TUTTA LA MESSA (L’UNICA “VERA” CATTOLICA ROMANA) MOMENTO PER MOMENTO (2)

TUTTA LA MESSA MOMENTO PER MOMENTO (2)

[Aldéric BEAÜLAÇ, p. S. S. Vicario & subdiacono (Montréal)

“TOUTE LA MESSE Par questions et réponses”

TUTTA LA MESSA in Domande e risposte

(Nouvelle édition revue et corrigée)

3425, RUE ST-DENIS MONTREAL

Cum permissu Superioris,

EUGENE MOREAU, p.s.s.

Nihil obstat’.

AUGUSTE FERLAND, p.s.s.

censor deputatus

Marianopoli, die 28a martii 1943

Imprimi potest’.

ALBERT VALOIS, V. G.

Marianopoli, die 28 martii 1943

SECONDA PARTE

La Messa dei Catecumeni

25 — Come si raggruppano le preghiere della Messa dei Catecumeni?

Le preghiere della Messa dei Catecumeni possono suddividersi in due gruppi: la preparazione e l’istruzione.

Preparazione: Entrata nella chiesa. – Il segno della croce. – Salmo Judica me. – Confiteor.La salita all’altare. Incensamento.Introïto.Kyrie.Gloria.

Istruzione: Colletta e orazione. –  Epistola – Graduale e Alléluia. -Evangelio. – Predica. – Credo.

PREPARAZIONE

26 — Cosa esprimono le preghiere della preparazione?

Le preghiere di preparazione esprimono fiducia in Dio nell’umile confessione delle colpe, il pentimento che implora misericordia. Attraverso di loro, l’anima si ordina, si orientata verso l’ideale primario di ogni Cristiano, la glorificazione del Padre.

1 — L’entrata in Chiesa

27— Descrivete l’andata verso l’altare.

Il sacerdote, vestito dei paramenti, prende il calice preparato con la mano sinistra e lo tiene all’altezza del petto, con la mano destra sulla borsa. Si inchina davanti alla croce o all’immagine in sacrestia e procede verso l’altare, preceduto dal servente.

28— Cosa fa il Sacerdote entrando in Chiesa?

Entrando in chiesa, il Sacerdote prende l’acqua santa e si fa il segno della croce.

L’uso dell’acqua santa quando si entra in chiesa indica che si vuole avere un’anima pura per partecipare alla Messa, e per dedicarsi con dignità alla preghiera.

Nelle religioni antiche era consuetudine non entrare mai nel tempio senza essersi purificati. La stessa religione ebraica prescriveva il lavaggio delle mani. Da lì, nel cortile del tempio si vedeva una vasca di bronzo piena d’acqua, chiamata il mare di bronzo. La Chiesa ha cristianizzato l’uso dell’acqua collocando delle acquasantiere vicino alle porte della chiesa.

29— Perché il Sacerdote sale all’altare prima di cominciare le preghiere della Messa?

Il Sacerdote sale all’altare prima di iniziare le preghiere della Messa per porre il calice sul corporale, che dispiega completamente, e per mettere i segnalibri nelle pagine del messale dove leggerà le preghiere della Messa.

2 — Il segno della croce

In nomine Patris et Filii et Spiritus sancti. Amen.

30— Perché si fa il segno della croce cominciando le preghiere della Messa?

Il segno della croce viene fatto all’inizio delle preghiere della Messa per tre motivi principali:

1) è il Sacrificio della croce che il Sacerdote, in unione con i fedeli, rinnoverà sull’altare;

2) è a nome della Santissima Trinità, cioè a gloria delle tre Persone divine e con il loro aiuto, che il Sacerdote offrirà il Santo Sacrificio a cui tutti i fedeli parteciperanno;

3) è l’inizio di un’azione importante.

31—Qual è l’origine del segno della croce?

Era consuetudine tra i primi Cristiani non iniziare alcuna azione importante senza fare il segno della croce, per indicare che tutto è stato fatto nel nome di Nostro Signore Gesù Cristo, rendendo grazie a Dio Padre per mezzo suo. Ora, con questo segno, si impiegava di solito la formula: “Nel nome del Padre, e del Figlio, ecc.” per invocare contemporaneamente la Santa Trinità. Da questo deriva la consuetudine di segnarsi, non appena pronunciato il nome della Trinità; questo può avvenire durante la Messa, sia invocando direttamente le Persone divine, sia semplicemente nominandole.

3 — Il salmo “Judica me” e la sua antifona

S. Introíbo ad altáre Dei.
M. Ad Deum, qui lætíficat iuventútem meam.
Postea alternatim cum Ministris dicit sequentem:
Ps. XLII, 1-5.
S. Iúdica me, Deus, et discérne causam meam de gente non sancta: ab hómine iníquo et dolóso érue me.
M. Quia tu es, Deus, fortitudo mea: quare me reppulísti, et quare tristis incédo, dum afflígit me inimícus?
S. Emítte lucem tuam et veritátem tuam: ipsa me deduxérunt, et adduxérunt in montem sanctum tuum et in tabernácula tua.
M. Et introíbo ad altáre Dei: ad Deum, qui lætíficat iuventútem meam.
S. Confitébor tibi in cíthara, Deus, Deus meus: quare tristis es, ánima mea, et quare contúrbas me?
M. Spera in Deo, quóniam adhuc confitébor illi: salutáre vultus mei, et Deus meus.

Sacerdos repetit Antiphonam:
S. Introíbo ad altáre Dei.
M. Ad Deum, qui lætíficat iuventútem meam.

[Quindi, con le mani giunte davanti al petto, comincia l’Antifona:
S. Mi accosterò all’altare di Dio.
M. A Dio che dà letizia alla mia giovinezza.
Alternandosi con il ministro e i fedeli, dice:
Ps. XLII, 1-5.
S. Fammi giustizia, o Dio, e separa la mia causa da quella di una nazione non santa, e liberami dall’uomo iniquo e ingannatore.
M. Perché tu, o Dio, sei la mia forza; perché mi hai tu rigettato? e perché me ne vo’ contristato, mentre il nemico mi affligge?
S. Manda la tua luce e la tua verità: esse mi guidino e mi conducano al tuo santo monte e ai tuoi tabernacoli.
M. E mi accosterò all’altare di Dio; a Dio che dà letizia alla mia giovinezza.
S. Io ti loderò sulla cetra, o Dio, Dio mio. Perché, o anima mia, sei triste? e perché mi conturbi?
M. Spera in Dio, perché io lo loderò ancora: egli salute della mia faccia, e mio Dio.
S. Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo.
M. Come era in principio, e ora, e sempre, e nei secoli dei secoli. Amen.
Il Sacerdote ripete l’Antifona:
S. Mi accosterò all’altare di Dio.
M. A Dio che dà letizia alla mia giovinezza.

A. — L’Antifona

32 —Cosa indica la parola antifona?

La parola antifona si riferisce a un verso, una frase, una parola che apre e chiude i salmi e gli inni.

33 —Da dove è tratta l’Antifona « Io andrò all’altare di Dio »?

Questo antifona è tratta dal salmo “Judica me”.

I neobattezzati, uscendo dal fonte battesimale, si recavano all’altare per ricevere il Corpo del Signore, dicendo: “Andrò all’altare di Dio, del Dio che dà gioia alla mia giovinezza”.

34 — Cosa significa qui la parola giovinezza?

La parola “giovinezza” qui significa la vita soprannaturale, ottenuta attraverso la rigenerazione, effetto della grazia dello Spirito Santo.

Questa grazia distrugge in noi il vecchio peccatore e ci veste dell’uomo nuovo che rinasce nella conoscenza di Dio. Chi, “come un bambino appena nato, spogliato di ogni malizia, inganno, occultamento, invidia e calunnia”, si fa avanti verso l’altare, vede crescere la giovinezza del suo spirito, cioè il suo zelo, il suo ardore al servizio di Dio.

B. — Il Salmo

35 — Cosa esprime il SalmoJudica me”?

Il Salmo “Judica me” è una preghiera, seguita da una santa risoluzione, e si conclude con un atto di speranza e di sottomissione alla volontà di Dio.

36 — Chi ha composto il SalmoJudica me?

Questo salmo è attribuito al santo re Davide. Davide, cacciato da Gerusalemme dalla rivolta del figlio Assalonne, è duramente inseguito dai suoi nemici. La sua separazione dal Tabernacolo lo addolora e gli sembra un segno dell’ira di Dio. Sospira perciò il giorno in cui, liberato dai suoi nemici, verrà al santuario per cantare sull’arpa, mentre sull’altare dell’olocausto vengono offerti sacrifici di ringraziamento.

37 — In chi mette la sua fiducia il re David?

Il re David mette la sua fiducia in Dio, fonte di luce, di salvezza e di riposo.

38 — Si faccia l’applicazione l’applicazione di questo salmo al Sacerdote ed ai fedeli che offrono il santo Sacrificio

Come il re Davide, noi viviamo in esilio in questo mondo dove i nemici delle nostre anime sono molto numerosi. Chiediamo a Dio di liberarci da essi, perché Egli è la forza di coloro che confidano in Lui. Gli chiediamo la sua luce, che dissiperà le tenebre della nostra afflizione, e la sua verità, cioè la salvezza che si è impegnato a dare ai giusti e che deve operare se vuole che le sue promesse siano mantenute.

39 — Perché incliniamo ls testa recitando il Gloria Patri?

Nel recitare il Gloria Patri, chiniamo il capo per rispetto all’infinita maestà di Dio e come testimonianza del nostro nulla e della nostra indegnità.

Il Gloria Patri, chiamato la piccola Dossologia, (canto di gloria), forma la conclusione ordinaria dei salmi.

40 — Perché in certe Messe si omette la recita del salmo Judica me?

Questo salmo cerca di allontanare la tristezza dall’anima. Suppone, in chi lo recita, impressioni che sono soprattutto consolanti e gioiose. Conviene dunque sopprimerlo quando l’anima è permeata dal dolore e dalla pietà, come nelle Messe da Requiem e nelle Messe della Passione.

4 — Le Confiteor

41— Si reciti il “Confiteor”.

Confiteor Deo omnipotenti, beatæ Mariæ semper Virgini, beato Michael Archangelo, beato Joanni Baptistæ, sanctis apostolis Petro et Paulo, omnibus sanctis et tibi, Pater: quia peccavi nimis cogitatione, verbo et opere. Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa. Ideo precor beatam, Mariam semper Virginem, beatum Michaelem archangelum, beatum Joannem Baptistam, sanctos apostolos Petrum, et Paulum, omnes sanctos, et te. Pater, orare pro me ad Dominum Deum nostrum.

Misereatur vestri omnipotens Deus, et dimissis peccatis vestris, perducat vos ad vitam aeternam, Arnen.

Indulgentiam, + absolutionem et remissionem peccatorum nostrorum tribuat nobis omnipotens et misericors Dominus. Arnen.

Confesso a Dio onnipotente, alla beata sempre Vergine Maria, al beato Michele Arcangelo, al beato Giovanni Battista, ai Santi Apostoli Pietro e Paolo, a tutti i Santi e a voi, o fratelli, di aver molto peccato, in pensieri, parole ed opere: per mia colpa, per mia colpa, per mia grandissima colpa. E perciò supplico la beata sempre Vergine Maria, il beato Michele Arcangelo, il beato Giovanni Battista, i Santi Apostoli Pietro e Paolo, tutti i Santi, e voi, o fratelli, di pregare per me il Signore Dio nostro.

 
M. Dio onnipotente, abbia pietà di te, e, perdonati i tuoi peccati, ti conduca alla vita eterna.

 
S. Amen,


S. Il Signore onnipotente e misericordioso ✠ ci accordi il perdono, l’assoluzione e la remissione dei nostri peccati.


R. Amen.

Le Confiteor è introdotto  da un versetto del Salmo CXXIII-8

V. Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cœlum et terram.

[V. Il nostro aiuto ✠ è nel nome del Signore
R. Che ha fatto il cielo e la terra.]

42— Perché il Sacerdote si segna all’Adjutorium?

Il sacerdote si segna all’Adjutorium perché con questa preghiera inizia una nuova azione.

43— In quante parti si divide il Confiteor?

Il Confiteor è diviso in due parti: dapprima prendiamo i Santi come testimoni delle nostre colpe, e poi ricorriamo alla loro onnipotente intercessione davanti a Dio.

44— Quale rubrica osserva il Sacerdote recitando il Confiteor?

Mentre recita il Confiteor, il Sacerdote, con le mani giunte, si inchina profondamente davanti all’altare e si batte tre volte sul petto dicendo mea culpa,

45— Cosa significano questa attitudine e questi gesti durante la récita del Confiteor?

Questo atteggiamento del sacerdote segna la disposizione di un povero peccatore, oppresso dal peso delle sue colpe, contrito ed umiliato, che implora perdono e misericordia.

Il Sacerdote e i fedeli colpiscono il petto tre volte perché hanno offeso Dio in tre modi: nel pensiero, nella parola e nell’azione. Sant’Agostino dice: “Colpire il petto è accusare e punire il peccato nascosto nel nostro cuore”.

46 — La confessione dei peccati prima del Sacrificio è peculiare della Chiesa Cattolica?

La confessione dei peccati ha sempre preceduto il sacrificio. Tra gli Ebrei, quando il sommo sacerdote offriva il capro espiatorio, confessava tutte le iniquità dei figli di Israele.

47 — Perchè nel Confiteor si si invoca in particolare la Santa Vergine, San Michele, San Giovanni-Battista, gli Apostoli San Pietro e San Paolo?

La Beata Vergine Maria è il rifugio dei peccatori; San Michele ha vendicato l’oltraggio di Lucifero fatto a Dio; San Giovanni Battista ha predicato la penitenza per la remissione dei peccati; San Pietro, il capo degli Apostoli, ha ricevuto da Gesù il potere di perdonare i peccati; San Paolo ha ottenuto la grazia di una straordinaria conversione.

48 — Cosa domanda il Sacerdote con la preghiera dell’assoluzione?

Il Sacerdote chiede al Signore, in virtù dell’onnipotenza di Dio, di avere pietà dei fedeli, di perdonare i loro peccati, di elevarli dalla morte spirituale alla vita di grazia e di condurli alla gloria.

Questo è un sacramentale, cioè è una formula e un rito che, in virtù della preghiera stessa della Chiesa e delle buone disposizioni di coloro che assistono alla Messa, cancella i peccati veniali e rimette le punizioni temporali dovute ai peccati.

49—Perché il Sacerdote si segna nel dire le preghiere dell’assoluzione?

Perché è per i meriti della croce che sono cancellati inostri peccati.

5. — Salita all’altare

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
O
rémus,
Aufer a nobis, quœsumus, Dómine, iniquitátes nostras: ut ad Sancta sanctórum puris mereámur méntibus introíre. Per Christum, Dóminum nostrum. Amen.
Orámus te, Dómine, per mérita Sanctórum tuórum, quorum relíquiæ hic sunt, et ómnium Sanctórum: ut indulgére dignéris ómnia peccáta mea.
Amen.

[V. Volgendoti a noi, o Dio, ci farai vivere.
R. E il tuo popolo si rallegrerà in Te.
V. Mostraci, o Signore, la tua misericordia.
R. E da’ a noi la tua salvezza.
V. O Signore, esaudisci la mia preghiera.
R. E il mio grido giunga fino a Te.
V. Il Signore sia con voi.
R. E con lo spirito tuo.
Preghiamo,
Togli da noi, o Signore, le nostre iniquità: affinché con ànimo puro possiamo entrare nel Santo dei Santi. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Ti preghiamo, o Signore, per i mériti dei tuoi Santi dei quali son qui le relíquie, e di tutti i tuoi Santi: affinché ti degni di perdonare tutti i miei peccati. Amen.]

50 — Qual è il senso di questa espressione: rivolgetevi a noi?

Questa espressione significa: preveniteci, aiutateci a convertirci con la vostra grazia preveniente ed operante.

51— Perchè il Sacerdote dice: “mostrateci, Signore, la vostra misericordia”?

Il Sacerdote, consapevole della sua indegnità di salire all’altare, invita il Signore misericordioso a purificarsi ulteriormente e a meritare di celebrare degnamente.

52 — Perchè il Sacerdote si inchina dicendo questi versetti?

Il Sacerdote si inchina mentre dice questi versi per mostrare il suo rispetto e la sua fiducia.

53 — Perché il Sacerdote dice il “Dominus vobiscum”?

Il Sacerdote dice “Dominas vobiscum” per chiedere a Dio di benedire in modo speciale coloro ai quali rivolge questo desiderio e di invitare i fedeli ad una fervente preghiera, annunciata da questa parola “Oremus”, cioè Preghiamo.

Il sacerdote chiede ripetutamente durante la Messa che Dio sia con coloro che assistono al Santo Sacrificio, e i presenti esprimono il desiderio che Dio sia con lo spirito del celebrante.

54— Il saluto “Dominus vobiscum” è antico?

Booz diceva ai suoi mietitori: il Signore sia con voi, come ripete anche spesso san Paolo nelle sue lettere: la grazia del Signore sia con voi. Il Papa e i Vescovi usano la stessa formula quando si rivolgono ai fedeli.

55 — Che significa l’espressione: entrare nel Santo dei santi?

L’espressione entrare nel santo dei santi qui significa salire all’altare e offrire il santo sacrificio.

Nell’Antica Legge, il Sommo Sacerdote, egli solo, e solo una volta all’anno, poteva entrare in questa parte del Tempio chiamata il Santo dei Santi e offrire il sangue delle vittime.

56— Quali santi invoca il Sacerdote salendo all’altare?

Mentre il sacerdote sale all’altare, invoca i Santi le cui reliquie sono contenute nella pietra sacra. Si rivolge poi a tutti i Santi, in particolare a Gesù Cristo, loro Capo e Re, il cui emblema è l’altare.

57 — Perché il Sacerdote bacia l’altare dicendo la preghiera: Oramus te?

Il sacerdote bacia l’altare per venerare la pietra consacrata dal Vescovo e le reliquie dei Santi contenute in questa pietra.

58 — Perchè si chiudono le reliquie dei santi nella pietra dell’altare?

In ricordo della Messa che un tempo si celebrava presso le tombe dei Santi Martiri sepolti nelle catacombe.

6 L’incensamento dell’altare(nelle Messe cantate)

59 — L’uso dell’incenso è antico?

Il Signore stesso, secondo l’Antica Legge, aveva descritto esattamente come e quando l’incenso doveva essere preparato e quando doveva essere usato. Ogni giorno, mattina e sera, un sacrificio di incenso veniva offerto sull’altare dell’incenso posto nel santuario. L’incenso fu introdotto all’inizio del culto cristiano e divenne di uso generale quando nel quarto secolo, fu data libertà alla Chiesa.

60 — Di cosa l’inceso è figura ed immagine?

L’incenso che viene bruciato, rappresenta il sacrificio interiore dell’anima, e rappresenta la preghiera che piace a Dio. Le nuvole di fumo simboleggiano i frutti della preghiera, cioè la grazia che scende dal cielo o va dal tabernacolo e dall’altare, dove risiede Gesù Cristo.

61— L’incenso è impiegato sempre come segno di adorazione?

No, la Chiesa se ne serve anche come testimonianza della venerazione dovuta a tutto ciò che è santo. Ecco perché, oltre al Santissimo Sacramento, sono incensate le reliquie e le immagini dei santi, il libro dei Vangeli, il Sacerdote celebrante, il clero e il popolo.

62— Perchè si benedice l’incenso prima di servirsene?

Si benedice l’inenso prima di servirsene per fare una cosa santa e consacrata a Dio. Questa benedizione ci presenta più perfettamente l’incenso come un simbolo religioso. Così si fa per le ceneri e per le palme.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/04/15/tutta-la-messa-lunica-vera-cattolica-romana-momento-per-momento-3/

TUTTA LA MESSA (L’UNICA “VERA” CATTOLICA ROMANA) MOMENTO PER MOMENTO (1)

TUTTA LA MESSA MOMENTO PER MOMENTO (1)

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Avvertenza per il lettore

TUTTA LA MESSA IN DOMANDE E RISPOSTE, potrebbe portare come sottotitolo “Note di un catechista”. Inizialmente avevo redatto queste note per un corso di liturgia dato alla Scuola Marchand (Montréal). Per l’utilità di un maggior numero di fedeli, le ho pubblicate ad episodi nel nostro giornale parrocchiale, “Il faro”. Hanno fatto evidentemente del bene essendomi stata richiesto di raggrupparle in un volume e così diffonderle. – La dottrina si ritrova nel migliori commentari della Messa, in particolare Gihr, Croegaert, Grimaud, Dom Gaspard Lefebvre, Vandeur ed altri. Ho frequentemente citato i commentari dei Padri della Chiesa per dimostrare che noi preghiamo come i primi Cristiani. Questo libro vi viene offerto innanzitutto come come uno strumento di lavoro: io ho mirato all’utilità di coloro che insegnano e di coloro che vogliono apprendere. Non pretendo di aver detto l’ultima parola circa i soggetti trattati, né di aver detto tutto. Se volete, in aiuto di questa opera, per meglio comprendere, stimare ed utilizzare la Messa, leggete lentamente, poco alla volta, riflettete, meditate durante la Messa stessa, i riti; le parole per voi vuote di senso, saranno alfine luce, gioia e vita. Possano queste righe, che io ho dedicato all’Agnello immolato, farvi meglio gustare la vostra Messa per viverne profondamente.

Aldéric BEAULAC, p.s.s.

PRIMA PARTE

Nozioni generali

CAPITOLO I. NOZIONI GENERALI

a) Preliminari

1 — Che significa la parola MESSA?

La parola Messa significa rinvio. In passato, fin dall’inizio del Sacrificio, all’offertorio, coloro che erano in penitenza e coloro che non erano stati battezzati, che erano chiamati catecumeni, venivano rinviati: coloro che erano in penitenza e coloro che non erano stati battezzati – chiamati catecumeni – venivano mandati fuori dalla Chiesa. Alla fine del Sacrificio, il diacono diceva, come fa oggi: ite, missa est, andate, questa è finita, questo è il rinvio. Il popolo si è ricordato di questa parola e l’ha applicata a tutto il rito. – Il nome più antico della Messa era “Ecaristia”: esso significa azione di grazie. Si chiamò anche liturgia, cioè servizio pubblico. Alla Messa sono stati dati altri nomi: Elogio, che significa benedizione, frazione del pane, Cena, per ricordare l’ultimo pasto che Gesù fece con i suoi discepoli e il gesto di distribuire il pane consacrato; Santo Sacrificio, perché la Messa è il Sacrificio della croce rinnovata in mezzo a noi.

2 — Cosa si indica con: le cerimonie della Messa?

Si chiamano « le cerimonie della Messa » gli atti esteriori della Religione e i segni simbolici che la Chiesa usa nella celebrazione del Santo Sacrificio, per elevarne la maestà, istruire i fedeli e alimentare la loro pietà.

3 — Cosa si intende per: liturgia della Messa?

Si chiama « liturgia della Messa » l’ordine delle cerimonie e delle preghiere ufficialmente stabilito per la celebrazione della Messa dall’autorità religiosa competente.

La Messa, liturgia per eccellenza, ufficio pubblico, sempre uguale nella sua essenza, ha ricevuto solo gradualmente la disposizione che oggi vi troviamo. Cristo è stato il primo ad offrire il Sacrificio eucaristico. Nello stesso tempo, Egli diede ai suoi Apostoli e ai loro successori il potere e il comando di fare ciò che Egli stesso fece. Gli Apostoli aggiunsero all’atto essenziale del Sacrificio, varie preghiere ed alcune usanze, secondo le circostanze di tempo, luogo e persona, affinché la celebrazione dei santi Misteri fosse circondata da un maggiore rispetto ed edificazione. Nel corso dei secoli, a seconda della necessità o dell’utilità, questo rito si è sempre di più sviluppato, ordinato e completato. Da ciò sono nate diverse liturgie in tempi diversi, in luoghi diversi e tra popoli diversi. Sono esse però tutte concordi nei punti essenziali; si differenziano più o meno solo per la loro composizione e struttura.

4 — Quali sono le principali liturgie della Messa!

In generale, le varie liturgie sono divise in due gruppi: le liturgie orientali e quelle occidentali. – Le liturgie orientali si differenziano da quelle occidentali non solo per la loro patria d’origine e la loro lingua, ma anche per lo spirito, la forma e la composizione. Le principali liturgie della Chiesa d’Oriente sono: la liturgia di San Giacomo, la liturgia di Alessandria, la liturgia di San Basilio, di San Giovanni Crisostomo, degli Armeni, dei Melchiti, dei Siriani, dei Caldei, dei Bulgari Uniti. Tutte queste varie forme liturgiche sono state approvate dalla Chiesa Romana. Le principali liturgie occidentali sono: quella mozarabica, quella gallicana antica, quella ambrosiana e quella romana.

La liturgia romana ha sempre prevalso su tutte le altre e oggi è diffusa in tutte e cinque le parti del mondo. In Canada, gli orientali seguono la liturgia del loro paese d’origine; i fedeli di altre nazionalità adottano la liturgia romana.

5 — Quali differenze si possono notare nella celebrazione della Messa?

C’è la Messa cantata, in cui i canti liturgici accompagnano l’offerta del Santo Sacrificio, e la Messa bassa, in cui il Sacerdote recita le preghiere, senza alcun canto.

Tutti gli elementi della Messa cantata (o solenne), se spogliati della loro solennità, si ritrovano come raccolti e condensati nella Messa bassa: le parole vi si trovano nella loro interezza, con la differenza che i brani cantati alla Messa solenne sono letti ad alta voce alla Messa bassa.

6 — Siamo noi obbligati ad assistere alla Messa?

La Chiesa ci prescrive di partecipare alla santa Messa la domenica e nelle feste di precetto, non appena compiamo sette anni:

La domenica e nei giorni festivi, ascolterai la Messa.

7 —Come si deve assistere alla Messa?

Al Santo Sacrificio della Messa si deve assistere con la fede e l’amore dimostrato dagli Apostoli nella sua istituzione il Giovedì Santo; lo spirito di sacrificio e di riparazione della Beata Vergine, in piedi della croce, alla consumazione del Sacrificio del Calvario il Venerdì Santo”.

8 — Chi celebra il santo Sacrificio della Messa?

Celebra il Santo Sacrificio della Messa, il Sacerdote. – Il giorno dell’ordinazione, il Vescovo fa sì che l’ordinando tocchi il calice contenente il vino e la patena con l’ostia, dicendo: Ricevi il potere di offrire il sacrificio a Dio e di celebrare la Messa per i vivi e per i morti nel nome del Signore.

9 — Dove si celebra la Messa?

La Messa viene celebrata su un altare, di solito in una chiesa o in un oratorio aperto al pubblico.

10— Che cosa è l’altare?

L’altare è una tavola, sollevata da terra, sulla quale viene offerto un sacrificio. – Si distinguono due tipi di altari: l’altare fisso e l’altare portatile. Il primo è costituito da un grande tavolo di pietra sigillato con una base di pietra, con la quale forma un unico insieme consacrato. L’altare portatile è solo una semplice pietra, ma abbastanza larga per ricevere il calice e  l’ostia, adattandosi a qualsiasi pietra o legno. Che l’altare sia fisso o portatile, viene purificato al momento della sua consacrazione con molte abluzioni; viene unto più volte con l’olio dei catecumeni e del santo Crisma; è marcato con cinque croci; riceve, in una cavità al centro della pietra chiamata sepolcro, le reliquie di alcuni Santi, di cui almeno uno deve essere di un Martire.

11 – Come si addobba l’altare dove il Sacerdote celebrerà la Messa?

Per adornare l’altare dove il Sacerdote celebrerà la Messa, è necessario:

1) Coprirlo con tre tovaglie bianche di lino o di canapa;

La ragione di questo triplice rivestimento dell’altare è la convenienza e la necessità di mantenere l’altare pulito, e anche l’evitare qualsiasi profanazione del prezioso Sangue, qualora dovesse essere versato. Una delle ragioni di questa severa prescrizione è da vedere anche nel significato mistico dell’altare e dei suoi teli: l’altare rappresenta Gesù Cristo, e il rivestimento dell’altare ricorda quei teli di stoffa in cui il corpo di Gesù Cristo fu avvolto con profumi dopo la sua discesa dalla croce. – Anche il candore di questi tessuti si adatta molto bene al loro significato. Secondo la Sacra Scrittura, il bisso, una specie di lino finissimo, bianco brillante, designa la rettitudine dei Santi (Apocalisse, XIX, 8). È la figura della purezza del cuore e dell’innocenza della vita, che si può ottenere solo attraverso la preghiera, la vigilanza e la mortificazione, così come la preparazione di questa tela che richiede molto lavoro.

2) Mettervi, come oggetto principale, una croce con candelieri su entrambi i lati;

3) Collocarvi tre immagini, chiamate canoni, che ricorderanno al Sacerdote le preghiere che non potrebbe facilmente leggere nel messale in certi momenti della Messa.

4) Collocare il messale sul leggio dal lato dell’Epistola;

5) Secondo una pia e lodevole usanza, raccomandata dalla Chiesa, decorare gli altari con fiori, soprattutto nelle feste maggiori.

12—Quali sono i vasi sacri necessari  alla celebrazione della Messa?

I vasi sacri necessari per la celebrazione della Messa sono il calice e la patena.

Nel calice è consacrato il Sangue infinitamente  prezioso di Gesù Cristo, e sulla patena è posto il suo adorabile Corpo. Per questo la Chiesa ha ordinato che questi vasi siano fatti solo con i metalli più nobili e preziosi. Inoltre, il calice e la patena devono essere consacrati, con una cerimonia riservata al Vescovo a causa del santo crisma che vi è utilizzato.

13—Quali sono i teli sacri necessari alla celebrazione della Messa?

I sacri panni necessari per la celebrazione della Messa sono il corporale, la palla ed il purificatoio.

Il corporale è un telo che il Sacerdote stende sull’altare per eseguire la consacrazione della specie santa: porta questo nome per il suo contatto immediato con l’adorabile Corpo di Gesù Cristo. Il purificatoio è un pezzo di stoffa che viene utilizzato per pulire il calice, così come le labbra e le dita del celebrante dopo la Comunione. La palla è un piccolo panno quadrato da cui è ricoperto il calice.

14 — Perché il corporale, il purificatoio e la palla si chiamano teli sacri?

Il purificatoio, il corporale e la palla sono chiamati teli sacri, perché servono  direttamente per l’adorabile Sacrificio della Messa.

Tutti i teli devono essere di lino o di canapa. Solo i sacri Ministri possono lavarli; nessuno può toccarli senza permesso, una volta benedetti e usati.

15— Come si prepara il calice in Sacristia?

Sul calice viene posto dapprima il purificatoio; vi si aggiunge la patena che porta l’ostia; poi vengono la palla, il velo, l’astuccio speciale, detto la borsa, che contiene il caporale.

16 — Cosa fa il Sacerdote prima di preparare il calice?

Prima di preparare il calice, il Sacerdote si lava le dita che non devono essere sporcate da nulla prima di toccare l’ostia, il calice e gli altri oggetti sacri.

17 — Nominate qual sono  i paramenti di cui si riveste il Sacerdote per dire la Messa?

Il Sacerdote nella sacrestia si riveste con i paramenti sacri:

1) Al collo mette un panno bianco chiamato amitto.

L’amitto simboleggia la protezione divina, l’« elmo della salvezza », con cui ogni Cristiano debba essere armato per resistere al diavolo.

2) Si copre con un indumento bianco chiamato alba.

L’alba significa: innocenza, purezza di cuore.

3) Intorno ai suoi fianchi si cinge di un cordone.

Il cordone indica la purezza del corpo e la mortificazione della carne mediante la castità.

4) Al braccio sinistro, pone il manipolo.

Il manipolo è il simbolo del suo lavoro: con esso asciuga il sudore dalla fronte (in passato era usato per asciugare il sudore dal viso) e ci ricorda le opere buone, i dolori e le fatiche del ministero, le lacrime e le sofferenze che meritano il Paradiso.

5) Si sospende al collo e si incrocia sul petto, la stola.

La stola è l’emblema della dignità, del potere sacerdotale e dell’immortalità dell’anima.

6) Si ricopre con una grande veste, chiamata casula.

La casula è solitamente ornata con una croce e rappresenta il giogo di Nostro Signore (De Imit. Christi, L. IV, cap. V, n. 2-4).

7) Si copre la testa con un berretto nero, la berretta.

18 — Di qual colore devono essere i paraenti sacri?

Si distinguono cinque colori liturgici: il bianco, il rosso, il violetto, il verde ed il nero.

19Quale è il significato di ogni colore liturgico?

1) Il bianco è l’emblema della purezza, dell’innocenza e della santità, oltre che della gioia e della gloria.

Serve a celebrare tutti i misteri gioiosi e gloriosi della Madonna, di Tutti i Santi, dei Pontefici, dei Dottori, dei Confessori, delle Vergini e in generale di tutti i Santi che non sono martiri.

2) Il rosso è il colore del fuoco e del sangue, dell’amore e del sacrificio.

Si usa per celebrare le feste dello Spirito Santo, della S. Croce, della Passione, dei Martiri, comprese quelle degli Apostoli.

3) Il verde è il simbolo della speranza.

Si usa durante il tempo che, nella mistica liturgica, significa il pellegrinaggio in cielo, cioè i Tempi dopo l’Epifania e dopo la Pentecoste.

4) Il viola è il simbolo della penitenza.

Si usa in quei giorni in cui la Chiesa ha più bisogno di gridare a Dio: “Misericordia! Pietà! Perdono”, cioè durante l’Avvento, le Quattro Tempora, le Vigilie, le Rogazioni e le tre solenni benedizioni liturgiche dell’anno, quelle della candelora, delle ceneri e delle palme.

5) Il nero è l’immagine della morte.

Si usa nel grande giorno del Venerdì Santo e nelle messe di requiem.

(2)

b) Divisione della Messa

20 — Quali sono le due grandi divisioni della Messa ?

Le due grandi divisioni della Messa sono: la Messa dei Catecumeni e la Messa dei Fedeli.

21 — Qual è l’origine della Messa dei Catecumeni?

Quando i primi Ebrei si convertirono al Cristianesimo, continuarono a incontrarsi il giorno di sabato, come facevano secondo l’Antica Legge. Ma hanno dato un carattere cristiano ai loro incontri, cantando salmi, leggendo brani dei libri sacri, leggendo le Epistole degli Apostoli e brani del Vangelo del Maestro. Ben presto a queste letture si sono aggiunte preghiere e canti che oggi troviamo sotto forma di Kyrie eleison, Gloria in excelsis, la colletta. Poiché queste letture, preghiere e canti erano molto istruttivi, ma non facevano parte del Sacrificio cristiano, sono stati ammessi all’incontro non solo i Cristiani ma anche i catecumeni, cioè coloro che studiavano la dottrina cristiana in preparazione al Battesimo. All’inizio dell’Offertorio, i catecumeni venivano invitati a ritirarsi. È così che il nome della Messa dei Catecumeni si è imposto alla prima parte dei nostri santi Misteri.

22— Donde viene il nome di Messa dei Fedeli?

La Messa è un Sacrificio al quale si partecipa pienamente attraverso la Comunione. Tuttavia, solo il Battesimo ci dà il diritto di ricevere la Santa Comunione, e di conseguenza di essere presenti al Santo Sacrificio. Poiché coloro che avevano ricevuto questo primo Sacramento erano chiamati Fedeli, questa parte durante la quale il Sacerdote, in unione con i fedeli, offre il Santo Sacrificio, si chiama la Messa dei Fedeli.

23 — Cosa si indica come Ordinario della Messa?

Si chiama « Ordinario della Messa » la parte fissa, o quasi, constituente l’Ordo, vale a dire l’enunciazione delle formule e dei riti abituali della Messa.

24— Cos’è che si chiama il Proprio della Messa?

Si chiama « Proprio della Messa » la parte variabile, appropriata ai misteri o feste celebrate.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/04/14/tutta-la-messa-cattolica-momento-per-momento-2/

SALMI BIBLICI: “AD DOMINUM CUM TRIBULARER” (CXIX)

SALMO 119: Ad Dominum cum tribularer

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 119

Canticum graduum.

[1] Ad Dominum cum tribularer clamavi, et exaudivit me.

[2] Domine, libera animam meam a labiis iniquis et a lingua dolosa.

[3] Quid detur tibi, aut quid apponatur tibi ad linguam dolosam?

[4] Sagittæ potentis acutæ, cum carbonibus desolatoriis.

[5] Heu mihi, quia incolatus meus prolongatus est! habitavi cum habitantibus Cedar;

[6] multum incola fuit anima mea.

[7] Cum his qui oderunt pacem eram pacificus; cum loquebar illis, impugnabant me gratis.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXIX

I quindici Salmi che seguono si dicono graduali, perché da intendersi delle ascensioni dei Giudei da Babilonia in Gerusalemme, o di quelle dei 15 gradi per il Tempio di Salomone; o più veramente, delle ascensioni dei giusti, per i diversi gradi di virtù, alla celeste Gerusalemme che le suddette adombravano.

Cantico dei gradi.

1. Alzai le mie grida al Signore, mentre io era nella tribolazione ed egli mi esaudì.

2. Signore, libera l’anima mia dalle labbra inique e dalla lingua ingannatrice.

3. Che ti sarà egli dato, ovver che riceverai tu per giunta per la tua lingua ingannatrice?

4. Stette acute, vibrate da mano possente, e i carboni divoratori.

5. Misero me, il mio pellegrinaggio è prolungato! son vissuto tra gli abitatori di Cedar; lungamente è stata pellegrina l’anima mia.

6. Fui pacifico con quei che odiavan la pace; quando io parlava con essi, eglino mi si voltavan contro senza ragione.

Sommario analitico (1)

(1): I quindici salmi che seguono, dal CXIX al CXXXIII, sono intitolati Cantici dei gradi. Secondo l’opinione dei Giudei, che sembra il più fondato, questo nome sarebbe stato loro dato perché dopo la cattività era uso il cantarli solennemente salendo i quindici gradini che conducevano al sagrato degli israeliti. – Considerando il contenuto di una parte di questi salmi (CXIX, CXXII, CXXIII, CXXV, CXXVIII), lo stile recente di molti tra essi (CXIX, CXX, CXXI, CXXII, CXXVIII, CXXXIII), si è portati a fissarne l’epoca di composizione, al ritorno dalla cattività; forse sono anche tutti di quest’epoca, eccetto i salmi CXXIX e CXXX, che sembrano essere di Davide, ed i salmi CXXVI e CXXXI, che sembrano avere Salomone come autore. Questi quattro salmi, come la maggior parte di quelli di Davide, che fanno parte delle ultime raccolte o libri dei salmi, sono stati riportati qui per uso liturgico. I salmi CXXI, CXXIII, CXXXII, non sono di Davide, ma gli sono attribuiti per il loro titolo, come il libro della Sapienza è attribuito a Salomone, e questo perché sono composti ad imitazione di quelli del Re-Profeta (Le Hir.).

Il salmista parla qui in nome del popolo ebraico, ed esprime il desiderio di rientrare nella sua patria, ed in senso più elevato, di arrivare alla celeste Gerusalemme;

I. – Egli espone a Dio la sua afflizione, e ne fa conoscere:

1° l’effetto, il gridare verso Dio che lo ha esaudito (1);

2° la causa, le lingue inique e le labbra ingannevoli (2).

II. – Egli dichiara:

1° che non c’è rimedio umano a così grande male (3);

2° che spera solo nel soccorso di Dio (4).

III. – Egli deplora le afflizioni di questa vita,

1° a causa della sua lunga durata (5),

2° a causa della necessità di abitare con uomini pericolosi (5),

3° a causa della miseria della sua anima piombata in sì grandi mali (6),

4° a causa del combattimento continuo ed inevitabile contro i suoi nemici (7).

Spiegazioni e Considerazioni

I. – 1, 2

ff. 1, 2. – Dal punto di vista storico, questi salmi sono chiamati salmi graduali, perché c’è la questione del ritorno da Babilonia e la cattività del popolo di Dio, ma in senso più elevato, essi sono chiamati così, perché conducono al cammino della virtù. In effetti il cammino che porta alla virtù è simile a gradini che elevano poco a poco l’uomo saggio e virtuoso fino a ciò che lo conduce fino al cielo. È così che i luoghi troppo elevati e che sono inabbordabili diventano accessibili, cioè per mezzo di gradi o scale. (S. Chrys.). – Tre cose importanti sono racchiuse in questo solo versetto. Il Salmista è nella tribolazione, non è esaudito, perché nessuno è nella tribolazione se non colui che vuol vivere con pietà in Gesù-Cristo. (S. Gerol.). – Il Profeta, nella sua persona, volendo formare l’uomo che, per gradi, vuol salire verso le cose eterne, gli insegna i pericoli dai quali deve soprattutto guardarsi; vale a dire, in primo luogo, di questi uomini che, per il loro credito e l’autorità dei loro consigli, per i loro incitamenti, spesso rinnovati, con la seduzione dei loro discordi, ci precipitano nell’inferno; gli uni ci spingono a perseguire gli onori, gli altri cercano di incatenare la nostra vita con i legami vergognosi della pigrizia, dell’intemperanza e della voluttà; questi, affascinandoci nei sentieri che conducono alle false religioni; questi altri sollecitandoci ad abbracciare delle dottrine scismatiche o eretiche. Contro tutti questi discorsi di cui l’Apostolo ha detto: « i cattivi discorsi corrompono i buoni costumi, la nostra anima è debole ed impotente, » ci resta un’unica speranza: gridare verso il Signore, (S. Hil.). – Utilità della preghiera nella tribolazione: – 1° essa è più pronta, a causa della necessità che abbiamo del soccorso divino: « Nella loro afflizione si affretteranno fin dal mattino verso di me; » (Osea, VI, 1); la tribolazione apre l’orecchio del cuore che spesso chiude la prosperità del secolo. (S. Greg. Moral.); – 2° essa è più costante: Giacobbe, temendo la collera di suo fratello Esaù, prega Dio, e non vuol lasciar partire l’Angelo finché non lo abbia benedetto; – 3° essa è più umile: « Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? » (Rom. VII, 24); – 4° essa è più fervente; « Signore, io rivolgerò le mia grida verso di Voi; il fuoco ha divorato le dimore nel deserto, e la fiamma ha bruciato tutti gli alberi delle campagne; gli animali dei campi saranno senza fiato verso di Voi, perché i ruscelli sono disseccati, perché il fuoco ha divorato le dimore del deserto; » (Gioel. I, 20); – 5° essa è più pura e gradita a Dio, e la benevolenza di Dio per voi, più grande; fate dunque in modo che tutta la vostra vita sia laboriosa e penosa, e ricordate che tutti coloro che vogliono vivere con pietà in Gesù-Cristo saranno perseguitati, e che è con le molte tribolazioni che bisogna entrare nel regno dei cieli (S. Chrys.);  –  6° essa è più soave, perché è allora che l’anima si getta interamente in Dio, che succhia a questo latte celeste delle mammelle divine chiudendo gli occhi a tutte le cose della terra; – 7° « essa è animata da una più grande fiducia, al pensiero che Dio è con noi nella tribolazione; – 8° essa è più efficace: « io ho gridato verso il Signore quando ero nella tribolazione, ed Egli mi ha esaudito. »  Signore, essi vi cercheranno nell’angoscia in mezzo ai dolori ed ai mormorii, Voi li istruirete ed essi riconosceranno la vostra mano, (Isai. XXVI, 16). – Che cos’è dunque la lingua ingannevole? È la lingua perfida che sembra mettervi innanzi il vostro bene e non prepara invece che la vostra perdita. Esse dicono: farete dunque ciò che nessuno fa? Sareste dunque solo voi Cristiano? E se voi mostraste loro che altri agiscono come voi; se leggete loro il Vangelo nel quale Dio ordina di fare così, o pure gli Atti degli Apostoli, cosa vi dicono questi uomini dalla lingua ingannevole e dalle labbra ingiuste? Forse non avrete la forza di andare fino al vostro fine; voi intraprendete una faccenda molto difficile. Gli uni vi allontaneranno dal bene con la loro opposizione formale, gli altri vi fermano ancor più pericolosamente con l’elogio che fanno della virtù (S. Agost.). – Il Profeta distingue le labbra inique dalle lingue ingannevoli. L’iniquità è arrogante e senza pudore, manifesta apertamente la sua impudenza, è in pieno giorno che prepara le sue insidie, e persegue l’adempimento dei suoi cattivi disegni: tali sono coloro che, negando l’esistenza di Dio, dicono che la Religione non ha alcune utilità nelle cose umane, che non c’è che un solo bene sulla terra, e cioè il darsi al lusso, ai piaceri del corpo, negando a Dio ogni cura, ogni provvidenza, ogni volontà, ogni potenza sulla condotta degli uomini. La lingua ingannatrice segue una condotta diversa: essa è cauta, ricorre all’astuzia, a pericolose dissimulazioni; essa cerca di distruggere la Religione nel nome stesso della Religione, ed a condurci alla morte sotto l’apparenza della vita (S. Hil.). – Nessuna tentazione è più pericolosa dell’essere soggetto agli attacchi di un uomo ingannevole. Un animale feroce è da temere di meno, perché esso si mostra qual è, mentre l’ingannevole nasconde accuratamente il suo veleno sotto il velo della dolcezza ed è impossibile scoprire queste insidie … Ora, se bisogna evitare gli uomini furbi e dissimulati, quanto più gli ingannatori e coloro che insegnano le false dottrine. Ma guardate soprattutto come libri ingannevoli quelli che cercano di attaccare la virtù e ad immergersi nel vizio. (S Chrys.).- Come Dio libera dalle lingue ingannevoli: – 1° facendo che colui che ne è l’oggetto non ascolti più (Ps. XXXVIII, 15); – 2° ispirandogli una profonda indifferenza verso tutti questi discorsi artificiosi (I. Cor., IV, 15); – 3° facendo in modo che non si dia fede a ciò che pissono dire; – 4° che le loro parole siano disapprovate; – 5° che l’uomo in preda ai loro attacchi metta tutta la sua fiducia nel testimonio divino che, dall’alto dei cieli, vede il fondo della sua coscienza; – 6° che ricordi tutto ciò che è stato detto contro Gesù-Cristo; – 7° che pensi che sia un mezzo per volgersi verso Dio (Ps. LXXXII, 15); – 8° che si ricordi che egli stesso sovente ha parlato male degli altri (Eccl. VII, 22). 

II – 3, 4.

ff. 3, 4. – Questi due versetti sono suscettibili di tre sensi che contengono tutti delle importanti istruzioni: – 1° senso – Cosa si può aggiungere ad un lingua piena di furberia, qual più grande male? In effetti delle labbra ingiuste possono esistere senza una lingua ingannevole, come quando si aprono alla calunnia ed agli oltraggi pubblici; ma quando una lingua ingannevole viene ad aggiungersi a delle labbra ingiuste, non si può aggiungere nulla a questo male. Frecce scoccate da una mano potente e abile che colpisce da lontano, imprevedibile, accompagnate da carboni bruciati, non possono entrare in comparazione con una lingua furba o artificiosa che fa in un istante piaghe che non si possono prevedere, né guarire, che, spinte dal demonio, stendono le loro devastazioni al di là di ciò che si possa immaginare, e accende dei fuochi di dissezioni, di divisioni, di odi ardenti che è impossibile spegnere. « La lingua non è che una piccola parte del corpo, ma quante grandi cose fa! Una scintilla brucia una grande foresta: la lingua pure è un fuoco; è un mondo di iniquità, è uno dei nostri membri che infetta tutto il corpo; essa brucia tutto il corpo della nostra vita, infiammata essa stessa del fuoco dell’inferno (Giac. III, 5, 6). – 2° senso. – Cosa riceverete, o qual frutto vi tornerà dalla vostra lingua ingannevole, cioè qual supplizio sarà degno di un tal crimine? È il linguaggio che Isaia usava con i Giudei: « Come colpirvi di più, voi che non cessate di aggiungere prevaricazioni? » (Isai. I, 5); o meglio, il Profeta vuol dire che l’uomo furbo trova il suo supplizio nel suo crimine, e che previene il castigo che gli è riservato anche quando genera il vizio del proprio fondo. Non c’è in effetti, supplizio più grande per l’anima del vizio, prima che sia punito. Qual castigo dunque sarebbe degno di tale crimine? Non ce n’è uno quaggiù. Dio solo può qui eguagliare il castigo alla colpa. L’uomo resterebbe necessariamente al di sotto perché questo genere di malvagità è al di sopra di ogni castigo. Dio solo può punirlo come merita, ed è ciò che il Profeta vuol fare intendere aggiungendo: « frecce acute, lanciate da mano potente con carboni divoranti. » una di queste espressioni metaforiche fa fuoriuscire la moltitudine di castighi, e l’altra la sua intensità. (S. Chrys.). – Non ci stupiamo allora che il Signore debba lanciare queste frecce acute e questi carboni ardenti contro i furbi. Dio è la verità essenziale; e colui che veste la maschera della verità per accreditare la menzogna, ferisce in qualche modo l’essere di Dio; egli dunque deve aspettarsi tutte le sue vendette. – 3° Senso – Sant’Agostino vede qui un dialogo nel quale l’uomo, in preda alla tribolazione, prega dapprima il Signore; poi il Signore gli risponde: quale rimedio ci sarà dato contro le lingue ingannevoli? Tu ne hai qualcuno a tua disposizione, eccolo: « Le frecce acute di un arciere vigoroso con carboni divoranti; cioè le parole di Dio che trapassano i cuori con gli esempi della carità ardente; perché se a questa parola di Dio, si aggiunge l’esempio della vera carità simile ad un carbone infiammato, nulla potrà resistergli (S. Agost.). – Quest’ultimo senso, benché molto edificante, è il meno letterale. Forse il santo Dottore ha in vista queste parole di San Paolo, invitanti i cristiani a non lasciarsi vincere dal male ed a trionfare del male con il bene, facendo questo, egli dice, voi ammasserete carboni ardenti sulla testa del vostro nemico (Rom. XII, 20).

III. — 5-7.

ff. 5, 6. –  « Me maledetto, perché si è prolungato il mio esilio. » È il grido di dolore dei prigionieri di Babilonia viventi in mezzo a popoli barbari; è anche il grido di dolore di Cristiani sulla terra, e San Paolo, parlando dell’esilio che si prolunga su questa terra, si esprime così: « Mentre siamo in questo corpo come sotto una tenda, gemiamo sotto il suo peso. » (II Cor. V, 4). Ed in altro luogo: « Non solo gemono la creazione, ma pure noi che possediamo le primizie dello Spirito, gemmiamo internamente. » (Rom. VIII, 23). Che cos’è in effetti la vita presente? Un vero esilio. Cosa dico, un esilio? Essa è mille volte più triste di un esilio. La prima cosa, come la più importante per noi da sapere, è che noi siamo in questa vita come dei viaggiatori. Gli antichi Patriarchi lo riconoscevano altamente, ed è ciò che li rende degni della nostra ammirazione. « Ed è per questa ragione – aggiunge l’Apostolo – che Dio non arrossisce di essere chiamato loro Dio. » (Hebr. XI, 15, 16). Qual è questa ragione? Perché essi hanno confessato che erano stranieri e pellegrini su questa terra (S. Chrys.). – Ma c’è di più: Talvolta un uomo in viaggio vive in mezzo ad uomini migliori di coloro con i quali viveva nella sua patria; ma non è così nel nostro esilio fuori della Gerusalemme celeste. In effetti, un uomo lascia la sua patria, e talvolta si trova felice nel suo esilio; egli incontra degli amici fedeli che non aveva potuto trovare in patria. È necessario che egli abbia avuto dei nemici per essere cacciato dalla sua patria, ed ha trovato nell’esilio ciò che non aveva nella patria. Tale non è la celeste Gerusalemme, ove tutti gli abitanti sono buoni; chiunque si trovi fuori da queste sue mura è in mezzo ai malvagi, e non può ritrarsi da essi se non tornando nella società degli Angeli e dei Santi, ove tutti sono buoni e giusti … perché infine, se abita con dei giusti, non direbbe mai: « Me misero! » Me misero … , è il grido della miseria, il grido della sofferenza e dell’infortunio … « La mia anima è stata per lungo tempo errante in terra straniera. » Per timore che non si pensasse ad un viaggio corporale, il Profeta dice che l’anima è stato per lungo tempo errante. Il corpo viaggia cambiando i luoghi; l’anima viaggia cambiando i sentimenti. Se amate la terra, viaggiate lontano da Dio, se amate Dio, salite verso Dio (S. Agost.). – Quando si è considerata con gli occhi della fede la grandezza dei beni del cielo, la terra, con tutti i beni che racchiude, non sembra più degna di coinvolgere il nostro cuore più di questa tenda mobile che il pellegrino monta nel deserto, o di questi mobili preziosi che il viaggiatore incontra nell’albergo dove si ferma qualche istante per il pasto del mattino o il riposo della notte. – Il Profeta annunzia loro la pace, ma questi nemici della pace, non solo non la ricevono, ma attaccano senza motivo, con la loro malvagità, il predicatore della pace (S. Gerol. e S. Hil.). – Finché viviamo in mezzo al mondo, dimoriamo con gli abitanti del Cedar, con i nemici di Dio e della sua Chiesa, perché le tende del Cedar, tende nere e grossolane, sono quelle dello spirito delle tenebre, queste tende che ci offrono un riparo non racchiudono che il vizio, la menzogna, la furbizia, ed il mio cuore è troppo spesso simile, perché esso stesso non dà asilo che a pensieri vani e a colpevoli voluttuosità. Desideriamo dunque, come il profeta e come l’Apostolo, viaggiare lontano dal nostro corpo piuttosto che lontano da Dio, e non siamo come la maggior parte dei Cristiani, che amano talmente i giorni del loro viaggio e le tende del Cedar, che non hanno discorso più triste di quello che  intrattengono circa la partenza prossima da questa vita.

ff. 7. – Il Profeta dice che ha dimorato con gli abitanti del Cedar, ma non nelle abitazioni del Cedar, perché benché i santi vivano nella carne, tuttavia, se le armi con le quali combattono non sono carnali, ma potenti in Dio, essi abiteranno presso le tende, ma non sotto le tende del Cedar; perché separati dal loro corpo con le loro inclinazioni, e già cittadini del cielo con il cuore, essi intendono l’Apostolo dire loro: « Per voi, voi non siete nella carne ma nello spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi» (Rom. VIII, 9), (S. Hil.). – « Io ero pacifico con coloro che odiavano la pace .» Chi di noi oggi potrebbe avere questo linguaggio? È già molto per noi essere pacifici con gli amici della pace; ma lui lo era con coloro che odiavano la pace. Come potremo noi arrivare a questo grado di virtù? Se noi viviamo quaggiù come degli estranei, come viaggiatori che non si lasciano fermare da alcuna cosa che si presenti ai loro sguardi. In effetti, la causa principale delle controversie e delle guerre, è l’amore per i beni della terra, la passione per la gloria, per il danaro, i piaceri …  è per questo che Nostro Signore vi invia come pecore in mezzo ai lupi. Egli non vuole che possiamo dire: io ho tanto sofferto che il mio carattere ne sia stato amareggiato. Le vostre sofferenze fossero mille volte più numerose, come voi dite, conservate la dolcezza della pecora, e trionferete facilmente dei lupi. Voi siete in lotta con un uomo perverso e corrotto, ma le forze di cui disponete vi rendono superiore a tutti gli sforzi dei malvagi. Cosa c’è di più dolce di una pecora, cosa più feroce di un lupo? E tuttavia la pecora trionfa del lupo come vediamo nella persona degli Apostoli; perché nulla eguaglia la potenza della dolcezza, né la forza della pazienza … « Quando io parlavo loro, essi si levavano contro di me senza ragione. » È nel momento stesso in cui mi intrattenevo con loro, e che davo loro la mia amicizia, indirizzando loro le parole più benevoli, che essi si scagliavano ed ordivano le loro trame, senza che nulla fosse capace di fermarli; ciò nonostante, nei confronti di queste disposizioni odiose, la mia dolcezza non si smentiva. Tali devono essere i nostri sentimenti: non rispondano essi al nostro amore che con i loro oltraggi e con cattivi trattamenti, tendano insidie, non lasciamo opporre loro la stessa virtù. (S. Chrys.). – Vivere in pace con anime pacifiche, con spiriti moderati, con moti socievoli, sarebbe appena una virtù da filosofo e da pagano; molto meno deve essere per una virtù soprannaturale e cristiana. Il merito della carità, diciamo meglio, il dovere della carità, è conservare la pace con uomini difficili, scontrosi, importuni. Perché? Perché può accadere, ed in effetti tutti i giorni accade, che i più importuni ed i più scontrosi, i più difficili ed i più tristi, siano giustamente coloro con cui dobbiamo vivere in più stretta società, coloro dai quali ci è meno possibile separarci, coloro ai quali, nell’ordine di Dio, noi ci troviamo uniti con i legami più indissolubili. (BOURDALOUE, Sur la Nat. de Notre-Seig.).

PREDICHE QUARESIMALI (2020 – VI)

[P. P. Segneri S. J.: QUARESIMALE – Ivrea, 1844, dalla stamp. Degli Eredi Franco – tipgr. Vescov.]

XXXVI

NEL DI’ SOLENNE DI PASQUA

Oportet corruplibile hoc induere in corruptionem, et mortale hoc induere immortalitatem.

S. Paul. l. ad Cor. XV 53.

I. Tra quante religioni, o antiche o moderne, hanno fiorito fra’ popoli, niuna, fuor della cristiana, ritroverassi, che non sia stata singolarmente piacevole verso il corpo concedendogli tutti i piaceri onesti, e molto consentendogli ancora i vituperosi. La nostra sola gli si è mostrata perpetuamente sì rigida e sì ritrosa, che facilmente potrebbe credersi nata a perseguitarlo. Vien ella al mondo; e sfoderando incontanente una spada di dolorosissimo taglio: guerra, guerra, dic’ella; quest’è quel ch’io vengo a cercare fra’ popoli. Chi mi vuol per amica, non mi ragioni di morbidezze e di agi, di riposo e di ozio, perch’io protestomi apertamente che questo non è ‘l mio fine: non veni pacere mittere, sed gladium (Matt. X. 34). Quindi promulgando con ordine più distinto le sue determinazioni: olà, soggiungo, voi che sposaste così gran turba di mogli, licenziatele tutte, che al più sol una mi contenterò di lasciarvene; e questa di modoche non possiate abusarvene per impeto di libidine, ma sol valervene per desiderio di prole. Che se bramate di essermi più graditi, non vi sia grave rinunziar anche a questo gran privilegio, conceduto alla natura, di perpetuare voi stessi col propagarvi. Date volontario rifiuto ad ogni diletto, il quale abbia del sensuale; e se ribelle vi ricalcitri il senso, ascoltate me. Sottraetegli gli agi con la volontaria mendicità, diminuitegli il cibo con le frequenti astinenze, interrompetegli il sonno con le importune vigilie; e se non basta, rintuzzategli ancora con le sanguigne flagellazioni l’ardire. Evvi boscaglia spaventosa in Egitto? Correte lieti per mio consiglio ad ascondervi in quegli orrori. Allora mi sarete più cari, quando io vedrovvi aver per casa o gli scogli, o le sepolture. Là vi offerisco per compagnia fiere orribili, per vitto radiche amare, per bevanda acque insipide, per vesti setole acute, e per letto rottami tormentosissimi. E perché io so che, non ostante la vostra nota innocenza, avrete molti avversarj, che vi vorranno ostinatamente rimuovere dal mio culto, guardate bene, ch’io non voglio essere abbandonata da voi né per prieghi, né per promesse, né per terrori. Quando alcuno vi tratti di ribellione alla fede da voi giuratami, e voi per risposta offrite subito pronte le carni a’ graffi, i nervi alle torture, l’ossa alle seghe, i denti alle tenaglie, gli occhi alle lesine, e ‘l collo stesso alla scure. Vi mostreranno da un lato fornaci ardenti; e voi accettate d’entrarvi: vi additeranno dall’astro stagni gelati; e voi consentite di seppellirvici: né mai vi siano o precipizi sì cupi, o fiere così fameliche, o ruote sì tormentose, o saette sì acute, o graticole sì roventi, per cui timore voi ritrattiate pur uno di quegli articoli ch’io v’insegno. – Queste sono le pubbliche intimazioni che a’ suoi seguaci ha fatte fin da principio la nostra legge: nolite timere eos, qui occidunt corpus (Matth. X. 28). Ebbene che dite, uditori? Vi basta l’animo di porle in esecuzione? Parmi di vedervi a tal nuova, turbati e taciti, non osar di aprire la bocca per lo spavento. Ma allegramente, signori, si, allegramente, che presto alla ferita succede la panacea, e all’aconito nasce vicino ne’ prati stessi l’antidoto. Quella legge medesima, la qual ordina che si debba odiar questo corpo, e perseguitare, e percuotere, e sospendere ancora, se ciò bisogni, con quello del nostro Cristo su un duro tronco; questa medesima è la prima anche a trattar di restituircelo, come fu renduto oggi a Cristo, di lacero intero, d’infermo sano, di livido risplendente, di caduco immortale, e di affaticato impassibile: mentre, qual grano di frumento disfatto sotto la terra, è vero ch’egli morrà, ma per ravvivarsi; è vero ch’egli marcirà, ma per rifiorire; è vero ch’egli si perderà, ma per ricuperarlo nella ricolta più bello assai che non era, e più rigoglioso. Oportet corruplibile hoc induere in corruptionem, et mortale hoc induere immortalitatem. – Sarà pertanto questa sera mio debito di mostrarvi, ma brevemente, quanto sia giusto che venga chiamato anche egli a parte del premio nel paradiso chi a sì gran parte di patimenti è nel mondo; affinché voi siate corti, che se nel corso di questo sagratissimo tempo quaresimale avete molto nella carne patito, digiunando, disciplinandovi, macerandovi, dovrete poscia eternamente godere ancor nella carne, ma già gloriosa.

II. Pirro, capitan celeberrimo nell’Epiro, sentendosi non so qual volta onorare da’ suoi soldati col nome di Aquila, per la velocità con cui egli volava, combatteva, abbatteva ogni suo nemico: è vero, rispose loro, ch’io sono un’aquila; ma voi, soldati miei, siete l’ale, su cui m’innalzo. L’istesso, s’io non m’inganno, l’istesso l’anima può affermar che a lei sieno tutte le membra del corpo, ciò che al capitano i soldati; che è come dire, l’ale che per lui stanno sempre in perpetuo moto, in agitazione, in faccenda. E vaglia la verità, qual è quell’operazione, quantunque minima, che possa fare ora l’anima senza il corpo? Non può dire parola, non può dar passo, non può formare un pensiero. Se afflitta vuol ella esprimere i suoi dolori, convien che prenda dal corpo in prestito le lagrime ed i sospiri; se lieta gode di palesare i suoi giubili, convien che il corpo ancor egli le somministri i risi e i tripudj. Invano per lei risplendono tante stelle nel firmamento, se il corpo negale occhi da vagheggiarle. Dal corpo ell’ha quel diletto che trae da’ cibi; dal corpo quel che le porgono le armonie: dal corpo quel che le rendono le fragranze; dal corpo quello che le offeriscono i giuochi; dal corpo quelle che le conciliano i sonni; e per restringere il tutto con Tertulliano in brevi parole: quem naturæ usura, quem mundi fructum, quem elementorum saporem, non per camera anima depascitur? (De resurr.carnis); – Or immaginatevi, che amorperò non prende subito l’anima a questocorpo, da cui si trova in progresso breve ditempo sì ben servita! Vien ella tosto ad affratellarsitalmente con esso lui, che nienteal mondo teme più del suo danno, o desidera del suo bene.Quanto difficilmente però contenterebbesi ella di soggettarlo a così gravi strapazzi, quali son quei che la nostra Religione o ne insegna, o ne ordina, o ne consiglia, se non datesse riportarne ancor egli qualche profitto! Considerate un magnanimo capitano. Vedrete che a lui non basta d’essere premiato egli solo per la vittoria che ha riportata pugnando; signori no; rea vuol che il premio ripartasi parimente a que’ guastatori ch’hanno scavate le mine: a quegli assalitori che son saliti su’ merli; a que’ sergenti ch’hanno schierate le file; a quelle scorte ch’hanno guidato l’esercito e sino a que’ fantaccini che sono stati a custodire oziosamente il bagaglio tra i padiglioni.  Così fece al certo Davidde d’allor ch’egli era capitano ancora privato. Uscì egli un giorno con seicento de’ suoi a perseguitare una truppa di Amaleciti, i quali gli avevano divampata la terra di suo ricovero con saccheggiarne le masserizie e gli armenti, e con rapirne le femmine ed i bambini; quando in arrivare a un certo torrente, dugento di quei soldati stanchi e scalmati si abbandonarono su le sponde di esso, né il vollero tragittare; gli altri quattrocento passati animosamente, colsero all’improvviso i nemici baldi e festosi per la fresca vittoria, li ruppero, gli sconfissero, li fugarono, e ne riportarono tutta intera la preda. E già volevano allegramente partirsela tra lor soli; quando: fermate (disse loro Davidde), ch’io mi contento che voi molto bene abbiate la parte vostra; ma dov’èla parte di quegli, i quali sono rimasti si lassi al fiume? Come (ripigliarono gli altri) di que’ codardi? E qual fatica è giammai stata la loro, se non giacersene, mentre noi pugnavamo, all’ombra degli alberi ed alla frescura dell’acque? Non accade altro (replicò tosto Davidde), io voglio che così sia. E così fin d’allora promulgò questo editto, rimasto tra gli Ebrei per legge inviolabile, che di qualsivoglia bottino fosse data eguale la parte e a quo’ soldati ch’eran discesi alla zuffa, e a quegli ch’eransi trattenuti al carriaggio. Æqua pars erit descendentìs ad prælium et remanentis ad sarcinas (1 Reg. XXX. 24). – Ora io v’argomento così: se è ragionevole che sia premiato chi al tempo della battaglia non altro fece che custodir fra le tende la munizione, perché in qualche modo può affermarsi di esso, che cooperò alla vittoria; non sarà giusto che sia premiato ancor egli chi ricevé le ferite, chi sparse il sangue, chi perdette le membra, chi die la vita? Ma queste son le parti del corpo ne’ gran conflitti che noi sosteniamo per la fede, o per la giustizia. Del corpo sono, del corpo quelle ferite che ci formano le zagaglie, non son dell’anima; del corpo è quel sangue, di cui s’inebbria il terreno; del corpo quelle membra, onde saziansi i leopardi; del corpo quella vita, che si consacra alla morte: e poi volete che il corpo solo rimanga senza mercede? Se così fosse, pare che l’anima non avria fronte a richiedere tanto da lui, e per conseguente pochi avrebbe la nostra religione, che la difendesser ne’ tribunali; pochi che la sostenessero nelle carceri; e pochi che con dispendio delie proprie comodità perpetuamente cercassero i suoi vantaggi. – Giustamente dunque ha Dio fatto a voler che corpo venga premiato eternamente ancor egli insieme con l’anima; sicché chi è stato così congiunto nell’opera, non resti poi separato nel guiderdone. Oportet, oportet corruplibile hoc induere in corruptionem, et mortale hoc induere immortalitatem. Ma perché oportet, se noi vogliamo stare al parere del Nazianzeno? (Orat. 10. in laud. Cæs.) se non perché è ragionevole che cum anima cognatam carnem receperit, eam quoque ad gloriæ cœlesiis hæreditatem secum admittat, et jucunditates suas cum ipsa comunicet, quæ ærumnarurn particeps fuit!

III.  Quind’io mi avanzo meglio ancora a discorrere in questa forma. Già voi sapete, uditori, che, mercé la gran dipendenza ch’abbiam da’ sensi, più ci sentiamo noi muovere dagli oggetti sensibili e pateriali, che dagli spirituali ed astratti. Esaminate pur voi la maggior parte degli uomini, ancora non popolari: vedrete che essi per lo più non intendono come possa uno ritrovar nello studio piacer sì grande, chea fin di chiudersi a conversare coi morti in un gabinetto, rinunzii a’ giuochi, sdegni le caccie, si dimentichi di mangiare, non pensi a bere; e quando essi odansi, per cagione di esempio, dir da un Plutarco, scrittore di tanto grido, ch’egli, benché morto di fame, lascerebbe il vero convito, imbandito sì lautamente nella Feacia per leggere il finto, descritto sì elegantemente da Omero, se ne fanno beffe, come d’una di quelle millanterie facili a dirsi, perché sono difficili ad impugnarsi. – Or posto ciò, come avrebbe mai Dio potuto ottenere da tanta moltitudine di uomini rozzi, indisciplinati, grossolanissimi, ch’essi venissero volentieri a privarsi per amor suo di tanti beni corporei, quali sono splendor di ricchezze, abbondanza di agi, molteplicità di delizie, se poi per contraccambio lor promettesse una tal sorte solamente di premj che, quantunque sublimi di qualità, non però fossero comprensibili a’ sensi? Perdonatemi, o mio Signore, s’io tanto ardisco d’inoltrarmi a parlare in questa materia. So ben io che la vera beatitudine, la quale in cielo renderà paghi gli eletti, sarà la vista svelata del vostro volto, e la notizia distinta de’ vostri arcani. Così voi concediate a questi occhi miei, che un dì vi possano vagheggiare a lor agio, com’io di null’altro bene mi curerò. Resterà subito il mio pensiero assorbito in quel vasto oceano di una grandezza infinita, ed ivi non ritrovando né spiaggia dove approdare, né fundo ove ghignerò, amerò di andare eternamente annegandomi in un giocondo naufragio di contentezza. Ammirerò quel Ternario ineffabile di Persone, che forma numero, e non moltiplica essenze. Contemplerò quelle tante sorte di relazioni, ma lungi da ogni subordinazione di dipendenza; quelle tante opposizioni di termini, ma esenti da ogni pericolo di discordia. Vedrò un Primo, che di un Secondo è principio; eppure non lo precede; scorgerò un Secondo, che da un Primo ha l’origine; eppure non ne dipende; mirerò un Terzo, che dal Primo trae l’esser col Secondo eppure né al Secondo è fratello, né figliuolo al Primo. Intenderò come possa essere che in Dio sia la fecondità sì perenne, mentre non può generarsi più di un figliuolo; come la facondia così perfetta, mentre non si può esprimere più di un Verbo; e di scorrendo per quel che di esso avrò letto nelle Scrittore, imparerò com’egli si penta, eppur non cambi volere; com’egli si attristi, eppur non provi afflizione; com’Egli si adiri, eppur non abbia contrasto; come Egli si parta, eppur non alteri sito; come, senza sentire alcun peso, il tutto sempre sostenga, e con un sol dito;come, senza patire alcun tedio, al tutto sempre provveda, e con un sol atto; come sia liberale, ma senza scapito; come libero, ma senza mutazione; come intendente, ma senza specie; come presente, ma senza luogo; come antico, ma senza tempo; come nuovo, ma senza incominciamento. Questo sarà, non lo nego, quel sommo bene, che, s’io sarò degno di tanto, mi renderà perpetuamente felice. – Ma qual concetto voi ne formate, uditori? Là uno sta dormendo; là un altro sta per dormire; e tra queste buone donne non mancano ancora alcune che, censurandomi, stanno quasi quasi per mettersi a dir tra loro ch’io vo tropp’alto. Né me ne meraviglio, vedete; perché io medesimo, il quale di tal bene vi parlo, non io capisco. Balbetto come fanciullo, accozzando termini, quanto tra sé per la opposizion più ammirabili, tanto da me per la profondità meno intesi. Figuratevi dunque ch’altra felicità non avesse Dio promessa in Cielo a’ suoi servi, di questa ch’è la maggiore; quam oculus non vidit, quam auris non audivit(1 ad Cor. II. 9); ahimè, ch’io temo che i più gli avrebbero detto  non la curiamo: nauseat anima nostra super cibo isto levissimo(Num. XXI. 5); e, come fecer gli Ebrei, non avrebbero per la manna voluto lasciar le starne, lasciare le coturnici; ch’è quanto dire, non avrebbero voluto per un tal bene, ch’è astruso ed impercettibile all’istesso intelletto, lasciarne tanti, che son chiari e palpabili ancora a’ sensi. – Che ha fatto però Dio pietosissimo in tollerare i difetti umani? Si è accomodato ad una tal debolezza d’inclinazione, ed ha voluto nel cielo apprestarci beni, i quali non solamente fossero pari per equivalenza a’ corporei, ma simili in qualità; sicché queste mani ancor, queste orecchie, queste nari, questo palato, questi occhi, abbian realmente il suo diletto distinto, con cui sfogare i loro innati appetiti. Oportet, oportet corruptibìle hoc induere in corruptionem, et mortale hoc induere immortalitatem; ch’è ciò che intese il beato Lorenzo Giustiniano, ove lasciò scritto, che caro, benché spiritualis effecta, contuttociò per omnes sensus suos multimtodis exuberavit deliciis(Lib. de discipi. perfect. monast.).

IV. Ed ecco che Dio con questo è insieme venuto a rendere inescusabili tutti quei che non giungeranno a salvarsi. Perocché ditemi: che mi potete voi ora opporre, o Cristiani, quando in suo Nome io v’inviti a mortificarvi, ch’è giusto dire, a rinunziar que’ diletti che solete ora sfrenatamente concedere a’ vostri sensi? Potrete storcervi? me lo potrete negare? – Potrebbe, è vero, parervi cosa durissima il vietar ora a’ vostri orecchi il sollazzo ch’essi ricevono da quelle femminili armonie, di cui risuonano spesso i vostri teatri, o i vostri festini, o le vostre veglie, quando mai più voi non doveste provare un diletto simile. Ma mentre io vi assicuro che goderete questo gener medesimo di trastullo in maniera ancor più perfetta e più lusinghevole, né lo godrete sol per brev’ora, ma per tutta l’eternità con aver sempre ad ogni minimo cenno i musici ubbidienti, i sonatori pagati, e gli organi aperti; perché dovrà parervi ora tanto molesto, non dirò perderlo ma dirò differirlo? Non udiste più volte che il primo suono di un violino toccato per mani angeliche bastò ad affogare l’animo di Francesco febbricitante in un torrente di giubilo così alto, che, rotti gli argini, traboccò ancora nel corpo, e vi traboccò di maniera, che ne portò via rapidamente ogni specie d’infermità, benché contumace, ogni debolezza, ogni doglia? Or questo piacere appunto avranno cotesti medesimi vostri orecchi: e non l’avranno momentaneo e fugace, come fu quello, ma stabile e permanente. E non rinunzierete per esso, finché vivrete, a qualunque musica vana? Non voglio, o ghiotti, che vi priviate in eterno di quel diletto che voi provate fra tante varie saporose vivande; voglio che aspettiate anche un poco, finché finiscasi d’imbandir quella tavola, di cui avendo in un suo ratto gustato l’abate Salvi, masticava poi sempre i cibi nostrali, come aconiti tartarei. Non voglio, ogiovani, che rinunziate in eterno a quel godimento ch’or voi cavate dal vagheggiare una lusinghevol bellezza; voglio che induriate anche un poco, finché veniate introdotti a quelle conversazioni, di cui avendo in una sua visione partecipato l’abate Silvano, fuggiva di poi sempre le facce amane, come visaggi diabolici. Che potete a questo rispondermi? Voglio altr’io, se non che siate contenti di ricevere quello stesso che voi siete sì avidi di ottenere? Questa è la vera maniera di persuadere: esortarvi a quel medesimo appunto che voi vorreste. Vera ratio persuadendi est, cum id poscitur, ut impetremus a vobis quod concupiscitis, diceva il santo vescovo Eucherio (Ep. 1. paraen.); e diceva bene. – Voi vi vorreste saziar di gusti corporei: non è così? Ed io di gusti corporei voglio che vi saziate: con quest’unica differenza, che voi li desiderereste sozzi, ed io voglio darveli puri; voi li desiderereste manchevoli, ed io ve li voglio dare perfetti; voi li desiderereste caduchi, ed io voglio darveli eterni: hoc, quod exiguum amatis, insinuamus, ut ametis æternum. Questo è sol quanto discordiamofra noi: che voi vorreste il meno,e io vi offero il più. Vi par però questaofferta da non curare?

V. È vero che dovete aspettare ancor qualche poco a conseguire ì diletti da me promessivi. Patientia vobis necessaria est, (come già diceva l’Apostolo – ad Heb. X. 36) ut reportetis promissionem. Ma quando il cambio è molto più vantaggioso, chi non lo accetta, benché abbia a rimborsarsi al quanto più tardi? Se voi, per figura, vedeste alcun vignajuolo, che sul principio di agosto, quando ancor l’uva tutta è minuta ed acerba, vuol mettersi a vendemmiare, per aver quanto prima piene le grotte; e che però già chiama i vendemmiatori, già ripartisce i coltelli, già mozza i grappoli, già riempie le corbe, già fa gemere i torchi, già spreme il mosto; che gli direste? Approvereste Voi questa sciocca celerità? questa insensata. ingordigia? Ferma, gli direste: che fai, sconsigliatissimo economo de’ tuoi beni? E non è pur meglio riporre l’istesso vino alquanto più tardi, ma quando sarà già dolce, spiritoso, piccante, e così più atto a durare, che rimetterlo un poco prima, ma mentr’egli è ancora agrestino, fiacco, immaturo, e però più disposto ad infradiciarsi? Il simile voi direste ad un giardiniere, il quale volesse cogliere i pomi, ancora non coloriti; il simile a un mietitore, il quale volesse segare le spighe, ancora non bionde; il simile a un cacciatore, il qual volesse importunare le selve, ancora non popolate. E perché non poss’io dire il simile ancor a voi, mentre con tanto discapito vi volete nella vita presente anticipar que’ diletti che vi potreste alla futura serbar con tanto interesse? Giacché, come pur disse acutissimamente Filone ebreo: oblectamenta præsentis vitæ quid sunt, nisi furia delectationum vitæ futuræ? – Ma s’è così, rispondetemi ora, Cristiani miei: non vi par che Iddio con riserbar anche al corpo i suoi guiderdoni, ch’è appunto dire, con ammetterlo a parte di quella gloria, la qual fu oggi donata al corpo di Cristo; non vi par, dico, che gli abbia tolta ogni scusa, quand’egli nieghi di sottoporsi allo spirito, di cedere alla ragione, e di mortificarsi in onor dello stesso Cristo? Anzi io vi dico, ch’ha tolta ancora in questo modo ogni scusa a chiunque or tema codardamente la morte, non che la mortificazione; e non abbia per sommo de’ desiderj quel che si chiamava già l’ultimo de’ terrori. Ma perché lasciare questa volta al discorso le vele gonfie, sarebbe quasi un volere abusar quell’aura che mi concede la vostra benignità, contentatevi un poco che qui, benché quasi in alto, noi gettiamo l’ancore, finattantoché a favore de’ poveri possa farsi una buona pesca, una buona preda, e poi ci studieremo di prendere tosto terra.

SECONDA PARTE

VI. Ben pare adunque che tra noi più non meriti scusa alcuna chi sa di dovere un giorno col Redentore gloriosamente risorgere a miglior vita, e contuttociò segue ancora a temer vilmente, non pur la mortificazione, ma ancor la morte. Catone il forte, veggendo ormai vicino a spirare nella sua romana repubblica quel quasi fiato  sapremo di Libertà che ancora vi rimaneva, deliberò di finir prima la vita, per dimostrare che non potevan sopravvivere o Catone, mancata la libertà, o la libertà, mancato Catone. Si die pertanto una mortal pugnalata con quella mano che fin allora aveva serbata purissima d’ogni sangue; e perché molti incontanente vi accorsero a trattenerlo, poterono bensì questi levargli il ferro e chiudergli la ferita, ma non però sminuirgli punto l’ardire. Perocché, rimasto alfin solo, raccolse subito quell’estremo di forze che gli restavano, ed adirato quanto dianzi con Cesare, tanto allora con sé, che non aveva saputo presto morire a quel primo colpo, si strappò tutte furiosamente le fasce della ferita, ed al suo spirito, disprezzator d’ogni cosa, ancor di se stesso, non permise l’uscita, gli die la spinta: non emisit, sed ejecit. Forsennato ardimento, non può negarsi; né io pretendo qui di recarlo come lodevole, mentre so che tanto empio è voler morire a dispetto della natura, quanto sarìa voler vivere. Ma se voi chiederete a Seneca, come mai Catone avvalorasse il suo petto di tal coraggio, e ‘l suo braccio di tanta lena, che far potesse sì grave insulto alla morte con provocarla, udirete dirvi, che tutto quanto egli fece leggendo quel si bel libro, intitolato il Fedone, cioè quel libro, in cui Platone dimostra l’immortalità dell’anima umana (Ep. ik. lib. 33). Il ferro fece ch’egli potesse morire, Platone ch’egli volesse: Ferrum fecit ut mori posset; Plato ut vellet. Perocché mentre egli rimaneva persuaso che l’anima non moriva insieme col corpo, stimò facile il perdere di se stesso una sola parte; massimamente allor ch’egli, col divenire prigion di Cesare, la dovea tra poco o lasciare a’ piè di un carnefice, o ricevere in dono da un inimico. Or dite a me: se tanto poté Catone animarsi con tal pensiero, che sarìa stato s’egli avesse creduto che neppur quella qualunque parte di sé egli perdeva propriamente; ma che, lasciandola alla terra in deposito, piuttosto che in abbandono, doveva un dì ripigliarsela assai più bella ed assai più vigorosa, ch’allor non era? Non vogliam credere che gli avrebbe aggiunto gran forze, promettersi ancor del corpo quella immortalità, quella gloria, quel godimento, che dell’anima si prometteva? Matanto è quello che noi possiamo prometter a noi medesimi, massimamente da che risorto in questo dì noi vediamo il nostro Gesù, e temeremo, non dirò già di provocare la morte insolentemente, quando Dio ce la nieghi, ma di accettarla quando Dio ce la mandi? Oh codardia! oh debolezza! oh viltà! – Io so che voi vi sarete messi più volte con gran diletto a mirar l’ecclissi del sole. Eppure, oh se voi sapeste che confusione è mai quella che allor succede tra alcuni popoli semplici del Perù, voi vi stupireste! Tosto tra le donne si leva un pianto sì alto, sì dirotto, sì mesto, sì universale, come se non più dovess’esserci sole al mondo. Si squarcian vesti, si strappano capelli, si graffian gote; ed a fin di smorzare quella grand’ira che stimano accesa in cielo, tutte salassansi acerbamente le vene con acute spine di pesce, facendone a gara piovere largo sangue. Laddove noi ci ridiamo di’ tanto affanno, e nelle ecclissi che accadono, ancorché strane, non temiamo, non ci turbiamo, anzi, a fin di mirarle più attentamente, caviamo subito fuori le conche d’acqua, e quivi, come in laghetti, tanto più limpidi, quanto meno agitati, andiamo a parte a parte osservando ne’ riflessi fedeli ogni moto d’esse, i principj, le declinazioni, i progressi, i decrescimenti; né dubitiamo di chiamare altri in gran numero a contemplare, con ardir simile al nostro, gli scolorimenti funesti di un sì bel volto, e a considerarne i languori. E perché franchezza sì grande? Perché per la molta perizia la quale abbiamo de’ rivolgimenti celesti, sappiam che fra poco d’ora ritornerà agli oscurati pianeti la lor chiarezza, e ch’essi stanno nascosti, non son perduti. L’istesso noi, morendo, sappiamo de’ nostri corpi, e temeremo come iGentili medesimi, che non hanno speranza alcuna di vita eterna, né di resurrezione corporale? Et contristabimur sicut et cæteri, qui spem non habent? (ad Thessal. IV. 13)

VII. Oh quanto inescusabile in noi sarebbe una simile codardia! – Che però vediamo oggidì che femmine imbelli, che teneri fanciulletti si son recati a vergogna di temer punto i visaggi ancor della morte più spaventosi; edo su lecroci han cantati Salmi digiubilo, come Mammete e Vito, bambini amabili; o nelle fiamme hanno spiccati salti ancor di trionfo, come Apollonia e Lucia, donzelle innocenti: per non favellar di un Lorenzo, che su l’istessa graticola ardì scherzare, edoffrire le sue carni arrostite per liuto pascolo a’ suoi tiranni voraci. Ne læteris, inimica mea, super me; sentile come i  giusti sibeffano della morte con quell’insulto bellissimo che impararono dal profeta Michea (VII, 8); ne laeteris, inimica mea, super me, quia cecidi. Lascia pure, o morto, di andare di me superba, quasi che tu m’abbia atterrato. Consurgam, cum sedero in tenebri* (Ibid.) Dappoiché sarò stato per alcun tempo a giacere tra l’alte tenebre d’un sepolcro, sorgerò, sorgerò. Dominus lux mea est(Ibid.). E non so io che il mio Signore ha da essere quel bel sole che mi ravvivi? Iram Domini portabo, quoniam peccavi ei(Ib. VII, 9). Porterò, comepeccatone, ilsuo giusto sdegno, coll’andardi presente disciolto in cenere. Ma ciòfin a quanto? Donec causam meam judicet Sino al didel Giudizio; non più, non più.E allor che sarà? Educet me in lucem(ìb.), educet me in lucem. Oh che gioja, oh che giubilo, o che trionfo! Educet me in lucem.Verrò tratto allor dal sepolcro a goderla luce, non già più corruttibile, ma immortale. Et videbo justitiam ejus(Ibid.);e vedrò quanto Dio sia giusto in premiarenel corpo stesso chiunque avrà punto patitoper amor suo. Chi dunque non ammiracome savissima la determinazione del nostroDio, mentre ha voluto che non sial’anima sola a godersi in cielo la propria immortalità e la propria beatitudine, ma che nesia fatto egualmente partecipe ancora il corpo; e però lo rende oggi a Cristo per avvivare, nella trionfale resurrezione di Lui, le speranze nostre? – Se tanto viene a prometterci, può da noi tutti la nostra fede richiedere quanto vuole. Patisca pure questo misero corpo, si maceri, si mortifichi, e con atti ancora più orribili si distrugga; beato lui! Ben intendiamo che non è crudeltà togliere dai granai la semente,  ed esporla all’acque, a’ venti, alle brine,a’ ghiacci, alle vampe, ed a tutte le ingiuriedella campagna; mentre quel frumentomedesimo che marcisce, quel frumentomedesimo ha a rifiorire; né potrìarifiorire, se non marcisse.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – “LEVATE”

« … Noi veramente adoriamo umilissimamente gli imperscrutabili giudizi di Dio, cui piacque farci vivere in questi infelicissimi tempi nei quali, per opera di alcuni uomini, e particolarmente di coloro che nell’infelicissima Italia reggono e governano la cosa pubblica, i comandamenti di Dio e le leggi della Santa Chiesa sono interamente calpestati, e l’empietà leva impunemente più alta la testa e trionfa. … Nostro vediamo. Quindi quelle molteplici falangi che, camminando nelle empietà, militano sotto il vessillo di Satana, su cui sta scritto menzogna, e che ispirandosi alla ribellione, e parlando contro il cielo, bestemmiano Dio, contaminano e disprezzano ogni cosa sacra e, conculcato ogni diritto divino ed umano, simili a lupi rapaci anelano alla preda, spargono il sangue e perdono le anime coi loro scandali gravissimi, e cercano nei modi più ingiusti di fare guadagni con la loro malizia, rapiscono violentemente l’altrui, contristano il povero ed il debole, aumentano il numero delle misere vedove e dei pupilli e, accettando doni, perdonano agli empii, mentre negano giustizia all’uomo giusto e lo spogliano; corrotti di cuore, si adoperano a soddisfare turpemente tutte le loro prave passioni, col massimo danno della stessa società civile. Oggi siamo circondati da questa razza d’uomini scellerati … » Se il Santo Padre S. S. Pio IX, fosse ancora vivo ed operante, oggi scriverebbe le stesse identiche cose nei confronti dei governanti italiani, che dal suo tempo non sono affatto migliorati, anzi sono sempre più coinvolti nel giogo di satana e delle conventicole luciferine anticattoliche che li guidano con feroce scaltrezza. Ma la loggia più funesta, soprattutto per l’anima, si trova oggi nel luogo – un tempo – santo, ove ha posto la sua cattedra di pestilenza eclissando la vera Chiesa Cattolica e riducendo il Santo Padre impedito in una vita di catacomba, come nei tempi passati. Ma come allora questo farà risplendere ancor più la gloria del Signore e del Cuore Immacolato di Maria che ci ha già da tempo predetto il suo trionfo. Analoga situazione di persecuzione, anche se più grossolana ed evidente, è quella che ugualmente si verificava nella Russia e perdura oggi nei Paesi comunisti un tempo cattolici. Ma la fede avrà modo di risplendere più brillantemente in coloro che impavidi saranno forti e perseveranti fino alla fine. Tremino i nemici del Cristo, laici, finti prelati, atei e nemici dell’uomo, il loro tempo è oramai prossimo, e quando sembrerà loro di aver tutto conquistato, saranno ribaltati in un attimo dal soffio della bocca di Cristo, così come nella Pasqua di 2000 anni or sono.

Pio IX
Levate

Venerabili Fratelli, levate in giro i vostri occhi e vedrete, e insieme con Noi sentirete grandissimo dolore per le pessime abominazioni dalle quali oggi questa misera Italia è specialmente funestata. Noi veramente adoriamo umilissimamente gli imperscrutabili giudizi di Dio, cui piacque farci vivere in questi infelicissimi tempi nei quali, per opera di alcuni uomini, e particolarmente di coloro che nell’infelicissima Italia reggono e governano la cosa pubblica, i comandamenti di Dio e le leggi della Santa Chiesa sono interamente calpestati, e l’empietà leva impunemente più alta la testa e trionfa. Da ciò originano tutte le iniquità, i mali e i danni che con sommo dolore dell’animo Nostro vediamo. Quindi quelle molteplici falangi che, camminando nelle empietà, militano sotto il vessillo di Satana, su cui sta scritto menzogna, e che ispirandosi alla ribellione, e parlando contro il cielo, bestemmiano Dio, contaminano e disprezzano ogni cosa sacra e, conculcato ogni diritto divino ed umano, simili a lupi rapaci anelano alla preda, spargono il sangue e perdono le anime coi loro scandali gravissimi, e cercano nei modi più ingiusti di fare guadagni con la loro malizia, rapiscono violentemente l’altrui, contristano il povero ed il debole, aumentano il numero delle misere vedove e dei pupilli e, accettando doni, perdonano agli empii, mentre negano giustizia all’uomo giusto e lo spogliano; corrotti di cuore, si adoperano a soddisfare turpemente tutte le loro prave passioni, col massimo danno della stessa società civile. – Oggi siamo circondati da questa razza d’uomini scellerati, Venerabili Fratelli. Questi uomini, animati da spirito veramente diabolico, vogliono collocare la bandiera della menzogna in questa Nostra alma città, accanto alla Cattedra di Pietro, che è il centro della verità e dell’unità cattolica. I reggitori del Governo piemontese, che dovrebbero frenare tali uomini, non arrossiscono di favorirli in ogni modo, di procurare loro le armi e tutte le cose, e di rendere loro sicuro l’ingresso a questa città. Ma tutti questi uomini, benché costituiti nel grado e nel posto supremo del potere civile, tremino, perché con questo modo veramente iniquo di procedere si tirano addosso nuove pene ecclesiastiche e censure. Benché però nell’umiltà del Nostro cuore non cessiamo di pregare caldamente e di scongiurare Dio ricco di misericordia, perché si degni di richiamare a salutare penitenza sul retto sentiero della giustizia, della religione, della pietà tutti questi miserabilissimi uomini, tuttavia non possiamo tacere i gravissimi pericoli a cui in quest’ora delle tenebre siamo esposti. Noi con animo veramente tranquillo aspettiamo gli eventi, qualunque essi siano, benché eccitati con nefande frodi, calunnie, insidie, bugie, avendo posto ogni Nostra speranza in Dio, Nostra salute, che è Nostro aiuto e forza in tutte le Nostre tribolazioni. Egli non permette che rimangano confusi coloro che sperano in Lui, e disperde le insidie degli empi e spezza le cervici dei peccatori. Intanto non possiamo fare a meno di denunziare a voi principalmente, Venerabili Fratelli, ed a tutti i fedeli affidati alla vostra cura la tristissima condizione ed i gravissimi pericoli in cui Ci troviamo per opera specialmente del Governo piemontese. Infatti, quantunque siamo difesi dal valore e dalla devozione del fedelissimo Nostro esercito, il quale con gloriose imprese diede prove di un valore quasi eroico, tuttavia è chiaro che esso non può resistere a lungo contro il numero assai maggiore degli ingiustissimi aggressori. Benché non sia piccola la Nostra consolazione per la filiale pietà, verso di Noi, dei Nostri sudditi ridotti a pochi dagli scellerati usurpatori, tuttavia siamo costretti a dolerci grandemente, mentre essi non possono non sentire i gravissimi pericoli che loro sovrastano per parte delle feroci bande d’uomini iniqui, i quali continuamente con ogni sorta di minacce li spogliano ed in ogni modo li tormentano. Ma abbiamo da lamentare altri mali non mai abbastanza deplorati, Venerabili Fratelli. Specialmente dalla Nostra Allocuzione nel Concistoro del 29 ottobre dell’anno scorso e poi dall’esposizione corredata da documenti e stampata, avete benissimo appreso da quante sciagure la Chiesa Cattolica ed i suoi figli nell’Impero di Russia e nel Regno di Polonia siano, in modo miserando, vessati e lacerati. Infatti i Vescovi Cattolici, gli ecclesiastici, i laici fedeli sono cacciati in esilio, incarcerati, tormentati in ogni maniera, spogliati dei loro beni, travagliati ed oppressi da severissime pene; i canoni e le leggi della Chiesa sono interamente calpestati. Non contento di ciò, il Governo russo continuò, secondo l’antico suo proposito, a violare la disciplina della Chiesa, a rompere i vincoli dell’unione e della comunione di quei fedeli con Noi e con questa Santa Sede, e ad adoperare ogni mezzo ed ogni sforzo per potere in quegli Stati rovesciare dalle fondamenta la Religione Cattolica, strappare quei fedeli dal seno della Chiesa e trascinarli nel funestissimo scisma. Con Nostro incredibile dolore vi comunichiamo che, dopo l’ultima Nostra Allocuzione, da quel Governo furono pubblicati due decreti. Col decreto del 22 del mese di maggio ultimo scorso, con orrendo attentato, fu soppressa la diocesi di Podlachia nel Regno di Polonia, insieme con quel Capitolo di Canonici, col Concistoro generale e col Seminario diocesano; il Vescovo della diocesi medesima, strappato al suo gregge, fu costretto ad uscire immantinente dai confini della diocesi. Un simile decreto fu pubblicato il 3 giugno dell’anno scorso; di esso non potemmo fare menzione perché non era giunto a Nostra conoscenza. Con quel decreto lo stesso Governo non esitò di proprio arbitrio ed autorità a sopprimere la diocesi di Kameniek e a disperdere il Capitolo dei Canonici, il Concistoro, il Seminario, e a cacciare violentemente il Vescovo dalla sua diocesi. – Essendoci poi chiusa ogni via e soppresso ogni mezzo per comunicare con quei fedeli, ed anche per non esporre nessuno al carcere, all’esilio ed alle altre pene, fummo costretti a pubblicare nel Nostro giornale l’atto con cui credemmo in proposito di provvedere all’esercizio della legittima giurisdizione ed ai bisogni dei fedeli, affinché per mezzo della stampa giungesse colà la notizia del provvedimento da Noi adottato. Ognuno facilmente capisce con quale animo e con quale scopo tali decreti sono pubblicati dal Governo russo, facendo sì che all’assenza di molti Vescovi si congiunga la soppressione di molte diocesi. – Ma ciò che aumenta la Nostra amarezza, Venerabili Fratelli, è l’altro decreto pubblicato dallo stesso governo il 22 del passato mese di maggio, con cui a Pietroburgo venne costituito un Collegio chiamato ecclesiastico cattolico romano, a cui presiede l’Arcivescovo di Mohilow. Cioè: tutte le domande, anche relative alle cose di fede e di coscienza che dai Vescovi, dal Clero e dal Popolo della Russia e della Polonia sono dirette a Noi ed a questa Sede Apostolica, si debbano prima trasmettere a quel Collegio, il quale deve esaminarle e decidere se le domande oltrepassino le facoltà dei Vescovi, ed in tal caso possa procurare che siano a Noi trasmesse. Dopo che colà sarà giunta la Nostra decisione, il presidente del detto Collegio è obbligato a mandarla al ministro dell’Interno, il quale esaminerà se in essa si contenga qualche cosa di contrario alle leggi dello Stato ed ai diritti del Sovrano; qualora ciò non esista, a suo arbitrio, sia eseguita. – Vedete certamente, Venerabili Fratelli, quanto sia da riprovarsi e condannarsi un tale decreto emanato da un potere laico e scismatico, con cui viene distrutta la divina costituzione della Chiesa Cattolica, si rovescia la disciplina ecclesiastica, e si fa alla Nostra suprema potestà ed autorità pontificia, e di questa Santa Sede e dei Vescovi, la massima ingiuria; s’impedisce la libertà del sommo Pastore di tutti i fedeli, ed i fedeli sono spinti ad un funestissimo scisma; viene violato e conculcato lo stesso diritto naturale riguardo alle cose che concernono la fede e la coscienza – Inoltre, l’Accademia cattolica di Varsavia è stata chiusa; ed è imminente la trista rovina della diocesi rutena di Chelma e Belz. E, ciò che è maggiormente doloroso, si rinvenne un certo prete Voicichi, uomo di fede sospetta, il quale, disprezzate tutte le censure e le pene ecclesiastiche, senza tener conto del terribile giudizio di Dio, non ebbe in orrore di ricevere da quella civile potestà il governo e la cura della medesima diocesi, e di emanare già diverse ordinanze, le quali, mentre si oppongono alla disciplina ecclesiastica, favoriscono il funestissimo scisma. – In mezzo a tante calamità ed angustie Nostre e della Chiesa, non essendovi altri che pugni per Noi se non il Nostro Iddio, con quanta forza abbiamo vivamente vi scongiuriamo dunque, Venerabili Fratelli, che, per il singolare amore e zelo per la causa cattolica e per la egregia vostra pietà a Nostro riguardo, vogliate unire alle Nostre le fervide vostre preghiere, e insieme al vostro Clero e al Popolo fedele pregare Iddio senza tregua e scongiurarlo che, memore delle Sue eterne misericordie, allontani da Noi la Sua indignazione, salvi la Santa Chiesa e Noi da tanti mali, protegga e conforti con la Sua virtù tanti figli a Noi carissimi della stessa Chiesa, sparsi in quasi tutti i paesi, e specialmente in Italia, nell’Impero russo e nel Regno di Polonia, ed esposti a tante insidie; li corrobori, li confermi, li conservi sempre più nella professione della fede cattolica e della sua salutare dottrina; disperda tutti gli empi consigli dei nemici degli uomini, li richiami dal baratro dell’iniquità alla via della salvezza, e li guidi sul sentiero dei Suoi comandamenti. – Vogliamo pertanto che entro sei mesi per le diocesi di qua dal mare, ed entro un anno nelle diocesi di là dal mare, sia intimato un triduo di pubbliche preghiere, da stabilirsi da Voi. Affinché i fedeli con maggiore impegno intervengano a queste pubbliche preci e preghino il Signore, concediamo misericordiosamente nel Signore una plenaria indulgenza di tutti i loro peccati, a quanti fedeli d’ambo i sessi interverranno a questo triduo pregando per le presenti necessità della Chiesa, secondo la Nostra intenzione, purché, espiati i peccati nella confessione sacramentale, si accostino alla sacra Eucaristia. A coloro poi i quali, per lo meno contriti, avranno in ciascuno dei predetti giorni compiuto le opere prescritte, condoniamo sette anni ed altrettante quarantene delle pene loro ingiunte od in qualsiasi altro modo da essi dovute nella consueta forma della Chiesa. Concediamo ancora nel Signore che tutte e singole le indulgenze, le remissioni di peccati e i condoni delle penitenze siano applicabili alle anime dei fedeli defunti nella carità di Dio. Nulla ostando ogni altra disposizione in contrario. – Infine, nulla certo per Noi è più gradito che valerci con sommo piacere di questa occasione per manifestarvi e nuovamente confermarvi la speciale benevolenza con la quale vi abbracciamo nel Signore. Come pegno certissimo di essa accettate l’Apostolica Benedizione che, con effusione di cuore, amorevolmente impartiamo a Voi, Venerabili Fratelli, a tutti i Chierici e ai laici fedeli affidati in qualsiasi modo alle vostre cure.

Dato in Roma, presso San Pietro, il 27 ottobre 1867, anno ventiduesimo del Nostro Pontificato.

DOMENICA DI PASQUA 2020

DOMENICA DI PASQUA 2020

Solennità delle Solennità.

Stazione a Santa Maria Maggiore

Doppio di I cl. con ottava privilegiata. – Paramenti bianchi.

Come a Natale, così a Pasqua, la più grande festa dell’anno, la Stazione si tiene a S. Maria Maggiore. Il Cristo risuscitato rivolge anzitutto al divin Padre l’omaggio della sua riconoscenza (Intr.). La Chiesa a sua volta ringrazia Iddio di averci, con la vittoria del Figlio Suo, riaperto la via, del Cielo e lo prega di aiutarci a raggiungere questo bene supremo (Oraz.) Come gli Ebrei mangiavano l’Agnello pasquale con pane non lievitato, dice S. Paolo, così noi pure dobbiamo mangiare l’Agnello di Dio con gli azzimi di una vita pura e santa (Ep., Com.) cioè, esente dal fermento del peccato. Il Vangelo e l’Offertorio ci mostrano la venuta delle Marie che vogliono imbalsamare il Signore. Esse trovano una tomba vuota, ma un angelo annunzia il grande Mistero della Risurrezione. Celebriamo con gioia questo giorno nel quale Cristo, risuscitando, ci ha reso la vita (Pref. di Pasqua) ed affermiamo con la Chiesa, che “il Signore è veramente RISUSCITATO” (Inv.); secondo il suo esempio, operiamo la nostra Pasqua, o passaggio, vivendo in modo da poter dimostrare che noi siamo risuscitati con Lui.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps CXXXVIII: 18; CXXXVIII: 5-6.

Resurréxi, et adhuc tecum sum, allelúja: posuisti super me manum tuam, allelúja: mirábilis facta est sciéntia tua, allelúja, allelúja. [Son risorto e sono ancora con te, allelúia: ponesti la tua mano su di me, allelúia: miràbile si è dimostrata la tua scienza, allelúia, allelúia.]

Ps CXXXVIII: 1-2.

Dómine, probásti me et cognovísti me: tu cognovísti sessiónem meam et resurrectiónem meam. [O Signore, tu mi provi e mi conosci: conosci il mio riposo e il mio sòrgere.]

Resurréxi, et adhuc tecum sum, allelúja: posuísti super me manum tuam, allelúja: mirábilis facta est sciéntia tua, allelúja, allelúja. [Son risorto e sono ancora con te, allelúia: ponesti la tua mano su di me, allelúia: miràbile si è dimostrata la tua scienza, allelúia, allelúia.]

Oratio

Deus, qui hodiérna die per Unigénitum tuum æternitátis nobis áditum, devícta morte, reserásti: vota nostra, quæ præveniéndo aspíras, étiam adjuvándo proséquere. [O Dio, che in questo giorno, per mezzo del tuo Figlio Unigénito, vinta la morte, riapristi a noi le porte dell’eternità, accompagna i nostri voti aiutàndoci, Tu che li ispiri prevenendoli.] 

Per eundem Dominum nostrum Jesum Christum filium tuum, qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti, Deus, per omnia saecula saeculorum. R. Amen.

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios. 1 Cor V: 7-8

“Fratres: Expurgáte vetus ferméntum, ut sitis nova conspérsio, sicut estis ázymi. Etenim Pascha nostrum immolátus est Christus. Itaque epulémur: non in ferménto véteri, neque in ferménto malítiae et nequitiæ: sed in ázymis sinceritátis et veritátis.” 

Omelia I

[A. Castellazzi: Alla Scuola degli Apostoli; Sc. Tip. Artigianelli, Pavia, 1929]

LA RISURREZIONE SPIRITUALE

“Fratelli: Togliete via il vecchio fermento, affinché siate una pasta nuova, voi che siete già senza lievito. Poiché Cristo, che è la nostra pasqua, è stato immolato. Pertanto celebriamo la festa non col vecchio lievito, né col lievito della malizia e delle perversità, ma con gli azimi della purità e della verità”. (1 Cor. V, 7-8).

L’Epistola è un brano della prima lettera di S. Paolo ai Corinti. Siamo alle feste pasquali. Gli Ebrei celebravano la loro pasqua, mangiando l’agnello con pane azimo, dopo aver fatto scomparire tutto il pane fermentato. Anche i Corinti devono liberarsi da tutte le tendenze grossolane e carnali, e rinunciare al lievito del peccato. – Gesù Cristo, il nostro agnello pasquale, immolando se stesso, ha istituito una pasqua che dura sempre. Anche i Corinti, rinnovellati in Gesù Cristo, devono condurre continuamente una vita innocente e retta davanti a Dio. Cerchiamo di ricavare anche noi qualche frutto dall’insegnamento dell’Apostolo.

1. Dobbiamo liberarci dal peccato.

2. Specialmente nel tempo pasquale,

3. Sigillando la nostra conversione col banchetto eucaristico.

1.

Fratelli: Togliete via il vecchio fermento. Comunque si vogliano intendere queste parole, che l’Apostolo indirizza ai Corinti, è certo che li esorta a vivere santamente, lontani da ogni peccato, tanto più che si avvicinava la solennità di Pasqua. « Non c’è uomo che non pecchi », dice Salomone (3 Re, VIII, 46). E si pecca non solo venialmente: da molti si pecca mortalmente con la più grande indifferenza. Forse cesserà il peccato di essere un gran male, perché è tanto comune? Una malattia non cessa di essere un gran male, perché molto diffusa; e il peccato non cessa di essere il gran male che è, perché commesso da molti. Dio, autorità suprema, ci dice: «Osservate la mia legge e i miei comandamenti» (Lev. XVIII, 5). E noi non ci curiamo della sua legge e dei suoi comandamenti, che mettiamo sotto i piedi. Quale guadagno abbiamo fatto col peccato, e qual vantaggio riceviamo dal non liberarcene? Se non hai badato al peccato prima di commetterlo; consideralo almeno ora che l’hai commesso. Col peccato avrai acquistato beni, ma hai perduto Dio. Avrai avuto la soddisfazione della vendetta; ma ti sei meritato un condegno castigo; perché « quello che facesti per gli altri sarà fatto per te: sulla tua testa Dio farà cadere la tua mercede » (Abdia, 15). Se non aggraverà su te la sua mano in questa vita, l’aggraverà nella futura. Avrai provato godimenti terreni, ma hai perduto il diritto ai godimenti celesti. Ti sei attaccato a ciò che è momentaneo, ma hai perduto ciò che è eterno. Ti sarai acquistata la facile estimazione degli uomini, ma hai perduto l’amicizia di Dio. Hai abusato un momento della libertà; ma sei caduto nella schiavitù del peccato. « Che cosa hai perduto, che cosa hai acquistato?… Quello che hai perduto è più di quello che hai acquistato » (S. Agostino Enarr. in Ps. CXXIII, 9). – Il peccatore, però, da questo stato di perdita può uscire, rompendo le catene del peccato. Egli lo deve fare. Dio stesso ve lo incoraggia: « Togliti dai tuoi peccati e ritorna al Signore » (Eccli. XVII, 21), dice Egli. « Io non voglio la morte dell’empio, ma che l’empio si converta dalla sua via, e viva… E l’empietà dell’empio non nuocerà a lui, ogni qual volta egli si converta dalla sua empietà » (Ezechiele XXXIII, 11…. 12). Non si è alieni dal ritornare a Dio; ma non si vuole far subito. Si vuole aspettare in punto di morte. Ma la morte ha teso le reti a tutti i varchi, e frequenti sono le sue sorprese. Può coglierci da sani, quando nessuno ci pensa; può coglierci da ammalati; quando non si crede tanto vicina, o si crede di averla già allontanata. Non sono pochi quelli che muoiono senza Sacramenti, perché si illudono che la malattia non sia mortale, o che il pericolo sia stato superato. E poi, non è da insensati trattare gli affari della più grande importanza, quando non si possono trattare che a metà, con la mente preoccupata in altre cose? E nessuno affare può essere importante quanto la salvezza dell’anima nostra; ed è imprudenza che supera ogni altra imprudenza volerlo trattare quando il tempo ci verrà a mancare, quando non avremo più la lucidità della mente. – Nessuno che è condannato a portare un peso, aspetterebbe a levarselo di dosso domani, se potesse levarselo quest’oggi. Nessuno che ha trovato una medicina, che può guarire una malattia recente, si decide a prenderla quando la malattia sarà inveterata. Nel nostro interno c’è la malattia del peccato; non lasciamola progredire. Un medico infallibile, Gesù Cristo, ci ha dato una medicina per la nostra guarigione spirituale, la confessione; non trascuriamola.

2.

Cristo, che è la nostra pasqua, è stato immolato. Per i Cristiani la festa pasquale è una festa che dura per tutta la vita, perché Gesù Cristo, nella festa pasquale, si è immolato una volta per sempre. Per tutta la vita, dunque, i Cristiani devono vivere in unione con Dio, mediante la santa grazia. E se il Cristiano avesse perduta la grazia? Non deve lasciar passare la Pasqua, senza riacquistarla Nei giorni della settimana santa la Chiesa ci ha rappresentato al vivo i patimenti di Gesù; e con questa rappresentazione voleva dire: Ecco, o peccatore, a qual punto i tuoi peccati hanno ridotto l’Uomo-Dio. Ecco in quale stato si è trovato per volerti liberare da essi. Ecco la croce su cui è morto per riparare i danni della colpa. Ecco il fiele da cui fu abbeverato, ecco le spine che gli forarono il capo, ecco i chiodi che gli trapassarono le mani e i piedi, ecco la lancia che gli aperse il costato, da cui uscirono acqua e sangue per lavacro delle anime. E tu rifiuterai di purificarti in questo lavacro? Davanti allo spettacolo di Dio che muore in croce per liberare gli uomini dal peccato, persino la natura si commuove: la terra trema, e le pietre si spezzano, e tu solo, o Cristiano resterai indifferente, mostrandoti più duro delle pietre? Imita piuttosto la moltitudine convenuta a quello spettacolo, che « tornava battendosi il petto » (Luc. XXIII, 48). Questa mattina la Chiesa ti invita a risorgere dal peccato col ricordo della risurrezione di Gesù Cristo. Essa ti rivolge le parole del salmista: « Questo giorno l’ha fatto il Signore, esultiamo e rallegrandoci in esso » (Salm. CXVII, 24. — Graduale —). Come prender parte all’esultanza della Chiesa in questo giorno, se l’anima nostra è morta alla grazia? Poiché l’esultanza che la Chiesa ci domanda non è l’esultanza delle piazze, delle osterie, dei caffè, degli spettacoli. È l’esultanza che viene dalla riconciliazione dell’uomo con Dio, dalla riacquistata libertà di suoi figli. Il peccatore non è insensibile all’invito della Chiesa. Ma la voce della Chiesa è soffocata da un’altra voce, per lui più forte, dalla voce del rispetto umano. Che diranno, se si verrà a sapere che sono andato a confessarmi? Se si tratta di curare una ferita non si ascoltano le voci dei profani, ma quella del chirurgo. Trattandosi di guarire le ferite prodotte dal peccato, saremmo ben stolti, se dessimo più peso alle chiacchiere dei negligenti, dei superbi, dei viziosi, che alla voce autorevole della Chiesa. Pensa quale consolazione procurò alla vedova di Naim la risurrezione del figlio. Le lagrime che avevano commosso Gesù, ora si sono cangiate in lagrime di consolazione. « Di quel giovane risuscitato gioì la vedova madre; degli uomini risuscitati spiritualmente goda ogni giorno la santa madre Chiesa» (S. Agostino Serm. 98, 2). Nel suono delle campane più festoso del solito essa vorrebbe farti sentire le parole dell’Apostolo: «E’ ora di scuoterci dal sonno» (Rom. XIII, 11). Svegliati, dunque, e non voler persistere nel pericolo di passare, senza svegliarti, dal sonno del peccato al sonno della morte.

3.

Gli Ebrei, purificata la casa da tutto ciò che era fermentato, mangiavano l’agnello pasquale. I Cristiani, devono anch’essi mangiare il vero Agnello pasquale, di cui l’antico agnello era tipo. Purificati, nella confessione, dal lievito dei peccati della vita trascorsa, con coscienza pura e retta intenzione, partecipino al banchetto pasquale. È quanto inculca l’Apostolo. Pertanto celebriamo la festa non col vecchio lievito, ne col lievito della malizia e della perversità; ma con gli azimi della purità e della verità.Quando si fanno feste solenni il banchetto ha sempre una parte principale. Il banchetto eucaristico deve avere una parte principalissima nella letizia della solennità pasquale. Poco importa assidersi a un banchetto materiale, se l’anima si lascia digiuna.« Peccando non abbiamo conservato né la pietà, né la felicità; ma, pur avendo perduto la felicità, non abbiam perduto la volontà di essere felici » (De Civitate Dei, L. 22, c. 30). L’uomo ha perduto il Paradiso terrestre, ma vi ritornerebbe ancor volentieri. Il Paradiso terrestre, perduto da Adamo, non possiamo più possederlo; ma possiamo possedere, ancor pellegrini su questa terra, un altro paradiso. Sta da noi, dopo aver preparato l’anima nostra ad accogliere l’Ospite divino, andargli incontro, riceverlo, metterlo nell’anima nostra, come su un piccolo trono. Il nostro cuore diventerebbe l’abitazione di Dio, e, dove c’è Dio, c’è il Paradiso. La Chiesa vorrebbe che noi li gustassimo sovente questi momenti di Paradiso. E, visto che noi non siamo tanto docili alla sua voce, ci prega, ci scongiura, ci comanda di voler provare queste delizie interne almeno a Pasqua. Pasqua! Due parole che spaventano tanti Cristiani, e che, invece, dovrebbero essere accolte con la brama con cui un assetato accoglie l’annuncio d’una vicina sorgente ristoratrice. Accostarsi alla Confessione e alla Mensa eucaristica, vuol dire mettere il cuore in pace, trovare la felicità perduta.Sulla fine d’Ottobre del 1886 si presenta al confessionale dell’abate Huvelin, nella chiesa di S. Agostino a Parigi, un giovane ragguardevole, Carlo de Foucald. Era stato luogotenente dei Cacciatori d’Africa, coraggioso e fortunato esploratore del Marocco. Nel suo cuore c’era l’inquietudine e la tristezza.« Signor abate — dice dopo un leggero inchino —io non ho la fede, vengo a chiederle d’istruirmi ». L’abate Huvelin lo guardò: « Inginocchiatevi confessatevi a Dio; crederete ». — « Ma non sono venuto per questo». —« Confessatevi ».Quel giovane cedette. S’inginocchiò, e confessò tutta la sua vita. Quando il penitente fu assolto, l’abate gli domanda: « Siete digiuno? » — « Sì ». — « Andate e comunicatevi». Il giovane si accostò subito alla sacra Mensa e fece « la sua seconda Prima Comunione ». Quella Confessione e quella Comunione furono il principio d’un’altra vita. Egli esce dal tempio con la pace nel cuore; pace che gli trasparisce sempre dagli occhi, dal sorriso, nella voce e nelle parole. Egli, da oggi, si prepara alla vita di trappista, di sacerdote, di eremita, che finirà nel Sahara, dopo esser vissuto vittima di espiazione per sé e per gli altri (Renato Bazin, Carlo de Foucauld. Traduzione dal Francese di Clelia Montrezza. Milano 1928, p. 48-49). Forse, il pensiero di dover cominciare una vita nuova, dopo essersi accostati alla Confessione e alla Comunione, intrattiene parecchi dal compiere il loro dovere in questi giorni. Eppure è nostro interesse procurare al nostro cuore una pace vera e una santa letizia, oltre essere nostro dovere è nostro interesse, e massimo interesse, incominciare una vita nuova, intanto che ne abbiamo il tempo; senza contare che « una grave negligenza richiede anche una maggiore riparazione » (S. Leone M. Serm. 84, 2). Facciamo una buona Pasqua col proponimento di camminare in novità di vita, e di non volere imitare gli Ebrei, che dopo aver mangiato l’agnello pasquale nella notte della loro liberazione, rimpiangono l’Egitto, la terra della loro oppressione. « Noi pure mangiamo la Pasqua, cioè Cristo… Nessuno di coloro che mangiano questa pasqua si rivolga all’Egitto, ma al cielo, alla superna Gerusalemme » (S, Giov. Crisost.); da dove ci verrà la forza di compiere il nostro pellegrinaggio, senza ritornare sui passi della vita passata.

Alleluja 

Alleluia, alleluia Ps. CXVII: 24; CXVII: 1 Hæc dies, quam fecit Dóminus: exsultémus et lætémur in ea. [Questo è il giorno che fece il Signore: esultiamo e rallegriàmoci in esso.] 

V. Confitémini Dómino, quóniam bonus: quóniam in saeculum misericórdia ejus. Allelúja, allelúja. [Lodate il Signore, poiché è buono: eterna è la sua misericòrdia. Allelúia, allelúia.] 

1 Cor V: 7 

V.Pascha nostrum immolátus est Christus. [Il Cristo, Pasqua nostra, è stato immolato.]

Sequentia

“Víctimæ pascháli laudes ímmolent Christiáni. Agnus rédemit oves: Christus ínnocens Patri reconciliávit peccatóres. Mors et vita duéllo conflixére mirándo: dux vitæ mórtuus regnat vivus. Dic nobis, María, quid vidísti in via? Sepúlcrum Christi vivéntis et glóriam vidi resurgéntis. Angélicos testes, sudárium et vestes. Surréxit Christus, spes mea: præcédet vos in Galilaeam. Scimus Christum surrexísse a mórtuis vere: tu nobis, victor Rex, miserére. Amen. Allelúja.” [Alla Vittima pasquale, lodi òffrano i Cristiani. – L’Agnello ha redento le pécore: Cristo innocente, al Padre ha riconciliato i peccatori. – La morte e la vita si scontràrono in miràbile duello: il Duce della vita, già morto, regna vivo. – Dicci, o Maria, che vedesti per via? – Vidi il sepolcro del Cristo vivente: e la glória del Risorgente. – I testimónii angélici, il sudàrio e i lini. – È risorto il Cristo, mia speranza: vi precede in Galilea. Noi sappiamo che il Cristo è veramente risorto da morte: o Tu, Re vittorioso, abbi pietà di noi. Amen. Allelúia.]

Evangelium 

Sequéntia  sancti Evangélii secúndum Marcum. 

 Marc. XVI: 1-7.

“In illo témpore: María Magdaléne et María Jacóbi et Salóme emérunt arómata, ut veniéntes úngerent Jesum. Et valde mane una sabbatórum, veniunt ad monuméntum, orto jam sole. Et dicébant ad ínvicem: Quis revólvet nobis lápidem ab óstio monuménti? Et respiciéntes vidérunt revolútum lápidem. Erat quippe magnus valde. Et introëúntes in monuméntum vidérunt júvenem sedéntem in dextris, coopértum stola cándida, et obstupuérunt. Qui dicit illis: Nolíte expavéscere: Jesum quǽritis Nazarénum, crucifíxum: surréxit, non est hic, ecce locus, ubi posuérunt eum. Sed ite, dícite discípulis ejus et Petro, quia præcédit vos in Galilǽam: ibi eum vidébitis, sicut dixit vobis.” 

[In quel tempo: Maria Maddalena, Maria di Giacomo, e Salòme, comperàrono degli aromi per andare ad úngere Gesú. E di buon mattino, il primo giorno dopo il sàbato, arrivàrono al sepolcro, che il sole era già sorto. Ora, dicévano tra loro: Chi mai ci sposterà la pietra dall’ingresso del sepolcro? E guardando, vídero che la pietra era stata spostata: ed era molto grande. Entrate nel sepolcro, vídero un giòvane seduto sul lato destro, rivestito di càndida veste, e sbalordírono. Egli disse loro: Non vi spaventate, voi cercate Gesú Nazareno, il crocifisso: è risorto, non è qui: ecco il luogo dove lo avévano posto. Ma andate, e dite ai suoi discépoli, e a Pietro, che egli vi precede in Galilea: là lo vedrete, come vi disse.]

Omelia II

[Mons. G. Bonomelli: MISTERI CRISTIANI, Brescia, Tip. E lib. Queriniana; vl. II, 1894]

RAGIONAMENTO VIII

Cristo che risorge adombra in se stesso la storia della sua Chiesa.

Chi è desso il Cristiano? domandava a se stesso Tertulliano. Egli è, rispondeva in quello stile audacissimo e scultorio, che è tutto suo, egli è un altro Cristo – Alter Christus -. Egli è un uomo, che nella mente e nei pensieri, nel cuore e negli affetti, nelle parole e nelle opere, vi presenta l’immagine fedele di Cristo – Alter Christus -.

Chi vede ed ascolta un Cristiano, un vero Cristiano, deve dire: Ecco il ritratto di Cristo, ecco Cristo redivivo sulla terra! Che se ogni Cristiano individualmente debb’essere nella sua vita una copia di Gesù Cristo, quanto maggiormente lo deve essere la Chiesa, chiamata da S. Paolo suo corpo e suo compimento? Nella vita pertanto di Gesù Cristo e più particolarmente nei più grandi misteri della medesima, noi possiamo e dobbiamo vedere adombrata e delineata la vita della sua Chiesa. Ora i più grandi misteri della vita di Gesù Cristo sulla terra si raggruppano intorno alla sua passione, e alla sua morte e alla sua Risurrezione; là si scioglie e si compie l’opera per la quale Gesù Cristo venne sulla terra; là si termina il terribile duello tra Cristo e il mondo: là dal fianco squarciato di Cristo esce la Chiesa, qual vergine sposa, che a Lui si impalma e là comincia la sua vita, che deve riempire il tempo e lo spazio. In Cristo, che soffre e muore e soffrendo e morendo vince e trionfa, noi vedremo compendiata la storia eterna della Chiesa. Il campo, che ci si apre dinanzi, è vastissimo; ma io mi studierò di percorrerlo a volo: a me il precedervi, a voi il seguirmi e il frutto, che ne coglierete, attesi i tempi, che volgono, sarà prezioso e degna mercede della vostra attenzione. Gesù Cristo, il Capo e lo Sposo della Chiesa, scoccata l’ora della giustizia e della misericordia per Lui stabilita, volontariamente si dà in mano de’ suoi nemici. In quella povera natura assunta, che vediamo, si occulta una forza infinita, si nasconde la stessa onnipotenza di Dio, che non vediamo: essa si eclissa e si cela per guisa che si direbbe non esservi, tantoché non solo l’occhio dell’uomo, ma l’occhio stesso sì acuto del maligno non la discerne; se l’avesse conosciuta non avrebbe spinte contro di Lui le turbe e le podestà della terra (Il Demonio poté sospettare che Gesù Cristo fosse Dio, ma prima della sua morte non lo conobbe con certezza; apparisce dal Vangelo, dalle lettere di S. Paolo e lo affermano parecchi Padri e tra questi in termini S. Leone Papa.). E che fanno i nemici di Gesù, avutolo in loro balìa? Voi lo sapete: lo traggono dinanzi al gran Consiglio della nazione e lo coprono di accuse. Egli è violatore della legge mosaica; Egli è falso profeta; Egli ha bestemmiato, ha levato la voce contro il tempio; Egli si dichiara Figlio di Dio; perciò è reo di morte. Lo traggono dinanzi ad Erode e Pilato e si mutano le accuse: dinanzi al gran Consiglio giudaico, tribunale eminentemente religioso, le accuse sono religiose: dinanzi ad Erode e Pilato, uomini politici, politiche sono anche le accuse. Gesù, dicono i suoi nemici, mette sossopra il popolo della Galilea fino nella Giudea; seduce e ammalia le turbe; vieta di pagare il tributo a Cesare; vuol farsi Re; è nemico di Cesare (I capi del popolo, incredibile a dirsi! Accusano Cristo di quel delitto, di cui essi erano rei, o almeno consideravano non come delitto, ma come un dovere, un titolo di onore. Essi detestavano e abbominavano il dominio romano: ne avrebbero spezzato il giogo, se avessero potuto, e più tardi sappiamo ciò che fecero). Eppure accusano Gesù di avversare la signoria straniera, essi che 1’avversavano fieramente, che presso la nazione ne avrebbero fatto argomento di vanto. Tanto è vero che l’odio non ragiona! L’accusavano presso Pilato di ciò che altamente apprezzavano e reputavano dovere). – Coll’oro guadagnano un discepolo di Gesù, Giuda, e ne fanno un traditore: colle promesse, colle minacce, coll’intrigo seducono la folla e colle grida furibonde di questa riempiono di terrore il pubblico potere e se lo rendono docile strumento ed esecutore fedele de’ loro voleri: gli strappano la sentenza di morte e morte di croce. Dopo averlo calunniato, martoriato, straziato, schernito, conficcato alla croce, spentolo senza pietà, si impadroniscono del corpo lacero e disfigurato e permettono che sia calato in una tomba…. È finito lo strazio di Gesù? È sazio l’odio de’ suoi nemici? No. Ancora tremano e paventano dinanzi a quel cadavere, che è pure nelle loro mani. – Quel seduttore, così essi, disse già: Dopo tre dì risorgerò: bisogna dunque vegliare alla sua tomba, affinché per avventura non vengano i suoi discepoli, ne involino il corpo e poi dicano alle turbe: è risorto; ne verrebbe errore più fatale del primo – E vi collocano a guardia una mano di soldati. Voi lo vedete: l’odio, il furore, la rabbia dei nemici di Cristo non hanno limiti né per ragione del tempo, né pel grado d’intensità: abbracciano tutta la vita di Lui, ma toccano il colmo gli ultimi giorni: non rispettano nulla in Lui, né la vita, né l’onore, nemmeno la morte e la maestà della tomba. Tutte le armi sono buone contro di Lui, le insinuazioni più maligne, le menzogne più sfacciate, le calunnie più nere: a suo danno si appella alle autorità politiche e sacre, alle ire e passioni della folla, al sentimento nazionale e religioso, alla legge di Mosè come al Codice di Roma. Vi domando: che ha Egli fatto di male quest’uomo per provocare contro di sé odio sì profondo, ire sì cupe e feroci? Egli non ha fatto, né poteva far male a chicchessia – Egli ha rispettato scrupolosamente tutte le leggi, ha ubbidito a tutti i poteri, ha insegnato a tutti il rispetto e la ubbidienza a tutte le autorità: ha guarito a migliaia gli infermi, ha ridonato la vista a’ ciechi, ha raddrizzato gli zoppi, ha risanato i paralitici, ha mondato i lebbrosi, ha risuscitati perfino i morti: ha consolato gli afflitti, ha istruito gli ignoranti, ha satollato turbe di affamati, ha predicato l’umiltà, la purezza del cuore, il perdono delle offese, il disprezzo delle ricchezze, l’amore di Dio e de’ fratelli e in questo amore ha compendiato tutta la sua Religione. Ma come dunque e perché gli uomini poterono odiare e perseguitare sì barbaramente tanto maestro e tanto benefattore? Come e perché? Perché  annunziava la verità; lo disse Egli stesso: Voi cercate di uccidere me, uomo, che vi ho detto la verità. (S. Giov. VIII. 40) -. Il suo fallo, il suo delitto imperdonabile era quello d’aver detta sempre a tutti la verità. Carissimi! E non è questa la storia della Chiesa dal dì che nacque fino ad oggi? Ella, come il suo Capo divino, ci si presenta debole, inerme, ma racchiude in sé una forza invincibile, la forza dell’Uomo-Dio stesso, che le disse: Ecco ch’Io sono con te fino al terminare dei secoli (S. Matt. XXVIII. 20) -. Ma come il Verbo divino era nascosto in Cristo sotto le forme sì deboli dell’umana natura e si manifestava a quando a quando nell’opere sue, così la potenza e vita divina della Chiesa si cela sotto le sue apparenze sì deboli e risplende nelle lotte, che affronta e vince e nelle opere sovrumane che compie esemina nel suo cammino. La Chiesa, come Gesù Cristo, ha uomini numerosi e potentissimi, in basso e più ancora in alto, che la odiano, che la vituperano, che la perseguitano e straziano crudelmente. Ma che ha Ella fatto di male per avere contro di sé tanti e sì feroci nemici? Ella in tutti i tempi e su tutti i punti della terra, come Cristo, non ha fatto, né poteva far male a persona, Ella che è madre amorosa di tutti gli uomini; Ella non ha fatto che eseguire il comando di Cristo, predicare il suo Vangelo, inculcarne l’osservanza: Ella ha reso perenne l’opera di Lui sulla terra, l’ha allargata e spande dovunque i benefici della sua fede, sugli individui e sulla società, su chi tiene il potere e su chi al potere è soggetto, sui corpi e sugli spiriti: Ella è come il sole, ai raggi e al calore del quale non v’è creatura terrestre che possa sottrarsi. Come dunque e perché questa Chiesa, incomparabile e perpetua benefattrice della società umana tutta, è fatta segno di ire implacabili, bersaglio di calunnie e per alcuni si vorrebbe sterminato dalla terra? Perché anch’Ella, come Gesù Cristo, annunzia sempre la verità e la sua sorte quaggiù non può essere diversa da quella del suo divino Fondatore, col quale tutto ha comune. Ella  si presenta ai popoli col Simbolo nella destra e col Decalogo nella sinistra: con quello domanda l’ossequio pieno e assoluto della mente; con questo esige l’ossequio del cuore e l’opera della mano senza eccezione: non patteggia con chicchessia e grida doversi ubbidire a Dio e perciò a Lei più che agli uomini, siano pure questi collocati sulle più alte cime del potere. Di qui in ogni tempo e in ogni regione le diffidenze, i dispetti, le gelosie, le ire e gli odi più atroci contro della Chiesa: mutano forma, ma non la sostanza: è la stessa lotta tra Cristo e la Sinagoga, che si perpetua attraverso ai tempi e che non avrà termine che con essi, colle stesse vicende e collo stesso esito finale. – Questa Chiesa esce dal cenacolo inerme come Cristo che inerme esce dall’officina di Nazaret: inerme si lancia nel mondo alla conquista delle anime come Cristo inerme percorse le contrade di Palestina e formò i primi discepoli: inerme lotta coi nemici, che la circondano e versando fiumi di sangue, il sangue de’ suoi figli, vince e trionfa, come Cristo inerme lotta, vince e trionfa, spargendo, non il sangue altrui, ma il proprio. Seguiamola questa Chiesa sulla gran via dei secoli che percorse, quasi immenso fascio di luce, che fende il fitto buio della notte. I nemici a gara, con rabbia sempre crescente ed armi sempre nuove si scagliano sopra di lei; sono schiere di giudei e di pagani; sono turbe e filosofi: sono presidenti di Repubbliche, Re ed Imperatori. I figli della Chiesa sono designati come, empi, disonesti, seduttori, atei, divoratori di bambini, rei di delitti nefandi, di orge senza nome, ribelli, settari, nemici del genere umano, meritevoli d’ogni supplizio, razza pestifera. Sono queste le accuse e le calunnie, sotto le quali ne’ primi secoli si fa opera di schiacciare la Chiesa e voi le potete leggere in Giustino, Tertulliano, Teofìlo di Antiochia, Atenagora ed altri Apologisti che le ribattono. Nei secoli, che corrono dal quarto, in cui la Chiesa esce vincitrice dalle spire del paganesimo, fino al nostro, la guerra contro la Chiesa muta la forma e le armi, ma non l’accanimento e la violenza dell’odio. Sono eresiarchi e scismatici, che lacerano il seno della Chiesa; sono prepotenti, che la spogliano; sono monarchie e repubbliche, che la vogliono far serva: sono uomini che armati della scienza muovono a suoi danni. Che dire del nostro secolo? Esso ha chiamato a raccolta gli uomini della ricchezza, della scienza e del potere, ne ha ordinato l’esercito, l’ha fornito d’ogni maniera di armi, l’ha riempito d’odio, e in nome del progresso, della libertà, della uguaglianza, della felicità comune, lo spinge contro della Chiesa per opprimerla e disperderla dalla faccia della terra. Essa è la nemica delle scienze: essa fa schiavi i popoli e li immiserisce: essa qui blandisce i tiranni e i loro alleati; là accende le passioni popolari e aizza le moltitudini contro i poteri costituiti. Perciò la si scaccia dalla scuola, dall’esercito, dai tribunali, dalle officine, da tutti i luoghi del dolore, dov’essa è chiamata dalla sua missione: essa è confinata nel tempio e là pure sorvegliata. Un tempo i re della terra le dicevano: Noi ti proteggeremo e ti onoreremo e ci inchineremo dinanzi a te purché tu ci ceda un po’ della tua libertà: oggi i poteri quasi tutti della terra le dicono brutalmente: Non ci curiamo di te: non vogliamo l’opera tua: essa non ci giova, anzi ci nuoce: non ti conosciamo, né vogliamo conoscerti, bastiamo a noi stessi. E proclamando il divorzio pieno e totale dalla Chiesa, che sembrerebbe doverle procurare perfetta libertà, stendono intorno a Lei una fitta rete di leggi, che la impacciano e stringono ad ogni passo. – Noi, così gridava non sono molti anni un celebre Professore d’una Università Tedesca, noi dobbiamo stringere le vene e i polsi della Chiesa e impedire la circolazione della vita nel suo corpo: così essa infallibilmente morrà e ne avremo compiuta vittoria -. Era questo il fine delle leggi sancite in Germania ed in Isvizzera durante la gran lotta che si osò chiamare della civiltà: a questo tendevano tante altre leggi promulgate in tanti altri paesi acattolici e cattolici, alcune delle quali durano anche al dì d’oggi. Si volle e si vuole fare colla Chiesa quello che fecero gli uomini del Sinedrio, che uccisero Cristo, e avvolto il corpo nel funebre lenzuolo e calato nel sepolcro, ne suggellarono la pietra, che ne chiudeva la bocca, affidandone la custodia a’ loro sgherri. Questi uomini della politica, venduti alle sette, che non ammettono nulla al di là di ciò che si vede, non possono comprendere, che nella Chiesa vi è una forza divina precisamente come i Giudici di Gesù Cristo non la comprendevano nella umanità di Lui. Quando colle loro leggi l’hanno flagellata, denudata, schernita; quando l’hanno confitta alla croce, squarciata in mille modi, credono d’averla uccisa e sepolta: ma in Lei, come in Cristo, vi è una forza, una energia divina e quando questa sembra estinta, allora si manifesta in tutta la sua grandezza, rovescia la pietra del sepolcro, in cui voleano seppellirla, vi lascia il lenzuolo mortuario, onde la volevano coperta, si ride delle guardie, confonde tutti i calcoli de’ suoi nemici e mostra tutta la potenza della vita divina, che attinge nel suo celeste Fondatore. A’ nostri tempi, per tacere delle cose a noi più vicine, la vedemmo questa Chiesa ne’ suoi Vescovi e ne’ suoi sacerdoti in non poche Repubbliche dell’America meridionale e centrale vessata e spogliata; la vedemmo in Francia in cento modi tribolata con leggi odiose, con profonda malizia architettate in guisa da farne l’ancella, se fosse stato possibile, ora della Monarchia, ora dell’Impero, ora di una Repubblica conservatrice o radicale o settaria che fosse: vedemmo tre Arcivescovi della sua capitale cadere sotto il pugnale o sotto il piombo di assassini: la vedemmo in Germania alle prese con un uomo, che a ragione fu detto di ferro, che era l’arbitro del più formidabile Impero di Europa e che un dì aveva detto: – Molti tentarono di atterrare questa Chiesa cattolica; ma indarno: io tengo tal potere che spero di riuscire. Vedemmo i suoi Vescovi, i suoi Arcivescovi, i suoi preti sbandeggiati, insultati, gettati in carcere e dispersi, chiusi i templi, proclamato delitto battezzare, confessare, dir Messa senza il permesso del terribile uomo. La vedemmo questa Chiesa in Polonia stretta tra i ceppi d’una legislazione crudele, fatta più crudele per opera di spietati proconsoli, che la eseguivano. Pastori e fedeli condannati a languire nelle steppe abbandonate di Siberia, sulle rive della Lena e dell’Obi e non rare volte uccisi dai cosacchi a colpi di lancia nelle chiese, stretti agli altari. La vedemmo questa Chiesa bagnare del sangue de’ suoi Missionari i deserti del Sahara, le rive dei laghi Africani, le pianure della Cina, della Corea e del Tonchino. Stretta dovunque da nemici potentissimi, avvolta nelle maglie insidiose di leggi intese a farla schiava de’ Poteri laici, seppe sciogliersene e dalle patite persecuzioni trasse nuova forza e si circondò di gloria immortale. Contemplatela al presente in Germania, in Francia, in Inghilterra, nel Belgio, nelle Americhe, in Oriente, in Africa, dovunque: ha Essa guadagnato o perduto? Ha essa allargate o ristrette le sue tende? Ditelo voi. Il numero de’ suoi figli in pochi anni è cresciuto di parecchi milioni: di molte decine aumentato quello de’ Vescovi: da trent’anni è raddoppiato quello de’ suoi intrepidi Missionari, triplicato quello delle magnanime sue Suore: ritemprato lo spirito de’ fedeli: il prestigio del nome cattolico senza confronto maggiore che in passato e la potenza morale del Capo della Chiesa salita a tanta altezza quale da molti secoli non fu mai vista. Oh! dessa può ben sollevare la fronte cinta della aureola della vittoria e come Cristo gridare ai suoi nemici: Quando voi mi avete levato in alto sulla croce, io ho attirato a me ogni cosa -. Anch’Essa come Cristo, che balza dal sepolcro, serba sul suo corpo profonde cicatrici: ma scintillano come gemme preziose e ne accrescono la bellezza. Anch’Essa, come Cristo, allora vince e trionfa quando i suoi nemici maggiormente l’opprimono e la straziano e con Paolo esclama: Allora sono più forte quando maggiore apparisce la mia debolezza: Cum infirmus tum potens sum. Noi, figli della Chiesa Cattolica, tra gli altri abbiamo un obbligo grandissimo coi nostri nemici miei ed è, ch’essi colle calunnie, colle ingiurie, colle persecuzioni legali ed illegali, onde ci fan segno, ci addestrano alle lotte, ci costringono a vegliare, ci fanno sentire la necessità di levare la voce supplichevole a Dio e svegliano più gagliarda in noi la coscienza dei nostri diritti e della nostra forza. Non mai come in questi ultimi tempi di fiere lotte, che dobbiamo sostenere su tutti i punti della terra e sotto tutte le forme, sentimmo la virtù divina, che Cristo spande nella sua Chiesa, la certezza della vittoria e della perfetta libertà che ne sarà il frutto più prezioso. – Un giorno passeggiava soletto per una via solitaria che metteva ne’ campi: giunsi ad un punto, dove la via faceva una svolta e là sul ciglio sorgeva una giovane quercia, che in alto stendeva vigorosi i suoi rami. Alcuni fanciulli erano affaccendati intorno ad essa e si adoperavano a stringere il robusto tronco con vimini, con funicelle ed anche con cerchi di ferro tantoché tutto intorno ne era coperto e avvinto. – Che fate, miei figli? dissi loro -. Ed essi: – Noi vogliamo, risposero, che non cresca e che dissecchi. – Voi farete opera vana, replicai loro: la quercia spezzerà tutti i vostri legami – e passai oltre. Due anni dopo ripassai per quella via e giunto presso alla quercia, mi fermai, la guardai e la rividi più alta, più bella e più vigorosa. Mi ricordai dei fanciulli, dell’opera loro e delle loro parole: mi accostai maggiormente e coll’occhio cercai dei vimini, delle funicelle e dei cerchi di ferro, onde avevano stretto il fusto: non li trovai; solamente m’accorsi ch’esso qua e là conservava alcune tracce di quelle ritorte. Abbassai l’occhio e tra l’erbe e le foglie disseccate vidi ridotte in pezzi le ritorte di vimini, logorate e pressoché disfatte le funi, irrugginiti e spezzati i cerchi di ferro. La quercia, crescendo piena di vita, senza sforzo, senza rumore, senza aiuto di mano amica, per virtù propria, a poco a poco, l’uno dopo l’altro aveva fatto cadere a’ suoi piedi quei poveri legami e drizzava sicura verso del cielo la sua cima, inondata della luce del sole. O politici antichi e moderni, che pieni di sospetti ingiusti e di ridicoli timori, tenete sempre aperti gli occhi sulla Chiesa e ne spiate ogni parola, ogni atto, quasi fosse vostra nemica, mentre vuol essere vostra madre! Voi moltiplicate le vostre leggi, i vostri regolamenti per restringere l’azione della Chiesa, per ridurla all’impotenza: la vostra è opera vana: siete simili a quei fanciulli, che vi ho descritti intorno alla quercia. La Chiesa, simile a quella quercia, piena di quella vita, che le viene dall’alto, crescerà, crescerà sempre malgrado i vostri sforzi e farà cadere l’una dopo l’altra le vostre leggi, manderà in pezzi i vostri regolamenti, coi quali credevate stringerla o almeno impedire la sua espansione. Gittate lo sguardo sulla storia, risalite di secolo in secolo sino alla sua culla. Contate tutte le leggi, tutti i regolamenti, tutti i decreti, che Repubbliche, Re ed Imperatori, dai nostri giorni fino a Nerone, sancirono contro la Chiesa di Gesù Cristo: sono senza numero. Essi caddero tutti e dormono nella polvere degli archivi, se pure ne resta memoria; e quelli che ancor durano infallibilmente cadranno, non ne dubitate, e la Chiesa sta e starà, allargando le sue conquiste da un capo all’altro della terra. Essa non domanda che una sola cosa alle potenze tutte della terra, la libertà. Gliela accordano? Essa lieta e grata le benedice e ne usa a loro beneficio. Gliela rifiutano? Essa tranquilla e sicura di sé, senza fasto e senza timore, se la piglia e passa oltre egualmente, spargendo dovunque i suoi benefìci, anche a favore de’ suoi nemici, perché è simile a Cristo, che morì e risuscitò per tutti: è simile a Dio, che fa spuntare il sole sopra i buoni e sopra i malvagi e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. (S. Matt. V. 45).

 Credo…

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium 

Orémus 

Ps. LXXV: 9-10.

Terra trémuit, et quiévit, dum resúrgeret in judício Deus, allelúja. [La terra tremò e ristette, quando sorse Dio a fare giustizia, allelúia.]

Secreta

Súscipe, quaesumus, Dómine, preces pópuli tui cum oblatiónibus hostiárum: ut, Paschálibus initiáta mystériis, ad æternitátis nobis medélam, te operánte, profíciant. [O Signore, Ti supplichiamo, accogli le preghiere del pòpolo tuo, in uno con l’offerta di questi doni, affinché i medésimi, consacrati dai misteri pasquali, ci sérvano, per òpera tua, di rimédio per l’eternità.] –

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio 

1 Cor V: 7-8

Pascha nostrum immolátus est Christus, allelúja: itaque epulémur in ázymis sinceritátis et veritátis, allelúja, allelúja, allelúja. [Il Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato, allelúia: banchettiamo dunque con gli àzzimi della purezza e della verità, allelúia, allelúia, allelúia.]

Postcommunio 

 Orémus.

Spíritum nobis, Dómine, tuæ caritátis infúnde: ut, quos sacraméntis paschálibus satiásti, tua fácias pietáte concordes. [Infondi in noi, o Signore, lo Spírito della tua carità: affinché coloro che saziasti coi sacramenti pasquali, li renda unànimi con la tua pietà.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/13/ringraziamento-dopo-la-comunione-1/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

IL MISTERO DELLA REDENZIONE

IL MISTERO DELLA REDENZIONE

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

                      Ciclo di Pasqua:

4) Tempo della Settuagesima (Settuagesima-Ceneri).

5) Tempo di Quaresima (Ceneri-Dom. di Passione).

6) Tempo de la Passione (Dom. di Passione-Pasqua).

7) Tempo Pasquale (Pasqua-Trinità).

8) Tempo dopo la Pentecoste (Trinità-Avvento).

VII. – TEMPO PASQUALE.

Commento dogmatico: Pasqua.

La Chiesa, che ogni anno rinnova nella sua liturgia i ricordo degli avvenimenti della vita del Salvatore, ai quali ci invita a partecipare, celebra nella festa di Pasqua il trionfo di Gesù, vincitore della morte. Questo, come tutti sanno, è l’avvenimento centrale di tutta la storia, è il punto verso il quale tutto converge nella vita di Cristo, ed è anche il punto culminante della vita della Chiesa nel suo Ciclo liturgico. La Resurrezione del Salvatore è la prova più luminosa della sua divinità, perché bisogna essere Dio per poter, come diceva Gesù, « lasciare la propria vita e riprenderla di nuovo ». La fede nella Risurrezione di Gesù è dunque la base stessa della fede cristiana.  [Se Cristo non fosse risuscitato, vana e la vostra fede • I ai Corinti, XV, 14] Infatti la Pasqua di Cristo, ossia il suo passaggio dalla morte alla vita e dalla terra al cielo, è la consacrazione definitiva della vittoria che l’uomo, l’umanità intera hanno riportato in Gesù sul demonio, sulla carne e sul mondo. [Ai Col. , II, 15]Infattinoi siamo morti e risuscitati con Lui. Effettivamente la virtù diquesti misteri opera nei fedeli durante tutta la loro vita, e più specialmentedurante il Triduo Pasquale (Venerdì Santo, SabatoSanto, Domenica di Pasqua) allo scopo di farli passare dal peccatoalla grazia e più tardi dalla grazia alla gloria [« Dio ci ha dato la vittoria per nostro Signor G . C. » – I ai Cor., XV, 57). « Egli ci ha fatto risuscitare con Cristo e ci ha fatti sedere con lui nei cieli » – Agli Efes., II, 6). Il Martirologio romano dichiara che « la Resurrezione di nostro Signor Gesù Cristo secondo la carne è la Solennità delle Solennità e la nostra Pasqua ». Questa formola è il degno riscontro di quella che a Natale annunziava la nascita del Messia, poiché il Ciclo di Natale, cronologicamente il primo, logicamente dipende da quello di Pasqua. Dio si è fatto uomo (Natale) per far noi tutti partecipi della divinità (Pasqua). Nell’Incarnazione era l’anima di Gestì che nasceva alla vita divina, godendo della visione beatifica; nella Risurrezione era il suo corpo, che, a sua volta, entrava nella gloria di Dio. E come Gesù, nascendo in modo miracoloso dal seno di Maria, inizia la sua vita mortale, così risorgendo miracolosamente dal sepolcro, inizia la sua vita gloriosa [ « Tu, che nato una volta dalla Vergine, sorgi ora dal sepolcro » (Inno del Matutino). Egli nacque da Maria Vergine, come uscì dal sepolcro sigillato]. Perciò la settimana di Pasqua è la festa dei Battezzati e la Chiesa, concentrando tutte le sue cure di madre su questi, che S. Paolo chiama « I suoi neonati », li fortifica, dando loro, insieme all’Eucarestia [durante i giorni dell’Ottava di Pasqua, i neofiti assistevano alla Messa e si comunicavano; era un precetto generale] per 7 giorni esecutivi, alcune istruzioni riguardanti la Resurrezione, modello della nostra vita soprannaturale. « Se siete risuscitati con Cristo, dice S. Paolo, ricercate le cose celesti e non le cose di questa terra » [Ai Col. III,1] « Mortificate le vostre membra, spogliatevi dell’uomo vecchio e rivestitevi del nuovo». Dunque conclude S. Agostino: « Quando deponete la veste bianca del battesimo, custoditene sempre il candore nell’anima vostra » (Dom. in Albis). Il Tempo Pasquale rappresenta, dunque, un’epoca di rinnovellamento. In corrispondenza col periodo di quaranta giorni, nel quale dopo la sua Risurrezione, Gesù stabili la sua Chiesa, esso ci ricorda più specialmente la Chiesa nascente.

Al Ciclo dell’Incarnazione, nel quale noi adoriamo il Figlio di Dio fatto Uomo, corrisponde il Ciclo della Redenzione, in cui colla Sua immolazione, Egli ci merita la grazia. I Tempi della Settuagesima, della Quaresima, e della Passione, sono i tempi della lotta e della vittoria. Il Tempo Pasquale glorifica la vita divina che penetra e trasfigura l’umanità di Gesù Cristo nella sua Resurrezione e nella sua Ascensione. Il Tempo della Pentecoste ci mostra lo Spirito Santo che alimenta le nostre anime con questa vita divina e ci prepara alla resurrezione futura, allorché questa vita si manifesterà nei nostri corpi. Infatti tutti ricevevano una volta i Sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Eucarestia nel giorno della Resurrezione del Redentore o nel giorno di Pentecoste, che ricordavano loro, ogni anno, il doppio anniversario del trionfo di Cristo e del suo corpo mistico. [Come la liturgia quaresimale era più specialmente destinata ai sacramenti dei morti, la liturgia pasquale faceva partecipare ai sacramenti dei vivi. Fino al XII secolo in tutte le cattedrali di Occidente, i bambini dopo il Battesimo, amministrato nella notte del sabato, ricevevano immediatamente la Cresima e l’Eucarestia, che è un pegno della vita futura (0 sacrum convivium), poiché Gesù ha detto: « Colui che mangia la mia carne lo risusciterò nell’ultimo giorno » (S . Giov., VI, 55). Il Ciclo di Pasqua rievoca ogni anno il ricordo del nostro Battesimo, della nostra prima Comunione e della nostra Cresima; esso deve farci penetrare sempre più nella divina nuova vita che avrà il suo pieno sviluppo all’ultima venuta di Gesù [« Come tutti muoiono in Adamo, così tutti nel Cristo saranno vivificati. Ciascheduno, però, nel suo ordine: da prima il Cristo, che è la primizia, poi, alla sua venuta, quelli che gli appartengono. Quindi sarà la fine: quando rimetterà il regno a Dio eal Padre, quando avrà abolito ogni principato, ogni potestà, ogni virtù, poiché è necessario che Egli regni, fino a quando abbia posto sotto aj suoi piedi tutti i suoi nemici » – I Cor., XV. 22-25].

Il Tempo Pasquale è una figura del cielo, un irradiamento della Pasqua eterna, fine ultimo della nostra esistenza. E la Chiesa, che piangeva al tempo della Passione su Gesù e sui peccatori, ha adesso un doppio motivo di gioia, poiché Gesù è risuscitato e gli sono nati numerosi figliuoli. Questa allegrezza ci fa pregustare quella della nostra risurrezione e del nostro ingresso nella patria celeste, dove il Maestro è andato a prepararci un posto, verso il quale lo Spinto Santo, che Egli manda, ci condurrà.

Commento storico; Pasqua.

Fino all’Ascensione, la liturgia del Tempo Pasquale ci fa seguire Gesù nelle sue diverse manifestazioni presso il Santo Sepolcro, a Emmaus, al Cenacolo e in Galilea. Ce lo mostra mentre pone le basi della sua Chiesa e prepara i suoi discepoli al Mistero della sua Ascensione L’indomani del Sabato, prima che spuntasse il giorno, Maria Maddalena e altre due pie donne andarono al sepolcro, arrivarono che il sole era appena sorto. Era il primo giorno della settimana ebraica o domenica di Pasqua Un angelo aveva rovesciato la grande pietra che chiudeva la bocca del sepolcro e le guardie atterrite erano fuggite. Maddalena, vedendo il sepolcro aperto, corre a Gerusalemme per avvertire Pietro e Giovanni, mentre l’Angelo annunzia alle altre due pie donne la risurrezione di Gesù [Vang. del Sab. Santo e della Dom. di Pasqua]I due Apostoli vanno allora correndo al sepolcro (vedi pianta seguente) e constatano che il Maestro è sparito [Sab. Pasqua]. Maddalena, tornata alla tomba, fu la prima a vedere il Cristo risorto [Giov. di Pasqua]. Verso sera, i due discepoli, che vanno a Emmaus, vedono essi pure Gesù e ritornando immediatamente ad annunziarlo agli Apostoli, viene loro detto che il Salvatore è apparso a Pietro [Lun. di Pasqua]. La sera di quello stesso giorno Gesù Cristo si mostrò ai suoi discepoli, riuniti nel Cenacolo [Mart. di Pasqua] .Otto giorni dopo apparve loro di nuovo e convinse l’incredulo Tommaso [Dom. di Quasimodo]. Dopo l’Ottava di Pasqua i discepoli se ne tornarono in Galilea. Un giorno, in cui alcuni di loro attendevano alla pesca, ecco che Gesù si manifestò loro di nuovo Merc. Di Pasqua] . Si mostrò anche a 500 discepoli su di un monte che aveva loro indicato e che forse era il Thabor, o, più verosimilmente, una collina in riva al lago, come il Monte delle Beatitudini.

Il Vangelo della 2a Domenica dopo la Pasqua parla della parabola del Buon Pastore che Gesù pronunziò nel terzo anno del suo ministero, durante le feste dei Tabernacoli a Gerusalemme. I Vangeli delle tre domeniche seguenti sono presi dal discorso che Gesù pronunciò nell’ultima Cena. Questo discorso, riferito da S. Giovanni (dal Cap. XIV al XVII) è ripartito come segue nel Messale:

Cap. XIV, 1-13: Vangelo del 1° Maggio.

23-31: Vangelo della Domenica di Pentecoste.

Cap. XV, 1-7 : Vangelo di un Martire (T. P.).

5-11: Vangelo di più Martiri (T. P.).

12-16: Vangelo Vigilia di un Apostolo.

26-27: Vangelo Domenica nell’Ottava Ascensione.

Cap. 16 1-4 : Vangelo Domenica nell’Ottava Ascensione.

5-14: Vangelo 4a Domenica dopo Pasqua.

16-22: Vangelo 3a Domenica dopo Pasqua.

23-30: Vangelo 5a Domenica dopo Pasqua.

Cap. XVII 1-11: Vangelo Vigilia Ascensione.

In tale discorso Gesù svolge queste idee: Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; lascio di nuovo il mondo e vado presso il Padre. Rallegratevi perché vado a prepararvi un posto, affinché là dove sono Io siate voi pure. Ancora un poco e non mi vedrete più e sarete allora nella tristezza; ma non vi lascerò orfani e ritornerò a voi per mezzo del mio Spirito Santo, poiché se alcuno mi ama in questo Spirito Santo, mio Padre pure amerà lui e noi verremo a lui e presso lui faremo la nostra dimora. Domanderò dunque al Padre mio di inviarvi lo Spirito Santo e voi sarete allora nella gioia per sempre. E allorché questo Spirito sarà venuto renderà testimonianza di me, e pregherete allora il Padre nel mio Nome (cioè, unendovi a me, come le membra al loro capo e appoggiandovi sui miei meriti di cui conoscerete allora tutta l’efficacia). E voi mi renderete testimonianza davanti agli uomini, poiché vi ho scelti perché andiate e portiate frutto. Io sono la vite, voi i tralci. Se qualcuno dimora in me, Io in lui; egli porta molti frutti e sarà mondato per portarne ancora di più. Come il mondo ha perseguitato me, così perseguiterà voi pure. Ma non temete, poiché lo Spirito Santo parlerà per voi, e per bocca vostra convincerà il mondo del suo peccato. Per mezzo vostro mostrerà che insieme a satana è già giudicato, per aver rinnegato colui che il Padre ha inviato ed ha glorificato (resurrezione e ascensione), risuscitandolo e facendolo salire al cielo come lo prova la venuta di questo Spirito.

Commento liturgico: Pasqua.

Il Tempo Pasquale, che comincia il Sabato Santo e termina il Sabato dopo Pentecoste, forma come un unico giorno di festa, nel quale si celebrano i Misteri della Risurrezione, dell’Ascensione del Signore e della discesa dello Spirito Santo sulla Chiesa. La data di Pasqua che impera su tutte le feste mobili, è stata l’oggetto di solenni decisioni conciliari. Gesù era morto e risuscitato nell’epoca della Pasqua ebraica; e, dato che la celebrazione di questi misteri doveva sostituire i riti mosaici che ne erano soltanto la figura, la Chiesa conservò per la festa di Pasqua lo stesso modo di contare degli Ebrei. Fra l’anno lunare, in uso fra loro, e quello solare vi è un divario di undici giorni, donde risulta per la festa di Pasqua una variazione di data che va dal 22 Marzo al 25 Aprile. Fu deciso nel Concilio di Nicea di celebrarla sempre nella domenica dopo il plenilunio che cade il 21 marzo o lo segue immediatamente.

Durante il Tempo Pasquale la Chiesa orna i suoi santuari con ogni possibile magnificenza e l’organo prorompe negli accordi più festanti. II canto dell’Asperges viene sostituito da quello dei Vidi Aquam, che allude alla visione di Ezechiele che figura il sangue e l’acqua che sgorgano dal costato destro di Gesù trapassato dalla lancia e che sono simbolo delle grazie dell’Eucarestia e del Battesimo. Alcune preghiere, come l’Antifona Regina cœli, si recitano in piedi, come si conviene a trionfatori, e durante questi 50 giorni la Chiesa sopprime il digiuno. [Ciò che si osserva anche in tutte le Domeniche dell’anno, appunto perché la Domenica ricorda, ogni settimana, il mistero pasquale]. Dimenticando per così dire la terra, essa intona il canto ufficiale dell’allegrezza che S. Giovanni dice di aver udito in Cielo [Udii nel cielo come una grande voce di una folla immensa che diceva: Alleluia» (Apocalisse, XIX, 1)]. – Introito, antifona, versetti, responsori, tutto è seguito da questo ritornello entusiasta, di cui la Messa del Sabato Santo diceva: « V i annuncio una grande gioia che è Alleluia, Alleluia, Alleluia ». Fino al giorno dell’Ascensione il Cero pasquale, simbolo della presenza visibile di Gesù sulla terra, illumina l’assemblea con la sua fiamma radiosa e si usano paramenti bianchi che sono segno di gioia e di purezza. « Mostrate nella vostra condotta l’innocenza che il candore delle vostre vesti simboleggia », diceva Sant’Agostino ai neofiti rivestiti di tuniche bianche per tutta l’Ottava di Pasqua. Anticamente la Chiesa non ammetteva durante il Tempo Pasquale alcuna festa secondaria di Santi, per non distrarre il pensiero dei fedeli dalla contemplazione di Gesù trionfante. Durante tutto il Tempo Pasquale, i Martiri hanno una Messa speciale, perché sono stati associati più particolarmente alle lotte ed alla vittoria di Cristo. I Martiri formano in questa parte del Ciclo, il corteo del divino Risuscitato.

SABATO SANTO E LE 12 PROFEZIE

IL SABATO SANTO

L’uffizio del Sabato santo si compone di sei parti o cerimonie principali:

1.° La benedizione del nuovo fuoco;

2.° La benedizione del cero pasquale;

3.° Le lezioni;

4 °La benedizione del fonte;

5.° La Messa;

6.° Il Vespro.

La più venerabile antichità spira da queste belle cerimonie; le più commoventi ricordanze delle catacombe di Costantinopoli, di Nicea, di Gerusalemme, di tutte quelle grandi Chiese vengono l’una dopo l’altra sotto i nostri occhi. Possano le impressioni salutari che sono capaci di produrre, scolpirsi profondamente nelle anime nostre!

1.° La benedizione del fuoco sacro. Era un antico costume, stabilito fino dal IV secolo, di benedire ogni giorno, verso la sera, il fuoco col quale si doveano accendere le lampade per L’uFfizio dei vespri. Si cavava il fuoco dalla pietra invece di prenderlo dal focolare delle case. Un tal uso si riferisce a questo gran pensiero della Chiesa, che poiché tutte le creature sono state corrotte, non conviene servirsene senza benedizione nelle cerimonie del culto divino. Così fino dai primi secoli essa non si serviva del fuoco profano o comune nei sacrifizi e nelle pubbliche preghiere ove eran necessari i lumi. Dalla benedizione del fuoco, cerimonia ristretta ora al sabato santo, incomincia l’uffizio d’oggi. Si fa con molta solennità e con preci, poiché questo nuovo fuoco è per il Cristiano l’immagine della nuova legge, legge di grazia e di amore, che è per nascere dalla tomba del Cristo, come il fuoco antico è l’immagino dell’antica legge, spenta nel sangue del Salvatore. Quando adunque il clero è arrivato al coro, comincia le litanie de’ Santi; la Chiesa vuole che i suoi figli di già coronati nel cielo prendano parte alla gioia, onde all’apparizione della nuova legge si riempie il mondo, e che pregando per i fratelli in terra, ottengano loro la grazia di seguire siccome essi i comandamenti di questa santa legge, e di pervenire alla medesima felicità. Mentre si cantano le litanie, il Sacerdote benedice il novello fuoco. Questa è la prima parte dell’uffizio del sabato santo.

2.° La benedizione del cero pasquale. Il cero pasquale che non era in antico che una colonna, sulla quale il patriarca d’Alessandria scriveva l’epoca della pasqua e delle feste mobili che si ordinano secondo questa grande solennità. Essendo Alessandria la città ov’erano i migliori astronomi, il Vescovo doveva consultarli ogni anno, e dopo la loro conclusione determinare al Papa, e per lui a tutta la Chiesa, la prima domenica dopo il quattordicesimo giorno della luna di marzo. Allora si scriveva sulla cera, e sopra una specie di colonna formata di questa materia il Patriarca d’Alessandria distendeva il catalogo delle principali feste dell’anno. Il Papa riceveva questo canone [Si sa che la parola canone vuol dire regola. Quella colonna era il canone o la regola, secondo la quale si celebrava la pasqua e le feste mobili che ne dipendono.]  con rispetto, lo benediceva e ne inviava altri simili alle altre Chiese, che gli ricevevano con la medesima onoranza. Presto di questo bastone di cera si fece una candela che serviva a far lume nella notte di pasqua, e si riguardava nello stesso tempo come l’emblema di Gesù resuscitato. Il Papa Zosimo approvò quest’uso, e lo stabilì generalmente, ordinando a tutte le chiese parrocchiali di benedire il sabato santo un cero pasquale. [Zosimus papa decrevit oereum sabbato sancto Paschœ per ecclesias benedici (Sigebertus) M. Thirat, Spir. delle Cerem.]. Col fuoco sacro si accende il cero pasquale. Non è permesso di accenderlo diversamente, come gli altri ceri destinati per gli uffizi e la Messa della vigilia di Pasqua, Ogn’altro fuoco è dichiarato estraneo e profano, simile a quello che irritò il Signore contro Nadab e Abiu, e fu la causa della loro morte. La benedizione del cero pasquale risale alla più remota antichità: si trova di già nelle belle operedi sant’Ennodio, vescovo di Pavia, che viveva al principio del VI secolo. Questo cero molto alto è posto sopra un candelabro nel mezzo del santuario, in faccia all’altare: sta acceso all’uffizio del, sabato santo, alla Messa e al vespro per tutta la settimana di pasqua; e quindi alla Messa ed ai vespri delle domeniche e feste fino all’Ascensione. In tal giorno dopo il Vangelo della Messa solenne il cero immediatamente si toglie: in questo momento il Salvatore, tolto alla terra, ascende al cielo. – Tutte queste particolarità indicano abbastanza i l misterioso significato del cero pasquale. È il primo simbolo della Resurrezione di Gesù Cristo, che la Chiesa propone ai Fedeli il sabato santo: rammenta al tempo istesso che il loro divino Redentore è la luce del mondo. Così non vi è nulla di più magnifico nella liturgia, nulla di più celebre della formola usata per benedirlo; che comincia con queste parole: Exultet jam angelica turba cœlorum etc.

Gli Angeli del cielo, la milizia dell’alto, si rallegrino e tripudino di giubbilo, e lo squillo delle trombe annunzi i nostri sacrifizi di gioia. La terra gioisca della sua felicità, e si rallegri nel glorioso lume che a lei è venuto. E tu, santa Chiesa, nostra madre, tu ancor ti rallegra: eccoti raggiante nel lume della face divina, della face che illumina l’universo.

Echeggi il luogo santo alla viva gioia dei popoli: salgano al cielo gli applausi della terra.

In tutto il resto domina lo stesso entusiasmo. Degno del genio di s. Agostino è questa benedizione, che si crede composta da lui.

Il diacono canta questo bell’annunzio della festa di Pasqua; poiché la benedizione del cero pasquale è sempre stata del ministero del diacono, in presenza dello stesso Vescovo o del Sacerdote uffiziante. Il diacono allora è come un araldo del cielo che annunzia alla Chiesa la gloriosa resurrezione di Gesù Cristo, il suo trionfo in questo mistero, le splendide testimonianze della misericordia di Lui, e la felicità dell’uomo riconciliato col suo Dio per il compimento della grand’opera della redenzione. – I cinque grani d’incenso che egli inserisce nel corpo del cero, in forma di croce, sono un emblema delle cinque piaghe del nostro Signore, e degli aromi che servirono ad imbalsamarlo. La preghiera che la Chiesa adopera per benedirli, non lascia su ciò verun dubbio. Questa preghiera ci dimostra ancora l’efficacia del cero benedetto, come di tutte le altre cose santificate per allontanare il demonio, i flagelli e le malattie. D’ora innanzi, quando vedremo accendere il cero pasquale, pensiamo seriamente a resuscitare con Gesù Cristo, e quando da Pasqua all’Ascensione ce lo vedremo brillare davanti agli occhi, come la colonna luminosa che conduceva Israele verso la terra promessa, chiediamo a noi stessi se camminiamo fedelmente dietro il Salvatore resuscitato, se ci avanziamo verso il cielo, vera terra premessa del Cristiano.

Exsúltet jam Angélica turba cœlórum:

exsúltent divína mystéria: et pro tanti Regis victória tuba ínsonet salutáris. Gáudeat et tellus tantis irradiáta fulgóribus: et ætérni Regis splendóre illustráta, totíus orbis se séntiat amisísse calíginem. Lætétur et mater Ecclésia, tanti lúminis adornáta fulgóribus: et magnis populórum vócibus hæc aula resúltet. Quaprópter astántes vos, fratres caríssimi, ad tam miram hujus sancti lúminis claritátem, una mecum, quæso, Dei omnipoténtis misericórdiam invocáte. Ut, qui me non meis méritis intra Levitárum númerum dignatus est aggregáre: lúminis sui claritátem infúndens, Cérei huius laudem implére perfíciat. Per Dominum nostrum Jesum Christum, Fílium suum: qui cum eo vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus: Per omnia sǽcula sæculórum.

[Esulti ormai l’angelico coro degli Angeli: vibrino di gioia i divini misteri; risuoni la tromba sacra per la vittoria del Gran Re. S’allieti la terra irradiata dagli splendori di sì grande trionfo e, illustrata dai fulgori dell’Eterno Re, si senta libera dalla caligine del mondo intero. Si rallegri la Chiesa, nostra Madre, adornata dei raggi di tanta gran luce, ed echeggi questo tempio delle più sonore voci dei popoli. Perciò, o fratelli dilettissimi, qui presenti allo splendore mirabile di questa luce santa, vi supplico di unirvi a me per invocare la misericordia di Dio onnipotente; affinché dopo avermi accolto nel numero dei suoi Leviti, senza alcun mio merito, mi doni un raggio della sua luce e mi dia la grazia di cantare degnamente le lodi di questo Cero. Per nostro Signore Gesù Cristo Figlio suo, che con Lui vive per tutti i secoli dei secoli.]

3.° Le lezioni. La terza parte dell’uffizio del sabato santo contiene le lezioni. Quando il diacono ha terminato la benedizione del cero pasquale, depone la dalmatica, e vestito del camice e della stola, sale alla tribuna a cantare la prima lezione. Le altre lezioni son cantate de chierici di grado inferiore. Al gran mistero di nostra rigenerazione la Chiesa ha avuto l’intenzione di applicare il senso di queste dodici lezioni, chiamate profezie: esse sono senza titolo in segno di lutto.

Prophetiæ

I. Profezia (Gen. I, 1-31; II, 1-2)

(Come una nuova creazione il Battesimo renderà alle anime i diritti che avevano, prima della caduta di Adamo, nell’Eden)


In princípio creavit Deus cœlum et terram. Terra autem erat inánis et vácua, et ténebræ erant super fáciem abýssi: et Spíritus Dei ferebátur super aquas. Dixítque Deus: Fiat lux. Et facta est lux. Et vidit Deus lucem, quod esset bona: et divísit lucem a ténebris. Appellavítque lucem Diem, et ténebras Noctem: factúmque est véspere et mane, dies unus. Dixit quoque Deus: Fiat firmaméntum in médio aquárum: et dívidat aquas ab aquis. Et fecit Deus firmaméntum, divisítque aquas, quæ erant sub firmaménto,ab his, quæ erant super firmaméntum. Et factum est ita. Vocavítque Deus firmaméntum, Cœlum: et factum est véspere et mane, dies secúndus. Dixit vero Deus: Congregéntur aquæ, quæ sub cœlo sunt, in locum unum: et appáreat árida. Et factum est ita. Et vocávit Deus áridam, Terram: congregationésque aquárum appellávit Maria. Et vidit Deus, quod esset bonum. Et ait: Gérminet terra herbam viréntem et faciéntem semen, et lignum pomíferum fáciens fructum juxta genus suum, cujus semen in semetípso sit super terram. Et factum est ita. Et prótulit terra herbam viréntem et faciéntem semen juxta genus suum, lignúmque fáciens fructum, et habens unumquódque seméntem secúndum spéciem suam. Et vidit Deus, quod esset bonum. Et factum est véspere et mane, dies tértius. Dixit autem Deus: Fiant luminária in firmaménto cœli, et dívidant diem ac noctem, et sint in signa et témpora et dies et annos: ut lúceant in firmaménto cœli, et illúminent terram. Et factum est ita. Fecítque Deus duo luminária magna: lumináre majus, ut præésset diéi: et lumináre minus, ut præésset nocti: et stellas. Et pósuit eas in firmaménto cœli, ut lucérent super terram, et præéssent diéi ac nocti, et divíderent lucem ac ténebras. Et vidit Deus, quod esset bonum. Et factum est véspere et mane, dies quartus. Dixit etiam Deus: Prodúcant aquæ réptile ánimæ vivéntis, et volátile super terram sub firmaménto cæli. Creavítque Deus cete grándia, et omnem ánimam vivéntem atque motábilem, quam prodúxerant aquæ in spécies suas, et omne volátile secúndum genus suum. Et vidit Deus, quod esset bonum. Benedixítque eis, dicens: Créscite et multiplicámini, et repléte aquas maris: avésque multiplicéntur super terram. Et factum est véspere et mane, dies quintus. Dixit quoque Deus: Prodúcat terra ánimam vivéntem in génere suo: juménta et reptília, et béstias terræ secúndum spécies suas. Factúmque est ita. Et fecit Deus béstias terræ juxta spécies suas, et juménta, et omne réptile terræ in génere suo. Et vidit Deus, quod esset bonum, et ait: Faciámus hóminem ad imáginem et similitúdinem nostram: et præsit píscibus maris et volatílibus cœli, et béstiis universæque terræ, omníque réptili, quod movétur in terra. Et creávit Deus hóminem ad imáginem suam: ad imáginem Dei creávit illum, másculum et féminam creávit eos. Benedixítque illis Deus, et ait: Créscite et multiplicámini, et repléte terram, et subjícite eam, et dominámini píscibus maris et volatílibus cœli, et univérsis animántibus, quæ movéntur super terram. Dixítque Deus: Ecce, dedi vobis omnem herbam afferéntem semen super terram, et univérsa ligna, quæ habent in semetípsis seméntem géneris sui, ut sint vobis in escam: et cunctis animántibus terræ, omníque vólucri cœli, et univérsis, quæ movéntur in terra, et in quibus est ánima vivens, ut hábeant ad vescéndum. Et factum est ita. Vidítque Deus cuncta, quæ fécerat: et erant valde bona. Et factum est véspere et mane, dies sextus. Igitur perfécti sunt cœli et terra, et omnis ornátus eórum. Complevítque Deus die séptimo opus suum, quod fécerat: et requiévit die séptimo ab univérso ópere, quod patrárat.

[In principio Dio creò il cielo e la terra. Or la terra era solitudine e caos, e le tenebre coprivano la faccia dell’abisso, ma lo Spirito di Dio si librava sopra le acque. Allora Dio disse: «Sia la luce». E luce fu. E Dio vide che la luce era buona, e separò la luce dalle tenebre. E diede il nome di Giorno alla luce e di Notte alle tenebre. Così si fece sera e poi mattina: primo giorno. Poi Dio disse: «Ci sia uno strato in mezzo alle acque, e separi le acque dalle acque». E Dio fece lo strato, e separò le acque che erano sotto da quelle che erano sopra lo strato. E così fu. E Dio chiamò Cielo lo strato. Intanto si fece sera e poi mattina: secondo giorno. Poi Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo si radunino in un solo luogo, e appaia l’asciutto». E così fu. E Dio chiamò Terra l’asciutto, e Mare l’ammasso delle acque. E Dio vide che ciò era ben fatto. Quindi disse: «Produca la terra erba verdeggiante che faccia seme, e piante fruttifere che diano frutto secondo la loro specie ed abbiano in se stesse la propria semenza sopra la terra». E così fu. E la terra produsse verdura, erba che fa seme della sua specie, e piante che danno frutto ed hanno ciascuna la semenza secondo la propria specie. E Dio vide che ciò era ben fatto. Intanto si fece sera e poi mattino: terzo giorno. Dio disse ancora: «Vi siano dei luminari nella volta del cielo per distinguere il giorno dalla notte e siano segni dei tempi, dei giorni e degli anni, e risplendano nel firmamento del cielo per far luce sulla terra». E così fu. E Dio fece i due grandi luminari: il luminare maggiore, affinché presiedesse al giorno: il luminare minore, affinché presiedesse alla notte; e fece pure le stelle. E le mise nella volta del cielo, perché dessero luce alla terra e regolassero il giorno e la notte, e separassero la luce dalle tenebre. E Dio vide che ciò era ben fatto. Intanto si fece sera e poi mattino: quarto giorno. Disse poi Dio: «Brulichino le acque di animali e gli uccelli volino sopra la terra, sotto la volta del cielo». E Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli animali viventi striscianti, di cui si popolarono le acque, secondo le loro specie, ed ogni volatile secondo la sua specie. E Dio vide che ciò era ben fatto. E li benedisse, dicendo: «Crescete e moltiplicatevi, e popolate le acque del mare, e si moltiplichino gli uccelli sopra la terra». E intanto si fece sera e poi mattino: quinto giorno. Disse ancora Dio: «Produca la terra animali viventi secondo la loro specie, animali domestici, e rettili e bestie selvatiche della terra, secondo la loro specie». E così fu. E Dio fece le fiere terrestri, secondo la loro specie, e gli animali domestici, e tutti i rettili della terra, secondo la loro specie. E Dio vide che ciò era ben fatto. Poi Dio disse: «Facciamo l’Uomo a nostra immagine e somiglianza, che domini i pesci del mare, i volatili del cielo, le bestie, e tutta la terra, e tutti i rettili che strisciano sopra la terra». Dio creò l’uomo a sua immagine, lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina. E Dio li benedì dicendo: «Crescete e moltiplicatevi, e riempite la terra e rendetevela soggetta, e dominate sui pesci del mare, e sui volatili del cielo, e sopra tutti gli animali che si muovono sulla terra». E Dio disse: «Ecco io vi do tutte le erbe che fanno seme sulla terra e tutte le piante che hanno in se stesse semenza della loro specie, perché servano di cibo a voi; e a tutti gli animali della terra, e a tutti gli uccelli del cielo e a quanto si muove sulla terra ed ha in sé anima vivente, affinché abbiano da mangiare». E così fu. E Dio vide tutte le cose che aveva fatte; ed esse erano molto buone. Intanto si fece sera e poi mattino: sesto giorno. Così furono compiuti i cieli e la terra e tutto il loro assetto. E Dio nel settimo giorno finì l’opera che aveva fatta e nel settimo giorno si riposò da tutte le opere che aveva compiute].

II. Profezia (Gen. V, 32 – VIII, 8, 21)

(Dio, per mezzo del Battesimo fa entrare le anime nella Chiesa, che è l’arca di salvezza)

Noë vero cum quingentórum esset annórum, génuit Sem, Cham et Japheth. Cumque cœpíssent hómines multiplicári super terram et fílias procreássent, vidéntes fílii Dei fílias hóminum, quod essent pulchræ, accepérunt sibi uxóres ex ómnibus, quas elégerant. Dixítque Deus: Non permanébit spíritus meus in hómine in ætérnum,quia caro est: erúntque dies illíus centum vigínti annórum. Gigántes autem erant super terram in diébus illis. Postquam enim ingréssi sunt fílii Dei ad fílias hóminum illæque genuérunt, isti sunt poténtes a sǽculo viri famósi. Videns autem Deus, quod multa malítia hóminum esset in terra, et cuncta cogitátio cordis inténta esset ad malum omni témpore, pænítuit eum, quod hóminem fecísset in terra. Et tactus dolóre cordis intrínsecus: Delébo, inquit, hóminem, quem creávi, a fácie terræ, ab hómine usque ad animántia, a réptili usque ad vólucres cœli; pænitet enim me fecísse eos. Noë vero invénit grátiam coram Dómino. Hæ sunt generatiónes Noë: Noë vir justus atque perféctus fuit in generatiónibus suis, cum Deo ambulávit. Et génuit tres fílios, Sem, Cham et Japheth. Corrúpta est autem terra coram Deo et repléta est iniquitáte. Cumque vidísset Deus terram esse corrúptam , dixit ad Noë: Finis univérsæ carnis venit coram me: repléta est terra iniquitáte a fácie eórum, et ego dispérdam eos cum terra. Fac tibi arcam de lignis lævigátis: mansiúnculas in arca fácies, et bitúmine línies intrínsecus et extrínsecus. Et sic fácies eam: Trecentórum cubitórum erit longitúdo arcæ, quinquagínta cubitórum latitúdo, et trigínta cubilórum altitúdo illíus. Fenéstram in arca fácies, et in cúbito consummábis summitátem ejus: óstium autem arcæ pones ex látere: deórsum cenácula et trístega fácies in ea. Ecce, ego addúcam aquas dilúvii super terram, ut interfíciam omnem carnem, in qua spíritus vitæ est subter cœlum. Univérsa, quæ in terra sunt, consuméntur. Ponámque fœdus meum tecum: et ingrédiens arcam tu et fílii tui, uxor tua et uxóres filiórum tuórum tecum. Et ex cunctis animántibus univérsæ carnis bina indúces in arcam, ut vivant tecum: masculíni sexus et feminíni. De volúcribus juxta genus suum, et de juméntis in génere suo, et ex omni réptili terræ secúndum genus suum: bina de ómnibus ingrediántur tecum, ut possint vívere. Tolles ígitur tecum ex ómnibus escis, quæ mandi possunt, et comportábis apud te: et erunt tam tibi quam illis in cibum. Fecit ígitur Noë ómnia, quæ præcéperat illi Deus. Erátque sexcentórum annórum, quando dilúvii aquæ inundavérunt super terram. Rupti sunt omnes fontes abýssi magnæ, et cataráctæ cœli apértæ sunt: et facta est plúvia super terram quadragínta diébus et quadragínta nóctibus. In artículo diei illíus ingréssus est Noë, et Sem et Cham et Japheth, fílii ejus, uxor illíus et tres uxóres filiórum ejus cum eis in arcam: ipsi, et omne ánimal secúndum genus suum, univérsaque juménta in génere suo, et omne, quod movétur super terram in génere suo, cunctúmque volátile secúndum genus suum. Porro arca ferebátur super aquas. Et aquæ prævaluérunt nimis super terram: opertíque sunt omnes montes excélsi sub univérso cœlo. Quíndecim cúbitis áltior fuit aqua super montes, quos operúerat. Consúmptaque est omnis caro, quæ movebátur super terram, vólucrum, animántium, bestiárum, omniúmque reptílium, quæ reptant super terram. Remánsit autem solus Noë, et qui cum eo erant in arca. Obtinuerúntque aquæ terram centum quinquagínta diébus. Recordátus autem Deus Noë, cunctorúmque animántium et ómnium jumentórum, quæ erant cum eo in arca, addúxit spíritum super terram, et imminútæ sunt aquæ. Et clausi sunt fontes abýssi et cataráctæ cœli: et prohíbitæ sunt plúviæ de cœlo. Reversæque sunt aquæ de terra eúntes et redeúntes: et cœpérunt mínui post centum quinquagínta dies. Cumque transíssent quadragínta dies, apériens Nœ fenéstram arcæ, quam fécerat, dimísit corvum, qui egrediebátur, et non revertebátur, donec siccaréntur aquæ super terram. Emísit quoque colúmbam post eum, ut vidéret, si jam cessássent aquæ super fáciem terræ. Quæ cum non invenísset, ubi requiésceret pes ejus, revérsa est ad eum in arcam: aquæ enim erant super univérsam terram: extendítque manum et apprehénsam íntulit in arcam. Exspectátis autem ultra septem diébus áliis, rursum dimisit colúmbam ex arca. At illa venit ad eum ad vésperam, portans ramum olívæ viréntibus fóliis in ore suo. Intelléxit ergo Noë, quod cessássent aquæ super terram. Exspectavítque nihilminus septem álios dies: et emísit colúmbam, quæ non est revérsa ultra ad eum. Locútus est autem Deus ad Noë, dicens: Egrédere de arca, tu et uxor tua, fílii tui et uxóres filiórum tuórum tecum. Cuncta animántia, quæ sunt apud te, ex omni carne, tam in volatílibus quam in béstiis et univérsis reptílibus, quæ reptant super terram, educ tecum, et ingredímini super terram: créscite et multiplicámini super eam. Egréssus est ergo Noë et fílii ejus, uxor illíus et uxóres filiórum ejus cum eo. Sed et ómnia animántia, juménta et reptília, quæ reptant super terram, secúndum genus suum, egréssa sunt de arca. Ædificávit autem Noë altáre Dómino: et tollens de cunctis pecóribus et volúcribus mundis, óbtulit holocáusta super altáre. Odoratúsque est Dóminus odórem suavitátis.

[Noè, essendo in età di cinquecento anni, generò Sem, Cam e Jafet. E avendo principiato gli uomini a moltiplicarsi sopra la terra e avendo procreato delle figliuole, vedendo i figliuoli di Dio la bellezza delle figliuole degli uomini presero per loro mogli quelle che più di tutte loro piacevano. E disse il Signore : Non rimarrà il mio spirito per sempre nell’uomo, perché egli è carne e i suoi giorni saranno solamente di cento veti anni. In quel tempo vi erano sopra la terra dei giganti: poiché, dopo che si accostarono i figliuoli di Dio alle figliuole degli uomini, esse generarono, e ne vennero questi uomini, forti e robusti, famosi nei secoli. — Vedendo dunque Dio quanto grande era la malizia degli uomini sopra la terra, e tutti i pensieri del loro cuore erano continuamente intesi al mal fare, si pentì d’aver fatto l’uomo. E preso come da un intimo strazio a! cuore: Sterminerò, disse egli, l’uomo da me creato dalla faccia della terra, dall’uomo sino agli animali, dai rettili fino agli uccelli dell’aria; poiché mi pento di averli fatti. — Ma Noè trovò grazia dinanzi al Signore. Questa è la Ascendenza di Noè. Noè fu uomo giusto e perfetto nei suoi, tempi, e camminò con Dio. E generò tre figliuoli: Sem, Cam e Jafet. Ma era corrotta la terra davanti a Dio e ripiena d’iniquità. E avendo veduto Dio come la terra era corrotta, poiché ogni uomo era corrotto nella sua maniera di vivere sulla terra, disse a Noè: Nei miei decreti è imminente la fine di tutti gli uomini; la terra è ripiena d’iniquità per opera loro, e io li sterminerò insieme con la terra. Tu costruirai un’arca con legni lavorati; tu farai delle piccole stanze nell’arca e la invernicerai di bitume di dentro e di fuori. E in questo modo la farai: la lunghezza dell’arca sarà di trecento cubiti, di cinquanta cubiti la larghezza e di trenta l’altezza. Farai una finestra nell’arca e il tetto dell’arca lo farai che vada alzandosi fino ad un cubito. La porta poi dell’arca la farai da un lato; vi farai un piano in fondo, un secondo piano e un terzo piano. Ecco che io manderò le acque del diluvio sopra la terra ad uccidere tutti gli animali che hanno spirito di vita sotto il cielo: tutto quello che è sopra la terra andrà in perdizione. Ma io farò un patto con te ed entrerai nell’arca tu, e i tuoi figli, tua moglie e le mogli dei tuoi figli. E di tutti gli animali d’ogni specie, ne farai entrare nell’arca una coppia, un maschio e una femmina, affinché si salvino con te. Degli uccelli secondo la specie e delle bestie di ogni specie, e di tutti i rettili della terra secondo la loro specie, due entreranno nell’arca con te, affinché possano conservarsi. Prenderai dunque con te di tutte quelle cose che si possono mangiare, e le porterai in questa tua casa e serviranno a te e a loro di cibo. Fece dunque Noè tutto quello che gli aveva comandato il Signore. Ed. egli era in età di seicento anni allorché le acque del diluvio inondarono la terra. Si squarciarono allora tutte le sorgenti del grande abisso, e le cateratte del cielo si aprirono: e piovve sopra la terra per quaranta giorni e quaranta notti. In quello stesso giorno entrò Noè e Sem, Cam e Jafet suoi figliuoli, la moglie di lui e le tre mogli dei suoi figliuoli con essi nell’arca: essi e tutti gli animali secondo la loro specie, e tutto quello che si muove sopra la terra secondo la loro specie. Ora l’arca galleggiava sopra le acque. E le acque ingrossarono fuor di misura sopra la terra: e rimasero coperti tutti i monti più alti sotto il cielo, Quindici cubiti si alzò l’acqua sopra i monti che aveva ricoperti. E restò consunta ogni carne che ha moto sopra la terra, gli uccelli, gli animali; le bestie e tutti i rettili che strisciano sopra la terra: e rimase solo Noè e quelli che con lui erano nell’arca. Le acque occuparono la terra per centocinquanta giorni, ma ricordandosi il Signore di Noè e di tutti gli animali e di tutte le bestie che erano con essi nell’arca, mandò il vento sulla terra, e si abbassarono le acque. E furono chiuse le sorgenti del grande abisso e le cateratte del cielo, e si arrestarono le piogge dal cielo. E si ritirarono le acque dalla terra andando e venendo: e cominciarono a scemare dopo centocinquanta giorni. E passati quaranta giorni, Noè, aperta la finestra che egli aveva fatta nell’arca, mandò fuori il corvo, il quale uscì e non tornò fino a tanto che le acque non s’asciugarono sulla terra. Mandò ancora dopo di esso la colomba per vedere se fossero sparite le acque sopra la faccia della terra. Ma la colomba, non avendo trovato ove posare il suo piede tornò a lui nell’arca: poiché le acque erano per tutta la terra: egli stese la mano e presala, la mise dentro l’arca. E avendo aspettato altri sette giorni, di nuovo mandò la colomba fuori dell’arca; ed ella tornò a lui alla sera portando in bocca un ramo d’olivo con verdi foglie. Comprese allora Noè che erano cessate le acque sopra la terra e aspettò non di meno altri sette giorni e rimandò la colomba, la quale non tornò più a lui. E parlò Dio a Noè dicendo: Esci dall’arca tu e tua moglie, i figli tuoi e le mogli dei tuoi figli con te. Tutti gli animali che sono presso di te d’ogni specie, sia di volatili sia di bestie o di rettili striscianti sulla terra, conducili con te; rientrate sulla terra: crescete e moltiplicatevi. E Noè usci coi figliuoli e sua moglie e le mogli dei suoi figli con lui. E tutti, con gli animali e le bestie e i rettili che strisciano sulla terra secondo la loro specie, uscirono dall’arca. E Noè edificò un altare al Signore e, presi tutti gli animali e uccelli mondi, ne offrì in olocausto sopra l’altare. E il Signore gradì il soave odore.]

III. Profezia (Gen. XXII, 1-19)

(Col Battesimo e con la fede in Gesù Cristo i neofiti divengono i figli che Dio aveva promesso ad Abramo)

In diébus illis: Tentávit Deus Abraham, et dixit ad eum: Abraham, Abraham. At ille respóndit: Adsum. Ait illi: Tolle fílium tuum unigénitum, quem diligis, Isaac, et vade in terram visiónis: atque ibi ófferes eum in holocáustum super unum móntium, quem monstrávero tibi. Igitur Abraham de nocte consúrgens, stravit ásinum suum: ducens secum duos júvenes et Isaac, fílium suum. Cumque concidísset ligna in holocáustum, ábiit ad locum, quem præcéperat ei Deus. Die autem tértio,elevátis óculis, vidit locum procul: dixítque ad púeros suos: Exspectáte hic cum ásino: ego et puer illuc usque properántes, postquam adoravérimus, revertémur ad vos. Tulit quoque ligna holocáusti, et impósuit super Isaac, fílium suum: ipse vero portábat in mánibus ignem et gládium. Cumque duo pérgerent simul, dixit Isaac patri suo: Pater mi. At ille respóndit: Quid vis, fili? Ecce, inquit, ignis et ligna: ubi est víctima holocáusti? Dixit autem Abraham: Deus providébit sibi víctimam holocáusti, fili mi. Pergébant ergo páriter: et venérunt ad locum, quem osténderat ei Deus, in quo ædificávit altáre et désuper ligna compósuit: cumque alligásset Isaac, fílium suum, pósuit eum in altare super struem lignórum. Extendítque manum et arrípuit gládium, ut immoláret fílium suum. Et ecce, Angelus Dómini de cœlo clamávit, dicens: Abraham, Abraham. Qui respóndit: Adsum. Dixítque ei: Non exténdas manum tuam super púerum neque fácias illi quidquam: nunc cognóvi, quod times Deum, et non pepercísti unigénito fílio tuo propter me. Levávit Abraham óculos suos, vidítque post tergum aríetem inter vepres hæréntem córnibus, quem assúmens óbtulit holocáustum pro fílio. Appellavítque nomen loci illíus, Dóminus videt. Unde usque hódie dícitur: In monte Dóminus vidébit. Vocávit autem Angelus Dómini Abraham secúndo de cœlo, dicens: Per memetípsum jurávi, dicit Dóminus: quia fecísti hanc rem, et non pepercísti fílio tuo unigénito propter me: benedícam tibi, et multiplicábo semen tuum sicut stellas cœli et velut arénam, quæ est in lítore maris: possidébit semen tuum portas inimicórum suórum, et benedicéntur in sémine tuo omnes gentes terræ, quia obœdísti voci meæ. Revérsus est Abraham ad púeros suos, abierúntque Bersabée simul, et habitávit ibi.

[In quei giorni Dio provò Abramo e gli disse: Abramo, Abramo. Ed egli rispose: Eccomi. E Dio gli disse: Prendi il tuo figlio unigenito, il diletto Isacco, e va nella terra della visione e ivi lo offrirai in olocausto sopra uno dei monti che io ti indicherò. Abramo, dunque, mentre era ancora notte alzatosi, preparò il suo asino e prese con se due servi e Isacco suo figliuolo: e tagliate le legna per l’olocausto, s’incamminò verso il luogo assegnatogli da Dio. E il terzo giorno, alzati gli occhi, vide il luogo da lungi e disse ai suoi servi: aspettate qui con l’asino: io e il fanciullo andremo fin là con prestezza; e, come avremo fatto adorazione, torneremo da voi. Prese anche la legna per l’olocausto e la pose addosso a Isacco suo figliuolo: egli poi portava colle sue mani il fuoco e il coltello. E mentre tutti e due camminavano insieme, disse Isacco a suo padre: Padre mio. E quegli rispose: Che vuoi figliuolo? Ecco, disse quegli, il fuoco e la legna: dov’è la vittima dell’olocausto ? E Abramo soggiunse: Dio ci provvederà la vittima per l’olocausto, figliuolo mio. Andavano dunque innanzi assieme. E giunti al luogo mostrato a lui da Dio, edificò un altare e sopra vi accomodò la legna, e avendo legato Isacco, suo figlio, lo collocò sull’altare, sopra il mucchio della legna.. E stese la mano, e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma ecco l’Angelo del Signore dal cielo gridò, dicendo: Abramo, Abramo. E questi rispose: Eccomi. E quegli a lui disse: Non stendere le tue mani sopra il .fanciullo e non fare a lui male alcuno; adesso ho conosciuto che tu temi Iddio e non hai risparmiato il figliuolo tuo unigenito per me. Alzò Abramo gli occhi e vide dietro a se un ariete che si dimenava tra i pruni e presolo per le corna, lo tolse e lo offerse in olocausto invece del figlio, e a quel luogo pose nome: il Signore vede! Donde fin a quest’oggi si dice: Sul monte il Signore provvederà. Per la seconda volta l’Angelo del Signore chiamò Abramo dal cielo dicendo: Per me medesimo ho giurato, dice il Signore: giacche hai fatto una tal cosa e non hai perdonato al tuo figlio unigenito per me, io ti benedirò e moltiplicherò la tua stirpe come le stelle del cielo e come l’arena che è sul lido del mare; s’impadronirà la tua stirpe delle porte dei suoi nemici; e nella tua discendenza benedette saranno tutte le nazioni della terra, perché hai ubbidito alla mia voce. Tornò Abramo dai suoi servi: e se ne andarono insieme a Bersabea, ove egli abitò]

IV Profezia (Es. XIV, 24-31; XV, 1)

(Col Battesimo Gesù strappa i catecumeni dal giogo di satana; come Mosè liberò gli Israeliti dalla schiavitù dell’Egitto)

In diébus illis: Factum est in vigília matutina, et ecce, respíciens Dóminus super castra Ægyptiórum per colúmnam ignis et nubis, interfécit exércitum eórum: et subvértit rotas cúrruum, ferebantúrque in profúndum. Dixérunt ergo Ægýptii: Fugiámus Israélem: Dóminus enim pugnat pro eis contra nos. Et ait Dóminus ad Móysen: Exténde manum tuam super mare, ut revertántur aquæ ad Ægýptios super currus et équites eórum. Cumque extendísset Moyses manum contra mare, revérsum est primo dilúculo ad priórem locum: fugientibúsque Ægýptiis occurrérunt aquæ, et invólvit eos Dóminus in médiis flúctibus. Reversæque sunt aquæ, et operuérunt currus, et équites cuncti exércitus Pharaónis, qui sequéntes ingréssi fúerant mare: nec unus quidem supérfuit ex eis. Fílii autem Israël perrexérunt per médium sicci maris, et aquæ eis erant quasi pro muro a dextris et a sinístris: liberavítque Dóminus in die illa Israël de manu Ægyptiórum. Et vidérunt Ægýptios mórtuos super litus maris, et manum magnam, quam exercúerat Dóminus contra eos: timuítque pópulus Dóminum, et credidérunt Dómino et Moysi, servo ejus. Tunc cécinit Moyses et fílii Israël carmen hoc Dómino, et dixérunt: Cantémus Dómino: glorióse enim honorificátus est: equum et ascensórem projécit in mare: adjútor et protéctor factus est mihi in salútem,

V. Hic Deus meus, et honorificábo eum: Deus patris mei, et exaltábo eum.
V. Dóminus cónterens bella: Dóminus nomen est illi.

[In quei giorni, era già la vigilia del mattino, e il Signore da una nuvola di fuoco guardò verso il campo degli Egiziani e lo scompigliò. Fece rovesciare le ruote dei cocchi, che erano trascinati nel profondo. Dissero allora gli Egiziani: «Fuggiamo Israele, perché il Signore combatte per loro contro di noi!». E il Signore disse a Mosè: «Stendi la tua mano sopra il mare, affinché le acque si rovescino sugli Egiziani, sopra i loro cocchi e i loro cavalieri». E avendo Mosè stesa la mano verso il mare, sul far della mattina, il mare tornò al suo posto di prima, e le acque piombarono addosso agli Egiziani che fuggivano: così il Signore li travolse in mezzo ai flutti. E le acque, ritornando, coprirono i cocchi e i cavalieri di tutto l’esercito del Faraone, che per inseguire erano entrati nel mare: né un solo di loro scampò. Ma i figli d’Israele camminarono sull’asciutto nel mezzo del mare, e le acque erano per loro come un muro a destra e a sinistra. Così in quel giorno il Signore liberò Israele dalle mani degli Egiziani. E gli Israeliti videro sul lido del mare gli Egiziani morti e la grande potenza che il Signore aveva dispiegato contro di essi. E il popolo temè il Signore e credettero al Signore e a Mosè, suo servo. E allora Mosè cantò coi figli d’Israele questo cantico al Signore, dicendo: Cantiamo al Signore perché si è maestosamente glorificato; ha precipitato in mare cavallo e cavaliere. Il Signore è la mia forza ed il mio cantico;


V. Egli è il mio Dio e lo glorificherò; il Dio di mio padre e Lo esalterò.
V. Il Signore debella le guerre: il suo nome è l’Onnipotente]

V Profezia (Is. LIV, 17- LV. 11)

(Con il Battesimo le anime fanno parte del nuovo popolo col quale Dio stringe un’alleanza infinitamente superiore a quella del Sinai)

Hæc est heréditas servórum Dómini: et justítia eórum apud me, dicit Dóminus. Omnes sitiéntes, veníte ad aquas: et qui non habétis argéntum, properáte, émite et comédite: veníte, émite absque argénto et absque ulla commutatióne vinum et lac. Quare appénditis argéntum non in pánibus, et labórem vestrum non in saturitáte? Audíte audiéntes me, et comédite bonum, et delectábitur in crassitúdine ánima vestra. Inclináte aurem vestram, et veníte ad me: audíte, et vivet ánima vestra, et fériam vobíscum pactum sempitérnum, misericórdias David fidéles. Ecce, testem pópulis dedi eum, ducem ac præceptórem géntibus. Ecce, gentem, quam nesciébas, vocábis: et gentes, quæ te non cognovérunt, ad te current propter Dóminum, Deum tuum, et sanctum Israël, quia glorificávit te. Quærite Dóminum, dum inveníri potest: invocáte eum, dum prope est. Derelínquat ímpius viam suam et vir iníquus cogitatiónes suas, et revertátur ad Dóminum, et miserébitur ejus, et ad Deum nostrum: quóniam multus est ad ignoscéndum. Non enim cogitatiónes meæ cogitatiónes vestræ: neque viæ vestræ viæ meæ, dicit Dóminus. Quia sicut exaltántur cœli a terra, sic exaltátæ sunt viæ meæ a viis vestris, et cogitatiónes meæ a cogitatiónibus vestris. Et quómodo descéndit imber et nix de cœlo, et illuc ultra non revértitur, sed inébriat terram, et infúndit eam, et germináre eam facit, et dat semen serénti et panem comedénti: sic erit verbum meum, quod egrediátur de ore meo: non revertátur ad me vácuum, sed fáciet, quæcúmque volui, et prosperábitur in his, ad quæ misi illud: dicit Dóminus omnípotens.

[Questa è l’eredità dei servi del Signore, e la loro giustizia è affidata a me, dice il Signore. Voi tutti che avete sete venite alle acque; e voi che non avete argento fate presto, comprate e mangiate venite, comprate senza argento e senz’altra permuta, del vino e del latte; per qual motivo spendete voi il vostro argento in cose che non sono pane e la vostra fatica in ciò che non vi sazia? Con docilità ascoltatemi e cibatevi di buon cibo; l’anima vostra si delizierà nel sostanzioso, nutrimento. Porgete l’orecchio vostro e venite a me: Udite, e vivrà l’anima vostra, ed io stabilirò con voi un patto eterno, l’adempimento delle misericordie assicurate a David. Ecco che ho dato lui per testimoniare ai Popoli, condottiero e maestro delle nazioni. Ecco che quel popolo che tu non riconoscevi, tu lo chiamerai; le genti che non ti conoscevano, a te correranno per amor del Signore Dio tuo, e del santo d’Israele, perché ti ha glorificato. Cercate il Signore mentre lo si può trovare: invocatelo mentre egli è vicino. Abbandoni l’empio, la via sua, e l’iniquo i suoi maligni progetti, e ritorni al Signore, il quale avrà misericordia di lui; al nostro Dio, che è largo nel perdonare. Poiché i pensieri miei non sono i pensieri vostri, ne le vie vostre son le vie mie, dice il Signore. Poiché di quanto il cielo sovrasta alla terra, tanto sovrastano le mie vie alle vostre e i miei pensieri ai pensieri vostri. E come scende la pioggia e la neve dal cielo e lassù non ritorna, ma inebria la terra e la bagna e la fa germogliare affinché dia il seme da seminare e il pane da mangiare; così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: essa non tornerà a me senza frutto, ma opererà tutto quello che io voglio, e felicemente adempirà quelle cose per le quali io l’ho mandata: così dice il Signore onnipotente.]

VI. Profezia (Bar. III, 9-22)

(Le anime battezzate gioiranno in una pace eterna se osserveranno le lezioni di vita e di sapienza che a Chiesa dà loro in nome di Dio)

Audi, Israël, mandáta vitæ: áuribus pércipe, ut scias prudéntiam. Quid est, Israël, quod in terra inimicórum es? Inveterásti in terra aliéna, coinquinátus es cum mórtuis: deputátus es cum descendéntibus in inférnum. Dereliquísti fontem sapiéntiæ. Nam si in via Dei ambulásses, habitásses útique in pace sempitérna. Disce, ubi sit prudéntia, ubi sit virtus, ubi sit intelléctus: ut scias simul, ubi sit longitúrnitas vitæ et victus, ubi sit lumen oculórum et pax. Quis invénit locum ejus? et quis intrávit in thesáuros ejus? Ubi sunt príncipes géntium, et qui dominántur super béstias, quæ sunt super terram? qui in ávibus cœli ludunt, qui argéntum thesaurízant et aurum, in quo confídunt hómines, et non est finis acquisitiónis eórum? qui argéntum fábricant, et sollíciti sunt, nec est invéntio óperum illórum? Extermináti sunt, et ad ínferos descendérunt, et álii loco eórum surrexérunt. Júvenes vidérunt lumen, et habitavérunt super terram: viam autem disciplínæ ignoravérunt, neque intellexérunt sémitas ejus, neque fílii eórum suscepérunt eam, a fácie ipsórum longe facta est: non est audíta in terra Chánaan, neque visa est in Theman. Fílii quoque Agar, qui exquírunt prudéntiam, quæ de terra est, negotiatóres Merrhæ et Theman, et fabulatóres, et exquisitóres prudéntiæ et intellegéntias: viam autem sapiéntiæ nesciérunt, neque commemoráti sunt sémitas ejus. O Israël, quam magna est domus Dei et ingens locus possessiónis ejus! Magnus est et non habet finem: excélsus et imménsus. Ibi fuérunt gigántes nomináti illi, qui ab inítio fuérunt, statúra magna, sciéntes bellum. Non hos elegit Dóminus, neque viam disciplínæ invenérunt: proptérea periérunt. Et quóniam non habuérunt sapiéntiam, interiérunt propter suam insipiéntiam. Quis ascéndit in cœlum, et accépit eam et edúxit eam de núbibus? Quis transfretávit mare, et invénit illam? et áttulit illam super aurum eléctum? Non est, qui possit scire vias ejus neque qui exquírat sémitas ejus: sed qui scit univérsa, novit eam et adinvénit eam prudéntia sua: qui præparávit terram in ætérno témpore, et replévit eam pecúdibus et quadrupédibus: qui emíttit lumen, et vadit: et vocávit illud, et obædit illi in tremóre. Stellæ autem dedérunt lumen in custódiis suis, et lætátæ sunt: vocátæ sunt, et dixérunt: Adsumus: et luxérunt ei cum jucunditáte, qui fecit illas. Hic est Deus noster, et non æstimábitur álius advérsus eum. Hic adinvénit omnem viam disciplínæ, et trádidit illam Jacob púero suo et Israël dilécto suo. Post hæc in terris visus est, et cum homínibus conversátus est.

[Ascolta, o Israele, i comandamenti di vita; porgi le orecchie ad imparare la prudenza: quale è la ragione, o Israele, per la quale tu sei in terra nemica? Tu invecchi in paese straniero, sei contaminato tra i morti, sei stato contuso con quelli che scendono nella fossa. Infatti tu abbandonasti la fonte della sapienza. Poiché se tu avessi camminato per la via di Dio, saresti vissuto in una pace eterna. Impara dove sia la prudenza, dove sia la fortezza, dove sia l’intelligenza; affinché sappia a un tempo dove sia la lunghezza della vita e il nutrimento, dove sia il lume degli occhi e la pace. Chi trovò la sede di essa? E chi penetrò nei tesori di lei? Dove sono i principi delle nazioni e coloro che dominano sopra le bestie della terra? Coloro che coi volatili del cielo scherzano; coloro che tesoreggiano argento ed oro, in cui confidano gli uomini, né mai finiscono di procacciarsene? coloro che lavorano l’argento, e gran pensiero se ne danno e non hanno termine le opere loro? Furono sterminati e discesero negli abissi e a loro altri succedettero. Questi, giovani, videro la luce e abitarono sopra la terra, ma la via della disciplina non conobbero e non ne compresero la direzione, né i loro figli l’abbracciarono; essa andò lungi da essi, di lei non si udì più parola nella terra di Canaan, non fu veduta in Theman. I figli ancora di Agar, che cercano la prudenza che viene dalla terra, e i negozianti di Merrha e di Theman e i favoleggiatori e gli scopritori della prudenza e della intelligenza, non conobbero la via della sapienza; né fecero tesoro dei suoi ammaestramenti. O Israele, quanto grande è la casa di Dio, e quanto grande è il luogo del suo dominio! Grande egli è e non ha termine: eccelso e immenso. Ivi furono quei giganti famosi che da principio furono di statura grande, maestri di guerra. Non scelse questi il Signore, né questi trovarono la via della disciplina; per questo perirono. E perché non ebbero la sapienza, perirono per la loro stoltezza. Chi salì al cielo e ne fece acquisto, e chi la trasse dalle nubi? Chi varcò il mare e la trovò e la portò a preferenza dell’oro più fino? Non è chi possa conoscere le vie di lei, né chi comprenda i suoi sentieri. Colui che sa tutto la conosce e la discoprì con la sua prudenza; colui che fondò la terra per l’eternità e la riempì di animali e di quadrupedi, colui che manda la luce ed essa va, la chiama ed essa ubbidisce a lui con tremore. Le stelle diffusero dai loro posti il loro lume, e ne furono liete: chiamate, dissero : Eccoci, e risplenderono con gioia per lui che le creò. Questi è il Dio nostro e nessun altro può essere messo in paragone con lui, questi fu l’inventore della via della disciplina e la insegno a Giacobbe suo servo, e ad Israele suo diletto. Dopo tali cose egli fu visto sopra la terra, e con gli uomini ha conversato.]

VII. Profezia (Ezech., XXXVII, 1-14)

(Il Battesimo infonde una nuova via nelle anime che il peccato aveva fatto morire, ciò è raffigurato dalle ossa disseccate che al comando di Ezechiele si rizzano, si rivestono di carne e divengono un’armata potente)

In diébus illis: Facta est super me manus Dómini, et edúxit me in spíritu Dómini: et dimísit me in médio campi, qui erat plenus óssibus: et circumdúxit me per ea in gyro: erant autem multa valde super fáciem campi síccaque veheménter. Et dixit ad me: Fili hóminis, putásne vivent ossa ista? Et dixi: Dómine Deus, tu nosti. Et dixit ad me: Vaticináre de óssibus istis: et dices eis: Ossa árida, audíte verbum Dómini. Hæc dicit Dóminus Deus óssibus his: Ecce, ego intromíttam in vos spíritum, et vivétis. Et dabo super vos nervos, et succréscere fáciam super vos carnes, et superexténdam in vobis cutem: et dabo vobis spíritum, et vivétis, et sciétis, quia ego Dóminus. Et prophetávi, sicut præcéperat mihi: factus est autem sónitus prophetánte me, et ecce commótio: et accessérunt ossa ad ossa, unumquódque ad junctúram suam. Et vidi, et ecce, super ea nervi et carnes ascendérunt: et exténta est in eis cutis désuper, et spíritum non habébant. Et dixit ad me: Vaticináre ad spíritum, vaticináre, fili hóminis, et dices ad spíritum: Hæc dicit Dóminus Deus: A quátuor ventis veni, spíritus, et insúffla super interféctos istos, et revivíscant. Et prophetávi, sicut præcéperat mihi: et ingréssus est in ea spíritus, et vixérunt: steterúntque super pedes suos exércitus grandis nimis valde. Et dixit ad me: Fili hóminis, ossa hæc univérsa, domus Israël est: ipsi dicunt: Aruérunt ossa nostra, et périit spes nostra, et abscíssi sumus. Proptérea vaticináre, et dices ad eos: Hæc dicit Dóminus Deus: Ecce, ego apériam túmulos vestros, et edúcam vos de sepúlcris vestris, pópulus meus: et indúcam vos in terram Israël. Et sciétis, quia ego Dóminus, cum aperúero sepúlcra vestra et edúxero vos de túmulis vestris, pópule meus: et dédero spíritum meum in vobis, et vixéritis, et requiéscere vos fáciam super humum vestram: dicit Dóminus omnípotens.

[In quei giorni la mano del Signore fu sopra di me: e lo spirito del Signore mi trasse fuori e mi posò in mezzo ad un campo che era pieno di ossa e mi fece girare intorno ad esso: esse poi erano in gran quantità sulla faccia del campo e molto inaridite: e disse a me: Figlio dell’uomo, pensi tu che possano riavere vita queste ossa? Ed io dissi: Signore Dio, tu lo sai. Ed egli disse a me: Profetizza sopra queste ossa e dirai loro: Ossa aride, udite la parola del Signore: queste cose dice il Signore Dio a queste ossa. Ecco che io infonderò in voi lo spirito e avrete la vita. E farò risalire su di voi i nervi e ricrescere sopra di voi le carni, e sopra di voi stenderò la pelle e darò a voi lo spirito, e vivrete e conoscerete che io sono il Signore. E profetai come egli mi aveva ordinato e mentre io profetavo, si udì uno strepito, ed ecco un brulichio: e si accostarono ossa ad ossa, ciascuna alla propria giuntura. E mirai, ed ecco sopra di esse i nervi e le carni vennero e si distese sopra di loro la pelle; ma non avevano spirito. Allora mi disse: Profetizza allo spirito, profetizza. figlio dell’uomo e dirai allo spirito: queste cose dice il Signore Iddio: Dai quattro venti vieni, o spirito, e soffia sopra questi morti ed essi rivivranno. E profetai come egli mi aveva comandato ed entrò in quelli lo spirito e riebbero la vita e stettero sui piedi loro, un esercito grande fuor di misura. Ed egli disse a me: Figlio dell’uomo, tutte queste ossa sono figli di Israele: essi dicono: Aride sono le ossa nostre, ed è perita la nostra speranza, e noi siamo troncati: per questo tu profetizza e dirai loro: queste cose dice il Signore: Ecco che io aprirò le vostre tombe e vi trarrò fuori dai vostri sepolcri, popolo mio, e vi condurrò nella terra d’Israele. E conoscerete che io sono il Signore allorquando avrò aperto i vostri sepolcri e vi avrò tratti dai sepolcri vostri, popolo mio, ed avrò infuso il mio spirito in voi, e vivrete, e vi avrò dato riposo nella terra vostra, dice il Signore, onnipotente.]

VIII. Profezia (Is. IV, 1-6)

(Isaia, dopo un cenno alla vedovanza e al celibato forzato delle vanitose donne di Gerusalemme, prive di uomini per la guerra, parla delle promesse messianiche.)

Apprehéndent septem mulíeres virum unum in die illa, dicéntes: Panem nostrum comedémus et vestiméntis nostris operiémur: tantúmmodo invocétur nomen tuum super nos, aufer oppróbrium nostrum. In die illa erit germen Dómini in magnificéntia et glória, et fructus terræ súblimis, et exsultátio his, qui salváti fúerint de Israël. Et erit: Omnis, qui relíctus fúerit in Sion et resíduus in Jerúsalem, sanctus vocábitur, omnis, qui scriptus est in vita in Jerúsalem. Si ablúerit Dóminus sordes filiárum Sion, et sánguinem Jerúsalem láverit de médio ejus, in spíritu judícii et spíritu ardóris. Et creábit Dóminus super omnem locum montis Sion, et ubi invocátus est, nubem per diem, et fumum et splendórem ignis flammántis in nocte: super omnem enim glóriam protéctio. Et tabernáculum erit in umbráculum diéi ab æstu, et in securitátem et absconsiónem a túrbine et a plúvia.

[Sette donne si disputeranno un sol uomo in quel giorno dicendo: Noi mangeremo il nostro pane, del nostro ci vestiremo; solamente dacci il tuo nome, togli la nostra confusione. In quel giorno il «Germoglio del Signore sarà in magnificenza e gloria, e il «Frutto della terra» sarà il sublime vanto e la gioia dei salvati d’Israele. Tutti quelli restati in Sion, quelli rimasti in Gerusalemme, saranno chiamati santi, tutti quelli inscritti per la vita saranno in Gerusalemme . Quando il Signore avrà lavata dalle macchie la figlia di Sion, e Gerusalemme dal sangue che è in mezzo ad essa con lo spirito di giustizia e lo spirito di fuoco, il Signore allora creerà sopra tutto il monte di Sion, e dovunque sarà invocato, una nuvola di fumo durante il giorno, e lo splendore del fuoco fiammante nella notte, e sopra tutta la sua Gloria vi sarà protezione. Il Santuario farà ombra per il calore del giorno, e di difesa contro la bufera e la pioggia.]

IX. Profezia (Es. XII, 1-11)

(I Battezzati mangeranno la carne dell’Agnello di Dio di cui l’Agnello pasquale è la figura)

In diébus illis: Dixit Dóminus ad Móysen et Aaron in terra Ægýpti: Mensis iste vobis princípium ménsium: primus erit in ménsibus anni. Loquímini ad univérsum cœtum filiórum Israël, et dícite eis: Décima die mensis hujus tollat unusquísque agnum per famílias et domos suas. Sin autem minor est númerus, ut suffícere possit ad vescéndum agnum, assúmet vicínum suum, qui junctus est dómui suæ, juxta númerum animárum, quæ suffícere possunt ad esum agni. Erit autem agnus absque mácula, másculus, annículus: juxta quem ritum tollétis et hædum. Et servábitis eum usque ad quartam décimam diem mensis hujus: immolabítque eum univérsa multitúdo filiórum Israël ad vésperam. Et sument de sánguine ejus, ac ponent super utrúmque postem et in superlimináribus domórum, in quibus cómedent illum. Et edent carnes nocte illa assas igni, et ázymos panes cum lactúcis agréstibus. Non comedétis ex eo crudum quid nec coctum aqua, sed tantum assum igni: caput cum pédibus ejus et intestínis vorábitis. Nec remanébit quidquam ex eo usque mane. Si quid resíduum fúerit, igne comburétis. Sic autem comedétis illum: Renes vestros accingétis, et calceaménta habébitis in pédibus, tenéntes báculos in mánibus, et comedétis festinánter: est enim Phase Dómini.

[In quei giorni disse il Signore a Mosè ed Aronne nella terra di Egitto: questo mese sarà per voi il principio dei mesi, il primo dei mesi dell’anno. Parlate a tutta l’adunanza dei figliuoli d’Israele, e dite loro: Il decimo giorno di questo mese, prenda ciascuno un agnello per famiglia e per casa. Che se il numero delle, persone è insufficiente per mangiare tutto l’agnello, inviterà, il suo vicino di casa, in modo che si abbia il numero sufficiente per consumare l’agnello. Questo poi sarà senza macchia , maschio, di un anno; e con lo stesso rito prenderete anche un capretto. E serberete l’agnello fino al giorno quattordicesimo di questo mese; e tutta la moltitudine dei figliuoli d’Israele lo immolerà alla sera. E prenderanno del sangue suo e lo metteranno su ambedue gli stipiti della porta e sull’architrave della porta delle case nelle quali lo mangeranno. E quella notte mangeranno quelle carni, arrostite al fuoco, con pani azzimi e lattughe selvatiche. Di esso non mangerete niente di crudo, o cotto nell’acqua, ma soltanto arrostito col fuoco; mangerete anche il capo, i piedi e le interiora. Niente di esso deve avanzare per il mattino; se qualche cosa ne avanzasse lo brucerete nel fuoco. E lo mangerete in questo modo; avrete i fianchi cinti, le scarpe ai piedi, e i bastoni in mano, e mangerete alla svelta perché è la Phase del Signore.]

X Profezia. (Jon. III, 1-10)

(Le anime, con la penitenza (Quaresima) ed il Battesimo ottengono la misericordia di Dio, come già i Niniviti)

In diébus illis: Factum est verbum Dómini ad Jonam Prophétam secúndo, dicens: Surge, et vade in Níniven civitátem magnam: et prædica in ea prædicatiónem, quam ego loquor ad te. Et surréxit Jonas, et ábiit in Níniven juxta verbum Dómini. Et Nínive erat cívitas magna itínere trium diérum. Et cœpit Jonas introíre in civitátem itínere diéi uníus: et clamávit et dixit: Adhuc quadragínta dies, et Nínive subvertétur. Et credidérunt viri Ninivítæ in Deum: et prædicavérunt jejúnium, et vestíti sunt saccis a majóre usque ad minórem. Et pervénit verbum ad regem Nínive: et surréxit de sólio suo, et abjécit vestiméntum suum a se, et indútus est sacco, et sedit in cínere. Et clamávit et dixit in Nínive ex ore regis et príncipum ejus, dicens: Hómines et juménta et boves et pécora non gustent quidquam: nec pascántur, et aquam non bibant. Et operiántur saccis hómines et juménta, et clament ad Dóminum in fortitúdine, et convertatur vir a via sua mala, et ab iniquitáte, quæ est in mánibus eórum. Quis scit, si convertátur et ignóscat Deus: et revertátur a furóre iræ suæ, et non períbimus? Et vidit Deus ópera eórum, quia convérsi sunt de via sua mala: et misértus est pópulo suo, Dóminus, Deus noster.

[In quei giorni il Signore per la seconda volta parlò a Giona profeta e disse: Alzati e va a Ninive città grande, e predica ivi quello che io dico a te. E si mosse Giona e andò a Ninive secondo l’ordine del Signore. Or Ninive era una città grande che aveva tre giornate di cammino. E Giona incominciò a percorrere la città per il cammino di un giorno e gridava e diceva: Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta. E i Niniviti credettero a Dio; e intimarono il digiuno e si vestirono di sacco tanto i grandi quanto i piccoli. E fu portata la nuova al re di Ninive: ed egli si levò dal suo trono e gettò via le sue vesti e si vestì di sacco e si assise sopra la cenere. E pubblicò e intimò in Ninive quest’ordine del re e dei suoi principi: Uomini e bestie, bovi e pecore non mangino niente, non vadano al pascolo, e acqua non bevano. E si coprano di sacco gli uomini e gli animali, e gridino verso il Signore con tutta la loro forza e si converta ciascuno dalla sua cattiva vita e dalle sue opere inique. Chi sa che Dio non si rivolga a noi e ci perdoni: e calmi il furore dell’ira sua, e così non ci faccia perire. E Dio vide le opere loro e come si erano convertiti dalla loro mala vita, ed ebbe misericordia del suo popolo il Signore Dio nostro.]

XI Profezia (Deut. XXXI, 22-30)

(Le anime che Dio fa entrare nel suo regno con il Battesimo dovranno, come il popolo che Mosè condusse verso la terra promessa, conservare il ricordo della legge e delle munificenze di Dio)

In diébus illis: Scripsit Móyses canticum, et dócuit fílios Israël. Præcepítque Dóminus Josue, fílio Nun, et ait: Confortáre, et esto robústus: tu enim introdúces fílios Israël in terram, quam pollícitus sum, et ego ero tecum. Postquam ergo scripsit Móyses verba legis hujus in volúmine, atque complévit: præcépit Levítis, qui portábant arcam fœderis Dómini, dicens: Tóllite librum istum, et pónite eum in látere arcæ fœderis Dómini, Dei vestri: ut sit ibi contra te in testimónium. Ego enim scio contentiónem tuam et cérvicem tuam duríssimam. Adhuc vivénte me et ingrediénte vobíscum, semper contentióse egístis contra Dóminum: quanto magis, cum mórtuus fúero? Congregáte ad me omnes majóres natu per tribus vestras, atque doctóres, et loquar audiéntibus eis sermónes istos, et invocábo contra eos cœlum et terram. Novi enim, quod post mortem meam iníque agétis et declinábitis cito de via, quam præcépi vobis: et occúrrent vobis mala in extrémo témpore, quando fecéritis malum in conspéctu Dómini, ut irritétis eum per ópera mánuum vestrárum. Locútus est ergo Móyses, audiénte univérso cœtu Israël, verba cárminis hujus, et ad finem usque complévit.

[In quei giorni Mosè scrisse un cantico e lo insegnò ai figli di Israele. E il Signore diede i suoi ordini a Giosuè figlio di Nun e gli disse: «Fatti coraggio e sii forte: tu introdurrai i figli d’Israele nella terra che ho loro promessa, io poi sarò con te». Or quando Mosè ebbe finito di scrivere le parole di questa legge in un libro, diede ordine ai leviti, che portavano l’arca del patto del Signore: «Prendete questo libro e mettetelo in un lato dell’arca del patto del Signore Dio vostro, che vi rimanga come testimonio contro di te; perché ben conosco la tua ostinazione e la tua durezza di testa. Se, mentre sono ancor vivo e cammino con voi, siete stati sempre ribelli contro il Signore; quanto più dopo la mia morte! Radunate presso di me tutti gli anziani di ciascuna delle vostre tribù, e i vostri prefetti, che pronunzierò dinanzi a loro queste parole, chiamando a testimonio contro di loro il cielo e la terra. Poiché so bene che dopo la mia morte agirete iniquamente, uscendo ben presto dalla strada che vi ho prescritta; e vi cadranno addosso i mali negli ultimi tempi, allorché avrete fatto il male nel cospetto del Signore, provocandolo a sdegno colle opere vostre». Mosè quindi pronunciò e recitò sino alla fine le parole di questo cantico mentre tutto Israele stava ad ascoltarlo.

XII. Profezia (Dan. III, 1-24)

(Le anime che giurano fedeltà a Dio, per mezzo del Battesimo saranno protette nei pericoli, come i tre giovinetti nella fornace)


In diébus illis: Nabuchodónosor rex fecit státuam áuream, altitúdine cubitórum sexagínta, latitúdine cubitórum sex, et státuit eam in campo Dura provínciæ Babylónis. Itaque Nabuchodónosor rex misit ad congregándos sátrapas, magistrátus, et júdices, duces, et tyránnos, et præféctos, omnésque príncipes regiónum, ut convenírent ad dedicatiónem státuæ, quam eréxerat Nabuchodónosor rex. Tunc congregáti sunt sátrapæ, magistrátus, et júdices, duces, et tyránni, et optimátes, qui erant in potestátibus constitúti, et univérsi príncipes regiónum, ut convenírent ad dedicatiónem státuæ, quam eréxerat Nabuchodónosor rex. Stabant autem in conspéctu státuæ, quam posúerat Nabuchodónosor rex, et præco clamábat valénter: Vobis dícitur populis, tríbubus et linguis: In hora, qua audiéritis sónitum tubæ, et fístulæ, et cítharæ, sambúcæ, et psaltérii, et symphóniæ, et univérsi géneris musicórum, cadéntes adoráte státuam áuream, quam constítuit Nabuchodónosor rex. Si quis autem non prostrátus adoráverit, eádem hora mittétur in fornácem ignis ardéntis. Post hæc ígitur statim ut audiérunt omnes pópuli sónitum tubæ, fístulæ, et cítharæ, sambúcæ, et psaltérii, et symphóniæ, et omnis géneris musicórum, cadéntes omnes pópuli, tribus et linguæ adoravérunt státuam auream, quam constitúerat Nabuchodónosor rex. Statímque in ipso témpore accedéntes viri Chaldæi accusavérunt Judæos, dixerúntque Nabuchodónosor regi: Rex, in ætérnum vive: tu, rex, posuísti decrétum, ut omnis homo, qui audiérit sónitum tubæ, fístulæ, et cítharæ, sambúcæ, et psaltérii, et symphóniæ, et univérsi géneris musicórum, prostérnat se et adóret státuam áuream: si quis autem non prócidens adoráverit, mittátur in fornácem ignis ardéntis. Sunt ergo viri Judæi, quos constituísti super ópera regiónis Babylónis, Sidrach, Misach et Abdénago: viri isti contempsérunt, rex, decrétum tuum: deos tuos non colunt, et státuam áuream, quam erexísti, non adórant. Tunc Nabuchodónosor in furóre et in ira præcépit, ut adduceréntur Sidrach, Misach et Abdénago: qui conféstim addúcti sunt in conspéctu regis. Pronuntiánsque Nabuchodónosor rex, ait eis: Veréne, Sidrach, Misach et Abdénago, deos meos non cólitis, et státuam áuream, quam constítui, non adorátis? Nunc ergo si estis parati, quacúmque hora audieritis sonitum tubæ, fístulæ, cítharæ, sambúcæ, et psaltérii, et symphóniæ, omnísque géneris musicórum, prostérnite vos et adoráte státuam, quam feci: quod si non adoravéritis, eadem hora mittémini in fornácem ignis ardéntis; et quis est Deus, qui erípiet vos de manu mea? Respondéntes Sidrach, Misach et Abdénago, dixérunt regi Nabuchodónosor: Non opórtet nos de hac re respóndere tibi. Ecce enim, Deus noster, quem cólimus, potest erípere nos de camíno ignis ardéntis, et de mánibus tuis, o rex, liberáre. Quod si nolúerit, notum sit tibi; rex, quia deos tuos non cólimus et státuam áuream, quam erexísti, non adorámus. Tunc Nabuchodónosor replétus est furóre, et aspéctus faciéi illíus immutátus est super Sidrach, Misach et Abdénago, et præcépit, ut succenderétur fornax séptuplum, quam succéndi consuéverat. Et viris fortíssimis de exércitu suo jussit, ut, ligátis pédibus Sidrach, Misach et Abdénago, mítterent eos in fornácem ignis ardéntis. Et conféstim viri illi vincti, cum braccis suis et tiáris et calceaméntis et véstibus, missi sunt in médium fornácis ignis ardéntis: nam jússio regis urgébat: fornax autem succénsa erat nimis. Porro viros illos, qui míserant Sidrach, Misach et Abdénago, interfécit flamma ignis. Viri autem hi tres, id est, Sidrach, Misach et Abdénago, cecidérunt in médio camíno ignis ardéntis colligáti. Et ambulábant in médio flammæ laudántes Deum, et benedicéntes Dómino.

[In quei giorni il re Nabuchodonosor fece una statua d’oro alta sessanta cubiti, larga sei cubiti e la fece alzare nella campagna di Dura, provincia di Babilonia. E così il Re Nabuchodonosor mandò a radunare i satrapi e i magistrati e i giudici e i capitani e i dinasti e i prefetti e tutti i governatori delle Provincie affinché tutti insieme andassero alla dedicazione della statua alzata dal re Nabuchodonosor. Allora si radunarono i satrapi e i magistrati e i giudici e i capitani, e i dinasti, e i grandi che erano costituiti in dignità, e tutti i governatori delle Provincie per andare tutti insieme alla dedicazione della statua, eretta da Nabuchodonosor. E stavano in faccia alla statua alzata dal re Nabuchodonosor: e l’araldo gridava ad alta voce: A voi si ordina, popoli tribù e lingue che nel punto stesso in cui udirete il suono della tromba e del flauto, della cetra, della zampogna, del saltero, del timpano è di ogni sorta di strumenti musicali, prostrati adoriate la statua d’oro eretta dal re Nabuchodonosor. Se alcuno non si prostra e adora, nello stesso momento sarà gettato in una fornace di fuoco ardente. Poco dopo, dunque, appena che i popoli tutti udirono il suono della tromba, del flauto, della cetra, della zampogna, del saltero, del timpano e di ogni genere di strumenti musicali, tutti senza distinzione di tribù e di lingua prostrati, adorarono la statua d’oro alzata dal re Nabuchodonosor. Subito, in quel punto stesso andarono alcuni uomini Caldei ad accusare i giudei e dissero al re Nabuchodonosor: Vivi, o re, in eterno; tu, o re, hai fatto un decreto che qualunque uomo che avesse udito il suono della tromba, del flauto, della cetra, della zampogna, del saltero, del timpano e di ogni sorta di strumenti musicali si prostrasse e adorasse la statua d’oro: che se alcuno non si prostrasse e adorasse, fosse gettato in una fornace di fuoco ardente. Vi son dunque tre uomini giudei i quali tu hai deputati sopra affari della provincia di Babilonia: Sidrach, Misach e gli Abdenago; questi uomini han dispregiato, o re, il tuo decreto: ai tuoi dei non rendono culto, non adorano la statua d’oro, alzata da te. Allora Nabuchodonosor pieno di furore e d’ira, ordinò che gli fossero condotti Sidrach, Misach e Abdenago; i quali furono condotti al cospetto del re. E parlò Nabuchodonosor re, e disse: È vero, o Sidrach. Misach e Abdenago, che voi non rendete culto ai miei dei e non adorate la statua d’oro che io ho eretta? Ora dunque se voi siete a ciò disposti, in quel momento in cui udirete il suono della tromba, del flauto, della cetra, della zampogna, del salterio, del timpano, e ogni genere di strumenti musicali, prostratevi e adorate la statua che io ho fatta che se non l’adorerete in quel punto stesso sarete gettati in una fornace di fuoco ardente: e quale è il Dio che vi sottrarrà al mio potere? Risposero Sidrach, Misach e Abdenago e dissero al re Nabuchodonosor: Non è necessario che noi ti diamo risposta. Perché certamente il Dio nostro che noi adoriamo, può liberarci dalla fornace di fuoco ardente e sottrarci al tuo patere, o re. Ma se anche non lo volesse fare, sappi, o re, che non rendiamo culto ai tuoi dei e non adoriamo la statua d’oro da te eretta. Allora Nabuchodonosor entrò in furore, e la sua faccia cambiò di colore verso Sidrach, Misach e Abdenago, e comandò che si accendesse il fuoco nella fornace sette volte più dell’usato. E ad uomini fortissimi del suo esercito diede ordine che legassero i piedi di Sidrach, Misach e Abdenago, e li gettassero nella fornace di fuoco ardente. E tosto, questi tre uomini legati nei piedi, avendo, i loro calzoni e tiare e i loro calzari e le loro vesti, furono gettati in mezzo alla fornace di fuoco ardente: poiché il comando del re non ammetteva indugi, e la fornace era accesa straordinariamente. Ma la fiamma di, improvviso incenerì coloro che vi avevano gettato Sidrach, Misach e Abdenago: mentre questi tre e cioè Sidrach, Misach e Abdenago caddero legati nel mezzo della fornace ardente. E camminavano in mezzo alle fiamme lodando Dio e benedicendo il Signore.]

4. ° La benedizione del fonte. La quarta parte dell’uffizio del sabato santo è la benedizione del fonte, cioè dell’acqua che deve servire al battesimo dei catecumeni. – L’uso di benedir l’acqua battesimale risale ai primordi della Chiesa. Se ne vede la prova negli scritti dei Padri del IV e anche del III secolo. Allorché i catecumeni avevano sostenuto il loro ultimo esame, fatta la triplice rinunzia e ricevuta l’unzione dal Vescovo, si conducevano alla fonte per benedirli. Tutta l’adunanza dei Fedeli, con in mano dei ceri accesi, andavano in processione cantando le litanie, che si dicevano a tre, a cinque o a sette cori, secondo il numero degli assistenti, o si ripetevano tmilo a due cori fino a tre, cinque e sette volte. Di qui è nato il nome di ternarie, quinarie, settenarie dato a queste litanie: ritornando dal fonte si cantavano le litanie ternarie, che si ripetevan tre volte; e si dicono così anch’oggi.

Finite di cantarsi le profezie, tutto il clero si muove verso il fonte, cantando le litanie. Arrivato al battistero, ilsacerdote benedice l’acqua: incomincia dal ricordare in un sublime prefazio le meraviglie che Dio ha operato per le acque; poi immergendo la mano nel bacino del fonte, divide le acque in forma di croce; domanda a Dio, che le riempia della virtù dello Spirito Santo e le fecondi con la sua grazia. Di poi ne sparge verso le quattro parti del mondo per significare che tutta la terra deve esserne innaffiata, cioè che secondo le promesse di Gesù Cristo, il Vangelo deve fare il giro del mondo, e tutti i popoli debbono esser chiamati al battesimo. Soffia tre volte sull’acqua, scongiurando Gesù Cristo di benedirla con la propria bocca e di sottrarla alla potenza del demonio. V’immerge tre volte il cero pasquale, per mostrarci che per i meriti di Gesù Cristo, morto e resuscitato, di cui questo cero è la figura, essa avrà la virtù di preservare i nostri corpi e le anime nostre dalle insidie del nemico e di rimettere i peccati veniali, facendo nascer nei cuori sentimenti di amor di Dio e di contrizione. Fa cadere qualche goccia di questa cera nell’acqua che ha benedetta, per notare che la virtù di Gesù Cristo vi rimane unita: quindi separa l’acqua che deve servire per il Battesimo. Quando è stata versata nel fonte, vi mescola il santo crisma, che essendo composto d’olio e di balsamo, ricorda la grazia che il battesimo produrrà in quelli i quali lo riceveranno. Quest’acqua – dice egli – per questa mischianza, sia santificata, fecondata, e riceva la virtù di rimettere i peccati e di rigenerare le anime per la vita eterna, in nome del Padre etc.

Una volta, dopo la benedizione il Sacerdote andava aspergendo di quest’acqua santificata tutti gli assistenti; si fa così anch’oggi. Di poi tutti i Fedeli potevano, e possono anch’oggi andare a prendere di quest’acqua per potarsela a casa. S’adopra a preservare dagli accidenti e dai pericoli spirituali e corporali.

Finita la benedizione, si ritorna al coro cantando le litanie. Nella primitiva Chiesa, si conducevano allora in processione all’altare i novelli battezzati, vestiti di bianco, con un cero acceso in mano, e accompagnati dai padrini e madrine. All’altare, ricevevano la santa eucaristia, latte e miele dell’innocenza.

5.° La Messa. La Messa comincia subito dopo ritornati al coro. È senza Introito, perché tutto il popolo era già entrato: nei primi secoli, il popolo era alla chiesa fino dalla vigilia: è molto corta per ragion della lunghezza dei precedenti uffizi. Il medesimo è dei vespri.

L ‘ ORAZIONE.

0 Dio, che avete reso questa santa notte illustre e solenne per la gloria della resurrezione di nostro Signore conservate nei nuovi figli della vostra Chiesa lo spirito d’adozione che avete dato loro , affinchè rinnovati di corpo e d’anima, vi servano con purezza di cuore; per lo stesso Gesù Cristo nostro Signore ec.

L’EPISTOLA .

Lezione tratta dalla Lettera dell’Apostolo s. Paolo ai Colossesi, Cap. III, v. 1. ì .

“Fratelli miei, se siete resuscitati con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo sedente alla destra di Dio: abbiate pensiero delle cose di lassù, non di quelle della terra. Imperocché siete morti, e la vostra vita è ascosa con Cristo in Dio. Quando Cristo, vostra vita, comparirà; allora anche voi comparirete con lui nella gloria”.

Se per il battesimo siete morti e resuscitati in Gesù Cristo,dovete condurre una vita tutta nuova, e in certo modo tutta celeste; non dovete avere più nessuna affezione che per il cielo; non desiderj, nè passioni nemmeno che per le cose del cielo, riguardandovi d’ora innanzi come cittadini di questa celeste patria viandanti sullaterra, che deve esser per voi un luogo d’esilio. Voi siete morti al mondo e al peccato in virtù del battesimo, e non dovete vivere’ più che in Gesù Cristo, ed in Lui la vostra vita deve essere come nascosta, deve cioè la vita dei cristiani essere una vita pura, una vita mortificata, che la fede anima e la carità nutrisce; talché tutti i Cristiani, resuscitati col capo di cui son membra, debbono poter dire, come s. Paolo: Io vivo: non sono io che vivo, ma Gesù Cristo che vive in me.

Dopo questa lettera la quale è una lezione che la Chiesa fa a tutti quanti hanno ricevuta una novella vita per il battesimo, essa dà principio alla pasquale solennità, intonando l’Alleluja, non più cantato dalla vigilia della Settuagesima, quando entrò nell’afflizione e nel luttodi penitenza; e intonandolo tre volte, con alzare sempre più la voce, per aggiungere un nuovo grado alla gioia che deve risvegliare in noi la risurrezione di Gesù Cristo. È un canto di lode, di ringraziamento e di allegrezza, il più corto dei cantici, composto di due voci ebraiche esprimenti più vivamente che non potremmo fare nella nostra lingua il suo significato, che è: Lodiamo ringraziamolo, facciamo echeggiare la nostra allegrezza: Alleluja. Dall’Apocalisse è tolto questo grido di gioia. Fu sì familiare ai Fedeli nel tempo pasquale, che era il saluto ordinario che si davan tra loro secondo lo spirito della Chiesa, la quale lo ripete sì spesso ne’ suoi uffiziper tutto questo santo tempo.

IL VANGELO.

Segue il santo Vangelo secondo s. Matteo, Cap. XXVIII, v. 1-7

La sera del sabato, che si schiariva già il primo dì della settimana, andò Maria Maddalena, e l’altra Maria a visitare il sepolcro. Quand’ecco egli fu gran terremoto, poiché l’Angelo del Signore scese dal cielo, e appressatosi, voltò sossopra la pietra, e sedeva sopra di essa, l’aspetto di lui era come un folgore: e la sua veste come neve. E per la paura, che ebbero di lui, si sbigottirono le guardie, e rimaser come morte. Ma 1’Angelo del Signore, presa la parola, disse alle donne: Non temete voi, poiché io so che cercate Gesù Crocifisso. Egli non è qui perocché è resuscitato, conforme disse. Venite a vedere il luogo, dove giaceva il Signore. E tosto andate, e dite ai discepoli di lui, come Egli è resuscitato da morte : ed ecco vi va innanzi nella Galilea: ivi lo vedrete: ecco che io vi ho avvertite.

R. Sia lode a voi, o Cristo.

L’amore premuroso di queste sante donne le conduce avanti giorno alla tomba del lor caro Maestro, e il Signore vi spedisce un angelo ad annunziare ad esse la sua resurrezione. Il fervore e la sollecitudine verso Dio hanno presto la loro ricompensa; ma i devoti tiepidi, le anime inerti e pigre, sono escluse dalla sala delle nozze, perché sempre arrivano troppo tardi. La resurrezione di Gesù Cristo ispira una gioia spirituale e dolcissima a tutte le anime fedeli, mentre riempie di spavento i suoi nemici. Quando l’uomo è veramente di Dio, ed ha una vera pietà e una coscienza pura, prova nelle feste di pasqua, e negli altri misteri nel corso dell’anno, questa dolce gioia che è un saggio di quella del cielo, mentre la falsa pietà, mentre una divozione apparente non è mai più malinconica, e non sente mai meno unzione e fervore che in queste grandi solennità.

6.° Vespri. Si compongono di un solo salmo di due versetti, ma come questo salmo è bene scelto! O nazioni della terra – esclama la Chiesa – lodate il Signore!

Popoli, lodatelo tutti, perché la sua misericordia si è manifestata su noi, e la verità di sua promessa rimane in eterno. Per le nazioni, il profeta intende i Gentili; per i popoli, i figli d’Israele, società un tempo separate, ma unite in questo gran giorno in Gesù Cristo, per non formare più che una sola famiglia. Perciò il profeta vedendo nell’avvenire questo mistero d’ unità, il battesimo,ove i Giudei e i Gentili, ricevendo il medesimo spirito,diventano figli del medesimo Dio, esclama in un santofervore: La sua misericordia si è manifestata su noi;si, sopra noi tutti, sopra voi e sopra noi. Oh! come questo noiè affettuoso! possa egli accendere i nostri cuori; quella carità veramente cattolica ond’è l’espressione!Il sabato santo entriamo nella tomba con Gesù Cristo; lasciamo ivi l’uomo vecchio; riconduciamoci alle notti brillanti e solenni della primitiva Chiesa, ove si inseriva il battesimo; rinnoviamo le nostre promesse; rarifichiamo la nostra veste battesimale con le lagrime di una sincera penitenza, a fine di potere il giorno di Pasqua intervenire alle nozze dell’Agnello.

LO SCUDO DELLA FEDE (107)

1Paolo SEGNERI S. J.:

L’INCREDULO SENZA SCUSA

[Tipogr. e libr. Salesiana, TORINO, 1884]

CAPO XVII.

Si dimostra Dio sotto il concetto di un essere sommamente perfetto.

I. Gli osservatori delle stelle, là nell’Egitto costumarono da principio di contemplare ilcielo da que’ loro medesimi campi aperti dove abitavano: ma poi col tempo, perfezionandosi l’arte, andarono a mano a mano scegliendo, per tali osservazioni le specole più sublimi, e ancora formandole: tanto che il più nobile uso che avesse già quell’eccelsissimo tempio di Babilonia, dedicato a Belo, fu il servire con la sua sommità agli astronomi di quei giorni per considerare i moti delle sfere da un’aria men carica di vapori troppo alteranti, con le importunità delle rifrazioni, le misure fedeli, e le mire ferme (Diod. 1. 2. c. 4). Ora noi fin qui, dal piano delle creature, abbiam contemplata qualche cosa alla grossa intorno all’esistenza del Creatore. Giusto è però, che raffinata la forma di specolare, ci solleviamo ormai su tutto il sensibile, per indi contemplare, come da posto più purgato e più prossimo, non il cielo (che ci rimarrà sotto i pie), ma il Creatore del cielo, nel suo grande essere, contenitore in sé di ogni grado di perfezione, che sia diviso in qualunque grado di essere immaginabile. Altrimenti mi parrebbe di far troppo grave torto alla capacità del vostro intelletto, se non mi fidassi di potere imprimere in esso la verità della divina esistenza con altre stampe, che con le grossolane, prestate a noi dalle botteghe de’ sensi.

II. Ed in primo luogo mi piace che giudichiate di qual pena sieno rei gli ateisti, mentre negano l’essere al primo Essere. Anassagora, perché spacciò che il sole non altro fosse che una gran pietra di fuoco, fu riputato degno dagli ateniesi di cruda morte, in virtù di cui non avesse a mirare mai più quel lume che tanto egli andava infamando con tal sentenza. Lascio però al nobile areopago di tutti i savi lo stabilire qual supplizio si debba, non a chi asserisca, che il sole sia un gran crisolito, o un gran carbonchio, quale Anassagora potea dir che intendesse per quella pietra di fuoco: ma a chi non tema affermare che Dio non è, se non un nome chimerico, un fantasma, una favola, un nulla sotto la maschera di ogni bene. E pure a tanto pervengono gli ateisti.

III. Ma adagio un poco, che qui è dove voglio io cavare la talpa, se mi riesce, malgrado suo, di sotterra a mirar la luce, con valermi di questo dilemma acuto.

IV. Voi dite, che Dio non v’è: Non est Deus. Ora bene. Giacché non v’è, è possibile almenoche Egli vi sia, o non è possibile? Non è gran fatto che a prima giunta voi mi concediate la sua possibilità: da che ad alcuni darebbe lieve noia il sapere, che Dio sia possibile, purché si assicurassero, che egli non fosse in atto.Ma piano, piano, che a risponder così voi restatedi subito nella rete, mentre non vedete fra voi, che alla prima cagion di tutte le cose,non si può concedere mai la possibilità senza insieme concederle l’esistenza. Il sole, i mari,i monti, l’uomo vivente, e tutte le altre creature, possono essere quando ancor di fattonon sono. Ma Dio non può. Se è possibile,egli è parimente in atto. Conciossiachè fingete,che Egli possa essere, ma non sia. Adunque vi ha una cagione che può produrlo: non sapendola mente nostra neppure apprendere,che parto alcuno possa uscir mai dai cupi abissi del nulla, ed uscirne di virtù propria.Se n’esce, conviene che vi sia di necessità chi nel tragga fuora, comunicandogli quella esistenza, di cui qualsivoglia effetto, infino a tanto che è meramente possibile, non è peranche arrivato a pigliar possesso. Questa cagione adunque, in vigor di cui sarebbe possibile, che Dio, dal non essere attualmente,passasse all’essere, questa cagion, dico, sarebbe in sé più perfetta, che non sarebbe il termine prodotto da lei con sì grande azione,mentre non solo lo agguaglierebbe in tutte le prerogative di potenza, di sapienza, di scienza,di bontà, e di altre tali, che a lui donasse inprodurlo; ma di più lo precederebbe, per quella priorità almeno che appellasi di natura,se non per quella di tempo, e però questa cagione medesima sarebbe Dio prima dell’effetto prodotto. Ella conterrebbe nel suo seno la sorgente di tutto l’essere, avanti di trasferirla nel seno altrui: e così ella più veramente sarebbe la cagion prima. Mirate dunque, come con illazione necessarissima si deduce, che sesi dà per possibile il primo Essere, non può all’ora stessa non darsi per esistente.

V. Qui l’ateista indurato non può fare altro, che ritrattarsi, e dire, che egli errò nel concedere Dio possibile. Dovea dire anzi, che egli è impossibile affatto e così finire ogni lite.

VI. Ma ecco lo sventurato in peggior viluppo. Perché io dunque mi rimarrò dall’argomentare più oltra contro di lui, per lasciare a lui la fatica non poco grave, di provare sì bell’assunto. Io per me so, che secondo i filosofi possibile è tutto ciò che, se si riducesse all’atto, non recherebbe veruno inconveniente con esso sé. Dica dunque egli, quale inconveniente con esso se può recare la convenienza medesima, la pura perfezione, la pura probità, il puro essere in atto, che è quanto intendiamo noi nominando Dio? Troppo in questa battaglia mostrerei nondimeno di aver timore, se io volessi meramente schifarla, quasi da un alto colle, e non attaccarla. Argomento dunque così.

II.

VII. Tutte le creature stan situate, quasi fra due estremi contrari, tra l’essere e il non essere. E però, partecipando anche tutte dell’uno e dell’altro estremo, in parte sono ricche, in parte sono povere, che è quanto dire, portano ad ogni loro bene congiunta la imperfezione. Ora io qui chieggovi. Perchè son esse imperfette? Perché loro manchi un bene fantastico, favoloso, impossibile, di cui niuna potrebbe divenir vago senza follia? No certamente: mentre il mancare di qualsisia bene falso, non debbe ascriversi a povertà, ma a ventura. Adunque non è impossibile il bene che loro manca. Ma il bene che loro manca, è un bene infinito, potendosi tosto dire quel bene che hanno, ma non potendosi mai finire di dire quel che non hanno. Dunque un bene infinito non è impossibile. E tale è Dio.

VIII. Di poi chi può mai negare, che l’andare esente da ogni difetto, non sia dote, non solo buona, ma ottima, mentre è il fiore di ogni bontà? Óra come dunque direte voi che è impossibile? L’impossibile è odiabile al maggior segno, è dileggiabile, è derisibile. Questo èchiaro fra tutti i saggi (Anton. Perez, de Deo disp, 1. c. 4. et 5). Chi dirà dunque, che odiabile, dileggiabile, derisibile siasi l’andare esente da ogni difetto? Anzi questo è il bene unico che sia degno di sommo amore. Adunque egli è ben possibile, dacché ogni bene si sostenta su l’essere. E se è così, dunque è possibile Dio, non essendo Dio finalmente senonchè un bene puro da qualunque difetto. E certamente se una luce non è contraria mai all’altra luce, né anche una perfezione schiettissima e semplicissima sarà mai contraria ad altra perfezione di simil genere. Adunque potranno tutte d’accordo far lega insieme, come la fanno quanti mai sieno i diamanti in gioiello d’oro; e tutte potranno unirsi comodamente in una somma natura che le possegga senza eccezione. E tale è la natura divina. Mirisi però la stoltizia dell’ateista! Vuole che il bene sommo sia ben chimerico: onde, purché Dio non vi sia, non si cura di altro. Elegge che sia impossibile il sommo bene, piuttosto che l’eleggersi il sommo bene in un Dio possibile.

III.

IX. Su, sia così: non sia possibile Dio. Miriamo un poco quali inconvenienti ad un tratto ne seguiranno (Rigorosamente parlando , gl’incovenienti gravissimi qui registrati dall’autore avrebbero origine più che dalla negazione della possibilità di  ogni guisa; sian fisici, sian morali: i fisici mancando il primo principio; i morali, mancando l’ultimo fine.

X. E quanto ai fisici: se Dio non fosse possibile, non sarebbe possibile cosa alcuna. Perché, come non sarebbe possibile alcun calore, né alcun chiarore, se non fosse possibile il calor massimo, ed il chiaror massimo dalla cui maggiore o minor partecipazione avviene che si ritrovino cose calde, e cose chiare, in sì vari gradi; così non sarebbe possibile verun essere, se non fosse possibile l’esser massimo, che è l’essere da se stesso (S. Th. 1. p. q. 44. art. 1).

XI. Quanto ai morali poi: se Dio non fosse possibile, guardate che ne avverrebbe di detestando! L’amare Dio sopra di ogni altro bene, il temere del suo sdegno, il professargli soggezione, il porgergli suppliche, l’osservare i giuramenti fatti in suo nome, sarebbero tutte cose, non pure stolte, ma ree, come contrarie anche alla retta ragione. Onde non sarebbero virtù ma vizi dell’uomo. All’opposito, l’essere spergiuro, sacrilego, profanatore de’ templi, bestemmiatore, sarebbe secondo la diritta ragione, e si meriterebbe lode maggiore, che non meriterebbesi chi gettasse a terra un idolo dagli altari, e gli protestasse con quell’onta di farlo, perché egli è quivi una statua, non è un Dio vero. Sicché in ultimo le bestemmie, i sacrilegi, gli spergiuri sarebbero non più eccessi nell’uman genere, ma virtù sopraffine, da rendere meritevole di ogni encomio quel Dionisio tiranno di Siracusa, che pure rimase ai posteri tanto infame, per aver non solo sprezzata la religione, ma messala sempre in beffe (Valer. Maxim. 1. 1. c. 2).

XII. Di più, la somma saviezza si avrebbe a riputare somma stoltezza, se Dio non fosse possibile; e la somma stoltezza si avrebbe a riputare somma saviezza. Conciossiachè tutti i maestri delle cose divine si sarebbero allucinati nella prima di tutte le verità. Avrebbero atteso, per le tenute del nulla, ad istancarsi dietro la caccia perpetua di un’ombra vana. Avrebbero dati precetti meravigliosi, di credere, di confidare, di sottoporsi ad un mero sogno, cioè ad un essere, il quale altro esser non ha, che lo sproposito di una chimera, apparsa a deludere la fantasia di chi dorme. Onde tutta la scienza de’ maggiori maestri in divinità sarebbe una insensataggine manifesta; e per contrario il credere non più di quanto si vede, il reputarsi, come le bestie del bosco affatto mortale, il tener per fermo, che un mondo pieno di una simmetria incomparabile, si nelle sue parti speciali, sì nel suo tutto, sia nondimeno un’opera casuale, un edifizio senza architetto, un esercito senza generale, una barca senza governo, sarebbe, se Dio fosse impossibile, la sovrana di tutte le verità: onde, come io dicea, la somma stoltezza sarebbe un sommo sapere, ed il sommo sapere sarebbe una infinita stoltezza.

XIII. Finalmente, se Dio fosse impossibile, ne avverrebbe, che l’uomo fosse privo di ultimo fine. Onde il nostro intelletto anderebbe sempre, qual calamita, anelando ad un primo vero, come a suo polo, senza speranza di vederlo mai in faccia. E la nostra volontà andrebbe sempre, quasi nave, aspirando ad un sommo bene, come a suo porto, senza potere mai giungere ad approdarvi. La natura, che in tutte le cose appare sì amante della veracità, non avrebbe fatto altro, che nutrirci di inganno; e quella che mostrava d’amarci fino alle somme delizie (usque in delicias amamur), ci avrebbe al fine delusi più bruttamente, che non fè già quel sì famoso pittore, quando deludeva gli uccelli con le belle uve della sua tela dipinta.

XIV. Eccovi però che vuol dire essere ateista! Vuol dire avere per mira di mettere sossopra tutte le massime con cui si è governato perpetuamente, e tuttavia si governa il genere umano. E a voi par poco sì orrido inconveniente? Ma se questo e se altri simili senza fine ne seguono dal fingersi Dio impossibile, è impossibilissimo, che Egli non sia possibile. E se è possibile, è dunque ancora, come io vi dissi, di fatto; giacché in tutto quello che sia di necessità assoluta ed antecedente non si distingue dall’essere il poter essere.

XV. Che dite pertanto voi? Vi par bella gloria star dalla banda degli sconvolgitori dell’universo, piuttosto che arrolarsi tra quei che tanto bene lo riducono a legge con dargli Dio? Tornate pure a tormentar l’intelletto più che se il misero fosse schiavo in catene, perché vi dica, doversi Dio mandar esule nel paese degl’ircocervi, piuttosto che darlo all’uomo per suo primo principio da cui dipenda, e per suo ultimo fine. Noi dirà mai. E però questo, in ristretto, è il processo formato da noi sinora contra l’ateismo: Volere a forza ignorare quel bene sommo, che non si può non conoscere: Hæc summa delicti est: nolle eum agnoscere, quem ignorare non possis [Il sommo delitto è questo: non conoscere quel che non si può ignorare] (S. Cypr. de idol. vanit.).

VENERDI’ SANTO E L’ESALTAZIONE DELLA CROCE

VENERDI SANTO E L’ESALTAZIONE DELLA CROCE

[Goffiné: Manuale per la santificazione delle domeniche e delle feste; trad. A. Castelli – Tip. Ferroni, – FIRENZE, 1869]

La Chiesa celebra oggi, nel duolo e nelle lacrime, il più grande degli avvenimenti: quello della morte di Dio Salvatore per la redenzione di tutti gli uomini. Questo ineffabil mistero, predetto tante volte e così chiaramente nei secoli che lo precedettero, è il completo trionfo della divina giustizia, e l’opera più gloriosa della infinita misericordia. Fu operato dalla immensa carità del Verbo incarnato, che secondo i divini decreti volle fin dall’eternità annichilarsi, soffrire e morir nella pienezza dei tempi, per riconciliare col sacrifizio di un Uomo Dio, che si offriva qual vittima, il cielo alla terra. – Figli della Chiesa nata sul Calvario, meditiamo con lei, ma più col cuore che con la mente, la passione del Dio Salvatore, assistendo ai santi ufizi, le cui commoventi cerimonie ritrarranno alla nostra fede lo spettacolo così consolante come terribile, che all’ultimo anelito di Gesù Cristo sulla croce, fece eclissare l’astro del giorno, tremar la terra, resuscitare i morti, e squarciare il velo dell’antico tempio, ove il Dio d’Israele non voleva più essere adorato. Uniamoci quindi ai voti che essa offre a Dio per la salute dei suoi figli in tutti gli stati, pregando con lei per i suoi “veri” Pontefici e i suoi “veri” Sacerdoti, per i capi e i popoli dei vari governi, per i peccatori d’ogni età, per la conversione degli eretici, degl’idolatri e dei Giudei deicidi.

Adoriamo in questo giorno l’immagine della croce: baciamo con un cuore contrito lei che ci ricorda le piaghe di Gesù Cristo, i cui piedi e le mani furono sovr’essa inchiodate, per liberarci dalla schiavitù del peccato, del quale non avremmo potuto giammai spezzar da per noi le eterne catene. Come abbiamo detto, non si celebra oggi la santa Messa; ma noi adoreremo Gesù Cristo realmente presente nell’ostia già consacrata, che la Chiesa deve offrire qual nostro omaggio, nel sacro culto che ella rende in questo giorno al suo divino Sposo, che l’ha lavata nel suo sangue, l’ha fatta depositaria dei suoi infiniti meriti, per assicurare a tutti i suoi veri figli la vita eterna.

L’ufizio d’oggi si divide in tre parti. La prima parte si compone di due lezioni della Scrittura intramezzate da responsi e da versetti analoghi all’uopo sulla passione. La Chiesa ha procurato di conservare nell’odierno ufizio tutta la nostra bella antichità, che vi spira da ogni parola, da ogni pagina, da ogni cerimonia. – Così l’ufizio comincia da due lezioni, perché una volta tutte le Messe cominciavano con le lezioni, ossia con la lettura dei libri santi. Le lezioni del venerdì santo non hanno titolo, perché Gesù Cristo, che è il nostro capo, la luce che ci rischiara, come il titolo rischiara il libro e la lezione, ci è stato tolto. Mosè nella prima descrive la cerimonia dell’agnello pasquale, immolato e mangiato con pane senza lievito e con lattughe amare dal popolo di Dio, pronto ad uscire dall’Egitto, succinta la veste, calzati i piedi ed il bastone in mano, e in tutta fretta, perché questa doveva essere la pasqua, cioè il transito del Signore. L’agnello pasquale era la figura di Gesù Cristo, e questa lezione, che ci rimanda a tremila cinquecento anni d’antichità, richiama alla nostra memoria che il Cristo era come oggi, la fede e la speranza del genere umano, e che la Chiesa Cattolica abbraccia tutti i tempi.

La seconda lezione è del Profeta Isaia: ci pone setto gli occhi il divino esemplare, la vittima cattolica di cui l’agnello pasquale non era che l’ombra. Egli, dice il Profeta, spunterà dinanzi a lui qual virgulto, e quasi tallo da sua radice in arida terra: non ha vaghezza, né splendore, e noi l’abbiamo veduto e non era bello a vedersi, e noi non avemmo inclinazione per lui; dispregiato e l’infimo degli uomini, uomo di dolori, e che conosce il patire. Ed era quasi ascoso il suo volto, ed egli era vilipeso, onde noi non ne facemmo alcun conto. Veramente i nostri languori egli ha presi sopra di sé, ed ha portali i nostri dolori; e noi lo abbiamo riputato come un lebbroso, e come flagellato da Dio ed umiliato. Ma egli è stato piagato a motivo delle nostre iniquità, è stato spezzato per le nostre scelleratezze. Il gastigo cagione di nostra pace cadde sopra di lui, e per le lividure di lui siamo noi risanati. Tutti noi siamo stati come pecore erranti, ciascheduno per la strada sua deviò: e il Signore pose addosso a lui le iniquità di tutti noi. E stato offerto, perché Egli ha voluto, e non ha aperta la sua bocca: come pecorella sarà condotto ad essere ucciso, ecome un agnello muto si sta dinanzi a colui che lo tosa, così Egli non aprirà la sua bocca. (Cap. XLVIII).

Non senza un perché la Chiesa ha scelte queste duelezioni da Mosè e da Isaia: essa ha voluto mostrarci che la legge e i profeti rendono testimonianza al suo divino sposo, e che egli è realmente l’oggetto degli oracoli e dei desiderj di tutto il mondo antico.

Dopo le profezie, si canta la passione del nostro Signore secondo s. Giovanni.

LA PASSIONE DEL NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO

Secondo s. Giovanni, Cap. XVIII, e XIX.

In quel tempo Gesù uscì co’ suoi discepoli di là dal torrente Cedron, dove era un orto, in cui entrò egli, e i suoi discepoli. Or questo luogo era cognito anche a Giuda, il quale lo tradiva: perché frequentemente si era colà portato Gesù coi suoi discepoli. Giuda pertanto avuta una coorte, e dei ministri dai principi dei Sacerdoti e dai Farisei, andò colà con lanterne, e fiaccole ed armi. Ma Gesù che sapeva tutto quello che doveva cadere sopra di lui, si fece avanti e disse loro: Di chi cercate voi? Gli risposero: di Gesù Nazareno. Disse loro Gesù: Son io. Ed era con essi anche Giuda, il quale lo tradiva. Appena però ebbe detto loro: Son io; dettero indietro, e stramazzarono per terra. Di nuovo adunque domandò loro: di chi cercate? E quelli dissero: di Gesù Nazareno. Rispose Gesù: Vi ho detto che son io: se adunque cercate di me, lasciate che questi se ne vadano. Affinché si adempisse la parola detta da lui: Di quelli che hai dati a me, nessuno ne ho perduto. Ma Simon Pietro che aveva la spada, la sfoderò: e ferì un servitore del sommo Pontefice, e gli tagliò 1’orecchia destra. Questo servitore chiamavasi Malco. Gesù però disse a Pietro: Rimetti la tua spada nel fodero: non berrò io il calice datomi dal Padre? La coorte pertanto, e il tribuno, e i ministri dei Giudei afferrarono Gesù, e lo legarono: e lo menarono in là primieramente ad Anna: perché era suocero di Caifa,  il quale era Pontefice in quell’anno. Caifa poi era quello che aveva dato per consiglio ai Giudei, essere spediente che un sol uomo morisse per il popolo. Teneva dietro a Gesù Simon Pietro, e un altro discepolo. E quest’altro discepolo era conosciuto dal Pontefice, ed entrò con Gesù nel cortile del Pontefice. Pietro poi restò di fuori alla porta. Ma uscì quell’altro discepolo, che era conosciuto dal Pontefice, e parlò alla portinaia, e fece entrar Pietro. Disse però a Pietro la serva portinaia: sei forse anche tu dei discepoli di quest’uomo? Ei rispose: Non sono. Stavano i servi e i ministri al fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano: e Pietro se ne stava con essi e si scaldava. Or il Pontefice interrogò Gesù circa i suoi discepoli, e circa la sua dottrina. Gesù gli rispose: Io ho parlato alla gente in pubblico: io ho sempre insegnato nella Sinagoga, e nel Tempio, dove si radunano tutti i Giudei, e non ho fatto parola in segreto. Perché interroghi me? Domanda a coloro, che hanno udito quello che io abbia loro detto: questi sanno quali cose io abbia detto. Appena ebbe egli così parlato, uno dei ministri quivi presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: Così rispondi al Pontefice ? Rispose Gesù: Se ho parlato male dammi accusa di questo male: se bene, perché mi percuoti? Lo aveva adunque mandato Anna, legato al sommo Pontefice Caifa. Ed eravi Simon Pietro, che si stava scaldando. A lui dunque dissero: Sei forse anche tu de’ suoi discepoli? Egli negò, dicendo: Non sono. Dissegli uno de’ servi del sommo Pontefice, parente di quello cui Pietro avea tagliata l’orecchia: Non ti ho io veduto nell’orto con lui? Ma Pietro negò di nuovo: e subito cantò il gallo. Condussero adunque Gesù dalla casa di Caifa al pretorio. Ed era di mattino; ed essi non entrarono nel pretorio per non contaminarsi, affine di mangiar la pasqua. Uscì adunque fuora Pilato da essi, e disse: Che accusa presentate voi contro quest’uomo? Gli risposero, e dissero: se non fosse costui un malfattore, non l’avremmo rimesso nelle tue mani. Disse adunque loro Pilato: prendetelo voi, e giudicatelo secondo la vostra legge. Ma i Giudei gli dissero: non è lecito a noi di dar morte ad alcuno. Affinché si adempisse la parola detta da Gesù, per significare di qual morte doveva morire. Entrò adunque di nuovo Pilato nel Pretorio, e chiamò Gesù, e gli disse: se’ tu il re de’ Giudei? Gli rispose Gesù: Dici tu questo da te stesso, ovvero altri te lo hanno detto di me? Rispose Pilato: son io forse Giudeo? la tua nazione, e i Pontefici ti hanno messo nelle mie mani: che hai tu fatto? Rispose Gesù: il regno mio non è di questo mondo: se fosse di questo mondo il mio regno, i miei ministri certamente si adoprerebbero, perché non fossi dato in potere de’ Giudei: ora poi il regno mio non è di qua. Gli disse però Pilato: Tu dunque sei re? Rispose Gesù: Tu dici, che io sono re. Io a questo fine son nato, e a questo fine son venuto nel mondo, di render testimonianza alla verità: chiunque sta per la verità, ascolta la mia voce. Dissegli Pilato: Che cosa è la verità? E detto questo uscì di nuovo a trovare i Giudei, e disse loro: Io non trovo in lui nessun delitto. Or voi avete per uso, che io vi rilasci libero un uomo nella pasqua: volete adunque, che vi metta in libertà il Re de’ Giudei? Ma gridarono replicatamente tutti dicendo: Non costui, ma Barabba. Or Barabba era un assassino. Allora adunque Pilato prese Gesù e lo flagellò. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sulla testa: e lo coprirono con una veste di porpora. E si accostavano a lui, e dicevano: Dio ti salvi, Re de’ Giudei; e davangli degli schiaffi. Uscì adunque di nuovo fuori Pilato, e disse loro: Ecco che io ve lo meno fuori, affinché intendiate che non trovo in lui reato alcuno. E uscì fuora Gesù portando la corona di spine, e la veste di porpora. E disse loro Pilato : Ecco l’uomo. Ma visto che l’ebbero i Pontefici e i ministri, alzarono le mani, dicendo: Crocifiggilo, crocifiggilo. Disse loro Pilato: prendetelo voi, e crocifiggetelo: imperocché io non trovo in lui reato. Gli risposero i Giudei: noi abbiamo la legge, e secondo la legge deve morire, perché si è fatto Figliuolo di Dio. Quando udì Pilato queste parole s’intimidì maggiormente. Ed entrò nuovamente nel pretorio e disse a Gesù: Donde sei tu? Ma Gesù non gli diede risposta. Dissegli perciò Pilato: Non parli con me? non sai, che sta nelle mie mani il crocifiggerti, e sta nelle mie mani il liberarti? Gli rispose Gesù: non avresti potere alcuno sopra di me, se non ti fosse stato dato di sopra. Per questo colui, che mi ti ha dato nelle mani, è reo di più gran peccato. Da indi in poi cercava Pilato di liberarlo, ma i Giudei alzavano le strida dicendo: se liberi costui, non sei amico di Cesare, poiché chiunque si fa re, fa contro a Cesare. Pilato adunque, sentito questo discorso, menò fuori Gesù: e si pose a sedere sul tribunale nel luogo detto Lithostrotos, e in ebreo Gabbatha. (Ed era la Parasceve della pasqua, e circa la sesta ora). E disse ai Giudei: Ecco il vostro Re. Ma essi gridavano: Togli, togli, crocifiggilo. Disse allora Pilato: Crocifiggerò io il vostro re? Gli risposero i Pontefici: non abbiamo altro re fuori di Cesare. Allora adunque lo diede nelle loro mani, perché fosse crocifisso. Presero pertanto Gesù, e lo menarono via. Ed Egli portando la sua croce, s’incamminò verso il luogo detto del cranio, in ebraico Golgota. Dove crocifissero lui, e con lui due altri, uno di qua, e uno di là, e Gesù nel mezzo. E scrisse di più Pilato un cartello, e lo pose sopra la croce. Ed eravi scritto: Gesù Nazareno re de’ Giudei. Or questo cartello lo lessero molti Giudei, perché era vicino alla città il luogo, dove Gesù fu crocifisso. Ed era scritto in ebraico, in greco e in latino. Dicevan però a Pilato i Pontefici de’ Giudei: Non scrivere re de’ Giudei: ma che costui ha detto: Sono re de’ Giudei. Rispose Pilato: Quel ho scritto, ho scritto. I soldati, crocifisso che ebbero Gesù presero le sue vesti (e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato), e la tonaca. Or la tonaca era senza cucitura, tessuta tutta dalla parte superiore in giù. Dissero perciò tra loro: non la dividiamo, ma tiriamola a sorte a chi abbia a toccare. Affinché si adempisse la Scrittura che dice: si divisero tra loro le mie vestimenta, e tirarono in sorte la mia veste. Tali cose adunque fecero i soldati. Ma vicino alla croce di Gesù stavano la sua Madre, e la sorella di sua Madre Maria di Cleofa, e Maria Maddalena. Gesù adunque avendo veduto la Madre, e il discepolo di lui amato, che era dappresso, disse alla Madre sua: Donna, ecco il tuo Figliuolo. Di poi disse al discepolo: Ecco la Madre tua. E da quel punto il discepolo la prese seco. Dopo di ciò conoscendo Gesù, che tutto era adempito, affinché si adempisse la Scrittura, disse: Ho sete. Era stato quivi posto un vaso pieno d’aceto. Onde quelli inzuppata una spugna nell’aceto, e avvoltala attorno all’issopo, la presentarono alla sua bocca. Gesù adunque preso che ebbe l’aceto, disse: È compito. E chinato il capo rese lo spirito. (Qui cessa il canto, si fa un gran silenzio in chiesa, e non si sente altro che il muoversi dei Fedeli che si prostrano a baciar la terra, che il Salvatore ha inzuppata del suo sangue). Ma i Giudei, affinché non restassero sulla croce i corpi nel sabato, giacché era la Parasceve (poiché era grande quel giorno di sabato), pregarono Pilato che fossero ad essi rotte le gambe, e fossero tolti via. Andarono pertanto i soldati: e ruppero le gambe al primo, e all’altro che era stato crocifisso con lui. Ma quando furono a Gesù, allorché videro che era già morto, non gli ruppero le gambe. Ma uno dei soldati aprì il fianco di lui con una lancia, e subito ne uscì sangue ed acqua. E chi lo vide lo ha attestato: ed è vera la sua testimonianza. Ed egli sa, che dice il vero, affinché voi pure crediate. Imperocché tali se sono avvenute affinché si adempisse la Scrittura: non romperete nessuna delle sue ossa. E parimente un’altra scrittura dice: Volgeran gli sguardi a colui, che hanno trafitto. Dopo di ciò Giuseppe da Arimatea (discepolo di Gesù, ma occulto per timore de’ Giudei), pregò Pilato per prendersi il corpo di Gesù. E Pilato glielo permise. Andò adunque, e prese il corpo di Gesù. Venne anche Nicodemo (quegli che la prima volta andò da Gesù di notte), portando di una mistura di mirra e di aloe, quasi cento libbre. Preser dunque il corpo di Gesù, e lo avvolsero in lenzuoli di lino, ponendovi gli aromi, come dagli Ebrei si costuma nelle sepolture. Era nel luogo ove egli fu crocifisso, un orto: e nell’orto un monumento nuovo, nel quale non era mai stato posto nessuno. Quivi adunque a motivo della Parasceve de’ Giudei, perché il monumento era vicino, deposero Gesù.

  La seconda parte dell’ufizio si compone delle orazioni solenni o sacerdotali, che non si recitano pubblicamente se non il venerdì santo, e son dieci.

La terza parte dell’ufizio, è

l’adorazione della croce.

(I cattolici non adorano la croce, ma Dio morto su quella).

Quando sono finite le orazioni sacerdotali, i leviti e i diaconi a due a due, i sacerdoti in cappa nera, vanno a prender la croce in fondo alla chiesa; tutti a pie’ nudi. Due diaconi portano il sacro legno sulle braccia, e si avanzano a lenti passi verso l’altare. Questa cerimonia rappresenta in vivissima scena il Salvatore, che va per la strada dolorosa, e s’avanza verso il Calvario. Perché nulla manchi a questa doppia rassomiglianza, due diaconi o due sacerdoti cantano, nell’andare verso il santuario, le parole che sono l’espressione dell’ineffabile amore ond’era animato Gesù, mentre saliva al luogo del suo supplizio. Queste parole chiamansi improperi, e voglion dire qui teneri rimproveri, che il cuore di Gesù dirigeva ai Giudei, i quali lo conducevano a morte. E son questi: 0 popolo mio! che ti ho io fatto? in che ti ho io contristato? 0 popolo mio! rispondi a me. Confusa da tanta malizia da una parte, e da tanta bontà dall’altra, la Chiesa intenerita, oppressa dal suo dolore si lascia sfuggire, come un profondo sospiro, questo atto di adorazione e di amore: 0 Dio santo! Santo, potente! Santo, immortale! abbiate pietà di noi. Queste parole si cantano in greco e in latino. La Chiesa ci mostra la sua cattolicità: essa vuole che tutti i popoli e tutte le lingue adorino, amino con lei; e le par poco una lingua sola per esprimere il suo dolore e per esclamar verso Dio. Giunti all’entrata del coro, i due diaconi ripigliano: Perché ti ho io guidato nel deserto per quarant’anni e ti ho nutrito di manna, e ti ho introdotto in una fertilissima terra, tu hai preparato una croce al tuo Salvatore!

E il coro risponde : 0 Dio santo! Santo, potente! Santo, immortale! abbiate pietà di noi!

In mezzo al coro, i diaconi si pongono in ginocchio di nuovo, e continuano:

Che poteva io fare di più per te, e non l’ho fatto? Non sei forse tu stata la vigna che io piantai e che io ho custodita sotto la mia protezione; e tu non mi hai dato che frutti amari; e quando ho avuto sete mi hai dato a bere dell’aceto, e con la lancia hai trafitto il fianco al tuo Salvatore!

E il coro risponde come sopra: 0 Dio santo! Santo, potente! Santo, immortale, abbiate pietà di noi.

I sacerdoti e i diaconi, che per tre volte cadono in ginocchio nel portare la croce, ci rammentano il Salvatore che cadde anch’esso tre volte sotto il grave strumento del suo supplizio. In questa parte dell’ufizio, tutto è pittura, tutto parla ai sensi; si esce quasi fuori di sé, e in quelle angosce, quelle parole così semplici che ritornano ad ogni momento: Popolo mio, che ti ho io dunque mai fatto? commuoverebbero un cuore di bronzo.

La croce è all’altare, la gran vittima è alla sommità del Calvario. Non rimane che mostrarla al popolo, ed ecco il sacerdote, scoprendo un braccio dell’albero della salvezza, esclama: ECCE LIGNUM CRUCIS; ecco il legno della croce.

Il coro risponde: In quo salus mundi pependit etc. Onde pendè appeso il Salvatore del mondo ; venite, adoriamo.

Poi avanzandosi dalla parte destra dell’altare, e scoprendo l’altro braccio della croce, il sacerdote dice ancora: ECCE LIGNUM CRUCIS; ecco il legno della croce.

Edi nuovo il coro ripete: Onde pendè appeso il Salvalore del mondo; venite, adoriamo.

Finalmente una terza volta il sacerdote dice dal mezzo dell’altare alzando di più la voce: ECCE LIGNUM CRUCIS: ecco il legno della croce.

E la croce allora è tutta intera scoperta e mostrata al popolo cristiano, che da molti giorni non ha veduto il crocifisso se non velato, e che in questo momento lo contempla con la fronte coronata di spine, con le mani ed i piedi forati dai chiodi, col costato aperto dal ferro della lancia: e i re, i pontefici, i cardinali, gli arcivescovi, i vescovi, i vecchi del santuario, i cantori, i fedeli, i ricchi, i poveri, a piedi scalzi vengono ad adorare il legno redentore. Si direbbe allora che i figli lacrimosi per la morte di un padre, sono ammessi nella stanza mortuaria, ove il capo di famiglia è esposto sopra un letto funebre, e vengono con reverenza e dolore a baciare la sua veneranda salma.

Andando ad adorare la croce, come non desteremo in noi l’idea, che camminiamo per la via dolorosa tinta del suo sangue dal Salvatore? Apriamo le orecchie del nostro cuore a quei teneri rimproveri che si dirigono ai Cristiani, molto più che ai Giudei, e ognuno di noi se gli appropri: Popolo mio, che ti ho io dunque fatto 0 in che ti ho io contristato? Rispondi a me. Anima cristiana, figlia mia, mia carissima, io ti ho liberata dalla schiavitù, ti ho nutrita con la manna, e tu hai preparato una croce al tuo Salvatore !!! Io ti ho custodita sotto la mia protezione, come la pupilla dei miei occhi; che doveva io fare di più per te? E tu hai preparato una croce al tuo Salvatore!!!

E noi avremo dispiacere ed affetto nel cuore, lacrime agli occhi, e se possiamo parlare, tenere parole sulle labbra. E noi ritorneremo dal Calvario, come il centurione, percotendoci il petto, detestando la nostra ingratitudine e risoluti di morire anzi che più contristare un sì buon padre.

Terminata l’adorazione, si va a riprendere, e si riporta in lugubre silenzio, l’ostia consacrata: il sacerdote si comunica; quindi si cantano i Vespri con un tono grave e luttuoso, e così l’ufizio della mattina è compito.

Sulle tre dopo mezzogiorno, non bisogna lasciare di recarci ad adorare il Salvatore. In alcuni paesi il popolo si porta in folla alla Chiesa verso quest’ora solenne: ognuno prega, ognuno domanda perdono per sé, e per i suoi fratelli, e quando l’orologio batte le tre, tutta la moltitudine silenziosa e commossa si prostra e bacia il pavimento del tempio. Allora un utile esercizio è quello di meditare le sette parole di Gesù Cristo sulla croce. Eccole:

1°. Padre, perdona loro, poiché ignorano ciò che fanno;

2.° Al buon ladrone: Oggi sarai meco in Paradiso;

3.° A Maria:  Donna, ecco il tuo Figlio, ed a s. Giovanni: Ecco la tua Madre;

4.° Ho sete;

5.° Dio mio, Dio mio, perché m’hai abbandonato?

6.° Tutto è consumato;

7.° Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio.

All’ufizio della sera, chiamato Tenebre, continua il lutto. La lugubre voce di Geremia, il gemito delle sante donne, risuonano sotto la volta del tempio; allora la Chiesa è una vedova che piange sulla tomba del suo sposo.

Aspirazione. Oh! quanto sei bella, o croce del mio Salvatore, nobilitata dal suo sangue e dalla sua morte! Tu sei più brillante delle stelle del cielo, più preziosa dell’oro purissimo. O amabil croce! Tu sola hai meritata di portare la salute del mondo, la sorgente della grazia e il prezzo della gloria; così tu sei il mio conforto e l’oggetto della mia fiducia: da te viene la mia salvezza; tu sei il principio della mia fede, e sarai quind’innanzi la mia speranza. Tócco di riconoscenza, io fisso gli occhi su te, e in te contemplo il mio Redentore morente per me; io vengo a raccogliere i suoi sospiri, e a lavarmi nel sangue che egli ha versato per me.

Preghiera. O mio Dio! che siete tutto amore, vi ringrazio di aver rilasciato alla morte il vostro unico Figliuolo per riscattarmi; non permettete che io renda inutile a me il frutto della sua passione. Io risolvo di amare Dio sopra ogni cosa, e il prossimo mio come me stesso per amor di Dio; e in attestato di quest’amore, reciterò tutti i venerdì cinque Pater ed Ave, in onore delle cinque piaghe di nostro Signore Gesù Cristo.

Sentimenti di penitenza a pie della Croce.

Anima peccatrice, anima penitente, tu sei oppressa dal peso delle tue colpe, tu piangi alla vista delle tue sregolatezze e de’ tuoi eccessi; la giustizia divina sembra per tutto minacciarti e perseguitarti, per sacrificarti e dare a te il castigo; non vi è nel mondo per te che un asilo. Vieni e gettati ai piedi della croce; vieni ad espandere il tuo afflitto cuore; vieni a mostrar le tue piaghe, e a domandarne la guarigione al caritativo medico che ne vede tutta la profondità. Ivi prostesa e penetrata da giusto dolore, digli con un santo penitente, vero modello di penitenza:

Peccavi: ho peccato; sì, mio Dio, ho peccato, e gravemente peccato; ho peccato per molti e molti anni; io lo riconosco, ne piango: vorrei morirne di dispiacere. Finalmente rischiarata dal vostro divin lume, tocco dalle attrattive delle vostre grazie, ritorno a Voi, vengo al implorare la vostra infinita misericordia: Miserere mei. Deus, secundum magnam misericordiam tuam. Abbiate pietà di me, o Dio, secondo la grande vostra misericordia.

Colui al quale ho dato la morte è il solo che deve resuscitarmi. Et secundum multitudinem miserationem tuarum, abbiate pietà di me secondo la molta vostra misericordia. Io non saprei conoscere tutta la gravezza e l’enormità delle mie colpe, ma ne conosco tanto da comprendere che ho meritato mille volte l’inferno: iniquitatem, meam ego cognosco. Il mio peccato è sempre presente ai miei sguardi per istraziare il mio cuore: Peccatum meum contra me est semper. Ho peccato, e per il mio peccato ho offeso Voi, Voi che solo dovevo servire ed amare in questo mondo! Tibi soli peccavi. Davanti a voi, alla vostra presenza, e nel tempo medesimo che mi ricolmavate delle vostre grazie, io vi ho oltraggiato: Et malum coram te feci.

O Dio sofferente e agonizzante, voi per me, per i miei peccati soffrite e morite; il vostro cuore trafitto da una lancia, trafigga il mio del più amaro dolore; non rigettate un cuore contrito ed umiliato. Se non è tale, fatelo Voi in me, rendete il mio cuore degno di Voi: Cor contritum ét humiliatum, Deus, non despicies. Dio Santo, Dio Salvatore, voi troverete in me l’enormezza di tutti i peccati riuniti insieme; riunite insieme in prò mio i tesori di tutte le grazie; glorificate la vostra potenza, fate trionfare la vostra misericordia, e mostrate in un uomo infinitamente peccatore, che cosa è un Dio infinitamente buono. Se il sacrifizio della mia vita potesse soddisfare la vostra giustizia, con quanta gioia non vi offrirei il sacrifizio di questa vita, che sì colposamente ho passata! Si voluisses sacrificium, dedissem utique.

Anima penitente, consacra i tuoi sentimenti ai piedi della croce: trattienti col tuo Dio, che muore per darti una nuova vita. Digli: Signore, io sono afflitta alla vista dei vostri patimenti e delle mie offese; ma ciò che più mi dà pena, si è che il mio cuore è troppo debole per odiarle e piangerle: vorrei avere il cuore di tutti gli uomini e le lagrime di tutti i santi penitenti per consacrarle a Voi. Signore, Dio mio, create in me un cuor nuovo per sodisfarvi ed amarvi. Oh! chi mi darà una fontana di lagrime che non mai venga meno? Quanto sarei felice se vedessi scaturire da’ miei occhi un torrente di lagrime, per unirle al torrente di sangue che voi versate! Qual vita è stata la mia! e se le vostre misericordie non fossero infinite, che mi resterebbe altro se non la disperazione? Ma ormai, o mio Dio, le piaghe son fatte; io non posso altro che mostrarvele, e scongiurarvi a guarirle; so che tutto ciò che può esser pianto, può esser perdonato. Finché io viva, piangerò, gemerò; né vivrò più che per piangere e gemere a pie’ della croce. Me felice se potessi ivi morir di dolore! Fate, o mio Dio! che la vita non sia più per me che un continuo gemito, la terra una valle di lagrime: se l’ho contaminata co’ miei delitti, oh perché non posso io innaffiarla col sangue mio! Ma no, è il sangue vostro che deve purificar tutto: lavatemi, purificatemi, santificatemi, questo è il più gran prodigio della vostra misericordia. Io lo narrerò a tutti i peccatori; il mio esempio gli commuoverà, e dirà loro ciò che essi possono e debbono sperare dalla vostra ineffabile bontà; tutti unanimi loderemo, benediremo per sempre la grandezza delle vostre misericordie, sempre superiore alla grandezza delle nostre colpe. Diremo dunque col profeta penitente: Domine, propitiaberis peccato meo, multum est enim; Signore, voi avrete pietà di me, perché i miei peccati sono grandi; sì, la gravezza stessa dei miei peccati sarà il motivo che vi obbligherà a concedermene il perdono: motivo ben degno di Voi, perché più i miei peccati sono grandi, e più faranno risplendere la vostra misericordia, più che mai ammirare la vostra onnipotenza, e più trionfare la vostra grazia.

O croce del mio Dio, del mio adorabile Salvatore! a’ tuoi piedi io voglio vivere; nelle tue braccia spero di morire: sii, tutto il tempo di mia vita, il mio modello e il mio sostegno; ma specialmente all’ora della morte, sii tu il mio rifugio e la speranza mia.

O crux, ave, spes unica:

Hoc passionis tempore,

Piis adauge gratiam

Reisque dele crimina. Amen.

Ti salutiamo, o croce, unica nostra speranza! Gesù, che a lei foste sospeso, fate che in questo santo tempo, in cui solennizziamo la vostra passione, i giusti crescano nella pietà, e i peccatori ottengano il perdono delle loro colpe. Così sia.

Consideriamo ciò che un Dio soffre, come e per chi lo soffre. Portiamo per tutto la ricordanza della croce, delle sue grazie e de’ nostri peccati: domandiamo a Dio la grazia di pensarvi e di piangerli tutto il tempo di nostra vita. Forse fra breve dovremo comparire al tribunale della divina giustizia; siamo stati peccatori, disponiamoci a comparirvi da penitenti. Pensiamoci; non ci contentiamo solo di pensarci; profittiamo della grazia che ci è offerta per produrre in noi dei frutti di salute.

La Santissima Vergine a pie della Croce.

Stabat Mater dolorosa Juxta crucem lacrymosa, Dum pendebat Filius.

[Dritta a pie della croce, a cui era sospeso il suo Figliuolo, la Madre dal dolore piangeva].

Cujus animam gementem, Contristatam et dolentem, Pertransivit gladius.

[La sua anima abbattuta, gemente e desolata, fu trafitta dalla spada del dolore.]

0 quam tristis et afflictaFuit illa benedicta Mater Unigeniti!

[Oh! come fu triste ed afflitta questa benedetta Madre del Figliuolo unico di Dio!]

Quæ mœrebat et dolebat, Pia Mater, dum videbat Nati pœnas inclyti.

[Gemeva la pia Madre, e sospirava alla vista delle angosce del suo divin Figliuolo].

Quis est homo qui non fleret, Matrem Christi si videret In tanto supplicio?

[Chi mai potrebbe trattener le lagrime, nel vedere la Madre di Gesù Cristo in un sì vivo dolore?]

Quis non posset contristari,Christi Matrem contemplariDolentem cum Filio?

[Chi potrebbe contemplare senza profondamente attristarsi questa tenera Madre soffrir col suo Figlio?]

Pro peccatis suæ gentis Vidit Jesum in tormentis, Et flagellis subditum.

[Ella vide Gesù nei tormenti e squarciato dai colpi per i peccati di sua nazione.]

Vidit suum dulcem natum Moriendo desolatum, Dum emisit spiritum.

[Vide l’amato Figlio morente nell’abbandono fino all’ultimo anelito.]

Eja, Mater, fons amoris, Me sentire vim doloris Fac, ut tecum lugeam.

[0 Madre piena d’amore, fate che io provi la forza del vostro dolore, che io pianga con voi.]

Fac ut ardeat cor meum In amando Christum Deum, Ut sibi complaceam.

[Fate che il mio cuore arda d’amore per Gesù Cristo, e non pensi che a piacere a lui.]

Sancta Mater istud agas, Crucifixi fige plagas Cordi meo valide.

0 Santa Madre, imprimete profondamente nel mio cuore le piaghe di Gesù crocifisso.

Tui nati vulnerati, Tam dignati prò me pati, Pœnas mecum divide.

[Dividete con me i tormenti, che il Figliuolo vostro per me si è degnato di patire.]

Fac me tecum pie flere Crucifixo condolere, Donec ego vixero. ‘

[Fate che io piango pietosamente con voi, e compatisca tutti i giorni di mia vita, i patimenti del vostro Figlio crocifìsso].

Juxta crucem tecum stare, Et me tibi sodare In planctu desidero.

[D’or innanzi io voglio stare con voi a pie’della croce, ed associarmi ai vostri dolori].

Virgo virginum præclara, Mihi jam non sis amara; Fac me tecum plangere.

[O Vergine, la più pura delle vergini, non rigettate la mia preghiera; fate che io pianga con voi].

Fac ut portem Christi mortem, passionis fac consortem et plagas recolere

[Fate che io porti scolpita in me la morte di Gesù Cristo, il peso e la memoria delle sue piaghe.]

Fac me plagis vulnerari, fac me cruce inebriari, et cruore Filii.

[Fate che ferito dalle sue ferite, io m’innamori di questa croce e del sangue del vostro Figliuolo].

Flammis ne urar succensus, per te Virgo sim defensus, in die judicii.

[Vergine potente, difendetemi nel dì del giudizio, affinché non sia preda dell’eterne fiamme.]

Christe, cum sit hinc exire Da per Matrem me venire Ad palmam victoriæ.

[O Cristo Gesù, quando passerò da questo mondo, fate per intercessione della Madre vostra, che io ottenga la palma della vittoria.]

Quando corpus morietur Fac ut animae donetur Paradisi gloria. Amen.

[Quando il mio corpo morrà, ottenete all’anima mia la gloria del Paradiso.

Così sia.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/04/19/le-omelie-del-curato-dars-venerdi-santo/