DA SAN PIETRO A PIO XII (12)

[G. Sbuttoni: Da Pietro a Pio XII, Edit. A. B. E. S. Bologna, 1953; nihil ob. et imprim. Dic. 1952]

DAL 1000 AI NOSTRI GIORNI

CAPO II

LE CROCIATE

PREAMBOLO

Il papato alla difesa dell’Europa

La santa vitalità dimostrata dalla Chiesa nella lotta per sopprimere le investiture, per correggere nel Papato stesso le infiltrazioni profane e per riformare gli alti gradi della gerarchia, non le permette soltanto di dominare i microbi che si attaccano al suo organismo, ma si manifesta con delle iniziative audaci.

Il Papato di natura sua ha dalla Provvidenza un mandato di civiltà. E allora gl’incombono due doveri:

— difenderla nei suoi credenti,

— diffonderla presso gl’infedeli.

Difatti la sua storia si svolge su questo binario.

Sempre, anche nel Medioevo. Abbiamo già accennato all’opera di evangelizzazione dei popoli barbari svolta con tenace penetrazione in ogni paese d’Europa, sino a creare un’unità di fede come mai si vide l’uguale. Ma la civiltà d’ Europa corse un pericolo grave: i MUSULMANI.

I Musulmani avevano il fanatismo della conquista. Soggiogata la Palestina, la Siria, la Mesopotamia e la Persia dal 632 al 639, conquistata tutta l’Africa settentrionale dal 647 al 698, soggiogarono la Spagna e parte della Francia meridionale nel 711, occuparono la Sicilia nell’ 828. Con ciò ebbero il dominio del Mediterraneo, che divenne teatro delle loro gesta piratesche; ebbero basi sicure per lanciarsi a scorrerie in Sardegna, in Corsica, nella Provenza, su, tutte, le coste italiane, nella Dalmazia. Intanto molestavano anche l’impero d’Oriente: due volte (668 e 713) diedero l’assalto alla stessa Costantinopoli, e dal 1072 al 1091 riuscirono ad occupare tutta l’Asia Minore. Sicché l’Europa cristiana veniva presa in un cerchio formidabile sempre più stretto, con ruberìe e stragi senza numero; la civiltà, cristiana correva un serio pericolo. Come difendersi? — Nella Provenza li tenevano a bada i Franchi, a incominciare da Carlo Martello, che inflisse loro una sconfitta memorabile a Poitiers nel 732. In Italia svolsero azione efficace e assidua i Pontefici.

Ma non sarebbe stato più efficace attaccarli sul loro territorio? Questa idea si fece più strada quando, dopo un periodo di tolleranza con i pellegrini Cristiani, in Palestina, si ebbero distruzioni e massacri. Liberando i fratelli d’Oriente ed il S. Sepolcro, si avrebbe anche fiaccato la tracotanza dei Turchi e assicurata la tranquillità delle coste mediterranee. L’idea, concepita prima da S. Gregorio VII, lanciata poi da Urbano II, fu accolta con entusiasmo universale. Re e, sudditi, feudatari e, vassalli, prìncipi, e popolani, anche donne e fanciulli, al Nord come al Sud dell’Europa, si sentirono presi da un fascino irresistibile verso la Terra Santa: ogni barriera di censo, di nazionalità scomparve dinanzi al comune ideale: alla parola del Papa come ad un oracolo divino, lo spirito cavalleresco del tempo si polarizzò verso la liberazione del S. Sepolcro.

E si ebbe l’epopea delle Crociate.

Benedetta epopea! anche se troppe volte fallì allo scopo per disobbedienza alle direttive, pontificie e per l’affiorare di passioni umane, perché, grazie alla partenza degli uomini d’arme, ebbero più pace i popoli rimasti in patria; sul campo si creò maggior contatto fra le diverse classi sociali; al ritorno dei reduci si sviluppò il senso della libertà, avviando le città verso il regime comunale; si mise l’Occidente a contatto con la cultura orientale; si ritardò di alcuni, secoli la caduta dell’impèro greco; soprattutto si salvò l’Europa e la civiltà dal piccone demolitore dei Musulmani.

***

D . Qual è uno degli avvenimenti più importanti del Medioevo!

— Le Crociate.

D. Che cosa sono le Crociate!

— Le guerre combattute dai popoli europei contro i Musulmani dal sec. XI al XIV con l’intento di liberare i Luoghi Santi. Esse si fondono con l’attività espansionistica delle vive forze euro-mediterranee; ma le domina e le colorisce la passione religiosa, benché i moventi delle Crociate siano vari.

D . Di chi l’iniziativa delle Crociate!

— Ad una spedizione contro la potenza turchesca e in aiuto dell’impero Cristiano d’Oriente aveva già pensato Gregorio VII, come rivela una sua lettera a Enrico IV e un’altra a Matilde di Canossa; ma il Papa che tradusse in realtà il grande disegno è URBANO II.

D. E l’opera di Pier l’Eremita?

— Una leggenda della metà del sec. XII, coniata con la preoccupazione di attribuire tutto ciò che veniva fatto di buono ai frati, fa risalire a lui l’iniziativa delle Crociate. La realtà invece è che egli la predicò e fu capo di una spedizione, ma nient’altro. L’iniziativa spetta solo a Urbano II.

D. Dove ve prese l’idea Urbano II!

— Non si sa. In questa impresa egli fu guidato dal pensiero di metter fine ai dolori che gli oppressi Cristiani d’Oriente soffrivano per mano dei Musulmani e togliere intanto anche i dissapori dell’Occidente, affratellando in una grandiosa idea comune i popoli tutti e togliendo il tempo di contendere tra loro.

D. Che cosa doveva essere dunque la Crociata secondo Urbano?

— Una guerra religiosa, predicata a nome della Chiesa, fatta da un esercito cosmopolita, sostenuta da privilegi ecc… con lo scopo di liberare i Cristiani e i luoghi di Terra Santa.

D. Che cosa occorreva a questo riguardo?

— Occorreva che il popolo Cristiano acquistasse coscienza di costituire un’unità vivente, altrimenti l’impresa sarebbe stata inconcepibile.

D. L’impresa delle Crociate conseguì una durevole conquista della Terra Santa?

— No; tuttavia le Crociate (1075 – 1270) mettono l’Islam in condizioni tali da non poter più nuocere per parecchi secoli e rafforzano anche nei Cristiani la coscienza della loro unità.

D . Quando ne parlò Urbano II!

— Al termine del Concilio di Clermont.

 L’eloquenza con cui parlò della desolazione della Terra Santa, dei templi devastati, dei fratelli dispersi… eccitò ad emulare le glorie dei padri e a vendicar l’onore cristiano. Parlava ancora, quando dalla moltitudine s’alzò il grido: « Dio lo VUOLE!», grido che il Papa ripeté e propose come parola d’ordine e grido di guerra.

D. Ebbe seguito l’appello del Papa?

— Moltissimi si dichiararono pronti a partire. Ripetuto poi l’appello da monaci e pellegrini, l’Europa rispose con uno scoppio di entusiasmo unico nella storia.

D. Che cosa apparve allora il Papa?

— Nel momento in cui i più grandi sovrani, scomunicati, si isolavano nella loro astensione, il Papa appariva il solo vero sovrano e vero organizzatore dei popoli.

D . Quando partì la prima Crociata?

— Il 15 agosto 1096. Quattro eserciti mossero verso Oriente: uno lorenese con a capo Goffredo di Buglione, uno francese capitanato da Ugo di Vermandois, un terzo in cui era il Legato pontificio e un quarto di Normanni guidati da Tancredi. Punto di concentramento era Costantinopoli.

D. Come li accolse l’imperatore d’Oriente?

— Tentò di servirsi dei Crociati per i suoi scopi guerreschi, quali la riconquista, di Nicea, ribellatasi all’imperatore, e la rioccupazione della Siria, non più in sua mano.

D. Che cosa si notò intanto nell’esercito dei Crociati?

— Il serpeggiare di epidemie micidiali, dovute ai nuovi climi, e, peggio ancora, l’affermarsi delle discordie dei capi, che ne decimarono le file; sicché solo in numero di 40.000 (erano partiti in 600.000) giunsero in vista di Gerusalemme, che conquistarono dopo 39 giorni d’assedio, facendo un massacro di Turchi (15 luglio 1099).

D. Come si ordinò il governo di Terra Santa?

— Goffredo di Buglione fu eletto capo; ma non prese il titolo di re, bensì di « Barone del s. Sepolcro ».

D. In quali condizioni si trovò il Regno di Gerusalemme?

— Ben presto tristi. Nell’agosto dello stesso 1099 Goffredo difese la recente conquista da 200.000 Fatimiti; rinacquero le discordie degli stessi Cristiani, che avevano divisa la Palestina in tanti stati vassalli di Gerusalemme. Tali gelosie, sorte tra i principi cristiani, contribuirono ad indebolire la signoria latina di Oriente e ad affrettarne la caduta.

S. BERNARDO

L E ALTRE CROCIATE

D. Chi è S. Bernardo?

— Dice il Todesco: « Uno dei più grandi personaggi del sec. XII, mescolato a tutti gli avvenimenti del suo tempo, pacificatore di principi e di repubbliche, consigliere di Papi, oracolo di Concili ».

D. Dove rifulse specialmente il suo zelo ?

— Contro gli eretici Abelardo e Arnaldo da Brescia.

D. Che cosa vennero essi, a rappresentare?

— Abelardo fu il precursore del razionalismo e Arnaldo precursore dei nemici dell’autorità pontificia e in particolare precursore del Protestantesimo.

D. Che fece S. Bernardo contro di loro?

— Combatté per l’ortodossia contro Abelardo e per la dottrina sociale della Chiesa contro Arnaldo.

D. Qual è il momento culminante della sua vita!

— Quello della predicazione della 2a Crociata (1146 – 1150), in cui sembra veramente incarnare l’unità cristiana dell’Europa medioevale. Con la sua predicazione compì il miracolo di lanciare in Oriente due armate e due re: Luigi VII di Francia e Corrado III di Germania.

D. Quale esito ebbe la Crociata ?

— Un esito fallimentare; fu come un torrente che precipita dalla montagna e tosto scompare al piano nella sabbia. Nel 1187 il Saladino, sultano di Egitto, riconquistava Gerusalemme.

D. E S. Bernardo?

— Benché amareggiato per l’immenso disastro, adorò umilmente i disegni imperscrutabili di Dio.

D . Che cosa determinò la caduta di Gerusalemme?

— La 3a Crociata, bandita da papa Clemente III. Essa vide partire i tre più grandi sovrani della Cristianità: il Barbarossa, Filippo Augusto di Francia e Riccardo Cuor di Leone d’Inghilterra, ma con il solo effetto della riconquista di S. Giovanni d’Acri (1191).

D. Chi ebbe animatore la quarta Crociata?

— Innocenzo III, uomo di attività sorprendente, che affrontò e risolse tutte le questioni religiose, morali, disciplinari, politiche del suo tempo, e con il quale il Pontificato raggiunse l’apogeo del suo splendore, cogliendo il frutto dell’opera eroica di Gregorio VII e di Alessandro III. – La 4a Crociata da lui indetta però nel puntare su Costantinopoli si esaurì nella creazione dell’impero latino di Oriente.

D. Innocenzo III ebbe da sostenere lotte in Europa?-

— Sì, combatté con estrema energia le diverse eresie, particolarmente quella degli Albigesi, contro i quali da prima invitò una missione apostolica, diretta da S. Domenico di Guzman, e infine bandì una Crociata.

D . Chi propugnò la quinta Crociata?

— Innocenzo III e Onorio III; si diresse verso l’Egitto, sostenuta dalla, parola e dalla presenza di S. Francesco d’Assisi, con l’intenzione di passare poi in Palestina, ma non raggiunse la Terra Santa, per il mancato aiuto dell’imperatore d’Oriente, Onorio (1218-1221).

D. E la Crociata di Federico II nel 1228-1229?

— Fu una farsa. Per liberarsi dalle scomuniche, toccate nella sua diuturna lotta contro il Papato, e per riabilitarsi presso la Cristianità, partì senza esercito per l’Oriente e stipulò con il Sultano d’Egitto un patto che concedeva Gerusalemme ai Cristiani, ma a condizioni talmente svantaggiose, che era infamia accettarlo. Ciò nonostante si coronò di propria mano re di Gerusalemme. È questa l a VI Crociata.

S. Chi ebbero animatori la VII (1248) e l’VIII Crociata (1270)?

— Il piissimo re di Francia, S. Luigi IX, il quale non raggiunse neppur egli il nobile sogno propostosi, perché nella prima fu fatto prigioniero e nella seconda morì di peste a Tunisi. Così si chiude il periodo delle Crociate.

GLI ORDINI RELIGIOSI

PREAMBOLO

Provvidenziale risanamento spirituale

Gli abusi ecclesiastici, che scomparvero soltanto con la fine della lotta delle investiture, e le diverse eresie che pullulavano in quel tempo, avevano portato gli uomini a un grande rilassamento religioso. Chi contribuì efficacemente al risanamento spirituale della società fu il rifiorire della vita claustrale.

D . Chi aveva favorito la liberazione del potere spirituale dai tanti nemici durante l’ « epoca di ferro »?

— Specialmente la congregazione claustrale di Clunv. Ispirato da Cluny, il Papato corresse se stesso, intraprendendo la riforma di tutta la gerarchia.

D, Sorsero altre istituzioni?.

— Sì. I cosiddetti ORDINI MENDICANTI, più consoni alle esigenze dell’epoca in quanto, fuori delle pareti dei chiostri, annunziarono pubblicamente al mondo la povertà, sublimata dall’esempio di Cristo e l’abbracciarono eroicamente.

D. Era necessario tale culto della povertà?

— Sì. L’amore disordinato alle ricchezze era la causa principale dell’universale rilassamento. Era necessario che il popolo vedesse, attraverso esempi tangibili, la povertà cristiana veramente praticata e vissuta.

D. Quali furono gli ORDINI RELIGIOSI invocati dalle necessità del momento?

— 1) L’ordine dei Frati Minori fondato da S. Francesco d’Assisi (1209) con la missione di combattere l’amore per la ricchezza mediante la pratica della povertà e dell’umiltà.

2) L’ordine dei Frati Predicatori fondato da San Domenico di Guzman (1206) per estirpare l’eresia.

LETTURA

IL POVERELLO D’ASSISI

Siamo nel 1209. Il Laterano è il simbolo della Chiesa e della Società cristiana: mentre, considerata dall’esterno, sembra essere indistruttibile, vista dall’intimo, cova le insidie dell’esaurimento. Chi la soccorre? Un giovane, Francesco (n. 1182) precoce nell’ingegno e nei sentimenti più nobili, è ben presto soldato della sua Città e si appresta a partire per la Crociata quando una malattia lo richiama in patria. Un viaggio a Roma (1206) gli fa sentire più forte l’appello di Dio e poi, ad Assisi, rinuncia all’eredità paterna e si dà all’apostolato della povertà e della parola. Giovane era il Papa, a trentasette anni; ventenne l’imperatore svevo: giovane Francesco e giovani, in prevalenza, i suoi seguaci; da quel primo, di Assisi, rimasto senza nome, di cui sappiamo solo che era « spirito puro e semplice », a Bernardo, suo compagno d’infanzia e di poco più grande di lui: a Egidio « fedelissimo e devoto ». Giovani ardenti e puri ai quali si associarono fraternamente due preti, più anziani, Pietro e Silvestro. Dante ricorda la giovinezza di Francesco perché dice di lui che fece sentire alla terra il fascino della santità quando « non era ancor molto lontan dall’orto » (dalla nascita). Come dalla giovinezza Francesco traeva le origini della sua milizia di uomini, così dalla giovinezza faceva nascere la milizia delle pie dame; S. Chiara — che doveva essere madre di tanta famiglia spirituale — aveva dodici anni e già, dice lo storico, era « giovane prudente, savia, bella e gentile di viso e di bello e buono aspetto e di bellissima eloquenza nel parlare e ornata di tutti i buoni e bei costumi ».

Il genio di Francesco si rivela, in quanto fondatore, soprattutto, del Terzo Ordine: il principio del monachismo quale legge di vita che dall’eremo e dal chiostro si diffonde in tutta la società, clero e laicato, trova nel Terzo Ordine la applicazione più geniale e feconda. Sul piano della Povertà, attuata come regime di solidarietà, l’azione dei monaci si trasforma nell’azione dei « fratelli» cioè dei frati. Questi vivono di elemosina — cioè di libero scambio di beni — e ricambiano il dono con altrettanti doni di carità. – Come dice Fra Guidino, nei « Promessi Sposi», parlando di ciò che il convento riceveva e di ciò che dava: « … Si faceva tant’olio, che ogni povero veniva a prenderne secondo il suo bisogno; perché noi siamo come il mare, che riceve acqua da tutte le parti, e la torna a distribuire a tutti i fiumi ». Per attuare questo ideale di povertà — cioè di solidarietà nella distribuzione dei beni —, Francesco e i suoi si propongono di vivere nella società e per la società, di praticare l’apostolato in mezzo ai fratelli tutti; egli è il primo ad asserire questo dovere e ad organizzare definitivamente le missioni tra gli infedeli. I frati (Primo Ordine), le suore (Secondo Ordine) formano una sola grande famiglia con i secolari del Terzo Ordine, laici e preti che vivono nel secolo. È un grande appello al laicato, che torna a porre il problema dei mezzi di perfezione cristiana (un problema che di quando in quando sì impone alla coscienza dei credenti). Scriveva nel sec. IV S. Giovanni Crisostomo: « La fonte dei grandi disordini del mondo sta nel credere che i soli monaci siano obbligati alla perfezione e che i secolari possano farne a meno ». La soluzione francescana del Terzo Ordine che aggrega laici di ogni condizione e porta nella famiglia, nel lavoro, nella professione, lo spirito dell’Ordine, tanto rispondeva alla necessità che, presto o tardi, gli altri ordini religiosi ebbero i loro, terziari; non solo i Domenicani (i quali, si può dire, nacquero insieme con i Francescani) ma anche gli Agostiniani, i Servi dì Maria, i Carmelitani, i Minimi, ì Premostratensi, i Benedettini. – II Terzo Ordine faceva appello a tutti e non solo ai giovani, perché  tutti andavano ‘incontro a S. Francesco e volevano seguirlo

CATERINA DA SIENA E GIOVANNA D’ARCO

Sono due giovanette, che Dio chiama « a miracol mostrare »: terziaria domenicana, Caterina — patrona d’Italia — e terziaria francescana, Giovanna — patrona di Francia — l’una e l’altra incarnazioni del genio di due grandi, popoli cristiani. Caterina è la confortatrice, la predicatrice, l’ambasciatrice, la mistica eloquente che restituisce all’Italia e a Roma il Papato; Giovanna, con il suo genio militare, incarnazione femminile della cavalleria cristiana, restituisce alla patria il suo re con l’impeto di strabilianti vittorie e sale impavida il rogo, a 19 anni, martire di carità.

L’IDEA RIPARATRICE (5)

P. RODOLFO PLUS S. J.

L’IDEA RIPARATRICE (5)

[Traduzione del P. Giovanni Actis, S. J.  dalla 25° edizione originale]

Torino-Roma Casa Editrice MARIETTI 1926

Imprimi potest.

P . ANTONIOS ARGANO S. I., Præp. Prov. Taur.

Visto: Nulla osta alla stampa.

Torino, 26 Maggio 1925.

Teol. Coll. ATTILIO VAUDAGNOTTI.

Imprimatur.

Can. FRANCESCO DUVINA, Prov. Gen.

(30) LETTERARIA (2-xi-25-2M).

LIBRO II

Chi deve riparare?

CAPO SECONDO

L’ANIMA RELIGIOSA E LA RIPARAZIONE.

« V’hanno al mondo delle strade il cui nome non può esser dimenticato » . La prima ha nome Regina delle strade. Regina viarum; passando per Capua, Benevento, Brindisi e il mar Jonio metteva in comunicazione Roma colla Grecia ed era come un legame tra i due poli del mondo. Era la via battuta dagli artisti e dai poeti. La seconda viene chiamata Via sacra. Passava a fianco del colle Palatino e attraversando il Foro romano saliva al Campidoglio. Era la via percorsa dai trionfatori. Ve n’ha una terza ancora: la Via dolorosa. Parte dalla torre Antonia, abitazione di Pilato in Gerusalemme, e ci mena, passando per la casa di Anna e quella di Caifa, fino alla sommità del Calvario. Questa fu la via battuta dal divin Salvatore ed è ancora quella per la quale si mettono tutti i giorni i suoi discepoli avidi di seguire le orme del Dio Crocifisso… la via dolorosa o, come si esprime l’Imitazione di Cristo, la via regia, la via regia della Croce. Il fondo stesso di ogni vocazione religiosa forse che non consiste in un invito ad unirsi più strettamente a Gesù? È vero, anche solo per la grazia santificante, Iddio ci permette un’ammirabile intimità con Lui che diventa così nostro Padre e che rimane ad abitare dentro di noi. Ne abbiamo trattato in un opuscolo a parte (v. Dio in noi, pubblicato su questo blog). Ma se lo stesso nome di Sposo conviene a “rigore per un Dio che vive intimamente con ciascun uomo battezzato, qual significato prenderà quando si tratti non più soltanto d’un’anima che batte la via della legge divina, ma di un’anima che Dio si è scelta da tutta l’eternità per il suo servizio particolare, ch’Egli da tutti i tempi si è eletta, separata dalle altre, attirata a sé e consacrata interamente ai suoi divini voleri? L’anello nuziale è offerto e accettato; gli impegni contratti. Un vero matrimonio di spiriti, l’unione tra Dio e il Cristiano, effetto del rito battesimale: che dire dell’unione di Dio colle anime di predilezione, conseguenza del voto di castità e delle altre promesse religiose? Orbene è proprio della sposa il partecipare intimamente collo sposo alle sue gioie, alle sue sofferenze, alle sue inquietudini, ai suoi dolori, alle sue perplessità, alle sue angosce e ai suoi desideri. I loro due cuori si uniscono ora in un solo cuore. Se l’anima è sincera deve dire a Nostro Signore: « Amore per amore, vita per vita, sangue per sangue, ostia per ostia, tutto deve essere comune fra noi. Voi ora non siete più in grado di soffrire, ma la vostra missione Voi l’avete affidata a me e mi consacrerò ad essa senza riserva alcuna. Per consolarvi e per salvare insieme con Voi questi poveri peccatori per cui vi siete sacrificato, io voglio soffrire per quelli che godono, io voglio amarsi per quelli che vi bestemmiano, io voglio umiliarmi per quelli che si esaltano, io voglio piangere per quelli che ridono, io voglio conservarvi ben dentro al mio cuore per quelli che vi scacciano da loro col peccato. « Io ascolto il vostro lamento: “il mio amore perseguitato e disprezzato cerca un luogo di riposo ed è il tuo cuore che io mi sono scelto per dimora”. Ed io pure come la vostra serva carmelitana, Elisabetta della Trinità, voglio “offrirvi una dimora, un rifugio nell’anima mia ove col mio amore cercherò farvi dimenticare tutte le abbominazioni dei malvagi”. Ben lo comprendo, è in me, in questo tempio, che per ragione della grazia santificante voi abitate, è in questo tempio che voi volete vedere rizzato l’altare del sacrifizio sul quale si compiranno i misteri di misericordia e di perdono. Io vi offrirò la materia da sacrificare, voi la trasformerete, la divinizzerete con la vostra presenza, con l’opera vostra. Voi stesso in me farete l’offerta al Padre, e offrirete tutto senza eccezione. Non badate alle mie resistenze e ripugnanze. Strappate tutto quello che vuol opporsi ai vostri desideri. Non è forse necessario che io sia consumato nell’unità per poter lavorare efficacemente affinché tutti sieno una cosa sola? Se voi non siete perfettamente in me, come potrò io fare che vai siate tutto in tutti? « Maestro divino, voi siete già in me per la vostra grazia ch’io ho ricevuta nel santo Battesimo: da questo momento per i miei voti religiosi Voi sarete anche più profondamente in me. Voi distruggerete in questo mio cuore, da Voi scelto per il sacrifizio, tutto quello che non vi è gradito. Io rassegno nelle vostre mani tutte le mie potenze dell’anima, e il mio compito per l’avvenire mi è ben chiaro avanti alla mente: non avrò più altra mira che riparare gli oltraggi che tanti ingrati vi fanno continuamente, e povera infermiera inesperta sì, ma che vuol essere tutta sacrificata, povera Veronica la quale non possiede che un misero pannolino e un misero cuore, io passerò la mia vita a consolare le vostre tristezze, e a curare le vostre ferite. Io stringo tra le mani il Crocifisso dei miei santi voti, delle nostre reciproche promesse, e mi faccio ardita — voi me lo concederete — di posar le mie labbra sopra le vostre piaghe divine. Io bacio la piaga delle mani affine di riparare per quelli che operano il male; io bacio la fronte trapassata dalle spine affine di riparare per quelli che non pensano a Voi, per quelli che ci pensano solo per insultarvi: io bacio la piaga del Costato affine di riparare per quelli che non amano, per quelli che amano disordinatamente. E vorrei procedere ancor più innanzi: Non sono quelli che dicono: Signore, Signore! che si mostrano sinceramente sacrificati. Io vorrei potervi dimostrare col fatto la mia generosità e imprimere nella mia vita, se non posso farlo sul mio corpo, le sacre stimmate della vostra Passione. « Certo l’offerta che io vi prego di gradire sarà ai vostri occhi ben miserabile: ma mi consola il pensare che per formare un‘ostia basta unpo’ di frumento, alcuni grani ben stritolati sotto la macina. E dell’ostia voglio imitare tutte le qualità: la sua piccolezza, e nell’esercizio di una vita umile e povera sarà mio motto: che io diminuisca perché Egli cresca; il suo candore, e il mio ideale sarà la purezza degli Angeli: la sua immobilità, l’ostia si lascia portare per ogni dove senza resistenza, ed io obbedirò senza alcuna difficoltà ». – Molti poi cercano di venire a cose più determinate e al di fuori e al disopra dei voti religiosi, i quali già contendono una completa oblazione di sé in una vita di crocifissione continua, si prendono come intenzione che domini ogni loro azione il sacrifizio senza tregua e a dose massima possibile, l’immolazione costante, radicale, perpetua                                                                                       insieme con Gesù Cristo per il bene delle anime. Noi stessi abbiamo avuto occasione di descrivere altrove la genesi di simili offerte in cui s’insiste presso il Signore per ottenere come un favore di partecipare non più con una approssimazione alquanto mitigata, ma rigorosamente alla lettera e il più intimamente possibile tra le mura d’un chiostro o anche in mezzo al mondo all’immolazione redentrice di Gesù Cristo.(Ames Réparatrices. Articolo del « Messager du Coeur de Jesus », poi pubblicato i n volumetto separato). Ma basti delle vocazioni particolari: ritornando alla vocazione religiosa in genere noi ripetiamo ancor una volta: essa può e deve essere una vocazione riparatrice. Essa lo è per sé stessa e noi possiamo più o meno esplicitamente riconoscerlo praticamente (Lo spirito della vita di sacrificio nello stato religioso  prit et de la vie de sacrifice dans l’état religieux, del P. Giraud, già superiore dei PP. de la Salette).Alla vista delle rovine che si accumulanoe del bisogno di lavoratori che ponganomano a ristorarle, a ripararle, molti vannomormorando entro di sé: ce Certo converrebbeche qualcuno si mettesse all’opera …ma perché dovrò farlo io? ». Altri, in piccolo,anzi troppo piccolo numero, umilmente ma con volontà risoluta, dicono senz’altro: « Certo converrà che qualcuno si ponga all’opera… perché non mi ci metterò io stesso? » . E incominciano subito; ecco la vocazione religiosa mossa dal desiderio della riparazione. Anime energiche, non si arrestano dinanzi agli ostacoli, esse camminano per la loro strada. V’ha chi le voglia trattenere? Esse non ci badano. « Magister adest, vocat te ». Ecco il Maestro che ti chiama ed esse partono. Converrà spezzare i vincoli più cari. Che importa? Coll’aiuto del Signore tutto si sacrifica. — « Quand’anche avessi avuto cento padri e cento madri — diceva Giovanna d’Arco — io sarei partita ». E si ripetono le sue parole: Cento madri! In quelle circostanze è già ben doloroso l’averne anche soltanto una. Con tutto ciò, si parte. La fermezza di proposito non toglie però il dolore. « Che portate con voi entrando in convento? ». — « Nulla, o piuttosto una dozzina di fazzoletti per asciugarmi le lacrime ». In quei momenti anche un nonnulla si fa sentire intimamente: ma si parte lo stesso (La psicologia di questi momenti ci vien descritta con mano maestra nell’Isolée da RENÉ BAZIN, quando la figlia del canuto lionese abbandona il proprio padre e dà l’ultimo addio alla casa e a tutti gli oggetti famigliari.) . -— « Io debbo andare incontro al Re ». Questa è l’ultima parola di tutte le anime a cui si è fatto sentire l’invito: « Vieni, figlia di Dio, vieni, vieni », e fu concesso dallo stesso Dio il coraggio di corrispondervi. Il mondo non comprende queste cose, non comprende nulla. Alla vista di siffatte scene di generosità va mormorando: « Follie, stoltezze! », se pur si degna di fermarsi a considerarle. Follìe? Sì, sieno pur follìe. Un giorno alla Camera francese l’abate Gayraud, allora deputato di Finisterre, prendendo la difesa delle Congregazioni religiose che si volevano cacciare di Francia, segnalava la grandezza d’animo di tutte queste anime generose che si separano dal mondo e fanno da parafulmini al mondo stesso vivendo crocifisse con Gesù Cristo. E l’oratore ricordava i Fratelli di S. Giovanni di Dio che passano la loro vita al servizio dei mentecatti, le piccole Suore dei Poveri che serbano per sé non altro che gli avanzi dei pasti dei loro « poveri vecchi » e non hanno per campare esse e i loro infermi fuorché quanto raccolgono mendicando di porta in porta… — Ma tutti costoro convien dire che sono dei pazzi! — gridò una voce dall’estrema sinistra. — Sì, sono dei pazzi, signor Allentane — riprese l’abate drizzandosi ancora qualche poco, quasi per misurare la grettezza morale dell’interruttore — , essi sono posseduti da una follìa che da secoli è conosciuta in mezzo ai Cristiani e S. Paolo già ai suoi giorni la definiva: « La follìa della Croce ». Nei punti estremi la logica della ragione e quella della Fede, confondendosi colla logica del cuore, ci dà quel che il mondo definisce una follìa! Sì, questa follìa esiste ma non già da quella parte che si vuol immaginare.

La follìa della Croce!

Oh! Ecco Gesù, il povero Gesù Crocifisso! Costoro, tutti quelli dominati da siffatta follìa, l’hanno visto passare un giorno dinanzi a loro per la via; l’hanno visto col sembiante tutto mesto e l’hanno udito mormorare sommesso: « Sequere me, vieni dietro di me! ». In quel momento in cuor loro spuntò un non so qual desiderio, non solo di non darsi ad altri che a Lui, di porgere a Lui in tutta la sua freschezza tutto il proprio cuore, tutto il proprio amore, ma ancora di abbandonarsi completamente a Lui, definitivamente, con tutto il proprio essere, di darsi a Lui per soffrire con Lui, di offrirsi per accompagnarlo sempre e per tutto, fino a Betlemme, al Tabor, al Cenacolo, non solo, ma anche fino al Getsemani, fino al palazzo di Pilato ov’è motrato alla folla: Ecce Homo!, fino alla colonna della flagellazione ove lo si batte e s’insulta, fino alla Croce ov’Egli muore coperto di ferite e dissanguato per espiare i nostri peccati. – La Croce! Fino a quel momento, spesso si era fatta oggetto di contemplazione, ma non l’avevano compresa. L’abitudine di vedere per lo più ci impedisce di scorgere bene quello che ci sta dinanzi agli occhi. Ed ecco che questa volta la Croce si mostrò tutt’altra dal grossolano Crocifisso al crocicchio della strada o dall’elegante Crocifisso della camera da letto. Per la prima volte le parole di Nostro Signore a S. Angela da Foligno penetrarono in fondo al cuore: « Non è per ischerzo che io ti ho amato! » . — Per ischerzo… oh! no, si è detto in cuore suo: « Una Croce un giorno fu adoperata, una vera croce di legno fu adoperata sulla sommità di un monte una volta quale giorno! Accanto a tutte quelle croci da cui non pendono che dei Gesù morti, un giorno vi fu una croce a cui hanno confitto un Gesù vivo ancora, un Gesù inchiodato, un Gesù sanguinante, morto per me, per tutti gli uomini… » E mirando da una parte Gerusalemme che bestemmia e ignora il mistero compiuto, dall’altra il mondo sempre indifferente od ostile: « Se Nostro Signore ritornasse in questo mondo certo Egli sarebbe nuovamente posto in croce e più presto ancora di quella prima volta ». Quando si è rimasti colpiti da questo doppio spettacolo di luce sinistra, qualche cosa noi troviamo di cambiato nella nostra vita e ripetiamo con Pascal: « Gesù Cristo sarà agonizzante fino al terminar dei secoli: in tutto questo tempo noi non dobbiamo dormire ». – Dormire! Come si può dormire mentre il Maestro, Gesù, è là sulla Croce sospeso e soffre, ahimè!, per molti anche invano. « Oh! no — diceva Uria a David — , mentre Gioab, mio generale, è sul campo e dorme

sotto la tenda sul nudo terreno, io non andrò a riposare comodamente nel mio palazzo! no, non accetto questo indegno privilegio! ». Contemplando Gesù sulla Croce si perde il coraggio di vivere senza Croce. Ad una futura Carmelitana si fa la descrizione della vita austera che le toccherà quando veramente si decida di chiudersi nel monastero: « Nella cella troverò almeno un Crocifisso? », risponde essa. — « Oh! sì », le si aggiunge. — ce Ebbene — conchiude essa — non parlate più oltre, lasciatemi andare che nulla più mi sarà difficile vicino a Gesù Crocifisso ». Così e non altrimenti dicevano i Santi. S. Filippo Neri se ne moriva sfinito di forze; per fortificarlo il dottore gli ordina un buon brodo. Gli si porta il brodo ed egli già incominciava a prenderne qualche sorso, quando s’interrompe bruscamente esclamando: « Oh! mio Gesù! Quanta differenza tra me e voi! Voi foste inchiodato sopra il duro legno della Croce ed io mi riposo in un comodo letto! Voi foste abbeverato di aceto e di fiele ed a me si prodigano delizie d’ogni fatta! Intorno a voi nemici che v’insultano, intorno a me tanti amici che si studiano di porgermi consolazione! ». E un tale contrasto gli strappò le lacrime in tanta copia che non poté continuare a bere il brodo di cui aveva tanto bisogno. Ecco il gran segreto delle vocazioni riparatrici!: Gesù fu povero, lo sarò anch’io; Gesù ha sofferto, soffrirò anch’io; Gesù Cristo è stato preso a schiaffi, anch’io accetterò i dispregi, l’oscurità, l’abbandono di tutti, la persecuzione. Gesù Cristo, in una parola, fu posto in Croce, ben venga anche per me la Croce. – Nostro Signore compare un giorno a S. Margherita Maria e le presenta due quadri, l’uno lo rappresenta in Croce, l’altro nella gloria della sua Risurrezione, e le dice: « Scegli a tuo piacere ». La Santa, senza esitare, stende le braccia verso Gesù sofferente (Al cominciar della sua carriera Margherita Maria avrebbe preferito una santità meno dolorosa. Confessa di sé che percorse le vite dei santi per trovarne uno che non avesse sofferto e non lo trovò e dovette rendersi all’evidenza che non v’ha Santo senza Croce). – Qualche cosa di somigliante troviamo nella vita della contessa d’Hoogworst. Emilia d’Oultremont. fondatrice dell’Istituto di Maria Riparatore. (La Société de Marie Riparatrice, par le P. DE LAPORTE S. J.). Era a Roma nel 1843, quando Nostro Signore le rivelò il suo Cuore, « Egli mi si presentò — così essa lasciò scritto — con due corone tra le mani, l’ima di rose, l’altra di spine ». Senza lasciargli proferire parola. Emilia afferrò la corona di spine « con tutto l’affetto del proprio cuore » , e da quel momento, essa lo confessa sinceramente, « la corona di spine mi fu sempre carissima » (Emile d’Oultremont (La Mère Marie de Jesus) — par le P. SUAU, S. J., Casterman, Tournai). – Donde queste inclinazioni e gusti ben singolari, questo attraimento anormale; donde queste preferenze che hanno qualche cosa di strano? (L’Istituto delle Figlie del S. Cuore di Gesù ha fondato nel 1904 per le persone secolari che desiderassero menar vita di riparazione una Associazione detta delle Anime Vittime del Cuor di Gesù, di cui il nome non è a tutti gradito, ma lo spirito è da tutti ben accolto. Pio X nel benedirne l’istituzione si degnò farne parte iscrivendosi come membro. Per altra parte è noto quanto Egli amasselo spirito di riparazione.). La ragione si è che l’anima ha scoperto più o meno esplicitamente che soltanto il dolore può unirla intimamente a Colui che ha voluto esser l’uomo dei dolori — Vir dolorum ». In tutto il resto tra noi e Gesù la distanza è enorme: dall’una parte il nulla, dall’ altra 1’infinito; la povertà estrema, la ricchezza senza limiti. La gara è impossibile; dove trovare un punto di rassomiglianza?… Oh! Eccolo… addolorato Gesù… addolorata l’anima mia. In tutto il resto Egli mi sfugge; Egli è lo stesso Dio. Col dolore io lo raggiungo perché anch’Egli ce soffre ». Su questo terreno posso tentare d’imitarlo. La strada che Egli batte per venire fino a me posso tentar di percorrerla anch’io per arrivare fino a Lui. Così sparisce la distanza fra noi due. Il nostro comune procedere ha qualche cosa di identico e i nostri due esseri, differenti in tutto il resto, in questo diventano simili. Colla sua sofferenza l’anima ce afflitta » diviene per Dio 1′ « adiutorium simile sibi », degna perciò delle carezze divine. Si può ammettere come tesi generale — fa notare l’autore della Vita di S. Liduina — che tutti i servi generosi di Gesù Cristo sono da Lui adoperati per l’espiazione Oltre la loro particolare missione, che non sempre coincide colla riparazione, poiché altri sono più particolarmente destinati o per fare delle conversioni, o per riformare dei monasteri, o per predicare al popolo, o per altro ancora spesso noto a Dio solo; a tutti nondimeno vien rivolto l’invito di arricchire il tesoro comune della Chiesa con le loro sofferenze, tutti si trovano in grado di presentare al loro divin Maestro quella autentica prova del vero amore che è il sacrifizio di sé. Però anche tra questa schiera eletta si trovano delle anime più particolarmente segnate per servire di vittima propiziatrice, quelle che il Signore destina alla nobiltà speciale del « suo proprio blasone ». Non vi mancano gli uomini, « Ancora, ancora sofferenze », mormorerà agonizzando in vista della Cina un S. Francesco Zavério. — « Soffrire ed essere disprezzato », dirà un S. Giovanni della Croce; e noi vedremo nel capitolo seguente degli esempi eloquenti, fra i sacerdoti, di vocazione riparatrice, ai quali possiamo aggiungere quelli del Ven. P. De la Colombière (Ecco il testo della sua oblazione: « O Cuore dei mio Gesù…, acceso dal desiderio di riparare e di espiare tante e si grandi offese che vi si fanno… io vi offro e vi abbandono interamente il mio cuore e tutto il mio essere, ecc ».), del signor Olier (egli si era offerto come « ostia » a Montmartre. « Io godevo, Mio Dio, nel venire alla vostra presenza in qualità di ostia e pregare: O Dio del mio cuore, non mi risparmiate, tagliate, spezzate, riducete a brani questa vostra vittima ». Nella sua Vita.), del P. Surin e del P. Ginhac (vita scritta dal P. CALVET — Un altro maestro di vita spirituale, autore di due stimati scritti sulla « Orazione », il P . de Maumigny, morendo ringraziava il Signore specialmente « per avergli concesso trentacinque anni di dolori ».)Fra i laici, ben innanzi inprima fila, il sig. Dupont. « il santo di Tours » (Vita, di Léon Aubinau, 1878).Però non si può negare, come osservaHuysmans, che il desiderio di ripararespunta ancor più frequente nel cuore delladonna, e ne porta la ragione:« Il Signore si direbbe aver riservato piùparticolarmente alla donna il compito diumile e nascosta pagatrice. I Santi invecehanno un mandato che si estende tra lemasse e si impone ai popoli: essi percorronola terra predicando, fondano o riformanoOrdini religiosi, convertono gli idolatri, insegnano la verità coll’eloquenza delpulpito, mentre più passiva la donna, cheper altro non può esser insignita del caratteresacerdotale, si contorce in silenzio sopraun letto di dolori. È un fatto che l’animadella donna e il suo temperamentosono più affettuosi, più sacrificati, menoegoisti che quelli dell’uomo. Così pure ladonna è più impressionabile e più facilealla commozione. Quindi Gesù presso ladonna trova accoglienza più premurosa; ladonna per istinto ha delle attenzioni, delledelicatezze, delle cure minute verso di Lui,quali non sa trovare un uomo quando nonsia un altro Francesco d’Assisi. Inoltre leverginelle, per aver rinunziato alle caste gioie dell’amor materno verso le creature,hanno tutto un tesoro di affetti che viene arinforzare l’amore per lo Sposo celeste, ilquale, quando esse lo desiderano, diventaper loro il Santo Bambino; le sante allegrezzedi Betlemme saranno sempre più accessibilialla donna che all’uomo, e allorafacilmente si capisce come la donna nonpossa più nulla negare al suo diletto Gesù…Nonostante il loro carattere incostante e facileall’illusione, sarà sempre tra le donneche lo Sposo divino troverà le sue vittimepiù generose ». – « O patire o morire! » , esclama S. Teresa.— « No », corregge Maria Maddalena de’ Pazzi, « non morire, ma sempre continuarea patire ».Marcellina Pauper, Suora di Carità chesi era offerta al Signore come vittima perriparare soprattutto le profanazioni del SantissimoSacramento e i furti di sacre Ostie,confessava di sé: « La mia vita è un delizioso Purgatorio: il corpo soffre, ma l’anima gode ».Veronica Giuliani diceva: « viva, vivala Croce tutta sola e tutta nuda, viva la sofferenza! ». E la M. Maria De Bourg: « Se le sofferenze fossero in vendita al mercato, mi farei ben premura d’andare a provvedermene ».

S. Liduina anch’essa, in mezzo ai suoi più atroci dolori, esclamava: « Non compatitemi, io sono felice, e se con una sola Ave Maria potessi ottenere la mia guarigione, io non la reciterei mai ». E non si dica: « Queste scene sono di altri tempi, ora di anime simili non ne esistono più ». Ascoltatene una proprio dei nostri giorni: « Io ho bisogno di soffrire, io voglio soffrire perché Gesù ha sofferto per me, perché il Signore lo desidera per l’espiazione dei delitti del mondo. Io voglio soffrire perché il dolore è la più potente delle preghiere… perché il dolore purifica, perché il dolore c’innalza … Io voglio soffrire perché nel dolore si trova la felicità e l’anima è assetata della vera felicità. Non mori, sed pati. Patire, patire per cent’anni se è necessario, per salvare le anime e glorificare il Signore. Ho bisogno di preghiera continua, robustezza dell’anima, chiave dei tesori celesti. La preghiera unisce a Gesù, aiuta a sopportare tutto per la sua gloria. La preghiera è sorella del patimento, l’uno e l’altra si uniscono per offrirsi a Dio e salvare il mondo. Gesù non li ha mai separati nella sua vita nascosta, nella sua Passione, sulla Croce ». Così scrive Hervé Bazin (Une Religieuse réparatrice. Perrin, 1903. (Préface de R. Bazin). Notiamo però che se gli esempi recati fin ora mettono in mostra specialmente il « dolore », rimane sempre vero che il criterio della Riparazione dev’esser l’ « Amore» di cui il dolore non è che la prova più sicura), il quale ebbe una sorella, Simona Denniel, anch’essa religiosa di Maria Riparatrice. Eccone i sentimenti: « Le rose per Lui, per me le spine. Ostia coll’Ostia… ossia per l’Ostia, questa mi pare la sostanza di tutta la mia vita » (Une àme réparatrice. Simone Denniel. Vittel,  Lyon, 1916).Si possono consultare a questo propositomolte altre biografie di contemporanei oltrea quelle da noi ricordate: Zaveria DeMaistre, Teodolinda Dubouché,Maddalena Ulrich, Teresa Durnerin,la M. Maria del Divin Cuore, CatterinaClement e molte altre ancora.E non convien dimenticare che oltre aquesti pochi nomi che la storia può registraree il Signore manifesta a tutti per confortoinsieme e confusione degli uomini,molto più numerose sono certamente quelleanime che si offrono alla riparazione nelsilenzio e nell’oscurità, si consacrano congrande slancio all’opera riparatrice e nonsono conosciute fuorché dal Signore.Oh! sieno benedette queste anime, equelle che rimangono ignorate, sia per lagloria che esse procurano al Sovrano Signoredi tutte le cose, sia per la protezione di cui, anche a nostra insaputa, ci vannoricoprendo. Certi saputi di quaggiù, scrisseRoberto Vallery-Radot, ce si credono invincibili perché ben forniti di cannoni e di munizioni da guerra; essi non si accorgono che sotto la trama degli avvenimenti mostruosi e riboccanti di sangue si svolge tutto un dramma spirituale ineluttabile, il sacrifizio dei più puri … È l’Agnello e non il lupo che scancella i peccati del mondo… Quando i retori dell’antica Roma vedevano nel circo, fra due rappresentazioni degli istrioni, i Cristiani dati in pascolo alle fiere, non vi scorgevano altro che un numero di un trattenimento secondo il gusto di quei giorni. Si sarebbero ben meravigliati quando loro si fosse predetto che quell’oscuro sangue assorbito dalla terra avrebbe germinato un nuovo mondo; e non sarebbe stato preso come un pazzo quel magistrato che dichiarasse le catacombe ben più forti del Foro romano? ». – Anche al presente, come sempre, quelli che soffrono e che espiano « nelle catacombe » sono i principali e più operosi autori della ristorazione soprannaturale. [Tra questi il Santo Padre Gregorio XVIII – ndr.]

https://www.exsurgatdeus.org/2020/08/07/lidea-riparatrice-6/

DA SAN PIETRO A PIO XII (11)

[G. Sbuttoni: Da Pietro a Pio XII, Edit. A. B. E. S. Bologna, 1953; nihil ob. et imprim. Dic. 1952]

PARTE SECONDA

DAL 1000 AI NOSTRI GIORNI

CAPO I .

LA LOTTA DELLE INVESTITURE

PREAMBOLO

1 – L’ETÀ FERREA DEL PAPATO

All’epoca delle invasioni normanne, i re sono incapaci di difendere i loro stati. Ogni proprietario influente deve organizzare per proprio conto la resistenza: s’inizia così il FEUDALISMO. Sotto questo regime i signori potenti ed anche i re che hanno conservato qualche potere, affidano volentieri importanti principati a vescovi o ad abati (Liegi, Stavelot, Malmédy); questi uomini di chiesa, essi credono, saranno più sottomessi dei vassalli laici. Inoltre, sul letto di morte, alcuni feudatari legano una parte dei loro beni alla Chiesa. Non è forse giusto? Essa è incaricata del culto, dell’istruzione pubblica, della beneficenza. In questi due modi, affluiscono alla Chiesa ricchezze e potenza. Tale situazione, apparentemente vantaggiosa, è tuttavia origine di tre mali che metteranno in pericolo la sua vita:

la dipendenza dal potere temporale,

la simonìa (= da Simon Mago, che volle comprare da Pietro la grazia dei Sacramenti),

il rilassamento dei costumi del clero.

1) I signori potenti che lasciano per testamento una delle loro terre ad un Vescovo o a un’abazia, intendono stabilire sulla sede episcopale o abaziale il candidato di loro scelta. Pretendono conferirgli  l’autorità episcopale mediante il conferimento del Pastorale, e dell’Anello (investitura « per mezzo del pastorale e dell’anello »). Il signore loca locale agisce nello stesso modo riguardo ai parroci. I laici giungono anche ad asservire il Papato. La deposizione, di Carlo il Grosso (887) e la vacanza della sede imperiale lo privano del suo protettore. Si trova allora dominato dalle famiglie italiane (867-962). La restaurazione dell’Impero (= Sacro Romano Impero Germanico, 962) gli rende un protettore, ma non gli restituisce la libertà, poiché questi si arroga il potere di eleggere il Sommo Pontefice. Parroci, vescovi, abati, Papi, tutti sono sottomessi al potere temporale. La Chiesa non è forse ridotta alla condizione di una gerarchia feudale privilegiata?.

2) In tali condizioni le cariche ecclesiastiche sono brigate e comprate come feudi temporali. Il Vescovo paga la propria carica al re o al principe; in compenso vende delle parrocchie e dei canonicati. I parroci si rifanno delle spese facendo commercio dei Sacramenti, talmente che la simonia si stabilisce ovunque.

3) Si desidera trasmettere a proprio talento una carica pagata a sì caro prezzo. Questi ecclesiastici interessati e, ordinariamente, sprovvisti di vera vocazione, giudicano ormai caduto in disuso l’obbligo del celibato: prendono moglie: hanno figli che sono i loro eredi. L’immoralitàdel clero scandalizza il popolo cristiano. Ignorante e poco premuroso nel compimento dei suoi doveri, questo clero non istruisce i fedeli. Lascia che l’eresia si propaghi tanto più facilmente in quanto il popolo è disamorato della religione. « Gli scandali del clero hanno aperto la porta dalla quale le moltitudini si precipitano fuor della Chiesa » (G. Kurth).

L’ora è grave: il feudalesimo gaudente e la barbarie finiranno con il dominare la società spirituale e pacifica che è la Chiesa? Ma la Provvidenza di Dio veglia e interviene con il suo aiuto straordinario. Sorgono anche allora uomini insigni per santità e scienza, che, quali fari luminosi, diradano le dense tenebre e purificano l’atmosfera della società cristiana; appaiono allora difensori intrepidi dei diritti della Chiesa, che coraggiosamente affrontano dure battaglie per ridarle la sua indipendenza e dignità.

La più notevole di queste battaglie fu la lotta contro le investiture.

D. Che cosa significa «Investitura » ‘?

— Significa immissione in possesso di territori e di uffici da parte di sovrani

D. Quando cominciò l’istituto dell’ investitura ?

— Nel Medioevo, allorché anche gli ecclesiastici divennero feudatari per la concessione di territori e uffici da parte di sovrani. Si chiamò investitura l’immissione in possesso feudale di cotesti ecclesiastici da parte del signore laico.

D. Come venne preparata l’investitura?

— Dall’uso invalso, all’epoca di Carlo Magno e della dinastia sassone, di investire i Vescovi e gli abati di funzioni politiche, per limitare la potenza dei signorotti locali.

D. Fu vantaggiosa alla Chiesa l’investitura?

— No, portò anzi un grave danno alla libertà della Chiesa. Clero e popolo, infatti, cui spettava l’elezione dei Vescovi, furono messi presto in disparte, e spesso bastava una semplice raccomandazione del re, perché il Metropolita consacrasse la persona raccomandata, senza tener conto se era o no degna.

D. Quali conseguenze sì verificarono?

— Si finì con il non tenere quasi più conto dei meriti del consacrando e membri di nobili famiglie, senza nessuna preparazione, talvolta in giovanissima età, ascesero le cattedre episcopali. Non solo; nell’atto dell’investitura, i principi non consegnarono più ai nuovi vescovi lo scettro e lo stendardo — simboli dell’autorità politica —, ma addirittura il pastorale e l’anello — simboli del potere spirituale. La consegna poi avveniva con le parole: « Ricevi questa Chiesa ».

D. Quale fisionomia perciò assunse la dignità episcopale?

— Una fisionomia sempre più spiccatamente politica e terrena, a scapito della sua natura religiosa.

D. A chi andavano le sedi episcopali e abbaziali?

— Ai membri dell’alta aristocrazia. Tali sedi, dotate di ricche prebende, ne stuzzicavano l’avidità, cosicché essi davan loro la caccia esclusivamente con la mira di goderne le laute rendite.

D. Che cosa portò questo stato di fatto?

— Un deplorevole deterioramento nei costumi dell’alta gerarchia ecclesiastica e un accentuarsi della simonia, poiché uffici e benefici sacri si distribuivano dietro il versamento di forti somme, al punto che le dignità ecclesiastiche furono messe all’asta e cedute al miglior offerente, il quale a sua volta, per rifarsi delle spese, faceva mercimonio delle dignità minori fra i suoi subalterni.

D. Come si giustificava questa condotta?

— Con l’asserire che il potere religioso, come il civile, proveniva direttamente dalla volontà del principe.

D. Intanto che cosa si notò fra il clero?

— L’infierire dei vizi più vergognosi, particolarmente il concubinato.

D. Che cosa apparve assolutamente inderogabile?

— Il risorgere da uno stato sì miserando; e, poiché alla radice di tutti questi mali stava l’intromissione del potere laico nell’organismo ecclesiastico, era evidente che il segreto della vittoria consisteva soprattutto nell’eliminare tale abusiva intromissione.

D. Da dove partì lo stimolo della riforma?

— Dai chiostri, nei quali in quel tempo si notò un rifiorire di vita monastica, come a Cluny, a Camaldoli, a Vallombrosa. Non va taciuto tuttavia il nome di S. Pier Damiani, il focoso ravennate, che con gli scritti e la parola rivendicò ad oltranza la libertà ecclesiastica contro gli abusi del potere laico.

2 – GREGORIO VII

PREAMBOLO

Il liberatore

« Secoli di ferro» furori detti quelli (X-XI) nei quali il clero e il monachismo erano in gran parte decaduti dalla loro dignità e indipendenza spirituale sotto la pressione delle armi e dei poteri del laicato politico, organizzato nei feudi e nell’impero. Sicché non pochi abati e Vescovi e finanche Papi diventarono funzionari dell’imperatore e strumenti di ambizioni e di interessi di potenti famiglie.

La Chiesa era schiava.

Chi l’avrebbe liberata? – Gregorio VII.

D. Chi fu il campione vittorioso di quella lotta gigantesca?

— Il monaco ILDEBRANDO, che cinse la tiara con il nome di GREGORIO VII.

D. Chi fu Gregorio VII?

— Uno dei massimi successori di Pietro.

Un gigante.

Un lottatore formidabile.

Il Carducci lo paragonò ad uno scoglio che, in mezzo all’infuriar dell’onde oceaniche, non crolla. Napoleone ebbe a dirne : « Se non fossi chi sono, vorrei essere Gregorio VII ». Ed era, Gregorio, un omino di piccola statura e di gamba corta: uno scricciolo. Ma c’era in lui la fortezza suprema. La fortezza di Dio.

D. Dove nacque Ildebrando?

— A Soana (Grosseto) nel 1013. Per l’ingegno e pietà .che in lui rilucevano, i genitori lo affidarono ai Benedettini dell’Avventino. Essi educarono in lui il necessario liberatore della Chiesa.

D. Come gli nacque l’idea della riforma?

— Recatosi in Germania, al seguito di Gregorio VI, là poté constatare — inorridito — il mercimonio che si compiva dei benefìci ecclesiastici. Fu allora che concepì il pensiero di riformare la gerarchia ecclesiastica sottraendola alla nefasta influenza del potere imperiale, e di trasformare il clero, fiacco e rammollito, staccandolo dall’avida sete delle ricchezze terrene.

D. Dove perfezionò il suo programma di riforma!

— Nella sacra solitudine di Cluny, da dove uscì nel 1048, per accingersi con zelo all’ingrata fatica, a fianco dei Papi, di cui godé piena fiducia.

D. Come iniziò l’opera sua?

— Nel 1049 Leone IX venne eletto Papa dall’imperatore Enrico III; Ildebrando lo indusse a non assumere le insegne pontificali, finché non avesse avuto la conferma dell’elezione da Roma. Era un primo passo nel processo di rivendicazione della libertà d’elezione del Papa.

D. Che fece dopo questo primo passo?

— Gli riuscì di far eleggere un intrepido assertore della riforma, Nicolò II, il quale nel 1059 emanò alcuni decreti di capitale importanza per la libertà e la riforma della Chiesa, in quanto colpivano con pene gravissime il concubinato, rivendicavano la nomina dei Vescovi al Papa e al clero, deputavano l’elezione del Papa a un collegio permanente, composto di soli Cardinali. Con il successore, Alessandro II, batté la stessa strada.

D . Che si venne a notare intanto?

— I primi sintomi di lotta, con la reazione dei vescovi simoniaci colpiti dai decreti della riforma, i quali tentarono di appoggiare l’antipapa Onorio II, ma, alla morte di Alessandro II, lo scisma era cessato, e Ildebrando, eletto Papa nel 1073 per acclamazione, trovò sgombro il campo da competitori.

D. Che fece eletto Papa?

— Proseguì con energia decuplicata l’opera di riforma. Scrisse ad abati e Vescovi e re, deplorando le misere condizioni in cui versava la Chiesa.

D. Dov’è che la posizione morale del clero era peggiore?

— In Germania e per gran colpa di Enrico IV imperatore, per la sua condotta riprovevole e per la nomina di Vescovi simoniaci e libertini.

D. Che fa Gregorio VII nel Concilio Lateranense del 1074?

— Rinnova i decreti antecedenti contro la simonia e il concubinato e la promessa di servigio (specie di vassallaggio) all’autorità secolare.

D. Che cosa suscita questo rinnovo?

— Un’enorme opposizione da parte di Vescovi e di preti, ma il Papa resta irremovibile.

— Se noi, scrive egli, consentissimo di tacere davanti, alle iniquità dei prìncipi della terra, potremmo certamente avere la loro amicizia regale, sudditanza e grandi onorificenze… ma preferiamo piuttosto morire che tradire il nostro dovere. Non siamo liberi di trascurare, per riguardo a qualsiasi persona, la legge di Dio e deviare dal retto sentiero in grazia del favore degli uomini, poiché l’Apostolo dice: « Se io piacessi agli uomini, non sarei servo di Cristo ».

D. Che fa ancora per recidere il tumore alla radice?

— Nella quaresima del 1075 vieta a Vescovi, abati e preti di ricevere qualsiasi investitura di uffici sacri dai laici; a conti, duchi, re e imperatori di concedere per l’avvenire simili investiture; pena, in ambedue i casi, la scomunica.

D. Chi ora si ribella?

— Enrico IV, che, raccolta a Worms una dieta, nel gennaio 1076, dichiara deposto Gregorio VII e invia un messo a recare il decreto di deposizione al Pontefice, che si trova a Roma a presiedere un concilio in Laterano.

D. Come risponde Gregorio?

— Con la scomunica contro Enrico, che dichiara deposto dal trono, e scioglie inoltre i sudditi dal giuramento di fedeltà.

D. Che provocò la scomunica?

— La ribellione dei re vassalli contro Enrico e l’abbandono di tutti. Anzi le cose giungono al punto che nell’ottobre del 1076 la dieta di Tribur sta per eleggere un nuovo sovrano. La grave decisione viene a stento rimandata all’altra dieta da convocarsi ad Augusta nel febbraio successivo, da presiedersi dallo stesso Pontefice.

D. Che fa Enrico?

— Decide di prevenirla, non volendo comparire davanti ai suoi nemici in veste di accusato. Valica, benché d’inverno, le Alpi e scende nel piano lombardo.

D. E Gregorio?

— Sorpreso a Mantova da questa notizia, temendo in Enrico propositi di vendetta, si rifugia a CANOSSA, piccolo feudo della contessa Matilde, fra le montagne del Reggiano. Enrico sale lassù e chiede un colloquio con il Papa.

D. Viene accolta la richiesta?

— Sì, dopo che, per tre giorni, l’imperatore ha atteso in abito da penitente (25 – 27 gennaio 1077) davanti alle mura del castello. Viene assolto dalla scomunica solo dopo aver giurato che avrebbe aderito alle decisioni della dieta di Augusta.

D. È sincera la conversione dell’imperatore?

— No, infatti manda a monte la dieta di Augusta e ostacola quella di Forscheim.

D. Che fanno intanto i princìpi tedeschi?

— Per rappresaglia eleggono re Rodolfo di Svevia. Si scatena la guerra civile, che produce tante rovine, mentre Enrico compone il suo stato maggiore di vescovi e abati simoniaci e concubini.

D. E il Papa?

— Tenta invano di interporre la sua opera per giungere ad una pacificazione; e allora colpisce Enrico con una seconda scomunica, sciogliendo di nuovo i sudditi dal giuramento di fedeltà (7 marzo 1080).

D. Come reagisce Enrico?

— Deponendo Gregorio ed eleggendo antipapa Guiberto di Ravenna. Nel tentativo, ch’egli fece, di insediare l’antipapa in Roma, fu impedito dai Normanni di Roberto il Guiscardo. Vi riesce nel marzo del 1084, ma alla notizia che il Guiscardo s’avvicina a Roma con 30.000 soldati, fugge precipitosamente, lasciando la città preda delle soldatesche normanne.

D. Che fa Gregorio?

— Non potendo tollerare di vedere lo scempio che vi è compiuto, si ritira a Salerno, dove, stremato dalle fatiche e dai dolori, spira la sua grande anima il 24 maggio 1085.

D. Quali furono le sue ultime parole?

— « Amai la giustizia, odiai l’iniquità; per questo muoio in esilio ». Queste parole, grido ultimo della sua coscienza rettissima, ne sono il più fedele ritratto.

D. Simile fine non lo fa apparire uno sconfitto?

— Parve uno sconfitto…

Ma i Papi, si sa, non sono mai così vittoriosi come quando sembrano vinti. Gli avvenimenti susseguitisi infatti lo dimostrano vittorioso. Giacché si trovano compiute le imprese da lui incominciate, da lui ispirate, cioè:

stabilito il celibato ecclesiastico,

tolte di mezzo la simonia e le investiture feudali delle chiese,

tralasciata la conferma imperiale del Sommo Pontefice,

due dei designati da lui fatti Papi,

la potenza temporale accresciuta dalle donazioni della contessa Matilde,

già fatte sin dai giorni di Canossa,

le Crociate, da lui escogitate, effettuate,

la potenza imperiale abbattuta così, che non si rialzò mai più ad assoluta in Italia,

e quindi (ciò che importa qui particolarmente) i Comuni costituiti, e il nome di lui, bestemmiato dai contemporanei, santificato dalla Chiesa… (così Cesare Balbo).

D. Quale l’interpretazione migliore della supremazIa esercitata da Gregorio su popoli e sovrani?

— Quella che ammette nella Chiesa una « potestas indirecta » sullo Stato, in ordine agl’interessi spirituali.

D. Secondo tale dottrina, che può fare un Papa?

— Può deporre un capo di Stato (naturalmente cattolico), quando il suo contegno gravemente lede i diritti della Chiesa e delle anime.

Del resto, come dice Pio IX, il diritto di deporre i re, riconosciuto ai Papi, era una conseguenza del diritto pubblico d’allora e del consenso delle nazioni cristiane.

PREAMBOLO

Vindice di giustizia e libertà

Il parlamentarismo, che sembra il massimo portato della moderna democrazia, come impallidisce di fronte alle Wittenagemote di Bretagna, ai Campi di Maggio dei Franchi, alle Diete di Roncaglia in Italia, alle Cortes di Spagna, alle Assemblee Portoghesi nella pianura di Bakot, in cui rappresentanti di ogni ordine di persone si raccoglievano per discutere leggi, di cui neppur un articolo aveva valore senza. l’approvazione della maggioranza!

Il giuramento dì Pontìda e ì notturni convegni svizzeri sotto la quercia di Truns o nella prateria del Rutli, nulla hanno da invidiare alle rivoluzioni moderne per l’indipendenza dei popoli.

La « Magna Charta», imposta al tiranno Giovanni Senza Terra, dalla armata « di Dio e della S. Chiesa » raccolta dai baroni con a capo il rappresentante d’Innocenzo III, Stefano Longton, arcivescovo di Cantebury, e gli Statuti dei Comuni, sono modelli di legislazione, in cui autorità e libertà, giustizia e carità si fondono e armonizzano stupendamente. – Ma nonostante tutto spesso avveniva che i popoli erano alla mercé dei prìncipi, ritenuti da questi come gente da sfruttare, anziché accolte di uomini liberi da governare; e allora ecco levarsi, grondanti di sangue, figure di tiranni come Giovanni Senza Terra ed Ezzelino da Romano; di strozzatori di libertà come Enrico IV, Barbarossa, Federico II.

Chi sorse a rivendicare i diritti dei popoli?

Chi si levò vindice di giustizia e di libertà?

— Il Papa!

Tale egli appariva in quei tempi di gran fede, venerato dai popoli e temuto dai prìncipi; perciò a lui appellavano gli oppressi, dinnanzi a lui dovevano giustificarsi o fare ammenda gli oppressori. Canossa, che vide Enrico IV umiliato ai piedi di Gregorio VII, e Venezia, che vide il Barbarossa curvarsi vinto dinanzi ad Alessandro III, più che trionfi del Papato furono trionfi della libertà, furono pietre miliari sul cammino dei popoli verso l’emancipazione da servaggi assurdi. Quando l’autocratismo cesareo si riaffermerà con il Rinascimento, e, causa un rilassamento nella fede, verrà a mancare in questo campo il prestigio dei Papi, i popoli finiranno con il farsi giustizia da sé e con il rivendicare nel sangue i diritti alla libertà, che sarà momentaneamente libertinaggio, alla giustizia, la quale temporaneamente trascenderà nella violenza. La Rivoluzione Francese ed il bolscevismo russo insegnano qualche cosa.

D. Fu ripreso dai successori il programma gregoriano!

— Sì, specialmente da Urbano II, l’animatore infaticabile delle Crociate, che nel concilio di Melfi del 1089 rinnovò il divieto contro l’investitura laica e contro la simonia e il concubinato.

D . Che fece Urbano II contro Enrico IV?

— Rinnovò contro di lui e contro l’antipapa Giliberto (Clemente III) la scomunica.

D. Come si liberò dall’antipapa?

— Caldeggiò le nozze di Matilde di Canossa con Guelfo di Baviera, unione che unì per un momento la Germania meridionale con l’Italia settentrionale e provocò la cacciata dell’antipapa da Roma (1089).

D. Con quale rappresaglia rispose Enrico IV!

— Ripassa le Alpi e prende a devastare gli Stati dì Matilde; ma costei non piega e resiste virilmente allo scomunicato, la cui stella sta tramontando dopo l’abbandono del figlio Corrado e della moglie, e il rafforzarsi del partito cattolico.

D. Come si diportò il successore di Enrico IV?

— Enrico V, costretto il padre ad abdicare, continuò nella linea di condotta paterna in tema di investiture. Infatti, rivalicate le Alpi, piegò al suo volere il papa Pasquale II, che gli accordò il privilegio di conferire l’investitura mediante il pastorale e l’anello a quei vescovi ed abati che non fossero stati eletti simoniacamente.

D . Quanto durò cotesto privilegio?

— Dal 1111 al 1112, poiché la protesta di numerosi Cardinali e Vescovi fece pentire il Papa del suo gesto e lo spinse a revocare il privilegio estorto con la frode e la violenza (Conc. Laterano – 1112).

D. Come reagì Enrico V?

— Ritornò in Italia per trattare con il Papa, ma questi nel 1116 lancia la scomunica sul privilegio ingiustamente carpito; succedono poi gravi torbidi, che si ripercossero sul successore di Pasquale II, Gelasio II, che andò a morire, poverissimo, a Cluny.

D. Come terminò la cosa?

— Papa Callisto II nel 1122, convocata la dieta di Worms, fece accettare a Enrico VI il cosiddetto PATTO di CALLISTO, con cui l’imperatore rinunciava all’investitura dei Vescovi mediante il pastorale e l’anello, riservata esclusivamente alla Chiesa, garantiva la libertà delle elezioni e restituiva al Papa i possessi usurpati.

D. Che cosa dava il Papa come contropartita?

— Consentiva che in Germania, dove tutti i Vescovi ed abati erano anche principi, le elezioni venissero fatte alla presenza del legato imperiale — esclusa ogni simonia — e l’eletto ricevesse l’investitura del feudo, ma soltanto con la consegna dello scettro, fatta prima della consacrazione e dell’investitura ecclesiastica.

D. In Italia come avveniva ogni elezione?

— Senza la presenza di alcun legato regio; l’eletto veniva subito consacrato e riceveva l’investitura dei feudi dopo la consacrazione e mediante lo scettro.

D. Gli altri paesi furono funestati dalla lotta delle investiture ?

— Sì, ma in Inghilterra fu definita con concordato del 1105 e in Francia terminò l’anno prima.

D. Che cosa si ebbe con il patto di Worms?

— Si ebbe salva la libertà della Chiesa e si accettò il principio

dell’assoluta distinzione fra il potere temporale e spirituale, concretato nella doppia investitura: dello scettro per i feudi vescovili concessa dall’autorità statale, e del pastorale e dell’anello per la missione religiosa, concessa dall’Autorità Ecclesiastica.

D. Che cosa rappresentava tutto questo?

— L’attuazione dell’opera di Gregorio VII.

D. Quanto durò la pace tra Impero e Papato?

— Circa 30 anni, finché sorse Federico Barbarossa, infatuato dell’ambizione di ricondurre l’impero al fastigio di Carlo Magno o anzi dell’età romana.

D. Chi si oppose a tali progetti?

— Il Papato e i Comuni. I Comuni erano sorti come reazione contro gli arbitri dei feudatari, che rendevano i sudditi servi della gleba.

D. Chi appoggiò i Comuni nelle rivendicazioni delle libertà democratiche

— L’episcopato e la S. Sede. Il primo a gettare le basi del glorioso

Comune di Milano f u il Vescovo ARIBERTO da INTIMIANO, che nel 1036 raccolse attorno al Carroccio le truppe del popolo per resistere ai soprusi dell’imperatore Corrado e dei suoi feudatari.

D. Quale fu il partito del rinnovamento democratico della .società?

— Il GUELFO, che faceva capo idealmente al Papa, in contrapposto al GHIBELLINO, sostenitore del feudalesimo aristocratico e imperiale.

D. Tu che cosa si risolse la storia civile italiana nel medioevo?

— Soprattutto nelle lotte cruente di queste due opposte correnti politiche.

D . Che fece il Barbarossa!

— Riprese aspra la lotta contro la Chiesa sul tema delle investiture e provocò guerre su guerre contro i Comuni italiani, i quali nell’affermarsi delle loro fortune in una salda concezione e pratica cristiana della vita privata e pubblica, spronati dall’esempio e dall’accordo con il Papato (Alessandro III), ressero all’urto e ne ebbero ragione con la vittoria di Legnano (1176). cui seguì la pace di Venezia (1177) tra Federico e il Papato, e la pace di Costanza (1183) tra Federico e i Comuni.

D. Che cosa rappresentò la vittoria di Legnano!

— Una tappa decisiva nella storia d’Italia.

LA CHIESA E LA CULTURA

Chi, nella storia della scuola e perciò della cultura lasciò un’impronta luminosa quanto mai, fu Carlo Magno. Divenuto imperatore, egli fece della scuola una passione e la diffuse ovunque poté. Per agevolarla impose ai monaci di Francia la regola di S. Benedetto, perché più favorevole allo studio, subordinò alla cultura sia la concessione dei benefici ai sacerdoti che l’accesso alle cariche dello Stato ai nobili e, mentre si adoperò attivamente per organizzare nell’Impero una scuola di Stato, alla sua corte fondò una scuola superiore per i nobili, la SCUOLA PALATINA, ed una specie di accademia, prevenendo quelle del Rinascimento italiano, in cui i soci assumevano un nome antico: per es. Carlo Magno, Alenino ed Angilberto si chiamavano rispettivamente David, Fiacco ed Omero.La Chiesa in più modi esercitò influenza in questa rinascita della cultura. – Influì sulla formazione di Carlo Magno, istruito da un diacono: Pietro da Pisa. Cooperò all’attuazione del programma di lui, attraverso il monaco Alcuino, fondatore della Scuola Palatina, in cui i primi maestri furono uomini di Chiesa. E quando i successori di Carlo Magno parvero incuranti della scuola, furono i Vescovi, come Teofilo di Orleans, a ordinare ai sacerdoti di tener scuola nei borghi e nelle campagne e a sollecitare l’imperatore a fondare scuole pubbliche. Quando le scuole di Stato cominciarono a declinare (intorno all’825) e si chiese la separazione delle scuole di Stato da quelle ecclesiastiche, le prime decaddero, le seconde si rinvigorirono e fiorirono, ancora distinte in tre specie: parrocchiali, vescovili e monastiche. Dalle scuole vescovili, secondo l’opinione più accreditata, derivarono le UNIVERSITÀ’.

L’IDEA RIPARATRICE (4)

P. RODOLFO PLUS S. J.

L’IDEA RIPARATRICE (4)

[Traduzione del P. Giovanni Actis, S. J.  dalla 25° edizione originale]

Torino-Roma Casa Editrice MARIETTI 1926

Imprimi potest.

P . ANTONIOS ARGANO S. I., Præp. Prov. Taur.

Visto: Nulla osta alla stampa.

Torino, 26 Maggio 1925.

Teol. Coll. ATTILIO VAUDAGNOTTI.

Imprimatur.

Can. FRANCESCO DUVINA, Prov. Gen.

(30) PROPRIETÀ ARTISTICA LETTERARIA (2-xi-25-2M).

LIBRO II

Chi deve riparare?

CAPO PRIMO

L’ANIMA CRISTIANA E LA RIPARAZIONE.

L’incarico di condurre a termine la missione — quindi anche la Passione — di Gesù Cristo, spetta in modo eminente e particolare a quelli che vi furono eletti e consacrati.

Non ne viene però che e la Missione e la Passione di Gesù Cristo non interessino punto l’anima cristiana. Ciascuno dei Cristiani può e deve occupare un posto, secondo

la misura della propria generosità, tra le file di quelli che vogliono riparare. A questo li spinga anzitutto un motivo che dovrebbe stimolare anche le anime tiepide: il loro proprio interesse. – Le leggi della giustizia divina sono note a tutti. Noi tutti sappiamo che, se il Signore non vuol far contro sé stesso, ad ogni peccato conviene che infligga, ora o più tardi ma necessariamente, un proporzionato castigo: così pure conviene che il delitto non rimanga fino al termine trionfante. Per gli individui la giustizia di Dio incomincia quaggiù ma sovente vi rimane incompiuta; nella sua misericordia il Signore temporeggia; che se l’uomo si ostina Egli ha nelle sue mani tutta l’eternità. Ma i popoli, le nazioni, che come tali non altra esistenza possono avere che quaggiù, debbono in una maniera o in un’altra espiare i loro falli assolutamente sopra la terra. – Nell’Antico Patto la dimostrazione d’un tale principio è evidente nella storia del popolo di Dio. Ascoltiamo le parole di Jehova riportate dal profeta Geremia al popolo ebreo prevaricatore: « Io chiamerò i popoli dal regno dell’aquilone ed essi verranno a rizzare i loro troni all’ingresso delle porte di Gerusalemme, tutt”attorno alle sue mura, ed in tutte le città di Giuda. E per causa di tutta la loro malizia pronunzierò una severa condanna contro Giuda, perché essi mi hanno abbandonato, ed hanno adorato le fatture delle loro mani » (I. 13). E altra volta: … « Io farò venire dai paesi più lontani un popolo, un popolo potente, un popolo la cui lingua vi sarà talmente nuova che voi non comprenderete nulla di quanto vi dirà. Il suo turcasso ingoierà gli uomini come un sepolcro spalancato; i suoi soldati saranno valorosi. Egli mangerà il vostro grano e il vostro pane e divorerà i vostri figliuoli, saccheggerà i vostri armenti e i vostri buoi, spoglierà le vostre vigne e verrà colla spada in pugno a distruggere le vostre più forti città in cui voi mettete la vostra sicurezza » (v. 15-18). – Nella storia contemporanea non abbiamo bisogno di andar tanto lontano per trovare dei casi consimili a quelli succitati… somiglianze singolari! (Non sarà fuor di proposito far notare che il Signore può benissimo — tutto l’Antico Testamento ce lo prova — servirsi di popoli anche corrotti per dare ad un altro popolo, anche eletto per una missione gloriosa, qualche lezione salutare. Quante volte noi leggiamo nella S. Scrittura: « Io mi servirò del flagello per sceverare il buon grano dalla paglia… e poi lo spezzerò »). Altri prende scandalo perché il Signore segue siffatta legge compensatrice; questo però non prova che tal legge sia ingiusta. Nei casi particolari non sarà sempre lecito a noi il giudizio categorico: questo doloroso caso è l’espiazione di questa piuttosto che di quella colpa; S. Elena, a cagion di esempio, espiazione di Savona e di Fontainebleau. Non così per la legge generale, la quale non è altra: ogni delitto ha la sua pena e Dio, non può esser altrimenti, avrà sempre per sé l’ultima parola. Noi abbiamo altrove affermato che gli avvenimenti così tragici degli anni testé passati possono sotto un certo aspetto, senza timore di paradosso, esser considerati come un’opera di misericordia dalla parte di Dio. Ma nessuno può negare che se vogliamo spiegarci ogni cosa dobbiamo deciderci a scorger in essi un’opera di giustizia divina Soltanto un cieco orgoglio può ostinarsi a negarlo. – « Qua e là giacciono a terra rugginosi e crivellati dalle palle gli strumenti del lavoro. In mezzo al cortile, nel frutteto sotto gli alberi, presso le siepi, un po’ per tutto si aprono le tombe, sorgono le croci. Oh! ditemi, quanto è terribile questa rivincita delle croci! Fino a quando ci ostineremo a non voler comprendere? ». Così ha parlato un soldato (Notice sur l’Abbé Chevolleau, séminariste, caporal au 90° d’inf., mort à Verdun, par EMILE BAUMANN). Quanti hanno visto questo numero senza numero di cimiteri della fronte, questi reggimenti di tombe, si sentirono prepotente spuntare in cuore: « Oh! l’hanno bandita la Croce dai monumenti pubblici, dai tribunali, dalle scuole, dalle pubbliche vie… ed eccola la piccola Croce che compare un po’ per tutto in mezzo ai boschi, lungo le vie e nei giardini ». – Che si andava cercando finora -— e ancora al presente forse troppo spesso — fuorché il piacere, la soddisfazione propria? Anche in seno alle famiglie cristiane quante libertà, quale noncuranza delle leggi anche più rigorose, doveri del matrimonio, osservanza del riposo festivo, santificazione delle feste, rispetto alla roba altrui! Tutta la vita è organizzata contro la sofferenza, non eccettuata quella che è semplice conseguenza di fedeltà ai comandamenti più imperiosi di Dio e della Chiesa… – E il « dolore » aspettava la sua ora, preparava la sua rivincita. La chiamata sotto le armi del 2 agosto 1914 fu ben l’opera sua. E allora s’imposero la separazione, l’ultimo addio, le ansie senza fine… e poi le notizie dolorose… : il caro lontano è ferito, prigioniero, scomparso, … forse più e peggio di tutto questo… è morto! Poveri afflitti! Quanto grande comparve la capacità di soffrire del cuore umano! E fra quanti furono spettatori degli orrori della guerra nessuno potrà mai descrivere la quantità prodigiosa di sacrifizio che in certi momenti, in certi giorni — e furono anche dei mesi interi — hanno saputo dare i nostri soldati alla fronte. Ora tutto questo è finito… e per l’avvenire? Che resterà delle famiglie, delle fortune, del benessere materiale accumulato con tante pene? Come resteremo insensibili alla vista delle angosce e dei dolori che si preparano? Forse che noi potremo far nulla? Noi possiamo molto. Durante la guerra noiabbiamo fatto assegnamento su tre sorta di combattenti. Quelli che in campo lottavano col nemico, quelli che curavano i feriti e quelli che pregavano. I soldati che si sono battuti hanno pagato più che largamente il loro tributo di sangue alla patria. Quanti si sono dedicati alla cura dei feriti l’hanno fatto con uno spirito di sacrifizio senza limiti. Ma la parte che meglio contribuì per la vittoria fu certamente quella sostenuta da quanti perseverarono nella preghiera e nel1’abnegazione propria — e nel numero di costoro dobbiam contare molti che appartennero pure alle due prime schiere di combattenti. Anche questa volta si avverarono le parole di Giovanna d”Arco: « Le mani levate al Cielo ci danno !a vittoria meglio di quelle che impugnano le armi ». – « La misteriosa vittoria della Marna, ha scritto un autore di vedute spesso profonde, forse fu opera della preghiera ben umile di una qualche bambina ». – Di più: « Ecco una povera giovane che prega in una oscura chiesetta devastata. Essa tutto ignora fuorché la forza della preghiera, poiché il Signore ha promesso di concedere quello che noi con semplice confidenza gli domandiamo. …Tendete l’orecchio, sentite nella notte quel rumore assordante di soldati, di cavalli, di carri in marcia …? Questo rumore è il movimento delle labbra di quella semplicetta a cui il Signore non saprà nulla negare ». È un fatto certissimo; l’influsso del soprannaturale ebbe una parte grandissima nella storia degli ultimi anni dal 1914 al 1919. Da noi dipende il far sì che nella storia degli eventi che seguono quegli anni dolorosi questo stesso influsso del soprannaturale vi abbia parte copiosa e sovrabbondante. Noi vediamo pur troppo che la calma stenta a ristabilirsi nelle nazioni e che i popoli hanno bisogno di parafulmini forse più ancora che pel passato. Un po’ per tutto l’agitazione, il malessere: rumori che si fanno sentire, convulsioni che si preparano. Così noi sapessimo capire quanto di azione divina noi possiamo introdurre nella storia degli uomini! Non è che si debba rinunziare all’uso dei mezzi naturali, ma vorremmo poter persuadere a molti — fra i quali non mancano anche dei Cristiani che non credono abbastanza all’efficacia dei mezzi soprannaturali — che appunto servendoci di essi noi potremmo recare molti miglioramenti nei fatti che si svolgono dinanzi a noi. Colui che può influire sopra la Causa prima di ogni cosa può ben dirsi onnipotente: ora la Causa prima d’ogni cosa ha una parte non indifferente nella storia del mondo. Durante una tempesta che infuriava contro le navi di S. Luigi in rotta per la Crociata, si vide il re, dopo aver recitata una breve preghiera, alzarsi pieno di confidenza assicurando che alla flotta non sarebbe accaduto nulla di sinistro. « Donde ricavate questa vostra fiducia? » gli domandarono i suoi, « Laggiù – rispose egli – nel mio monastero di Chiaravalle «i offrono a Dio per noi preghiere e penitenza. Tutto andrà a seconda ». – Pochi anni or sono un Vescovo di Cina fu interrogato quale credesse egli il mezzo più efficace per condurre a Cristo tutto quell’immenso Impero: « Avremmo bisogno, egli rispose, di qualche Carmelitana di più e di qualche Trappista ». Questo vi potrà sembrare mezzo ben sproporzionato per il fine che si vuol ottenere. Ma nulla può contrastare all’evidenza della verità. E la verità è questa: Chi rovina le nazioni? il peccato. Quod evertit nationes, peccatum. Verrà dunque la salvezza dei popoli dalla santità — la santità per mezzo dei due elementi che la costituiscono: la penitenza e la preghiera. – Ne derivano necessariamente due conseguenze. La prima: Interroghiamo noi stessi per conoscere se mai colla nostra vita abbiamo potuto esser causa anche solo in piccola parte dei fatti che deploriamo. V’hanno regioni dell’Oriente in cui, quando si trova il cadavere di un qualche assassinato per via, lo si porta sulla piazza pubblica e tutti gli abitanti del paese debbono giurare di non aver avuto parte alcuna nell’uccisione di quel disgraziato. Dinanzi alla rovina della propria patria ci resta da fare qualche cosa di meglio che il gesto di Pilato e una fredda dichiarazione: « Io sono del tutto innocente di quanto è avvenuto ». Come potremmo sapere fino a qual punto vi hanno contribuito ciascuna delle nostre colpe? Non è forse vero che se il Signore trovava nelle città di Sodoma e di Gomorra qualche giusto di più non le avrebbe incenerite sotto una pioggia di fuoco? Stiamo lontani dal peccato. Quod evertit nationes, peccatum (Prov.. XIV. 31). È il peccato dei singoli uomini che attira, più spesso che noi crediamo, il castigo sulle nazioni. – Anche un solo peccato mortale, per sé stesso, è sufficiente per attirare sulla terra calamità immense. E vero che pochi possono comprender ciò, ma convien pur dire chiara la verità. Difatti il peccato mortale consiste in ciò che. potendo scegliere fra una creatura qualunque e Dio. si preferisce la creatura e si ripudia Dio come se si tentasse di sopprimere il Creatore quando ciò potesse farsi. Di qui ne viene che l’ingiuria fatta all’essere Infinito che è Dio non potrà mai esser compensata quand’anche si annientassero tutte le creature dell’Universo, che son cosa limitata e finita. Questi sono i termini netti del problema e il ricorrere ai brevetti decretati a dotti e scienziati, e il moltiplicare le accuse di barbarie lanciate contro Dio non mutano affatto la sostanza del fatto. – Quanti esempi noi troviamo ancora nella storia del popoli di Dio — se le nostre generazioni potessero ancora interessarsi qualche poco della vita del popolo di Dio — esempi che meditati ci farebbero del bene. Tra i soldati che marciano contro Gerico uno ven’ha che commette un grave fallo. Il Signore aveva comandato che dal bottino nulla fosse passato nelle mani dei soldati, ma tutto fosse riservato pel tempio di Gerusalemme. Quel soldato s’era impadronito d’una verga d’oro e d’un mantello di porpora e li aveva nascosti nella sua tenda, il che era evidentemente contro il volere di Dio. Il popolo di Israele si batte contro i suoi nemici e ne è sconfitto… Un soldato ha disobbedito a Dio e Dio abbandona il popolo d’Israele. Si cerchi il colpevole e paghi il fio della sua colpa. Ciò fatto, Dio dice ad Israele: « Fin da questo momento hai la vittoria in pugno: va pure, combatti nuovamente, io sono con te ». Israele ritorna sul campo, si batte contro il nemico e lo sbaraglia completamente (Jos, 7 e 8). Non vogliamo dire con questo che il Signore abbia l’abitudine di punire sempre con castighi generali le colpe private dei singoli; ciò non avviene specialmente — per nostra buona sorte — nella legge di grazia. Ma non si può negare che il Signore ha il diritto di farlo e che quando lo faccia noi non possiamo tacciarlo d’ingiustizia: e tutti i castighi temporali riuniti insieme non valgono per sé a compensare un solo peccato, perché tra l’infinito e il finito non vi ha proporzione alcuna. Sottentra allora la misericordia di Dio e coll’offerta di una nostra sofferenza domandata e accettata da Dio si possono espiare anche molti peccati, e diremo colle parole stesse di Gesù Cristo a S. Margherita Maria: « un’anima giusta può ottenere il perdono per mille peccatori ». Cosi soltanto, senza rinunziare per nulla ai diritti della sua giustizia, il Signore trova modo di esercitare le sue grandi misericordie. Ma vuole che nella misura più larga che ci è possibile noi gli porgiamo il nostro concorso e che noi concediamo a questa misericordia infinita l’occasione — vorrei dire: il permesso — di mostrarsi per quella che è. Quindi non dobbiamo mostrarci scandalizzati e tanto meno uscire in bestemmie esecrande, come fanno i nostri moderni pagani, per gli avvenimenti che ci sconvolgono o ci fanno soffrire; non dobbiamo prenderci la libertà di criticare tutte le interpretazioni della Storia, ove la sciagura si presenta come l’espiazione delle colpe sociali, come fanno i nostri odierni farisei dalla vita, dicono essi, senza macchia alcuna. Noi dobbiamo invece apprezzare il peccato secondo verità e cercare di evitarlo come il più gran male che possa darsi e per i singoli individui e per le nazioni. Non diremo già che di due nazioni sia la più santa o la meno colpevole quella a cui il Signore concede o permette maggior prosperità; ma è fuor di dubbio che se non di fatto, certo di diritt o un grave delitto può attirare sulla terra le più terribili rovine, e che, se abbiam a cuore il bene degli uomini, il nostro primo pensiero dev’essere di vivere bene, cioè fare ogni sforzo per evitare tutte quelle colpe che l’Altissimo nella sua giustizia non può non punire o nel tempo o nell’eternità. Meditiamo qualche volta le parole seguenti del Newman, parole le quali dopo quanto abbiamo detto fin qui non v’ha pericolo che restino incomprese: « Non immaginiamoci che il Signore usi con noi al presente, perché siamo spettatori delle opere sue, altro modo di punire che pel passato. La principale differenza fra il contegno tenuto da Dio verso i Giudei e quello che ora tiene verso i Cristiani certamente non è altro che questa: pei Giudei il modo era esteriore e visibile, pei Cristiani è intimo e invisibile. Noi non vediamo oggi come in quei tempi gli effetti della collera di Dio. Perché  Egli non si dà la pena di venircelo a dichiarare in persona come faceva coi Giudei o per sé stesso o per mezzo dei Profeti, ma questi effetti non sono perciò meno palpabili, sono anzi più terribili perché proporzionati alle maggiori grazie a noi concesse, e di cui noi purtroppo abusiamo ». Ma la parte che vi deve prendere il Cristiano non deve restare puramente negativa. A ciascuno di noi, se abbiamo desiderio di guarire e prevenire il male, spetta la missione di collocare sulla bilancia divina come contrappeso delle colpe, di cui pur troppo siamo spettatori, una buona misura di fedeltà alla preghiera, di accettazione della sofferenza e di pratica d ogni virtù. E così un motivo d’interesse proprio deve spingere ogni Cristiano alla riparazione. Se egli manca alla parte sua, i suoi fratelli, l’intera comunità, la Società, la Nazione vanno a rischio di espiare la sua noncuranza o il suo colpevole oblio. – Ma ci resta un secondo motivo più nobile, non più di interesse ma di amore. E che? Si può forse veder il Signore trattato così come lo si tratta e non sentire il bisogno di recargli qualche sollievo? Gesù Cristo, il nostro re, il nostro duce è oltraggiato, posto fuori della legge e noi non proviamo un sussulto, uno slancio, un dispiacere, un desiderio? È vero che dopo il giardino degli Olivi, dopo la Croce oramai è avvezzo a vedersi quasi abbandonato da tutti. Ma vorremo abbandonarlo anche noi e non esser invece di quei pochi che gli rimangono fedeli? Dov’è la nostra fede, dove i nobili sentimenti d’un cuore Cristiano? Nessuno vorrà accostarsi per consolar le pene del Maestro? Nessuno vorrà offrirsi per lenire il duolo della Chiesa? Sono forse i soli Sacerdoti e i religiosi che possono comprendere la croce e la miseria delle anime? « Guardatevi tutti intorno, scriveva Manning, e poi ditemi se il mondo è retto dallo Spirito di Dio che ne è il creatore o dallo spirito di satana che ne è l’idolo e la ruina! Noi dovremmo riparare per tutti quelli che furono rigenerati nel Battesimo coll’acqua e collo Spirito Santo e che pure hanno peccato contro di Lui » . E aggiungeva con tristezza: « Ma noi invece restiamo tutto il giorno inoperosi! ». Lo Spirito Santo è tradito ad ogni istante, e non si troverà alcuno per riparare? La Chiesa è presa di mira continuamente dall’una parte senza vergogna alcuna, dall’altra con armi subdole. E noi rimarremo sempre inerti? Alla battaglia di Eylau vedendosi incalzato troppo da vicino dal nemico, Napoleone gridò, se non erro, a Murat: « Non li vedi che ci stanno addosso? Ci lascerai dunque mangiare da quella gente? ». Dunque non abbiamo in cuore qualche po’ di amore? La Madre nostra, la Chiesa, sono parole vuote, senza valore? V’ha chi insulta la Madre nostra e noi lo lasciamo andare impunito? Un tempo se altri avesse recato dispiacere a colei che ci diede la vita, non ci saremmo affrettati intorno ad essa per compensarla tosto colla nostra tenerezza? – « Nel mondo sono necessarie, scriveva Mgr. d’Hulst, delle anime che amando e soffrendo riparino senza far mostra di sé per non spaventare o recar disturbo ad alcuno ». La Dio mercé di tali anime se ne trovano ancora, e certamente anche più di quello che si crede. Una madre, una contadina, è al letto del figlio che muore. Ad un tratto il ragazzo apre gli occhi a stento e: « Madre, geme, un po’ d’acqua, io muoio di sete! » Al pendolo della camera suonano in quell’istante le tre del pomeriggio; la madre prende il Crocefisso e nel metterlo tra le mani scarne del moribondo gli dice con voce interrotta dai singhiozzi: « Mio caro, è l’ora in cui Gesù è morto per te; per conformarti sempre meglio al tuo modello non vorrai trattenerti per qualche istante dal bere? » — « Oh sì. mamma » , risponde il giovane; e accostando alle labbra il divin Crocefisso vi stampa sopra un lungo bacio. Senza pensarci questa donna e il figliuolo suo facevano proprie le parole del Serafino d’Assisi: « Come mai! Voi mio Salvatore, voi siete sulla Croce ed io non mi ci trovo anch’io? ». Col loro eroismo e madre e figlio si collocavano tra le file di quei « buoni Cristiani » di cui parlava il Santo Curato d’Ars quando diceva: « Le persone del mondo si affliggono quando hanno delle croci e i buoni Cristiani invece piangono quando non ne possono avere »  — tra le file dei veri credenti, di quelli che hanno compreso ciò che Fénelon ha definito « il gran mistero del Cristianesimo » . cioè « la crocifissione dell’uomo » in unione colla Crocifissione di Dio. Il vero amore non ha altro modo di mostrarsi che non lasci dubbio della sua sincerità: spinge all’imitazione della persona amata. – Eugenio Courtois. socio della Gioventù Cattolica di Francia, il quale cadde valorosamente durante l’offensiva del 25 settembre 1915, era un bravo operaio convertitosi alla morte del fratello suo. Gli erano familiari le più rigorose penitenze: levarsi di buon mattino per potersi comunicare ogni giorno, assistenza di malati ributtanti, dormire steso sopra una gran croce di legno che egli ponevasi nel letto, e tutto questo mentre aveva al piede una piaga infettiva che per lungo tempo non volle curare per aumentare le sue mortificazioni. Egli si sentiva infelice quando non aveva da soffrire: « Io sono troppo ben trattato a tavola, le privazioni mi mancano… ». Lucilla X … legge, giovanetta ancora, la vita di Maria Celina della Presentazione, morta a diciannove anni nel Convento dell’ave Maria di Talenza, e si decide di consacrarsi anch’essa alla vita di riparazione. Segue gli Esercizi di una Missione predicata a Maubeuge e si conferma sempre più nel suo proposito. Ha fatto la sua prima Comunione nel 1902, e nel 1906, il giorno 2 dicembre, scrive nelle sue note intime: a Gesù, io vi offro il sacrificio della mia vita per la salvezza della mia cara patria. Prendetemi, se vi piace, come vittima per essa ». E il 13 dello stesso mese: « Fatemi soffrire per i delitti commessi dalla Francia ». E il suo ardore porta tutti i segni d’una soda pietà: « Rinnegare me stessa vuol dir compiere il mio dovere a qualunque costo senza badare alla mia soddisfazione. Quando possa scegliere liberamente fra due cose, preferirò quella che meno mi piace. Sacrificherò le mie inclinazioni per seguire piuttosto il gusto altrui … Non darò segno di preferir l’una cosa all’altra, non dirò mai: ” Questo a me piace di più … ». Quanta sapienza in questa fanciulla e che retta intelligenza dello spirito di sacrifizio! Essa non si sbaglia quando rivolgendosi a Dio prega: « Mandatemi da soffrire… E quando avrete incominciato non badate a quello che io vi posso dire allora, o Gesù, ma continuate sempre. Io mi rimetto interamente a voi! » E Gesù non si arrestò più finche il giorno 29 maggio 1907 venne a prendersela per condurla in cielo con Lui. – « Il Cristiano, diceva ancora il Santo Curato d’Ars, vive in mezzo alle croci come il pesce nell’acqua » . S’intende, il Cristiano che ha preso sul serio la dottrina e l’esempio del divin Maestro. È nota la preghiera veramente bella che

Madama Elisabetta compose nelle prigioni del Tempio (Io voglio tutto, tutto accetto e di tutto faccio un sacrificio a voi, mio Dio, e unisco questo mio sacrifizio a quello che vi fece di sé Gesù Cristo, ecc. …. ) e quella del Generale De Sonis: « … O mio Dio, che io sia crocifisso ma per mano vostra! ». Tra le rovine del « Bazar de la Charité », dopo il famoso incendio, sul cadavere d’una giovane di vent’anni furono trovate queste parole tracciate sopra un taccuino, mezzo distrutto dalle fiamme: « O Gesù! io offro la mia vita come vittima in espiazione per amor vostro ». La piccola Bernardetta Dupont nel giorno della sua prima Comunione domanda al Signore di potersi fare poi « religiosa e poi di morire ce martire ». Da Gesù non le fu concessa la prima grazia perché la chiamò a sé nei suoi quindici anni: essa fu esaudita invece nella seconda perché la sua morte fu preceduta da trentadue mesi di penose sofferenze. – Vediamo ora un ufficiale dell’esercito, il Comandante De Robien. Gentiluomo bretone, egli è di buona stirpe: già prima d’ora per ragione della sua fede aveva preferito spezzare la sua spada: sopravviene la guerra, egli vuol partire contro il nemico. Non gli basta un battaglione di territoriali, vuole il servizio di guerra. Di passaggio a Domremy, si getta ai piedi di Giovanna d’Arco e nella sua preghiera ragiona tra sé: « E se mi offrissi per salvare tanti di questi giovani, innocenti dei falli dei padri loro? … », e una voce interna mifa comprendere che il Signore accetta la sua offerta. Ecco arriva l’ordine di partire col 3° degli Zuavi. « Io mi reputo a grande onore di poter soffrire per la mia patria, egli esclama accomiatandosi dai suoi vecchi amici. Poche settimane dopo, in un contrattacco, il Signore accettava di fatto il sacrificio della sua vita. La domenica dopo la sua morte, il sacerdote della parrocchia, suo confidente, poteva dar pubblica lettura ai fedeli di questo ammirabile tratto di lettera: « … Per soddisfare pienamente la giustizia divina, per riscattare la nostra cara patria non è forse necessario che si offrano spontanee in olocausto molte vittime? « Ah! se il Signore mi volesse accettare et me vittima di espiazione per la liberazione della nostra cara patria, con quanta gioia io darei la mia vita per la santa causa della riparazione! « Dopo aver pregato a lungo e sofferto crudelmente al pensiero della mia indegnità, ho creduto bene formulare timidamente questo voto… « Non so se il Signore mi riputerà degno, nonostante i miei gravi difetti, d’un simile onore… Ma se fosse nella mente di Dio di esaudirmi, come potrei trattenermi dal ringraziarlo fin d’ora per la sua indulgenza e per la sua bontà a mio riguardo? ». Ammiriamo quanto Dio solo sa ricavare da quel pugno di fango che è il cuor umano. Mirabilis Deus in sanctis suis. Ammiriamo e procuriamo di comprendere. Molti ignorano siffatti eroismi: gli stessi eroi non sanno di esserlo, per lo più. Chi li conosce ben può dire che ben più numerosa di quanto s’immagina è la schiera di questi eroi: a cominciar da quelli le cui gesta riscuotono il nostro plauso, fino ai più nascosti agli occhi degli uomini, è tutta una gamma e i più umili non sono sempre quelli che meritano meno al cospetto della storia. Sarà però sempre vero che la parte scelta non formerà grande schiera: tuttavia abbiamo potuto vedere che anche nel mondo e in mezzo a quelli che nel mondo vivono, il Signore trova i suoi eletti. – Il R. P. Matteo Crawley, il noto missionario peruviano che ha visitato minutamente varie nazioni, parlando della Francia, ha potuto dire — senza intendere di escludere per ciò le altre nazioni — : « A ciascun delitto sociale ho trovato corrispondere non soltanto un’opera di riparazione, ma tutta una serie di opere riforatrici. « E non si creda spenta questa generosità (di anime cristiane fino al sacrifizio, e talvolta al sacrifizio completo oh! no. Io stesso ho scoperto, e nelle grandi citta e nei piccoli villaggi, qualche milite di questa schiera eletta e di una bellezza morale sfolgorante. – Ma non è troppo facile lo scoprirlo, perché essi sono come quei corsi d’acqua nascosti, causa silenziosa e segreta del bel verde fiorito che si espande tutto attorno ad essi… Anime elette che si trovano un po’ d’ogni parte tra gli alti personaggi e gli uomini influenti tanto quanto tra le persone modeste, umili e piccine. Donde vengono queste anime preziose? « Esse sono le gocce del sangue di una stirpe, la voce delle tradizioni che vivono di un antico succo cristiano, la ricchezza morale d’un organismo tutto impregnato del più puro e più forte Cristianesimo… Ed è con questo frumento che il Cielo ha preparato le ostie redentrici della Francia » (Riprodotto da Les nouvelles religieuses, 1° febbraio 1918, p. 81). – Tocca a noi il custodire con ogni cura i grani scelti di questo puro frumento e, se Dio ci ha posto in cuore il germe di affetti generosi, il ripararci dal gelo dell’indifferenza che domina intorno a noi. Per soffrir volentieri è necessario amare: forse che è cosa difficile l’amare? Il giorno 25 Ventoso 1794, in Parigi, il giudice inquisitore del tribunale rivoluzionario domanda ad una santa fanciulla, Margherita De Pons: « Quali sono le tue opinioni religiose? » . La fanciulla con tutta semplicità risponde: « Io amo con tutto il cuore il mio Dio ». Chi non può ripetere con essa le stesse parole? E questo basta come condizione preliminare per incominciare l’opera riparatrice, e anche nel continuare il lavoro non c’è bisogno di più per condurlo a buon termine: – Amare Iddio con tuttoil proprio cuore.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – “UBI NOS”

Non dovete pensare mai che diminuisca la dignità della vostra grandezza se amate e difendete la libertà della Chiesa, Sposa di Dio e Madre vostra; non crediate di umiliarvi se la esaltate; non temete di indebolirvi se la rafforzate. Guardatevi attorno, gli esempi sono evidenti. Abbiate presenti i Prìncipi che la combattono e la opprimono: che giovamento ne traggono? A qual esito pervengono? È abbastanza chiaro, non c’è bisogno di dirlo. Sicuramente, coloro che la glorificano, con essa ed in essa saranno glorificati …”: con queste parole di S. Anselmo, il Sommo Pontefice Pio IX, indicava ai governanti la rettitudine nel governo dei loro popoli, e la necessità della loro adesione agli interessi della Chiesa di Cristo onde assicurarsi prosperità e pace nei loro regni. E questo in seguito alle empie e vergognose leggi delle quarentigie, promulgate dal Governo Cisalpino a giustificazione delle indegne usurpazioni e turpi latrocini operati a danno della Santa Sede, alla quale veniva sottratto il potere temporale che Dio le aveva assicurato nei millenni a garanzia di libertà da poteri politici con mire materiali e di dominio territoriale. Vibranti furono le proteste del Santo Padre che ovviamente non ottennero alcun risultato pratico apparente, anche perché il governo del Re-burattino piemontese era diretto dalle solite sette di perdizione sovranazionali, il cui unico scopo era, e rimane tuttora, se fosse possibile, la distruzione del Cristianesimo, della Chiesa di Cristo, della società tutta e del genere umano affinché sprofondi nello stagno eterno preparato per i demoni ed i suoi adepti. Lo Stato Cisalpino, poi divenuto Regno di Piemonte e poi d’Italia, è stato dissolto ed umiliato da quelle stesse sette empie che lo manovravano a sua perdizione, la dinastia sabauda vergognosamente confinata in esilio e nei meandri della infamia eterna, dai quali non risorgerà mai più. Né il popolo italiano tutto ha tratto beneficio da queste manovre illecite ed ipocrite, trascinato com’è stato in guerre disastrose con perdita di intere generazioni di giovani soldati mandati al macello, in una feroce dittatura prima fascista e poi – ancor peggiore perché occulta – di sinistra, in una sudditanza ed una colonizzazione americana e poi finto-europeista, per finire ai giorni nostri, sotto il totale asservimento ai poteri massonici mondialisti degli Illuminati [… da satana], infiltrati in tutte le posizioni chiave dello Stato e perfino in Vaticano ove tengono custodito il loro Capo mondiale, che finge di essere, con la sua scimmia-marionetta, il successore di Pietro a dirigere la sinagoga di satana apparentemente trionfante. I danni spirituali poi sono stati e sono a tutt’oggi più che mai immensi ed irreparabili se non ribaltati da un intervento diretto di Cristo: paganizzazione sfrenata, scristianizzazione pressoché totale, caduta in massa nella peccaminosità più vergognosa e bestiale, corsa precipitosa verso lo stagno di fuoco eterno… un disastro completo! … il fuoco di Sodoma e Gomorra incombe imminente.

S. S. Pio IX

Ubi nos

Quando, per arcano volere divino, fummo ridotti sotto un potere ostile, e vedemmo la triste e amara sorte di questa Nostra Urbe e il civile Principato della Sede Apostolica oppresso dall’invasione armata, proprio allora, con una lettera a Voi inviata il primo novembre dell’anno scorso, dichiarammo a Voi e, per mezzo Vostro, a tutto il mondo cattolico, quale fosse la situazione Nostra e di questa Urbe e a quali eccessi di sfrenata licenza fossimo esposti. Per dovere del Nostro Supremo Ufficio, al cospetto di Dio e degli uomini, abbiamo dichiarato di voler salvi ed integri i diritti della Sede Apostolica, e abbiamo incitato Voi e tutti i diletti Figli affidati alle vostre cure a placare con fervide preci la divina Maestà. Da quel momento i mali e le sventure che già erano preannunciate a Noi e a questa Urbe da quei primi nefasti tentativi d’usurpazione si rovesciarono sulla dignità e Autorità Apostolica, sulla santità della Religione e dei costumi, e perciò anche sui dilettissimi Nostri sudditi. Anzi, Venerabili Fratelli, aggravandosi ogni giorno la situazione, siamo costretti a dire, con le parole di San Bernardo: “Gli inizi delle sventure sono questi, e ne temiamo di ancor più gravi” . L’iniquità infatti persevera nel seguire la sua strada e sviluppa i suoi piani, né si affanna d’altro che di stendere un velo sulle sue nefaste imprese che non possono restare nascoste, e si sforza di sottrarre le ultime spoglie alla giustizia oppressa, alla onestà e alla Religione. – Tra queste angustie che colmano i nostri giorni di amarezza, soprattutto quando pensiamo a quali pericoli e a quali insidie sono sottoposti, giorno per giorno, i fedeli e la virtù del nostro popolo, non possiamo onorare o ricordare senza un profondo senso di gratitudine gli eccelsi meriti vostri, Venerabili Fratelli, e dei diletti fedeli avvinti dal vostro amore. Infatti, in ogni plaga della terra i fedeli di Cristo, rispondendo con ammirevole premura alle Nostre esortazioni, hanno seguito Voi come maestri e modelli, e da quel giorno infausto in cui fu espugnata questa Urbe, indissero assidue e ferventi preghiere e sia con pubbliche e ripetute suppliche, sia con sacri pellegrinaggi, sia con ininterrotta affluenza nelle Chiese e con la partecipazione ai Sacramenti, sia con altre opere di ispirazione cristiana, ritennero proprio dovere accostarsi assiduamente al trono della divina clemenza. Né invero queste appassionate invocazioni possono mancare di copiosissimi frutti presso Dio. Anzi, i molti beni già ottenuti da esse ne promettono altri, da Noi attesi con fiducia e speranza. Vediamo infatti la fermezza della fede e l’ardore della carità che si diffondono ogni giorno più ampiamente; scorgiamo negli animi dei fedeli, in favore di questa Sede e del supremo Pastore quella sollecitudine (risvegliata dall’offesa dell’attacco subito) che Dio solo poté ispirare, e avvertiamo tanta solidarietà di menti e di volontà che mai più, e più veracemente che in questi giorni, dai primordi della Chiesa fino a questi tempi, si potrà affermare che il cuore e l’anima di una moltitudine di credenti sono una sola realtà (At IV, 32). Di fronte a una tale prova di virtù, non possiamo tacere che nei Nostri affettuosissimi figli, cittadini di ogni ordine e grado di questa Urbe, venne in piena luce un devoto, rispettoso amore verso di Noi, e insieme la fermezza pari all’impresa, e la grandezza d’animo non solo degna ma emula dei loro antenati. – Pertanto rendiamo grazie e gloria immortale a Dio misericordioso in nome di Voi tutti, Venerabili Fratelli, e dei Nostri diletti figli, fedeli di quel Cristo che tanto ha operato e opera in Voi e nella Sua Chiesa, e ha fatto sì che, mentre sovrabbonda l’iniquità, sovrabbondi anche la grazia della fede, dell’amore e della confessione. “Quale è dunque la Nostra speranza, il Nostro gaudio e la corona di gloria? Non è forse la vostra presenza davanti a Dio? Il figlio sapiente è gloria del Padre. Vi benefichi dunque Dio, e si ricorderà del fedele servizio, della pia compassione, della consolazione e dell’onore che alla Sposa di suo Figlio in tempo avverso e nei giorni del suo dolore avete mostrato e mostrate” .

Frattanto il Governo Subalpino, mentre per un verso si affretta a raccontare al mondo fandonie sull’Urbe, per l’altro, allo scopo di gettar polvere negli occhi dei Cattolici e di sopire le loro ansie, ha studiato e sviluppato alcune inconsistenti immunità e alcuni privilegi volgarmente detti guarentigie, che intende concedere a Noi in sostituzione di quel potere temporale di cui Ci ha spogliato con una lunga serie d’inganni e con armi parricide. Su queste immunità e garanzie, Venerabili Fratelli, abbiamo già espresso il Nostro giudizio, rilevando la loro oltraggiosa doppiezza nella lettera del 2 marzo scorso, inviata al Nostro Venerabile Fratello Costantino Patrizi, Cardinale della Santa Romana Chiesa, decano del Sacro Collegio e Nostro Vicario nell’Urbe: lettera che subito fu pubblicata a stampa. – Ma poiché è tipico del Governo Subalpino coniugare l’ostinata e turpe ipocrisia con l’impudente disprezzo verso la Nostra dignità e autorità Pontificia, nei fatti dimostra di non tenere in alcun conto le Nostre proteste, richieste, censure; perciò, senza dare alcun peso al giudizio da Noi espresso circa le predette garanzie, non desiste dal sollecitare e promuovere il dibattito e l’esame di esse presso i supremi Ordini del Regno, come se si trattasse di cosa seria. In quel dibattito emerse in piena luce sia la verità del Nostro giudizio circa la natura e l’indole di quelle garanzie, sia il vano tentativo dei nemici di occultarne la malizia e la frode. Certo, Venerabili Fratelli, è incredibile che tanti errori, apertamente incompatibili con la Fede Cattolica e perfino con gli stessi fondamenti del diritto naturale, e tante bestemmie che in quella occasione furono pronunciate, abbiano potuto pronunciarsi in questa Italia che si è sempre gloriata e si gloria del culto della Religione Cattolica e della Sede Apostolica del Romano Pontefice. E in realtà, proteggendo Iddio la Sua Chiesa, del tutto diversi sono i sentimenti che nutre la maggior parte degli Italiani: essi con Noi lamentano e deplorano questa inaudita forma di sacrilegio e Ci hanno dimostrato, con le loro meritevoli prove e con impegni di devozione ogni giorno più evidenti, di essere solidali, in unione di spirito e di sentimenti, con gli altri Fedeli della terra. – Perciò oggi di nuovo Noi Vi rivolgiamo le Nostre parole, Venerabili Fratelli, e sebbene i Fedeli a Voi affidati o con le loro lettere o con severe proteste abbiano chiaramente significato con quanta amarezza subiscano la situazione che Ci affligge, e quanto siano lontani dal farsi ingannare da quei raggiri che si nascondono sotto il nome di garanzie; tuttavia riteniamo sia dovere del Nostro Ufficio Apostolico dichiarare solennemente a tutto il mondo, per mezzo Vostro, che non solo le cosiddette garanzie malamente fabbricate dal Governo Subalpino, ma anche titoli, onori, immunità, privilegi e qualunque altra offerta fatta sotto il nome di garanzie o di guarentigie non hanno alcuna validità quando dichiarano sicuro e libero l’uso del potere a Noi affidato da Dio e di voler proteggere la necessaria libertà della Chiesa. – Stando così le cose, come più volte dichiarammo e denunciammo, Noi, per non violare la fede, non possiamo aderire con giuramento ad alcuna conciliazione forzata che in qualche modo annulli o limiti i Nostri diritti, che sono diritti di Dio e della Sede Apostolica; così ora, per dovere del Nostro Ufficio, Noi dichiariamo che mai potremo in alcun modo ammettere o accettare quelle garanzie, ossia guarantigie, escogitate dal Governo Subalpino, qualunque sia il loro dispositivo, né altri patti, qualunque sia il loro contenuto e comunque siano stati ratificati, in quanto essi ci furono proposti con il pretesto di rafforzare la Nostra sacra e libera potestà in luogo e in sostituzione del Principato civile di cui la divina Provvidenza volle dotata e rafforzata la Santa Sede Apostolica, come Ci è confermato sia da titoli legittimi e indiscussi, sia dal possesso di undici secoli ed oltre. Infatti ad ognuno deve risultare chiaro che necessariamente, qualora il Romano Pontefice fosse soggetto al potere di un altro Principe, né fosse dotato di più ampio e supremo potere nell’ordine politico, non potrebbe per ciò che riguarda la sua persona e gli atti del ministero Apostolico, sottrarsi all’arbitrio del Principe dominante, il quale potrebbe anche diventare eretico o persecutore della Chiesa, o trovarsi in guerra o in stato di guerra contro altri Principi. Certamente questa stessa concessione di garanzie di cui parliamo non è forse, di per sé, evidentissima prova che a Noi fu data una divina autorità di promulgare leggi concernenti l’ordine morale e religioso; che a Noi, designati in tutto il mondo come interpreti del diritto naturale e divino, verrebbero imposte delle leggi, e per di più leggi che si riferiscono al governo della Chiesa Universale, il cui diritto di conservazione e di esecuzione non sarebbe altro che la volontà prescritta e stabilita dal potere laico? Per ciò che riguarda il rapporto tra Chiesa e Società civile, ben sapete, Venerabili Fratelli, che Noi ricevemmo direttamente da Dio, in persona del Beatissimo Pietro, tutte le prerogative e tutta la legittima autorità necessaria al governo della Chiesa Universale, e che anzi quelle prerogative e quei diritti, e quindi anche la stessa libertà della Chiesa, derivano dal sangue di Gesù Cristo e devono essere stimati secondo l’infinito valore del Suo Sangue divino. – Pertanto Noi saremmo immeritevoli (e ciò non accada) del divino Sangue del Nostro Redentore se questi Nostri diritti, che ora soprattutto si vorrebbero così sviliti e deturpati, dipendessero dai Principi della terra. I Principi Cristiani infatti, sono figli, non padroni della Chiesa. Ad essi propriamente si rivolgeva Anselmo, quel lume di santità e di dottrina, Arcivescovo di Canterbury: “Non dovete credere che la Chiesa di Dio vi sia stata data per servire a un padrone, ma piuttosto per servire come avvocato e difensore; in questo mondo nulla Dio ama di più che la libertà della sua Chiesa” . E aggiungendo altre esortazioni per essi, in altro momento scriveva: “Non dovete pensare mai che diminuisca la dignità della vostra grandezza se amate e difendete la libertà della Chiesa, Sposa di Dio e Madre vostra; non crediate di umiliarvi se la esaltate; non temete di indebolirvi se la rafforzate. Guardatevi attorno, gli esempi sono evidenti. Abbiate presenti i Principi che la combattono e la opprimono: che giovamento ne traggono? A qual esito pervengono? È abbastanza chiaro, non c’è bisogno di dirlo. Sicuramente, coloro che la glorificano, con essa ed in essa saranno glorificati” .

Dunque, Venerabili Fratelli, dopo tutto ciò che vi abbiamo detto, a nessuno per certo può sfuggire che l’offesa recata a questa Santa Sede, in questi tempi crudeli, ricade su tutta la Comunità Cristiana. Ad ogni Cristiano dunque, come diceva San Bernardo, è rivolta l’offesa che colpisce gli Apostoli, appunto i gloriosi Principi della terra; e siccome la Chiesa Romana si dà pensiero di tutte le Chiese, come diceva il predetto Sant’Anselmo, chiunque ad essa sottrae ciò che è suo, deve essere giudicato colpevole di sacrilegio non solo verso di essa ma verso tutte le Chiese . Né certo alcuno può dubitare che la tutela dei diritti di questa Sede Apostolica non sia strettamente congiunta e collegata con le supreme ragioni e i vantaggi della Chiesa universale e con la libertà del vostro ministero Episcopale.

Nel riflettere e considerare tali questioni, come è Nostro dovere, Noi siamo costretti a confermare nuovamente e a dichiarare con insistenza ciò che più di una volta esponemmo a Voi, del tutto consenzienti con Noi, ossia che il potere temporale della Santa Sede è stato concesso al Romano Pontefice per singolare volontà della Divina Provvidenza e che esso è necessario affinché lo stesso Pontefice Romano, mai soggetto a nessun Principe o a un Potere civile, possa esercitare la suprema potestà di pascere e governare in piena libertà tutto il gregge del Signore con l’autorità conferitagli dallo stesso Cristo Signore su tutta la Chiesa e perché possa provvedere al maggior bene della stessa Chiesa ed agli indigenti. Voi certamente comprendete tutto ciò, Venerabili Fratelli, e con Voi i Fedeli a Voi affidati, e giustamente Voi tutti siete in ansia per la causa della Religione, della giustizia e della pace che sono i fondamenti di tutti i beni, e date lustro alla Chiesa di Dio con un degno spettacolo di fede, di amore, di costanza, di virtù e, fedelmente intenti alla sua difesa, tramandate un nuovo e ammirevole esempio, degno dei suoi annali e della memoria delle future generazioni. Poiché il Dio della misericordia è autore di questi beni, a Lui sollevando gli occhi, i cuori e la speranza Nostra, Lo supplichiamo con insistenza perché confermi, rafforzi, accresca i sentimenti Vostri e dei Fedeli, la pietà comune, l’amore e lo zelo. Con ogni premura esortiamo Voi e i popoli affidati alla Vostra vigilanza affinché ogni giorno, con tanta più fermezza e rigoglio quanto più minacciosamente si agitano i nemici, invochiate con Noi il Signore perché si degni di maturare i giorni della sua benevolenza. Provveda Iddio perché i Principi della terra che hanno particolare interesse ad evitare che il caso di usurpazione di cui siamo vittime diventi regola a danno di ogni ordine e potere, si uniscano in un perfetto accordo di animi e di volontà e, placate le discordie, sedate le turbolenze delle ribellioni, disperse le esiziali opinioni delle sette, svolgano un’opera comune affinché siano restituiti a questa Santa Sede i suoi diritti, e con essi la piena libertà al Capo visibile della Chiesa e la desiderata pace al consorzio civile. E con altrettanto ardore, Venerabili Fratelli, con le suppliche Vostre e dei Fedeli, chiedete alla divina clemenza che converta alla penitenza i cuori degli empi, rimuovendo la cecità delle menti prima che sopraggiunga il grande e terribile giorno del Signore o, col reprimere i loro infami propositi, dimostri quanto ottusi e stolti sono coloro che tentano di rovesciare la pietra posata da Cristo e di violare i divini privilegi. In queste preghiere si fondino più saldamente le Nostre speranze in Dio. “Davvero pensate che Dio potrebbe distogliere l’orecchio dalla sua carissima Sposa quando invoca aiuto contro coloro che la fanno soffrire? Come non riconoscerebbe un osso delle sue ossa, la carne della sua carne, anzi in certo modo, in verità, lo spirito del suo spirito? È certamente giunta l’ora della malizia, il potere delle tenebre. D’altronde è l’ultima ora, e il potere presto scompare. Cristo, potenza e sapienza di Dio, è con Noi, partecipa con Noi. Abbiate fiducia, Egli vince il mondo” . Frattanto ascoltiamo con animo aperto e con salda fede la voce dell’eterna verità che dice: “Combatti per la giustizia, per la tua anima, e fino alla morte lotta per la giustizia: Dio sconfiggerà per te i tuoi nemici” (Sir IV, 28). – Infine, con tutto il cuore invocando doni fecondi di celesti grazie per Voi, Venerabili Fratelli, per tutti gli Ecclesiastici e per i fedeli Laici affidati alla cura di ciascuno di Voi, come pegno del Nostro grande e intimo affetto verso Voi e i Fedeli, amorosamente impartiamo a Voi e agli stessi diletti Figli l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 15 maggio 1871, nel venticinquesimo anno del Nostro Pontificato.

DOMENICA IX DOPO PENTECOSTE (2020)

DOMENICA IX DOPO PENTECOSTE (2020)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B.; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. • Paramenti verdi.

La liturgia di questo giorno insiste sui castighi terribili che la giustizia di Dio infliggerà a quelli che avranno rinnegato Cristo. Morranno tutti e nessuno entrerà nel regno dei cieli. Coloro invece che in mezzo a tutte le avversità di questa vita saranno rimasti fedeli a Gesù, saranno un giorno strappati alle mani dei loro nemici ed entreranno al suo seguito nel cielo, ove Egli entrò nel giorno della sua Ascensione, che la Chiesa ha celebrato nel Tempo Pasquale. Questi pensieri sulla giustizia divina sono conformi, in questa IX Domenica dopo Pentecoste, colla lettura che la liturgia fa della storia del profeta Elia nel Breviario. – Dopo la morte di Salomone, le dodici tribù di Israele si divisero in due grandi regni: quello di Giuda e quello d’Israele. Il primo formatosi con le due tribù di Giuda e di Beniamino, ebbe per capitale Gerusalemme: il secondo si compose di dieci tribù con capitale Sichem, poi Samaria. A questo secondo regno appartenne il profeta Elia, che abitava il deserto di Galaad in Samaria. Uomo virtuoso e austero, vestiva una tunica di peli di cammello con ai fianchi una cintura di cuoio: « pieno di zelo per il Dio degli eserciti », uscì tre volte dal deserto per minacciare Achab, VII re di Israele, e la regina Iezabele, che avevano trascinato il popolo all’idolatria; per mandare a morte i 450 profeti di Baal che confuse sul Monte Carmelo; e per annunciare al re, impossessatosi della vigna di Naboth, che sarebbe stato ucciso, e alla regina, che era stata il cattivo genio di Achab, che il suo sangue sarebbe scorso ove era scorso il sangue di Naboth e i cani avrebbero divorate le sue carni. Per tutti questi motivi, Elia fu perseguitato dagli Israeliti, da Achab e da lezabele e dovette fuggire sul monte Horeb per scampare alla morte. Quando più tardi Ochozia, figlio di Achab, divenne re, Elia gli fece dire di non consultare Belzebù, il dio di Accaron, come aveva intenzione, ma il Dio d’Israele. Ochozia allora gli mandò un capitano con cinquanta soldati per indurlo a scendere dalla montagna e rendergli conto delle sue parole. Elia rispose al capitano: « Se io sono un uomo di Dio, scenda dal cielo un fuoco che divori te e i tuoi cinquanta », E scese il fuoco e divorò lui e i suoi cinquanta uomini » (Breviario). Più tardi, Elia andò verso il Giordano con Eliseo e allorché ebbero attraversato il fiume, un carro di fuoco con cavalli di fuoco separò l’uno dall’altro ed Elia sali al cielo in un turbine. Eliseo allora si rivestì del mantello che Elia aveva lasciato cadere e ricevette doppiamente il suo spirito. E tutti i discepoli di Elia dissero: «lo spirito di Elia si è posato su Eliseo ». E mentre Eliseo andava verso Bethel, alcuni ragazzi lo schernirono dicendo: « Sali, sali, calvo! ». Ed Eliseo li maledisse nel nome di Dio che essi offendevano: due orsi uscirono dalla foresta e sbranarono 42 di quei fanciulli. — Per tutta la sua vita Elia, con la sua parola di  fuoco, difese i diritti di Dio. Più tardi Giovanni Battista, « pieno dello Spirito e della virtù di Elia », si presentò vestito come lui ed abitante come lui nel deserto, e difese allo stesso modo gli stessi diritti di Dio, annunziando la separazione che farà Cristo venturo della paglia dal buon grano »: raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia in un fuoco che non si estinguerà. –   « Elia, dice S. Agostino, rappresenta il Salvatore e Signore nostro. Come infatti Elia soffrì persecuzioni da parte dei Giudei; nostro Signore, il vero Elia, fu rigettato e disprezzato dal medesimo popolo. Elia lasciò il paese suo; Cristo abbandonò la sinagoga e accolse i Gentili (2° Nott.). « Dio liberò Elia dai suoi nemici elevandolo al cielo, Dio innalzò Cristo in mezzo ai suoi nemici e lo fece salire il giorno dell’Ascensione in cielo ». « Liberami, o Signore dai miei nemici, dice l’Alleluia, e allontanami da quelli che insorgono contro di me ». Elia, trasportato in un carro di fuoco è, secondo i Padri, la figura di Cristo, che sale al Cielo. Il Graduale è il versetto del Salmo VIII, che la liturgia usa nel giorno dell’Ascensione: «Signore, Dio nostro, come è ammirevole il tuo nome su tutta la terra: poiché la tua magnificenza si solleva al di sopra dei cieli. » E l’Introito aggiunge :« Ecco che Dio viene in mio aiuto e che il Signore accoglie la mia anima. Oh, Dio! salvami nel tuo nome e liberami nella tua potenza ». Questo trionfo di Gesù su quelli che lo odiano, figurato da quello di Elia su coloro che lo disprezzano, sarà anche il nostro se «non tenteremo Cristo», cioè se eviteremo l’idolatria, l’impurità, la mormorazione» (Ep.) rimanendo fedeli alla grazia Poiché « se Gesù continua a immolarsi sui nostri altari per applicarci i frutti della sua redenzione » (Secr.), e se « mangiando la sua carne e bevendo il suo sangue,  noi dimoriamo in Lui e Lui in noi » (Com.), si è perché, « uniti a Lui », (Postcom.), osserviamo fedelmente i suoi comandamenti, che sono più dolci del miele » (Off.). S. Paolo ci dice infatti che « Dio, il quale è fedele, non permetterà che noi siamo tentati al di sopra delle nostre forze, ma con la tentazione ci darà anche il mezzo di uscirne affinché possiamo perseverare » (Ep.). Supplichiamo dunque il Signore d’accogliere benignamente le preghiere che noi gli indirizziamo e di fare in modo che gli chiediamo solo quanto gli sia gradito, affinché ci possa sempre esaudire (Oraz.). – Ma la Giustizia divina non si accontenta di proteggere il gìusto contro i suoi nemici e di ricompensarlo per la sua fedeltà; essa punisce anche quelli che fanno il male. Elia minacciò il regno di Israele infedele e fece cadere il fuoco dal cielo sui suoi nemici (Brev.); « Gli Israeliti, che tentarono Iddio con le loro mormorazioni, perirono per mezzo dei serpenti di fuoco » (Ep.), e Gerusalemme sulla quale Gesù pianse, minacciandole castighi perché lo respingeva, fu distrutta dalla guerra e dall’incendio (Vang.). « Ventitremila Ebrei perirono in un sol giorno per la loro idolatria, e molti furono colpiti a morte dall’Angelo sterminatore per le loro mormorazioni ». Ma tutti questi avvenimenti, spiega S. Paolo, furono permessi da Dio, e narrati per servire di nostro ammaestramento » (Ep.). Più di un milione di Giudei perirono nella distruzione di Gerusalemme, perché avevano rifiutato il Messia e il Vangelo (Vedi I Domenica dell’Avvento e XXIV dopo Pentecoste). Gesù ha sempre paragonata questa fine tragica alle catastrofi che segneranno la fine del mondo, quando Dio verrà a giudicare il mondo col fuoco. Allora il Giudice divino opererà la separazioni dei buoni dai cattivi e mentre ricompenserà i primi, allontanerà dal regno di Dio tutti quelli che lo avranno rinnegato per la loro incredulità e i loro peccati, come cacciò dal Tempio, che è la figura della Chiesa terrestre e celeste, tutti i venditori che avevano trasformato la casa di Dio in una spelonca di ladri (Vang.). « Il male ricada sui miei avversari, chiede il Salmista e, fedele alle tue promesse, distruggili, o Dio, mio protettore! » (Intr.). Allora, infatti il tempo della misericordia sarà passato e non vi sarà più che quello della giustizia ». « Frattanto colui che crede di essere in alto guardi di non cadere!», dice l’Apostolo (Ep.).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LIII: 6-7.
Ecce, Deus adjuvat me, et Dóminus suscéptor est ánimæ meæ: avérte mala inimícis meis, et in veritáte tua dispérde illos, protéctor meus, Dómine.

[Ecco, Iddio mi aiuta, e il Signore è il sostegno dell’ànima mia: ritorci il male contro i miei nemici, e disperdili nella tua verità, o Signore, mio protettore.]


Ps LIII: 3
Deus, in nómine tuo salvum me fac: et in virtúte tua libera me.

[O Dio, salvami nel tuo nome: e líberami per la tua potenza.]


Ecce, Deus adjuvat me, et Dóminus suscéptor est ánimæ meæ: avérte mala inimícis meis, et in veritáte tua dispérde illos, protéctor meus, Dómine.

[Ecco, Iddio mi aiuta, e il Signore è il sostegno dell’ànima mia: ritorci il male contro i miei nemici, e disperdili nella tua verità, o Signore, mio protettore.]

Oratio

Orémus.
Páteant aures misericórdiæ tuæ, Dómine, précibus supplicántium: et, ut peténtibus desideráta concédas; fac eos quæ tibi sunt plácita, postuláre.

[Porgi pietoso orecchio, o Signore, alle preghiere di chi Ti supplica, e, al fine di poter concedere loro quanto desiderano, fa che Ti chiedano quanto Ti piace.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios.
1 Cor X: 6-13
Fatres: Non simus concupiscéntes malórum, sicut et illi concupiérunt. Neque idolólatræ efficiámini, sicut quidam ex ipsis: quemádmodum scriptum est: Sedit pópulus manducáre et bíbere, et surrexérunt lúdere. Neque fornicémur, sicut quidam ex ipsis fornicáti sunt, et cecidérunt una die vigínti tria mília.
Neque tentémus Christum, sicut quidam eórum tentavérunt, et a serpéntibus periérunt. Neque murmuravéritis, sicut quidam eórum murmuravérunt, et periérunt ab exterminatóre. Hæc autem ómnia in figúra contingébant illis: scripta sunt autem ad correptiónem nostram, in quos fines sæculórum devenérunt. Itaque qui se exístimat stare, vídeat ne cadat. Tentátio vos non apprehéndat, nisi humána: fidélis autem Deus est, qui non patiétur vos tentári supra id, quod potéstis, sed fáciet étiam cum tentatióne provéntum, ut póssitis sustinére.

[“Fratelli: Non desideriamo cose cattive, come le desiderarono quelli. Non diventate idolatri, come furono alcuni di loro, secondo sta scritto: «Il popolo si sedette a mangiare e bere; poi si alzarono a tripudiare. Né fornichiamo, come fornicarono alcuni di loro, e caddero in un giorno 23 mila. Né tentiamo Cristo come lo tentarono alcuni di loro, e furono uccisi dai serpenti. Né mormorate come mormorarono alcuni di loro, ed ebbero morte dallo sterminatore. Or tutte queste cose accadevano loro in figura, e sono state scritte per ammaestramento di noi, che viviamo alla fine dei tempi. Colui, pertanto che si crede di stare in piedi, badi di non cadere. Nessuna tentazione vi ha sorpreso se non umana. Dio, poi, che è fedele, non permetterà che siate tentati sopra le vostre forze: ma con la tentazione preparerà anche lo scampo, dandovi il potere di sostenerla”. (I Cor. X, 6-13).]

Omelia I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1921]

IL TIMOR DI DIO

Essere Cristiani non vuol dire essere esenti dalla vigilanza, e da una attenta vigilanza. Nell’Epistola della Domenica di Settuagesima abbiam visto come l’Apostolo per incoraggiare i Corinti alla perseveranza, oltre il proprio esempio, portò l’esempio dei Giudei, i quali, quantunque usciti in gran numero dall’Egitto, dopo aver ricevuto grandi benefici dal Signore, solamente in numero di due poterono entrare nella terra promessa. L’Epistola di quest’oggi continua quel brano. Vi sono enumerate alcune prevaricazioni degli Ebrei e i castighi, che ne seguirono, e si esortano i Corinti a non imitarne l’esempio; poiché quanto avvenne agli Israeliti sarà figura di quanto avverrà a noi Cristiani, se abuseremo delle grazie del Signore. – E noi non abuseremo certamente delle grazie del Signore, se avremo il timor di Dio, il quale:

1 Ci fa evitare il peccato,

2 Ci rende diffidenti di noi,

3 Ci lascia calmi e fiduciosi in Dio, durante le prove.

1.

Le prevaricazioni degli Ebrei, dopo la loro uscita dall’Egitto, ebbero da parte di Dio la meritata punizione. La storia di questa punizione e dei conseguenti castighi, deve servire di esperienza, perché tutte queste cose accadevano loro in figura, e sono state scritte per ammaestramento di noi. Dunque, le punizioni di Dio, prefigurate in ciò che accadde agli Ebrei, devono attendere anche i Cristiani che, invece di mostrarsi grati a Dio per i benefici ricevuti e che ricevono quotidianamente, lo offendono con i peccati. – E lo offendono, perché non temono il Signore. «Il timor di Dio fa odiare il male» (Prov. VIII, 13). L’uomo che ha tanto paura di commettere cosa che possa offendere il suo simile, mortale come lui, ludibrio degli eventi; oggi forte, domani debole; oggi stimato, domani disprezzato, abbandonato; come potrebbe indursi a commettere il male sotto gli occhi di Dio, se pensasse che quel Dio che lo vede, lo giudicherà? Non si pensa a Dio, e si opera come se Dio non esistesse. E da questo errore ne consegue un altro: si fa il male senza badare alle sue conseguenze. Si pecca, ma non si tien conto che «Agli empi e ai peccatori Dio renderà il loro castigo» (Eccli. XII, 4). I servi non osano commettere mancanze alla presenza del loro padrone. Se avvengono degli alterchi, avvengono quando e dove il padrone non li sente: «Noi invece — dice il Crisostomo — tutto osiamo in faccia a Dio, che vede e che sente. Essi hanno sempre davanti agli occhi il timor del padrone; noi, il timor di Dio non l’abbiamo mai» (In 1. Epist. ad Thim. Hom. 16, 2).« Chi teme Dio rientra in se stesso» (Eccli XXI, 7). Può egli continuare a vivere in peccato, se da un momento all’altro può capitare nelle mani del suo Giudice? Il peccatore può mettersi a letto pieno di sanità e di vita, e prima dello spuntar del giorno trovarsi davanti al tribunale di Dio. Può alzarsi la mattina, e prima di sera esser già giudicato. Ma il pericolo di ricevere una condanna egli può evitarlo. Se teme il castigo ne tolga la causa. Faccia penitenza dei suoi peccati, e cominci una vita nuova. Chi teme Dio non dice: Dio è buono, dunque non mi punirà. Se Dio è buono devi amarlo, invece di offenderlo. Tu offendi Dio perché è buono. «Questa è dunque la retribuzione che rendi al Signore?… Non è Egli il tuo Padre, che ti ha posseduto, che ti ha fatto, che ti ha creato?» (Deut. XXXII, 6). – Egli è buono, immensamente buono, ma è anche giusto; la sua bontà non può andar scompagnata dalla sua giustizia. «Presso Dio non vi è pietà senza giustizia, né giustizia senza pietà» (S. Pier Crisos. Serm. 145). – Se tutti gli uomini avessero il timore di Dio e non solo il timore delle leggi umane, nessuno commetterebbe il male, neppur per breve tempo.

2.

Nessuno può tenersi sicuro di poter perseverare sino alla fine nello stato di grazia e di tenersi conseguentemente certo della propria salvezza. Nessuno può esser sicuro di questo, senza una speciale rivelazione. Pertanto, chi si crede di stare in piedi, badi di non cadere. Caddero gli Angeli che si trovavano in cielo; caddero i nostri progenitori che si trovavano nel paradiso terrestre; noi soli vogliam presumere di andar esenti da cadute? La Sacra Scrittura ci pone davanti agli occhi abbondante materia di seria riflessione su questo punto. Essa ci fa passare innanzi re, giudici, sapienti, sacerdoti, profeti, Apostoli, che precipitarono dalla loro altezza nell’abisso del peccato. Dopo simili esempi, nessuno troverà esagerata l’ammonizione dell’Apostolo: Pertanto chi si crede di stare in piedi, badi di non cadere. Quando la nebbia è fitta, il viandante cammina con la più grande precauzione. Le nostre passioni sono come una nebbia fitta, che non ci lascia ben distinguere ove mette fine il nostro cammino. Abbiamo bisogno di essere illuminati, guidati. Il santo timor di Dio è il lume che ci guida. «Non voler essere saggio ai tuoi propri occhi; — dice Salomone — temi Dio e allontanati dal male» (Prov. III, 7). – Il timor di Dio ci insegna ad allontanarci dal male. Ci dice ove è il pericolo; ove bisogna far sacrificio d’una nostra tendenza; ove c’è una passione incipiente da estirpare, ove c’è un’occasione da evitare. Chi disprezza la voce del timor di Dio, un momento o l’altro si trova trascinato là ove non avrebbe né creduto né voluto. Chi non teme, non si guarda; chi non si guarda, si perde. – Non contano le battaglie spirituali vinte altre volte. Il cavaliere che ha vinto cento corse, che ha saltato migliaia di ostacoli, sempre saldo in sella, in un momento di distrazione o di troppo fiducia è sbalzato a terra. Il navigante che ha passato e ripassato i mari, superando furiose tempeste, affonda con la nave per un imprevisto incidente qualsiasi. L’aviatore che ha valicato catene di monti e attraversato mari tra le bufere, e sempre felicemente, precipita col velivolo quando, sicuro di sé, non vede davanti agli occhi che gli onori che coroneranno le sue imprese. A questo mondo non si è mai al sicuro dalle sorprese; e il Cristiano non è mai al sicuro dalle sorprese delle passioni, del demonio, del mondo. Nulla trascuri per mettersi al riparo contro di esse: «Chi teme Dio non trascura cosa veruna» (Eccle. VII, 19).

3.

Dio, poi, che è fedele non permetterà che siate tentati sopra le vostre forze; ma con la tentazione preparerà anche lo scampo, dandovi il potere di sostenerla. Diffidare di noi stessi, temere la nostra debolezza, non vuol dire avvilirsi e perdersi di coraggio nelle umiliazioni, nelle tentazioni, nelle prove della vita. Noi siamo fragili, ma Dio è potente. Lasciarsi abbattere, mormorare nelle difficoltà, è un dubitare della bontà, sapienza e potenza di Dio. Egli non comanda mai cose impossibili, e non nega mai la sua grazia a quelli che a Lui ricorrono fiduciosi. Con la sua grazia potremo resistere a tutte le tentazioni e superar tutte le prove, uscendone vittoriosi, ornati di meriti, rassodati nel bene. Chi teme Dio accetta, calmo e fiducioso nell’aiuto di Lui, tutte le prove che Egli gli manda.Il timor di Dio non consiste nel prostrarsi innanzi a Lui tremanti, nell’esser presi dallo sgomento. « Il timor del Signore — dice lo Spirito Santo — ha corona di sapienza e di piena pace e di frutti di salute» (Eccli. I, 22). Il timor di Dio consiste nel non far nulla di quanto a Dio dispiace, nel chiedergli la grazia di fare ciò che Egli comanda, nel non ribellarci quando la sua mano ci sottopone alle prove. Il timor di Dio non turba la pace, anzi ne è la salvaguardia. Chi teme Dio è da Lui protetto e difeso. Egli può ripetere con tutta verità le parole del Salmista: «Ecco, Dio è colui che mi aiuta, e il Signore è il sostegno dell’anima mia» (Salm. LIII; 6. – Introito). – « I suoi precetti sono più dolci del miele e di ciò che stilla dai favi» (Salm. XVIII, 11 – Offertorio). Perciò li osserva, e nell’osservarli ha grande ricompensa; arricchisce la sua corona di frutti di salute. Il timore e l’amore sono gli sproni della vita: non solamente della vita materiale, ma anche, e più, della vita spirituale. Il timore e l’amore spingono l’uomo a risorgere dal peccato, e a ritornare al più amante dei padri. Se il peccatore dovesse guardare solamente ai propri demeriti, come potrebbe innalzare la fronte a Dio, e dirgli: «Perdona?» Ma egli sa con chi ha da fare; egli può rivolgersi a Lui e ricordargli con tutta fiducia: «So che tu sei un Dio clemente, e misericordioso e paziente, e molto compassionevole e che perdoni il mal fare» (Gion. IV, 2). – Chi ben si guarda, scudo si rende. Questa norma fu dimenticata da Sansone, il forte d’Israele, che, fidando troppo in sé stesso, si prese gioco del pericolo, e finì con perdere la libertà, la vista, la forza prodigiosa; finì col perdere Dio, che si allontanò da lui. Ma nel misero stato in cui è ridotto non si dimentica che Dio è clemente, misericordioso, paziente, molto compassionevole, e si rivolge a Lui con umiltà, fede e fiducia : «Signore Iddio, ricordati di me» (Giud. XVI, 28). E Dio ascolta l’umile e fiduciosa preghiera del pentito Giudice d’Israele. Chissà quante volte abbiamo imitato Sansone nello scherzare con le occasioni, con la conseguenza di rimanerne vittima! Imitiamolo anche nel ricorrere con fiducia a Dio per rialzarci dalle nostre cadute. Il timor di Dio, senza la fiducia nella sua misericordia non è un timore buono. «Tu lo placherai, se speri nella sua misericordia» (En. In Ps. CXLVI), dice S. Agostino. Sperando nella sua misericordia, risorgiamo, dunque, e subito. «Risorgiamo, o cari, sebben tardi, e stiamo saldamente in piedi» (S. Giov. Cris. In Epist. I ad Cor. Hom. 23, 4).

Graduale 

Ps VIII: 2
Dómine, Dóminus noster, quam admirábile est nomen tuum in universa terra!

[Signore, Signore nostro, quanto ammirabile è il tuo nome su tutta la terra!]


V. Quóniam eleváta est magnificéntia tua super cœlos. Allelúja, allelúja

[Poiché la tua magnificenza sorpassa i cieli. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps LVIII: 2
Alleluja, Alleluja

Eripe me de inimícis meis, Deus meus: et ab insurgéntibus in me líbera me. Allelúja.

 [Allontànami dai miei nemici, o mio Dio: e líberami da coloro che insorgono contro di me. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntiasancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc XIX: 41-47
“In illo témpore: Cum appropinquáret Jesus Jerúsalem, videns civitátem, flevit super illam, dicens: Quia si cognovísses et tu, et quidem in hac die tua, quæ ad pacem tibi, nunc autem abscóndita sunt ab óculis tuis. Quia vénient dies in te: et circúmdabunt te inimíci tui vallo, et circúmdabunt te: et coangustábunt te úndique: et ad terram prostérnent te, et fílios tuos, qui in te sunt, et non relínquent in te lápidem super lápidem: eo quod non cognóveris tempus visitatiónis tuæ.
Et ingréssus in templum, coepit ejícere vendéntes in illo et eméntes, dicens illis: Scriptum est: Quia domus mea domus oratiónis est. Vos autem fecístis illam speluncam latrónum. Et erat docens cotídie in templo”.

[“In quel tempo avvicinandosi Gesù a Gerusalemme, rimirandola, pianse sopra di lei, e disse: Oh? se conoscessi anche tu, e in questo tuo giorno, quello che importa al tuo bene! ma ora questo è a’ tuoi occhi celato. Conciossiachè verrà per te il tempo, quando i tuoi nemici ti circonderanno di trincea, e ti serreranno all’intorno, e ti stringeranno per ogni parte. E ti cacceranno per terra te e i tuoi figliuoli con te, e non lasceranno in te pietra sopra pietra; perché non hai conosciuto il tempo della visita a te fatta. Ed entrato nel tempio, cominciò a scacciare coloro che in esso vendevano e comperavano, dicendo loro: Sta scritto: La casa mia è casa di orazione; e voi l’avete cangiata in spelonca di ladri. E insegnava ogni giorno nel tempio”.

Omelia II

– Sopra il santo Sacrifizio della Messa.-

Domus mea, domus orationis est; vos autem fecistis illam speluncam latronum.

Luc. XIX

Bisognava, fratelli miei, che il tempio di Gerosolima fosse di grande rispetto, poiché il Salvatore del mondo, che era la stessa mansuetudine, usò tanta severità contro coloro che lo profanavano con commerci indegni della santità di quel luogo: severità, che lo portò a riprendere, non solamente come lo fa nell’odierno Vangelo, quei sacrileghi profanatori, ma ancora a scacciarli a colpi di sferza, a rovesciare le tavole su cui erano le loro mercanzie, come narrasi altrove nel Vangelo. Che avrebbe dunque fatto Gesù Cristo, e che farebbe Egli al giorno d’oggi contro i profanatori delle nostre chiese, infinitamente più rispettabili, che il tempio di Gerusalemme? Delle nostre chiese, dico, che contengono la realtà di ciò che non era che in figura nel tempio di Salomone. In questo che cosa eravi mai? Le tavole della legge, un po’ di manna data miracolosamente agl’Israeliti nel deserto; ma nei nostri tempi noi possediamo l’Autore medesimo della legge, il vero pane sceso dal cielo, Gesù Cristo, il Figliuolo di Dio che risiede in Persona nei nostri sacri tabernacoli. Ciò che rendeva ancora il tempio di Gerusalemme degno di venerazione, erano i sacrifici che si offrivano a Dio, era questo il solo luogo destinato ad offrirglieli. Ma che cosa erano mai questi sacrifici? Erano sacrifici di animali che si scannavano, il sangue di tori, di capretti che vi si spargeva; laddove nelle nostre chiese si presenta a Dio il Sacrificio dell’Agnello immacolato. Si è nelle nostre sole chiese che si può offrire l’adorabile Sacrificio dei nostri altari, ove Gesù Cristo si offre a Dio suo Padre per le mani dei Sacerdoti, ed ecco, dice s. Agostino, ciò che rende le nostre chiese sì rispettabili, ciò che deve farcele riguardare come case consacrate a Dio, come case di orazione; perché si è nel Sacrificio della Messa, che si rende a Dio più gloria, e che possiamo pregarlo con una maniera più efficace che in qualunque altro luogo. Di questo divin Sacrificio, fratelli miei, che è l’azione più santa della nostra Religione, voglio io in quest’oggi intertenervi per ispirarvi i sentimenti di pietà, che vi dovete recare, e per rianimare altresì il vostro rispetto pel luogo santo, ove egli è offerto. Per riempiere il mio disegno, noi riguarderemo il Sacrificio della Messa per i rapporti che ha con Dio e per quelli che ha con noi medesimi. La gloria che esso procura a Dio, ed i vantaggi che attira agli uomini, sono le due proprietà del Sacrifizio, che io trovo indicate nelle parole del reale profeta, ove dice ch’egli offrirà a Dio un sacrificio di lode, e che invocherà il suo santo Nome: Ubi sacrìficabo hostiam laudis, et nomen Domini invocabo (Ps. CXV). Di tutti i sacrifici quello della Messa è il più glorioso a Dio: Ubi sacrificabo hostiam laudis; primo punto. Di tutti i sacrifici quello della Messa è il più salutevole agli uomini, e dove possono essi più efficacemente invocare il Nome del Signore: et nomen Domini invocabo; secondo punto.

Da questo io tiro due conseguenze pratiche: se il Sacrificio della Messa è glorioso a Dio, convien dunque assistervi per glorificar Dio con i nostri omaggi e rispetti. Se egli è sì utile agli uomini, convien dunque assistervi con confidenza per domandare le grazie di cui abbiamo bisogno; il che richiede tutta la vostra attenzione.

I . Punto. Il sacrifizio, secondo la definizione che ne danno i teologi dopo s. Tommaso, è un atto di religione con cui si offre a Dio una cosa che, nell’oblazione che se ne fa, è distrutta o cangiata, per riconoscere il supremo dominio di Dio sopra le creature. Il sacrifizio è si necessario alla religione, che non si può senza di esso rendere a Dio un culto perfetto, come lo merita. Imperciocché per rendere a Dio questo culto perfetto, bisogna che la creatura ragionevole gli faccia una protesta della sua dipendenza, che lo riconosca per l’Autore del suo essere e della sua vita; ed è ciò che fassi nel sacrificio, ove la vittima è distrutta o cangiata, per dimostrar con questo, che Dio è il padrone della vita e della morte di ciascheduno di noi. Ed è per questo che si offrivano a Dio nell’antica legge sacrifici, che si chiamavano olocausti, ove la vittima era interamente distrutta. Questi erano animali che si scannavano e si facevano in appresso consumare col fuoco, in segno del potere assoluto che Dio ha sopra la vita degli uomini. Si offrivano ancora vittime pacifiche, sia in riconoscenza dei beni che gli uomini ricevevano dalla bontà di Dio, sia per ottener nuove grazie. Finalmente si offrivano sacrifici di propiziazione, per calmare l’ira di Dio irritata dai peccati degli uomini. Ma tutti questi sacrifici erano incapaci di render a Dio il culto che merita; non avevano essi virtù se non se in quanto erano uniti per la fede di coloro che gli offrivano, al Sacrificio del Redentore, di cui erano essi la figura. Che però questi sacrifici son passati per dar luogo al più grande, al più eccellente di tutti, che è quello dei nostri altari. Sacrifizio che rinchiude non solo, ma che supera tutto il valore ed il merito degli altri; perché ci somministra il mezzo più eccellente di adempiere tutte le nostre obbligazioni verso Dio. Che cosa dobbiamo noi a Dio, fratelli miei? Noi dobbiamo glorificare la grandezza del suo essere, riconoscerlo per il supremo Signore da cui noi dipendiamo in tutte le cose, ringraziarlo come l’Autore di tutti i nostri beni. Dio merita gli omaggi per se stesso, ed a cagione delle sue infinite perfezioni; Egli merita la nostra riconoscenza a cagione dei benefizi che ci ha fatti. Ora il santo Sacrificio della Messa è il più glorioso omaggio che noi possiamo rendere alla grandezza di Dio, perché è il più perfetto olocausto, che gli sia stato offerto giammai. Il Sacrifizio della Messa è il più giusto compenso, che noi possiamo dare a Dio per tutti i beni che ne abbiamo ricevuti. E perciò chiamasi eucaristico, cioè di ringraziamento: due proprietà del Sacrificio che provano quanto sia glorioso a Dio. Seguitemi ed ascoltate quanto sono per dirvi sulla eccellenza di tal Sacrificio. – Noi possiamo, è vero, glorificar Dio con tutti gli atti delle virtù che praticar possiamo, come sono l’orazione, la limosina, il digiuno e gli altri esercizi di religione. Ma qualunque gloria l’uomo possa rendere a Dio con le sue virtù, questa gloria sarà sempre infinitamente inferiore a quel che Dio merita. Non evvi che Dio che possa glorificarsi in una maniera degna di Lui. Ora nel Sacrificio della Messa noi troviamo il mezzo eccellente di rendere a Dio tutti gli onori che merita. Come mai ciò, fratelli miei? Nel Sacrificio della Messa noi gli offriamo un Dio, e per conseguenza una vittima d’un prezzo infinito, o per meglio dire, si è il Figliuolo di Dio medesimo, che si offre a suo Padre, che è nell’istesso tempo e sacerdote e vittima, e che si offre in olocausto per rendere al Padre suo a nome di tutte le creature gli omaggi che sono alla sua grandezza dovuti. – Procuriamo di sviluppare questo mistero della nostra santa Religione, che rinchiude sì grandi meraviglie. Di già, fratelli miei, il Figliuolo di Dio erasi offerto a suo Padre come un’ostia di soavità, dice l’Apostolo, col sacrificio che gli fece della sua vita rivestendosi della nostra natura, e che consumò sulla croce colla morte, che vi patì; sacrificio che riparò abbondantemente l’ingiuria, che il peccato aveva fatta a Dio, e gli rendette infinitamente più di gloria che tutte le creature non gliene potrebbero procurare. Ma siccome questo Sacrificio non si è offerto che una sola volta, ed in un sol luogo del mondo, e nulla di meno era necessaria a Dio una vittima pura e senza macchia, la quale, secondo la predizione d’un profeta, rendesse gloria alla grandezza del suo Nome in lutti i luoghi del mondo, perciò il Figliuolo adorabile, per una meravigliosa disposizione della sua sapienza, ha trovato il mezzo di perpetuare sino al fine dei secoli il Sacrificio, ch’Egli offrì sopra la croce alla gloria di suo Padre. Qual è questo mezzo, fratelli miei? L’adorabile Sacrificio dei nostri altari, che è non solamente un memoriale, ma ancora un rinnovamento del Sacrificio del Calvario. Per convincercene, richiamiamoci per un momento la sua intenzione, e consideriamo il modo con cui Gesù Cristo si offra in questo divin Sacrifizio, per rinnovare la memoria della morte e la morte medesima ch’Egli soffrì sopra la croce. Fu, come sapete, il giorno avanti la sua passione che il Salvatore del mondo, per fare la funzione di Sacerdote secondo l’ordine di Melchisedeck, preso del pane e del vino, li benedì e li cangiò nel suo vero corpo e sangue; con questo Egli fece due cose: istituì la santa Eucaristia come Sacramento, in quanto ci diede il suo corpo ed il suo sangue per essere l’alimento delle nostre anime; come Sacrificio, in quanto volle che questa consacrazione del pane e del vino nel suo corpo e nel suo sangue fosse una rappresentazione del sacrificio che Egli era per offrire sopra la croce. Per la qual cosa raccomandò a’ suoi Apostoli che ogni qualvolta farebbero lo stesso, essi annunzierebbero la sua morte agli uomini. Fu altresì per perpetuare questo Sacrificio, che questo Dio salvatore diede agli Apostoli ed ai Sacerdoti loro successori il potere di fare quel ch’Egli aveva fatto; perché dovendo ritornare al cielo, non poteva Egli fare sopra la terra in una maniera visibile le funzioni di sacerdote eterno: Hoc quotiescumque feceritis, in mei memoriam facietis. Si è dunque questo potere ammirabile, che i Sacerdoti esercitano nella Messa, che noi chiamiamo e dobbiamo riconoscere come un memoriale della morte di Gesù Cristo; si è per questo potere, che essi continuano sopra la terra in una maniera visibile il sacerdozio di Gesù Cristo secondo l’ordine di Melchisedeck; potere che non consiste in benedir del pane e del vino, come il sommo sacerdote dell’antica legge; mentre, se ciò fosse, qual privilegio avremmo noi di più nella legge di grazia, che nell’antica? ma potere che consiste in cangiare, come fece Gesù Cristo, il pane ed il vino nel suo vero corpo e nel suo vero sangue. – Or in questo cangiamento, in questa consacrazione consiste il Sacrificio sì glorioso a Dio. E come questo? Io l’ho detto; ed è, che questo Sacrificio non solo è una memoria, ma anco una rinnovazione di quello della croce. Si è la medesima Vittima, che vien offerta a Dio; questo è il mio corpo, che sarà dato per voi, dicono a nome di G. C. i sacerdoti che celebrano; questo è il mio sangue, che sarà sparso per voi. Or questo corpo e questo sangue sono uniti alla divinità; Egli è dunque un Dio, che offriamo nel Sacrificio della Messa alla maestà di Dio, Egli è altresì un Dio che è sacrificatore. G. C., l’uomo-Dio, lo stesso che si è offerto sopra la croce, si offre ancora sopra l’altare; i Sacerdoti ne sono i ministri; essi operano a Nome suo, rappresentano la sua Persona; che però non dicono già: Questo è il corpo di G. C., questo è il sangue di G. C, ma; Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue. Si è dunque Gesù Cristo che si offre in olocausto per le mani dei Sacerdoti, in quanto che si sacrifica e muore tra le loro mani con una morte mistica, come morì sulla croce con una morte sanguinosa. – Gesù Cristo morì sulla croce con una morte reale per la separazione del suo sangue dal suo corpo; il che si rinnova io un senso nel Sacrificio della Messa, perché, in virtù delle parole della consacrazione, non vi è precisamente che il corpo di Gesù Cristo sotto le apparenze del pane, ed il sangue sotto le apparenze del vino: non già che effettivamente il corpo ed il sangue siano separati l’uno dall’altro, perché sono per sempre riuniti per la risurrezione del Salvatore; ma se potessero essere separati, le parole sacramentali, come una spada misteriosa, li dividerebbero l’uno dall’altro, li produrrebbero l’uno senza l’altro: ed in questo senso si dice con tutta verità che il Sacrificio della Messa rappresentata il Sacrificio della croce; perché la morte mistica di G. C., nel Sacrificio rappresenta la sua morte reale e sanguinosa sopra la croce. Si dice dunque con verità che Gesù Cristo si offre in olocausto a Dio suo Padre, poiché si mette in uno stato di morte per rendergli la gloria che è dovuta alla sua grandezza. Quel che devesi ancora osservare si è, che Gesù Cristo nel Sacrificio della Messa perde nella comunione del Sacerdote l’essere sacramentale, che aveva ricevuto nella consacrazione; in quanto che, distrutte le specie, Gesù Cristo cessa di esservi, e perde un modo di esistere che prima aveva. Egli è non solo sepolto nel petto del Sacerdote, come nella tomba, ma il suo corpo non vi è più, tosto che le specie sono consumate; il che si può dire, morir di una mistica maniera. Così, o fratelli miei, questo adorabile Salvatore ha saputo perpetuare, per onorar suo Padre, il sacrificio che gli ha offerto sopra la croce. Siccome non poteva più fare del suo corpo una vittima sanguinosa, a cagion dello stato glorioso ed impassibile di cui gode, Egli ha trovato il segreto di offrirsi in una maniera affatto misteriosa alla gloria di suo Padre, per supplire alla impotenza in cui sono gli uomini di rendergli quella che merita. Qual eccesso di bontà del nostro Dio salvatore! E quali felici conseguenze possiamo noi trarre da questo mistero ineffabile. – Non sono più dunque vittime materiali ed imperfette, come si offrivano nell’antica legge, non è più il sangue degli animali, che noi offriamo a Dio; ma è una vittima di un prezzo infinito, è il sangue medesimo di G. C, l’Agnello immacolato, che si sparge sui nostri altari, e che manda al cielo un più grato odore, che il fumo visibile che s’innalzava dagli antichi sacrifici. Egli è per conseguenza il più glorioso olocausto, che noi possiamo offrire a Dio per riconoscere la sua grandezza ed il dominio supremo che Egli ha sopra la sua creatura. Se Dio merita una gloria infinita a cagione della sovranità del suo essere, non è forse rendergli questa gloria, l’offrirgli il suo caro Figliuolo in cui Egli ha poste le sue compiacenze„ che è uguale in tutto a suo Padre, e che si mette in uno stato di morte e di annientamento per glorificare questo Padre celeste in una maniera degna di Lui? – Mi sembra, fratelli miei, udire questo Figliuolo adorabile, nell’augusto Sacrificio della Messa, tener a suo Padre il medesimo linguaggio che il profeta gli fa tenere nel suo ingresso nel mondo: Padre santo, che siete infinitamente adorabile, ma che non ricevevate gli omaggi, che vi erano dovuti per le vittime che vi si sacrificavano, voi avete rigettate queste vittime, come incapaci di rendervi un culto degno della vostra grandezza, sia per difetto di ragione e di libertà negli animali, sia per difetto di santità negli uomini: holocaustum prò peccato non postulasti (Ps. IL). Ma eccomi, invece di quelle vittime imperfette, che vi glorifico per le vostre creature, che mi sacrifico per esse alla gloria del vostro nome, che voglio rendervi per esse tutti gli omaggi che meritate: dixi: Ecce venio (Ibid.). Tale è, fratelli miei, il motivo che fa scendere invisibilmente G. C. sopra i nostri altari e che lo fa nascere una seconda volta, e che lo fa morire con una morte mistica tra le mani dei Sacerdoti; si è a fine di glorificar suo Padre: ecce honorifico Patrem. Si è per adempiere pienamente tutti gli obblighi di rispetto, di onore, di adorazione che dobbiamo alla sua suprema Maestà.Quindi torno a dire, qual felice conseguenza per noi! Mentre da tutto ciò che abbiam detto che ne segue? Ne segue, che Dio è tanto glorificato con una sola Messa quanto merita di esserlo, che una sola Messa rende più gloria a Dio che tutti gli uomini e gli Angeli ancora riuniti insieme non potrebbero procurargliene con le azioni più sante e più eroiche; che questa Messa è di maggiore prezzo avanti a Dio e gli è più gradita che tutti i patimenti dei martiri, tutte le penitenze degli anacoreti, tutte le virtù dei santi; che una sola Messa è più che bastante a riparare tutti gli oltraggi che Dio riceve dai peccatori, perché la dignità della vittima che vi è offerta, sorpassa tutta la malizia degli uomini che offendono il Signore. Qual forte motivo per voi d’intervenire assidui a questo santo Sacrificio, poiché vi trovate un mezzo si eccellente di glorificar Dio come vostro supremo Signore e di ringraziarlo dei beni che ne avete ricevuti!Noi abbiamo tutto ricevuto, fratelli miei, dalla bontà del nostro Dio, noi siamo attorniati da’ suoi benefizi e dai suoi favori; benefizi di cui Egli ci ha ricolmi in sì gran copia nell’ordine della natura ed in quello della grazia,che ci ritroviamo nell’impossibilità di rendergliene il contraccambio. Ma grazie vi siano per sempre rese, o mio adorabile Salvatore, che ci avete somministrato nell’augusto Sacrificio dei nostri altari, onde soddisfare pienamente per le nostre obbligazioni verso il vostro divin Padre. Noi non saremo più in pena sul tributo della nostra riconoscenza, che gli dobbiamo. Se cerchiamo il mezzo, come il reale profeta: quid retribuam Domino? noi lo ritroveremo, come lui nel calice della salute; calìcem salutaris accipiam ( P$. CXV). Questo calice ci è presentato nel sacrificio della Messa, egli è a nostra disposizione, per offrirlo a Dio in riconoscenza dei suoi benefizi; ed offrendoglielo noi siamo certi, che facciamo a Dio un dono degno di Lui; dono che uguaglia non solamente tutti i beni che Dio ci ha dati, ma li supera ancora, alla riserva di quello, per cui ci ha dato il suo Figliuolo, poiché questo dono non è altro che quel Figliuolo adorabile, che si è dato a noi per liberarci pienamente da tutti i nostri obblighi verso Dio. Quando io vi offro dunque, o mio Dio, questa preziosa Vittima, posso dire che io ho verso di voi tutta la riconoscenza, che mi domandate, che la mia riconoscenza uguaglia i vostri benefizi, per numerosi che possano essere, e che li sopravanza ancora, poiché io vi offro una Vittima d’un prezzo infinito, che vale più di tutti i beni, di tutti gli imperi del mondo. – Possiate voi, fratelli miei, servirvi sempre d’un mezzo così eccellente per rendere a Dio quanto gli dovete, per glorificarlo come vostro supremo Signore, per ringraziarlo come vostro benefattore; ma bisogna per questo unirvi a quel divin sacrificio col rispetto che dovete recarvi, con la riconoscenza da cui dovete essere penetrati. Qual cosa più capace d’inspirarvi questi sentimenti di rispetto, che la grandezza e la maestà d’un Dio, cui viene offerto un Sacrificio e gli abbassamenti d’un Dio, che sacrifica sé stesso? Ah! se fossimo ben penetrati da questo pensiero che ad un Dio, un Dio medesimo si sacrifica; che questo Sacrificio è l’azione più santa, più augusta della nostra Religione; che i cieli e la terra tremano alla vista di ciò che accade tra le mani del Sacerdote, con qual rispetto non assisteremmo a questo terribile mistero? Or in che consiste questo rispetto con cui dobbiamo presentarci a questo santo Sacrificio? Questo rispetto consiste a non comparirvi giammai che con un esteriore decente e coi sentimenti dell’umiltà più profonda. Essendo l’uomo composto di corpo e d’anima, Dio vuole essere onorato con queste due parti di noi medesimi; con un esteriore decente noi gli facciamo il sacrificio dei nostri corpi, e con l’umiltà gli offriamo il sacrificio dei nostri spiriti. Questa modestia del corpo deve ritenere i nostri sensi in ischiavitù, affinché non si perdano sopra oggetti capaci di cagionarci distrazioni. Questo esteriore del corpo deve essere accompagnato dall’umiltà dello spirito, che ci faccia scendere nel nostro nulla, c’ispiri del dispregio per noi medesimi per rendere omaggio all’umiltà d’un Dio, che si abbassa per noi. Senza questa, benché perfetto sia il Sacrificio dalla parte della vittima che è offerta, egli sarà imperfetto dal canto nostro e di nessun vantaggio per noi. – Umiliamoci dunque con Dio che si umilia, prostriamoci avanti alla sua infinita maestà: Venite, procidamus. Ringraziamo il Signore per tutti i beni ricevuti, come la Chiesa ci invita con la voce del sacerdote: Gratias agamus Domino Deo nostro. Ma si comparisce forse al giorno d’oggi al santo Sacrificio con quel rispetto, quell’umiltà, quella riconoscenza, che si deve recarvi? Non vi si tengono forse discorsi profani, che interrompono il silenzio dei sacri misteri? Non si dà forse ogni sorta di libertà ai sensi, che si lasciano errare d’oggetto in oggetto, invece di cattivarli sotto il giogo della modestia e dell’umiltà? Quanti trasportare si lasciano a distrazioni volontarie, incompatibili con l’attenzione, che si deve al santo Sacrificio? Non ve ne ha ancora di quelli che, trovando il tempo troppo lungo, portano l’empietà sino al segno di uscir dalla chiesa nel tempo medesimo, che un Dio si sacrifica per essi? Ed è questo, fratelli miei, ditemi di grazia, entrare nei disegni di Gesù Cristo che, facendosi vittima per noi, ha voluto che noi fossimo vittima con Lui? Non è forse al contrario disonorar Dio nell’azione medesima che deve più onorarlo? Del che si duole Gesù Cristo medesimo, come faceva altre volte contro i Giudei: mentre Io rendo gloria a mio Padre con le mie umiliazioni, voi m’insultate nel modo più oltraggiatile: Et vos inhonorastis me (Jo. VIII). Mentre le celesti intelligenze per cui il Sacrificio non è offerto, lodano ed adorano il Signore, mentre gli Angeli, i Troni e le Dominazioni stanno in un santo tremore alla vista delle umiliazioni d’un Dio, perfidi peccatori per cui si sacrifica si innalzano sfacciatamente contro di Lui, lo dispregiano e l’oltraggiano. Non è questo forse fare andar del pari la più nera ingratitudine col beneficio più segnalato? Ah! non sia così di voi, fratelli miei, assistete sempre ai santi misteri con un santo tremore, con un profondo rispetto, con una viva riconoscenza, che vi renderanno salutevole questo sacrificio, come sono per insegnarvi nel secondo punto.

II. Punto. Non solamente per rendere gloria a Dio suo Padre ha istituito Gesù Cristo l’augusto sacrificio dei nostri altari, ma ancora per lo vantaggio e la salute degli uomini. Questo sacrifizio è nell’istesso tempo propiziatorio ed impetratorio, ma in una maniera molto più eccellente che quelli dell’ antica legge. Esso è propiziatorio per calmare l’ira di Dio irritato per i peccati degli uomini; è impetratorio per ottener loro tutte le grazie di cui essi hanno bisogno. Due qualità assai atte ad inspirare una fermi confidenza a tutti coloro che hanno il vantaggio di assistervi, sia per domandar il perdono dei loro peccati, sia per ottenere le grazie che loro sono necessarie. – Qual mezzo infatti più proprio e più efficace per piegare l’ira di Dio, e per ottenere il perdono de’ suoi peccati, che un sacrificio in cui si offre a Dio la vittima, che ha cancellati tutti i peccati del mondo? Se il sangue dei tori e degli altri animali, che si sacrificavano nell’antica legge era capace di purificare, come dice l’Apostolo, coloro che avevano contratto qualche macchia legale, con quanto più forte ragione, soggiunge il santo Apostolo, il sangue di Gesù Cristo potrà purificare le nostre coscienze, lavandole da tutte le iniquità? Sangue prezioso, che essendo d’un valore infinito, e più che bastante per espiare i peccati di mille mondi ancora più colpevoli di questo. Or si è il valore di questo sangue prezioso, che ci è applicato nel sacrificio dalla Messa: esso è versato sull’altare per lavarci dalle nostra colpe; esso è offerto per nostre riconciliazione da Gesù Cristo medesimo, che si mette invece degli uomini peccatori e dice a suo Padre su l’altare, come gli disse sulla croce: Perdonate, o Signore, a quegli uomini scellerati, che hanno meritato il peso delle vostro vendette, Io vi dimando grazia per essi, Io mi santifico per essi: Ego prò eìs sanctifico me ipsum (Jo. XVII). Sono degni, è vero, di subire tutto il rigore delle sentenze che avete fulminato contro di essi; ma ecco qui il medesimo sangue, ecco la medesima vittima, che ha già disarmato il vostro braccio vendicatore, che ha tolto il fulmine dalle vostre mani; non ascoltate più dunque la voce delle iniquità, che s’innalza sino a voi, ma più tosto la voce del vostro Figliuolo, che implora la vostra misericordia per i peccatori: Ego prò eis sanctifico me ipsum. Iddio, fratelli miei, può Egli forse esser insensibile alla voce sì amabile d’un Figliuolo, che è l’oggetto delle sue compiacenze? Potrebbe egli vibrare i suoi fulmini sopra gli infelici bagnati del sangue di questo Figliuolo adorabile? Se la morte, che questo Figliuolo ha sofferta sopra la croce ha fatto cancellare, come dice l’Apostolo, il decreto di morte eterna pronunciato contro gli uomini, il sacrificio della Messa, che è un memoriale ed una rappresentazione di quella morte, non avrà Egli la virtù medesima? Si, fratelli miei, la virtù di questo sacrificio è così grande, che senza di Lui il mondo sarebbe già perito per l’eccesso delle scelleratezze ond’è inondato; sarebbe esso diventato secondo la predizione d’un profetacome Sodoma e Gomorra, che furono consumate dal fuoco del cielo. Egli è sì efficace questo divin sacrificio, che del peccatore più acciecato ed ostinato può fare un gran santo, se esso vi assiste con pietà e profitta delle grazie che vi sono annesse. Non è già che il sacrificio della Messa rimetta immediatamente da sé medesimo il peccato, come i Sacramenti, che sono instituiti per questo effetto; ma esso ottiene, come dice il santo concilio di Trento, ai peccatori grazie di conversione sì grandi ed in sì gran numero, che, per un po’ di sforzo che vogliono essi fare dal canto loro, è loro facile di entrare in grazia con Dio. – Finalmente questo Sacrificio è propiziatorio in quanto che cancella e rimette la pena temporale dovuta ai peccati, ed è questo, secondo la dottrina del medesimo Concilio, uno de’ suoi effetti particolari. Pena temporale che è rimessa sin da questa vita a quelli per cui egli è offerto e che si rimette anche nel purgatorio alle sante anime, che espiano i loro peccati con tormenti incredibili. Ed è perciò che queste anime pazienti desiderano e domandano con tanto ardore ai fedeli che sono sopra la terra, di far scendere sulle fiamme che le divorano il sangue di Gesù Cristo con l’applicazione del sacrificio della Messa, a fine di estinguere quelle fiamme e abbreviare i loro tormenti. – O voi dunque, che siete carichi del grave peso dei vostri peccati, che gemete sotto il grave peso delle vostre catene, accostatevi al liberatore che può spezzarle. Venite, infermi, venite ad immergervi in questa piscina, salutevole ove il sangue di Gesù Cristo scorre in abbondanza per lavarvi. Voi non potete già dire come quel paralitico del Vangelo, che non avete alcun uomo per introdurvi in essa, poiché voi trovate in tutti i luoghi del mondo, in tutte le chiese dei sacrificatori che offrono la preziosa vittima della salute per l’espiazione dei vostri peccati. Accostatevi, torno a dirvi, al santo monte ove l’agnello senza macchia è immolato: una sola gocciola del sangue che Egli sparge, è capace di purificarvi da tutte le colpe che avete commesse per numerose, enormi che possano essere. Ma per ottenere il perdono, bisogna che al sacrificio dell’uomo-Dio, voi uniate quello d’ un cuor contrito ed umiliato; questo è il sacrificio  che domanda da voi e che vi farà trovar grazia presso di lui: Sacrificium  Deo spiritus contribulatus; cor contritum et humiliatum Deus, non despicies (Ps. L). In vano Gesù Cristo si offrirà per voi a Dio suo Padre per calmarne lo sdegno; se voi non mescolate le vostre lagrime col sangue che Egli sparge, se non prendete in mano la spada della penitenza per immolare le vostre passioni, i vostri abiti, per sacrificare quell’oggetto, che occupa il vostro cuore, voi non otterrete giammai il perdono. L’evangelista ci riferisce, che alla morte di Gesù Cristo le rupi si spaccarono, il velo del tempio si squarciò, e che molti di coloro che furono testimoni di questi prodigi se ne ritornavano percuotendosi il petto: revertebantur percutientes pectora sua. (Luc. XXV). – Tali debbono essere, fratelli miei, le vostre disposizioni quando assistete ai santi misteri, ove fassi memoria della morte di Gesù Cristo; convien comparirvi coi sentimenti del povero pubblicano, che non osava alzar gli occhi verso il cielo, percuotevasi il petto supplicando il Signore di essergli propizio: Deus, propitius esto mihi peccatori (Luc. XVIII). Signore, dovete voi dire com’esso, siate propizio ad un povera peccatore qual sono io. Non riguardate le iniquità che ho commesso, ma rimirate la faccia del vostro Figliuolo, che vi chiede grazia per me: respice in faciem Christi tui (Ps.LXXXIII). Il dolore che sento di avervi offeso mi farà, come la Maddalena ai piedi della croce, mescolar le mie lagrime col sangue di questo vostro dilettissimo Figliuolo per attirarne su di me alcune gocce, che mi lavino dalle mie iniquità» Questo dolore mi farà prendere la sincera risoluzione di non più separarmi da voi col peccato » di attaccarmi inviolabilmente al vostro servizio. Tali sono, fratelli miei, i sentimenti da cui dovete essere penetrati assistendo alla santa Messa. Quale sarebbe stato il vostro dolore, la vostra pietà, se foste stati presenti al sacrificio del Calvario, se aveste veduto Gesù Cristo spirante sulla croce per vostro amore? Egli è questo il medesimo sacrificio; bisogna dunque assistervi con le medesime disposizioni con cui sareste allora stati presenti. Da quale sdegno non sareste allora stati presi contro i crudeli Carnefici, che confissero Gesù Cristo sulla croce, e contro i Giudei che lo insultavano in quello stato, dicendogli: Se tu sei il Figliuolo di Dio, discendi dalla croce: Si filius Dèi es, descende de cruce (Matth.XXVII). Questi sono, peccatori, gli oltraggi che voi rinnovate contro Gesù Cristo allorché, in vece di comparire al santo sacrificio della Messa, con sentimenti e attitudine di penitenti, col cuore spezzato dal dolore, vi comparite in positure indecenti, allorché appena piegate un ginocchio nel tempo, che un Dio si sacrifica per noi. Voi rinnovate con questo l’empio saluto, che gli facevano i Giudei allorché, mettendo un ginocchio in terra, gli dicevano per derisione: Ave rex Judàeorum. Questi sono, torno a dirvi, quegli oltraggi che voi rinnovate, allorché venite al sacrificio per cercarvi l’oggetto della vostra passione, allorché il vostro cuore non è tutto occupato, in vece di spezzarlo col dolore dei vostri peccati, in vece di sacrificarlo con un intero distacco dalle creature. Questo confronto della vostra condotta con quella dei Giudei vi fa senza dubbio orrore; ma ella deve servire a farvi rientrare in voi medesimi, per armarvi, come dice l’Apostolo s. Pietro, dello stesso pensiero, dei medesimi sentimenti, ch’ebbe Gesù Cristo quando soffrì per voi; Christo passo in carne, et vos eadem cogitatione armamini (1 Petr. 4). Sarebbe egli giusto che avendo fatto il Figliuolo innocente dal canto suo ciò che non era obbligato di fare per calmar l’ira di suo Padre, il colpevole nulla facesse per soddisfar alla giustizia di Dio e per applicarsi i meriti che hanno espiati i suoi mancamenti? Si è nel sacrificio della Messa che questi meriti vi sono particolarmente applicati; ma a condizione che il dolore e la penitenza faccia su di voi quest’applicazione. Con questo, fratelli miei, il sacrificio vi sarà propiziatorio per ottenervi il perdono, sarà ancora impetratorio per procurarvi tutti gli aiuti e tutte le grazie di cui avete bisogno. Nulla infatti evvi, fratelli miei, che non possiate domandare ed ottenere per i meriti della vittima che si offre per voi nella santa Messa. Se giudicar possiamo dall’esito delle nostre domande dal credito delle persone che le appoggiano presso di coloro cui le indirizziamo, che non dobbiamo noi sperare dalla mediazione di Gesù Cristo, il Figliuolo di Dio, che è stato esaudito, come dice l’Apostolo, in quel che ha domandato a suo Padre, a cagion della riverenza, che gli è dovuta? Exauditus est prò sua reverentia (Heb. V)? Si è il medesimo mediatore, che intercede per noi su l’altare e nel cielo, ove Egli presenta incessantemente a Dio i suoi meriti per far scendere su di noi i tesori celesti: sempér vivens ad interpellandum prò nobis (Heb.VII). Può forse Iddio ricusar cosa alcuna ad un mediatore cosi potente? E se è cosi, quali non saranno le nostre speranze? Perciò la Chiesa; ben persuasa del gran potere « e dell’efficacia del credito di Gesù Cristo presso del Padre suo, in tutte le orazioni che essa indirizza a Dio nel santo sacrificio della Messa, impiega continuamente il nome di Gesù Cristo: per Dominum nostrum Jesum Christum, come se dicesse a Dio: Signore, in tutto ciò ch’io vi domando, vi offro, per averlo, il sangue, la vita, i meriti del vostro caro Figliuolo; si è una moneta, mi si permetta questa espressione, d’un prezzo infinito di cui io mi servo per comprar tutto quello, che posso desiderare. Qualunque cosa io possa chiedere è di molto inferiore a quel, ch’io presento per ottenerla: qual sicurezza non ho io dunque di essere esaudito nelle mie domande? Non è forse questo, fratelli miei, un motivo molto capace di animar la vostra confidenza per chiedere a Dio nella santa Messa tutte le grazie di cui avete bisogno? Quel Dio di bontà, che ci ha dato il suo caro Figliuolo, che l’ha, per così dire, abbandonato alla nostra disposizione, ci ricuserà egli qualche altra cosa? Al contrario non ci darà Egli tutti gli altri beni con Lui, dice l’Apostolo: Quomodo non etiam cum illo omnia nobis donavit (Rom.VIII). Ah! se noi siamo nella miseria e nell’indigenza, lo meritiamo, poiché abbiamo nel santo sacrificio un tesoro inesausto, una sorgente perenne di tatti i beni, donde possiamo cavare ogni ricchezza pel tempo e per l’eternità. Volete voi dunque, fratelli miei, uscir dallo stato di povertà, a cui siete ridotti, per arricchirvi dei tesori celesti della grazia? Venite alle fontane del vostro Salvatore che scorrono sull’altare, ad attinger quell’acqua salutevole che zampilla per la vita eterna. Gli Israeliti che bevettero dell’acqua, che Mosè aveva fatto uscir dalla rupe, non lasciarono di perire. Ma chi berrà dell’acqua di questa rupe misteriosa non avrà mai sete, e sarà preservato dalla morte eterna. O voi dunque, che siete arsi dalla sete mortale, che eccita in voi il fuoco delle passioni, venite a bere di quest’acqua, che vi guarirà dalla vostra sete e vi darà la vita! Peccatori che gemete sotto la schiavitù del peccato, e sotto il peso degli abiti cattivi; che vi tiranneggiano, domandate la vostra conversione. Giusti che temete di perdere il dono della grazia, che vi assicura dell’amicizia del vostro Dio, domandate quello della perseveranza, domandate la vittoria delle tentazioni per la virtù di questo sacrificio, che vi otterrà aiuti abbondanti per superarle; domandate una fede viva, una carità ardente, un’umiltà profonda, una purezza inviolabile, una pazienza alla prova di tutte le afflizioni da cui siete circondati; domandate principalmente la grazia d’una santa morte, in questo divin sacrificio che ci richiama alla memoria la morte di Gesù Cristo. Il tempo più acconcio per chiedere una buona morte si è l’intervallo tra le due elevazioni. – Mentre allora è che Gesù Cristo muore con una morte mistica tra le mani del sacerdote, pregatelo allora di farvi morire tra le braccia della sua croce. Voi potete ancora, fratelli miei, alzare le vostre speranze nel sacrificio della Messa sino a domandare i beni temporali che vi sono necessari, come il ristabilimento della vostra sanità l’esito di un affare che v’interessa, la conservazione dei vostri beni; ma questo sia sempre secondo la volontà di Dio, ed in vista della salute della vostr’anima, e non già per contentar passioni malvage, per cui non si deve impiegar un mezzo così prezioso come l’adorabile sacrificio. Voi potete finalmente, fratelli miei, pregare nel santo sacrificio, non solamente per i vostri bisogni, ma ancora per i bisogni di coloro che vi appartengono. – Padri e madri, pregate per i vostri figliuoli; consorti, pei vostri mariti; padroni e padrone, per i vostri servi. Ma per rendere le vostre preghiere gradite a Dio ed efficaci per voi medesimi, bisogna assistere a quel divin sacrificio con le disposizioni, che Dio da voi richiede e che vi prego di tener a memoria.

Pratiche. Due cose sono assolutamente necessarie per ben udire la santa Messa: la modestia del corpo e l’attenzione dello spirito. La modestia del corpo, come ho già detto, consiste non solo nell’esser presente di corpo e di spirito al sacrificio dal principio sino al fine, ma ancora nel tenersi in una positura decente; la più convenevole è di star in ginocchio, non guardare qua e là, né tener discorsi profani, ed osservare, per quanto si può, quel che si fa sull’altare. Ma poco sarebbe l’esser presenti col corpo al sacrificio, se non vi fossimo presenti con lo spirito. Perciocché, siccome sarebbe grave peccato mancare una parte notabile della Messa, sarebbe pure peccato grave l’esservi volontariamente distratto durante un tempo considerabile. Or uno dei migliori mezzi per avere quest’attenzione, si è di pensare durante la Messa alla passione, e alla morte di Gesù Cristo, di cui ella ci richiama la memoria. Questa è una pratica, che non ecceda la capacità di alcuno, avendocela facilitata la Chiesa per via della cura, che ha avuta di rappresentare con le differenti cerimonie della Messa le circostanze della passione e della morte del Salvatore. Perciò quando voi vedete il Sacerdote a pie dell’altare prostrato, e che fa la confessione dei suoi peccati, rappresentatevi Gesù Cristo, che prega nel giardino degli ulivi, carico dei peccati degli uomini; domandate allora perdono dei vostri peccati, con un atto di contrizione e con l’umile confessione che ne farete. Quando il sacerdote va ai differenti lati dell’altare, rappresentatevi Gesù Cristo condotto nei differenti tribunali; domandategli perdono di tutti i passi che avete fatti nelle vie dell’iniquità, recitato il Credo col sacerdote. – L’elevazione dell’ostia e del calice è un memoriale di Gesù Cristo elevato sulla croce, ove sparse il suo sangue per la vostra salute; fate allora un atto di fede sopra la presenza reale di Lui nel santissimo Sacramento; ringraziatelo d’aver data la sua vita per voi. La Comunione del Sacerdote vi rammemora la sepoltura di Gesù Cristo; se non vi comunicate alla Messa, egli è bene di fare allora la comunione spirituale con un desiderio ardente di ricevere Gesù Cristo. Negli altri tempi della Messa potete far altre preghiere: coloro che sanno leggere, hanno il vantaggio di trovarne sopra i libri di pietà; gli altri possono recitar la corona, che si può interrompere per far attenzione alle azioni principali della Messa nel modo che vi ho spiegato. Conviene usar attenzione, specialmente fin dal principio, d’offrire il santo sacrificio per i fini che Gesù Cristo l’ha istituito; cioè per glorificar Dio, per ringraziarlo dei beni che ci ha fatti, per chiedergli perdono delle nostre colpe, e per le altre grazie che ci sono necessarie. – Rinnovate di tempo in tempo questa offerta con un atto di contrizione, quand’anche non si facesse questo che durante la Messa, egli è un modo eccellente d’ascoltarla ed una pratica, che gl’ignoranti medesimi sono capaci d’adempiere. Servitevene, fratelli miei, per soddisfare ad un obbligo, il cui adempimento procura tanta gloria a Dio e sì grandi vantaggi a voi medesimi. Assistete, il più sovente che vi sarà possibile, al sacrificio della Messa, anco nei giorni che non sono di precetto: quando noi potete, udendo suonare la campana, unitevi all’intenzione del Sacerdote e degli assistenti. Venite al sacrificio della Messa con uno spirito di sacrificio, che faccia morir in voi il peccato, le vostre passioni, le vostre inclinazioni sregolate, che vi consacri interamente a Gesù Cristo, per vivere e per regnare con Lui nei secoli dei secoli. Così sia.

Credo …

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Ps XVIII: 9-12
Justítiæ Dómini rectæ, lætificántes corda, et judícia ejus dulcióra super mel et favum: nam et servus tuus custódit ea.

[La legge del Signore è retta e rallegra i cuori, i suoi giudizii sono piú dolci del miele e del favo: e il servo li custodisce.]

Secreta

Concéde nobis, quǽsumus, Dómine, hæc digne frequentáre mystéria: quia, quóties hujus hóstiæ commemorátio celebrátur, opus nostræ redemptiónis exercétur.

[Concedici, o Signore, Te ne preghiamo, di frequentare degnamente questi misteri, perché quante volte si celebra la commemorazione di questo sacrificio, altrettante si compie l’opera della nostra redenzione.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/04/02/la-comunione-spirituale-2/

Communio

Joann VI: 57
Qui mandúcat meam carnem et bibit meum sánguinem, in me manet et ego in eo, dicit Dóminus.

[Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me, ed io in lui, dice il Signore.]

Postcommunio

Orémus.
Tui nobis, quǽsumus, Dómine, commúnio sacraménti, et purificatiónem cónferat, et tríbuat unitátem.

[O Signore, Te ne preghiamo, la partecipazione del tuo sacramento serva a purificarci e a creare in noi un’unione perfetta.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/14/ringraziamento-dopo-la-comunione-2/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

PRIMO AGOSTO: FESTA DI SAN PIETRO IN VINCOLI, LA FESTA DEL PAPA IMPEDITO

Tutti i Cattolici romani del pusillus grex, sono oggi in fervorosa preghiera – come ai tempi di San Pietro nella prigione di Erode sostenuto dalla preghiera incessante dei Cristiani della Chiesa sotterranea – per sostenere a loro volta il Sommo Pontefice attuale, S. S. Gregorio XVIII, Papa impedito dalla sinagoga di satana e dalla “bestia” dell’Apocalisse [che sono parte attiva del corpo mistico di lucifero], ed ennesimo “S. Pietro in catene” della storia della Chiesa, speriamo l’ultimo.

In questo momento “apocalittico” per le anime cristiane, l’impegno spirituale deve essere massimo, per cui ognuno si offra vittima di espiazione con il Signore Nostro Gesù Cristo, per la libertà e l’esaltazione della Santa Madre Chiesa Cattolica – Luce dei popoli, Sposa Immacolata di Cristo – e del VICARIO unico del Figlio di Dio, alla cui adesione è indissolubilmente legata la nostra salvezza eterna.

Auguri, Santità, a presto vederci, anche soltanto in cielo a lodare con gli Angeli ed i Santi il nostro Creatore, il nostro Salvatore, il nostro Consolatore, nei secoli dei secoli,

“… Mettiti la cintura e lègati i sandali, buttati addosso il tuo mantello, e seguimi” …

Chiunque abbia lottato contro il Papa, con le armi, le persecuzioni, le eresie, lo scisma, l’apostasia, ha fatto – anche umanamente – fine miserrima. Non osiamo pensare a cosa gli stia succedendo nella vita eterna!

QUI MANGE LE PAPE MEURT!

Et portæ inferi non prævalebunt!

Quodcúmque in orbe néxibus revínxeris,
Erit revínctum, Petre, in arce síderum:
Et quod resólvit hic potéstas trádita,
Erit solútum cæli in alto vértice;
In fine mundi judicábis sǽculum.

Patri perénne sit per ævum glória,
Tibíque laudes concinámus ínclitas,
Ætérne Nate; sit, supérne Spíritus,
Honor tibi decúsque: sancta júgiter
Laudétur omne Trínitas per sǽculum.
Amen.

[Tutto ciò che legherai sulla terra,
sarà legato, o Pietro, nella rocca celeste:
e tutto ciò che scioglierà quaggiù il potere concessoti,
sarà sciolto nelle altezze del cielo:
alla fine del mondo giudicherai il secolo.

Al Padre eterno sia perenne gloria;
a te, Figlio eterno, noi cantiamo insigni lodi;
a te, Spirito Santo, sia onore e splendore:
la santa Trinità sia ognor lodata per tutti i secoli.
Amen.]

Dagli Atti degli Apostoli
Atti XII: 1-5


Il re Erode mise mano a maltrattare alcuni della Chiesa. Uccise di spada Giacomo, fratello di Giovanni. E vedendo che ciò piaceva ai Giudei, procedé anche all’arresto di Pietro. Erano i giorni degli azimi. E fattolo catturare, lo mise in prigione, dandolo in guardia a quattro picchetti, di quattro soldati ciascuno, volendo dopo la Pasqua processarlo davanti al popolo. Pietro dunque era custodito nella prigione. Ma dalla Chiesa si faceva continua orazione a Dio per lui. Or, la notte stessa che Erode stava per processarlo, Pietro dormiva tra due soldati, legato con due catene; e le sentinelle alla porta custodivano la prigione. Quand’ecco si presenta un Angelo del Signore e brilla una luce nella cella, e dato un colpo nel fianco a Pietro, lo risvegliò, dicendo: Lévati su in fretta. E caddero le catene dalle mani di lui. Poi l’Angelo gli disse: Mettiti la cintura e lègati i sandali. Ed egli fece così. E gli soggiunse: Buttati addosso il tuo mantello, e seguimi. E uscito che fu, lo seguiva, senza rendersi conto che fosse realtà quanto si faceva dall’Angelo; ma credeva di avere un’allucinazione. E passata la prima e la seconda sentinella, giunsero alla porta di ferro che mette in città, la quale s’aprì loro da sé medesima; e usciti fuori, s’inoltrarono in una contrada, e d’improvviso l’Angelo si partì da lui. Pietro allora, rientrato in se, disse; Adesso riconosco veramente che il Signore ha mandato il suo Angelo, e m’ha liberato dalle mani d’Erode, e da tutta l’attesa del popolo dei Giudei.

 Sotto l’imperatore Teodosio il giovane, Eudossia, sua sposa, essendo andata a Gerusalemme per sciogliere un voto, vi fu colmata di numerosi doni. Il più prezioso di tutti fu il dono della catena di ferro, ornata d’oro e di gemme, colla quale si affermava essere stato legato l’Apostolo Pietro da Erode. Eudossia, dopo aver venerato piamente detta catena, l’inviò in seguito a Roma, alla figlia Eudossia, che la portò al sommo Pontefice. Questi a sua volta glie ne mostrò un’altra colla quale lo stesso Apostolo era stato legato sotto Nerone. – Mentre dunque il Pontefice confrontava la catena conservata a Roma con quella portata da Gerusalemme, avvenne ch’esse si unirono talmente da sembrare non due, ma una catena sola fatta dallo stesso artefice. Da questo miracolo si cominciò ad avere tanto onore per queste sacre catene , che la chiesa del titolo d’Eudossia all’Esquilino venne perciò dedicata sotto il nome di san Pietro in Vincoli, in memoria di che fu istituita una festa al 1° Agosto. – Da questo momento, gli onori che usavasi tributare in questo giorno alle solennità dei Gentili, si cominciò a darli alle catene di Pietro, il contatto delle quali guariva i malati e scacciava i demoni. Il che avvenne nell’anno dell’umana salute 969 a un certo conte, famigliare dell’imperatore Ottone, il quale essendo posseduto dallo spirito immondo, si lacerava coi propri denti. Condotto per ordine dell’imperatore dal Pontefice Giovanni, non appena le sante catene n’ebbero toccato il collo, il maligno spirito se ne fuggì all’istante lasciando libero l’uomo: dopo di che la devozione alle sante catene si diffuse in Roma sempre più.

Sant’Agostino Vescovo
Sermone 29 sui Santi, alla metà.

Pietro è il solo degli Apostoli che meritò di udire: «In verità ti dico che tu sei Pietro, e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa» Matth. XVI, 18; degno certo d’essere, per i popoli di cui sarebbesi formata la casa di Dio, la pietra fondamentale, la colonna di sostegno, la chiave del regno. Così leggiamo nel sacro testo: «E mettevano fuori, dice, i loro infermi, affinché, quando Pietro passava, almeno l’ombra sua ne coprisse qualcuno» Act. V, 15. Se allora l’ombra del suo corpo poteva portare soccorso, quanto più ora la pienezza del suo potere? se, mentr’era sulla terra, si sprigionava al suo passaggio tal fluido salutare per i supplicanti, quanta maggior influenza non eserciterà ora ch’è nel cielo? Giustamente dunque in tutte le chiese cristiane si ritiene più prezioso dell’oro il ferro delle catene onde egli fu legato. – Se fu sì salutare l’ombra del suo passaggio, quanto più la catena della sua prigionia? Se la fuggitiva apparenza d’una vana immagine poté avere in sé la proprietà di guarire, quanta maggior virtù non meritarono d’attrarre dal suo corpo le catene onde egli soffrì e che il peso impresse nelle sacre membra? S’egli a sollievo dei supplicanti fu tanto potente prima del martirio, quanto più efficace non sarà dopo il trionfo? Benedette catene, che, da manette e ceppi dovevano poi cambiarsi in corona, e che toccando l’Apostolo, lo resero così Martire! Benedette catene, che menarono il loro reo fino alla croce di Cristo, più per immortalarlo, che per farlo morire!

[Brev. Roman. 1 Aug.]

LO SCUDO DELLA FEDE (122)

Paolo SEGNERI S. J.:

L’INCREDULO SENZA SCUSA

Tipogr. e libr. Salesiana, TORINO, 1884

PARTE SECONDA

CAPO I .

Quanto convenga che Dio ci guidi per via di fede.

I . Troppo delicata convien che sia di verità quella sposa cui pesano insin le gioie. E tali son l’anime di molti Cristiani, cui sembra di grave incarico la credenza di tanti loro eccelsi misteri. Come? Si stimerà favor sommo, se un re terreno notifichi ad un suo suddito alcun segreto del gabinetto, e poi si stimerà sommo aggravio, se lo notifichi il Re celeste? Io dico, che per tutti capi fu convenevolissimo, che il Signore ci guidasse per via di fede. Convenevolissimo in riguardo suo, convenevolissimo in riguardo nostro, o convenevolissimo in riguardo ancor delle cose che porge a credere.

I.

II. In riguardo suo, non era forse il dovere che qual sovrano venisse Iddio riconosciuto da noi con qualche ossequio proporzionato a quella bella natura che ci donò nel formarci liberi? Ma il più proporzionato appunto era questo: che soggettassimo ai pie di lui con vigore non solamente la volontà, dove ripugnasse, ma l’intelletto. Come poteva però questo eseguirsi, se non in cose difficili di credenza? Perciò sta scritto: Plurima super sensum hominum ostensa sunt tibi(Eccli. 3. 25), perché a queste ancora chinassimo il capo altero.

III. Quindi quale onore sarebbe quello di Dio, se si contentasse, che di Lui non facessimo altro giudizio, che quale a noi vien dettato dal nostro senno? Ecce Deus magnus vincens scientiam nostram (Iob. XXXVI. 36). Convien che tutti, in guisa di abbarbagliati, al fissarci in lui, noi caliamo di subito le palpebre; anzi le chiudiamo, confessando con umiltà, che ci basta il credere quel che non ci è possibile di capire. Il maggior onore che il maestro riceva da’ suoi discepoli ecco qual è: che quegli stiano al suo detto: Discantem oportet credere. E ben tal onore ci venne chiesto da Dio con giustizia grande. Conciossiachè, avendo il primo uomo voluto sì facilmente nel paradiso terrestre stare al detto dell’inimico, benché fosse detto oppostissimo alla ragione; come non era giusto, che dovesse egli stare al detto di Dio? (L’intelligenza divina trascende per infinito eccesso 1’intelligenza umana. Di qui s’intende ragione per cui era conveniente, che il Signore ci guidasse per via di fede. La sapienza di Dio, siccome infinita, fa adeguazione perfetta colla Verità infinita, la quale non potendo perciò essere tutta appresa dalla nostra finita intelligenza, ragion vuole, che sia in parte oggetto di fede).

II.

IV. In riguardo nostro poi, di qual modo potevasi istituire un commercio stabile fra l’uomo e Dio senza la fede? mentre senza la fede né anche può stabilirsi tra uomo e uomo? (S. Aug. de utilit. credend. c. 2). Tuttodì fa d’uopo il fidarsi delle altrui relazioni in affari sommi: e se si crede ad un fantaccino, a un famiglio, come non dovrà darsi fede all’istesso principe? Anzi per abilitarci alla divina amicizia non rimanevaci altra via che la fede, la quale è già come un principio dell’istessa amicizia (mentre è una comunicazione de’ consigli divini ad altrui nascosti), o almanco n’è il fondamento. La visione beatifica è il fondamento di quell’amore, che portano in cielo a Dio tutti i comprensori; e la fede sostituita alla visione beatifica ha da essere il fondamento di quell’amore che in sulla terra parimente gli portano i viatori (S. Th. contra gentes 1. 1. c. 3). Così noi siamo certi di amare Dio, secondo ch’Egli è: che è il solo amor giusto. I beati ne sono certi, perché tale lo veggono qual Egli è: noi, perché tale il crediamo.

V. Ma per procedere in ciò più distintamente, di due generi sono le verità concernenti a Dio. Alcune, che eccedono di gran lunga il vigore della ragione naturale. E tale è l’essere nella sostanza Dio trino ed uno. E certe sì fatte, cui la ragion naturale non pure è losca, ma cieca dal nascimento. Altre, che non lo eccedono in simil modo, ma pure hanno bisogno di molto aiuto a capirsi bene, come sono l’esservi un Autore dell’universo, e questo incorporeo, potente, provvido, giusto, e varie non dissimili verità, che molti filosofi sono arrivati ad investigar con la face pigliata in prestito dal loro attento discorso (S. Th. c. gent. 1. 1. C. 3).

VI. Se noi guardiamo alle prime, qual dubbio v’è, che non fu di bisogno andare per via di fede, ma fu di necessità, mentre la sola fede aveva quivi da fare il tutto? Queste sono quelle verità di cui specialmente disse sant’Agostino, che se noi le volessimo prima conoscere e di poi credere, non le potremmo né credere, né conoscere: Si prius cognoscere et postea credere vellemus, nec credere, nec cognoscere veleremus (Tr. 27. in Io). E però solo potrebbesi da qualcuno qui dubitare, come fosse mai convenevole questo caso, che l’uomo avesse a seguire la fede sola, mentre esser uomo è l’istesso che essere ragionevole? Ma come no, se anzi a perfezionarlo tal è la via? Questa, se si considera, è l’eccellenza d’ogni natura inferiore, e conseguentemente subordinata alla superiore, che, oltre al moto proprio, che è men perfetto, partecipi il moto ancor della superiore, lasciandosi da lei trarre ad operazioni più rilevate della sua nascita (S. T h . 2. 2. q. 2. art. 3. in c.). Così in quei pianeti, che mai non sono atti ad andare da se medesimi senonchè dall’occaso all’orto, acquistano una virtù molto più eccedente, mentre nel tempo stesso, co’ moti del primo mobile, si lasciano rapir dall’orto all’occaso. E tali in noi sono i moti di quella fede che diamo a Dio, non curando di saper altro: moti che ci sollevano ad operar sopra quei che siamo.

VII. E vaglia la verità, mentre era l’uomo stato da Dio sublimato ad un fin sì eccelso, qual è la vision beatifica, visione totalmente spirituale, troppo era giusto, che si andasse prima a ciò disponendo col puro credere quel che poi dovea contemplare: mentre così egli va sollevandosi a poco a poco da’ sensi vili incapaci di veder Dio, alle operazioni totalmente astratte da’ sensi (S. Th. contra gentes 1. 1).

VIII. Che se guardiamo a quelle altre verità divine, cui può il nostro discorso arrivar da sé, fu dì uopo, che queste ancora dovesse l’uomo non solamente indagare , ma ancora credere.

IX. Prima, perché così le dovesse arrivar piuttosto, non si potendo in altra guisa ottenere sopra la terra perfetta scienza della divinità, senza il fondamento di molte scienze anche umane, non conseguibili, senonchè in decorso di tempo (S. Th. 2. 2. q. 2. a. 4. In c. cont. gent. 1. 1. c. 1).

X. Poi, perché cosi tale scienza fosse più agevolmente comune a tutti: ritrovandosi molti rozzi d’ingegno, e molti, se non rozzi, almeno distratti necessariamente in diverse cure, o famigliari, o mercantili, o meccaniche, o militari, che non danno luogo agli studi più sollevati. E questi non hanno anch’essi a sapere ciò che sia Dio?

XI. All’ultimo, perché tale scienza fosse per via di fede anche più infallibile, attesoché nelle verità conseguite per via di puro discorso benché acutissimo, si possono pigliare non pochi abbagli, come li pigliarono tanti filosofi grandi, che di Dio favellarono da bambini: Cui assimilastis me et adæquastis? dicit sanctus (Is. XL. 25).

XII. Qual più bell’onore poteva dunque a noi fare Iddio, che supplire Egli alla nostra incapacità, con fare a noi fin l’interprete di se stesso ? Veggiamo, che a ben intendere la formazione. l’indole, l’industria di una formica, non basterebbero tutti gl’intelletti di questa misera terra congiunti insieme, dopo gli studi di un secolo. Che dunque mai con sicurezza potrebbero supere gli uomini di quella natura increata, la quale è un abisso di luce, se non si fosse ella da se compiaciuta benignamente di dir che sia?

XIII. Aggiungete negli uomini la passione che spesso, benché dotti, fa travederli, come benché dotti, traveggono gli ubbriachi. E se traveggono nelle cose ancor chiare, quanto più travederebbero nelle oscure, quali sono le cose di là da’ sensi? Non era dunque possibile, che gl’intelletti umani per altra via aderissero immobilmente alle notizie del sommo vero, che per via di fede divina, la quale, a guisa di scorta amorevolissima, desse loro anche il braccio fra tanti inciampi, dove altrimenti verrebbero a tracollare di notte folta.

III.

XIV. E qui, per far passaggio al terzo riguardo che ebbe Iddio nel guidarci per via di fede (riguardo appartenente alle cose che diede a credere), ben apparisce subito, quanto sia intollerabile quel linguaggio di certi audaci, i quali, trattando della fede, ne parlano come appunto d’una ignoranza, di una violenza della ragione, di una viltà della mente (Tanto varrebbe tacciare di ignoranza, di violenza della ragione, di viltà di mente la fede, che noi uomini del secolo decimonono prestiamo ai fatti storici avvenuti nei secoli passati, fatti, cui la nostra ragione non avrebbe mai discoperti di per se sola senza l’autorità altrui.). Chi discorre così, merita il titolo dato a lui dall’apostolo dove dice: Superbus est nihil sciens (1. Tim. VI. 4). Egli è un otre vile, tanto più gonfio di sé. quanto più vuoto. La fede è una nobiltà dell’intelletto, che lo rende come di vino: ed è una fortezza, o per dir meglio, una generosità della mente, che per tal via solleva sé sopra sé: Generositas nostri intellectus. come giustamente chiamata fu dal gran vescovo di Parigi (Gal. Paris, de fide c. 1). E queste putride lucciole che ieri non distinguevansi dal letame, per un poco di splendore vacillante che la natura accese loro sul capo, vogliono avanzarsi a motteggiare di semplice quel fedele che crede a Dio? Non credono essi, perché non sanno comandare al loro intelletto, tanto, che si alzi un dito sopra la sfera dei sensi ignobili: Non capiunt fidei magnitudinem angusta impiorum pectora, disse Ambrogio (L. 3. de spir. c. 18), e disse divinamente. Si ravvolgono sempre d’intorno a qualche esperienza sensibile; e nel restante quæcumque ignorant blasphemant. amando per loro guida in ogni giudizio più la fantasia, che la fede, a guisa di quei nobili sventurati, che, allevati da piccoli tra’ bifolchi, non sanno poi concepire sentimenti mai degni de’ loro natali.

XV. Che favellare è cotesto, chiamar la fede una violenza della ragione? La fede non contraddice alla ragione giammai (Non contraddice, né può contraddire alla ragione la fede, perché entrambe illuminate dal medesimo Sole di verità), ma la perfeziona, come di sopra fu scorto: ond’è, che quod mens humana rationis investigatione comprehendere non potest, fidei plenitudo complectitur (Ambr. 1. 4. in Luc.. 5). E così nello verità divine, non indagabili dalla ragion naturale, a noi basta di far palese, che non si oppongono alla ragion dianzi detta (Non ciò, che sta al di sopra della ragione, ossia il mistero, bensì ciò, che va contro di essa, cioè l’assurdo, va rigettato), ma la trapassano, calpestandola solo quando è superba. Nelle indagabili, dimostriamo di più quanto bella lega esse facciano con la ragion naturale, avvalorata da esse, non altrimenti che l’occhio dal cannocchiale. Chi dipinge sull’alabastro, non vi scancella mai le sue vene, ma le promove, e se ne vale a vantaggio. Chi smalta l’oro, nol guasta. Chi ricama sull’ostro, non lo scolora. Come può una luce fare giammai contrasto ad un’altra luce? La fede è una ragion superiore, cioè un raggio diretto del divin volto: e però, come può ella far pregiudizio alla ragione inferiore, la quale è un raggio di quel volto medesimo, ma riflesso? È al certo da cervello sediziosissimo il mettere dissensione tra due luci tanto conformi, quali sono luce riflessa e luce diretta. Sono le scienze confederate alla fede, anzi confinanti. Dove finisce la terra, comincia l’aria. Dove finiscono gli elementi, comincia il cielo. E dove finiscono i lumi dell’intelletto o s’indeboliscono, cominciano i lumi di fede; lumi che sono incomparabilmente più nobili d’ogni scienza, si per l’oggetto conosciuto che è Dio, e le verità promulgate dalla sua bocca; sì per lo modo di conoscere, che è soprannaturale, cioè dipendente da un conforto che avanza tutte le forze della natura: e sì per la certezza di detto conoscimento: certezza tale, che maggiore non truovasi in paradiso, se non quanto quivi vien da cognizione intuitiva, come si accennò da principio, e qui da astrattiva. Nel rimanente ogni atto di fede ha una connessione tanto essenziale con la prima verità, quanto ve l’abbia quello che è di visione.

XVI. Che importa poi, che una tale certezza non sia chiarezza? In due maniere gli orologi solari ci additano il viaggio del sole sull’emispero: alcuni ce lo additano con la luce, altri con l’ombra: e pure amendue sono sicuri a una forma. Sia pur ombra la fede: ciò non rileva, mentre ella ‘tanto accertatamente scopre a’ viatori i disegni eccelsi di Dio, quanto la visione medesima ai comprensori. Oltre a che, il credere è di merito incomparabile: il che non conseguirebbesi nel vedere. Onde se Rachele vince Lia di bellezza, le cede in fecondità.

XVII. Finalmente né anche manca alla fede la sua evidenza, so non nelle cose credute, almeno nelle ragioni induttive a crederle, essendo sì patente aver Dio parlato, che il dubitarne è una ribellion manifesta alla verità: e il biasimare la fede è un arrolarsi nel numero di coloro i quali maledicono il dì comparso a destarli: Qui maledicunt diei (Iob. III. 8).

XVIII. Si concluda pur dunque, che fu giustissimo, che Iddio ci guidasse per via di fede. Fu giusto in riguardo suo, fu giusto in riguardo nostro, e fu giusto ancora in riguardo alle cose che porge a credere. E perciò, se abbiamo fior di saviezza, disponiamoci ad abbracciare ossequiosi questa sì degna fede, non a calunniarla astiosi. Udiamo ciò che da lei ci vien detto al cuore. Ma per udirla, sediamo prima il rumore delle passioni tumultuanti. Se l’aere interno non posa, l’orecchio non ode, a modo o non sente quel suono che è nell’ambiente prossimo, o trasente quel che non v’è.

CALENDARIO LITURGICO CATTOLICO DEL MESE DI AGOSTO 2020

CALENDARIO LITURGICO CATTOLICO DEL MESE DI AGOSTO 2020

LA CHIESA DEDICA IL MESE DI  AGOSTO ALLA

B. V. MARIA ASSUNTA ED AL CUORE IMMACOLATO DI MARIA, MADRE DI DIO.

AD B. V. M. IN CÆLUM ASSUMPTAM

439 bis

Oratio

O Vergine Immacolata, Madre di Dio e Madre degli uomini!

I. Noi crediamo con tutto il fervore della nostra fede nella vostra Assunzione trionfale in anima e in corpo al cielo, ove siete acclamata Regina da tutti i cori degli Angeli e da tutte le schiere dei Santi; e noi ad essi ci uniamo per lodare e benedire il Signore, che vi ha esaltata sopra tutte le altre pure creature, e per offrirvi l’anelito della nostra devozione e del nostro amore.

II. Noi sappiamo che il vostro sguardo, che maternamente accarezzava l’umanità umile e sofferente di Gesù in terra, si sazia in cielo alla vista della umanità gloriosa della Sapienza increata, e che la letizia dell’anima vostra nel contemplare faccia a faccia l’adorabile Trinità fa sussultare il vostro cuore di beatificante tenerezza; e noi, poveri peccatori, noi a cui il corpo appesantisce il volo dell’anima, vi supplichiamo di purificare i nostri sensi, affinché apprendiamo, fin da quaggiù, a gustare Iddio, Iddio solo, nell’incanto delle creature.

III. Noi confidiamo che le vostre pupille misericordiose si abbassino sulle nostre miserie e sulle nostre angosce, sulle nostre lotte e sulle nostre debolezze; che le vostre labbra sorridano alle nostre gioie e alle nostre vittorie; che Voi sentiate la voce di Gesù dirvi di ognuno di noi, come già del suo discepolo amato: Ecco il tuo figlio; e noi, che vi invochiamo nostra Madre, noi vi prendiamo, come Giovanni, per guida, forza e consolazione della nostra vita mortale.

IV. Noi abbiamo la vivificante certezza che i vostri occhi, i quali hanno pianto sulla terra irrigata dal sangue di Gesù, si volgono ancora verso questo mondo in preda alle guerre, alle persecuzioni, alla oppressione dei giusti e dei deboli; e noi, fra le tenebre di questa valle di lacrime, attendiamo dal vostro celeste lume e dalla vostra dolce pietà sollievo alle pene dei nostri cuori, alle prove della Chiesa e della nostra patria.

V. Noi crediamo infine che nella gloria, ove Voi regnate, vestita di sole e coronata di stelle, Voi siete, dopo Gesù, la gioia e la letizia di tutti gli Angeli e di tutti i Santi; e noi, da questa terra, ove passiamo pellegrini, confortati dalla fede nella futura risurrezione, guardiamo verso di Voi, nostra vita, nostra dolcezza, nostra speranza; attraeteci con la soavità della vostra voce, per mostrarci un giorno, dopo il nostro esilio, Gesù, frutto benedetto del vostro seno, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria (Pio Pp. XII).

Indulgentia trium annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, oratione quotidie per integrum mensem devote repetita (S. Pæn. Ap., 17 nov. 1951).

ACTUS REPARATIONIS CONTRA BLASPHEMIAS IN B. M. VIRGINEM

328

Gloriosissima Vergine, Madre di Dio e Madre nostra Maria, volgete pietoso lo sguardo verso di noi poveri peccatori, che afflitti da tanti mali, che ci circondano in questa vita, sentiamo lacerarci il cuore nell’udire le atroci ingiurie e bestemmie, lanciate contro di voi, o Vergine immacolata. Oh quanto queste empie voci offendono la maestà infinita di Dio e dell’unigenito suo Figlio, Gesù Cristo! Come ne provocano lo sdegno e quanto ci fanno temere gli effetti terribili della sua vendetta! Che se valesse, ad impedire tanti oltraggi e bestemmie, il sacrifizio della nostra vita, ben volentieri lo faremmo, perché, Madre nostra santissima, desideriamo amarvi ed onorarvi con tutto il cuore, tale essendo la volontà di Dio. E appunto perché vi amiamo, faremo quanto è in nostro potere, affinché siate da tutti onorata ed amata. Voi intanto, Madre nostra pietosa, Sovrana consolatrice degli afflitti, accettate questo atto di riparazione, che vi offriamo in nome nostro e di tutte le nostre famiglie, anche per quelli, che non sapendo ciò che si dicono, empiamente vi bestemmiano; affinché impetrandone da Dio la conversione, rendiate più manifesta e gloriosa la vostra pietà, la vostra potenza, la vostra grande misericordia; ed anch’essi a noi si uniscano a proclamarvi la benedetta fra tutte le donne, la Vergine immacolata, la pietosissima Madre di Dio.

Tre Ave Maria.

Indulgentia quinque annorum (S. C. Indulg., 21 mart.

1885; S. Pæn. Ap., 6 apr. 1935 et 10 iun. 1949).

* * *

Il terzo giorno dopo che Maria fu seppellita, riferisce la tradizione, « gli Apostoli che si trovavano a Gerusalemme, essendo sopravvenuto san Tommaso, l’unico che non era stato presente alla morte di Maria, il quale ardentemente desiderava di venerare anche una volta il sacro Corpo che aveva concepito il Figlio di Dio fatto Uomo, aprirono il sepolcro; ma non vi ritrovarono il sacro cadavere ». – Presi di ammirazione alla vista di questo mistero, gli Apostoli, assistiti dallo Spirito di Dio, l’interpretarono così: che Quegli a cui era piaciuto di prender carne nel seno immacolato di Maria, il Verbo di Dio, il Signore della gloria, che nel parto stesso di lei non aveva voluto offendere la integrità di quel corpo verginale, si era compiaciuto di trasportarlo incorruttibile e immacolato nella gloria, senza fargli aspettare la comune e universale risurrezione degli eletti. Insieme cogli Apostoli si trovavano a questo grande avvenimento Timoteo primo vescovo di Efeso, e Dionigi l’areopagita il quale ne parla egli stesso ne’ suoi scritti. Maria a guisa di una nube d’incenso, uscita dalla tomba, si era innalzata verso il cielo. È il dolce paragone che ci presenta la sacra Scrittura: Chi è costei che ascende per lo deserto quasi piccola colonna di fumo dagli aromati di mirra ed incenso? (Cant. III, 6). E noi ammirati, rispondiamo:

Maria, la Vergine Madre di Dio.

(1) TAIT, Vita di Maria. Occorre anche notare che, mentre possediamo molte reliquie dei corpi degli Apostoli, nessuno ha mai preteso di possedere una reliquia del corpo di Maria. Se Maria non fosse assunta in cielo bisognerebbe dire che mentre i primi Cristiani ebbero tanta premura di conservarci i resti mortali degli Apostoli e dei Martiri non si siano dato alcun pensiero dei resti mortali della madre del loro Signore.

(2) S. GIOVANNI DAMASCENO, Discorso 2° sulla Dormizione di Maria;

SOFRONIO, Sant’ATANASIO, ecc., Brevìar. Rom., die 18 augusti. — Non dobbiamo discutere questa tradizione perché  non fondiamo tanto sopra di lei, quanto nel Vangelo la nostra fede in questo glorioso mistero. Tuttavia, osserveremo col Nicolas « …non possiamo trattenerci dal far osservare questa prova morale della sua perfetta veracità, che, se fosse stata un’invenzione, non si sarebbe mancato di rendere gli Apostoli testimoni del miracolo medesimo dell’Assunzione, come lo erano stati di quello dell’Ascensione; e che, limitandosi ad arguire l’Assunzione dal fatto solo della scomparsa del corpo della Santissima Vergine e dalle circostanze che avevano accompagnate la morte e la traslazione di Lei, lo stesso racconto imprime, per la sua propria riservatezza, a queste circostanze soprannaturali e a questa induzione dell’avvenimento principale, un carattere di veracità più conveniente che non sarebbe stata la descrizione dell’avvenimento medesimo.

(G. Perardi: La Vergine Madre di Dio – Libr. del Sacro Cuore – TORINO, 1908)

Queste sono le feste del MESE DI AGOSTO 2020

1 Agosto S. Petri ad Vincula  –  Duplex majus

PRIMO SABATO

2 Agosto Dominica IX Post Pentecosten I. Augusti  –  Semiduplex Dominica minor

                        S. Alfonsi Mariæ de Ligorio Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

3 Agosto De Inventione S. Stephani Protomartyris  –  Semiduplex

4 Agosto S. Dominici Confessoris  –  Duplex majus

5 Agosto S. Mariæ ad Nives    Duplex majus

6 Agosto

In Transfiguratione Domini Nostri J  esu Christi  –  Duplex II. classis

7 Agosto S. Cajetani Confessoris  –  Duplex

PRIMO VENERDI

8 Agosto Ss. Cyriaci, Largi et Smaragdi Martyrum    Feria

9 Agosto Dominica X Post Pentecosten II. Augusti  –  Semiduplex Dom. mino

                  S. Joannis Mariæ Vianney Confessoris    Duplex

10 Agosto S. Laurentii Martyris  –  Duplex II. classis

11 Agosto  Ss. Tiburtii et Susannæ Virginum et Martyrum    Feria

12 Agosto S. Claræ Virginis    Duplex

13 Agosto  Ss. Hippolyti et Cassiani Martyrum    Feria

14 Agosto Vigilia Assumptionis B.M.V.  –  Duplex II. classis

15 Agosto In Assumptione Beatæ Mariæ Virginis    Duplex I. classis

16 Agosto Dominica XI Post Pentecosten III. Augusti    Semiduplex Dom. minor

                     S. Joachim Confessoris, Patris B. Mariæ Virginis   

17 Agosto  S. Hyacinthi Confessoris    Duplex

19 Agosto  S. Joannis Eudes Confessoris    Duplex

20 Agosto  S. Bernardi Abbatis et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

21 Agosto  S. Joannæ Franciscæ Frémiot de Chantal Viduæ    Duplex

22 Agosto  Immaculati Cordis Beatæ Mariæ Virginis  –  Duplex II. classis

23 Agosto Dominica XII Post Pentecosten IV. Augusti    Semiduplex Dom.

                     S. Philippi Benitii Confessoris    Duplex

24 Agosto S. Bartholomæi Apostoli  –  Duplex II. classis

25 Agosto S. Ludovici Confessoris    Duplex

26 Agosto  S. Zephirini Papæ et Martyris  –  Feria

27 Agosto S. Josephi Calasanctii Confessoris    Duplex

28 Agosto  S. Augustini Episcopi et Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

29 Agosto  Decollatione S. Joannis Baptistæ  –  Duplex

30 Agosto Dominica XIII Post Pentecosten I. Septembris    Semiduplex Dom.

                   S. Rosæ a Sancta Maria Limange Virginis    Duplex

31 Agosto S. Raymundi Nonnati Confessoris  –  Duplex

L’IDEA RIPARATRICE (3)

P. RODOLFO PLUS S. J.

L’IDEA RIPARATRICE (3)

[Traduzione del P. Giovanni Actis, S. J.  dalla 25° edizione originale]

Torino-Roma Casa Editrice MARIETTI 1926

Imprimi potest.

P . ANTONIOS ARGANO S. I., Præp. Prov. Taur.

Visto: Nulla osta alla stampa.

Torino, 26 Maggio 1925.

Teol. Coll. ATTILIO VAUDAGNOTTI.

Imprimatur.

Can. FRANCESCO DUVINA, Prov. Gen.

(30) PROPRIETÀ ARTISTICA LETTERARIA (2-xi-25-2M).

LIBRO I

Perché riparare?

CAPO TERZO

LA RIPARAZIONE NECESSITÀ CHE S’IMPONE NELLE CIRCOSTANZE PRESENTI.

Ove il terreno non rende convien portar del nostro. Noi preghiamo e mattino e sera: « Padre celeste, venga il tuo regno » . E che il nostro augurio rimanga continuamente vano è pur troppo verità a tutti manifesta. Oh! chi oserà dire che il regno di Dio sta per giungere? Non è forse vero invece che egli non giunge punto, che neppure lo si vede venire da lontano verso di noi? Ai nostri giorni anche noi possiamo ripetere, senza timore di sbagliare, quelle parole che Peguy mette sulle labbra di Giovanna  d’Arco, parole che dipingono così bene la triste epoca degli inizi del regno di Carlo VI. « 0 Padre nostro! Padre nostro che sei quanto siam lontani dal vedere che il tuo Nome sia santificato, quanto siam lontani dal momento che il tuo regno arrivi tra noi… Si va di male in peggio. Vedessimo almeno spuntare il sole di tua giustizia; invece, si direbbe, o mio Dio, mio Dio, perdona! si direbbe che il tuo regno se ne va lontano da noi. Mai prima d’ora si è tanto bestemmiato il tuo Nome; mai si è tanto disprezzata la tua volontà. Mai si è disobbedito con tanto orgoglio… Se i Santi e le Sante vissute finora tra noi non furono sufficienti, ne manda ancora quanti se ne richiedono, ne manda in modo che il nemico si stanchi e ci abbandoni… ». – Nella magnifica introduzione alla vita di S. Liduina, la dolorosa riparatrice di Schiedam, Huysmans descrive a larghi tratti lo stato del mondo nell’epoca in cui Dio si prepara ad eleggere l’elegante pattinatrice di quel canto di Olanda per inchiodarla in un letto per 38 anni, in preda ai più atroci dolori di corpo e di spirito, e così mandar sconfitto satana il cui regno maledetto si va espandendo ogni giorno più. Il mondo non si è mutato di molto dopo S. Liduina. Ai suoi giorni i popoli si massacravano l’un l’altro. Oggi noi abbiamo nulla da invidiare a quei barbari di allora. Le nazioni si sfasciavano per decrepitezza e decadenza, fattesi volontariamente schiave di sofisti prezzolati e di falsi pastori senza scienza. E noi abbiamo visto tutto questo anche al presente. Non mancava allora il denaro per assoldare i traditori. E a questo fine del denaro non ne mancherà mai. Ora come pel passato abbondano quei filosofastri che trovano sempre delle ragioni per scusare i più nefandi delitti. La sete del piacere dappertutto e sempre. « Fra 23 giorni compirò i miei vent’un anno, è tempo di darmi al piacere », e questo motto di Beyle è l’ideale di intere generazioni. Il peccato si diffonde con una profusione ed un cinismo che fa spavento. Non ci sentiamo il coraggio di portarne qualche esempio poiché non si troverebbe più il modo di terminare [chissà cosa scriverebbe oggi p. Plus, epoca infinitamente peggiore della sua .. –ndr.-]. A qualche anima più generosa nella riparazione il divin Salvatore non di rado ha fatto delle confidenze, in cui il buon Maestro viene a particolari di peccati più enormi che attirano sulla terra castighi più terribili se non v’ha chi si offra per riparare. – E per primi i peccati di bestemmia. Gesù comparve tutto in lacrime e sfigurato in volto ad una Clarissa del XVIII secolo, Veronica Giuliani, e le disse: « Contempla come sono maltrattato dagli uomini e in che stato sono ridotto. Tutto questo per le orribili bestemmie che vomitano continuamente contro di me le creature delle mie mani ». E noi abbiamo riferito più sopra a questo proposito le parole della Vergine Santissima alla Salette. – Poi vengono i peccati di impurità. Mentre Caterina da Siena piangeva sui mali della Chiesa: « Ricorda, le disse il divin Salvatore, che ben prima della peste ti avevo fatto comprendere l’orrore ch’io sento del vizio impuro, e come ne era purtroppo guasto il mondo intero. Io ti ho messo innanzi agli occhi tutte le nazioni e vi hai scorto un po’ per tutto questo maledetto peccato. Questa lebbra aveva contaminato l’universo… la maggior parte degli uomini era macchiata da questo vizio infame nell’anima e nel corpo. « Tuttavia in mezzo a tanti prevaricatori ti ho mostrato un certo numero di anime immuni da simili colpe, poiché in mezzo ai perversi si danno sempre degli eletti le cui buone opere mi trattengono dal comandare alle montagne di schiacciare i colpevoli, alla terra di ingoiarli nei suoi abissi, alle belve feroci di divorarli, o ai demoni di portarseli in anima e corpo all’inferno. E allora io cerco modo di poter far loro misericordia col trarli a mutamento di vita e mi servo a questo fine degli stessi miei servi fedeli e puri da siffatta lebbra e li muovo a pregare per essi » (Dialoghi, c. 124. – — Nostro Signore già altra volta le aveva detto: « Mia dolce figliuola, le tue lacrime sono onnipotenti perché sparse per amor mio. Non posso resistere ai tuoi desideri. Ma guarda un po’ le brutture che disonoranoil volto della mia sposa. Essa è guasta come da una lebbra dall’impurità, dall’amor proprio, dall’orgoglio e dall’avarizia » – Dial., c. 14].- Specialmente a certe epoche questi peccati riboccano, è allora che in modo particolare convien riparare. – La Domenica di Quinquagesima al cominciar della Messa N. S. Gesù Cristo compare a S. Geltrude stanco, desolato per le persecuzioni di cui lo fanno oggetto da ogni parte e le domanda di rifugiarsi nel suo cuore: « E da quel momento durante i tre giorni di Carnevale, ogni volta che io rientravo nel mio cuore io vi scorgevo, mio Gesù, appoggiato sul mio petto, languido, spossato e io non potevo allora recare migliore sollievo ai vostri mali che coll’applicarmi per amor vostro all’orazione e agli altri esercizi di mortificazione per la conversione di quelli che vivono nei disordini del mondo » (Insinuations, L. 2, c. 14). – Così non accadesse che gli stessi « eletti » non uscissero mai dalla retta via! Con quanti singhiozzi non esprimeva le sue lagnanze il Signore a S. Margherita-Maria e ad altre simili anime privilegiate più vicine a noi! » Io voglio mostrarti la ferita più dolorosa che si faccia al mio Cuore… ne sono causa le anime religiose e sacerdotali che mancano di fedeltà alla loro vocazione o che non vi corrispondono secondo i miei disegni ». Ritorniamo ai semplici fedeli. Là dove essi dovrebbero trovarsi più spesso per amare chi li ama, essi non vi si trovano mai. « Nelle Chiese io mi resto quasi continuamente solo e derelitto, confida Nostro Signore a Gemma Galgani (Serva di Dio morta a Lucca nel 1903 dopo una vita di austerità meravigliosa e di mistici favori), e quelle poche ore in cui vi si accorre in folla, altri motivi dall’amore mio vi spingono la maggior parte, ed io soffro nel veder la mia Chiesa, mia propria dimora, mutata in un teatro ed in luogo di piacere ». E siccome Gesù continuava lamentando certe comunioni infami, Gemma lo supplicò di non andar più innanzi: « Gesù, Gesù, io vengo meno… ! ». Oltre le colpe di quelli che ancor hanno fede abbiamo l’incredulità di quelli che vivono lontani dal Dio della Verità! « O Signore! Venga, venga presto il tuo regno! ». Ahimè! quanto esso è ancor lontano! Di un miliardo e mezzo di uomini che abitano la terra appena cinquecento venti milioni sono Cristiani e fra questi i Cattolici contano per soli duecentosessanta milioni. Tutto il resto scismatici, protestanti, mussulmani, Giudei o pagani idolatri. Povero Gesù, che per redimere le anime ha versato tutto il suo sangue adorabile! Ahimè! Gli Apostoli non sono sufficienti… Ventisette secoli or sono. Amos profeta, sotto i sicomori di Béthel usciva in queste strane parole: Ecco si avvicinano quei tempi in cui manderò la fame e la sete sulla terra, non la fame e la sete dell’acqua, ma la fame e la sete della parola di Dio… ed essi andranno cercando per tutte le parti la parola di Dio… e non la troveranno ». Dopo ventisette secoli non ci troviamo forse nelle medesime condizioni? Nazioni e popoli in gran numero, anche dopo la venuta di Cristo, noi li vediamo tuttora seduti all’ombra della morte. « Quale sciagura, Padre mio, per i figli dei Tanali! », scrive una tribù del Madagascar centrale domandando il ritorno del missionario che per la penuria di sacerdoti era stato tolto da quella stazione. « Noi eravamo nella notte profonda come un uomo rischiarato da una fiaccola tra le tenebre: la luce della preghiera cattolica ci aveva illuminati. Ora la grande luce da noi veduta ci è stata rapita. Ahimè! quale disgrazia 0terribile. Salvateci. Padre mio!Quel grido del nostro dolore. Eccoci ridotti quali pecore orfane del loro pastore, la preda dei lupi ». – Il mondo desolato domanda aiuto, ma non è facile trovar molti che si vogliano dedicare a questa impresa che converrebbe intraprendere non soltanto con tutta la mente e l’energia possibile ma soprattutto e prima d’ogni altra cosa con tutto il cuore: dedicarvisi, cioè amare l’ideale che si vuol fare trionfare, siffattamente da sacrificare per esso non solo qualche parte di sé, dei propri gusti, delle proprie preferenze, delle proprie abitudini, ma tutto sé, tutte le proprie abitudini, preferenze, tutti i propri gusti: dedicarvisi, cioè amare quelli che si vogliono guadagnare siffattamente da andare verso di essi senza attender che vengano da sé, senza aspettarsi un compenso di affetto o di gratitudine, puramente per amore, amore di Dio, amore delle anime: dedicarsi ad una siffatta impresa e specialmente il farlo nel modo che si è detto, no, non è cosa facile. Quindi la grazia divina la vedete là sempre pronta a zampillare, a scorrere, a lavare le colpe, a purificare le coscienze, ad illuminare i ciechi, a guarire la lebbra e la paralisia. Ma come per il povero paralitico della piscina probatica non c’è chi metta alla portata dell’infermità il rimedio che è preparato. « È necessario lo spirito di sacrifizio? Eccomi pronta! ». Così diceva Valentina Riant, e di gran cuore accettò di consacrare la propria vita riparatrice al riscatto delle abbominazioni e delle turpitudini dei nostri giorni. Ma quanti vi sono che si sentono il coraggio di imitarla? – Dopo il 1871 Renan e i suoi amici fecero coniare una medaglia doro per commemorare un fatto strano riportato sulla medaglia colle seguenti parole: « Durante l’assedio un gruppo di persone, che solevano riunirsi a pranzo ogni quindici giorni da Brebant. non si sono avvedute neppure una volta che esse pranzavano in una città di due milioni d’abitanti circondata dai nemici ». Questo è quanto accade quaggiù. L’universo contiene due sorta di anime: le une, in piccolo numero, sul modello della generosa Riparatrice e sono quelle che vedono, comprendono e a tal vista soffrono troppo per non gettarsi allo sbaraglio; le altre, sul modello dell’odioso egoista e della sua truppa — truppa che è legione — i quali nulla vedono, o vedendo nulla comprendono, o vedendo e comprendendo nulla vogliono sacrificare e in mezzo ad una generazione che trasportata dal vortice delle passioni precipita verso l’abisso, non pensano che a banchettare presso i diversi Brebant dei nostri tempi, o almeno non pensano che a dimenticare i milioni di disgraziati che stanno ai loro fianchi, poveri assediati e prigionieri del dubbio, della miseria e della lontananza da Dio. « Tre milioni d’anime, computa con ironia un contemporaneo, sono uguali a una ventina di Anime colla lettera maiuscola ». L’abitudine di vivere sempre in mezzo a questo egoismo che tutto domina ci impedisce di vedere quanto vi sia in esso di odioso. Ma coloro che nelle tenebre di una vita passata fin allora fuori della Chiesa, da una grazia straordinaria tutto ad un tratto sono « colpiti di chiaroveggenza » e condotti all’Evangelo, non possono nascondere la loro meraviglia e simulare il disprezzo loro per queste ce anime vuote » di cui è popolato il mondo, le quali non aspirano che al nulla di cui continuamente si pascono.

L’artista olandese. Pietro Van der Meer, confessa nel suo Journal, il grande stupore che gli recava la prodigiosa incoscienza di certe persone — il più gran numero degli uomini — mentre egli stava cercando la fede. Egli attraversa in Londra la « vecchia città, lurido quartiere del commercio, del denaro e degli affari… Da tutte le porte, da tutte le vie, da tutti gli angoli, ripostigli e andirivieni io vidi uscire delle persone vestite in nero e senza cappello in testa che si precipitavano tutte nella stessa direzione, si sarebbe detto con un medesimo scopo. Era annunziata la sottoscrizione ad un Prestito giapponese, dunque v’era un guadagno assicurato e tutti si precipitavano come selvaggi sulla loro preda ». Un altro giorno è a Parigi ove giunge col diretto delle 6 del mattino. « Sui boulevards Rocheckouart et Clichy mi si presenta lo spettacolo dei piaceri e dei dolori della notte. In una sala al primo piano di

un caffè… i lampadari erano ancora accesi. Tutto ad un tratto mi giungono all’orecchio le risa sguaiate d’una ragazza. Poi mi imbatto in vari uomini e diverse donne in abito da serata col volto stanco, gli occhi infossati che si affrettano lungo le case o  cercano una vettura ». – Altrove abbiamo quelli il cui Dio è un buono stomaco, quorum Deus venter est: « Questo Gargantua si può ben dire che non conosce affatto il timore della morte e neppure si preoccupa troppo del mistero della vita. Che cosa può mai esser la vita dell’anima per chi non è altro che materia? ».Nel nostro albergo ha preso stanza una vecchia signora americana che si vanta di non aver né parenti, né amici. — O meglio — essa aggiunge — ho un amico e quello è l’unico! » e traendo di tasca il portamonete lo pone solennemente sul tavolo: « Il mio amico unico, eccolo! ». E il pensiero va a quella fanciulla troppo mondana che sul punto di morire confessa alla religiosa che l’assiste: «Mia buona suora, le mie mani sono vuote! »; o a quel gentiluomo austriaco, parente del conte Czerain. che diceva: « Quando il Signore mi domanderà conto della mia vita, sarò obbligato a rispondere: — 0 Signore, sono stato alla caccia ed ho preso lepri, lepri, lepri … — e questo è veramente troppo poco ». – Sì, certo, troppo poco. E non siamo con questo dei giansenisti, non condanniamo il piacere legittimo: noi qui intendiamo flagellare la mostruosa usanza di non vedere nella vita altro che il piacere che essa può procurare.

C’è ben ancora dell’altro. Fortunatamente v’ha chi lo comprende.

Ed uno di questi scrive: «Perché è sì poco conosciuto, così poco amato? Perché la sete del piacere più o meno sanodivora l’umanità? Ahimè! quand’io getto lo sguardo sulla nostra società, io mi sentopreso da profonda compassione e da unvivo desiderio di amare Gesù per tutti quelli che lo disprezzano ».In queste parole noi troviamo appunto il programma formulato con vera riuscitada un certo personaggio d’una operettamoderna. « Noi ci sottomettiamo a privazioni, amortificazioni alla vista delle sofferenze altrui per un sentimento profondo di simpatia, per un bisogno, un desiderio di soffrire insieme con essi: altre volte ci imponiamodelle privazioni anche perché altritroppo si abbandonano al godimento; alloraè per un desiderio di riscatto, un sentimentodi compensazione: ciascuno secondola sua condizione e la sua capacitàprocura di mantener un certo livello nell’umanità».

La festa dell’Ascensione, 11 maggio 1899,Nostro Signore, ad un’anima che si erascelta già altre volte per confidarle i desideridel suo Cuore, rivolse la seguentedomanda:— Mia figliuola, posso io contare sopradi te e richiedere da te quello che non mivogliono concedere le anime molli e sensualidel mondo e nemmeno la maggiorparte delle anime devote che se mi amanoe mi servono lo fanno solo perché nell’amarmie servirmi trovano una qualche soddisfazionepropria?

— Oh! sì, mio Dio.

— Accetti la tua parte della mia vita di pene per la continua espiazione dei peccati che di continuo si commettono? E poiché così io vivo nelle anime che volentieri si danno a me per soffrire e per espiare, vuoi tu esser una di queste anime abbandonate al mio volere?

— Oh! si, mio Gesù.

— Acconsenti a soffrire tutte le pene che mi piacerà inviarti sia nel tuo cuore, sia nel tuo spirito, sia nel tuo corpo? Mi resterai fedele? avrai tu sempre fiducia nella mia sapienza, nella mia misericordia, nel mio amore?

— Oh! sì. mio Dio.

— Consenti a lasciarti ridurre, in conseguenza delle infermità che ti invierò, alla completa impotenza? E fra siffatte tribolazioni resterai tu sempre calma, servizievole, pronta a tutto? Mi prometti di non mai dubitare del mio amore per te. di non accoglier mai volontariamente nel tuo cuore pensiero alcuno di diffidenza e di moltiplicare, col moltiplicarsi delle prove, gli atti di abbandono alla mia Provvidenza, di adesione alla mia volontà, di riconoscenza per la parte che io ti dono della mia vita d’espiazione?

— Oh! sì, mio Dio, colla vostra grazia io ve lo prometto – (Questi particolari li abbiamo avuti qualche anno fa da un eminente direttore di anime, il cui nome è ben conosciuto, il R. P. Foch).

Quanti cuori generosi nel secreto della orazione si sono così offerti a Dio con la stessa generosità! Compiacetevi, Signore, di mandarcene molte di queste anime giuste per la riparazione compensatrice! Mandatecene di queste anime non solo fedeli ma risolute a pagare colla loro fedeltà il debito contratto dagli uomini colla vostra giustizia! Una generosità ordinaria non basta, fa d’uopo di una generosità senza riserve a disposizione d’un amore riparatore e penitente. Se altre opere sono necessarie, questa va innanzi a tutte. – Meglio ancora, o Signore, fate spuntare delle anime che non solo accettino il sacrifizio, ma gli vadano incontro generose, lo amino, lo desiderino per sconfiggere le potenze del male. Avremo così le anime riparatrici in grado massimo: « massimaliste ». – Il cardinal Manning scriveva: « Questa nostra non è un’epoca di martiri (chi sa?) ma un’epoca in cui ciascuno deve possedere una volontà robusta come quella dei martiri ». In un libro pubblicato ancor prima della guerra, Daniele, protagonista di quel libro, dà una risposta ben meritata ad un giovine ecclesiastico un po’ mondano, il quale con compiacenza ricordava il detto d’un vescovo della Cina che, testimone di molti massacri avvenuti colà, aveva confessato: ce Giovane ancora io avevo desiderato il martirio … ma ora mi sono affatto ricreduto ». « Lasciate che io ve lo dica — risponde dunque Daniele — sevi hanno in mezzo a noi mille fedeli, se ve n’hanno cento o anche solo venti i quali sieno preparati a portare sul loro corpo le stimmate della Passione di Gesù Cristo, questi ne sono i veri e i soli discepoli e si riconosceranno nel versare che faranno lietamente il loro sangue! Questo sangue la terra che noi calpestiamo già lo conosce, già in altri tempi ne fu imbevuta abbondantemente, era il sangue dei nostri martiri; per la patria che deve risorgere noi siam pronti a dare anche il nostro ». « Sì, daremo anche il nostro sangue ». Non già sul campo di battaglia o nelle arene dei gladiatori versato forse tutto quanto in una volta, ma a goccia a goccia nello sforzo di ogni giorno per la santità, per la ristorazione in Cristo di tutto il genere umano: versato a goccia a goccia nelle immolazioni che si direbbero da nulla ma sono di grande efficacia, in una vita tutta per Dio fino al sacrifizio, per le anime più elette, d’ogni riserva dell’amor proprio, al sacrifizio degli affetti più intimi men che ordinati, dei gusti anche leciti e di tutte le soddisfazioni per aver la soddisfazione — certo più nobile e più gradita — di vedere Dio finalmente conosciuto, amato e servito come si deve e si merita.

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