », ho conservato la speranza della mia guarigione. Venite, Signore, perché soltanto Voi potete richiamare questa pecora sbrancata. E correndo alla mia ricerca Voi non contristerete coloro che lasciate, perché essi stessi gioiranno del ritorno del peccatore. Venite ad operare la salvezza sulla terra e dare al cielo un grande motivo di gioia. Venite dunque e cercate la vostra pecora, non con i mercenari, ma da Voi stesso. Ricevetemi in questa carne decaduta in Adamo … portatemi sulla croce che è la salvezza dei peccatori smarriti, il solo riposo delle anime affaticate, la fonte unica di vita per tutti coloro che son morti. (S. Ambr.).  

SALMI BIBLICI: “MIRABILIA TESTIMONIA TUA” (CXVIII – 8)

SALMO 118 (8): “Mirabilia testimonia tua”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 118 (8)

PHE.

[129] Mirabilia testimonia tua,

ideo scrutata est ea anima mea.

[130] Declaratio sermonum tuorum illuminat, et intellectum dat parvulis.

[131] Os meum aperui, et attraxi spiritum, quia mandata tua desiderabam.

[132] Aspice in me, et miserere mei, secundum judicium diligentium nomen tuum. [133] Gressus meos dirige secundum eloquium tuum, et non dominetur mei omnis injustitia.

[134] Redime me a calumniis hominum ut custodiam mandata tua.

[135] Faciem tuam illumina super servum tuum, et doce me justificationes tuas.

[136] Exitus aquarum deduxerunt oculi mei, quia non custodierunt legem tuam. SADE.

[137] Justus es, Domine, et rectum judicium tuum.

[138] Mandasti justitiam testimonia tua et veritatem tuam nimis.

[139] Tabescere me fecit zelus meus, quia obliti sunt verba tua inimici mei.

[140] Ignitum eloquium tuum vehementer, et servus tuus dilexit illud.

[141] Adolescentulus sum ego et contemptus; justificationes tuas non sum oblitus.

[142] Justitia tua, justitia in æternum, et lex tua veritas.

[143] Tribulatio et angustia invenerunt me; mandata tua meditatio mea est.

[144] Æquitas testimonia tua in æternum; intellectum da mihi, et vivam.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXVIII (8).

PHE.

129. Mirabil cosa ell’è la tua legge; per questo ne ha l’alto diligente studio l’anima mia

130. La sposizione di tue parole, illumina, e dà intelletto ai piccoli.

131. Apersi mia bocca, e a me trassi le spirito, perché anelava a’ tuoi comandamenti.

132. Volgi a me gli occhi ed abbi pietà di me, come tu suoli di que’ che amano il nome tuo.

133. Indirizza i miei passi secondo la tua parola, e veruna ingiustizia non regni in me.

134. Liberami dalle calunnie degli uomini, affinché io osservi i tuoi precetti.

135. Fa risplendere sopra il tuo servo la luce della tua faccia, e insegnami le tue giustificazioni.

136. Rivi di lacrime hanno sparso i mici occhi, perché non hanno osservato la tua legge.

SADE.

137. Giusto se’ tu, o Signore, e retti sono i tuoi giudizi.

138. Tu strettamente comandasti la giustizia, o la tua verità ne’ tuoi precetti.

139. Il mio zelo mi consumò, perché i miei nemici si sono scordati di tue parole.

140. La tua parola è grandemente infiammata, e il tuo servo l’amò.

111. Piccolo son io ed abbietto: di tue giustificazioni non mi scordai.

142. La tua giustizia è giustizia eterna, e la tua legge è verità.

143. Mi sorpresero le tribolazioni e gli affanni; i tuoi precetti sono la mia meditazione.

144. Equità eterna sono le tue testimonianze; dammi intelligenza aftinché io abbia vita.

Sommario analitico

VIII SEZIONE

129-144.

Nelle due sezioni precedenti, Davide ha chiesto a Dio dei soccorsi contro le imboscate e gli attacchi aperti dei suoi nemici. Ora, riconoscendosi colpito dai loro dardi, implora la misericordia e la giustizia di Dio.

I. Prima di implorare la misericordia di Dio, fa l’elogio della sua Legge e dichiara:

1° che essa è mirabile, ed è per questo che è l’oggetto della sua meditazione (129);

2° che la spiegazione di questa Legge diffonde nell’anima dei piccoli, delle meravigliose chiarezze (130);

3° Che il desiderio di questa Legge dà all’anima una forza nuova ed un vigore tutto spirituale (131).

II. Dopo questo elogio della Legge di Dio, egli espone l’oggetto della sua domanda e prega Dio:

1° di gettare su di lui uno sguardo di misericordia (132);

2° di dirigerlo nelle sue vie, affinché non sia dominato da alcuna ingiustizia (133);

3° Di liberarlo dalle calunnie degli uomini, affinché possa osservare i comandamenti di Dio (134);

4° di illuminarlo con la sua divina luce e di insegnargli Egli stesso i suoi comandamenti (136).

III. – Egli osa appressarsi al tribunale della giustizia e ricordare a Dio le ragioni che ha per essere esaudito:

1° deplora sia le proprie colpe che le prevaricazioni degli altri (136); 

2° loda Dio: – a) per la giustizia che gli è propria ed inerente, e la rettitudine dei suoi giudizi (137), – b) per l’equità dei suoi giudizi (138);

3° espone a Dio le ragioni che appoggiano la sua preghiera:

a) il suo zelo ed il suo dolore alla vista delle prevaricazioni (139)

b) la cura che ha avuto nell’apprendere e conservare i suoi comandamenti, anche in una età in cui tutto cospira a farli dimenticare (141);

4° domanda a Dio di dargli l’intelligenza per preservarlo da ogni ricaduta e conservare la vita che gli ha reso, e per questo:

a) proclama di nuovo che la legge di Dio, in questo ben diversa dalle leggi umane, è giusta e la giustizia stessa, e non una giustizia passeggera, ma una giustizia eterna (142);

b) Ricorda l’afflizione e l’angoscia che sono venute a fondersi su di lui, ed il rimedio che ha trovato contro di esse nella meditazione della legge di Dio (143);

c) Riconosce che Dio non punisce sempre in virtù della sua severa giustizia, ma per un effetto della sua equità e della sua bontà, e conclude domandando l’intelligenza che deve dargli la vita (144). 

Spiegazioni e Considerazioni

VIII SEZIONE — 129-144.

I. – 129-131.

ff. 129-131. – « Le vostre testimonianze sono ammirevoli, ecco perché la mia anima le ha scrutate. » Chi potrebbe enumerare, anche in generale, le testimonianze di Dio? Il cielo, le nuvole visibili, le nubi visibili ed invisibili, rendono, in una certa maniera, testimonianza della sua bontà e della sua grandezza; ed il corso abituale e regolare della natura, nella quale si svolge il tempo, porta con sé cose di ogni specie … , se le si considera religiosamente, non rendono testimonianza al Creatore? Quali di queste cose non sono meravigliose, se misuriamo ciascuna di esse non con l’indifferenza che ne dà l’uso, ma con la nostra ragione? E se sappiamo abbracciarle tutte insieme in un solo colpo d’occhio, non avvertiamo ciò che ha fatto il Profeta: « Io ho considerato le vostre opere, e questa vista  mi ha gettato nello spavento? » (Habac. III, 1). – Lo stupore non ha prodotto questo terrore nel Salmista; esso è stato piuttosto la causa dello studio profondo che egli faceva delle sue opere, perché esse sono ammirevoli, come se la difficoltà di questa investigazione non avesse fatto che accrescere la sua curiosità. Inoltre, in effetti, più le cause di una cosa sono misteriose, più questa cosa è ammirevole e stupefacente. (S. Agost.). – « La rivelazione delle vostre parole chiarisce e dà l’intelligenza ai piccoli. » Bisogna essere rischiarati prima in se stessi nella parola di Dio, prima di illuminare gli altri. I piccoli, cioè gli umili, sono i soli che possono ricevere e dare l’intelligenza di questa divina parola: « Io vi rendo gloria o Padre mio, Signore del cielo e della terra, perché avete nascosto queste cose ai saggi ed ai prudenti, e le avete rivelate ai piccoli. »  (Matth. XI, 25). – Che desiderava il salmista, se non praticare i comandamenti di Dio? Ma questo desiderio non era sufficiente, perché debole potesse compiere delle cose forti, e piccolo, delle cose grandi; egli ha dunque aperto la bocca domandando, cercando, bussando (Matth. VII, 7); egli ha aspirato con una sete ardente, allo spirito di ogni bene, alfine di compiere ciò che non poteva fare da se stesso, il comandamento di Dio, santo, giusto e buono. (Rom. VII, 12), (S. Agost.). – Comprendete qual sia questa bocca che bisogna aprire per attirare lo spirito: è la bocca dell’anima, che ha anche le sue membra. Aprite questa bocca, non soltanto a Gesù-Cristo che vi dice: « Aprite la vostra bocca ed io la riempirò, » (Ps. LXXX, 11), ma ancora al discepolo di Gesù-Cristo, che ha aperto la sua bocca a Gesù-Cristo perché la riempia, e che dice con fiducia ai Corinti: « La mia bocca si apre, ed il cuore si dilata verso di voi » (II Cor. VII). Egli ci insegna così ad essere imitatori, come egli lo è di Gesù-Cristo. Colui che è più perfetto apre la sua bocca a Gesù-Cristo, colui che lo è meno, al discepolo di Gesù-Cristo. (S. Ambr.). – Noi apriamo questa bocca in tre maniere per attirare in noi lo spirito: – 1° con il desiderio; questo spirito non entra da se steso nella nostra anima, Egli vuole essere desiderato, attirato e risucchiato, come il bambino succhia il latte dal seno di sua madre; – 2° con la preghiera: « egli aprirà la sua bocca per pregare, ed implorerà il perdono dei suoi peccati, perché se il Signore sovrano lo vuole, lo riempirà dello Spirito di intelligenza, e spanderà come la pioggia le parole di saggezza. » (Eccli. XXXIV, 7) ; » – 3° con la predicazione e le conversazioni spirituali: «Io ho aperto la bocca ed ho attirato lo spirito. » Egli non attirerebbe lo spirito se non aprisse la bocca; vale a dire che se non si applicasse interamente ad insegnare agli altri, non verrebbe a crescere in lui la grazia della dottrina celeste. (S. Greg.). 

II. — 132-136

ff. 132 – 135. – « Gettate gli occhi su di me, ed abbiate pietà di me. » Due sono gli sguardi di Dio, l’uno di giusta collera, l’altro di misericordia; è quest’ultimo che il salmista implora, ed è per questo che aggiunge: « ed abbiate pietà di me. » – « Dirigete i miei passi secondo la vostra parola. » Questi non sono i progressi dell’anima, come vediamo chiaramente in un gran numero di passi della Scrittura. Cosa dice qui il salmista se non: fatemi retto e libero secondo la vostra promessa? Ora, più l’amore di Dio regna in un uomo, e meno in lui domina l’iniquità. Cosa domanda di conseguenza, se non amare Dio se non mediante un dono di Dio stesso? In effetti, amando Dio, egli ama se stesso, alfine di poter amare santamente anche il prossimo come se stesso … Cosa domanda dunque, se non che Dio gli faccia compiere con il suo aiuto i precetti che gli ha imposto con i suoi ordini? (S. Agost.). – Egli domanda al Signore di dirigere i suoi passi non secondo le vie del mondo, non secondo la gloria umana, non secondo le voluttà del corpo, ma secondo la parola di Dio. Se qualche impedimento non viene a fargli da ostacolo, se non è circondato da nemici da ogni lato, egli potrebbe fermare i suoi passi nella via che percorreva; ma esistendo dappertutto delle imboscate, la guerra è dichiarata dappertutto; egli ha dunque bisogno di un soccorso superiore affinché non lo domini alcuna ingiustizia. (S. Hilar.).  « Liberatemi dalle calunnie degli uomini. » Noi non siamo tormentati da un solo genere di afflizioni; ci sono le tentazioni, ci sono le calunnie, ma la calunnia è sempre una tentazione. Ci sono tentazioni che non oltrepassano le forze umane e che possiamo sopportare, ma la calunnia è tanto più travolgente in quanto che non solo ricorre alla menzogna e parla contro la verità, ma snatura le azioni più sante. « Liberatemi, dice il Profeta, dalla calunnia degli uomini, affinché io possa osservare i vostri comandamenti; » perché colui che è oppresso dalla calunnia non può facilmente osservare i suoi comandamenti; egli soccombe necessariamente o alla tristezza, o al timore, e si rattrista o per il timore della calunnia o per il dolore (S. Ambr.). – La calunnia è una delle tentazioni più delicate per i santi: – 1° perché hanno talmente in orrore il vizio, che non possono soffrirne nemmeno l’ombra in se stessi; – 2° perché la malignità degli uomini è così grande, che essi credono facilmente al male che si dice degli altri; – 3° perché, in tante circostanze, è difficile provare la propria innocenza; – 4° perché prima che possano dimostrare la falsità della calunnia, essi sono condannati ed oppressi; – 5° perché la calunnia, anche se combattuta e rifiutata, lascia sempre cadere qualche sospetto; – 6° perché essa è sovente causa od occasione di scandalo. – « Fate brillare sul vostro servo la luce del vostro volto. » Dio illumina i suoi Santi e fa brillare la sua luce nel cuore dei giusti. Quando dunque voi vedete un vero saggio, sappiate che la gloria di Dio discende su di lui, ed ha illuminato il suo spirito con le chiarezze della scienza e della conoscenza di Dio … È al Messia, al Signore Gesù, che Davide fa questa preghiera. Egli desiderava vedere la faccia del Cristo, perché il suo spirito fosse illuminato dai suoi splendori; queste parole possono dunque intendersi per mezzo dell’Incarnazione, nel senso di queste parole del Salvatore (Luc. X, 24):  « Un gran numero di profeti e di giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete. » (S. Ambr.). – Dio fa splendere questa luce del suo volto, quando ci dà il suo Spirito; perché come colui che non ha occhi non può vedere l’oro più brillante né le pietre più splendenti, così colui che non ha lo Spirito di Dio non può vedere questa luce del suo volto, né della sua verità, che brilla da ogni parte nelle Scritture (Ciril. Aless.).

ff. 136. — « I miei occhi hanno versato torrenti di lacrime, perché non hanno custodito la vostra legge. » È ricordando il punto di inizio del suo doppio crimine di adulterio e di omicidio, che Davide pronuncia queste parole e fa questa confessione. –  I nostri peccati, sono l’unico legittimo soggetto delle nostre lacrime, e non dovremmo mai  consolarci nell’aver commesso tanti peccati, se non deplorandoli e ripararli. « Che possa io fare scorrere dai miei occhi, giorno e notte, un torrente di lacrime, che non mi dia tregua, e la pupilla dei miei occhi non riposi. » (Lam. de Ger. II, 18). – Davide aveva dei buoni motivi per le lacrime: i crimini commessi in famiglia, la morte tragica dei suoi figli, ma non è questo che egli deplora qui; ciò che fa scorrere le sue lacrime è il fatto che non abbia osservato la legge di Dio (S. Ambr.). – È la vera voce della penitenza che qui si fa intendere, il pregare spandendo delle lacrime, il mescolare i suoi gemiti con le sue lacrime, in modo da poter dire: « il mio giaciglio, tutte le notti, sarà bagnato dalle miei pianti, ed il mio letto irrorato dalle mie lacrime. » (Ps. VI, 6). Ecco quello che ottiene il perdono dei nostri peccati: l’aprire una vera sorgente di lacrime, fino ad esserne coperto ed inondato. (S. Hilar.).

III. —137-144.

ff. 137, 138. –  « Voi siete giusto, Signore, ed il Vostro giudizio è retto. » Ecco un vero giusto: egli versa torrenti di lacrime, è circondato dai dolori, espia i suoi peccati con severi castighi; tuttavia non è né vinto dal nemico, né vinto dal terrore, né stanco per le fatiche, né abbattuto dalla tristezza … Proclamando la giustizia di Dio, egli confessa la propria ingiustizia, ma spera anche il perdono dalla giustizia di Dio … tutti i saggi dicono dunque: « Voi siete giusto, Signore, ed il vostro giudizio è retto; » perché non è mai senza un giudizio particolare di Dio, che noi siamo esposti ai nostri nemici, e cadiamo nella tribolazione. È questo giudizio di Dio che fa la consolazione dei giusti. Come il salmista ha detto più in alto: « Io mi sono ricordato dei vostri giudizi e sono stato consolato. » (S. Ambr.). – Ogni uomo che pecca, deve temere questa giustizia di Dio ed il suo giudizio sempre retto e la sua verità. È questo, in effetti, ciò che fa la condanna divina di tutti coloro che sono riprovati, e nessuno di essi può portare lamentele contro la giustizia di Dio, per la sua condanna. Le lacrime del penitente sono dunque giuste; perché se fosse condannato per la sua impenitenza, egli sarebbe, senza alcun dubbio, condannato molto giustamente. Il Profeta dà dunque, con ragione, il nome di giustizia alle testimonianze di Dio; perché ordinando l’osservanza della giustizia, Dio dimostra la sua giustizia; e la sua giustizia è ancora la verità, di modo che Dio si manifesta con questa duplice testimonianza. (S. Agost.). – « Voi avete comandato che si osservassero i vostri comandi con estrema cura, », o meglio, « Voi avete comandato severamente che si osservassero i vostri comandamenti. » La parola “nimis”, si deve riportare a Dio che comanda che si osservi la sua verità, o alla sua verità che dobbiamo osservare con cura estrema? L’uno e l’altro senso sono degni di Dio; perché era degno della sua misericordia fare un comandamento espresso e severo a delle creature sì negligenti e spesso sì ribelli; ma era pur giusto che raccomandasse agli uomini, tanto disposti alla menzogna, di avere per la sua verità un amore che andasse fino all’eccesso.    

ff. 139-141. – « L’ardore del mio zelo mi consuma, perché i miei nemici hanno dimenticato le vostre parole. » È lo stesso sentimento di zelo dal quale l’anima del grande Apostolo era divorato per i suoi fratelli, quando esclamava: « Io dico la verità nel Cristo, non mento, e la mia coscienza mi rende questa testimonianza con lo Spirito Santo, che una profonda tristezza è in me ed un dolore continuo è nel mio cuore. » (Rom. IX, 1). –  Dunque è in buona parte che bisogna prendere qui lo zelo geloso del Profeta, perché ne indica la causa aggiungendo: « Perché i miei nemici hanno dimenticato le vostre parole. » Essi dunque rendono il male per il bene, poiché il salmista risentiva nei loro riguardi, per la causa di Dio, uno zelo sì violento e sì ardente che ne era disseccato. Quanto ad essi, essi avevano odio contro di lui, perché voleva guadagnare all’amore di Dio coloro che, per amore, seguiva con il suo zelo. (S. Agost.). – Quali erano i suoi nemici? Questi non erano né i Giudei sottomessi al suo impero, né i Gentili che, non conoscendo la legge di Dio, non possono ignorare le sue parole. I nemici di Davide, erano i nemici di Dio .. perché non c’è maggior nemico per l’uomo di coloro che si ribellano al Creatore di tutti gli uomini. (S. Ambr.). – Ad esempio del Re-Profeta, il nostro zelo per la gloria di Dio ci fa disseccare quando noi vediamo che si trasgrediscono le sue volontà. Qual è ad esempio il nostro dolore, quando vediamo uno dei membri del popolo di Dio divenire schiavo del secolo, operaio del demonio, vaso di morte, una vittoria dell’inferno? Noi secchiamo dunque di dolore, quando vediamo i Cristiani darsi alla dissolutezza dei festini in giorno di digiuno; il nostro zelo ci riempie di una santa collera, quando un Cristiano affetta una insolente arroganza riguardo ai suoi fratelli; noi siamo penetrati di dolore per Dio, quando vediamo un corpo che è il  membro consacrato del corpo di Gesù-Cristo piombare in ignominiose voluttà. (S. Hilar.). – « La vostra parola è tutta di fuoco, ed il vostro servo l’ha amata. » È il fuoco divino che Gesù-Cristo è venuto a portare sulla terra. Fuoco veramente salutare che non ha virtù se non di scaldare e che non brucia se non i nostri peccati … fuoco della divina parola che unisce queste tre proprietà di purificare, infiammare, illuminare: esso purifica la nostra anima, secondo le parole del Salvatore: « Voi siete puri a causa della parola che vi ho annunciato., » (Giov. XV, 3); egli ci infiamma come i discepoli di Emmaus, quando dicevano: « Non ardeva il nostro cuore quando ci parlava lungo il cammino e ci spiegava le Scritture? » (Luc. XXIV, 33); egli ci illumina, come lo stesso profeta dice più in alto: « La vostra parola è una fiamma che guida i miei passi, una luce che rischiara i miei sentieri. » (S. Ambr.). – È il fuoco che prova l’oro degli Apostoli, questi fondamenti della Chiesa; il fuoco che purifica l’argento delle nostre opere; il fuoco che estrae la brillantezza delle pietre preziose; il fuoco che consuma il fieno e la paglia. Come Davide, questo buon servitore, non potrebbe amare la parola di fuoco che ispira la carità e che allontana il timore? (Idem). – Io sono giovane e disprezzato, ma non ho dimenticato le leggi della vostra giustizia. » Io non fatto come i miei nemici più anziani che hanno dimenticato le vostre parole. Più giovane d’età, egli non ha dimenticato i giusti ordini di Dio, e sembra rattristarsi sui suoi nemici più anziani che li hanno obliati. Riconosciamo qui i due popoli che lottavano nel seno di Rebecca quando le fu detto: non in ragione delle opere dei miei figli, ma in ragione della volontà di Dio: il più anziano, servirà il più giovane. (Gen. XXV, 22, 23). Ma il più piccolo si dice qui disprezzato, perché egli è divenuto il più grande; perché Dio ha scelto di preferenza ciò che è vile e disprezzabile secondo il mondo, e le cose che non sono, per distruggere le cose che sono. (I Cor. I, 28). (S. Agost.). 

ff. 142-144. – La legge di Dio è ben differente dalle leggi umane. La legge di Dio è non solamente giusta, ma è la giustizia stessa; mentre le leggi umane sono spesso mescolate a molte ingiustizie. La legge di Dio non è solo una giustizia passeggera, ma una giustizia eterna; le leggi umane durano spesso che per un tempo breve, e la loro utilità è limitata dagli avvenimenti e dalle circostanze. La legge di Dio è la Verità stessa, e le leggi umane sono spesso frammiste a molti errori e a menzogne. – « La tribolazione, e l’angoscia mi hanno trovato. » Le tribolazioni, le afflizioni cercano il giusto; a volte esse lo trovano, a volte non lo trovano. Esse trovano colui al quale è dovuta la corona; esse non trovano colui che non è giudicato pronto per il combattimento. La tribolazione, dunque è una vera grazia di Dio (S. Ambr.). – Che gli uomini sevizino, perseguitino, importante che i comandamenti di Dio non siano abbandonati, e che, secondo questi comandamenti, i persecutori stessi siano amati. (S. Agost. e S Hilar.). – Felice tribolazione, felice angoscia che, lungi dal portare all’oblio dei comandamenti di Dio, ci danno occasione di compierli perfettamente e di farne un soggetto continuo di meditazione! (Dug.). – « Le vostre testimonianze sono la giustizia eterna; datemi l’intelligenza ed io vivrò. » Bisogna giudicare la giustizia dei comandamenti di Dio, non per ciò che sembra a coloro che non giudicano delle cose se non secondo i tempi presenti, mai in rapporto all’eternità. – L’intelligenza dà la vita come lo Spirito, perché l’Intelletto è una grazia spirituale ed un dono dello Spirito Santo; « Ma l’intelligenza non è buona e proficua che per coloro che la mattono in pratica. » (Ps. CX, 10). Il salmista ci insegna con ciò che non è sufficiente giungere all’intelligenza perfetta delle verità che ci hanno insegnato, ma ancora a tradurre nella nostra condotta tutto ciò che comprendiamo. (S. Ambr.). – Il Re-Profeta non si contenta di proclamare la giustizia e l’equità dei comandamenti di Dio per la vita presente, egli spera che l’effetto di questa giustizia sia per l’eternità, ed ottenere, con le tribolazioni e le angosce del tempo, le ricompense immortali. (S. Hil.).  

https://www.exsurgatdeus.org/2020/04/09/salmi-biblici-clamavi-in-toto-corde-meo-cxviii-9/

SALMI BIBLICI: “CLAMAVI IN TOTO CORDE MEO” (CXVIII – 9)

SALMO 118 (9): “Clamavi in toto corde meo”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 118 (9)

COPH

[145]. Clamavi in toto corde meo:

exaudi me, Domine; justificationes tuas requiram.

[146] Clamavi ad te; salvum me fac, ut custodiam mandata tua.

[147] Præveni in maturitate, et clamavi: quia in verba tua supersperavi.

[148] Prævenerunt oculi mei ad te diluculo, ut meditarer eloquia tua.

[149] Vocem meam audi secundum misericordiam tuam, Domine, et secundum judicium tuum vivifica me.

[150] Appropinquaverunt persequentes me iniquitati, a lege autem tua longe facti sunt.

[151] Prope es tu, Domine, et omnes viæ tuæ veritas.

[152] Initio cognovi de testimoniis tuis, quia in æternum fundasti ea.

RES.

[153] Vide humilitatem meam, et eripe me, quia legem tuam non sum oblitus.

[154] Judica judicium meum, et redime me: propter eloquium tuum vivifica me.

[155] Longe a peccatoribus salus, quia justificationes tuas non exquisierunt.

[156] Misericordiae tuæ multæ, Domine; secundum judicium tuum vivifica me.

[157] Multi qui persequuntur me, et tribulant me; a testimoniis tuis non declinavi.

[158] Vidi prævaricantes et tabescebam, quia eloquia tua non custodierunt.

[159] Vide quoniam mandata tua dilexi, Domine; in misericordia tua vivifica me.

[160] Principium verborum tuorum veritas; in æternum omnia judicia justitiæ tuæ.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXVIII (9).

COPH.

145. Gridai con tutto il mio cuore: esaudiscimi, o Signore; fa ch’io cerchi le tue giustificazioni

147. Prevenni il mattino, e alzai le mie grida; perché nelle tue parole posi grande speranza.

148. Prima del mattino, a te si volsero gli occhi miei per meditar la tua legge.

149. Secondo la tua misericordia odi, o Signore, la mia voce; e secondo la tua promessa, dammi la vita.

150. Si sono accostati i miei persecutori all’iniquità, e si son dilungati dalla tua legge.

151. Tu stai dappresso, o Signore, e tutte le vie tue son verità.

152. Fin da principio io conobbi che i tuoi precetti gli hai tu stabiliti per tutta l’eternità.

153. Mira la mia umiliazione, e liberami; perocché non mi sono scordato della tua legge.

154. Giudica la mia causa, e riscattami; per riguardo alla tua parola, rendi a me vita.

155. La salute è lungi dai peccatori; perché  non hanno ricercate le tue giustificazioni.

156. Le tue misericordie son molte, o Signore; dammi vita, secondo la tua parola.

157. Molti son quelli che mi perseguitano e mi affliggono; dai comandamenti tuoi non ho deviato.

158. Vidi i prevaricatori, e mi consumava di pena; perché non hanno osservate le tue parole.

159. Mira, o Signore, com’io ho amati i tuoi precetti; per tua misericordia, dammi la vita.

160. Il principio di lue parole è verità; i giudizi di tua giustizia sono in eterno.

Sommario analitico

IX SEZIONE

145-160.

Davide domanda a Dio di dichiararsi suo Salvatore contro i pericoli molteplici ai quali è esposto da parte dei suoi nemici, e di metterlo in possesso della vita eterna, ove non avrà più nulla da temere.

I. Egli chiede a Dio di salvarlo a causa della sua preghiera:

I° Essa è fervente, sincera, umile, santa (145, 146).

2° Essa è vigilante, pressante, piena di speranza (147, 148).

II Chiede la salvezza e la vita a causa di Dio, vale a dire:

1° A causa della sua misericordia e della sua giustizia (149), perché appartiene alla giustizia di Dio, che resiste nel difenderlo contro i malvagi che si avvicinano all’iniquità e si allontanano dalla sua Legge, il dargli la vita (150);

2°  a causa delle vie di Dio che sono tutte verità (151);

3° a causa delle sue leggi eterne ed immutabili (152).

III. Chiede a Dio la salvezza e la vita, a causa dei suoi nemici:

1° che lo umiliano e si affollano ai suoi piedi (153),

a) benché non abbia obliato la legge di Dio (153), benché l’abbia osservata nella sua volontà e nel suo cuore, e che attende con tutta la sua anima le promesse fatte ai giusti (154);

2° Che peccano contro Dio, e sono esclusi per questo dalla salvezza, mentre egli spera nella sua per la misericordia e la giustizia di Dio (155, 156);

3° Che lo attaccano in gran numero, senza che abbiano potuto farlo deviare dalla retta via (157);

4° Che violano apertamente la legge di Dio e sono causa del vivo dolore che egli prova nel vedere Dio disonorato ed oltraggiato (158).

IV. – Finisce per dichiarare:

1° La sua carità per Dio ed i suoi comandamenti (159),

2° la sua speranza nella sua misericordia.

3° La sua fede nella verità delle promesse e dei giudizi di Dio (160).

Spiegazioni e Considerazioni

IX SEZIONE — .145-160.

I. – 145-148.

ff. 145-148. – Quando siamo sotto i colpi della sofferenza corporale, è il dolore che ci fa gridare per richiamare il nostro soccorso. Il santo Profeta era caricato egli stesso dal dolore alla vista della moltitudine dei suoi persecutori, non solo visibili, ma anche invisibili e, sul punto di essere attaccato, grida a Dio con tutte il suo cuore. Il cuore dunque ha anche la sua voce. Il nostro cuore grida, non come il corpo, con un suono esteriore e sensibile, ma con l’elevazione dei pensieri, con il concerto delle virtù. Cosa c’è di più grande, di più forte, del grido della fede! Non che è sotto l’ispirazione dello Spirito di adozione che noi gridiamo: Abba, Padre! E non è lo Spirito di Dio stesso che grida in noi? Cosa c’è di più eclatante che la voce della giustizia, la voce della castità, con la quale i morti stessi continuano a parlare! Ma l’anima dell’uomo ingiusto, anche quando è in vita, resta muta, perché essa è morta per Dio … Non è sufficiente gridare verso il Signore, bisogna cercare le sue giustizie. Ora, cercare le giustizie di Dio, non è aspirare alle alte conoscenze, né darsi a tutte le ricerche curiose della scienza, ma attribuire alla Provvidenza divina tutto ciò che si evidenzia di buono e giusto in tutte le creature ragionevoli o prive di ragione (S. Ambr.). – Il Profeta, dopo aver gridato verso Dio, per ottenere la grazia di ricercare le sue giuste ordinanze, grida ora perché Dio lo salvi, affinché possa osservare i suoi comandamenti. Egli non ha osato sperare ancora che le sue grida gli ottenessero la salvezza: bisognava prima che fosse degno di essere esaudito; occorreva prima che cercasse le giustificazioni del Signore. Non è se non dopo che egli chiede al Signore di salvarlo. Noi, al contrario, domandiamo a Dio la salvezza come un debito, come se Dio fosse costretto ad accordarcelo; e piaccia a Dio che la nostra preghiera sia un grido del cuore, e non sia soltanto un semplice movimento delle nostre labbra (S. Hilar.). – Noi non dobbiamo gridare verso Dio come nostro Salvatore e nostro medico, senza altro disegno che di essere salvati, di essere guariti, e dire a Gesù-Cristo con profonda fede: « Signore, se Voi volete, potete guarirmi. » – « Io mi sono affrettato ed ho gridato di buon ora. » Colui che prega il Signore non deve attendere i tempi stabiliti principalmente per la preghiera, ma essere, per così dire, sempre in preghiera, … sia che mangiamo, sia che beviamo, annunciamo Gesù-Cristo, preghiamo Gesù-Cristo, parliamo di Gesù-Cristo, che Gesù-Cristo sia sempre nella nostra bocca, sempre nel nostro cuore … « Ed io ho sperato nelle vostre parole. » Il giusto spera sempre, e anche nel mezzo di numerose avversità che lo opprimono, conserva la speranza, che s’accresce quanto più le prove diventano forti (S. Ambr.). – Egli non ha atteso la vecchiaia, quando non c’è più forza per il vizio, né questo tempo in cui le freddezze dell’età fanno seguito a questo calore bollente e sconsiderato dei giovani anni; ma egli ha prevenuto con la sua fede e la sua religione l’età della maturità, trionfando con la continenza delle passioni della giovinezza, comprimendo tutti i movimenti della voluttà, e pervenendo alla maturità della vecchiaia con la calma e la tranquillità di una giovinezza casta e modesta (S. Hilar.). –  « I miei occhi hanno prevenuto l’aurora per meditare le vostre parole. » Precedentemente, era di buon ora, ma prima dell’ora prima nel tempo stabilito per la preghiera, come se dicesse: « Io mi levavo nel mezzo della notte; » qui è mattino, è prima dell’aurora. « Prevenite dunque il sorgere del sole, sarebbe vergognoso che i suoi primi raggi vengano ad illuminare il vostro sonno, e che la luce colpisca gli occhi carichi ancora sotto il peso della sonnolenza. Questo lungo tempo della notte che è scorso senza che noi abbiamo compiuto alcun atto di religione, senza offrire alcun sacrificio spirituale, ci accusa e ci spinge. Non sapete che voi dovete offrire tutti i giorni le primizie del vostro cuore e della vostra voce? Avete tutti i giorni una messe, dei frutti abbondanti da raccogliere (S. Ambr.). 

II — 149 – 152.

ff. 149-152. – « Signore, ascoltate la mia voce, secondo la vostra misericordia, e datemi la vita secondo il vostro giudizio. » Sempre l’uomo, benché santo, benché giusto, deve chiedere a Dio di esaudirlo secondo la sua misericordia e non secondo i suoi meriti, o le sue virtù, perché gli atti di virtù sono rari, ed i peccati numerosi. (S. Ambr.). – Dio comincia, secondo la sua misericordia, a liberare i peccatori dal castigo, ed in seguito, quando saranno giusti, darà la vita secondo il suo giudizio; perché non è senza ragione che il Profeta ha detto a Dio nell’ordine seguente: (Ps. C, 1): « Signore, io canterò a vostra gloria la misericordia ed il giudizio. » (S. Aug.). – « Coloro che mi perseguitano sono prossimi all’iniquità e si sono allontanati dalla vostra legge. » Colui che perseguita suo fratello, si allontana dalla Legge, perché quale bene può esserci tra la giustizia e l’iniquità? Ora, colui che si separa dalla Legge si separa dalla vita eterna, perché la Legge è la vita (S. Ambr.). – Più questi persecutori si sono avvicinati ai giusti che essi perseguitano, più si sono allontanati dalla giustizia. Ma quale male essi hanno potuto fare ai giusti ai quali si sono avvicinati con la persecuzione, dal momento che il loro Dio si avvicina ad essi interiormente senza mai abbandonarli? (S. Agost.). – In qualunque persecuzione che noi soffriamo, ricordiamoci che Dio ci è vicino, e che i nostri nemici più furiosi non hanno potere su di noi, più di quanto sia loro dato. – Anche in mezzo alle tribolazioni, i Santi confessano sempre la verità di Dio, dichiarando che on soffrono nulla che non abbiano meritato … Ma in qual senso è detto: « Tutte le vostre vie, sono verità, » poiché in altro salmo è detto: « Tutte le vie del Signore, sono misericordia e verità? » (Ps. XXIV, 10)? La risposta è che nei riguardi dei Santi, tutte le vie del Signore sono misericordia, e tutte le vie del Signore sono ugualmente verità; perché anche nei giudicanti, viene in loro aiuto, di modo che la misericordia là si trovi, e in più, facendo loro misericordia, dà ciò che ha promesso, affinché la verità si trovi ugualmente là. Ma ad uno sguardo d’insieme, a tanti di coloro che libera, che a coloro che condanna, tutte le vie del Signore sono misericordia e verità; perché là ove non fa misericordia, la verità brilla nel castigo che viene inflitto; perché se tutti coloro che libera, non lo hanno meritato, Egli non condanna nessuno che non l’abbia meritato. (S. Agost.). – « Io ho riconosciuto fin dall’inizio che Voi avete stabilito le vostre testimonianze per l’eternità. » Quali sono queste testimonianze, se non quelle per le quali Dio ha attestato che esse doneranno ai suoi figli il suo regno eterno? E perché Dio ha attestato che lo donerà solo al Figlio suo unigenito al quale è stato detto: « E il suo regno non avrà fine, » (Luc. I, 33), il Profeta dichiara che queste testimonianze sono fondate per l’eternità, perché il regno che Iddio promette con queste testimonianze è eterno (S. Agost.).

III. — 153-158.

ff. 153-158. – « Vedete la mia umiliazione e liberatemi, perché io non ho dimenticato la vostra legge. » Il Profeta si glorifica da solo, mi si dirà? Se si glorifica, si glorifica nelle sue infermità, come l’Apostolo San Paolo (II. Cor., XII, 15). Gli uni si glorificano nelle loro ricchezze, gli altri nei loro titolo nobiliari e nei loro ancestri, altri nelle dignità ed onori di cui sono rivestiti; il giusto si glorifica nelle sue umiliazioni, perché la vera gloria, è l’essere sottomessi a Gesù-Cristo. Una prova che Davide non ceda qua ad alcun movimento di vanagloria, ma che desideri attirare su di sé la grazia di Dio, è che infatti ciò che egli dice: « Vedete le mie umiliazioni ed i miei travagli, e perdonate i miei peccati. » In questo salmo, egli chiede che Dio gli rimetta i suoi peccati, come qui lo prega di liberarlo … l’atleta coraggioso mostra le sue membra, quando dopo penosi combattimenti lo si forza a rientrare immediatamente nell’arena, affinché il giudice, vedendo il suo corpo spossato dalla fatica, cessi di spingerlo a sostenere nuove lotte. Voi anche, mostrate l’umiliazione e la fatica del vostro cuore: queste sono le prove del vostro coraggio; mostrate i combattimenti che ha sostenuto il vostro corpo, e dite con l’Apostolo: « io ho combattuto il buon combattimento, ho terminato la corsa (II. Tim. IV, 7), e a questa vista, il Giudice di questo combattimento spirituale vi consegnerà la corona della giustizia, perché voi avete combattuto secondo le regole. (S. Ambr.). – Davide non domanda a Dio di considerare in lui le ricchezze del suo regno, lo spirito di profezia e alcuni dei vani piaceri che pubblica sì volentieri la iattanza umana; egli prega Dio di vedere in lui solo una cosa: l’umiliazione alla quale si  è ridotto. (S. Hilar.). – « Giudicate la mia causa e riscattatemi. » Coloro che sono innocenti bramano nei loro desideri il momento in cui saranno giudicati e potranno fornire lo prove della loro innocenza: è un desiderio che è loro comune con i Santi; ma colui che è giusto davanti a Dio ha un altro motivo per non temere il giudizio: la sua causa è tra le mani di un Giudice misericordioso, e spera di essere ben presto ricompensato ed assolto dal suo Redentore … (S. Ambr.). – « La salvezza è lontana dal peccatore. » Sono essi stessi gli artefici della loro sventura, perché non hanno voluto avvicinarsi a Dio; essi sono lungi da Lui, perché si sono separati con la loro volontà dalla grazia della salvezza. Non è la salvezza che si è allontanata da loro, sono essi che si sono allontanati da essa … e come si sono allontanati dalla salvezza? « Perché non hanno cercato i giusti ordini di Dio. » (Idem). – « Le vostre misericordie sono abbondanti, Signore. » Benché la salvezza sia lontano dai peccatori, tuttavia nessuno disperi, perché le misericordie di Dio sono infinite. Coloro che periscono per i loro peccati, sono liberati dalla misericordia del Signore … ma dopo aver detto che le misericordie di Dio, sono infinite, come si può domandare che Egli faccia vivere secondo l’equità dei suoi giudizi, allorquando lo prega, in un altro salmo, di non entrare in giudizio con il suo servo (Ps. CXLII, 2). « Bisogna ricordarsi qui che ci sono due giudizi di Gesù-Cristo: l’uno in cui ci chiede conto de tutti i suoi benefici nell’ordine della natura ed in quello della grazia, al quale non possiamo non rispondere; l’altro, in cui ci giudica tenendo conto della nostra fragilità. Ora, la verità di questo giudizio si trova temperato dalla misericordia del Signore (S. Ambr.), – « Vi sono molti che mi perseguitano e mi caricano di tribolazioni. » È questo un fatto, lo sappiamo, ne abbiamo il ricordo, lo riconosciamo. La terra intera è imporporata dal sangue dei martiri, il cielo è fiorito delle corone dei martiri, le chiese sono ornate dalle memorie dei martiri, i tempi si distinguono per la nascita dei martiri, le guarigioni si moltiplicano per i meriti dei martiri. Perché, questo avviene se non per compimento di ciò che qui è predetto su quest’uomo diffuso nel mondo intero? « Molti mi perseguitano e mi caricano di tribolazioni; ma io non mi sono mai allontanato dalle vostre testimonianze. » Noi lo riconosciamo e rendiamo al Signore delle azioni di grazie; perché voi, o uomo perseguitato, avete detto in un altro salmo: « Se il Signore non fosse stato con noi, quando uomini ci assalirono, ci avrebbero inghiottiti vivi, nel furore della loro ira. » (Ps. XVVIII, 2). Ecco perché voi non vi siete allontanato dalle testimonianze di Dio, e perché, liberato dalle mani crudeli dei vostri numerosi persecutori, avete riportato la palma della celeste vocazione (S. Agost.). – Non c’è un gran merito nel non allontanarsi dalle testimonianze di Dio, quando nessuno vi affligge, non vi perseguita … ma quando le tribolazioni si moltiplicano, è allora che, come accadde al patriarca dell’Idumea, apparve il vero servo di Dio. « È con molte tribolazioni che ci ha fatto entrare nel regno dei cieli. » Se le tribolazioni sono numerose, le prove lo sono egualmente, e le corone sono in proporzione ai combattimenti. È dunque un enorme vantaggio per voi, essere soggetto a numerose persecuzioni: esse sono per voi un continuo pegno della vittoria e del trionfo. (s. Ambr.). – « Io ho visto i prevaricatori e mi sono rinsecchito per il dolore. » Beato colui che è pieno di carità di Dio, rinsecchito dal rimpianto e dal dolore, non perché lo si perseguiti, ma perché i suoi persecutori violano impunemente la legge di Dio. Gli uni nel mondo, si prosciugano per il dolore, in seguito ai loro criminali amori; altri si prosciugano fintanto che la loro cupidigia e la loro avarizia non sia saziata; altri, divorati dall’ambizione, si prosciugano nella ricerca delle dignità e degli onori … Ma il vero servo di Dio, non è sensibile che agli interessi di Dio, ed il suo dolore più grande è vedere che i suoi comandamenti non siano osservati (S. Ambr.). – È là il carattere particolare dell’amore di condoglianza: egli considera in Dio le offese che Egli riceve, gli oltraggi che lo affliggono; egli agisce come se Dio avesse bisogno di soccorso e sollecitasse l’aiuto di un alleato; egli è portato a condividere i suoi interessi ed a diventare estremamente delicato su tutto ciò che tocca il suo onore, i suoi occhi sanno vedere ciò che non vede l’uomo comune mente; egli riconosce che si tratti di Dio, là dove gli altri non comprendono che la Religione possa essere il meno del mondo interessato; egli vede Dio dappertutto, come se la sua onnipresenza fosse per lui sensibile come il bagliore della luce o l’azzurro del cielo. È un amore geloso, senza prudenza, ciò che fa sì che gli uomini siano portati ad offendersene. Egli confonde la sua causa con quella di Dio e, come Davide nei suoi salmi, non c’è che un linguaggio per esprimerli entrambi. C’è un dolore che non lo lascia, che lo prosciuga, e questo dolore viene dalla moltitudine e dalla sfrontatezza dei peccati; il peccato gli causa una pena amara, che accende non la sua indignazione, ma che fa scorrere le sue lacrime; il suo cuore soffre nel vedere la condotta degli uomini, e vorrebbe mettere Dio al riparo nella luce della sua affezione compassionevole, e ripetere incessantemente quanto questo peccato lo affligga: « Io ho visto i prevaricatori e mi sono prosciugato dal dolore. » (FABER: Le Créât, et la Créât., p, 182.)

IV. — 159, 160

ff. 159, 160. – Il Profeta si affretta a segnalare quanto egli differisca da questi prevaricatori della Legge di Dio: « Vedete – egli dice – che io ho amato i vostri comandamenti. » Egli non dice: io non ho rinnegato le vostre parole o le vostre testimonianze, come venivano costretti a fare i martiri per far loro soffrire intollerabili supplizi; ma giungendo di conseguenza subito alla virtù, che rende fruttuose tutte le sofferenze, alla carità, domanda la sua ricompensa: « Nella vostra misericordia, datemi la vita. » Le persecuzioni danno la morte; voi datemi la vita! Ma se domanda alla misericordia la ricompensa che deve rendere giustizia, a qual più forte ragione ha ottenuto la misericordia di arrivare alla vittoria che gli merita questa ricompensa (S. Agost.). – « Vedete quanto ho amato i vostri comandamenti. » Il Profeta invita il Signore a considerare la pienezza del suo amore. Nessuno dice: Vedete, considerate, se non sia Colui che giudica, ad essere gradito a coloro che lo vedranno … egli non dice soltanto: io ho osservato, ma « io ho amato i vostri comandamenti, » ciò che è molto più perfetto che osservarli, perché li si può osservare per necessità, per timore, ma questo non appartiene alla carità, che è  l’amarli. Colui che predica il Vangelo, osserva i comandamenti, ma colui che riceve la ricompensa è colui che lo predica volentieri; quanto più colui che lo predica per amore; noi, possiamo non amare ciò che vogliamo, ma non possiamo non volere ciò che amiamo. Ma chi attende da Dio la ricompensa della sua carità perfetta, non tralascia di implorare il suffragio della sua misericordia, che gli dà la vita. Egli non si presenta come un uomo che esige con fierezza ciò che gli sia dovuto, ma come un umile supplice della misericordia divina. (S. Ambr.). – La verità è il principio delle vostre parole, e tutti i giudizi della vostra giustizia sono resi per l’eternità. » Le vostre parole procedono dalla verità, ecco perché esse sono vere e non ingannano nessuno quando annunziano in anticipo la vita al giusto, il castigo all’empio. Tali sono, in effetti, i giudizi della giustizia di Dio per l’eternità (S. Agost.). – Poiché la verità è il principio delle parole di Dio, ed essa è anche il principio della fede. In effetti, noi dobbiamo dapprima credere che tutto ciò che leggiamo nelle divine Scritture dell’Essere sovrano, sia vero. Noi dobbiamo in seguito penetrare la forza di queste verità con una conoscenza più perfetta. Il timore del Signore è l’inizio della sapienza, e la pienezza della sapienza è l’amore; così, la pienezza delle parole di Dio, è la conoscenza perfetta della giustizia, e come il timore del Signore è come il gradino necessario per arrivare alla grazia della carità, così la verità è come il gradino per il quale ci eleviamo fino ai giudizi della Giustizia divina. (S. Ambr.).

https://www.exsurgatdeus.org/2020/04/10/salmi-biblici-principes-persecuti-sunt-me-gratis-cxviii-10/

LETTERA AL PICCOLO GREGGE DI SAN ATANASIO

Sant’Atanasio scrisse la seguente lettera – durante la terribile persecuzione ariana – per incoraggiare il suo piccolo gregge di residui Cattolici (intransigenti) ancora perseveranti nella Fede. La lettera è ancora più applicabile oggi, durante questo terribile periodo di Apostasia: che fu intenzionalmente lanciato dalla Sinagoga di satana tramite il “colpo di stato” del Trono Papale al Conclave del 1958 [“… e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa “].

Lettera di Sant’Atanasio al suo “pusillus grex ” (IV secolo d.C.)

“Voi siete coloro che son beati … che rimanete nella Chiesa per la vostra fede

“Che Dio vi consoli! … Ciò che vi rattrista … è il fatto che altri abbiano occupato le chiese con la violenza, mentre in questo periodo voi ne siete fuori. È un dato di fatto che essi abbiano gli edifici, — ma voi avete la Fede Apostolica. Possono [gli ariani allora, oggi i modernisti della setta del “Novus Ordo”–ndr.-] occupare le nostre chiese, ma sono al di fuori della vera Fede. Voi rimanete fuori dai luoghi di culto, ma in voi abita la vera Fede. Consideriamo dunque: cosa è più importante, il luogo o la Fede? La vera Fede, ovviamente! Chi ha perso e chi ha vinto nella lotta: colui che possiede gli edifici o colui che possiede la fede?

È vero, gli edifici sono buoni quando la Fede Apostolica viene lì predicata; essi sono santi se tutto avviene lì in modo santo …

Voi siete veramente beati; voi che rimanete nella Chiesa per la vostra Fede, che vi tenete saldamente legati alle fondamenta della Fede che è discesa a voi dalla Tradizione Apostolica. E se una gelosia feroce ha provato a scuoterla in diverse occasioni, non ci è punto riuscita. Questi sono coloro che si sono staccati da essa nell’attuale crisi.

Nessuno mai, prevarrà contro la vostra Fede, amati Fratelli. E crediamo che Dio ci restituirà un giorno le nostre chiese.

Quindi, più violentemente essi cercano di occupare i luoghi di culto, più si separano dalla Chiesa. Sostengono di rappresentare la Chiesa; ma in realtà sono coloro che da sè si stanno espellendo e si stanno smarrendo.

Anche se i Cattolici fedeli alla Tradizione (cioè al vero Papa – ndr.-) sono ridotti ad una manciata, sono essi la “vera” Chiesa di Gesù Cristo “.

(Coll. Selecta SS. Eccl. Patrum, Caillau e Guillou, Vol. 32, pp. 411-412)

LA BESTIA DELLA TERRA

LA BESTIA DELLA TERRA

[Ossia la falsa chiesa dell’anticristo]

[Beato de Liebana: In Apocalypsin B. Joannis Apostoli Commentaria;

Migne, P. L. n. 96, c. I, p. 28]

… E ho visto un’altra bestia sorgere dalla terra.

Ha detto “un’altra” per sua deduzione, ma essa è “una”, perché la seconda fa la volontà della prima bestia, e si riferisce al falso profeta e sacerdote.

E aveva due corna come un agnello,

cioè predicava la Legge e il Vangelo, come l’Agnello, e fingeva di avere un volto come di un uomo giusto: …

ma parlava come un serpente, e faceva scendere fuoco dal cielo davanti al popolo:

come i maghi oggi, usando gli angeli decaduti, fanno miracoli davanti agli occhi degli uomini, così gli empi [cioè “i falsi” ndr.] sacerdoti battezzano alla presenza del popolo, ordinano sacerdoti, e danno l’assoluzione. Sono queste cose che fanno scendere il fuoco dal cielo. Il “fuoco” è lo Spirito Santo; il “cielo”, la Chiesa. E seducono non coloro che abitano in cielo [i Santi – ndr.], ma coloro che abitano sulla terra, e si fanno essi stessi simulacro della prima bestia, e …

attraverso di loro l’Anticristo regna nella Chiesa.

L’UFFIZIO DELLE TENEBRE

L’UFFIZIO DELLE TENEBRE.

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Tip. Ferroni – Firenze, 1869).

In questa sera comincia l’uffizio delle tenebre. La Chiesa celebra, per così dire, in questi tre ultimi giorni, le esequie del Salvatore. L’uffizio delle tenebre si compone del mattutino e delle laudi di domani, che per anticipazione si cantano la vigilia. Si è dato a questa parte d’uffizio il nome di Tenebre, perché verso la fine di esso rimangono spenti tutti i lumi, così per esprimere il duolo profondo della Chiesa, come per rappresentare le tenebre, onde tutte la terra fu avvolta alla morte di Gesù Cristo. L’estinzione dei lumi richiama ancora alla memoria un fatto storico della nostra bella antichità cristiana. L’uffizio che facciamo la sera si faceva di notte, e durava fino alla mattina; via via che il giorno si avvicinava, si spengevano successivamente le faci che non erano più necessarie. Queste faci sono candele poste sopra un candelabro triangolare, a sinistra dell’altare; ordinariamente in numero di quindici, sette per parte e una in mezzo. Si spengono candele di ciascun lato, successivamente, alla fine d’ogni salmo, cominciando dalla più bassa, dalla parte del Vangelo, e quindi dall’altra, e cosi alternativamente, sinché resti sola quella di mezzo che si lascia accesa. Le dette candele sono di cera gialla, come prescrive un antico rituale romano, perché la Chiesa non ne impiega d’altra qualità nei funerali e nel gran lutto. Quella che è posta nel mezzo del candelabro triangolare, è ordinariamente di cera bianca, perché raffigura Gesù Cristo. All’ultimo versetto del Benedictus, si toglie e si nasconde dietro l’altare, per tutta la recita del salmo Miserere e le preci: quindi si riporta. Questa cerimonia ci raffigura la morte e la resurrezione del Salvatore. Le altre quattordici candele rappresentano gli undici Apostoli e le tre Marie: si spengono per rammentarci la fuga degli uni e il silenzio delle altre nel tempo della passione. Un tal numero di candele e il modo di disporle e di spengerle gradatamente, ha origine da oltre al VII secolo. Quale dev’essere la nostra venerazione per una cerimonia che è stata contemplata da tanti pii cristiani? Possa ella eccitare in noi i medesimi sentimenti di pietà che essa eccitò nei nostri padri! In generale i riti usati dalla Chiesa, specialmente per le principali feste, sono di una antichità molta lontana. Tutto l’uffizio delle Tenebre è impresso del più profondo dolore: l’invitatorio, gli inni, il Gloria Patri, la benedizione, tutto è soppresso. Non vi si odono che quattro voci: quella di David, che piange sulla lira gli oltraggi fatti a Gesù Cristo e la morte del suo Signore e Figlio di Dio: quella di Geremia, che agguagliando i lamenti ai dolori, canta le ruine di Gerusalemme e i tormenti dell’augusta vittima; quella della Chiesa, i cui teneri accenti chiamano i suoi figli alla penitenza: Gerusalemme, Gerusalemme, convertiti al Signore Dio tuo e finalmente quella delle sante donne, che avevano seguito Gesù dalla Galilea, e che piangevano dietro a lui mentre saliva il Calvario. Il loro viaggio, le loro lacrime, e le loro grida ci vengono rappresentate dai due chierici che cantano e in ginocchioni, e andando, quei kyrie, eleison. intramezzati dai responsi e da lamentevoli sospiri. Non vi è né capo, né pastore per presedere all’uffizio di questi tre giorni; poiché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecorelle della mandra saranno disperse. L’uffizio è seguito da un rumore confuso, che ci richiama alla mente la venuta e lo scompiglio tumultuoso della coorte, che armata di bastoni, e condotta da Giuda s’inoltra di nottetempo ad arrestare il divin Salvatore nell’Oliveto.

SALMI BIBLICI: “INIQUO ODIO HABUI, ET LEGEM” (CXVIII – 7)

SALMO 118 (7): “Iniquos odio habui, et legem”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 118 (7)

SAMECH.

[113] Iniquos odio habui,

et legem tuam dilexi.

[114] Adjutor et susceptor meus es tu, et in verbum tuum supersperavi.

[115] Declinate a me, maligni, et scrutabor mandata Dei mei.

[116] Suscipe me secundum eloquium tuum, et vivam, et non confundas me ab exspectatione mea.

[117] Adjuva me, et salvus ero, et meditabor in justificationibus tuis semper.

[118] Sprevisti omnes discedentes a judiciis tuis, quia injusta cogitatio eorum.

[119] Prævaricantes reputavi omnes peccatores terrae; ideo dilexi testimonia tua. [120] Confige timore tuo carnes meas; a judiciis enim tuis timui.

AIN.

[121] Feci judicium et justitiam, non tradas me calumniantibus me.

[122] Suscipe servum tuum in bonum: non calumnientur me superbi.

[123] Oculi mei defecerunt in salutare tuum, et in eloquium justitiæ tuæ.

[124] Fac cum servo tuo secundum misericordiam tuam, et justificationes tuas doce me.

[125] Servus tuus sum ego, da mihi intellectum, ut sciam testimonia tua.

[126] Tempus faciendi, Domine; dissipaverunt legem tuam.

[127] Ideo dilexi mandata tua super aurum et topazion.

[128] Propterea ad omnia mandata tua dirigebar; omnem viam iniquam odio habui.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXVIII (7).

SAMECH.

113. Ho odiato gl’iniqui, ed ho amato la tua legge.

114. Tu se’ mio aiuto e mia difesa, e nella tua parola ho grandemente sperato.

115. Ritiratevi da me, voi maligni; e io dierò attentamente i comandamenti del mio Dio.

116. Sostentami secondo la tua parola, e fa ch’io viva; e non permettere che nella mia aspettazione io resti deluso.

117. Aiutami, e sarò salvo; e mediterò sempre le tue giustificazioni.

118. Tu hai disprezzati tutti coloro che declinano da’ tuoi giudizi, perché ingiusto è il loro pensiero.

119. Prevaricatori riputai tutti i peccatori della terra, perché amai i tuoi giudizi.

120. Inchioda col tuo timore le carni mie; perocché ho temuti i tuoi giudizi.

AIN.

121. Ho esercitata la rettitudine e la giustizia: non darmi in potere de’ miei calunniatori.

122. Aiuta al bene il tuo servo; non mi opprimano colle calunnie i superbi.

123. Gli occhi miei si sono stancati nella espettazione della tua salute, e nelle parole di tua giustizia.

124. Tratta il tuo servo secondo la tua misericordia; e insegnami le tue giustificazioni.

125. Tuo servo son io; dammi intelletto affinché intenda i tuoi precetti.

126. Egli è tempo di operare, o Signore; eglino han rovinata la tua legge.

127. Per questo io ho. amati i tuoi comandamenti più che l’oro e i topazi.

128. Per questo io m’incamminai all’osservanza di tutti i tuoi comandamenti, ed ebbi in odio tutto le vie d’iniquità.

Sommario analitico

VII SEZIONE

113-128.

Alla vista dei numerosi nemici che minacciano di attaccarlo in campo aperto, il Re- Profeta grida verso Dio perché venga in suo soccorso, e si dichiari suo alleato nel combattimento, e perciò gli espone due ragioni per le quali merita di essere esaudito e soccorso:

I Motivo. – L’odio e la profonda lontananza che ha dai suoi nemici, che sono pure i nemici di Dio:

I° Egli dichiara apertamente il suo odio contro i malvagi, odio che ha a causa del suo amore per la legge di Dio (113); e questo odio, così come il suo amore, non lo attribuisce a se stesso, ma al soccorso della grazia divina (114);

2° allontana da sé i malvagi e fugge la loro associazione:

a) per penetrare più facilmente con la purezza del cuore nell’intelligenza dei comandamenti di Dio (115);

b) per vivere della vita soprannaturale, non per se stesso, ma per la grazia di Dio;

c) per non essere frustrato nella sua aspettativa (116);

d) per meditare, con l’aiuto della grazia, le giustificazioni divine (117);

e) per associarsi a Dio nel disprezzo e nella giusta avversione che ha per i malvagi (118).

3° Egli professa adunque un profondo disprezzo per i malvagi, disprezzo fondato:

a) sul suo amore per la legge di Dio (119);

b) sul timore dei suoi giudizi, timore necessario ai giusti come ai peccatori. (120).

II motivo. – La sua fedeltà nel praticare le virtù morali e teologali:

I° Egli ha praticato la giustizia, e chiede come ricompensa di non essere esposto alle calunnie dei superbi (121, 122);

2° ha praticato le virtù teologali:

a) della speranza, aspettando da Dio solo la sua salvezza, in parte dalla giustizia di Dio a causa delle sue promesse, in parte dalla sua misericordia (123, 124);

b) della fede, professando apertamente di essere il servitore di Dio, chiedendogli a questo titolo l’intelligenza della sua legge, e pressandolo ad accordargli al più presto questa grazia, visto che i suoi nemici hanno dissipato la sua legge (125, 126);

c) della carità, amando la legge di Dio ai di sopra di ogni cosa (127); non contentandosi di amarla, ma come conseguenza necessaria, odiando tutto ciò che gli è opposto, seguendo il cammino della virtù e rifuggendo tutte le vie ingiuste (128).

Spiegazioni e Considerazioni

VII SEZIONE — 113-128.

I. – 113-120.

ff. 113, 114. – « Io ho odiato gli uomini di iniquità, ed ho amato la vostra legge. » Il Profeta non dice: io ho odiato gli uomini di iniquità ed ho amato i giusti; né io odio l’iniquità ed ho amato la vostra legge, ma dopo aver detto: « io ho odiato gli uomini di iniquità, » spiega i motivi del suo odio, aggiungendo:  Ed ho amato la vostra legge, » per dimostrare che, negli uomini di iniquità, egli non odiava la natura che li ha fatto uomini, ma l’iniquità che li ha fatti nemici della Legge che egli ama (S. Agost.). – Il Profeta non si mette affatto in contraddizione con il precetto del Vangelo che ci comanda di amare i nostri nemici, perché egli non dice: io ho odiati i miei nemici, ma: io ho odiato gli uomini di iniquità, cioè i trasgressori della Legge (S. Hil.), « ed io ho amato la vostra Legge. » In effetti se noi amiamo la legge di Dio, noi dobbiamo odiare i nemici della Legge che attaccano con le opere le prescrizioni della Legge (S. Ambr.). – « Voi siete il mio aiuto ed il mio protettore » Mio aiuto, perché io faccio il bene; mio protettore perché evito il male (S. Agost.). – Voi siete il mio aiuto con la Legge, il mio protettore con il Vangelo. Coloro che Dio ha aiutato con la Legge, li ha presi in protezione prendendo la loro carne … la parola latina “supersperavi” che non può tradursi alla lettera se non con “supersperato”, si dice di colui la cui speranza non cessa di accrescersi, e si eleva ad una perfezione sempre più grande. – « Io ho riposto tutta la mia speranza nelle vostre parole, » cioè io non ho sperato né nei Profeti, né nella Legge, ma « io ho sperato nella vostra parola, » cioè nella vostra venuta; io ho sperato che voi veniste a soccorrere i peccatori, rimettere i loro peccati, e prendere sulle vostre spalle, come il buon pastore, la pecora errante e stanza (S. Ambr.). 

ff. 115 – 118. – Allontanatevi da me, malvagi, ed io scruterò i comandamenti del mio Dio. » Così  dunque, per studiare con cura e conoscere perfettamente i comandamenti del mio Dio, occorre che i malvagi si allontanino da lui, ed egli li allontana violentemente; in effetti sono i malvagi che ci esercitano a praticare i comandamenti e, al contrario, ci impediscono di approfondirli, non solo quando ci perseguitano e cercano di sollevare qualche dibattito contro di noi, ma anche quando ci trattano con onore ed ossequio, e ci inducono tuttavia ad aiutarli nei loro affari e nei loro cattivi desideri consacrare loro il nostro tempo … Quando ci rifiutiamo di assecondare i loro desideri, essi non si ritirano, né si allontanano da noi, al contrario persistono, pressano, pregano, si agitano con rumore, e ci costringono a occuparci di essi per le cose che amano, piuttosto che occuparci dello studio dei comandamenti di Dio che noi amiamo. Ora, quale  disgusto per le folle tumultuose, quale desiderio della parola divina in questo grido del Profeta: … ritiratevi da me, malvagi, ed i scruterò i comandamenti del mio Dio. » (S. Agost.). – « Guardatevi dai cani, dice S. Paolo, guardatevi dai cattivi operai. » (Fil., III, 2). Chi sono costoro? Gli uomini di questo secolo che non seguono le trace di Gesù-Cristo! Ditemi, vi prego, cosa possono essi insegnare? La castità che non hanno mai praticato? La dottrina che non seguono? Perché la sola cosa alla quale sono fedeli, è la saggezza diabolica di questo mondo (S. Ambr., Tract. de Virg.). – Dopo aver scacciato come dagli occhi del suo cuore, queste mosche che lo assediavano, il Profeta ritorna a Colui al quale diceva. « Voi siete mio aiuto e mio protettore, » e proseguendo la sua preghiera aggiunge: « Prendetemi sotto la vostra protezione, secondo la vostra parola, ed io vivrò, non resto confuso nella mia attesa. » Colui che ha già detto: « Voi siete il mio protettore, » chiede sempre più di prenderlo sotto la sua protezione e di condurlo al fine per il quale sopporta delle cose penose; perché ha la fiducia di trovare là una vera vita, tutt’altro che i vani sogni delle cose umane: « … ed io vivrò, » come se non vivesse in questo corpo di morte, « perché il corpo è morto a causa del peccato. » (Rom. VIII, 10). E nell’attesa della redenzione del nostro corpo noi siamo stati salvati nella speranza, e se speriamo ciò che non vediamo ancora, noi l’attendiamo con pazienza (Ibid. 23-25). Ma la speranza non delude, se la carità di Dio è diffusa nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato (Rom. V, 5). Ed è per ricevere più abbondantemente lo Spirito Santo che egli grida al Padre: « Non confondetemi nella mia attesa. » (S. Agost.). – Se il povero Lazzaro gode di una vita eterna nel seno di Abramo, quanto più colui che il Cristo riceve sotto la sua protezione! E come la vita eterna non sarebbe la porzione della ricompensa di colui che riceve ed accoglie la vita eterna, che il Cristo ha preso e si è unito interamente, che appartiene interamente al Verbo, e la cui vita è nascosta in Gesù-Cristo? Ma questo sarebbe un atto di presunzione colpevole il dire a Dio: prendetemi sotto la vostra protezione, se non aggiungesse: « secondo la vostra parola. » Siete voi che ci date questa assicurazione; noi ci presentiamo con il vostro impegno nella mano. Noi abbiamo sottoscritto una obbligazione di morte, voi l’avete sostituita con un’obbligazione di vita (S. Ambr.). – Il Profeta spera ed attende, ma a Dio non piace che queste siano le cose passeggere del tempo. Vi sono molti che combattono questa speranza della nostra fede e se ne ridono dicendo: a che servono i vostri digiuni, la vostra continenza, la vostra castità, la perdita del vostro patrimonio?  Dov’è la vostra speranza, o Cristiani? La morte domina ugualmente su tutti gli uomini; il suo impero si estende su tutti i corpi. Cosa dico? Noi gioiamo di tutti i beni di questo mondo, ed in cosa ci siete superiori per l’attesa della vostra speranza? È dunque di questa attesa che il Profeta chiede a Dio di non arrossire. Benché abbia la vita in Lui, egli sa che non la possiede ancora nella pienezza, perché: « La nostra vita quaggiù è nascosta in Gesù-Cristo. » (Colos. III. 3). È per questo che egli dice: « Prendetemi sotto la vostra protezione ed io vivrò » di questa vita vera ed immortale; perché ciò che egli spera, è l’eternità, è il regno dei cieli, è il regno di Dio, sono le benedizioni spirituali che ci sono state promesse in cielo in Gesù-Cristo. (S. Hil.).- Come se fosse stato risposto al Profeta nel silenzio del cuore: volete non essere confuso nella vostra attesa? Non cessate mai di meditare le mie giuste prescrizioni. Ma sicome egli sente che molto spesso i languori dell’anima fanno ostacolo a questa meditazione, egli esclama: « Aiutatemi ed io sarò salvo, e mediterò senza lena le vostre giuste prescrizioni. »  (S. Agost.). – Colui che spera confida di essere soccorso, ed il soccorso di Dio è un pegno certo di salvezza. Il Profeta ha detto a Dio precedentemente: « Voi siete il mio aiuto ed il mio protettore. » Egli domanda qui di nuovo il soccorso: « Non cessate di venire in mio aiuto. » Non è molto la preghiera che ho fatto, io vi supplico di nuovo di salvarmi. Quaggiù non c’è salvezza completa, vera; io non sarò veramente salvo se non quando sarò in Paradiso, quando comincerò a vivere in mezzo ai vostri santi Angeli, e sarò sfuggito a tutte le insidie, a tutti i pericoli di questa terra. – « Voi avete disprezzato tutti coloro che si separano dalle vostre giuste prescrizioni. » (S. Ambrog.). Perché se ne allontanano? « perché il loro pensiero è ingiusto » Con il pensiero ci si avvicina, con il pensiero ci si allontana. Tutte le azioni buone o cattive procedono dal pensiero. Nel pensiero si trova l’innocenza, nel pensiero si trova il crimine. Ecco perché è scritto: « La santità del pensiero vi custodirà » (Prov. II. 11); ed allora: « L’empio sarà interrogato sui suoi pensieri. » (Sap. I, 9). L’Apostolo dice ugualmente: « I pensieri accusano o difendono. » (Rom. II, 15). Allora come potrà essere felice colui che è infelice nel pensiero, colui che Dio ricopre con il suo disprezzo? (S. Agost.). – Il Profeta non ha detto: « Voi avete disprezzato tutti i peccatori, » perché allora disprezzerebbe tutti gli uomini, perché nessuno è senza peccato; ma Egli disprezza coloro che si allontanano da Lui, coloro che noi chiamiamo apostati. L’allontanamento e la separazione da Dio, differiscono dal peccato, per il fatto che al peccato è riservato il perdono, se il peccatore fa penitenza, mentre l’allontanamento volontario da Dio danna, perché porta con sé l’allontanamento dalla penitenza, allontanamento che viene da una evidente ingiustizia di pensiero e di volontà. (S. Hilar.). 

ff. 119, 120. – « Io ho considerate come prevaricatori tutti i peccatori della terra. » Noi chiamiamo prevaricatori coloro che abbandonano la fede e la conoscenza di Dio che essi hanno recepito, e che agiscono contrariamente agli impegni che hanno assunto.  Ma qui il Profeta estende quella denominazione a tutti i peccatori della terra, e non ne eccettua nessuno. (S. Hilar.). – Tutti i peccatori della terra, senza eccezione, sono dunque dei prevaricatori, perché violano tutti la legge di Dio o la legge naturale incisa nella nostra anima e della quale l’Apostolo ha detto: « i Gentili che non hanno la fede, fanno naturalmente ciò che è prescritto dalla Legge; non avendo la Legge, son legge a se stessi. » (Rom. II, 14): o la Legge scritta e data ai Giudei da Mosè … tutti i peccatori della terra, senza eccezione alcuna, sono dunque a buon diritto, considerati prevaricatori; « perché tutti gli uomini hanno peccato, ed hanno tutti bisogno della gloria di Dio. » (Rom. III, 13). La grazia del Salvatore trova dunque tutti gli uomini nello stato di prevaricazione; tuttavia chi più e chi meno. Resta dunque da attendere, per tutti gli uomini, non il soccorso della propria giustizia, ma il soccorso della giustizia di Dio … ed in questo senso il Profeta aggiunge: « Ecco perché io ho amato le vostre testimonianze; » come se dicesse: « La legge data nel paradiso, o naturalmente incisa nel nostro cuore, o promulgata nei libri santi, ha reso prevaricatori tutti i peccatori della terra; « Ecco perché io ho amato le vostre testimonianze » inserite nella vostra Legge, al soggetto della vostra grazia, affinché la vostra giustizia, e non la mia, sia in me. In effetti, l’utilità della legge è di condurre alla grazia (S. Agost.). – Colui che ama le testimonianze del Signore trafigge con chiodi la sua carne, perché sa che il vecchio uomo che è in lui è stato attaccato alla croce per distruggere le passioni della carne e frenare gli ardori indomiti … Trapassate allora la vostra carne con i chiodi, distruggete i focolai del peccato; fate morire nella vostra carne, tutto ciò che attrae, ogni fascino del peccato; negate al piacere delle voluttà ogni libertà di agire, inchiodandolo sulla croce. Prendete il chiodo spirituale per attaccare la vostra carne al patibolo della croce del Signore. L’anima spirituale ha pur essa le sue carni, così come il corpo; le carni dell’anima sono i pensieri carnali. È al timore del Signore e dei suoi giudizi che si inchiodano le carni e si riducono alla servitù (S. Ambr.). – Che significano queste parole: « Crocifiggete con il vostro timore, perché io temo? » Se già aveva temuto, e se temeva, perché ancora prega Dio di trafiggere le proprie carni con il suo timore? Voleva che questo timore aumentasse in lui, al punto che la violenza di questo timore fosse sufficiente a crocifiggere le sue carni, cioè le sue passioni e le sue delizie carnali? … In queste parole c’è un senso più elevato che bisogna trarre con la grazia di Dio, con l’aiuto di un esame serio dei più profondi contenuti delle pieghe del testo. « Trapassate di chiodi le mie carni con il vostro timore, perché io ho temuto, », vale a dire: che i miei desideri carnali siano compressi dal vostro casto timore, che vive nei secoli dei secoli. (Ps. XVIII, 10); perché io ho temuto i vostri giudizi, quando la legge, che non poteva darmi la giustizia, e mi minacciava di castigo. Ma questo timore mi terrorizza con il castigo, che la perfetta carità mette fuori (I Giov., IV, 18), perché esso ci libera, non dal timore del castigo, ma per la felicità della giustizia; perché questo timore non produce l’amore della giustizia, ma lo spavento del castigo è quello dello schiavo, perché esso è carnale; ecco perché non crocifigge la carne … Datemi dunque il timore casto, che io sono stato costretto a chiedervi, condotto come da un maestro, cioè dal timore della Legge che non mi ha fatto temere i vostri giudizi (S. Agost.).

II. — 121-128.

ff. 121, 122. – « Io ho praticato la rettitudine e la giustizia. » Davide non parla quasi mai di rettitudine, sia di Dio nei riguardi dell’uomo, sia degli uomini nei riguardi di loro stessi, senza aggiungervi la giustizia come condizione essenziale ed inseparabile. Del resto, se volete sapere qual differenza dobbiamo porre tra la giustizia e il giudizio, eccola, risponde Sant’Ambrogio: il giudizio, secondo il linguaggio comune, è propriamente l’atto di giudicare, mentre la giustizia è l’abitudine stessa, o infusa o acquisita, che ci porta a ben giudicare; cioè è questa santa disposizione del cuore che ci fa rendere a ciascuno ciò che gli appartiene, e ci libera nei nostri giudizi da ogni affezione e da ogni passione. Davide voleva che mai queste due cose fossero separate; ed ecco la regola di condotta che proponeva: Signore – egli diceva – io ho pronunziato dei giudizi, ma questi giudizi sono stati accompagnati da una giustizia esatta; non mi abbandonate dunque, o mio Dio alla malignità dei miei calunniatori (Bourd. Jug. témér.). – E da parte del Re-Profeta, non è un atto di vanagloria o di presunzione temeraria; egli era troppo versato nella legge per non ricordarsi che è dalla bocca degli altri e non dalla nostra che debba uscire la nostra lode. Egli non vanta dunque affatto le sue virtù, ma afferma, restando nei limiti del diritto, l’innocenza della sua vita, nel timore di non essere abbandonato da Dio per i suoi crimini e consegnato al potere dei suoi nemici … Davanti ad un tribunale, se un accusato si limita, per difendere la sua innocenza, a dichiarare ciò che ha fatto, nessuno di sogna di considerarlo come un atto di arroganza che non oltrepassi i limiti della giusta difesa. Non bisogna confondere colui che si proclami degno di ricompensa con colui che dichiari semplicemente che non merita di essere punito (S. Ambr.). –  « Non mi esponete a coloro che mi calunniano; » cioè non mi consegnate a coloro che mi perseguitano, perché io ho praticato il giudizio e la giustizia … Chiedendo al Signore di non essere consegnato ai suoi nemici, qual preghiera fa il Profeta se non quella che noi stessi facciamo quando diciamo: « Non ci indurre in tentazione? » (Matth. VI, 13). In effetti, il nemico, è colui del quale l’Apostolo ha detto: « Per paura che colui che tenta non venga a tentarvi » (1° Thes, III, 5). Dio gli consegna chi lo abbandona. In effetti, il tentatore non saprebbe sedurre l’uomo che non abbandona Colui che per sua volontà, dà gloria alla virtù dell’uomo … Di conseguenza, chiunque ha la carne crocifissa dal casto timore di Dio, e pratica, senza lasciarsi corrompere da alcuna seduzione carnale, il giudizio e le opere di giustizia, deve domandare di non essere consegnato ai suoi nemici, cioè di non cedere, per timore delle sofferenze, a coloro che lo perseguitano per fargli del male. (S. Agost.). – « Stabilite il vostro servitore nel bene. » Nello stato di coscienza in cui si trova, di aver praticato il giudizio e la giustizia, il Profeta va più lontano e non teme di proclamarsi il servo del Signore: perché un servo del Signore non deve niente agli estranei. Preziosa servitù questa, che consiste interamente nel praticare delle virtù. Ora, perché teme di essere esposto ai suoi nemici? Egli lo dice apertamente: perché questi sono dei calunniatori che odiano la verità ed attaccano l’innocenza, perché sono pieni di orgoglio; perché qual orgoglio non affettano nei riguardi degli umili servitori di Dio coloro che osano elevarsi contro Dio stesso? (S. Ambr.). 

ff 123-128. – « I miei occhi sono fiaccati nell’attesa della vostra salvezza. » Quali sono questi occhi che si indeboliscono, che si stancano nell’attesa della venuta del Cristo? Sono gli occhi dell’anima, che è fissata interamente su questo divino oggetto con gli sguardi della fede; perché i nostri occhi si fissano interamente su ciò che amiamo, senza che nessun’altra cosa ci sia più gradevole. Ma per tenere questo linguaggio con il Profeta, bisogna avere staccata l’anima da tutte le sollecitudini del secolo e da tutti i piaceri della terra, e avere detto a Dio, come lui: « distogliete il mio sguardo perché non veda la vanità. » Quali sono questi occhi che si consumano nell’attesa della parola di Dio? Sono gli occhi dell’uomo interiore, questi sguardi spirituali dell’anima che si applicano a vedere il Verbo di Dio (S. Ambr.). Davide, nei versetti che precedono, ha come aperto la strada alle nuove domande che ha fatto a Dio. Egli prega di non consegnarlo nelle mani dei nemici, poi di confermarlo nel bene, poi di non essere esposto alle calunnie degli orgogliosi, come se dicesse a Dio: io non declino il giudizio, ma le calunnie dei malvagi; perché essi non sanno giudicare, e non sanno che calunniare. Io mi rifugio dunque presso di Voi che sapete giudicare con giustizia … In questo versetto, egli chiede a Dio di usare misericordia verso di lui, e di insegnargli le sue giustizie. In un altro salmo egli prega Dio di non entrare in giudizio con il suo servo (Ps. CXLII, 2). E in effetti noi, che la testimonianza della nostra coscienza accusa di tante colpe, noi dobbiamo piuttosto implorare la misericordia di Dio più che rivolgerci alla sua giustizia: la misericordia ci dà il perdono, la giustizia esamina e discute i nostri crimini. Quale speranza di poter trionfare presso Colui al quale nulla è nascosto, e al Quale non possono sfuggire i nostri peccati … Trattate dunque il vostro servo secondo la vostra misericordia, perché anche quando avrò potuto fare qualche cosa di buono, io vi debbo molto di più come vostro servo … Un servo è degno di ricompensa per aver fatto solo ciò che gli viene comandato? Dunque, quando noi abbiamo fatto ciò che ci viene comandato, noi non dobbiamo subito levarci, ma piuttosto umiliarci, perché siamo lontani dall’aver compiuto tutti i doveri della nostra condizione. (S. Ambr.). – « Io sono vostro servitore, datemi l’intelligenza. » L’intelligenza è un dono spirituale; bisogna dunque chiedere a Dio ciò che viene direttamente da Dio. Colui che si riconosce servo non chiede come un estraneo: « Io sono vostro servitore. » Il servitore fa la volontà del suo padrone: il servo cerca di guadagnare il salario col suo impiego e ne spera la ricompensa (S. Ambr.). – Cosa fa dunque di così grande il Profeta, dichiarandosi il servo di Dio, ciò che nessuno uomo oserebbe negare? Egli si dichiara il servitore di Dio, ma in modo tutto differente dagli altri: gli altri si riconoscono servi solo a parole: lui lo è in realtà, e lo prova con le sue opere. (S. Hilar.). – « Io sono il vostro servo. » Male me ne è venuto quando ho voluto appartenermi ed essere libero, invece di essere con Voi e servirvi. « Datemi intelligenza, ed io conoscerò le vostre testimonianze. » Non bisogna mai cessare di far questa domanda; perché non è sufficiente aver ricevuto l’intelligenza ed aver appreso a conoscere le testimonianze di Dio, se non la si riceve costantemente, e se in qualche modo non si beve costantemente alla sorgente della eterna luce. Quanto alle testimonianze di Dio, nella misura che si acquista l’intelligenza, la si conosce di meglio in meglio. (S. Agost.). – « È tempo di agire, Signore, essi hanno rivoltato la vostra legge. » Ah! ha ragione il Re-Profeta nel dire a Dio che è tempo di agire. « In effetti c’è un tempo per fare ed un tempo di parlare. » (Eccles. III, 7). Ora, il tempo di parlare è venuto, e queste parole sono l’annuncio dell’avvento del Signore; perché essendo la legge universalmente trasgredita, bisogna che venga Colui che è il fine, la consumazione e la pienezza della Legge, Nostro Signore Gesù-Cristo, che perdonerà agli uomini tutti i crimini, e che, distruggendo l’obbligazione scritta dai debitori, verrà a liberare tutti i peccatori. « È tempo d agire. » Così quando una malattia si aggrava, voi correte a cercare il medico perché venga al più presto, per paura che tardando le sue cure diventino inutili. Il Profeta dunque vede in spirito le prevaricazioni del suo popolo, la dissolutezza, le brutali voluttà, la vita sensuale, i furti, le frodi, l’avarizia, l’intemperanza, e rendendosi nostro intercessore, ricorre a Gesù-Cristo, il solo che egli sapeva potesse portare rimedio a sì grandi crimini; egli lo spinge a venire, senza soffre il minimo ritardo. « È tempo di agire, Signore; » cioè, è tempo di salire per noi sulla croce e soffrire la morte. Il mondo si precipita con impetuosità verso la sua ultima rovina; venite per cancellare il peccato dal mondo. La vita venga in soccorso dei morenti, la resurrezione venga in aiuto di coloro che sono seppelliti. Soccorreteci con i vostri atti, poiché i vostri precetti sono impotenti … non è più il tempo di comandare, è il tempo di agire (S. Ambr.). Non è l’ora di parlare, è l’ora di fare, perché tutto è stato distrutto nell’ordine materiale e morale. La prevaricazione è più universale che mai. Non tutti ci siamo rivoltati, dissipando la Legge di Dio in tutte le sue parti: la legge dell’umiltà con il nostro orgoglio, la legge della carità con il nostri odi ed animosità verso i fratelli, la legge della vita con tanti peccati che ogni giorno danno la morte, la legge della fede con le nostre empietà, o con una vita tutta sensuale e con grossolani errori ed imperdonabili ignoranze. « È tempo d agire, Signore, venite e non tardate ancora! » – « Per questo io ho amato i vostri comandamenti più che l’oro ed il topazio. » La Legge predice ed annunzia il Cristo; i precetti della Legge contengono dunque e ci apportano la speranza di beni futuri, gli indici della redenzione, i germi della resurrezione; ecco perché il Profeta dichiara che egli li ama più che l’oro ed il topazio; perché sono più dolci della salvezza, più preziosi della resurrezione! … Ma non tutti possono fare questa professione: non è certo l’avaro disteso sul suo oro, che desidera incessantemente nuove ricchezze, ma colui che può dire: « Io non ho né oro né argento; » (Act. III, 6); io non ricerco l’oro, perché non mi è utile, dal momento che i comandamenti di Dio mi hanno riscattato. (S. Ambr.). Coloro che si sforzano, come i Giudei, di praticare i comandamenti di Dio in vista di una ricompensa terrena e carnale, non ne vengono a capo, perché essi amano altra cosa e non amano affatto questi comandamenti; non è l’opera dell’uomo di buona volontà, ma il fardello di uomini di cattiva volontà. Al contrario, quando si amano i comandamenti più dell’oro e le pietre preziose, ogni ricompensa terrestre è vuota in confronto a questi comandamenti (S. Agost.). –  Amiamo la Legge, perché è una legge di amore; amiamo la Legge, perché tanti Santi l’hanno amata; amiamo la Legge, poiché tanti empi e peccatori non l’amano affatto; amiamola per imitare coloro che l’amano, e compensare con un dolore di amore la follia di coloro che non l’amano, (S. Gerol.). – « È per questo che io camminavo dritto nella via di tutti i vostri comandamenti. » A giusto titolo il Profeta camminava dritto nella via dei comandamenti, perché egli li amava. Così egli non si attribuisce questa velocità con la quale corre in questa via, ma a Dio, che lo conduce. Io non camminavo da me stesso – egli dice – ché io ero portato … Io ho odiato ogni via ingiusta. Se colui che ama i precetti della giustizia fa ciò che ama, anche colui che odia l’iniquità si astiene da ciò che sia oggetto del suo odio. È con ragione che il Profeta marciava dritto nella via di tutti i comandamenti, poiché odiava ogni via ingiusta. Assolutamente è necessario che si odi ogni via di iniquità, se si vuol camminare dritto nella via dei comandamenti (S. Ambr.). –  Non si tratta di odiare solo qualche via ingiusta, bisogna odiarle tutte. « Bisogna odiare non solo i grandi peccati, ma pure le minime colpe. » Ci sono taluni che si astengono da certi peccati che fanno loro orrore, ma che si concedono senza scrupoli ad altri per i quali il mondo ha più indulgenza. Il vero Cristiano detesta ogni via di iniquità, qualunque essa sia. – « Io ho preso in odio ogni via ingiusta. » È la conseguenza di ciò che ha detto precedentemente: perché se egli avesse amato l’oro e le pietre preziose, egli avrebbe certamente odiato tutto ciò che poteva farlo perdere. Allo stesso modo, poiché amava i comandamenti di Dio, odiava la via dell’iniquità come una spaventosa scogliera contro la quale non si può urtare, in un viaggio in mare, senza perdere queste cose preziose in un inevitabile naufragio. Per evitare questa disgrazia, fa vela lontano colui che naviga sul legno della croce, avendo come carico i comandamenti di Dio (S. Agost.).

https://www.exsurgatdeus.org/2020/04/10/salmi-biblici-mirabilia-testimonia-tua-cxviii-8/

SPIEGAZIONE DEL PASSIO

SPIEGAZIONE DEL PASSIO

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950).

Vang. sec. S Matteo (Domenica delle Palme). — sec. S. Marco (Martedì Santo). — sec. S. Luca (Mercoledì Santo). — sec. S. Giovanni (Venerdì Santo).

Avvenimenti precedenti la Passione.

Il martedì, dopo aver lasciato il Tempio, Gesù salì verso sera il monte degli Olivi: « Fra due giorni, egli dice, avrà luogo la Pasqua e il Figlio dell’uomo sarà consegnato per essere crocefisso ». Presso i Giudei, di fatti, i giorni cominciano la vigilia a sera, si era dunque al principio del mercoledì, e il venerdì seguente Gesù fu messo a morte. La festa di Pasqua coincideva col plenilunio dell’equinozio di primavera, perché proprio in questo momento gli Ebrei erano usciti dall’Egitto (*). Nella loro fuga precipitosa, non avevano potuto far lievitare il pane, ed in ricordo di questo fatto i Giudei si astenevano, durante questa festa, dal pane fermentato festa degli azzini.(*) Questa luna segnava per gli Ebrei il primo mese dell’anno che essi chiamavano Nisan. « Al 14° giorno del 1° mese (che è il giorno del plenilunio) sarà la Pasqua del Signore e al 15° la festa solenne » (Numeri, XXVIII, 16). Il giorno che, alla maniera dei Giudei, va dal giovedì sera al venerdì sera, e durante il quale ebbero luogo, la Cena e la Crocifissione, era dunque il 14 Nisan o « Vigilia di Pasqua » (S . Giovanni, XIII, 1). Dio, infatti, per mostrare che G. Cristo è il vero agnello della vera Pasqua, volle che fosse mangiato dagli Apostoli e immolato dai Giudei lo stesso giorno nel quale Israele mangiava gli agnelli immolati che ne erano la figura. Di modo che la Pasqua o il passaggio di G. Cristo da questo mondo al Padre e la nostra liberazione dal peccato si compirono al momento nel quale si celebrava l’anniversario del passaggio dell’Angelo e della liberazione d’Israele di cui erano figure. Cosi la Chiesa per affermare che « la nuova Pasqua della nuova legge pone fine all’antica Pasqua, come il giorno pone fine alla notte» (Lauda Sion), decretò che la festa di Pasqua avrebbe luogo sempre, come per la Pasqua giudea, nell’epoca della luna pasquale. Ma volendo celebrare la festa della Risurrezione in Domenica, perché avvenne in questo giorno, essa decise nel Concilio di Nicea, che questa sarebbe ogni anno la domenica seguente al plenilunio dell’equinozio di primavera, che si suppone cadere sempre al 21 di marzo, come s’era presentata nel 325, l’anno di questo Concilio. Se il plenilunio cade prima del 21, la data della Pasqua dipenderà dalla luna seguente, perciò varia fra il 22 Marzo e il 25 Aprile].A

Ultima Cena al Cenacolo.

Quando gli Evangelisti parlano del «1° giorno degli Azimi » intendono il giovedì sera, cioè il principio del venerdì, secondo l’uso ebreo. Il giovedì Pietro e Giovanni sono mandati dal Maestro a preparare la sala al Cenacolo, nel piano superiore di una casa (Act. I, 13). Al calare della notte (Marc. XIV, 17), cioè durante la prima vigilia della sera che dura fino alle 9, Gesù vi si porta con i suoi discepoli, si distendono, secondo l’uso orientale, su letti un po’ elevati, col braccio sinistro appoggiato su cuscini, intorno ad una tavola. Giovanni, che si trovava a destra di Gesù, potè dunque facilmente riposare il capo sul petto del Signore. Durante questo pasto, Gesù dopo aver preso uno dei grossi pani azimi, largo circa 20 centimetri e assai sottile, lo cambiò nel suo Corpo, pronunziando una preghiera eucaristica o di rendimento di grazie, come faceva il padre di famiglia che, prima di mangiare l’agnello pasquale, ringraziava Dio di aver liberato Israele dalla sua schiavitù. Poi, dopo aver cenato, allorché restava ancora, secondo il rito mosaico, da bersi un calice, Gesù lo cambiò, allo stesso modo, nel suo Sangue. Nel far ciò, Egli usò le parole con le quali Mosè suggellò l’antica alleanza nel sangue delle creature: « Questo è il Sangue del Testamento che Dio ha fatto per voi » (Es. XXIV, 8). Gesù vi aggiunse due parole:- « Questo è il mio sangue… del Testamento nuovo ». Parlando della Pasqua, centro di tutta la vita religiosa del popolo ebreo, il legislatore di Israele aveva detto: « Voi serberete il ricordo di questo giorno e lo celebrerete di generazione in generazione, con una istituzione perpetua » IIbid. XII, 14), e il Salvatore ordinò allo stesso modo agli Apostoli, « e per loro a tutti i loro successori nel sacerdozio », aggiunge il Concilio di Trento, di consacrare allo stesso modo questo pane e questo calice di vino in memoria di Lui » (S. Luc. XXII, 19) . L’agnello immolato dai figli d’Israele è, dopo circa 1500 anni, sostituito dall’Agnello di Dio che verrà immolato fino alla fine dei secoli, e la Messa, che si identifica con la Cena e il Calvario, diviene il centro religioso di tutto il popolo cristiano.

Ultimo discorso di Gesù. — Getsemani.

Dopo la Cena, Gesù pronunziò il sublime discorso che è il suo testamento di amore, la seconda parte del quale (Giov. XV, 1) fu detta mentre dal Cenacolo si recava fuori della città. Passò per la porta che si trova non lontano dalla piscina di Siloe e risali la vallata del Cedron, lungo il sobborgo di Ofel, per andare nel giardino di Getsemani, ai piedi del Monte degli Olivi. I tre Apostoli, testimoni della sua Trasfigurazione, furono anche testimoni di una parte della sua agonia avvenuta nel Getsemani. Giuda, che aveva venduto il suo Maestro per la somma di trenta danari, venne con il capo di una coorte romana e i suoi soldati, e con guardie incaricate della vigilanza del Tempio inviate dal Sinedrio. Costoro entrarono nella notte con Gesù a Gerusalemme, e risalendo il pendio nord-est della città, andarono nel palazzo del Gran Sacerdote.

Processo religioso davanti ad Anna e Caifa

Si stava preparando il processo religioso, perché spettava alla autorità religiosa ebrea interrogare Gesù su ciò che essa chiamava la falsa qualità di Figlio di Dio. Il Sinedrio si componeva di 70 membri, a capò dei quali erano i grandi sacerdoti e il loro capo supremo, il Sommo Sacerdote, Anna era riuscito ad ottenere successivamente questo incarico per i suoi cinque figli, e l’anno della morte del Signore per il suo genero Caifa. Infedeli alla loro missione, i rappresentanti officiali delia religione ebrea, non aspettavano altro per Messia che un re guerriero, il quale li avesse liberati con la forza dal giogo romano. Gesù fu condotto dinanzi ad Anna, suocero del Sommo Sacerdote. Non essendo più pontefice, era incompetente a giudicare G. Cristo. Il divin Redentore fu, perciò, condotto al tribunale dello stesso Sommo Sacerdote, Caifa. Egli attendeva Gesù in un’altra ala del Palazzo. Intorno à lui, seduti in semicerchio su cuscini, si trovavano gli altri sacerdoti. La procedura era illegale, perché doveva farsi di giorno e occorrevano testimoni. Erano circa le due del mattino e i testimoni furono presi in flagrante delitto di impostura. Caifa, pieno di collera, lo scongiura solennemente (cosa del tutto contraria alla legge mosaica che in questo caso annulla la confessione dell’accusato) di dirgli se Egli fosse il Figlio di Dio. E Gesù, che attendeva questo momento per parlare, afferma ufficialmente la sua divinità davanti all’autorità religiosa ebrea riunita in gran consiglio. Lo si giudica allora degno di morte; Egli accetta la sentenza perché è proprio la qualità di Figlio di Dio che dà un valore infinito al sacrifizio che sta per offrire a Dio suo Padre per gli uomini suoi fratelli.

Servi dei Sacerdoti. —. S. Pietro. — Giuda,

Lo si lascia allora per il resto della notte ai motteggi dei servi dei’ Sacerdoti che lo bestemmiano e lo coprono di sputi. Durante questa notte, Pietro, che aveva seguito da lontano Gesù, fu introdotto da Giovanni nella corte del Palazzo del Gran Sacerdote e li, per tre volte rinnegò il suo Maestro. Dopo il secondo canto del gallo, usci dal palazzo e « pianse a voce alta, con singhiozzi.», dice il testo greco. Verso il mattino il Sinedrio si riunì di nuovo per dare alla sua sentenza, che doveva essere data di giorno, una apparenza di legalità. Gesù comparve e, allorché si dichiarò Figlio di Dio, fu di nuovo condannato. Giuda allora comprende tutta la grandezza del suo delitto. Tormentato dal rimorso, si presenta al Consiglio dei Sacerdoti, ancora riuniti e confessa che « aveva peccato consegnando il Sangue del Giusto». Preso dalla disperazione, il traditore getta nel Tempio le monete d’argento che ha ricevute, discendendo verso la piscina di Siloe, si caccia nella gola profonda ove scorre il torrente Innom. E in questo luogo chiamato la Geenna (Ge-hinnom), si impicca » (XXVII, 5); essendosi rotta la corda, il suo corpo precipitò con la faccia verso terra, e ne uscirono i visceri che si sparsero per terra » (Act. I, 18).

Processo civile davanti a Pilato.

Ma Roma sola, da cui dipendeva in questo momento la Palestina, aveva il diritto di vita o di morte. Bisognava deferirlo al procuratore romano e Gesù fu condotto al pretorio di Ponzio Pilato, nella cittadella Antonia, dove i Giudei non entreranno, perché la casa di un pagano avrebbe fatto contrarre loro una macchia legale in queste feste di Pasqua. Il processo civile di G. Cristo stava, a sua volta, per essere iniziato. Ma davanti a questo nuovo tribunale, bisognava essere accusati di un delitto politico. Il Messia, per i Giudei, doveva essere un monarca terreno. Si accusò allora Gesù, che si diceva il Messia, di essere un re competitore di Cesare (La Giudea conquistata da Pompeo, era diventata tributaria dell’imperatore Augusto, al quale si associò più tardi Tiberio-Cesare, Pilato era loro rappresentante nella Giudea ed Erode nella Galilea). Su questo nuovo terreno si riprodusse punto per punto la stessa procedura della notte precedente: il medesimo silenzio di G. Cristo davanti ai falsi testimoni, la stessa affermazione ufficiale della sua regalità spirituale davanti al mondo pagano, rappresentato questa volta da coloro che tenevano l’impero del mondo, e i medesimi cattivi trattamenti da parte dei soldati romani. Ma Gesù, che di fatto dirigeva l’andamento delle cose, non voleva esser condannato che come Figlio di Dio e Re delle anime. Egli riportò la questione i sul terreno religioso. « II mio regno, disse, non è di questo mondo ». Questo non era più di competenza di Pilato, che fino alla fine lo dichiarò perfettamente innocente. I Giudei allora tentano di intimidire Pilato il quale, troppo vile per usare l’autorità davanti una folla che si sarebbe vendicata accusandolo in alto, cerca a forza di espedienti di salvaguardare i suoi interessi, senza disprezzare i morsi di un resto di coscienza pagana superstiziosa che teme vagamente un castigo degli dèi.

Erode. — Pilato. — Barabba. — La flagellazione.

Primo espediente:

Pilato venuto a conoscere che Gesù era Galileo, lo mandò ad Erode. Questo tetrarca della Galilea era figlio di Erode il Grande, che ordinò il massacro degli Innocenti, quando i Magi gli annunziarono che «il Re dei Giudei» era nato da poco. Umiliato dal silenzio di Gesù, egli, a sua volta, umiliò i Giudei rivestendo G. Cristo della veste bianca propria dei candidati alla regalità e che essi gli negavano.

Secondo espediente: Barabba. Il confronto fra un omicida e Gesù non riuscì meglio.

Terzo espediente: La Flagellazione. Questo era un supplizio infame riservato agli schiavi. Il paziente, spogliato delle sue vesti, aveva le mani legate ad un anello di una colonna bassa. L’esecutore, armato di una frusta di corregge pieghevoli, terminanti con ossicini, percoteva con una lentezza calcolata il dorso curvo e teso della vittima. Le corregge flessibili flagellavano ora le spalle ora il petto e vi scavavano solchi profondi, dai quali sprizzava il sangue e dai quali si staccavano brani di carne. Gesù è presentato in questo stato alla folla, rivestito di un mantello scarlatto, con la corona di spine e un bastone per scettro.  I Giudei comprendono tutta l’ironia di questa scena. Oseranno essi vedere ancora in questo re un competitore di Cesare?

Condanna di Gesù.

Essi allora sì riportano con dispetto al suo titolo di Figlio di Dio che deve essere la sola causa della sua morte. Pilato, scosso dall’argomento decisivo: « Noi ti denunzieremo a Cesare », cerca di trovare un ultimo espediente per sua tranquillità. Con l’atto simbolico di lavarsi le mani, Pilato mostra ai Giudei che davanti al suo tribunale, Gesù è innocente e che egli non lo consegna ad essi se non Perché essi pretendono che la loro legge lo condanni. Questo egli affermerà fino all’ultimo momento, facendo affiggere nella sua croce una iscrizione, in tre lingue, indicanti, secondo l’uso, il motivo della sua condanna. L’iscrizione portava queste parole: « Gesù Nazareno Re dei Giudei ». Pilato, nella sua viltà, è colpevole di questo omicidio, ma i Giudei, nel loro odio insultano il Figlio di Dio e commettono un deicidio.

La via Crucis. — La crocifissione. — L’agonia.

Verso le ore 11, Gesù lasciò il pretorio. La dolorosa via crucis cominciò con la via che scende nella valle del Tiropeon, quindi risalecon un rapido pendio fino alle porte della città. Lì, fuori delle mura,si trova il Golgota, ove si facevano le esecuzioni. Nella tenebraprofonda che si fece fra mezzogiorno e le tre, come fu constatato intutto l’impero romano, Gesù subì il suo ultimo supplizio. La croceera il più crudele e il più atroce dei tormenti perché la vittima,necessariamente immobilizzata, doveva sopportare, durante varieore, tutto il peso del proprio corpo, con le braccia tese. L’orribiletensione imposta, congestiona il sangue alla faccia e al petto eprovoca un dolore insopportabile che viene caratterizzato spesialmente da una sete bruciante. Morir crocifisso era morir unicamente di dolore nella più crudele delle agonie. Verso sera, si affrettaronoa spezzare le gambe del suppliziato, i cui piedi si trovavano a circaun metro da terra.

Morte di Gesù. — Sua Sepoltura.

Viene ora il momento decisivo che segna per il genere umano l’ora della sua redenzione. Gesù imprimerà col sigillo del suo sangue tutti gli atti della sua vita affinché siano atti di redenzione. Per mostrare che non è per atto forzato, ma per amore verso il Padre suo e verso gli uomini che Egli accetta che la morte compia su di lui l’opera sua, emette un gran grido e spira. Il nostro divin Salvatore è dunque morto. Con Maria sua Madre e con S. Giovanni, rimaniamo ai piedi della sua Croce e come i pochi Giudei che si convertirono in questo momento, battiamoci il petto, perché Gesù ha offerto la sua vita a Dio per espiare i nostri peccati. Erano circa le tre dopo mezzogiorno. Verso le Cinque, fu tolto dalla croce e sepolto in fretta, perché alle sei della sera cominciava il solennissimo Sabato. Coincideva infatti con il 15 di Nisan, giorno più importante delle feste pasquali. Giova ricordar che i Giudei non avevano cimiteri. Essi si preparavano un monumento funerario nella loro proprietà, spesso ai due lati delle grandi strade di comunicazione. Giuseppe, che era di Arimatea, città della Giudea, pose Gesù nel sepolcro, che aveva fatto fare per se stesso e che si trovava in un orto presso il luogo ove il Salvatore mori. Nicodemo aveva portato per imbalsamarlo provvisoriamente una grande quantità di profumi, circa 32 kilogrammi. Di poi chiusero il sepolcro con una grande pietra, assai difficile a rimuoversi. Le sante donne se ne ritornarono in città, vi acquistarono aromi, con l’intenzione di seppellire Gesù con più cura, dopo il riposo del Sabato. Il giorno seguente, ossia il sabato i Giudei sigillarono il sepolcro e vi posero delle guardie. — Amiamo ripetere in questo giorno insieme a Gesù la preghiera del Communio: « Padre, se questo calice non può passare senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà ».

SALMI BIBLICI: “QUOMODO DILEXI LEGEM TUAM” (CXVIII – 6)

SALMO 118 (6): “QUOMODO DILEXI LEGEM TUAM”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 118 (6)

MEM.

[97] Quomodo dilexi legem tuam,

Domine! tota die meditatio mea est.

[98] Super inimicos meos prudentem me fecisti mandato tuo, quia in æternum mihi est.

[99] Super omnes docentes me intellexi, quia testimonia tua meditatio mea est.

[100] Super senes intellexi, quia mandata tua quæsivi.

[101] Ab omni via mala prohibui pedes meos, ut custodiam verba tua.

[102] A judiciis tuis non declinavi, quia tu legem posuisti mihi.

[103] Quam dulcia faucibus meis eloquia tua! super mel ori meo.

[104] A mandatis tuis intellexi; propterea odivi omnem viam iniquitatis.

NUN.

[105] Lucerna pedibus meis verbum tuum, et lumen semitis meis.

[106] Juravi et statui custodire judicia justitiae tuæ.

[107] Humiliatus sum usquequaque, Domine; vivifica me secundum verbum tuum.

[108] Voluntaria oris mei beneplacita fac, Domine, et judicia tua doce me.

[109] Anima mea in manibus meis semper, et legem tuam non sum oblitus.

[110] Posuerunt peccatores laqueum mihi, et de mandatis tuis non erravi.

[111] Hæreditate acquisivi testimonia tua in æternum, quia exsultatio cordis mei sunt.

[112] Inclinavi cor meum ad faciendas justificationes tuas, in æternum, propter retributionem.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXVIII (6).

MEM

97. Quanto cara è a me la tua legge, o Signore! Ella è tutto quanto il giorno la mia meditazione.

98. Col tuo comandamento mi facesti prudente più dei miei nemici, perché io lo ho davanti in eterno.

99. Ho capito più io, che tutti quelli che m’istruivano; perché i tuoi comandamenti sono la mia meditazione.

100. Ho capito più che gli anziani, perché sono andato investigando i tuoi comandamenti.

101. Da ogni cattiva strada tenni indietro i  miei passi per osservare i tuoi precetti.

102. Non declinai da’ tuoi giudizi, perché tu  mi hai dato una legge.

103. Quanto son dolci alle mie fauci le tue parole! più che non è il miele alla mia bocca

104. Da’ tuoi comandamenti feci acquisti di scienza; per questo ho in odio qualunque via d’iniquità.

NUN.

105. Lucerna a’ miei passi ell’è la tua parola, e luce a’ miei sentieri.

106. Giurai, e determinai di osservare i giudizi di tua giustizia.

107. Io sono umiliato per ogni parte, o Signore: dammi vita secondo la tua parola.

108. Sien graditi a te, o Signore, i volontarii sacrifizi della mia bocca; e insegnami i tuoi giudizi.

109. Porto sempre l’anima mia nelle mie mani; e non mi sono scordato della tua legge.

110. I peccatori mi tesero il laccio; ma io non uscii della strada de’ tuoi precetti.

111. Per mia eterna eredità feci acquisto de’ tuoi insegnamenti, perché essi sono il gaudio del cuor mio.

112. Inchinai il mio cuore ad eseguire eternamente le tue giustificazioni per amore della  retribuzione.

Sommario analitico

VI SEZIONE

97-112.

Il Re-Profeta, considerando i molteplici pericoli del viaggio, è ricorso alla meditazione, alle ispirazioni interiori della legge di Dio come ad un fedele amico per scoprire le insidie e gli inganni dei suoi nemici.

I. L’amore, e di seguito la meditazione continua della legge di Dio, perfeziona l’intelligenza e la volontà (97). – Quest’amore perfeziona l’intelligenza:

1° scoprendo tutte le trappole e le insidie del nemico (98);

2° dandoci una saggezza, una prudenza superiore alla scienza, alla saggezza dei maestri più abili ed alla prudenza degli anziani più sperimentati (99, 100).

II.- La pratica, l’osservanza fedele della legge:

1° Fa evitare un gran numero di peccati, presentando la legge che li evita, così come imposto da Dio stesso (101, 102);

2° è una causa delle gioie più dolci (103), delle delizie spirituali, mille volte più dolci, senza paragoni, di tutte le dolcezze sensibili; dolcezze non sempre sensibili, ma sempre molto reali e veraci;

3° ispira un vero orrore di ogni specie di male, e per tutte le vie che vi conducono (104);

4° ci dirige con sicurezza nella via dei comandamenti (105);

5° afferma la volontà nella risoluzione di esservi fedele (106);

6° Rende gradevoli a Dio i sacrifici volontari che essa ispira (108).

III. – I motivi che portano il Profeta a questa meditazione costante, a questa osservanza fedele della legge di Dio sono:

1° I pericoli estremi che gli fanno correre i suoi nemici (109, 110);

2° L’obbligo che gli viene imposto come eredità, di essere fedele alla legge di Dio (111);

3° La speranza della ricompensa (112)

Spiegazioni e Considerazioni

VI SEZIONE — 97-112

I. – 97-100

ff. 97- 100. – Dopo aver precedentemente detto: « Il vostro comandamento è di largo accesso, » il Profeta ci mostra qui la larghezza di questo comandamento: « Signore, quanto ho amato la vostra legge. » Questa larghezza della legge è dunque la carità. Come si potrebbe, in effetti, amare ciò che Dio ci ordina di amare, se non si amasse il comandamento che lo ordina? Ora, questo comandamento è la Legge stessa. « Tutto il giorno, egli dice, è la mia meditazione. » Io l’ho amata a tal punto che ogni giorno, essa è la mia meditazione. Tutto il giorno significa tutto il tempo, e cioè che sempre questo santo amore trionfa della concupiscenza, che spesso si oppone all’adempiere il compimento delle prescrizioni della legge. (S. Agost.). – Man mano che si conosce la legge di Dio, la si ama, e quanto più la si ama, più la si conosce, perché è l’amore che ce la fa conoscere e che ci fa entrare – dice S. Agostino – nella verità dai canti. – Il Profeta avrebbe potuto dire: Con quale alacrità ho compiuto la vostra legge! Ma poiché egli ha molto più merito nel fare qualcosa per amore, piuttosto che per timore, egli dice: « Quanto ho amato la vostra legge! » … Ci sono molti che danno ai poveri per paura di essere rimproverati per la loro cupidigia ed empia avarizia; ci sono molti che vengono in Chiesa, perché temono che si noti la loro assenza e la loro negligenza; ma non tutti amano ciò che praticano. Obbedire per necessità è dunque inconciliabile con l’amore, perché è impossibile non volere ciò che si ama. L’amore, dal canto suo, può essere separato dall’opera, quando si fa qualcosa per timore o per pudore. Ma il Profeta non è sottomesso ad alcuna di queste imperfezioni. Ciò che ama, egli fa, e ciò che fa, lo ama e se ne occupa continuamente, perché medita la legge di Dio tutti il giorno ininterrottamente (S. Ilar.). – Meditate dunque tutto il giorno la Legge di Dio, non contentatevi di una lettura superficiale. Se volete comprare un campo, acquistare una casa, prendete consiglio da un uomo più prudente, ed esaminate con cura il valore di ciò che comprate per non essere ingannato. Ma qui si tratta di comprare voi stessi, è in questione il vostro prezzo; considerate ciò che siete, quale nome portate e che voi acquistate, non un campo, non argento o pietre preziose, ma Gesù-Cristo, al quale nulla può essere comparato. Prendete dunque per consiglieri Mosè, Isaia, Geremia, Pietro, Paolo, Giovanni, ed il gran Consigliere Gesù, Figlio di Dio, per acquisire il possesso del Padre. È con essi che bisogna trattare questo affare, è con essi che bisogna conferire, che bisogna meditare tutto il giorno come faceva Davide. (S. Ambr.). – Noi abbiamo sotto gli occhi una folla di giovani chierici la cui saggezza sorpassa quella dei vegliardi, la cui maturità previene l’andamento del tempo, e che suppliscono all’età con la santità. Eccellenti giovani sembrano ancor fanciulli per gli anni, ma sono sicuri per malizia. Io dico per malizia e non per saggezza, perché essi non danno a nessuno, secondo l’avviso di S. Paolo, il diritto di disprezzare la loro gioventù. Giovani virtuosi sono preferibili ad uomini vecchi nel vizio (S. Bern. De mor. et off. Episc. VII). –  « Voi mi avete reso più prudente dei miei nemici, etc. » La vera prudenza dei Cristiani consiste nel saper trarre la loro salvezza dal male anche quando lo fanno i loro nemici; invece tutta la prudenza di coloro che li perseguitano, si reduce a perdere se stessi, e non pensano che a perdere gli altri. Questa non è una lettura passeggera, ma uno studio, una meditazione continua della Legge di Dio presa come regola costante ed inviolabile della nostra condotta che non può ispirarci questa prudenza (S. Ambr. e Dug.). –  « Io ho più intelligenza di coloro che mi istruivano, etc. » Il linguaggio del Re-Profeta sembrerebbe qui presuntuoso e temerario, se non avesse dichiarato precedentemente, in un altro Salmo, che Dio stesso era stato suo Maestro. Egli vuole dunque farci intendere che gli uomini non possono insegnare ciò che è divino, e che, di conseguenza, coloro che pretendono di insegnare, ignorano ciò che essi insegnano, mentre il discepolo che è istruito da Dio, ne ha la conoscenza. Oltre al dono di Scienza che si deve alle comunicazioni intime dello Spirito-Santo, noi vediamo ancora qui che vi sono un gran numero di maestri e di dottori che si vantano di insegnare ciò che essi non comprendono, mentre vi sono tanti discepoli che, con la loro applicazione personale, giungono a conoscere ciò in cui i loro maestri non sono stati capaci di istruirli (S. Ambr.). – È così che noi vediamo un gran numero di anime comuni, senza scienza alcuna, ma che si occupano continuamente della Legge di Dio, spesso più illuminati di sapientissimi dottori, o di direttori rinomati che li istruiscono (Dug.). – « Io sono stato più intelligente degli anziani, etc. », bene stupendo che viene da Dio, egli ha più intelligenza degli anziani, perché per grazia di Dio, si è elevato fino alla scienza ed alla maturità della vecchiaia. Così come la vita senza macchia è una lunga vita, (Sap. IV, 8), ugualmente la scienza perviene ad una vita pura e senza macchia, considerata come una vera vecchiaia dell’uomo … indice di una vecchiaia venerabile, ed è prudenza più grande, e che dà ad un consiglio la maturità dell’età che non è la lunghezza della vita, ma la saggezza e la maturità dell’intelligenza. (S. Ambr.). – Io ho – dice il Re-Profeta – avuto grandi difficoltà durante i miei anni giovanili con nemici potenti, con cortigiani anziani e corrotti; ma sono stato più accorto di loro, mi sono burlato delle finezze di questi vecchi sperimentati, senza intendere altra finezza se non ricercare semplicemente i comandamenti di Dio (Bossuet, Sur la loi de Dieu).

ff. 101, 102. – « Ho allontanato i miei piedi da ogni via cattiva. » È veramente degno di essere più intelligente degli anziani, colui che, onorato dall’ispirazione dello Spirito Santo, insegna ai vegliardi non solo l’intelligenza della verità, ma ancora la fuga dal peccato e la vigilanza per preservarsi da ogni colpa. La fragilità umana è portata a scendere rapidamente la china del male ed a precipitarsi verso ogni colpa. La fragilità umana è portata a scendere rapidamente la china del male ed a precipitarsi nel vizio con le sue passioni; così il Re-Profeta insegna a garantirsi da questo pendio scivoloso e dalla sinuosità pericolosa della strada. « Io ho allontanato i miei piedi da ogni strada cattiva, cioè dalle vanità di questo mondo che è interamente nel male. Tutto ciò che è dubbioso, incerto nei suoi risultati, è cattivo. Una luce incerta è per noi una luce cattiva, noi dobbiamo considerare come cattivo tutto ciò che mescola la tenebre del male alla verità (S. Ambr.). – Le passioni sono i piedi dell’anima che la portano al bene o al male, secondo che siano buone o cattive. – Occorre dunque dapprima sforzarci di allontanarci da ogni via cattiva, di ritirarcene se vi ci siamo lasciati condurre, e poi in seguito applicarci ad osservare la Legge di Dio.  Voler osservare la legge di Dio prima di allontanare i propri passi dalle vie d’iniquità, è un errore. (S. Hilar.). – « Io non mi sono allontanato dai vostri giudizi. » Il Profeta ci indica come dobbiamo allontanare i nostri piedi da ogni via cattiva, ed avere sempre davanti agli occhi i giudizi di Dio e la lotta che Egli ci ha prescritto (S. Hilar.). Il popolo cristiano scelto tra le nazioni, può dire a giusto titolo: « Voi mi avete prescritto una legge. » Non è da Mosè, né dai Profeti, ma da Voi stesso, Signore Gesù-Cristo. « Voi mi avete prescritto una legge, », cioè il Vangelo; ecco perché non mi sono mai allontanato dalla strada, perché ho fissato i miei sguardi su di Voi, io vi ho conosciuto e, seguendo i vostri sentieri, ho conosciuto la vera strada.

II. — 103-108.

ff. 103, 104. – Il Re-Profeta intende in anticipo la predicazione del Vangelo, che lo spirito profetico gli scopriva, ed esclama: « Le vostre parole sono dolci al mio palato; il miele più squisito è meno gradito alla mia bocca. » – Il miele è dolce alla bocca e non alla gola; al di là della bocca e del palato, il senso del gusto non ha azione. Le parole divine, al contrario, sono dolci alla gola, perché scivolano e penetrano nel più intimo dell’anima. Esse sono gradevoli, non alla bocca, come gli alimenti, ma fanno sentire la loro dolcezza là ove risiede il senso della conoscenza, della prudenza e dell’intelligenza (S. Ilar.). – Cosa c’è di più dolce, in effetti, che intendere annunziare la remissione dei peccati, una vita eternamente felice e la resurrezione dai morti, dolci e sante credenze che vengono ad addolcire tutto ciò che sapeva di morte eternamente dolorosa. È credendo a queste verità che noi abbiamo cominciato ad affrancarci dal timore e a dire: « o morte, dov’è la tua vittoria? » Con ragione egli dice: le vostre parole sono dolci al mio palate perché la grazia spirituale è stata diffusa nel più intimo del nostro cuore (S. Ambr.). – È là questa soavità che il Signore dà, affinché la nostra terra produca il suo frutto; (Ps. LXXXIV, 13); vale a dire, affinché ci faccia veramente bene ciò che è bene, non per il timore di un male carnale, ma per la dolcezza del bene spirituale … alcuni manoscritti aggiungono: « E il raggio del miele. » La chiara dottrina della saggezza è simile al miele; ma il raggio del miele designa la saggezza che proviene dai misteri nascosti, come le cellule di cera che nascondono il miele, dalla bocca di colui che li spiega e sembra schiacciarli con i suoi denti. Ma questo miele è dolce alla bocca del cuore e non a quella della carne. (S. Agost.). – Cosa significano queste parole che vengono dopo: « Io ho compreso per i vostri comandamenti, » parole tutte diverse da queste: « Io ho compreso i vostri comandamenti. » Il Profeta dichiara dunque di aver compreso e, con l’aiuto dei comandamenti di Dio, è giunto a comprendere le cose che desiderava sapere. È in questo senso che è scritto: « Voi avete desiderato la saggezza; osservate i comandamenti ed il Signore ve la darà! » (Eccli, I, 33), per timore che uno di coloro che mettono il carro davanti ai buoi non voglia, prima di avere acquisito l’umiltà e l’obbedienza, raggiungere le altezze della saggezza, che non può comprendere se essa non viene a suo tempo. Questi uomini ascoltino dunque queste parole: « Non cercate di raggiungere ciò che è troppo elevato per voi, né di scrutare ciò che oltrepassa le vostre forze; ma ciò che Dio vi ha comandato, abbiatelo sempre sotto gli occhi. » (Ibid. III, 22). È così che l’uomo giunge alla saggezza dei misteri con la sottomissione ai comandamenti. (S. Agost.).

ff. 105-108. – Questa parola di cui il Profeta dice: « Essa è la lampada che illumina i suoi piedi e la luce dei suoi passi, » è la parola che è stata messa nella bocca dei Profeti, e che è stata predicata dagli Apostoli (S. Agost.). – Questa parola è per gli uni una semplice fiamma, per gli altri una grande luce. Essa è una torcia per me, una lampada viva per gli Angeli. Essa era una luce per Pietro quando l’Angelo si pose presso di lui nella prigione e fu circondato da una luce chiara. Essa era una luce per Paolo quando, in mezzo ad una accecante chiarezza, intese una voce che gli diceva: « Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? » (Act. XII, 7). La debole luminosità della fiamma che illuminava Paolo sparì davanti allo splendore della luce divina … La parola di Dio, deve essere la fiamma che guida i nostri piedi e la luce che rischiara i nostri sentieri. Una torcia è sufficiente ai nostri piedi perché possano camminare, ma non è sufficiente per illuminare i nostri sentieri stretti ove è facile smarrirsi. Ora, la stessa parola di Dio è nel contempo, la fiamma che guida i nostri passi e la luce che rischiara i nostri sentieri (S. Ambr.). – Come altre volte, Dio illuminava nell’oscurità della notte questa misteriosa colonna di fiamme che conduceva il suo popolo in questa immensa distesa di terre incolte e deserte; così ci ha proposto come una fiamma celeste, la sua Legge ed i suoi ordini, per rassicurare il nostro spirito fluttuante e dirigere i nostri passi incerti (BOSSUET, Sur la lot de Dieu.). – Colui che cammina alla luce di questa fiamma, ed i cui passi seguono il diritto cammino può dire con tutta fiducia: « Io ho giurato e son risoluto fortemente di osservare i vostri comandamenti. » Colui che ha preso una forte risoluzione, non è più abbattuto, non teme di cadere, perché è fortemente stabilito, come radicato nella risoluzione che ha preso. Davide, dunque si tiene fortemente stabilito in questa risoluzione che ha formulato, senza timore alcuno di smarrirsi in mezzo alle tenebre di questo mondo, perché egli temeva, non giurava; se egli tremava di non potere osservare i comandamenti di Dio, non avrebbe aggiunto a questa ferma risoluzione la consacrazione del giuramento. Nessuno giura legittimamente se non a condizione di sapere bene quale sia l’oggetto del suo giuramento. Giurare, è dunque indice di scienza e la testimonianza di una coscienza perfettamente illuminata dalla luce della parola di Dio (S. Ambr.). – Ed è per la fede che si riguardano i giudizi della giustizia di Dio, perché si crede che sotto questo giusto giudizio, nessuna buona azione non abbia ricompensa e nessun peccato resti impunito. Ma come il Corpo do Cristo si è formato alla fede per mezzo di numerose ed orribili sofferenze, il Profeta aggiunge: « Io sono stato umiliato fino al punto estremo; », cioè egli ha sofferto la più forte persecuzione, perché aveva giurato e risolto di riguardare i giudizi della giustizia di Dio. E per timore che la sua fede non si indebolisse in questa terribile umiliazione, egli aggiunge: « Signore, datemi vita secondo la vostra parola, cioè secondo la vostra promessa. » (S. Agost.). – Colui che è umiliato riceve la vita secondo la promessa del Signore; colui che è vivificato dallo Spirito di Dio è un servo volontario. Importa molto in effetti, sapere se si faccia volontariamente o per necessità ciò che piace a Dio. Colui che serve Dio volontariamente, merita una ricompensa; colui che lo serve forzatamente compie un dovere, secondo la dottrina dell’Apostolo (I Cor. IX, 16, 17), (S. Ambr.). – Con questi atti volontari della bocca, bisogna intendere dei sacrifici di lode offerti da una confessione tutta d’amore e non per il timore che impone la necessità. È in questo stesso senso che egli allora dice: « Io vi offrirò dei sacrifici volontari. » (Ps. LII, 8), (s. Agost.). – Egli aggiunge: « Ed insegnatemi i vostri giudizi, perché i giudizi di Dio sono come un abisso profondo ed insondabile (Rom. IV, 33), e non possiamo che conoscerli che alla scuola di Gesù-Cristo, che è il nostro solo ed unico Maestro in tutto. Ora a questi giudizi che ci insegna, e cioè di non rendere il male, ma di fare del bene a coloro che ci hanno offeso, è sul suo esempio  non maledire coloro che ci maledicono, non colpire quelli che ci colpiscono, ma indirizzare a Dio la preghiera che questo divino Salvatore indirizzava a suo Padre sulla croce per i suo carnefici (Luc. XXIII, 34): « Padre, perdona loro, perché non sanno qual che fanno. » (S. Ambr.).

III.— 109-113.

ff. 108, 110. –  « La mia anima è sempre tra le mie mani; » Vale a dire, io sono sempre in pericolo di perdere la vita. O meglio, in senso più verosimile, io porto sempre la mia anima nelle mie mani, per considerarla attentamente, per vedere ciò che le manca, per esaminare e purificare tutti i suoi pensieri, tutte le sue affezioni. – « La mia anima è sempre nelle mie mani. » Così come noi non possiamo obliare ciò che teniamo nelle nostre mani, non dobbiamo dimenticare mai il grande affare della nostra anima, e sia questa la principale sollecitudine dei nostri cuori. Occorre difenderla e coprirla con le mani del cuore e del corpo, per paura che quest’anima, illuminata dai lumi dell’alto, non venga a spegnersi, e non bisogna mollare un solo pollice del terreno, ma, quando le tentazioni, le tribolazioni minacciano di atterrarci, bisogna dire con il  santo Re Davide: « La mia anima è sempre tra le mie mani. » Proponiamoci di bruciare, piuttosto che cedere! (S. Bern. Serm. III, in Vig, Nativ.). – Cosa c’è di più terribile che essere tutti i giorni in pericolo di perdere la vita e non possedere alcun bene, anche nell’ordine della grazia, perché noi non possiamo perdere un istante secondo la mutevolezza naturale dei nostri desideri, per le insidie molteplici che ci tendono i peccatori, i loro esempi, le loro massime perniciose, le loro nefandezze e la corruzione quasi generale dei loro costumi? – « I peccatori mi hanno teso un inganno, ed io non mi sono allontanato dai vostri comandamenti. » Queste parole erano degne dei martiri che erano minacciati dei più crudeli supplizi, ai quali si facevano le offerte più seducenti, per spegnere in essi il desiderio del martirio con il terrore dei tormenti o con l’attrattiva delle ricompense. È una trappola molto pericolosa come la minaccia della proscrizione; sovente la prospettiva dell’indigenza che ne è il seguito, trionfa su coloro che hanno resistito alla paura della morte; è un inganno non meno pericoloso del fuoco, della prigionia e la paura di un supplizio prolungato; è una trappola da temere ancor più che le promesse delle ricchezze, degli onori e dell’amicizia dei principi della terra. Colui che trionfa di tutti questi ostacoli può ripetere con Davide: « I peccatori mi hanno teso un’insidia, ma io non mi sono allontanato dai vostri comandamenti; » io ho disprezzato le cose presenti per cercare unicamente i beni futuri, ho visto aprirsi davanti a me il regno dei cieli, che Dio stesso mi aveva promesso (S. Ambr.).

ff. 111-112. – Il Profeta dice a Dio: « Io ho acquisito le vostre testimonianze per essere eternamente la mia eredità; » cioè io sono erede dei vostri comandamenti, io ho cercato la vostra successione in virtù del diritto che mi danno la fede e la pietà … (S. Ambr.). – Un erede, secondo il costume e le leggi umane, diventa possessore di tutti i beni di cui è erede; ma il Profeta disdegna le eredità della terra, lui che è erede delle testimonianze del Signore (S. Ilar.). – Nulla di più giusto in questa espressione: « Io ho acquisito un’eredità, » perché anche noi che siamo stati dapprima eredi del peccato, siamo ora eredi di Gesù-Cristo. La prima eredità fu un’eredità di crimini; il secondo, un’eredità di virtù; la prima ci ha reso schiavi, la secondo ha rotto le nostre catene; l’una ci ha esposti, carichi di debiti, ai più crudeli creditori, l’altra ci ha acquisiti a Gesù-Cristo con i meriti della sua passione. La funesta successione di Eva divorava l’uomo intero, la ricca eredità di Gesù-Cristo ha posto l’uomo in piena libertà. Non è per un solo uomo, né per un piccolo numero di uomini, che Gesù ha scritto il suo testamento, ma per tutti gli uomini. Tutti noi siamo inclusi tra i suoi eredi, non una porzione di eredità, ma per la totalità. Il testamento è comune, tutti ne abbiamo diritto senza eccezione, tutti lo possiedono egualmente, e la parte di ciascun erede non è sminuita da ciò che possiedono i coeredi. Al contrario degli eredi della terra, l’eredità di Cristo è indivisa ed il possesso del regno dei cieli non soffre né divisione, né spartizioni (S. Ambr.). – Esaminiamo ciò che gli uomini desiderano in questo mondo come eredità. Si può dire che pochi hanno preso Dio per essere sempre loro parte di gioia del loro cuore! – « Io ho inclinato il mio cuore per praticare eternamente i vostri ordini. » Il Re-Profeta  aveva detto in precedenza: « Inclinate il mio cuore verso le vostre testimonianze (vv. 36), » per farci conoscere che questa inclinazione del cuore appartiene nel contempo alla grazia di Dio ed alla nostra volontà. Ma come praticheremo eternamente i giusti ordini di Dio? In verità, le buone opere che noi facciamo per venire in soccorso delle necessità del prossimo, non possono essere eterne, al pari di queste necessità; ma se non pratichiamo queste opere per amore, esse non ci rendono giusti; se al contrario le compiamo per amore, questo amore è eterno, e gli è preparata una ricompensa eterna. È in vista di questa ricompensa che egli chiede di avere inclinato il suo cuore verso la pratica delle giuste ordinanze di Dio, affinché amandole per l’eternità, meriti di possedere eternamente ciò che ama. (S. Agost.). – È così che si. trova condannata una certa spiritualità raffinata che, sotto il pretesto di un disinteresse immaginario, ritiene essere una imperfezione il desiderare il possesso di Dio; servire Dio come Davide, in vista di questa ricompensa, è al contrario, il vero fine dell’uomo, che altro non è se non Dio, per il Quale egli è stato creato. 

https://www.exsurgatdeus.org/2020/04/07/salmi-biblici-iniquo-odio-habui-et-legem-cxviii-7/

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI-APOSTATI DI TORNO: S. S. BENEDETTO XIV – “VIX PERVENIT”

La Giustizia eleva la gente, il peccato rende miseri i popoli“. Da questa sentenza biblica il Santo Padre Benedetto XIV, imperniava la sua lettera enciclica sul vergognoso vizio dell’usura, la forma più esplicita dell’avarizia. Già a quell’epoca l’usura procurava mali a uomini e popoli, perché violava non solo le leggi canoniche, ma pure quelle del diritto naturale e divino. Questo è il motivo perché oggi uomini, ma soprattutto popoli ed organismi sopranazionali sono e stanno precipitando nell’abisso della miseria e della rovina spirituale, oltre che materiale. Il sistema dell’usura oggi è legge assoluta – nuovo tragico idolo demoniaco – imposto dalle banche nazionali e da organismi più o meno occulti supranazionali, nelle quali operano soggetti senza scrupoli, avidi non solo di guadagni, ma affascinati dal gusto del male nel vedere anche popoli interi nella miseria e nella disperazione. Questa infatti è una delle armi più potenti che satana ha inventato per assoggettare sia avidi speculatori, sia popoli che gli si rivolgono voltando le spalle al Cristo, perché attratti da facili guadagni e da un benessere fittizio, trappole mortali per il vero onesto benessere materiale, e soprattutto per indurre al peccato ed alla perdita dell’anima. Sciocchi sono così i popoli che hanno affidato finanza e fortuna economico-monetaria a  lupi rapaci e malefici che hanno inventato prima il sistema della cambiali e poi quello della carta moneta, o meglio carta-straccia, carta senza alcun corrispettivo ma che, prestata ai governi dei Paesi, vuolsi che si renda con capitali di beni veri caricati da interessi astronomici, fuori da possibilità concrete di solvibilità, e quindi mezzo di schiavitù e ricatti sociali vergognosi. A tutto questo la Chiesa ha cercato di porre limiti e regolamentazione, argini oggi totalmente infranti con la conquista dei poteri finanziari-usurai della finta chiesa-sinagoga di satana che si spaccia per Chiesa Cattolica e che anzi per prima, è titolare di banche e di traffici sospetti (per usure un eufemismo). Leggiamo quindi quanto ci suggerisce il Sommo Pontefice e che oggi rappresenterebbe un momento chiave nella lotta alle combriccole luciferine che governano il mondo e la falsa chiesa, imponendo quanto di più malefico possibile in tutti gli ambiti, semplicemente sulla base dell’usura di cui alcuni popoli in particolare, sono maestri e dominatori.

S. S. Benedetto XIV
Vix pervenit

Non appena pervenne alle nostre orecchie che a cagione di una nuova controversia (precisamente se un certo contratto si debba giudicare valido) si venivano diffondendo per l’Italia alcune opinioni che non sembravano conformi ad una saggia dottrina, ritenemmo immediatamente che spettasse alla Nostra Apostolica carica apportare un rimedio efficace ad impedire che questo guaio, con l’andar del tempo e in silenzio, acquistasse forze maggiori; e bloccargli la strada perché non si estendesse serpeggiando a corrompere le città d’Italia ancora immuni.

1. Perciò, prendemmo la decisione di seguire la procedura della quale sempre fu solita servirsi la Sede Apostolica: cioè, abbiamo spiegato tutta la materia ad alcuni Nostri Venerabili Fratelli Cardinali della Santa Romana Chiesa, che sono molto lodati per la loro profonda dottrina in fatto di Sacra Teologia e di Disciplina Canonica; abbiamo interpellato anche parecchi Regolari coltissimi nell’una e nell’altra materia, scegliendoli, alcuni fra i Monaci, altri nell’Ordine dei Mendicanti, altri ancora fra i Chierici Regolari; abbiamo aggiunto anche un Prelato laureato in utroque jure e dotato di lunga pratica del Foro. Stabilimmo che il giorno 4 del luglio scorso si riunissero tutti alla Nostra presenza e chiarimmo loro i termini della questione. Apprendemmo che già essi ne avevano notizia e la conoscevano a fondo.

2. Successivamente abbiamo ordinato che, liberi da qualsiasi parzialità e avidità, esaminassero accuratamente tutta la materia ed esprimessero per iscritto le loro opinioni; tuttavia non abbiamo chiesto che giudicassero il tipo di contratto che aveva motivato la controversia, perché mancavano parecchi documenti indispensabili, ma che fissassero, a proposito delle usure, un criterio definitivo, al quale sembrava recassero un danno non indifferente quelle idee che da un po’ di tempo cominciavano a diffondersi fra la gente. Tutti ubbidirono. Infatti, comunicarono le loro opinioni in due Congregazioni, delle quali la prima fu tenuta in Nostra presenza il 18 luglio, l’altra il primo agosto scorsi; alla fine tutti consegnarono le proprie relazioni scritte al Segretario della Congregazione.

3. All’unanimità hanno approvato quanto segue:

I. Quel genere di peccato che si chiama usura, e che nell’accordo di prestito ha una sua propria collocazione e un suo proprio posto, consiste in questo: ognuno esige che del prestito (che per sua propria natura chiede soltanto che sia restituito quanto fu prestato) gli sia reso più di ciò che fu ricevuto; e quindi pretende che, oltre al capitale, gli sia dovuto un certo guadagno, in ragione del prestito stesso. Perciò ogni siffatto guadagno che superi il capitale è illecito ed ha carattere usuraio.

II. Per togliere tale macchia non si potrà ricevere alcun aiuto dal fatto che tale guadagno non è eccessivo ma moderato, non grande ma esiguo; o dal fatto che colui dal quale, solo a causa del prestito, si reclama tale guadagno, non è povero, ma ricco; né ha intenzione di lasciare inoperosa la somma che gli è stata data in prestito, ma di impiegarla molto vantaggiosamente per aumentare le sue fortune, o acquistando nuove proprietà, o trattando affari lucrosi. Infatti agisce contro la legge del prestito (la quale necessariamente vuole che ci sia eguaglianza fra il prestato e il restituito) colui che, in forza del mutuo, non si vergogna di pretendere più di quanto è stato prestato, nonostante fosse stato convenuta inizialmente la restituzione di una somma eguale a quella prestata. Pertanto, colui che ha ricevuto, sarà obbligato, in forza della norma di giustizia che chiamano commutativa (la quale prevede che nei contratti umani si debba mantenere l’eguaglianza propria di ognuno) a rimediare e a riparare quanto non ha esattamente mantenuto.

III. Detto questo, non si nega che talvolta nel contratto di prestito possano intervenire alcuni altri cosiddetti titoli, non del tutto connaturati ed intrinseci, in generale, alla stessa natura del prestito; e che da questi derivi una ragione del tutto giusta e legittima di esigere qualcosa in più del capitale dovuto per il prestito. E neppure si nega che spesso qualcuno può collocare e impiegare accortamente il suo danaro mediante altri contratti di natura totalmente diversa dal prestito, sia per procacciarsi rendite annue, sia anche per esercitare un lecito commercio, e proprio da questo trarre onesti proventi.

IV. Come in tanti diversi generi di contratti, se non è rispettata la parità di ciascuno, è noto che quanto si percepisce oltre il giusto ha a che vedere se non con l’usura (in quanto non vi è prestito, né palese né mascherato), certamente con qualche altra iniquità, che impone parimenti l’obbligo della restituzione. Se si conducono gli affari con rettitudine, e li si giudica con la bilancia della Giustizia, non c’è da dubitare che in quei medesimi contratti possano intervenire molti modi e leciti criteri per conservare e rendere numerosi i traffici umani e persino lucroso il commercio. Pertanto, sia lungi dall’animo dei Cristiani la convinzione che, con l’usura, o con simili ingiustizie inflitte agli altri possano fiorire lucrosi commerci; invece abbiamo appreso dallo stesso Divino Oracolo che “La Giustizia eleva la gente, il peccato rende miseri i popoli“.

V. Ma occorre dedicare la massima attenzione a quanto segue: ciascuno si convincerà a torto e in modo sconsiderato che si trovino sempre e in ogni dove altri titoli legittimi accanto al prestito, o, anche escludendo il prestito, altri giusti contratti, col supporto dei quali sia lecito ricavare un modesto guadagno (oltre al capitale integro e salvo) ogni volta che si consegna a chiunque del danaro o frumento o altra merce di altro genere. Se alcuno sarà di questa opinione, avverserà non solo i divini documenti e il giudizio della Chiesa Cattolica sull’usura, ma anche l’umano senso comune e la ragione naturale. A nessuno infatti può sfuggire che in molti casi l’uomo è tenuto a soccorrere il suo prossimo con un prestito puro e semplice, come insegna soprattutto Cristo Signore: “Non respingere colui che vuole un prestito da te“. Del pari, in molte circostanze, non vi è posto per nessun altro giusto contratto, eccetto il solo prestito. Bisogna dunque che chiunque voglia seguire la voce della propria coscienza, si accerti prima attentamente se davvero insieme con il prestito non si presenti un altro giusto titolo e se non si tratti invece di un altro contratto diverso dal mutuo, in grazia del quale sia reso puro e immune da ogni macchia il guadagno ottenuto.

4. In queste parole riassumono e spiegano le loro opinioni i Cardinali, i Teologi e Uomini espertissimi di Canoni, il parere dei quali abbiamo sollecitato su questa gravissima questione. Anche Noi non abbiamo tralasciato di dedicare il nostro privato impegno alla stessa questione, prima che si riunissero le Congregazioni, e durante i loro lavori e quando già li avevano conclusi. Infatti con estrema attenzione abbiamo seguito le opinioni (già da Noi ricordate) di quegli uomini prestigiosi. E a questo punto confermiamo e approviamo tutto ciò che è contenuto nelle Sentenze esposte più sopra, in quanto è chiaro che tutti gli scrittori, i professori di Teologia e dei Canoni, numerose testimonianze delle Sacre Lettere, decreti dei Pontefici Nostri Predecessori, l’autorità dei Concili e dei Sacerdoti sembrano quasi cospirare per un’approvazione unanime delle medesime Sentenze. Inoltre abbiamo conosciuto chiaramente gli autori ai quali devono essere attribuite opinioni contrarie; e così pure coloro che le incoraggiano e le proteggono, o che sembrano offrire ad essi un appiglio o un’occasione. E non ignoriamo con quanta severa dottrina abbiano assunto la difesa della verità i Teologi vicini a quei territori in cui hanno avuto origine tali controversie.

5. Perciò abbiamo inviato questa Lettera Enciclica a tutti gli Arcivescovi, Vescovi e Ordinari d’Italia, in modo che essa fosse nota a Te, Venerabile Fratello, e a tutti gli altri; e ogni qual volta avverrà di celebrare Sinodi, di parlare al popolo, di istruirlo nelle sacre dottrine, non si pronunci parola che sia contraria a quelle Sentenze che più sopra abbiamo esaminato. Inoltre vi esortiamo vivamente a impedire con tutto il vostro zelo che qualcuno osi con Lettere o Sermoni insegnare il contrario nelle Vostre Diocesi; se poi qualcuno rifiutasse di obbedire, lo dichiariamo colpevole e soggetto alle pene stabilite nei Sacri Canoni contro coloro che abbiano disprezzato e violato i doveri apostolici.

6. Sul contratto che ha suscitato queste nuove controversie, per ora non prendiamo decisioni; non stabiliamo nulla neppure sugli altri contratti, circa i quali i Teologi e gli Interpreti dei Canoni sono lontani tra loro in diverse sentenze. Tuttavia pensiamo di dover infiammare il religioso zelo della vostra pietà perché mandiate ad effetto tutto ciò che vi suggeriamo.

7. In primo luogo fate sapere con parole severissime che il vizio vergognoso dell’usura è aspramente riprovato dalle Lettere Divine. Esso veste varie forme e apparenze per far precipitare di nuovo nella estrema rovina i Fedeli restituiti alla libertà e alla grazia dal sangue di Cristo; perciò, se vorranno collocare il loro denaro, evitino attentamente di lasciarsi trascinare dall’avarizia che è fonte di tutti i mali, ma piuttosto chiedano consiglio a coloro che si elevano al di sopra dei più per eccellenza di dottrina e di virtù.

8. In secondo luogo, coloro che confidano tanto nelle proprie forze e nella propria sapienza, da non aver dubbi nel pronunciarsi su tali problemi (che pure esigono non poca conoscenza della Sacra Teologia e dei Canoni) si guardino bene dalle posizioni estreme che sono sempre erronee. Infatti alcuni giudicano queste questioni con tanta severità, da accusare come illecito e collegato all’usura ogni profitto ricavato dal danaro; altri invece sono talmente indulgenti e remissivi da ritenere esente da infamante usura qualunque guadagno. Non siano troppo legati alle loro opinioni, ma prima di dare un parere esaminino vari scrittori che più degli altri sono apprezzati; poscia facciano proprie quelle parti che sanno essere sicuramente attendibili sia per la dottrina, sia per l’autorità. E se nasce una disputa mentre si esamina qualche contratto, non si scaglino contumelie contro coloro che seguono una contraria Sentenza, né dichiarino che essa è da punire con severe censure, soprattutto se manca dell’opinione e delle testimonianze di uomini eminenti; poiché le ingiurie e le offese infrangono il vincolo della carità cristiana e recano gravissimo danno e scandalo al popolo.

9. In terzo luogo, coloro che vogliono restare immuni ed esenti da ogni sospetto di usura, e tuttavia vogliono dare il loro denaro ad altri in modo da trarne solo un guadagno legittimo, devono essere invitati a spiegare prima il contratto da stipulare, a chiarire le condizioni che vi sono poste e l’interesse che si pretende da quel denaro. Tali spiegazioni contribuiscono decisamente non solo a scongiurare ansie e scrupoli di coscienza, ma anche a ratificare il contratto nel foro esterno; inoltre chiudono l’adito alle dispute che spesso occorre affrontare perché si possa capire se il danaro che sembra prestato ad altri in modo lecito, contenga in realtà un’usura mascherata.

10. In quarto luogo vi esortiamo a non lasciare adito agli stolti discorsi di coloro che vanno dicendo che l’odierna questione sulle usure è tale solo di nome, perché il danaro, che per qualunque ragione si presta ad altri, procura solitamente un profitto. Quanto ciò sia falso e lontano dalla verità si comprende facilmente se ci rendiamo conto che la natura di un contratto è totalmente diversa e separata dalla natura di un altro, e che del pari molto fra di loro divergono le conseguenze di contratti tra loro diversi. In realtà una differenza molto evidente intercorre tra l’interesse che a buon diritto si trae dal danaro, e che perciò si può trattenere in sede legale e in sede morale, e il guadagno che illegalmente si ricava dal danaro e che quindi deve essere restituito, conformemente al dettato della legge e della coscienza. Risulta dunque che non è vano proporre la questione dell’usura in questi tempi e per la seguente ragione: dal denaro che si presta ad altri si riceve molto spesso qualche interesse.

11. In modo particolare abbiamo ritenuto opportuno esporvi queste cose, sperando che voi rendiate esecutivo ciò che da Noi è prescritto con questa Lettera: che ricorriate anche a opportuni rimedi, come confidiamo, se per caso e per causa di questa nuova questione delle usure si agiti la gente nella vostra Diocesi o si introducano corruttori con l’intento di alterare il candore e la purezza della sana dottrina.

Da ultimo impartiamo a Voi e al Gregge affidato alle vostre cure l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 1° novembre 1745, anno sesto del Nostro Pontificato.