IL SACRO CUORE DI GESÙ (37)

IL SACRO CUORE DI GESÙ

J. V. BAINVEL – prof. teologia Ist. Catt. Di Parigi;

LA DEVOZIONE AL S. CUORE DI GESÙ

[Milano Soc. Ed. “Vita e Pensiero, 1919]

PARTE PRIMA

CAPITOLO IV.

LE PROMESSE

Circola una piccola raccolta delle promesse fatte dalla beata Margherita Maria, in favore dei devoti del sacro Cuore e di tutti quelli che propagheranno questa divozione (Nel 1882 un cattolico americano fece tradurre questa raccolta in circa 200 lingue, e la fece stampare su di una graziosa immagine del sacro Cuore, che sparse con profusione in tutte le parti del mondo).

1. Io darò loro tutte le grazie necessarie al loro stato.

2. Io metterò la pace nelle loro famiglie.

3. Io li consolerò in tutte le loro afflizioni.

4. Io sarò il loro sicuro rifugio in vita e specialmetnte in morte.

5. Io spanderò le più abbondanti benedizioni sopra tutte le loro imprese.

6. I peccatori troveranno nel mio Cuore la fonte e l’oceano infinito della misericordia.

7. Le anime tiepide diverranno fervorose.

8. Le anime fervorose s’innalzeranno rapidamente a una grande perfezione.

9. Io benedirò perfino le case ove l’immagine del mio sacro Cuore sarà esposta e onorata.

10. Io darò ai sacerdoti il dono dì commuovere i cuori più induriti.

11. Le persone che propagheranno questa divozione avranno il loro nome scritto nel mio Cuore e non ne sarà mai cancellato (A queste undici promesse si comincia a unire, da qualche anno, quella che riguarda la comunione dei nove primi venerdì consecutivi, detta « la grande promessa »).

Quando e da chi fu fatta questa raccolta? Non saprei dirlo. Non se ne trova traccia nel Croiset, nel Gallifet, nel Nicollet o in altri. Queste promesse, pertanto, rispondono esattamente al pensiero della beata e alle sue parole. Non sono, però, tratte  testualmente dai suoi scritti e, una, la più precisa, se non la più importante, non vi si trova affatto. Bisogna dunque tornare ai testi della beata. Diremo in seguito qualche parola della « grande promessa ».

PROMESSE DIVERSE

Promesse speciali e promesse generali. Il linguaggio della beata. Testi precisi, soprattutto dal 1685.

I testi sono sì abbondanti che bisogna fare una scelta. Ve ne sono che riguardano persone o circostanze particolari. – Tutte le persone che parteciperanno alle vedute della beata, che le fanno del bene, che lavorano a propagare la sua cara divozione, sono oggetto di favori speciali, avuti o promessi con sicurezza. Prima di tutti, la Madre de Saumaise, la madre Greyfìé, suor Giovanna Maddalena Joly, il P. Croiset, ecc…. Di questi favori però non abbiamo nulla di particolare a dir qui, e ci limiteremo a parlare delle promesse generali, che si riferiscono alla divozione. Il linguaggio della beata sembra aver seguito su questo soggetto, una gradazione di sicurezza e di precisione. Sino dal principio, Gesù le ha fatto comprendere che spanderebbe le effusioni della sua grazia su tutti quelli che si interesserebbero a questa amabile divozione. Non è che a datare dal 1685 o dal 1686, che le promesse divengono più precise e più sicure. – La beata varia anche nella sua maniera di esprimersi. Ora ella parla, per così dire, in suo nome; ora in nome di Nostro Signore. Ciò dipende, in parte, dalle persone a cui son dirette le sue lettere. Quando esse non sono al corrente delle sue intime comunicazioni con Nostro Signore, è più riservata. Ma si direbbe che, qualche volta, ella dica ciò che ha nello spirito, senza avere specialmente in vista qualche promessa distinta di Nostro Signore.

(Si vede questo anche in una lettera alla Madre de Saumaise, 17 febbraio 1687. Con lei non ha da nascondere nulla. Nostro Signore « vuole che le parli alla buona, a cuore aperto, come una figlia con la sua buona Madre ». E, non pertanto, si riscontra nella sua parola come una fusione di due influenze; delle idee che le vengono, e dei lumi che riceve: « Ecco quel che mi viene in mente, a proposito del nostro Istituto: che il nostro Padre, San Francesco … abbia chiesto un sostegno … e che il sacro Cuore di Gesù gli è stato accordato. Ed è per l’intercessione della santa Vergine che egli ha ottenuto questo potente protettore. Quelle che si metteranno sotto questa amabile protezione, parteciperanno abbondantemente al tesoro delle sue grazie santificanti. Mi sembra di essermi fatta comprendere. Veda, mia cara Madre, come il mio miserabile cuore le svela semplicemente i suoi pensieri, per i quali però le chiedo il segreto, perché io non desidero che si dia qualche credito ai miei pensieri, né a quel che dico, che non è né rivelazione, né visione ». Lettera XIV (XV), t. II, p. 107 (143); G. XXXV, 295, CXI, 473. E chiaro, d’altra parte, che queste cose non si possono sapere che per mezzo di comunicazioni soprannaturali, e ci vengono presentate come tali sia qui (« mi sembra essermi fatta comprendere ») sia in molti altri luoghi. Vedere per esempio, la lettera XLV (XLV), t. II, p. 87 O24); G. LI, 324).

Che ella però parli in suo nome, o in nome di Gesù, la beata non fluisce di rivelare i vantaggi della sua cara divozione. Ma noi studiamo particolarmente le promesse; ed ecco, a questo proposito, qualche passaggio caratteristico. Ella scrive alla Madre de Saumaise, il 24 agosto 1685. Egli (il sacro Cuore) le (a lei stessa) ha fatto conoscere, di nuovo, la gran compiacenza che prende nell’essere onorato dalle sue creature e le sembra che Egli le promettesse che tutti quelli che sarebbero consacrati a questo sacro Cuore, non perirebbero e che, siccome Egli è la sorgente d’ogni benedizione, così le spanderebbe, con abbondanza, in tutti i luoghi dove fosse esposta l’immagine di questo amabile Cuore, per esservi amato e onorato. Così riunirebbe le famiglie divise, proteggerebbe quelle che si trovassero in qualche necessità, spanderebbe l’unzione della sua ardente carità in quelle comunità dove fosse onorata la sua divina immagine; e ne allontanerebbe i colpi della giusta collera di Dio, ritornandole nella sua grazia, quando ne fossero decadute; e che, finalmente, accorderebbe una grazia speciale di santificazione, di salute, alla prima persona che gli procurasse la gioia di far fare questa santa immagine » (Lettera XXXII (XXXIII), t. Il, p. 64 (101); G. XXXVI. 296). – Si trova cosa analoga in una lettera alla Madre Greytié, in un estratto citato dalle Contemporaines (Lettera XXXII (XXXIV), t. II, p. (250) ; 68 (105) ; cf. t. I , p, 221; G. XXXVII, 299; cf. t. I, p. 367. 2). E così pure in un altra lettera alla stessa, nel gennaio 1686. « Mi sembra che Egli mi abbia latto vedere che molti nomi vi erano scritti, (nel sacro Cuore) a causa del desiderio che hanno di vederlo onorato; e che, per questo, non permetterà che ne siano cancellati (Lettera XXXIV (XXXV), t. II, p. 70 (107); G. XL, 303. Ella aggiunge subito: « Però Egli non mi dice che i suoi amici non avranno nulla da soffrire; perché vuole che facciano consistere la loro maggior felicità a gustare le sue amarezze ». Si vede che ella non dimentica la via cristiana e perfetta.). – Ma in nessuna altra parte la beata è più esplicita che nelle sue lettere al P. Croiset. Il 10 agosto 1689, dopo avergli parlato « del gran numero di anime che questa divozione ritrarrà dalla via della perdizione, per rimetterle in quella della salute, aggiunge: « È quello che gli dà un così ardente desiderio d’esser conosciuto, amato e onorato dagli uomini, nel cuore dei quali brama ardentemente di stabilire, per questo mezzo, l’impero del puro amore, sì che promette grandi ricompense a tutti quelli che s’impegneranno a farvelo regnare…. Io mi vorrei struggere in rendimenti di grazie e in riconoscenza verso quel divin Cuore, per le grazie grandi che ci ha fatto volendo servirsi di noi per aiutarlo a farlo conoscere, amare e onorare; a ciò Egli ha annesso dei beni infiniti per tutti coloro che vi s’impiegheranno con tutto il loro potere, seguendo le sue ispirazioni. Egli rivela questo desiderio (d’esser conosciuto, amato ed onorato dagli uomini) come sì eccessivo, che promette a tutti coloro che si daranno e consacreranno a lui, per dargli questo gusto di rendergli e procurargli tutto l’amore, l’onore e la gloria che sarà in loro potere…. che non periranno mai, e che Egli sarebbe loro un asilo sicuro, contro tutte le insidie dei loro nemici, ma soprattutto nell’ora della morte, in cui li riceverebbe amorosamente nel suo divin Cuore, assicurando la loro salute, prendendosi cura di santificarli e di (farli) tanto grandi davanti il suo eterno Padre, quanto impegno metterebbero nel dilatare il regno del suo amore nei cuori; e che, come Egli è sorgente d’ogni benedizione, così ne spanderà abbondantemente in tutti quei luoghi dove verrebbe onorata l’immagine di questo sacro Cuore, perché il suo amore lo sollecita a distribuire il tesoro inesauribile delle sue grazie santificanti e salutari, nelle anime di buona volontà, cercando i cuori vuoti per riempirli con la soave unzione della sua ardente carità, per consumarli e trasformarli interamente in lui. Egli vuole spiriti umili e sottomessi, senz’altra curiosità che di compiere il piacer suo. Di più Egli con questo mezzo riunirebbe le famiglie che fossero divise, e proteggerebbe quelle che fossero in necessità; e spanderebbe la soave unzione della sua carità in tutte le comunità religiose, dove fosse onorato, e che si mettessero sotto la sua particolare protezione, ne terrebbe tutti i cuori uniti per non farne che un sol cuore col suo e distoglierebbe da loro la folgore della divina giustizia, restituendoli alla grazia, quando ne fossero decaduti… ». – Oh! Se mi fosse permesso di manifestare le ricchezze infinite che sono nascoste in questo prezioso tesoro, e di cui arricchisce e fa godere i suoi amici fedeli! Se potessimo comprenderlo, non ci risparmieremmo in nulla, per procurargli la gioia che Egli desidera con (tanto) ardore » (Lettres inédites, II, p. 87-91 ; riveduto su G. CXXXI, 526, 529).

– Qualcuna di queste promesse sono per gli zelatori; ma altre sono per tutti, e l’insieme mostra che ciascuno ha la sua parte in tutte, secondo la misura della sua divozione. – La beata vi ritorna nella sua lettera del 15 settembre 1689. Ella riguarda questa divozione come uno dei mezzi di cui questo divin Cuore vuol servirsi per « ritrarre un gran numero di anime dalla perdizione, distruggendo in esse l’impero di satana, per rimetterle, con le sue grazie, nella via della salute eterna, come mi sembra averlo Egli promesso alla sua indegna schiava; facendole vedere questa divozione, come uno degli ultimi sforzi del suo amore per gli uomini, affinché, manifestando loro, in un quadro particolare, il suo divin Cuore, trafitto d’amore per la loro salute, potesse assicurare la loro salvezza, non lasciando perir niente di tutto quello che gli sarebbe consacrato, per il gran desiderio che Egli ha d’essere conosciuto, amato e onorato dalle sue creature, affine di soddisfare, in qualche modo, l’ardente desiderio che ha il suo amore di espandersi, distribuendo loro, con abbondanza, le sue grazie santificanti e salutari; e sarà loro un asilo sicuro nell’ora della morte, per riceverle e difenderle dai loro nemici. Ma per questo, bisogna vivere in conformità delle sue sante massime ». Questo è per tutti. – Vediamo ora quello che riguarda gli zelatori. « Per coloro che s’impiegano a farlo conoscere e amare, oh! se potessi, se mi fosse permesso di esprimere quello che mi è stato dato a conoscere, delle ricompense che riceveranno da questo adorabile Cuore, direste, come me, che sono ben felici quelli che Egli impiegherà per l’esecuzione dei suoi disegni…. E la ragione, per cui non mi è permesso parlare delle ricompense che Egli promette a coloro di cui si servirà per questa santa opera, è perché lavorino, senza altro interesse che quello della sua gloria e in vista del suo amore (Lettres inédites, III, p. 117-118; riveduto su G. CXXXII, 540-547). – E un po’ più lungi : « Non vi è nulla di più dolce né di più soave, e insieme di più forte ed efficace, che la soave unzione dell’ardente carità di questo amabile Cuore, per convertire le anime più indurite e penetrare nei cuori più insensibili, per mezzo della parola dei predicatori e suoi fedeli amici, che Egli renderà come una spada ardente che farà liquefare, nell’amor suo, i cuori più agghiacciati »  (Lettres inédites, III, p. 128; riveduto su G. 553.). – E vi ritorna pure sotto altra forma.

« Questo divin Cuore è una sorgente perenne, ove sono tre canali che scorrono incessantemente: il primo di misericordia per i peccatori, sui quali si diffonde lo spirito di contrizione e di penitenza; il secondo di carità, e si estende a soccorrere tutti i miserabili, che si trovano in qualche necessità: e particolarmente per quelli che tendono alla perfezione, che vi troveranno, per la mediazione dei santi Angeli, di che vincere gli ostacoli; dal terzo scorrono l’amore e la luce per gli amici perfetti, che Egli vuole unire a sé, per comunicar loro la sua scienza e le sue massime, affinché si consacrino interamente a procurargli gloria, ciascuno a modo suo e la Santissima Vergine sarà la speciale protettrice di questi, per farli giungere alla perfezione (Lettres inédites. Ili, p. 129-130. riveduto su G. 554). – L’insieme di queste promesse non è così bene espresso in nessuna parte come in un frammento di lettera della beata a un Padre Gesuita, forse al P. Croiset. « Perché non posso io raccontare tutto quello che so di questa amabile devozione e scoprire a tutta la terra i tesori di grazie che Gesù Cristo racchiude in questo Cuore adorabile e che intende spandere su tutti quelli che la praticheranno!… I tesori di grazie e di benedizioni che questo sacro Cuore racchiude sono infiniti. Io non so che vi sia nessun altro esercizio di divozione, nella vita spirituale, che sia più efficace, per innalzare, in poco tempo, un’anima alla più alta perfezione e per farle gustare le vere dolcezze, che si trovano nel servizio di Gesù Cristo  ». – « Sì, lo dico con sicurezza, se si sapesse quanto questa divozione è gradita a Gesù Cristo, non si troverebbe un solo Cristiano, per quanto poco amore avesse per questo amabile Salvatore, che non la praticasse subito. Fate di tutto perché le persone religiose, in particolar modo, l’abbraccino; esse ne riceveranno tanto aiuto, che non abbisognerà altro mezzo, per ristabilire il primo fervore e la più esatta regolarità, nelle Comunità le men ben regolate, e per portare al colmo della perfezione quelle che vivono nella più esatta osservanza ». – « In quanto alle persone secolari, troveranno in questa amabile divozione tutti i soccorsi necessari al loro stato, vale a dire, la pace nelle loro famiglie, il sollievo nel loro lavoro, le benedizioni del Cielo in tutte le loro imprese, la consolazione nelle loro miserie; è proprio in questo sacro Cuore che troveranno un luogo di rifugio durante tutta la loro vita, e principalmente all’ora della morte. Ah! come è dolce morire dopo avere avuto una tenera e costante divozione al sacro Cuore di Gesù Cristo! ». – « Il mio divin Maestro mi ha fatto conoscere che coloro che lavorano alla salute delle anime, lavoreranno con successo e conosceranno l’arte di commuovere i cuori più induriti, purché abbiano una tenera divozione al suo sacro Cuore, e s’impegnino a ispirarla e stabilirla in ogni dove ». « Infine, è molto visibile che non vi è nessuno al mondo che non riceva ogni sorta di soccorso dal cielo, se ha per Gesù Cristo un amore veramente riconoscente, come si è quello che gli si dimostra, con la divozione al suo sacro Cuore » (Il testo è tolto dal Croiset, Abrégé, p. 57. Cf. Lettera CXXXI1 (CXXXIV), t. II, p. 285 (334). Contemporaìnes, t. I , p. 289 (317) ; G. CXLI, 622. Fra questi testi si riscontra qualche variante d’espressione).

II.

LA GRANDE PROMESSA (*)

Testo — Importanza — Carattere unico.

(*) Si veda : A. Hamon, Le exte de la grande promesse du Sacre Cœur negli Etudes, 20 giugno 1903, t. XCV, p. 854; X. M. LE BACHELET, La grande promesse du Sacre Cœur, ibid,, 5 agosto 1901, t. LXXXVIII, p. 385, con bibliografia; A. VERMEERSCH, La grande promesse du Sacre Cceur, Paris, 1903 (in Pratique et Doctrine de la Dévotion au Sacre Cceur de Jesus, Tournai, 2 a parte, c. 3, p. 555-594); A. Boidinhon, Les neuf premiers vendredis, nella Revue du clergé, -1903, t. XXXVI, p. 113; R. DE LA BÉGASSIÈRE, nell’articolo Coeur de Jesus ; X, nel Dictionnaire apologétique, Jangey-d’Alès, t, I, col. 582-583, Paris, 1909. Il R. P. DOMENICO GALEAZZI, S. I . ha consacrato alla questione un volume considerevole : De præcìpuo e promissis SS. Cordis Jesu, seu de novem communionibus. Dissertatio historica et theologica, Roma, 1910, 237 pagine in 12. Cf. Étudès, 5 gennaio 1911, t. 126, p. 108-110 (articolo del R. P. LE BACHELET, il quale, a mio parere, non tien più le posizioni prese negli Études, 5 agosto 1901, t. 88, p. 385, posizioni attaccate dal P. VERMEERSCH, Etudes, 5 giugno 1903, t. 95. p. 593 ; la dottrina del P. VERMEERSCH è la nostra). Più recentemente: La grande promesse du Cceur de Jesus, del P. GARCIA ESTÉBANEZ, S. J., studio storico, teologico e pratico. Tradotto dallo spagnolo, da un religioso dei Certosini, Paris, 1913.)

Rimane ancora una promessa che non abbiamo incontrata sin qui, sotto la penna della beata: « La grande promessa ». Se ne parla poco nei primi trattati sul sacro Cuore (Non l’ho veduto né nel CROISET, né nel GALLIFFET. Les Contemporaìnes ne fanno menzione; lo stesso, LANGEUT e NICOLLET), e non è che i n questi ultimi tempi che ha fissato, in modo speciale, l’attenzione dei teologi. Si direbbe che si aveva paura di parlarne, sia per non dar presa agli avversari, sia per non incoraggiare una sicurezza presuntuosa. Infatti, sarebbe scandalosa, per chi non crede all’amore; ma ben la comprendono tutti coloro che hanno compreso il sacro Cuore. Si trova in una lettera alla Madre de Saumaise, di data incerta. (Le editrici dicono: maggio 1688.) Non ne abbiamo più l’autografo, e la copia ha dovuto subire qualche ritocco, però solamente grammaticale. Ecco il testo pubblicato:

« Un giorno di venerdì, nel tempo della santa Comunione, Egli disse queste parole colla sua indegna schiava, se ella non s’inganna: Io ti prometto, nella eccessiva misericordia del mio Cuore, che il suo amore onnipotente accorderà, a tutti quelli che faranno la santa Comunione per nove primi venerdì del mese, consecutivi, la grazia finale della penitenza; essi non morranno nella mia disgrazia, né senza ricevere i sacramenti, e il mio divin Cuore si farà loro asilo sicuro nell’ultimo momento.  »

(Lettera LXXXII (LXXXIII), t. I I , p. 159 (195); G. LXXXVII, 397. Le Contemporaìnes dicono « eccesso di misericordia, invece di eccessiva misericordia »: nove primi venerdì d’ogni mese di seguito; la grazia della penitenza finale, non morranno nella mia disgrazia; egli si farà loro asilo sicuro, in quell’ultima ora. I , p. 291 (318); riveduto su G. 277, p. 261. Differenze, come si vede, puramente grammaticali. A. HAMON ha trovato, in un manoscritto gentilmente comunicato da DECHELETTE, il sapiente archeologo ucciso dal nemico or sono pochi mesi) un testo che sembra essere il testo stesso della beata. Non differisce, dal testo pubblicato, che in cose insignificanti. Il testo dunque, in sostanza, è sicurissimo). La promessa è assoluta, supponendo, solo evidentemente, le comunioni ben fatte e secondo le intenzioni del sacro Cuore. Ciò che vien promesso, non è la perseveranza nel bene, durante tutta la vita, e neppure (ciò risulta dal contesto, più che dal testo medesimo) la recezione degli ultimi sacramenti in ogni ipotesi; ma bensì la perseveranza finale, che implica la penitenza e gli ultimi sacramenti, nella misura necessaria. La promessa riguarda più direttamente i peccatori che le anime pie, e non fa che precisare, fissandola a una pratica determinata di divozione al sacro Cuore, ciò che la beata ha ripetuto, mille volte in generale, che i devoti del sacro Cuore, cioè, non periranno. – Si trovano, negli scritti della beata, delle promesse che hanno una certa analogia con la grande promessa, in favore di altre pratiche.

(Ecco secondo Le Contemporaines quelle che più vi si avvicinano: « Un giorno dell’Annunziazione, Nostro Signore mi fece conoscere che io dovevo onorare i suoi abbassamenti, con 24 Verbum caro, per onorare le ore che rimase nel seno verginale della sua santa Madre, promettendomi che quelli che vi fossero fedeli non morirebbero senza ricevere il frutto della sua incarnazione, per mezzo dei SS.mi » Sacramenti ». Vie et Oeuvres. t. 1, pag. 114 (143); G. n. III, p. 115. – Un altra pratica è pure raccomandata: « Egli mi disse, amorosamente, esser suo desiderio che ogni venerdì io lo adorassi per 33 volte sull’albero della croce, che è il trono della sua misericordia, prostrandomi umilmente ai suoi piedi e cercando di mettermi nella disposizione in cui era la SS.ma Vergine nel tempo della passione, offrendo tutto questo all’eterno Padre, con le sofferenze del suo divin Figlio per chiedergli la conversione dei peccatori induriti. In quanto a coloro che si manterranno fedeli a questa pratica Egli sarà loro favorevole nel punto della morte. » Vie et Oeuvres, t. I, p. 69 (100) ; G. n. 115 p. 116; ef. t. II, p. 154.). – Ma vi sono sempre delle differenze, di cui ecco la principale: negli altri casi niente indica che la grazia sia annessa a una pratica che venga fatta. Si potrebbe fare delle serie osservazioni consimili, a proposito di promesse di tal genere, che si trovano altrove; in santa Geltrude, per esempio. La conclusione sarà sempre, se non m’inganno, che la « grande promessa » è qualcosa di unico. Chi non vede, d’altronde, che non vi è qui un incoraggiamento a fare il male, ma una grazia ammirabile e un grande aiuto per fare il bene? Gesù non dice che salverà quelli che continueranno a peccare; ma che darà una grazia efficace per non peccare, una grazia onnipotente, per uscire, infine, dal peccato (2).

 (2) Ben inteso, l’asserzione della beata non ha qui, più che altrove, valore assoluto; ma garantisce, visto la sincerità del testimone, l’esperienza psicologica di una santa anima; e poiché abbiamo delle solide ragioni per credere alla missione soprannaturale della beata, possiamo concludere che queste stesse ragioni militano per la realtà della promessa. L’autorità della Chiesa, non è impegnata direttamente nella questione. Pertanto dal fatto che la Chiesa ha beatificato Margherita Maria e che presto la canonizzerà; dal fatto che l’esame dei suoi scritti non ha arrestato il processo canonico e che le autorità ecclesiastiche lasciano predicare « la grande promessa » ; dal fatto, infine, che la santità della beata implica praticamente la realtà della sua missione, si può dedurre legittimamente: 1° che nel pensiero della Chiesa una tal promessa non ha nulla di contrario alla fede o ai costumi; 2° che non è imprudente o temerario di credervi e di farvi appello per spingere alla pratica dei nove venerdì. – L’obiezione, tratta dal Concilio di Trento, sulla incertezza della salute eterna, non ha appiglio nel caso presente e neppur quella che vi si potrebbe trovare un incoraggiamento a peccare. Non vi è dunque ragione per attenuare il senso della promessa, come ha fatto qualche teologo che, spiegandola, ha quasi reso nullo il suo vero senso.

IL SACRO CUORE (38)

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (18)

CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (18)

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) – BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR

+ AEM. BONGIORNI, Vie. Gen

APPENDICI

APPENDICE I .

(Dagli Atti del Concilio Vaticano)

SCHEMA di costituzione del Catechismo piccolo secondo le correzioni ammesse dalla Congregazione generale.

PIO VESCOVO SERVO DE SERVI DI DIO A PERPETUO RICORDO DEL FATTO CON APPROVAZIONE DEL SACRO CONCILIO

Compilazione e uso di un unico catechismo piccolo per tutta la Chiesa.

L’amorosa madre Chiesa, istruita dall’insegnamento e dall’esempio del suo sposo Gesù Cristo Salvator nostro, dedicò sempre straordinaria cura e diligenza ai fanciulli acciocché, nutriti col latte della celeste sapienza, fossero per tempo educati alla pietà in ogni sua manifestazione. Perciò il sacrosanto Sinodo di Trento non solamente incaricò i Vescovi di provvedere che ai fanciulli s’insegnassero con cura le nozioni fondamentali della fede e l’obbedienza tanto a Dio quanto ai genitori, (Sess. XXIV, c. 4, de Reform.) ma si assunse di più il compito di preparare un formulario e un metodo fisso per istruire il popolo cristiano già fin dai primi rudimenti della fede; perché lo seguissero in ogni diocesi coloro, che avessero mandato di legittimo pastore e maestro (id. id., c. 7, de Reform.; Catech. Rom. in Præf.). Siccome non poté essere compilato dallo stesso Santo Sinodo, questa Sede Apostolica, conformandosi a un voto di quello (id., XXV, Decret. De Indice librorum, Catechismo etc.), lo condusse felicemente al desiderato termine col pubblicare il « Catechismo per i parroci ». E non si contentò; ma, pel desiderio di rispondere più perfettamente all’intenzione de’ Padri tridentini, approvò anche, nell’intento che sempre poi fosse osservato un unico e ugual metodo nell’insegnare ed apprendere la dottrina cristiana, un piccolo catechismo, composto, per suo incarico, dal Ven. Card. Bellarmino; e lo raccomandò assai caldamente a tutti gli Ordinarii, ai parroci e agli altri, cui spetta il detto insegnamento (Clem. VIII, Brev. Pastoralis, 15 luglio 1598; Bened. XIV, Constit. Etsi minime, 7 febbr. 1742). Poiché si sa che non piccoli inconvenienti oggi derivano dal numero enorme de’ piccoli catechismi nelle diverse Provincie e Diocesi, Noi, coll’approvazione del Sacro Concilio, tenendo sott’occhio anzitutto il detto catechismo del Ven. Card. Bellarmino, poi anche quelli più diffusi tra il popolo cristiano, provvederemo che di Nostra autorità ne sia compilato uno nuovo in lingua latina, affinché tutti si servano di esso, togliendo di mezzo per l’avvenire le varietà de’ piccoli catechismi (In questo schema non è fatta menzione del piccolo catechismo, per quelli che, a norma del Decreto Quam singulari di Pio Pp. X, devono essere ammessi per la prima volta alla s. Comunione. Prima di tal decreto non si ammettevano d’ordinario i fanciulli alla prima Comunione, se non in età più avanzata secondo le varie usanze locali e, per prepararli convenientemente, s’adoperava il catechismo del Bellarmino, oppure altri somiglianti. Ma, dopo la pubblicazione del Decreto di Pio X, catechismi di tal sorta, com’è stato detto nel Proemio, servono per i fanciulli che, fatta la prima Comunione, continuano nello studio della dottrina cristiana, non per quelli, che — a norma del citato Decreto — sono ammessi per la prima volta alla santa Comunione.). A loro volta, nelle singole Provincie, i Patriarchi o gli Arcivescovi, udito prima il parere dei loro Suffraganei, consultati poi anche gli altri Arcivescovi della stessa regione e lingua, cureranno che quel testo sia fedelmente tradotto in lingua volgare. Ma in facoltà de’ Vescovi, purché sia sempre tenuto in uso il piccolo catechismo per la prima istruzione de’ fedeli, senza giunte di sorta, resterà il compilare più ampie lezioni di catechismo per maggior istruzione de’ fedeli e difesa contro errori, che eventualmente infestano i loro paesi. Però se vorranno pubblicare queste lezioni, non a parte, ma unitamente al testo del catechismo suddetto, ordiniamo che appunto il testo da noi prescritto apparisca da tali lezioni nettamente distinto.

(A questo scopo è pienamente idoneo il terzo nostro catechismo composto per gli adulti e per le persone colte; in esso difatti sono esposte più diffusamente le verità della dottrina cristiana. Da esso fu ricavato, senza mutar sillaba, il secondo catechismo de’ fanciulli, sicché, se vogliono col tempo formarsi miglior cognizione della dottrina cristiana, se la possano procurare più facilmente coll’uso del catechismo maggiore; lasciando facoltà agli Ordinari di svolgere più ampiamente, conforme ai vari bisogni locali, taluni punti della dottrina e di completarli coll’aggiunta di altri, come si spiega meglio nel Proemio.). – Finalmente raccomandiamo assai assai, come spesso fecero i nostri Predecessori, a quelli, che hanno incarico d’insegnare, l’uso del ricordato Catechismo ai parroci; perché poco gioverebbe che i fedeli mandassero a mente le formule del catechismo, se nel comprenderle non fossero guidati dalla viva voce del maestro, ognuno in proporzione della sua capacità; e a questo proposito è di somma importanza, che unico sia il modo d’insegnar la fede e comune la norma e la prescrizione di educare il popolo cristiano a tutte le pratiche di pietà (Catech. Rom. in Præf.).

APPENDICE II

DECRETO della S. Congregazione de’ Sacramenti circa l’età per ammettere alla prima Comunione eucarìstica.

Le pagine del Vangelo attestano splendidamente di quanto amore Cristo amò i piccoli quaggiù; difatti era sua delizia star con essi, soleva metter loro la mano sul capo, abbracciarli, benedirli. E si sdegnò del fatto che fossero allontanati da’ suoi discepoli, che rimproverò con queste severe parole: Lasciate che i pargoli vengano a me e non allontanateli, perché di essi è il regno di Dio (Marc, X, 13, 14, 16). – E quanto facesse conto della loro innocenza e candore di spirito, ben dimostrò quando, chiamato a sé un fanciullo, disse a’ discepoli: In verità vi dico, non entrerete nel regno de’ cieli, se non vi farete fanciulli. Chi dunque si fa umile come questo fanciullo, è più grande nel regno de’ cieli. E chi accoglierà in mio Nome un fanciullo come questo, è come se accogliesse me (Matt., XVIII, 3). Ciò ricordando, la Chiesa Cattolica, fin da’ suoi primordii, si diede premura di condurre a Cristo i fanciulli per mezzo della Comunione eucaristica, che costumò amministrare ad essi, anche lattanti; e ciò faceva, com’era prescritto in quasi tutti gli antichi libri rituali, fino al secolo XIII, in occasione del battesimo, e tal costume in taluni luoghi durò molto tempo; presso i Greci e gli Orientali dura anche al presente. E per evitare il pericolo che, specialmente i lattanti, rimettessero il pane eucaristico, fu costume a principio di amministrar loro l’Eucaristia soltanto sotto la specie del vino. E non solamente in occasione del battesimo, ma spesse volte anche di poi erano i bimbi rifocillati col cibo divino. Difatti come in talune chiese vi fu l’usanza di somministrare l’Eucaristia, subito dopo il Clero, ai bimbi, così altrove a loro si davano i frammenti residui alla Comunione degli adulti. – Più tardi nella Chiesa latina questa pratica andò in disuso e non più si ammisero alla sacra mensa i bambini, se non avevano un barlume almeno di raziocinio e una qualche nozione dell’Augusto Sacramento. Ora questa nuova disciplina, già fatta propria da taluni Sinodi particolari, fu confermata con solenne sanzione dal Concilio ecumenico Lateranense IV, dell’anno 1215, colla promulgazione del celebre canone XXI, dov’è prescritta la Confessione sacramentale e la sacra Comunione per i fedeli, che abbiano raggiunto l’età della ragione, con queste parole: « Ogni fedele dell’uno e dell’altro sesso, giunto agli anni della discrezione, confessi schiettamente da solo tutti i suoi peccati, almeno una volta l’anno, al proprio sacerdote e abbia cura, a norma delle sue forze, di sodisfare la penitenza ingiuntagli, ricevendo con divozione almeno in tempo di Pasqua il sacramento dell’Eucaristia, salvo che, per consiglio del proprio sacerdote, giudichi di astenersene durante qualche tempo e per motivo ragionevole ». – Il Concilio di Trento (Sess. XXI, de Communione, c. 4), senza riprovare affatto l’antica disciplina di somministrare l’Eucaristia ai bimbi, confermò il decreto Laterano e pronunciò la scomunica contro chi la pensi al contrario : « Sia scomunicato chi dirà che tutti e singoli i fedeli di Cristo, dell’uno e dell’altro sesso, non sono obbligati, giunti che siano agli anni della discrezione, di comunicarsi ogni anno, al meno a Pasqua, secondo il precetto di santa madre Chiesa » (Sess. XIII, de Eucaristia, c. 8, can. 9). Dunque, in forza del citato decreto Laterano, che vige tuttora, i fedeli di Cristo, appena giunti agli anni della discrezione, son obbligati d’accostarsi, almeno una volta l’anno, ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Ma nel calcolare quest’età della ragione, ossia della discrezione, col tempo s’introdussero non pochi errori e deplorevoli abusi. Chi ritenne di assegnare un’età della discrezione per il Sacramento della Penitenza e una differente per ricevere l’Eucaristia; e per la Penitenza età della discrezione giudicarono fosse quella, nella quale si è in grado di distinguere il bene dal male e perciò di commettere peccato; mentre che per l’Eucaristia si richiedeva più matura età, quando cioè si può avere più ampia conoscenza delle cose di fede e più matura preparazione. – Così, secondo le varie usanze locali e opinioni, fu stabilita, per ricevere la prima Comunione, qui l’età di dieci o dodici anni, là di quattordici o anche più, interdicendo frattanto la Comunione eucaristica ai fanciulli e a’ giovinetti minori dell’età prescritta. Questo costume, in forza del quale, col pretesto di salvar il decoro dell’augusto Sacramento, se ne tengon lontano i fedeli, fu cagione di molti inconvenienti e danni. Difatti avveniva che l’innocenza de’ fanciulli, tenuta lontano dall’amplesso di Cristo, non era alimentata da nessun succo di vita interiore; e ne veniva di conseguenza che, privata del più forte aiuto, la gioventù, circondata da tante insidie, perduta l’innocenza, precipitava ne’ vizi ancor prima d’aver gustato i sacri misteri. E sebbene sia vero che alla prima Comunione si premette un’istruzione più diligente e una più accurata Confessione sacramentale, benché purtroppo non dappertutto; tuttavia è dolorosa sempre la perdita della prima innocenza, che, col ricevere in età più tenera l’Eucaristia, forse poteva evitarsi. E non è meno da riprovare il costume diffuso in parecchi luoghi di proibire ai fanciulli, non ancor ammessi alla mensa eucaristica, la confessione sacramentale, oppure di non impartir loro l’assoluzione. Così accade che rimangano per lungo tempo e con gran pericolo nel laccio di peccati fors’anche gravi. E c’è di peggio. In taluni luoghi ai fanciulli, non ancor ammessi alla prima Comunione, si proibisce il Viatico, persino in pericolo urgente di morire, e così, morti e seppelliti col rito de’ bambini, non fruiscono de’ suffragi della Chiesa. Tali danni cagionano coloro, che insistono eccessivamente sulla necessità di preparazione straordinaria alla prima Comunione, non badando che tale precauzione scaturisce dagli errori giansenistici, che sostengono la santissima Eucaristia debba essere un premio, non una medicina per la fragilità umana. Certamente il Sinodo di Trento pensava l’opposto quando insegnò ch’essa è « contravveleno, grazie al quale ci liberiamo dalle colpe d’ogni giorno e ci preserviamo da’ peccati mortali » (Sess. XIII, de Eueharistia, c. 2); e questa dottrina fu di fresco dalla S. Congregazione del Concilio più severamente inculcata con decreto del 26 dicembre 1905, che apre a tutti, adulti e giovinetti, la porta della Comunione quotidiana, imponendo solamente due condizioni, lo stato di grazia e la retta intenzione della volontà. – E davvero non pare che ci sia motivo giusto, mentre in antico si porgevano ai bimbi anche lattanti i residui delle sacre specie, di esigere adesso una straordinaria preparazione da fanciulletti, che per gran fortuna vivono in istato di candore e innocenza originaria e hanno grandissimo bisogno, date le molte insidie e i pericoli odierni, di quel mistico cibo. Gli abusi, da noi lamentati, provengono dal fatto di non saper giustamente precisare qual sia l’età della discrezione, assegnandone una per la Penitenza, un’altra per l’Eucaristia. Invece il Concilio Laterano, poiché prescrive congiuntamente l’obbligo della Confessione e della Comunione, richiede un’unica e identica età per l’uno e l’altro Sacramento. Dunque, se per la Confessione si ritiene età della discrezione quella, nella quale si è in grado di distinguere il bene dal male, vale a dire si giunge a un certo uso della ragione, anche per la Comunione deve dirsi età della discrezione quella, nella quale si è in grado di distinguere il pane eucaristico dal pane comune, cioè di nuovo quando il fanciullo ha conseguito l’uso della ragione. E non diversamente intesero la cosa i principali interpreti del Concilio Laterano e i contemporanei. È noto infatti dalla storia della Chiesa che molti Sinodi e decreti vescovili, già fin dal secolo XII, cioè poco dopo il Concilio Laterano, ammisero alla prima Comunione i fanciulli di sette anni: e c’è di più una testimonianza di somma autorità, quella del Dottor d’Aquino, di cui leggiamo: « Quando ormai i fanciulli cominciano ad avere un qualche uso della ragione, sicché siano in grado di concepir devozione per questo Sacramento (l’Eucaristia), allora si può a essi conferire questo Sacramento » (Summ. Theol., III part., q. 80, a. 9, ad 3.). E il Ledesma spiega: «Affermo, per consenso universale, che si deve concedere l’Eucaristia a tutti quelli che hanno l’uso della ragione, per quanto precocemente l’abbiano quest’uso, sia pure che quel fanciullo conosca tuttora in confuso quel che fa » (2  (2 ) Istruzione per quei che debbono la prima volta ammettersi alla S. Comunione. Appendix XIII. p. 88.). Il Vasquez spiega quel passo medesimo così: « Una volta che il fanciullo è giunto a quest’uso della ragione, subito, per lo stesso diritto divino, è obbligato in modo che la Chiesa non lo può affatto liberare » (P. II, De Sacr. Euchar., n. 63). Così pure insegna S. Antonino, che scrive: «Ma quando (il fanciullo) è capace di dolo, cioè quando può commetter peccato mortale, allora è obbligato al precetto della Confessione e, per conseguenza, della Comunione » (P. III, tit. 14, c. 2, § 5), Anche il Concilio di Trento costringe a questa conclusione. Nella Sess. XXI, c. 4 ricorda che « i bambini ancor privi dell’uso di ragione non sono stretti da nessun obbligo alla Comunione sacramentale dell’Eucaristia »; e l’unica ragione assegnata è che non possono far peccato: « In verità — dice — non possono a quell’età perdere l’acquistata grazia di figli di Dio ». Dunque da qui si capisce il pensiero del Concilio che i fanciulli son tenuti dal bisogno e dall’obbligo della Comunione allorché posson perdere, col peccato, la grazia. E concordano con questi concetti le parole del Concilio Romano, celebrato da Benedetto XIII, il quale insegna che l’obbligo di ricevere l’Eucaristia comincia « dopo che i fanciulli e le fanciulle son giunti all’età della discrezione, cioè quella, nella quale son capaci di distinguere questo cibo sacramentale, che altro non è se non il vero corpo di Gesù Cristo, dal pane comune e profano; e sono in grado di accostarvisi colla dovuta divozione e riverenza (Istruzione per quei che debbono la prima volta ammettersi alla S. Comunione. Appendice XIII, p. 11). Orbene, il Catechismo Romano dice: « Nessuno, meglio del padre e del sacerdote, al quale confessano i peccati, può stabilire in qual’età sieno da concedersi a’ fanciulli i sacri misteri. A quelli spetta per l’appunto indagare e interrogare i fanciulli se hanno acquistato una qualche cognizione e possiedono il gusto di questo mirabile Sacramento » (P. II, De Sacr. Euchar., n. 63.). Insomma si deduce che l’età della discrezione per la Comunione è quella, nella quale il fanciullo sa distinguere il pane eucaristico dal pane comune e corporale in modo da poter presentarsi all’altare devotamente. Dunque non si esige una perfetta cognizione delle cose di .fede, poiché bastano alcuni elementi, cioè una qualche cognizione: né il pieno uso di ragione, poiché basta un uso iniziale, cioè un qualche uso di ragione. Perciò merita biasimo il differire, in questo caso, la Comunione e il fissare un’età troppo avanzata per riceverla; tutto ciò la Sede Apostolica spesse volte ha condannato. Per es., Pio Papa IX di f. m., con una lettera del Card. Antonelli ai Vescovi di Francia in data 12 marzo 1866, riprovò severamente l’uso invalso in certe diocesi di protrarre la prima Comunione a età troppo avanzata e, per di più, prestabilita. Dal canto suo la Sacra Congregazione del Concilio il 15 marzo 1851 corresse un capitolo del Concilio Provinciale di Rouen, nel quale si proibiva di ammettere i fanciulli alla Comunione prima dei dodici anni. E così s’è espressa questa sacra Congregazione per la disciplina de’ Sacramenti in una causa di Strasburgo del 25 marzo 1910: trattandosi se potevano essere ammessi alla Comunione giovinetti di dodici o di quattordici anni, rispose che « fanciulli e fanciulle, giunti agli anni della discrezione o all’uso della ragione, si devono ammettere alla sacra mensa ». – Dopo avere maturamente considerato tutto ciò, questo Sacro Dicastero per la disciplina de’ Sacramenti, nell’adunanza generale del 15 luglio 1910, decise di stabilire, affinché i suddetti abusi vengano del tutto rimossi e i fanciulli s’uniscano a Gesù Cristo fin dai teneri anni e ne vivano la vita e vi trovino protezione contro i pericoli della corruzione, la norma che segue per la prima Comunione de’ fanciulli, norma da osservarsi dappertutto:

I. – L’età della discrezione sia per la Confessione sia per la Comunione è quella, nella quale il fanciullo comincia a ragionare, cioè verso il settimo anno, tanto al di sopra quanto al disotto. Da questo tempo comincia l’obbligo di sodisfare ad ambedue i precetti della Confessione e della Comunione.

II- Per la prima Confessione e la prima Comunione non è necessaria la piena e perfetta conoscenza della dottrina cristiana. Però il fanciullo dovrà poi, gradualmente, imparare tutto il catechismo secondo la sua capacità.

III. – La conoscenza della religione richiesta in un fanciullo, affinché si prepari come conviene alla prima Comunione, è tale ch’egli capisca, secondo la sua intelligenza, i misteri di fede necessari per necessità di mezzo e che distingua tra pane eucaristico e pane comune e corporale, sicché s’accosti alla Ss. Eucaristia colla devozione, che comporta l’età stessa di lui.

IV. – L’obbligo del precetto di confessarsi e comunicarsi, che pesa sul fanciullo, ricade principalmente su coloro, che devono averne cura, cioè  sui genitori, sul confessore, sugl’istruttori e sul parroco. Spetta poi al padre, o a chi ne fa le veci, e al confessore, secondo il Catechismo Romano, ammettere il fanciullo alla prima Comunione.

V. – Si diano premura i parroci di preparare e far la Comunione generale de’ fanciulli uno o più volte l’anno e di ammettervi non soltanto i novellini, ma pure gli altri, che, col consenso de’ genitori o del confessore, come s’è detto sopra, già per la prima volta hanno ricevuta la Comunione. Per gli uni e per gli altri sien premessi alcuni giorni d’istruzione e di preparazione.

VI. – Deve aver ogni sollecitudine, chi ha cura dei fanciulli, che dopo la prima Comunione i medesimi fanciulli s’accostino spesso alla S. Mensa e, se possibile, anche ogni giorno, come desiderano Gesù Cristo e la madre Chiesa, e che ciò facciano con quella divozione dell’anima, che comporta l’età. Anche rammenti chi ha tal cura il gravissimo dovere, cui è tenuto, di provvedere che i fanciulli stessi continuino a intervenire alle pubbliche lezioni di catechismo, o almeno suppliscano in altro modo all’istruzione religiosa de’ medesimi.

VII. – Si deve riprovare assolutamente l’usanza di non ammettere alla Confessione, o di non assolvere mai i fanciulli, quando son giunti all’uso della ragione. A tal fine gli Ordinarli locali curino di togliere radicalmente questo abuso, ricorrendo anche ai provvedimenti suggeriti dal diritto.

VIII. – È deplorevolissimo l’abuso di non somministrare il Viatico e l’Estrema Unzione ai fanciulli dopo l’uso della ragione e di seppellirli col rito de’ bambini. Gli Ordinarli locali procedano severamente contro coloro, che continuino in questo abuso.

Il S.mo Signor Nostro Pio Papa X , nell’udienza del sei corrente mese, approvò tutte queste deliberazioni prese dai Padri Cardinali di questa Sacra Congregazione e ordinò che il presente decreto sia pubblicato e promulgato. Comandò inoltre agli Ordinarii di portare a conoscenza il decreto medesimo, non soltanto de’ parroci e del clero, ma anche del popolo, a cui volle che sia letto ciascun anno durante il tempo del precetto pasquale, in lingua vernacola. Di più i medesimi Ordinari dovranno riferire alla S. Sede, ogni quinquennio, insieme con tutte l’altre informazioni della diocesi, anche dell’osservanza di questo decreto. – Non ostante qualsiasi disposizione in contrario. Dato in Roma, dalla residenza di questa stessa Congregazione il giorno 7 del mese di Agosto dell’anno 1910.

D. CARD. FERRATA, Prefetto.

F . Giustini, Segretario.

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (19)

GNOSI: TEOLOGIA DI sATANA (50)- LA VERA E LA FALSA FEDE -V-

LA GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA -50-

LA VERA E LA FALSA FEDE –IV.-

 (P. Gioacchino VENTURA: LE BELLEZZE DELLA FEDE, vol. II. Genova; Ed. Dario Giuseppe Rossi, 1867)

LETTURA VI.

LA CREDENZA DEI MAGI OVVERO LA VERITÀ E LA CERTEZZA DELL’INSEGNAMENTO DELLA FEDE.

§ VII. – Bello spettacolo che presenta la Chiesa cattolica! mantenendo essa sola nella loro purezza tutte le cristiane verità in faccia a tutte le sette degli eretici, che non hanno insegnalo che errori. Fuori della vera Chiesa non si trovano verità pure e semplici. Gli eretici, anche in quelle che han conservate, vi han mescolato l’errore; e colla vera fede han perduto persino il vero linguaggio delle cose divine. Il discepolo della fede è l’allievo della ragione.

A fronte però di queste orribili devastazioni di tutte le verità rivelate, di tutte le credenze dell’umanità, di tutti i sentimenti della natura, che la ragione, gelosa di comandar sola nell’impero dell’intelligenza, ha ammassate da circa due mila anni nel mondo cristiano: a fronte di tanti errori, di tanti delirj, di tante assurdità, di tante stravaganze sognate dall’orgoglio e spacciate con un sì imperturbabile sangue freddo dalle cattedre di pestilenza dell’eresie; a fronte delle dottrine turpi, licenziose, libertine, degradanti, omicide, inventate e predicate dalle passioni per iscancellar dalla terra, coll’ultima traccia del vero, l’ultimo avanzo di giustizia, di probità, di pudore: quanto è bello per noi il mirare il magnifico edificio della verità cattolica ergere immobile e sicura la maestosa sua fronte sulla pietra che lo stesso Gesù Cristo gli ha dato per fondamento nella persona di S. Pietro e de’ suoi successori (Matth. XVI), cui ha commesso il deposito di una fede indefettibile (Luc. XXII); ed ha costituiti maestri ed interpreti infallibili della verità! Quanto è bello, in faccia alle migliaja di sette che si son chiamate o si chiamano cristiane, il mirare la sola Chiesa Cattolica conservare pure ed intatte, senza mescolanza di errore, sine erroris miscela, tutte le verità primitive del genere umano e tutte le verità del Cristianesimo, senza che la malizia umana possa mai corrompere la sorgente divina da cui scorrono nel giardino della Chiesa a rinfrescare le nostre intelligenze, a confortare e ricercare il nostro cuore! Quanto è bello il vederla insegnare con tutte le verità tutte le virtù! poiché come nulla nei suoi dommi sente l’errore, così nulla nelle sue leggi favorisce il vizio: ma come in essa tutto è vero, così tutto è santo e tutto tende a reprimere le passioni, a sollevar levar l’uomo alla virtù più perfetta. Questo pregio singolare ed unico della Chiesa Cattolica è stato finalmente conosciuto, con un sentimento di santa invidia, anche dalla più dotta scuola delle chiese protestanti. Mentre noi andiamo scrivendo queste pagine, risuona altamente per tutta l’Europa l’importante confessione che la forza della verità ha strappata dal cuore dei più famosi professori dell’università protestante di Oxford, il più fermo baluardo della chiesa anglicana, che, per la bocca del dottor Newman, han detto: « la Chiesa romana è la sola che ha conservate intatte le dottrine del Cristianesimo. » Oh bell’omaggio degli stessi maestri dell’errore renduto alla sola Religione di verità, e che mentre è di un augurio prezioso per loro, indicandone il facile e non lontano ritorno, è ancora un argomento di gran consolazione per noi! O anime veramente cattoliche, che sentite il pregio della vera fede, perché in essa solamente si trovan le vere consolazioni del tempo e le legittime speranze dell’eternità, aprite il cuore alla riconoscenza verso Iddio che, avendovi fatto nascere in questa Chiesa, unica depositaria del vero, vi ci ha conservato. Miseri noi! che saremmo noi fuori di questa Chiesa ed estranei al suo insegnamento? Che sapremmo noi di Dio e dell’uomo, se non fossimo cristiani? Che cosa ce ne potrebbe dire di vero, di sicuro la filosofia pagana, se noi non avessimo altra scuola che la sua per sapere che cosa siam noi, a che siam venuti in questo mondo, chi è il Dio che ha diritto alla nostra servitù, al nostro amore? Che cosa ce ne potrebbe dire essa, che, dopo aver impiegati dieci secoli a decifrar questi enimmi, ed aver promesso al mondo di scoprire la vera sapienza, ai tempi di S. Paolo non avea ancora, dopo tante ricerche, trovato che l’errorr, il dubbio e la stoltezza? Sapientiam quærunt, et stulti facti sunt. – Senza la scuola della Chiesa, che sapremmo noi di vero e di sicuro intorno alla Trinità, a Gesù Cripto, alla sua Religione? Quello che ne han saputo gli eretici, che, sdegnando il cattolico insegnamento, hanno coi proprj lumi interpretato la Scrittura. Ma a quale scuola andremmo noi? A quella di Lutero o a quella di Calvino? Consulteremmo i puritani o gli anglicani? i quaccheri o i metodisti? i riformatori o gli evangelici? gli scismatici d’Occidente o le servili sette dell’Oriente? i libertini inglesi o i panteisti francesi? Dove troveremmo noi meschini la verità che è una. che tutte le sette si arrogano, e perciò stesso provano che non è in alcuna di loro? Vi sono è vero delle nozioni di Dio, della Trinità, di Gesù Cristo in tutte le sette che si dicono cristiane. Ma come le più belle piante, trasportate in cattivo terreno e sotto un clima malsano, presto degenerano e si disseccano; così le stesse verità cattoliche, trapiantate, sul terreno limaccioso e palustre, esposte all’alito pestilenziale dell’eresia, si sono presto alterate e corrotte. Sicché quelle stesse verità che gli eretici han rubate a noi, han portato via nel separarsi da noi, non le conservano e non le credono come noi. Tante sono le idee erronee che vi mescolano, le false conseguenze che ne deducono, le detestabili applicazioni che ne fanno! – Come un insetto velenoso, passando sopra d’un vaghissimo fiore, lo appesta, e ne altera l’odore e la natia bellezza; così l’eresia altera e guasta tutte le verità che discute, tutte le virtù che raccomanda. Svolgete i libri dei teologi dell’eresia; considerate come parlano dei dommi, che pur dicono di aver comuni con noi: è impossibile, coll’ajuto di questi libri, il formarsi un’idea chiara e precisa di quello che si deve credere intorno ai più grandi misteri della Religione cristiana. I termini ne sono sì vaghi, le frasi si tortuose, le espressioni si ambigue, i sensi sì varj. le esposizioni sì oscure e sì incoerenti, che la teologia protestante intorno ai misteri sembra fatta per imbrogliare la mente, confonderla o disgustarla della fede nei cristiani misteri. No, un teologo protestante, un eretico, richiesto a rispondere sopra una verità cristiana, non mai ne darà un’idea chiara e precisa che possa farne conoscere 1’errore contrario. Quando Osìandro, vivente ancora Lutero, pubblicò la sua orribile dottrina intorno alla giustificazione, quattordici chiese ereticali, fondate da Lutero medesimo, trattarono Osiandro da eretico. Ma volendo far conoscere in che la dottrina di Osiandro era erronea e stabilire intorno a questo domma la verità cattolica stessa materia: ciò che, lungi dal definire la questione, non servì che ad imbrogliarla di più; il perché le quattordici chiese che pretesero di combattere Osiandro e trattarlo come un eretico, non intendendosi più fra di loro, si divisero tosto in quattordici sette diverse e, trattandosi l’una e l’altra da eretica, presero a combattersi anche fra loro. – Al contrario, appena la vera Chiesa, nel concilio di Trento, parlò su questo stesso argomento, essa lo fece con tanta precisione, con tanta uniformità, con tanta chiarezza, che la verità cattolica intorno al domma della giustificazione brillò di nuova luce agli occhi dei veri fedeli, e tutti gli errori contrarj furono scoperti, confutati e distrutti. Ma non è dato all’errore il parlare il linguaggio schietto, sincero, chiaro e sicuro della verità. Come chi vive lontano dalla propria patria finisce col perderne ancora il natio linguaggio; così gli eretici, coll’essere usciti dalla Chiesa, la vera patria dei fedeli qui in terra, ne han perduto il linguaggio, e non sanno più parlare cattolicamente delle stesse cattoliche verità che han ritenute. Ma, ripetiamolo ancora: in faccia a questa impotenza degli eretici di parlare la verità, quanto è bello il vedere nella Chiesa Cattolica i dotti e i teologi proporre, dimostrare tutti i dommi rivelati con una precisione di linguaggio, con una esattezza di espressione, con una uniformità di senso, che è impossibile il non riconoscervi alla prima lettura la cattolica verità così pura e scevra di errore come fu da Dio stesso rivelata! che anzi è ancora più bello il sentire i laici stessi, le donne, i giovanetti, tanto solo che siano stati istruiti nel catechismo, formati alla scuola della predicazione cattolica e delle cattoliche letture, il sentirli, dico, enunciare idee giuste, chiare, precise intorno alla trinità di Dio, all’incarnazione del Verbo, al numero ed alla efficacia dei sacramenti, all’estensione ed alla forza della legge divina, alla pratica ed ai pregi della vera virtù, all’origine, alla condizione dell’uomo, allo stato dell’anima nella vita presente e nella vita futura! Che cosa diviene la scienza orgogliosa del teologo protestante, a che vale la sua pretesa erudizione biblica, scienza solo negativa, scienza di confusione e d’incertezza, in faccia alla fede umile, ma positiva: chiara, certa, precisa di un vero figlio della Chiesa? Messi a confronto, questi due allievi, l’uno della scuola dell’inquisizione umana, l’altro della rivelazione divina, l’uno non sa che negare, mentre l’altro afferma; l’uno discorre, l’altro crede. E perché il parlare la verità non è dato all’erudizione, ma alla fede; 1’uno, con tutta la sua dottrina, balbetta da fanciullo; l’altro, coll’ajuto della sua fede, parla da uomo; e la vera scienza si trova in fondo dalla parte dov’è la verità.

§ VII – Si passa a discorrere del quarto ed ultimo carattere dell’insegnamento della fede, la sua certezza. I agi, istruiti alla scuola della rivelazione divina, conobbero i più grandi misteri non solo senza errore, ma ancora senza dubbiezza. Prove della fermezza e della costanza della loro fede.

Il quarto ed ultimo carattere dell’insegnamento della vera fede, del quale ci rimane ora a trattare, si è, secondo la dottrina di S. Tomaso, d’ingerire negli animi una somma fiducia ed una somma certezza delle cose che s’imparano a questa scuola divina, e di essere perciò non solo, come si è veduto, esente di errore e veridico, ma ancora fermo e costante da escludere ogni incertezza, ogni dubbio,  FIXA CERTAMINE, ABSQUE DUBITATIONE ET ERRORE. – Or questo suo magnifico carattere, questo privilegio meraviglioso, questa efficacia tutta divina spiegò l’insegnamento della fede la prima volta che da Dio stesso fu messo in opera coi gentili nella persona dei Magi. Questi fortunatissimi uomini, perché istruiti appunto per via di rivelazione e di fede, non solo conobbero, non solo crederono nella loro integrità, nella loro purezza, le più grandi verità, i più sublimi misteri, ma ebbero altresì di ciò che crederono e di ciò che conobbero una certezza piena, assoluta e perfetta. Tutto ciò chiaramente deducesi dalla confidenza, dalla vivezza, dalla generosità, dalla costanza e dalla tranquilla sicurezza della lor fede. Qualcosa difatti, se non una persuasione, un convincimento profondo, poté da prima ispirare a tre uomini, di professione filosofi, di condizione monarchi, tanto coraggio e tanta fiducia da abbandonare senza indugio i loro regni, i loro popoli, le loro patrie, le loro famiglie, le loro ricchezze, i loro agi, le loro delizie, ed intraprendere nel cuore dell’inverno, in contrade straniere e nemiche, un difficile e disastroso viaggio, di cui era indefinita la lunghezza, perché ne era il termine ignoto? Imperciocché, veduta appena la stella, docili e pronti alla voce del prodigio e molto più all’interior movimento della grazia, eccoli mettersi in cammino come all’azzardo, giacché sul principio non sapevano se la stella che loro avea fatto da apostolo, lor servirebbe ancora di guida; ma pure con una ferma credenza che era veramente nato il Messia, e con una fiducia inalterabile che lo avrebbero in fine trovato. Ma non abbiamo noi bisogno di argomentare la fermezza della fede de’ Magi, mentre Iddio stesso ce l’ha fatta conoscere, mettendola ad una prova difficile e delicata. Appena essi metton piede nelle contrade della Giudea, ecco tutto ad un tratto scomparire al loro sguardo la stella miracolosa che era stata fino allora guida si fedele e motivo di tanta consolazione nel loro cammino. Ora, altri uomini che i Magi, al vedersi all’improvviso abbandonati dal segno celeste in lontano paese, senza sapere se dovevano battere a destra o volgere a sinistra, se andare innanzi, o ritornare addietro, si sarebbero perduti di animo, si sarebbero stimati illusi, avrebbero accusato sé stessi dicendo: « Oh stoltezza che è stata la nostra! Come mai, re e filosofi, abbiamo potuto con tanta precipitanza cedere ad un’illusione ottica, prendere uno scherzo di luce, un fenomeno naturale per un portento celeste, ed uno scaldamento di fantasia per una rivelazione divina? Che re? che Messia? che Dio è quello di cui ci siamo impegnati di andare in cerca? Eccoci, dopo avere in tredici giorni coi nostri dromedarj percorsa la distanza di mille miglia, e sostenuti i disagi di un penoso cammino a traverso i deserti, eccoci in un paese straniero, nei dominj di un re barbaro, senza scorta, senza guida, senza difesa. Ah! siamo stati troppo insensati e troppo ciechi. Ea trista comparsa che faremo nel ritornare fra i nostri popoli, senza avere raggiunto lo scopo del nostro viaggio, e le secrete beffe dei saggi con cui vi saremo accolti, non ci puniranno mai abbastanza della nostra leggerezza e della nostra imprudenza. » – Cosi avrebbero, senza dubbio, giudicato e parlato uomini in cui la fede nella nascita del Messia non fosse stata fermissima. Ma i Magi non giudicarono, non parlarono così. Col cessare di balenare ai loro occhi la stella, non è un solo istante scossa la loro fede. Non vedono più il segno, ma non perciò credono men di pria il suo significato. Una volta che han conosciuto Gesù Cristo, più nol dimenticano. Quanto più si vedono abbandonati tanto confidan di più; e quanto più si sentono desolati, tanto più amano. Non temono di essersi ingannati sulla natura della stella e sullo scopo della sua apparizione; non dubitano un sol momento che divina fu la luce che aveva illuminata la loro mente, e divine pur le voci che avevano sentite nel loro cuore. Non si accusano di leggerezza nell’aver fatta, senza bastevoli indizj, una mossa sì straordinaria e sì solenne. Non si scoraggiano, non si pentono, non danno addietro, non rimangono un solo istante incerti sul partito da prendere; ma pieni di confidenza entrano in Gerusalemme e pubblicano per tutte le vie come certissima la nascita del Messia, e cercano e chieggono, con una pia importunità a quanti incontrano, il luogo ove poterlo trovare: Venerunt Hierosolymam dicentes: Ubi est qui natus est rex Judæorum? Oh belle parole! oh confessione preziosa, che annunzia una fede non men viva che ferma e immobile! Non dicono già: « Secondo i nostri calcoli ci sembra che dovrebbe esser nato il Messia. La stella che abbiamo veduto ci è parsa esser quella che Balaam nostro antenato ha predetto che doveva spuntar col Messia ed indicarne il nascimento. « Ma coll’accento di una persuasione intera e perfetta dicono: » Il Messia è nato: Natus est rex Judæorum. La stella che abbiamo veduta è certamente la sua, vidimus stellam ejus: e lo scopo della nostra venuta non è già di chiarirci coi proprj occhi della verità del mistero, ma di rendergli omaggio e di adorare il Dio che è nato uomo per la salute degli uomini: Natus est rex Judaorum, et venimus adorare eum. O Giudei, non vi cerchiamo noi adunque se sia o no veramente nato questo Salvatore divino. Noi lo sappiamo di certo. Intorno a ciò la nostra fede non ci ha ingannati. Miracolosa veramente è stata la stella che abbiam veduta, divina veramente è stata la rivelazione che abbiam avuta: Vìdimus stellam ejus, natus est. Ma la stella che ce ne ha manifestata la nascita non ci ha però indicato il luogo dove ritrovarlo.Questo luogo vogliamo solo da voi conoscerlo qual sia. Perciò siamo venuti tra voi. Voi avete tra le mani le Scritture,gli oracoli, le profezie che parlan di lui, non potete ignorare quest’angolo fortunato della terra in cui è nato il Re del cielo. Voi lo sapete con certezza, voi soli potete istruircene; e noi non possiamo conoscerlo se non da voi. Deh ditecelo per pietà, dov’è? dove è esso mai? ubi est? ubi est? Deh. un indizio che cel discopra, una parola che ce lo mostri, un segno che ce lo additi! Noi siamo premurosi, se nol sapete,di offrirgli, coi donativi che gli abbiamo recati, tutti noi stessi. Il cuore ci balza in seno di santa impazienza di darci a Lui per suoi servi e suoi adoratori; « venimus (cum muneribus) adorare eum. ». Ma la fede dei Magi quanto è ferma e viva, tanto è generosa:ed oh il bel coraggio che loro ispira! Imperciocché dove mai levan essi la voce e predicano la nascita del Re de’ Giudei: natus est rex Judæorum? In Gerusalemme, nella metropoli stessa della Giudea, sotto gli occhi di Erode, che perla via degli intrighi i più tenebrosi e dei più grandi delitti si era usurpata col titolo l’autorità di re dei Giudei. Dire dunque, in tal luogo ed in faccia ad un tal re: «Dov’è ilRe dei Giudei che è nato? » poteva sembrare lo stesso che dire:« Colui che qui regna, non è di questo popolo il legittimo re. Noi sappiamo che è nato il Re legittimo dei Giudei, e cerchiamo sapere dov’è, pronti a riconoscerlo ed adorarlo. » Ora ci voleva egli di più per risvegliar le paure, per accendere. il furore della politica usurpatrice dei regni, assai più furibonda e crudele dello stesso fanatismo di religione? Come mai adunque, dice l’Imperfetto, tenere un siffatto linguaggio? Non sanno i Magi chi è Erode che regna in quella contrada?Non intendono che chi ha immolato il proprio fratello all’ambizione del regno non la perdonerebbe ad uomini estranei, nell’impegno di conservarlo? Sono re essi stessi:non conoscono adunque la legge conservatrice della pace e dell’ordine di ogni impero, che chiunque, vivente ancora il re d’uno stato, si mette a proclamare e si protesta prontoa riconoscere un altro re dello stato medesimo è punito dell’ultimo supplizio, come complice e ministro di un tiranno? Sì, uomini in cui il vanto della sapienza è in proporzione della nobiltà della nascita, dell’elevatezza del rango, sanno ed intendono tutto ciò molto bene. Si sono pure accorti che questa novella della nascita di un nuovo re, portata da essi re forestieri, venuti con gran pompa da remote contrade, eda essi pubblicata nella città regina con un tuono di tanta asseveranza e di tanta certezza, ha messo in timore Erode e la città tutta in iscompiglio: Turbatus est Herodes et omnis Hyerosolima cum illo. Veggono bene il pericolo che il coraggio e la franchezza del loro parlare può attirar sopra di loro dalla parte di un monarca geloso e crudele, di un sinedrio invidioso,di una città tumultuante e inquieta. Intendono bene che, stranieri, soli, senza forza, senza eserciti, entrati di già nella città capitale, si sono essi stessi messi a discrezione di un re che nella sua brutalità non conobbe mai discrezione,e che nulla avrebbe potuto garantirli dal furore di colui di cui, colla libertà del loro parlare, parevano accusare l’ingiustizia, l’usurpazione, la tirannia. Ma i Magi intendono altresì che Iddio non per altro gli ha condotti in Gerusalemme se non perché vi pubblichino la nascita del Messia e, gentili che sono, facciano da predicatori ai Giudei. Sentono di avere una missione da Dio. e tutti i pericoli che possono lor venire dagli uomini non li arrestano dal compirla. Intenti a secondare i disegni del Re del cielo, la loro fede dimenticai riguardi suggeriti dalla politica verso un re della terra.Tema e si agiti quanto e come vuole Erode e gli abitanti di Gerosolima. divenuti pei loro vizj un popolo degno di un tal monarca: i Magi non temono né la gelosia del tiranno usurpatore, né la malignità degli scribi, né  il furore del popolo.La solitudine in cui si trovano non li disanima, la presenza del pericolo non li conturba, il timor della morte non li arresta; e non cessano di ripetere per le pubbliche vie la nascita del nuovo re de’ Giudei; non ristanno dal chiedere, dall’insistere che lor si dica dove trovarlo, per poterlo riconoscere ed adorare: Dicentes, Ubi est rex Judæorum? venimus adorare. Oh fede generosa, fede magnanima,fede sublime! non hanno ancora veduto questo re Messia, e già lo confessano! non sanno ancora bene di Lui, e son pronti a morire per Lui! non ne sono ancora discepoli, e se ne fanno i primi apostoli, i primi evangelisti; felici se la crudeltà del tiranno vorrà farne altresì i primi martiri! Trionfatrice dei pericoli, la fede dei Magi si tenne ferma all’urto ancora più potente degli scandali. Noi considereremo a parte nella seguente lettura il delitto e l’infame condotta de’ Giudei in questa circostanza solenne. Per ora ci giova osservare che il loro iniquo procedere fu una terribile pietra d’inciampo alla fede dei Magi. Imperciocché, dopo di aver loro indicato il luogo della nascita del Messia, la sinagoga giudaica non si diede alcun pensiero di cercarlo, di rendergli omaggio, come ne aveva il dovere; essa che non esisteva. che per Lui, per prepararne le vie , per sperimentarne la prima i beneficj, come era stata la prima a riceverne le promesse. Quale scandalo adunque per questi poveri gentili l’indifferenza che mostran pel Messia i suoi stessi Giudei! Quale scandalo per questi stranieri la noncuranza che pel Messia mostrò lo stesso suo popolo! Quale scandalo per questi laici il disprezzo che pel Messia mostrarono i suoi sacerdoti! Parea che a tal vista i Magi avessero dovuto dire fra loro: « Come può mai essere veramente il Messia, il rede’ Giudei colui di cui andiamo in cerca, se i Giudei stessi,che da tanti secoli lo attendono, non fanno alcuna attenzione alle parole con cui ne abbiamo, loro annunziato la nascita, e nessun si muove, nessun si dà pensiero di verificarla? Essi ci han detto il luogo in cui il Messia deve nascere secondo le profezie. Come sanno il luogo, così ancora sanno senza dubbio il tempo di questo nascimento. Poiché dunque punto non badano alle nostre parole, bisogna dire ch’essi non credono venuto il tempo in cui il Messia deve nascere, e che quello di cui noi cerchiamo, non è altrimenti il Messia. E poi è possibile che il Messia, il Re de’ Giudei, come si è rivelato a noi stranieri e gentili, non si sia prima rivelato a’ suoi Giudei, cui è stato promesso? Eppure qui nessuno Sa nulla di un nascimento che deve cangiare la condizione di tutto un popolo, ed il primo avviso vi si riceve da noi. Possibile che noi, idolatri, intendiamo i misteri del vero Dio meglio di coloro che ne sono i soli adoratori veraci, che ne hanno in deposito le profezie e gli oracoli, e ne sono legittimi interpreti? Non è più facile il credere che noi ci siamo lasciati illudere dal fenomeno della stella di quello che i Giudei si siano ingannati intorno al mistero del Messia di cui trovami solamente fra loro i veri sacerdoti e i veri profeti?Ma no; i Magi la discorron ben altrimenti, e nel Giudeo che addita loro i l luogo della nascita del Messia senza darsi alcuna premura di ritrovarlo egli stesso, e che resta volontariamente nelle tenebre nel momento che presenta agli altri la luce, in questo Giudeo, dico, i Magi distinguono il sacerdote dall’uomo; il sacerdote depositario della rivelazione divina dall’uomo soggetto alle passioni umane; il sacerdote che parla sotto la ispirazione celeste dall’uomoche opera sotto l’influenza infernale; il sacerdote organo dello Spirito Santo che per la bocca di lui manifesta la verità che illumina, dall’uomo organo del demonio che per la di lui condona presenta uno scandalo che seduce. Ascoltano adunque docili ciò che loro si dice, ma non si lasciano punto scuotere da ciò che alla loro presenza si fa. Praticano ciò che odono, e non badano a quel che vedono. Profittano della preziosa lezione che ascoltano, ma non si fermano all’esempio funesto che ricevono. La parola del Giudeo li illumina, ma la sua condotta non li perverte. Lasciano il Giudeo occupato a leggere curiosamente la Scrittura, e si affrettano di andare a tributare al Dio della Scrittura un’adorazione umile e fedele. E questo scandalo, il maggiore di quanti iMagi ne hanno finora ricevuto, lungi dal render loro sospetta la rivelazione della stella, ve li conferma: lungi dal far vacillare la loro fede bambina, la corrobora; lungi dallo spegnere il loro fervore, lo accende. Oh forza, oh efficacia della certezza che la fede ispira! Finalmente, l’ultimo effetto e l’ultima prova insieme della certezza della fede dei Magi si è la calma, la pace perfetta con cui vi si riposano. Una sola cosa rimaneva loro a sapere: il luogo della nascita del Messia; e questa sola domandano: Ubi est qui natus est? Sul rimanente delle verità sante, dei sublimi misteri che sono stati ben rivelati, la loro mente è perfettamente tranquilla, il loro cuore è sicuro. Perciò non muovono dubbj, non raddoppiano interrogazioni, non intavolano dispute, non istanno ad argomentar coi Giudei, e. discutere con Erode, ma si abbandonano con una immensa fiducia alle manifestazioni ineffabili che Dio si è degnato loro di fare certissimi che tutto ciò che essi sanno, tutto ciò che essi credono, è vero. Ricevuta adunque la sola risposta, il solo oracolo che erano venuti a cercare in Gerosolima, abbandonano senza indugio questa città infedele in preda al suo accecamento ed al suo orgoglio, e si avviano a Betlemme,senza alcuna sollecitudine, senza alcun dubbio sull’esito fortunato del loro viaggio: Qui cum audissent regem abierunt.Ma se la fede dei Magi non ha più bisogno di ammaestramenti,di lezioni, di guide per ritrovare Gesù Cristo, e perciò essi non le cercano, non le domandano; il loro cuore però puro e retto ben è degno di ricevere dalla bontà di Dio consolazione e conforto. Ecco dunque, usciti appena da Gerusalemme, mostrarsi loro più brillante di pria la stella miracolosa che li avea guidati nella Giudea. Rei vederla, iloro cuori balzarono di una tenerissima gioja. L’espressione dell’evangelista indica un’allegrezza immensa, un trasporto,un eccesso di allegrezza: Videntes stellam gavisi sunt gaudio magno valde. Li precede la stella; ed essi, pieni di sorpresa,di fiducia e di amore, l’ammirano e la lodano, la vagheggiano e la seguono: ed essa li illumina e li consola, li guida e li sostiene, stella antecedebat eos e fa loro sentire che sono presso alla meta del loro cammino, all’oggetto de’ santi loro trasporti. Affrettano adunque il passo, raddoppiano gli sforzi; e tale si è il piacere che si ripromettono di ritrovarsi. nell’abitazione ed alla presenza del Salvatore che son venuti di sì lontano a cercare, tale la gioja di cui questa speranza li colma che quasi più non distinguono tra l’essere di già alla grotta e l’andarvi: Gavisi sunt gaudio magno valde.

§ IX. –  Magi crederono con certezza, perché la loro fede ebbe per fondamento: 1.° l’autorità divina; 2.° una rivelazione uniforme; 3.° il soccorso della grazia. Questi stessi tre motivi di credere trova il Cattolico nell’insegnamento della Chiesa, che lo rendono certissimo nella sua fede. Bel prodigio che la grazia della fede opera nel vero cattolico, la cui credenza, a somiglianza di quella dei Magi, è ferma nelle sue prove e vivissima nei suoi trasporti. L’uomo carnale, il freddo razionalista non intendono nulla di questo prodigio. Lo deridono, ma saranno un giorno derisi essi stessi.

Ma non ha nulla di strano tanta certezza nei Magi, che si manifesta con una fede si confidente, sì viva, sì generosa, sì costante, sì tranquilla e sì lieta. I Magi da prima riconobbero la voce e la parola di Dio tanto nella luce della stella che parlò ai loro occhi quanto nel discorso della sinagoga che parlò alle loro orecchie. In tutte e due queste testimonianze, tutte e due miracolose (giacché non era meno miracolosa l’esistenza della sinagoga, sola posseditrice del vero in mezzo alle tenebre degli errori del mondo spirituale, di quello che l’apparizione della stella nella oscurità della notte del mondo corporeo), in tutte e due, dico, queste testimonianze venerarono una autorità divina che a nome di Dio lor parlava di Dio. Credettero adunque a Dio ed alla sua parola; e la parola di Dio, infallibilmente verace, cattiva l’intelletto che illumina, ingerisce una fiducia ed una somma certezza. In secondo luogo essi ricevettero una rivelazione uniforme: giacché come tutti videro egualmente il prodigio della stella ed udirono egualmente l’oracolo della sinagoga, così egualmente intendettero l’uno e l’altro linguaggio, gli diedero il medesimo senso, lo crederono al medesimo modo, presero le stesse risoluzioni, si assoggettarono agli stessi sacrifici, alle stesse pratiche; c sebbene fossero essi filosofi, ed i pastori ignoranti, pure in Betlemme si trovarono a credere le stesse verità, ed in uno stesso luogo si trovarono riuniti nello stesso spirito e nella stessa fede. Or quest’accordo meraviglioso e perfetto, onde i Magi ed i pastori, di patria, di linguaggio, d’ingegno, di costumi e di religione diversi, tutti in un punto si trovarono della stessa opinione e dello stesso sentimento sulle verità che avevano conosciute, toglieva a ciascuno in particolare qualunque dubbio o timore che i suoi sensi, la sua fantasia, o il suo giudizio avesse potuto ingannarlo, e Io rendeva certo che ciò che aveva conosciuto era la verità. Così la fede comune ed uniforme di tutti corroborava la fede di ciascuno in particolare; e ciascuno in particolare si sentiva ancora più forte e credeva ancora colla fede di tutti. Terzo finalmente, come si è più volte notato nel corso di questo libro, i Magi, all’apparire del segno, ne chiesero la spiegazione non alla umana scienza, ma all’illustrazione divina. Lo stesso amoroso Signore, da cui l’umile preghiera è sicura di ottenere ancora più che non chiede non contento di averli per diverse guise illuminati colla sua luce, li rendette ancora certi colla sua grazia; e nel dare alla loro mente la cognizione dei suoi misteri, ne diede loro ancora nel cuore la fede, la fede teologica, la fede divina. – Ora questi stessi Ire motivi che rendettero certi i Magi nella lor fede son quelli che rendono il Cattolico certissimo nella sua. Poiché come il Cattolico ha comune coi Magi la stessa fede, così ne ha con essi comuni i motivi e gli ajutì. E Iddio, nell’avere stabilita la fede dei Magi su questi fondamenti, volle fin d’allora figurare, predire ed indicare le fondamenta della credenza cattolica, dell’insegnamento della vera fede. – Infatti il Cattolico, nel credere che fa alla Chiesa, crede primieramente ad una autorità divina che Dio stesso ha fatta depositaria delle sue dottrine ed ha incaricata d’insegnarle. La Chiesa non foggia altrimenti a suo capriccio i dommi da credere, né i doveri da praticare; ma ci ripete esattamente quello che Dio le ha rivelato. Il Dio che pose la sua divina parola sulla bocca profana e sacrilega di un Balaam, un indovino impostore; che ve la conservò santa e pura, e ne la fece uscire sincera ed intatta; molto più conserva pura e santa la sua parola nella bocca del suo legittimo vicario e nel corpo dei pastori ch’esso ha stabiliti pel governo della sua Chiesa (Act. 22) ed ha rivestiti di un carattere sacro ed augusto, come sono auguste e sante le funzioni cui li destina. – Che cosa infatti, ci attesta mai la storia del cattolico insegnamento? Ci attesta che dalla bocca di uomini d’indole, d’ingegno, di studi, di costumi, di nazione diversi, che per diciannove secoli si sono succeduti sulla cattedra di S. Pietro e sulle sedi delle chiese particolari, e che uniti al lor capo, han parlato ai popoli per istruirli nella scienza di Dio, non è caduta mai alcuna parola profana ed erronea, ma al contrario da essi tutte le verità han ricevuto la loro spiegazione, la loro conferma, tutte le virtù il loro incoraggiamento, tutti gli errori la loro censura, tutti i vizj la loro condanna. Or questo fatto unico, che uomini soggetti ai moti delle passioni, agli allucinamenti della ragione, come tutti gli altri, non abbiano in tanti secoli, in mezzo all’urlo di tante dottrine, insegnalo mai nulla di contrario alla virtù ed alla verità; questo prodigio del Dio redentore, che conserva sempre pura la fede nella sua Chiesa, assai più grande, agli occhi di chi sa comprenderlo, del prodigio onde il Dio creatore conserva sempre viva la luce nell’universo, è una prova visibile e palpabile che l’autorità della Chiesa insegnante è divina. Credere adunque all’insegnamento della Chiesa Cattolica non è credere all’uomo, ma allo stesso Dio, che parla in questa Chiesa, e di cui questa Chiesa non è che l’ineffabile interprete e l’organo fedele. Quel beato fanciullo cristiano adunque di cui parlano le ecclesiastiche istorie, che, nulla spaventato dalle minacce di essere arso vivo nello stesso rogo in cui viva già sotto ai suoi occhi ardeva la sua propria madre, mostrossi come un prodigio di sapienza insieme e di coraggio; poiché confessò costantemente da una parte Gesù Cristo per vero Dio, e dall’altra, interrogato dal tiranno come sapesse che Gesù Cristo era Dio, franco rispose: « Io lo so perché me lo ha detto mia madre, a mia madre lo ha detto la Chiesa, alla Chiesa lo ha detto lo stesso Iddio. » Or ecco dove si risolve in fine la fede cattolica: io credo in Dio e per Iddio: io credo a Dio sulla testimonianze della stessa sua parola infinita, manifestatami per l’organo di una autorità infallibile; e la verità di Dio è l’ultimo motivo della mia fede. – Ora Iddio è verità infinita, e però degno di una fede infinita, come è degno di un infinito amore, essendo bene infinito. Ma finito, come io sono, non essendo capace di cosa alcuna infinita, faccio ciò che mi è possibile; gli rendo ciò che solo è in mia facoltà di rendergli e di che la sua bontà è paga a segno che non esige nulla di più dalla mia debolezza; lo credo al di sopra di tutte le verità, come lo amo al di sopra di tutti i beni. Presto una fede somma alla sua parola; come una somma ubbidienza alla sua legge; cioè una fede che mi fa credere il simbolo al di sopra di tutto ciò che vi è di più certo; ed una ubbidienza che mi fa amare il decalogo al di sopra di tutto ciò che è più degno di amore. In secondo luogo, credere all’insegnamento della Chiesa è credere ad un insegnamento uniforme, costante, invariabile. – Come Cattolico, io so che la mia fede è precisamente la stessa di quella che per quattromila anni fu professata in figura e in aspettazione da tutti i patriarchi, da tutti gli uomini del mondo antico, veri adoratori del Dio vero, da Adamo, cui fu la prima volta rivelata, sino a Gesù Cristo, che questa stessa rivelazione si degnò di rinnovare, di perfezionare, di compiere; che la mia fede è precisamente la stessa di quella che dalla venuta di Gesù Cristo nel mondo, per circa duemila anni, han sempre tenuta e insegnata tutti i pontefici, tutti i concilj, tutti i santissimi Padri, tutti i dottori, tutti i Vescovi, tutti i sacerdoti, tutti i fedeli che sono vissuti e sono morti nel grembo, della vera Chiesa; che se io potessi interrogare le loro ceneri, ed essi mi potessero rispondere, io vedrei attestata e confermata la mia fede da centinaja di migliaja di milioni di testimoni, quanti sono tutti coloro che han professata la fede cattolica e si sono riposati in seno alle sue dolci speranze; ed essi tutti mi assicurerebbero che io non credo né più né meno di quello che han creduto essi stessi, e di quello che per duemila anni si è creduto da tutti, in tutti i tempi e in tutti i luoghi: Quod semper, quod ubique, quod ab omnibus. – E gran cosa! Nessun protestante, come più innanzi vedrassi, è sicuro che quello che esso crede sia da altri allo stesso modo creduto. Ma io, come Cattolico, so ancora che quello che io credo, così appunto come lo credo io, lo credono altresì duecento milioni di Cattolici sparsi sulla superficie del pianeta. Sono essi di patria, di nazione, d’indole, di costumi, d’ingegno e di linguaggio diversi: pure io so di certo che essi, in comune ed in particolare, professano precisamente i medesimi dommi e la medesima legge che professo io stesso. Io so, che nella Chiesa cattolica, quello che insegna un Vescovo lo insegnano ancora tutti i Vescovi; quello che predica un sacerdote lo predicano tutti i sacerdoti: quello che un Cristiano professa di credere lo credono e lo professano al modo istesso tutti gli altri Cristiani, perché tutti hanno studiato alla medesima scuola. Divisi essi in tanti popoli e nazioni diverse, separati da sì enormi distanze di terra e di mare, credon tutti precisamente lo stesso. Dall’orto e dall’occaso, dal settentrione come dal mezzogiorno, da tutti i punti dello spazio come in tutti i momenti del tempo dal seno dell’ immensa comunione CATTOLICA O UNIVERSALE si solleva verso il ciclo lo stesso omaggio degl’intelletti che ripetono in diverse lingue lo stesso simbolo, come si offre da tutti, in diversi riti, lo stesso ed unico sacrificio. Pertanto, portando il mio pensiero nel passato, rivolgendolo al presente, so di certo che quello che credo io è stato sempre così creduto e così ancora si crede. Come il soldato in battaglia è coraggioso e forte non solo per la sua privata forza e pel suo privato coraggio, ma ancora pel coraggio e per la forza dell’esercito di cui fa parte, ossia per la forza del tutto; così come Cattolico, io credo, non solo per la grazia della fede che ho ricevuta io stesso, ma ancora per la grazia della fede sparsa nel cuore di tutti gli altri fedeli. Credo colla fede di tutta la Chiesa di cui sono figliuolo. Ciò è a dire che la fede di sessanta secoli, di moltissime migliaia di milioni di uomini, la fede di tutta la terra, la fede della Chiesa passata e presente cui appartengono li riunisce nella mia mente, e la solleva: nel mio cuore, e lo ingrandisce; aggiunge alla forza della parte quella del tutto; corrobora sempre più il mio assenso, e lo colloca sopra una base di una infinita certezza e lo conferma e lo sostiene e lo nobilita e lo perfeziona. – Finalmente, Dio è fedele, provvido e pietoso; non abbandona alla sua natia miseria l’uomo che cerca di elevarsi a Lui, di unirsi a Lui per mezzo di una fede e di un amore soprannaturale e perfetto. Si piega verso dell’uomo con bontà, gli stende dal cielo una mano amorosa, e come fortifica il nostro cuore disposto ad amarlo, così solleva il nostro intelletto desideroso di riconoscerlo. Grande al certo e sorprendente si è lo sforzo dell’intelligenza umana! che a verità soprannaturali, misteriose, profonde, incomprensibili, che non si vedono, presta un assenso più vigoroso, più intimo, più costante, più perfetto di quello che è possibile di prestare alle verità naturali le più semplici, le più ovvie, le più facili ad intendersi e che si vedono. Ma come può essere altrimenti? subito che l’insegnamento della vera fede, che produce il miracolo di un assenso sì meraviglioso. sì appoggia ad una autorità divina. Dio stesso, si fortifica dall’uniformità dell’assenso della Chiesa universale, e, quello che è più si sostiene per un soccorso, gratuito si. ma soprannaturale e divino. Sicché il prodigio di un intelletto debole che crede alla parola infinita al di sopra di ogni altra verità è l’effetto della grazia e dell’abito della fede divina; come il prodigio di un cuore sì corrotto che ama la infinita bontà al di sopra di tutti i beni è l’effetto della grazia o dell’abito della divina carità, grazie ed abiti che nel Battesimo si ricevono. È dunque Dio, onde l’uomo, secondo una frase del Profeta, si solleva come ad un cuore alto, così ad un’alta intelligenza, sino a Dio stesso; affine che questo Dio, per quest’atto della sua potenza e del suo amore, sia sempre meglio conosciuto e glorificato: Accedet homo ad cor altum, et exaltabitur Deus (Psal. LXIII). E se l’uomo crede con tanta disinvoltura, come fanno i veri fedeli, misteri cotanto superiori all’intelligenza umana; come, se pratica con tanta felicità, alla maniera dei veri giusti, virtù cotanto superiori all’umana debolezza, ciò accade perché è corroborato da una forza tutta divina e perché è forte, direi quasi della stessa forza di Dio ed amante del suo medesimo amore. – Fondata però la certezza cattolica sulle stesse basi di quella dei Magi, eccola produrre i medesimi effetti e manifestarsi per gli stessi prodigi di una fede somma, viva, generosa. costante e tranquilla. – Mirate il vero Cattolico: allevato egli alla scuola della rivelazione, di cui Gesù Cristo è l’autore, e depositaria ed interprete la Chiesa, è più certo della verità di ciò che crede che della verità di ciò che sente, di ciò che tocca, di ciò che vede. La testimonianza della Chiesa non solo esclude ogni dubbio dal suo animo, sine dubitatione, ma vi produce una certezza fermissima, immutabile intorno alle verità rivelate, fixa certitudine; una certezza mille volte più piena, più completa, più perfetta di quella che vi produce la testimonianza dei proprj sensi intorno alle cose sensibili, la testimonianza del proprio intelletto intorno ai primi principj delle cose intellettuali, la testimonianza dell’intimo senso intorno ai fatti interni. Nessun dubbio seriamente tale, che lasci l’anima nella tema che l’opposto di ciò che crede possa esser vero, si solleva mai dal fondo della sua ragione. Il vero Cattolico erede in Dio, come il vero giusto lo ama: con tutto il proposito di un cuore fedele, ex toto corde; con tutta l’energia di un’anima generosa, ex tota anima; con tutta la pienezza di un assenso di un intelletto soggiogato dalla forza dell’evidenza, ex tota mente; con tutte le forze che è possibile riunire per prestare un’adesione somma, intima, profonda e perfetta, ex totis viribus. Direbbesi in certo modo che la fede, per l’anima veramente fedele, perde le sue tenebre misteriose. Quello che crede per effetto della grazia, lo tiene per così certo e reale come quello che potrebbe Dio fargli vedere per un raggio anticipato della sua gloria. – Narrasi di S. Enrico imperatore che, invitato a vagheggiar Gesù apparso in forma di bambino al di sopra di una ostia consacrata, ricusò di andarvi, dicendo che la sua fede non aveva bisogno di questa sensibile testimonianza per credere alla presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucaristia, e che la fede di questo miracolo non avrebbe in lui accresciuta una fede incapace di accrescimento. Or questi sentimenti generosi, queste nobili disposizioni del cuore di sì santo personaggio, esprimono presso a poco i sentimenti e le disposizioni del cuore dei veri figli della Chiesa. Hanno essi tale certezza della verità di ciò che credono che non ne possono avere una maggiore, e che la grazia può bensì accrescere e perfezionare la loro fede, ma gli esterni argomenti non possono aggiungervi nulla di più; e perciò vi prestano tutta l’adesione, lutto l’assenso di che sono capaci: Absque dubitatione, fixa certitudine. Alcune volte Iddio, per accrescere il merito e purificar la virtù degli uomini veramente fedeli, permette che soffrano orribili tentazioni contro la fede. Questa luce divina, come la stella dei Magi e pel medesimo fine, si ecclissa, si nasconde, non brilla più del suo usato splendore nelle loro menti, non appresta l’usato conforto ai loro cuori. In preda a mille dubbi, a mille agitazioni, a mille incertezze, in cui non sanno abbastanza distinguere tra il soffrire la tentazione e l’acconsentirvi, tra il combatterla e il soccombervi, sembra loro di aver poco meno che perduta la fede, di essere stati abbandonati da Dio, come i Magi al vedersi abbandonati dalla stella. Ma queste tentazioni e questi dubbj siccome sono senza colpa, così sono per lo più senza pericolo. La luce della fede si è allora occultata sotto del moggio (Matth. V.), si è riconcentrata nel fondo della loro anima, si è nascosta, ma non si è estinta. Non la veggono essi più, non la sentono; eppure è la sua forza che li sostiene, è il suo calore che li infervora. Gli assalti del tentatore, simili a quelli che un nemico impotente dà agli esterni ridotti di una fortezza, e che lasciano la cittadella in sicuro, gli assalti del tentatore, dico, rimangono al di fuori del recinto del loro cuore: e la pena che sentono nel provarli, e gli sforzi che raddoppiano per respingerli, e la preghiera e l’ajuto celeste che implorano per trionfarne, mentre sono una prova della fermezza della loro fede, l’accrescono, la fortificano e la perfezionano; giacche come lo ha detto Gesù Cristo a S. Paolo, la virtù in mezzo ai pericoli del combattimento si fortifica. si perfeziona e trionfa: Nam virtus in infirmitate perficitur  (II Cor. XII). E difatti, oh come allora è più umile lo spirito, il cuore più raccolto, la preghiera più fervente! Ed è una cosa veramente ammirabile per chi ha occasion di osservarla e lume per intenderla il vedere queste anime veramente cristiane, in mezzo alle angustie, alle pene, ai timori del loro cuore, lungi dal cercare nei trastulli del mondo un compenso o un sollievo, distaccarsene ancor di vantaggio; e quanto sono più desolate di spirito, tanto più abborrire le lusinghe della carne, attaccarsi di più alla pratica del bene in un tempo che sembra fatto per disgustamele, e per quella strada, onde parrebbe che dovessero allontanarsi da Dio, stringersi sempre più a Dio, e mostrarsi quanto più desolate, tanto più fervorose e fedeli. La ragione di ciò si è, perché queste anime non desiderano già, ma temono che la fede, che loro è si cara, possa loro divenire sospetta. Paventano adunque perché amano; e le loro grandi paure e le loro grandi agitazioni sono grandi atti di amore; e l’amore di Dio è ciò che solleva ed unisce di più l’anima a Dio. Il filosofo profano, vero animale di gloria, che si applaudisce nel secreto del suo orgoglio di saper tutto, e non sa poi nulla di ciò che più è necessario a sapersi, il freddo razionalista, l’inetto sofista, elle non sa che cosa sia credere e perciò ignora ancora che cosa sia amare; costoro non intendono nemmeno i termini di questo linguaggio di fede: mollo meno intendono il fenomeno, il mistero di un’anima interiore che ama di più la sua fede e vi si fortifica; Dio che ne è l’autore, e vi si abbandona, a misura che vede questa fede più combattuta nella sua mente, e questo Dio più severo e che par che più si allontani dal suo cuore. Non intendono né il prodigio di una fede, tormento insieme e delizia dell’anima in cui risiede: né l’eroismo della stessa anima che questo stato medesimo di tanta ambascia preferisce a tutto ciò che il mondo può offrirle di più piacevole e di più lusinghiero. Ma che cosa la carne ha mai capito e potrà mai capire giammai dei secreti dello spirito, e l’orgoglio delle meraviglie della fede? – Mentre però è fermissimo nella sua adesione e nelle sue prove, la fede dell’anima veramente cristiana è ancora vivissima ne’ suoi trasporti. Quello che crede misterioso e lontano par che lo vegga chiaro e presente, come quello che spera pare che lo possegga. Entrate in una chiesa cattolica nel tempo dell’adorazione delle quarant’ore; mirate la calca di gente di tutte le età, di tutte le condizioni, di tutti i sessi, e perciò sì varia agli occhi degli uomini, e di cui frattanto la professione della medesima fede forma un sol cuore innanzi a Dio. Consideratene la compostezza nel portamento, il raccoglimento profondo, l’atteggiamento devoto; uditene le fervide preci, i colloqui confidenti, le aspirazioni amorose, i santi trasporti: e resterete indeciso se costoro credono al gran mistero che adorano o non piuttosto lo veggano; se essi s’intertengono col Dio nascosto sotto il velo del sacramento, o col Dio svelato nella sua gloria; se questo sia il mistero di fede per eccellenza, o non piuttosto quello della visione; e se questo mistero fa esercitare eroicamente o piuttosto mirabilmente corrobori ed avvivi la loro fede. Certo, che, se Gesù Cristo, invece di essere nell’Eucaristia velato sotto le specie del pane allo sguardo corporeo, e noto solo all’occhio della mente illuminato dalla fede, si trovasse assiso sull’altare in una maniera visibile e manifesta; il raccoglimento ed insieme la famigliarità, la confidenza e il rispetto, l’amore e la tenerezza del suo popolo a stento potrebbero essere maggiori. – La stessa vivezza di fede si scorge nei veri Cattolici rispetto agli altri misteri della religione. Ne parlano non come di cose misteriose, lontane e celesti, ma come di cose chiare, manifeste, visibili e presenti sopra la terra. Quindi quel linguaggio ammirabile proprio dei veri Cattolici, in cui Dio e i suoi attributi, Gesù Cristo e i suoi misteri, la Vergine e i santi, gii angioli e la loro protezione, i dommi del paradiso, del purgatorio, dell’inferno, ritornano in ogni istante: linguaggio in cui chi lo sa intendere ravvisa tradotta e manifestata al di fuori nella sua integrità e nella sua purezza la fede del cuore; ma una fede facile, spontanea, sicura, disinvolta, passata, dirò così, in natura; ma sì viva che s’avvicina gli Oggetti lontani, che toglie quasi il loro velo ai misteri, e considera come presenti, visibili, popolari, comuni, terrestri, i più grandi segreti del cielo. Oh grande, oh prodigioso effetto della certezza della fede Cattolica, degno dell’ammirazione del vero filosofo! Ma in questo ancora gli uomini che pensan col ventre o vivon di orgoglio non intendono nulla. E perché  non l’intendono e disperano d’intenderlo, si appigliano all’insensato e comodo partito di deriderlo; chiamano imbecillità, superstizione uno dei più certi miracoli dello spirito di fede; ed attribuiscono alla debolezza dell’uomo ciò che è l’opera della potenza di Dio. Ma che importa a noi ciò che essi dicono? Sappiamo noi ciò che crediamo, e come lo crediamo; ed un giorno la nostra semplicità, al presente derisa, comparirà quello che è veramente, sublime sapienza; ed al contrario, la sapienza orgogliosa dei nostri censori sarà ridotta al silenzio e data all’universo in ispettacolo di obbrobrio; convinta rea di volontaria follia, di profonda impostura, e come tale tremendamente punita!

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (17)

CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (17)

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) – BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR

+ AEM. BONGIORNI, Vie. Gen

III.

CATECHISMO PER GLI ADULTI DESIDEROSI DI APPROFONDIRSI NELLA CONOSCENZA DELLA DOTTRINA CATTOLICA.

CAPO XI.

Dei peccati attuali ossia personali (*).

(*) Circa il peccato originale, vedi sopra le D. 59 e segg.

D. 562. Chiunque, non ostante la grazia che Dio sempre concede per la salvezza, trasgredisce la sua legge, che cosa fa?

R. Chiunque, non ostante la grazia che Dio sempre concede per la salvezza, scientemente e liberamente trasgredisce la sua legge, commette un peccato attuale, ossia personale.

D. 563. Che cos’è dunque il peccato attuale?

R. Il peccato attuale è una trasgressione della legge di Dio, scientemente e liberamente commessa.

(Questa nozione del peccato rimane vera non solo quando il peccato vada contro un comandamento divino, ma anche quando vada contro un comandamento umano, perché è sempre Dio quello che comunica il potere – ogni potere vien da Dio – ed esige l’osservanza dei comandamenti emanati dai legittimi superiori – ubbidite a quelli che vi soprastanno).

D. 564. In quanti modi si può commettere il peccato attuale?

R. Si può commettere il peccato attuale col pensiero, con la parola, e con l’opera, e questa o ponendola od omettendola; si può ancora commetterlo o contro Dio, o contro noi stessi, o contro il prossimo, secondo che la legge violata riguardi direttamente Dio, noi stessi o il prossimo.

D. 565. Che cosa viene a prodursi dalla ripetizione del medesimo peccato attuale?

R. Dalla ripetizione del medesimo peccato attuale viene a prodursi un abito, per cui siamo inclinati a male operare; tale abito vien detto vizio.

D. 566. Come si divide il peccato attuale?

R. Il peccato attuale si divide in mortale e veniale (S. Gerol.: Adv. Jovinian., I I , 30; S. Cesar. d’Arles, Sermo XIV, 2).

D. 567. Che cos’è il peccato mortale?

R. Il peccato mortale è una trasgressione alla legge, scientemente e liberamente commessa con la coscienza di un obbligo grave.

D. 568. Perché tale peccato vien detto mortale?

R. Tale peccato vien detto mortale perché distoglie l’anima dal suo ultimo fine; la priva della sua vita soprannaturale, che è la grazia santificante; la rende meritevole della morte eterna nell’inferno; rende inefficaci i meriti acquisiti, a tal segno che non hanno più valore ai fini della salvezza, fintanto che non rivivano per via della grazia ricuperata; ed infine impedisce le opere meritorie della vita eterna.

(Ezech., XVIII, 24; XXXIII, 13; Paolo: I ad Cor., VI, 9, 10; XIII, 1-3. — Sii pronto, o Cristiano, a perdere tutti i beni della terra, ad andare incontro a qualunque sia male, compresa la morte, piuttosto che di macchiarti di un peccato mortale, l’unico, vero e grande male dell’uomo, offesa infinita fatta a Dio, mostruosa ingratitudine verso di Lui, temerità inaudita e rovina per sé stessa irreparabile dell’anima tua. Di fronte alla incalzante tentazione, pensa all’infernale voragine nel cui abisso verresti da te stesso a precipitarti peccando mortalmente; pensa a Gesù Crocifisso di cui stai per calpestare il sangue e le piaghe. Tieni sempre fissa in mente la parola dell’Eccli., XXI, 2: « Fuggi il peccato come se vedessi un serpente »).

D. 569. Che cos’è il peccato veniale?

R. Il peccato veniale è una trasgressione della legge, scientemente e liberamente commessa con la coscienza di un obbligo leggero.

(Rispetto alla materia, il peccato mortale può definirsi: la trasgressione (scientemente e liberamente commessa) di una legge che gravemente obbliga, cioè la cui materia è grave;

il peccato veniale: la trasgressione di una legge che leggermente obbliga, cioè la cui materia è leggera;

per sapere, poi, se la materia della legge è grave o leggera, bisogna di tal giudizio chiedere il criterio alla Rivelazione, all’autorità dei Santi Padri, alle dichiarazioni della Chiesa, all’opinione comune dei Dottori; ma su questo punto i fedeli potranno attenersi al giudizio di un prudente confessore. Qualora, poi, si venisse a commettere un peccato, a ragione della materia, mortale, ma con l’erronea coscienza di un obbligo lieve, quel peccato sarà veniale; sarà, viceversa, mortale un peccato che, veniale a ragione della materia, vien però commesso con la coscienza (erronea) di un obbligo grave. Da ciò segue che le definizioni qui presentate del peccato, sia mortale che veniale, sono sempre vere).

D. 570. Perché tale peccato vien detto veniale?

R. Tale peccato vien detto veniale perché, non distogliendo esso l’anima dal suo ultimo fine, né producendo la morte spirituale, più facilmente può ottenere il perdono, anche senza la confessione sacramentale, e costituisce dell’anima una specie d’infermità che per la sua stessa natura più facilmente può venir guarita (Pio V, prop. 20 fra quelle condannate del Bajo, 1 ott. 1567. — Da ciò segue che il semplice ripetersi o moltiplicarsi dei peccati veniali non può mai da solo costituire peccato mortale; qualora però col ripetersi dei peccati lievi, venisse ad assommarsi una materia grave, allora ne conseguirebbe, sì, il peccato mortale, ma non a ragione del ripetersi dei veniali, ma unicamente a ragione della materia grave, tale divenuta con l’assommarsi della lieve.).

D. 571. Quali sono i principali effetti del peccato veniale?

R. I principali effetti del peccato veniale sono i seguenti: esso diminuisce il fervore della carità, dispone l’anima al peccato mortale, e rende l’uomo meritevole della pena temporale da scontarsi in questa vita o nell’altra.

D. 572. I peccati sia mortali sia veniali sono tutti uguali fra loro?

R. I peccati sia mortali sia veniali non sono uguali fra loro, ma allo stesso modo che i peccati veniali sono gli uni più lievi degli altri, così i peccati mortali sono gli uni degli altri più gravi (Giov., XIX, 11; S. Tom., l a 2æ, q. 73, a. 2).

D. 573. Quali sono i peccati mortali gravissimi per la loro intima natura?

R. I peccati mortali, gravissimi per la loro intima natura, son quelli direttamente commessi contro Dio.

D. 574. Quali sono i peccati contro lo Spirito Santo?

R. I peccati contro lo Spirito Santo sono :

1° il disperare della salvezza;

2° il presumere di poter conseguire la salvezza senza meriti;

3° l’impugnare una verità per tale riconosciuta;

4° il portare invidia al bene spirituale di un altro;

5° l’ostinarsi nei peccati;

6° l’impenitenza finale.

(Matt., XII, 31, 32; Marco, III, 28, 29; Luca, XII, 10. —

Circa il primo e il secondo peccato, v. le D. 527, 528. Commette il terzo peccato colui il quale, riconosciuta la verità della fede, ciò nonostante la nega, pur di abbandonarsi al peccato con maggior libertà. Commette il quarto colui il quale della sua invidia fa oggetto, non solo la persona del fratello, ma la stessa grazia di Dio crescente nel mondo. Commette il quinto colui che fermamente si propone di rimaner attaccato alla colpa. Commette il sesto colui che fermamente si propone di non pentirsi. — S. Tom., 2a 2ae, q. 14, a. 1, 2).

D. 575. Perché si chiamano codesti, peccati contro lo Spirito Santo?

R . Si chiamano codesti, peccati contro lo Spirito Santo, perché il peccatore, con malizia intenzionale, rimuove da sé quanto potrebbe trattenerlo dal peccare, disprezzando precisamente quella grazia che allo Spirito Santo si suole attribuire in maniera speciale, come alla fonte di ogni bene (S. Pietro Canisio: De peccatis in Spiritum Sanctum, n. I; S. Tom., 1. C.).

D. 576. Quali sono quei peccati contro il prossimo che gridano verso Dio?

R. I peccati contro il prossimo, che gridano verso Dio sono:

1° l’omicidio volontario;

2° il peccato carnale contro natura;

3° l’oppressione dei poveri;

4° il defraudare gli operai della mercede loro dovuta

(Gen, IV, 10; XVIII, 20; Esod., XXII, 23, 27; Deut., XXIV, 15; Giac., V, 4).

D. 577. Perché si dice che tali peccati gridano verso Dio?

R. Si dice che tali peccati gridano verso Dio, perché più degli altri portano manifesto il segno della malvagità, e più altamente chiamano sui loro autori l’ira e la vendetta divina (Paolo: ad Rom., I, 28-32; XII, 1-6; la ad Cor., III, 16-17; V, 11; VI, 9, 10; ad Galat., V, 19-2; la ad Tim., VI, 9, 10; 2a ad Tim., III, 2-5; S. Pietro Canisio: De peccatis in cælum

clamantibus, 1. c.).

D. 578. Quali sono i peccati capitali?

R. I peccati capitali sono:

1° la superbia;

2° l’avarizia;

3° la lussuria;

4° l’ira;

5° la gola;

6″ l’invidia;

7° l’accidia.

D. 579. Perché questi peccati si chiamano capitali?

R. Questi peccati si chiamano capitali, perché sono come la fonte e la radice degli altri peccati e vizi.

(S. Tom., l a 2ae, q. 84, a. 3, 4. Così la superbia (disordinato desiderio della propria eccellenza) è fonte e radice della presunzione, ambizione, vanagloria, iattanza….;

l’avarizia (disordinato desiderio dei beni temporali), all’indurimento del cuore verso i bisognosi, del furto, della frode, dell’inganno….;

l’ira (disordinato desiderio della vendetta), all’indignazione, contumelia, bestemmia, imprecazione, delle risse, dell’omicidio….;

la gola (disordinato desiderio del cibo e della bevanda), dell’ebetismo, della loquacità, della scurrilità….; l’invidia (tristezza del bene altrui in quanto impedisce la propria eccellenza), dell’odio, della detrazione, della calunnia, del godere per l’avversità, e dell’affliggersi per le prosperità del prossimo….;

l’accidia (tristezza pel bene spirituale a cagion della fatica che esso importa), del fastidio delle cose spirituali, della trascuranza di gravi doveri, della tristezza per la divina amicizia Per quanto riguardo la lussuria, cfr. la dom. 228, not. 1° e la dom. 229, nota 1°).

D. 580. Quali virtù si oppongono ai peccati capitali?

R. Ai peccati capitali si oppongono rispettivamente:

1° l’umiltà;

2° la liberalità;

3° la castità;

4° la mansuetudine;

5° l’astinenza;

6° la gioia per il bene del prossimo;

7° la diligenza.

D. 581. Dobbiamo noi fuggire oltre il peccato, anche le occasioni di peccare?

R. Oltre il peccato, dobbiamo fuggire, nella misura del possibile, anche le occasioni prossime di peccare, quelle, cioè, in cui l’uomo si espone al grave pericolo di peccare: infatti, chi ama il pericolo in esso perirà.

D. 582. Può accaderci di dover rendere conto a Dio dei peccati altrui?

R. Può accaderci di dover rendere conto a Dio dei peccati altrui se e in quanto, o ne siamo stati la causa col comando, il consiglio oppure il consenso, o non li abbiamo impediti, pur potendo e dovendo impedirli.

CAPO XII.

Dei Novissimi.

D. 583. Che cosa ci addita Iddio nella sacra Scrittura come mezzo efficacissimo d’evitare i peccati?

R. Dio, nella Sacra Scrittura, ci addita come mezzo efficacissimo d’evitare i peccati, la considerazione dei Novissimi, e ciò fa ammonendoci con queste parole: « In ogni opera tua abbi presenti i tuoi Novissimi, e in eterno non peccherai » (Eccli. III, 27).

D. 584. Che cosa s’intende con la parola Novissimi?

R. Con la parola Novissimi s’intende tutto ciò che agli uomini accade in fine della loro vita, cioè la morte, il giudizio, l’Inferno, il Paradiso; senonché dopo il giudizio e prima del Paradiso può aversi il Purgatorio.

D. 585. Quali punti soprattutto dobbiamo meditare nel riferirci alla morte?

R. Nel riferirci alla morte dobbiamo meditarla soprattutto come pena del peccato, come quell’istante dal quale dipende l’eternità, in modo che dopo la morte non v’è più alcun tempo a penitenza o a merito, e infine come quell’evento di cui sono incerte l’ora e le circostanze (Gen., II, 17; III, 19; Eccli., XIV., 12, 13; XLI, 1-3; Matt., XXIV, 42-44; Luca, XII, 39, 40; Paolo: ad Rom., V, 12; VI, 23; la ad Thess., V, 2; ad Hebr., IX, 27; Conc. di Tr., sess. V De peccato originali, can. 1).

D. 586. Che cosa succede in primo luogo all’anima immediatamente dopo la morte?

R. Immediatamente dopo la morte l’anima deve presentarsi al tribunale di Cristo per subirvi il giudizio particolare (Eccli., XI, 28; Paolo: ad Rom., XIV, 10; ad Hebr., 19, 27; Bened. VII: Const. Benedictus Deus, 29 genn. 1336; S. Agost.: De anima, II, 8. — Dell’universale giudizio trattano la  D. 112 e le segg.).

D. 587. Circa quali cose vien giudicata l’anima nel giudizio particolare?

R. Nel giudizio particolare l’anima vien giudicata circa ogni cosa senza eccezione, vale a dire circa i pensieri, le parole, le opere e le omissioni; e tale giudizio verrà confermato nel giudizio universale come in una esteriore manifestazione (Matt., X, 26; XII, 36; Paolo: la ad Cor., IV, 5.).

D. 588. Quale sarà dopo il giudizio particolare la sorte dell’anima?

R. Dopo il giudizio particolare, o l’anima, per il peccato mortale, è priva della grazia, e allora verrà condannata alle pene dell’Inferno; o è in istato di grazia, fino ad esser libera da qualunque peccato veniale e da qualunque debito di pena temporale, e allora viene senz’altro assunta alla gloria del Paradiso; finalmente se essa è in istato di grazia, ma non senza qualche peccato veniale o qualche debito ancora da scontare di pena temporale, allora viene trattenuta nel Purgatorio fino a quando non abbia pienamente soddisfatto alla divina giustizia (II Macc, XII, 46; Luca, XVI, 22; XXIII, 43; Paolo: 2a ad Cor., V, 1-3; Conc. di Fir.: Decr. prò Græcis; S. Giov. Damasc.: De fide ortodoxa, IV, 27.).

D. 589. Quale sarà nell’Inferno la sorte dei dannati?

R. Nell’Inferno, chiamato nelle sacre Lettere anche abisso o geenna, vengono tormentati da pene eterne i demoni, e in una con essi gli uomini dannati, nell’anima sola prima del giudizio universale, nell’anima e nel corpo dopo quel giudizio medesimo (Matt., VIII, 12; XIII, 42; XXIV, 51; XXV, 30, 41, 46; Luca, XIII, 27, 28; XVI, 22, 24, 28; Paolo: 2″ ad Thess., I , 9; Apoc, XIV, 9-11; Conc. Lat., IV, c. I; Conc. di Fir., 1. C.; Vigilius Papa: Adv. Originem, can. 9; Bened. XII, 1. e; Pio IX: Epist. ad Arch. et Epis. Italiæ, 10 ag. 1863).

D. 590. Quali sono le pene con le quali vengono tormentati i dannati nell’Inferno?

R. Le pene con le quali vengono tormentati i dannati nell’Inferno, sono:

1° la pena del danno, vale a dire la perpetua privazione della visione beatifica di Dio;

2° la pena del senso, vale a dire un fuoco reale che tormenta senza consumare, le tenebre, il rimorso e l’angoscia della coscienza, nonché la società dei demoni e degli altri dannati (Matt., III, 12; XIII, 42; XVIII, 8; XXIV, 51; XXV, 30, 41, 46; Luca, XIII, 28; XVI, 24, 28; Apoc, XXI, 8; Cat. p. parr., p. I , c. VIII, n. 9, 10).

D. 591. Le pene dei dannati sono per tutti le medesime?

R. La pena del danno è per tutti la medesima; le a tre pene dei dannati non sono per tutti le medesime, ma diverse secondo il numero e la gravità dei peccati (Conc. di Fir., 1. c.; S. Greg. M.: Dialog., IV, 43; S. Agost.: De fide, ope et caritate, 3).

D. 592. Qual sorte sarà quella dell’anima nel Purgatorio?

R. L’anima sconta nel Purgatorio le pene temporali dovute per i peccati e di cui non ha ancora del tutto pagato il debito nella vita presente, e ciò fino a quando non abbia pienamente sodisfatto alla divina giustizia e non sia in grado di essere ammessa nel Paradiso (II Macc, XII, 43-46; Matt., XII, 32; Paolo: la ad Cor., III, 12-15; Conc. II di Lione: Prof, fidei Mich. Pai.; Conc. di Fir., 1. c.; Conc. di Tr., sess. XXV, Decr. de Purgat.; Bened. XII, 1. c.; Leone X: prop. 37-40 inter damnatas Martini Luteri, 15 giug. 1520; Pio IV: Profess. fidei trid.; S. Greg. M.: Dial, IV, 39).

D. 593. Con quali pene vien punita l’anima nel Purgatorio?

R. L’anima vien punita nel Purgatorio con la pena del danno e con quella del senso, vale a dire con la temporanea privazione della visione beatifica e con altre pene gravi.

D. 594. Le pene delle anime nel Purgatorio sono uguali per tutti?

R. Le pene delle anime nel Purgatorio non sono uguali per tutti, ma implicano gradi differenti di acerbità e di durata a seconda del peccato veniale e del debito della pena temporale da scontarsi dai singoli; inoltre i suffragi di cui quelle anime sono l’oggetto, possono quelle stesse pene abbreviare e mitigare.

D. 595. Cesserà il Purgatorio dopo il giudizio universale?

R. Dopo il giudizio universale il Purgatorio cesserà; e le anime tutte che vi rimanevano trattenute, compiuta nei modi da Dio stabiliti la loro soddisfazione, verranno accolte nel Paradiso (Matt., XXV, 31-34, 41, 46; Giov., V, 29; S. Agost.: De civitate Dei, XXI, 13, 16).

D. 596. Quale sarà la sorte dei giusti in Paradiso?

R. Nel Paradiso le anime dei giusti, senza il corpo prima del giudizio universale, insieme al corpo dopo quel medesimo giudizio, godono in eterno la beatifica visione di Dio, e in una con questa ogni sorta di bene, senza alcuna mescolanza o timore di male, nella società del Signor nostro Gesù Cristo, della beata Vergine Maria e degli altri beati.

(Sap., III, 7, 8; V, 5, 16, 17; Is., XLIX, 10; LX, 18-22; Matt., XIII, 43; XIX, 28, 29; XXV, 34, 46; Luca, XVI, 22; XXII, 29, 30; Giov., XVII, 24; Paolo: la ad Cor., II, 9; XV, 41 e segg.; 2a ad Cor., XII, 4; l a di Pietro, I, 4; V, 4: Apoc, VII, 9, 16, 17; XXI, 1-4, 10-14; XXII, 1-5; Conc. Lat. IV, 1. c.; Conc. di Vienna: Contra errores Beguard. et Beguin.; Bened. XII e Conc di Fir., 11. ce; Cat. p. parr., p. I, c. XIII, n. 4 e segg.).

D. 597. Tutti i beati nel Paradiso godono in misura uguale dell’eterna beatitudine?

R. I beati nel Paradiso non godono tutti in misura uguale dell’eterna beatitudine, ma gli uni più perfettamente degli altri.

(Conc. di Fir., 1. e ; Conc. di Tr., sess. XVI, De justif., can. 32; S. Greg. M.: Moralia, IV, 70; Aphraate: Demonstrationes, XXII, 19; S. Efrem.: Hymni et sermones, 11; S. Gerol.: Adversus Jovinianum, II, 32, 34; Adversus libros Rufini, I, 23; S. Agost.: Sermo 87, 4, 6; In Joan. Evang., LXVII, 2.)

D. 598. Qual è la ragione di codesta differenza?

R. La ragione di codesta differenza è la seguente: i beati raggiungono la visione beatifica di Dio mediante il lume della gloria, lume che da Dio viene infuso, agli Angeli secondo la rispettiva dignità e grazia, agli uomini secondo i rispettivi meriti, in modo però che tutti, anche se disugualmente partecipi della gloria, sieno compiutamente felici e beati.

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (18)

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: DICEMBRE 2020

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA:

DICEMBRE 2020.

Dicembre è il mese che la Chiesa Cattolica dedica all’Immacolata Concezione ed alla Natività di Gesù Cristo.

… finalmente, nel racconto dell’annunziazione non è detto solamente: Maria concepirà; ma ancora che: Ella sarà gravida e partorirà un Figliuolo conforme alla profezia: Una Vergine concepirà e partorirà, ed è lo stesso Vangelo che le fa l’applicazione di questa profezia. (Matt. I, 23). Diciamo dunque colla Chiesa, esprimendo la fede universale dei Cristiani: Virgo prius ac posterius; e, in questo prodigio del parto verginale di Maria, onoriamo la continuazione delle sue grandezze. Il Vangelo dice che ella partorì il suo Figliuolo primogenito. Noi abbiamo già perentoriamente confuso la stolta obbiezione che trae da questa denominazione di primogenito la conseguenza che Maria avrebbe messo al mondo altri figliuoli dopo Gesù. Ma quanto questa espressione ripugna a questa conseguenza nel senso carnale, altrettanto essa vi si presta nel senso spirituale. Dio, difatti, ci dice san Paolo, ci ha predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, affinché sia il primogenito tra molti fratelli (Rom. VIII, 29); ed è perciò che Egli ha partecipato della nostra carne e del nostro sangue, dovendo essere totalmente simile ai fratelli, affinché divenisse pontefice misericordioso e fedele presso Dio». Perciò Maria ha realmente partorito un Figliuolo primogenito, primogenito di tutti i Cristiani, dei quali perciò Ella è veramente la Madre. V’ha di più: siccome, partecipando alla nostra natura, il Figliuolo di Dio si è appropriato in lei tutta la creazione della quale noi siamo il sommario, così Egli è diventato per la sua incarnazione, come anche dice san Paolo, il primogenito di tutte le creature, primogenitus omnis creaturæ (Coloss. I, 15):  espressione la cui sublimità non toglie nulla all’esattezza, e che riflette così sulla Vergine Maria lo splendore più universale. Tutte le creature animate e inanimate, celesti e terrestri, rigenerate, pacificate, consacrate dal Figliuolo primogenito di Maria, salutano in lei la Madre e la Signora dell’universo. E tutto ciò sotto queste semplici espressioni: Ella partorì il Figliuolo suo primogenito! Non ci faccia stupire adunque che così semplici parole racchiudano un senso così profondo, poiché questo piccolo fanciullo che esse ci mostrano, racchiude e nasconde un Dio. Maria, dice il Vangelo, lo fasciò e … lo pose a giacere in una mangiatoia, perché non eravi luogo per essi nell’albergo. Parrebbe che il caso e la necessità fossero quelli che ridussero Maria a partorire Gesù in una stalla e ad adagiarlo in una mangiatoia. Ma, in realtà, è la scelta, e la scelta dell’amor materno, della sapienza infinita, dell’onnipotenza. Quegli che ha posto il suo padiglione nel sole, come dice il reale profeta, poteva senza dubbio farsi allestire un posto nell’osteria d’un piccolo borgo: Egli poteva nascere nel palazzo di Erode o di Cesare, e farsi adorare dal senato nel Campidoglio, perché tutta la terra è sua. Ma che avrebbe fatto, in ciò, di più e di meglio dei potenti del mondo che veniva ad umiliare? Quale alleviamento avrebbe recato all’umanità povera e miserabile, che voleva liberare e consolare? Era cosa degna di Colui che non ha da ricevere nulla e che veniva a recare ogni cosa, scegliere ciò che v’ha di più povero per arricchirlo, ciò che v’ha di più umile per innalzarlo, ciò che non è, per farne ciò che è; e il manifestare tanto la sua ricchezza e la sua potenza, quanto la sua misericordia e il suo amore. Era cosa degna dell’eterna sapienza lo smascherare i falsi beni ripudiandoli, e additare i veri beni sposandoli. Era cosa degna del riparatore della natura umana precipitata nell’orgoglio e nella concupiscenza, il raddrizzarla, mettendo il contrappeso e l’allettativo della sua divinità dal lato della povertà e del patimento: sì, era cosa degna del Dio buono, onnipotente, infinitamente sapiente, il nascere in una stalla e il morire sopra una croce. Ah! se questa vile stalla, se questa spaventevole croce fossero rimaste ciò che furono quando egli ne ha sposata l’ignominia, io tacerei. Ma quando io vedo tutta la terra stupefatta abbandonare in breve tutti i suoi idoli d’orgoglio e di voluttà, per venire ad adorare la stella e la croce; quando io vedo trasformata la stalla in una cattedrale, come Nostra Signora di Chartres e di Parigi; e vedo la croce mutata in segno di gloria ed in istrumento di consolazione; quando io le vedo diventate ambedue una sorgente di dolcezza e di forza, una scuola di sapienza e di santità, un centro di lumi e d’incivilimento, di cui venti secoli di esperienza e di progresso non hanno fatto che tentare la pienezza; quando finalmente questa gran meraviglia è raddoppiata ai miei occhi da quella della sua spedizione, e, se così oso dire, del suo pegno; allora, oppresso sotto tante prove della onnipotenza, della sapienza infinita e della bontà suprema, io mi arrendo e credo…

(A. Nicolas: La Vergine Maria secondo il Vangelo, vol. II, – S. E. I. Milano … 1938)

Ecco le feste del mese di DICEMBRE (2020)

2 Dicembre  S. Bibianæ Virginis et Martyris    Semiduplex

3 Dicembre  S. Francisci Xaverii Confessoris    Duplex majus

4 Dicembre S. Petri Chrysologi Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

                                         PRIMO VENERDI

5 Dicembre S. Sabbæ Abbatis    Feria

                                      PRIMO SABATO

6 Dicembre Dominica II Adventus    Semiduplex II. Classis

S. Nicolai Episcopi et Confessoris    Duplex

7 Dicembre S. Ambrosii Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

8 Dicembre In Conceptione Immaculata Beatæ Mariæ Virginis  Duplex I. classis *L1*

10 Dicembre S. Melchiadis Papæ et Martyris    Feria

11 Dicembre S. Damasi Papæ et Confessoris    Duplex

13 Dicembre Dominica III Adventus    Semiduplex II. classis

16 Dicembre S. Eusebii Episcopi et Martyris    Feria

                   Feria IV Quattuor Temporum Adventus    Semiduplex

18 Dicembre

Feria VI Quattuor Temporum Adventus    Semiduplex

19 Dicembre

Sabbato Quattuor Temporum

20 Dicembre Dominica IV Adventus    Semiduplex II. classi

21 Dicembre S. Thomæ Apostoli    Duplex II. classis

24 Dicembre In Vigilia Nativitatis Domini    Duplex I. classis

25 Dicembre In Nativitate Domini    Duplex I. classis *L1*

26 Dicembre

S. Stephani Protomartyris    Duplex II. classis *L1*

27 Dicembre Dominica Infra Octavam Nativitatis    Semiduplex Dominica minor

S. Joannis Apostoli et Evangelistæ    Duplex II. classis *L1*

28 Dicembre

Ss. Innocentium    Duplex II. classis *L1*

29 Dicembre Die quinta post Nativitatem    Semiduplex *L1*

                       S. Thomæ Episcopi et Martyris    Duplex *L1*

30 Dicembre Die sexta post Nativitatem    Semiduplex *L1*

31 Dicembre Die septima post Nativitatem    Semiduplex *L1*

                      S. Silvestri Papæ et Confessoris    Duplex *L1*

GNOSI: LA TEOLOGIA DI sATANA (49) – LA VERA E LA FALSA FEDE -IV-

LA VERA E LA FALSA FEDE –IV.-

 (P. Gioacchino VENTURA: LE BELLEZZE DELLA FEDE, vol. II. Genova; Ed. Dario Giuseppe Rossi, 1867)

LETTURA VI.

LA CREDENZA DEI MAGI OVVERO LA VERITÀ E LA CERTEZZA DELL’INSEGNAMENTO DELLA FEDE.

§ V. – Si dimostra la stessa verità colla storia delle moderne eresie, ovvero del protestantismo che tulle le contiene. Lutero e i suoi errori. Le sue prime tre prosapie dei SACRAMENTARJ, degli ANABATTISTI e dei CONFESSIONISTI, e loro principali diramazioni, che producono L’INDIFFERENTISMO e la disperazione di conoscere alcuna verità.

Or, come era naturale ad accadere, queste dottrine sì temerarie, sì licenziose, sì empie, corruppero i costumi principalmente dei grandi; alienarono i popoli dalle vie della dipendenza all’autorità ecclesiastica, rallentarono i legami dell’unità cattolica, e prepararono le mentì e i cuori al più grande, al più scandaloso, al più funesto di tutti gli scismi, che si disse protestantismo o riforma, e che nel secolo decimosesto strappò tante nazioni dal seno della Chiesa Cattolica per darle in preda a tutti gli errori e a tutti i vizj. – Il protagonista di questo dramma infernale fu Martino Lutero, già religioso e sacerdote, e poi, perché credutosi offeso ne’ suoi ambiziosi disegni dal Sommo Pontefice, apostata infame della fede e della pudicizia, essendosi unito in incestuoso e sacrilego matrimonio con Anna Bore, moniale professa da lui sedotta. Quest’uomo, il più turbolento, il più audace, il più dissoluto che fosse mai, poiché non interrompeva le sue tresche lascive che per immergersi nella crapula e nella ubriachezza, osò, come Riccardo, di attribuirsi una ispirazione ed una missione soprannaturale, colla sola differenza che, più modesto di Riccardo che si era detto figlio di Dio, contentossi Lutero di passare per famigliare del diavolo, asserendo di averlo sempre avuto a sua guida ed a suo consigliere. Fu dunque sotto l’ispirazione infernale che Lutero pose sossopra la Chiesa e gli stati, ingannò i principi, sedusse il clero, corruppe i popoli, calpestò le leggi umane e divine, e insultò il cielo e la terra, gli uomini e Dio: finché, non reggendo al rimorso destatogli dalla memoria di tante scelleratezze e ai tanti scandali, con un capestro si strozzò da sé medesimo, non potendo certo perire per più degne mani. – Questo discepolo del diavolo insegnò con Talentino e Manete che il libero arbitrio si è dall’uomo perduto affatto per lo peccato; con Eonomio, che la fede sola giustifica, e le buone opere non servono a nulla: e eoa Berengario infine, che nella Eucaristia il corpo e d Signore si trova colla sostanza del pane. Negò di più eoi valdesi l’infallibilità della Chiesa, l’autorità del sommo Pontefice, le indulgenze e il purgatorio. Abolì coi novaziani la confessione, e cogli ussiti la Messa e l’Estrema-Unzione. Tolse di mezzo le tradizioni come avea fatto Nestorio, Dioscoro, Eutiche. Disse, come già i donatisti, la Chiesa essere perita e risorta in lui e ne’ suoi seguaci. Condannò la verginità e i voti religiosi, come Gioviniano. E colla massima che aveva di continuo in bocca « Venga la serva se non è pronta la moglie, adsit ancilla, si nolit uxor, » avendo, a somiglianza di Carpocrate e di Valentino, permesso l’adulterio e il divorzio, fece del sacramento del matrimonio un contratto di affitto temporaneo a comodo e capriccio della voluttà.In compagnia però di questi errori Lutero sparse il seme di moltissimi altri, che i suoi discepoli non mancarono di far germogliare: di modo che il protestantismo, preso nél complesso di tutte le sette che lo compongono, è stato la restaurazione di tutte le eresie che lo avevano preceduto; e perciò rimonta a Lutero il delitto e l’obbrobrio di essere stato nei tempi moderni ciò che Lucifero fu dal principio del mondo: l’omicida delle anime, il patriarca di tutti gli empj ed il dottore di ogni empietà. Non sarà discaro però al lettore il vedere, qui, come in un quadro, le sette principali e i principali errori cui diede il natale questo turpe eresiarca; poiché io lo ripeto, nulla vi è di più istruttivo di questa vasta figliazione dell’errore, di queste divisioni degli eretici, per far conoscere di che è capace la ragione quando si sottrae dall’autorità della Chiesa, e per convincerci sempre di più che, in questa Chiesa, in cui abbiam la sorte di vivere, solo si trova coll’unità dell’insegnamento, la verità della fede.Dai tre primogeniti figli o discepoli di Lutero nacquero da prima tre prosapie di eretici: 1. quella dei sacramentari,che ebbe Carlostadio; 2. quella degli anabattisti, che ebbe Bernardo Rotmano; 3. quella dei confessionisti, che ebbe Filippo Melantone per padre; ed una quarta ancora ne venne alla luce dei sacramentarj, che ebbe Giovanni Calvino per fondatore. Poiché però la divisione è la legge inevitabile dell’errore, come l’unità è il carattere proprio della verità; nate appena queste quattro prosapie, si suddivisero in cento altre: ed ecco qui le principali diramazioni di ognuna.

PRIMA PROSAPIA DI LUTERO

I SACRAMENTARI.

Carlostadio, il primo dei discepoli di Lutero che, ad imitazione del maestro, prendesse sfacciatamente moglie, essendo sacerdote, veduto che Lutero avea negata la Messa, volle andare ancora più innanzi. E d associandosi Zwinglio ed Ecolampadio, rinnovò la prima eresia di Berengario, negando arditamente la reale presenza di Gesù Cristo nell’Eucaristia, e fermò la prosapia dei sacramentarj. Di costui dice Erasmo che morì strozzato dal suo Dio, cioè dal Demonio. – I capi principali però della sua setta essendo, non meno di Carlostadio, smaniosi di divenire anch’essi fondatori e maestri di eresie, si divisero, e quindi ne vennero:

1. I zwingliani, da Zwinglio, uomo facinoroso e fanatico, che, come aveva abbandonato Lutero di cui fu discepolo, si staccò ancora da Carlostadio con cui fu complice nell’impugnare i sacramenti. Formò perciò una nuova setta con dottrine sue proprie: che volendo propagar colle armi, ne fu vittima, giacché fu scannato in una mischia e buttato alle fiamme. I suoi seguaci furono detti significativi da ciò che Zwinglio avea insegnato, che nell’Eucaristia non vi è altrimenti il corpo ma il segno del corpo del Signore; e perciò coll’autorità che disse di avere ricevuto dallo Spirito Santo, avea anche cambiato le parole della consacrazione ordinando che nella cena sacramentaria, invece di « hoc est CORPUS Meum » si dicesse « hoc SIGNIFICAT corpus meum. »

2. I neutrali; che come era naturale ad aspettarsi, ridendosi di questo segno, sostennero non esser necessaria né l’uno né l’altra specie, molto meno tutte e due: aggiungendo, il sacramento non servire a nulla: la grazia ottenersi solo colla fede in esso, non col suo uso, che perciò fu abolito in questa sezione de’ sacramentarj.

3. Gli energiaci; che nell’Eucaristia ammisero la presenza non del corpo, ma dell’energia o virtù di Gesù Cristo, la promessa del soccorso e della grazia da ricevere.

5. Gli adessenarj; che al contrario vi confessarono la presenza reale del. corpo, ma gli uni nel pane, gli altri intorno al pane, i terzi col pane, gli ultimi sotto il pane: che però si sminuzzarono in quattro altre sette diverse.

6. Gl’iscariotti; che negarono che Giuda nell’ultima cena abbia ricevuto il vero corpo di Gesù Cristo.

7. I metamorfisti pei quali, come già per gli armeni, il corpo del Signore asceso al cielo si è metamorfosizzato in Dio; e perciò per costoro vi è nell’ostia un corpo divino che non ha nulla di carnale e di umano, cioè vi è un corpo che non è corpo: errore manifestamente condannato dalle stesse parole di Gesù Cristo, che ha chiamata l’Eucaristia il suo corpo e la sua carne.

SECONDA PROSAPIA DI LUTERO

GLI ANABATTISTI.

Botmano, avendo letto in una lettera di Lutero non doversi dare il Battesimo ai fanciulli, ma convenire aspettare perciò la maturità della ragione e della fede, incominciò ad insegnare doversi ribattezzare coloro che avevano ricevuto il Battesimo nell’infanzia; e fondò la setta degli anabattisti o dei ribattezzanti. Di questa setta furono Baldassare Pacimontano, Giorgio Davide, Tomaso Monetario, e Giovanni di Leida, uomini di un fanatismo e di una crudeltà al di là di ogni idea: che non avendo potuto meglio accordarsi fra loro di quello che avevan fatto con Lutero, da cui eran divenuti apostati, e di cui avevano sfigurate le dottrine, si suddivisero pure fra loro e crearono:

1. Gli adamiti; che, rinnovando le orge invereconde e dissolute di Riccardo, si unirono a vivere ignudi nelle selve, come Adamo ed Eva, vantando di avere acquistato l’integrità e l’innocenza originale.

2. Gli stebleri; che condannarono assolutamente nei Cristiani l’uso delle armi, anche del caso di una giusta difesa.

3. I sabbatarj; che, imitando gli Ebrei, si diedero a santificare il sabbato, invece della domenica; ed adorando solo il Dio creatore, proscrissero il culto e il nome di Gesù Cristo e dello Spirito Santo, cioè a dire abiurarono il Cristianesimo.

4. I clancularj; che sostennero la sola fede interna e nascosta bastare per l’acquisto dell’eterna salute, l’esterno culto nei templi e l’esterna confessione della fede non servire a nulla; e però richiesti se erano anabattisti, poterlo impunemente negare.

5. I manifestarj; che insegnavano tutto il contrario, e che dalla confessione di essere anabattisti facean dipendere la salute eterna.

6. I demoniaci; che, come gli antichi origenisti, credono la salvazione dei demonj.

7. I condormienti; che, per soverchio amore del nuovo evangelio, dormivano alla rinfusa uomini e donne in una stessa sala: ed al segno dato dal capo, colle parole crescite et multiplicamini, rinnovavano la comunione mistica dei seguaci di Carpocrate.

8. I comunisti; che fecero comuni non solo le donne e i figliuoli, ma ancora i beni, volendo realizzare la repubblica di Platone. Questa setta è rinata ai dì nostri collo stesso nome. Fourier, che ne è stato il restauratore, ha organizzato in modo le simpatie dell’amore che, a capo di un dato tempo, ogni uomo si sarà trovato con tutte le donne; ed ogni donna con tutti gli uomini di questa sublime società; in cui perciò al matrimonio cristiano è sostituita la promiscuità dei bruti. Or queste belve a due piedi che hanno abjurata l’umanità osano dirsi uomini e Cristiani!

9. I gementi; che, simili agli antichi euchiti, dicevano la divozione e il culto più accetto a Dio essere il piangere e il gemere.

10. Gli steimbakiani; da Martino Steinbak. Costui disse di essere esso pure lo Spirito Santo, che si era alla sua volta incarnato, come erasi di già incarnato il Figliuolo. Questo matto bestemmiatore, che sembra impossibile come abbia potuto avere seguaci, corresse ancora il Pater noster, togliendone le parole, qui es in cælis: poiché diceva Dio padre non essere altrimenti in cielo, ma fuori del cielo, ed attendere l’incarnato Spirito Santo Martino venisse ad aprirgli le porte. È però già un pezzo che non Martino a Dio, ma Dio a Martino ha aperte le porte…. ma dell’inferno!

11. I georgiani; che negarono la risurrezione della carne: detti davidici, perché Giorgio lor capo si era chiamato il secondo Davide, come Lutero si era detto il terzo Elia, ed il secondo Enoch. Oh egregia copia di profeti…. del diavolo!

12. I poligamisti; che sostenevano esser lecito ad un uomo di potere, allo stesso tempo avere più mogli, a guisa dei Turchi; come ne diede l’esempio Giovanni di Leida, che si fece re di Munster, e poi Arrigo VIII in Inghilterra, ambedue di crudele e impudica rimembranza.

TERZA PROSAPIA DI LUTERO

CONFESSlONISTI.

Melantone, autore della celebre confessione di Augusta, avendo in essa parte accresciuti e parte modificati gli errori di Lutero suo padre e maestro, divenne patriarca di eretici esso stesso e il più fecondo di tutti i suoi fratelli. Giacché i confessionisti, che lo riconoscono per fondatore, formarono subito quattro altre distinte prosapie, che si ripartirono ancora in moltissime altre sette. Le quattro prosapie subalterne furono quelle 1. dei confessionisti rigidi; 2. dei confessionisti molli; 3. dei confessionisti stravaganti; 4. dei confessionisti indifferenti, delle quali ecco le principali diramazioni:

1. Confessionisti rigidi, detti stoici.

Loro capo fu Mattia Illirico, autore principale dell’empia Storia Maddeburgense, e che, tra le altre pazzie, disse che il peccato originale è sostanza. I suoi discepoli furono designati col nome di rigidi, perché pria di tutto accolsero, come un secondo evangelio, tutte e singole le stravaganze, le turpitudini e le empietà di Lutero, senza ometterne una sola sillaba. Ma siccome sopraccaricarono quest’infernale evangelio con molti altri errori, così si divisero in:

1. Antinomj o nemici delia legge, che dicono l’osservanza della legge divina non essere né necessaria né utile ai seguaci del Vangelo.

2. Samosateni (nuovi), che trassero origine da Francesco David e da altri ministri transilvani: essi negano che la parola VERBO nella Trinità significa figliuolo e persona: e perciò negano l’augustissima Trinità e la divinità di Gesù Cristo.

3. Trideiti; che al contrario ammettono in Dio, come già i discepoli di Filopono, non solo tre persone, ma tre nature distinte: e perciò ammettono tre dei.

4. Infernali; che negano la discesa di Gesù Cristo al limbo; e, per far corto, negano ogni inferno.

5. Infernali-eterogenei; che, al contrario, non solo ammettono che vi è l’inferno e che Gesù Cristo vi è disceso, ma ancora che ne ha subite tutte le pene.

6. Antidemoniaci; che negano l’esistenza del demonio, dei mali spiriti e delle loro operazioni.

7. Ambsderffiani; che, andando più in là degli antinomj, riguardano le opere buone come perniciose all’eterna salute, e però le abborrono.

8. Antidiaforisti; che non riconoscono nella Chiesa alcuna giurisdizione episcopale, alcuna antica cerimonia o rito.

9. Antiosiandrini; che affermano la giustificazione dell’uomo, per mezzo della grazia, essere sol di parole, e non vera o reale.

10. Anticalviniani; che ammettono bensì la presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucaristia, ma colla sostanza del pane e transitoria, cioè durante solo il tempo della cena; e perciò negano l’adorazione del Santissimo Sacramento.

11. Impositori delle mani; che riguardano come sacramento l’imposizione delle mani, anche dei laici.

12. Bisacramentarj; che ammettono solo due sacramenti; il Battesimo e la Cena.

13. Sacerdotali: che rigettano l’ordine, affermando tutti i Cristiani, uomini e donne, essere egualmente sacerdoti per poter predicare, amministrare la cena ed assolvere.

14. Invisibili; che, per liberarsi dall’impaccio di decidere qual sia la vera Chiesa tra la confessione di tante sette fra loro contrarie, anziché riconoscere la Chiesa vera nella cattolica comunione, amarono di dire che la vera Chiesa è invisibile, e che non si può affatto riconoscere.

15. Ubiquisti; da Giovanni Benzio, che, volendo ritenere da una parte la presenza reale coi melantonj, ed evitare la transustanzazione in grazia dei calvinisti, sognarono l’insulso errore dell’ubiquità, o della presenza reale del corpo del Signore in tutti i luoghi ed in tutte le creature.

2. Confessionisti molli.

Formarono questa prosapia tutti i seguaci di Melantone che procurarono d’interpretare la confessione d’Augusta e la dottrina di Lutero in un senso più prossimo a quello della Chiesa Cattolica; ma che, non essendo d’accordo fra loro in queste benigne interpretazioni, si divisero in

1. Biblisti, che sostennero dal Cristiano non doversi leggere altro libro fuorché la Bibbia senza interpretazioni o commenti, giacché lo Spirito Santo ne dà a tutti l’intelligenza. Interdissero perciò ogni altro studio; ed in Vittemberga fecero chiudere tutte le scuole, bruciare tutti i libri; affermando dovere tutti i figli di Adamo, secondo la primitiva condanna, vivere del lavoro delle loro mani. Carlostadio e Melantone diedero da prima di ciò l’esempio, prendendo quegli a lavorare la terra, questi a molire il grano. Ma ben presto persuadendosi che, a conto fatto, il mestiere di dottore è più comodo di quello di molinaro e di bifolco, posero essi medesimi fine a queste stolide stravaganze per ispacciarne delle altre senza tanto loro disagio.

2. Adiaforisti o indifferenti; che affermarono non peccare chi viola, non meritare chi osserva le decisioni e le leggi della Chiesa, essendo queste cose affatto indifferenti.

3. Trisacramentarj; che ritennero tre soli sacramenti. il Battesimo, la Cena e l’Assoluzione. Melantone non seppe mai perdonare a Lutero l’avere abolita la confessione.

4. Quadrisacramentarj; che ai tre indicati sacramenti aggiunsero per quarto il Sacerdozio.

5. Lutero-calvinisti che pretesero conciliare la dottrina di Lutero con quella di Zwinglio intorno ai sacramenti, affermando la differenza fra questi due luminari della riforma essere solo di parole. E dicean vero; giacché in fondo ciò che afferma Lutero còlle parole, lo nega col fatto; ed in fondo è d’accordo con Zwinglio per distruggere ogni sacramento.

6. Semiosiandrini; che, volendo conciliare Osiandrio, che sosteneva la giustificazione reale, e gli antiosiandrini, che l’ammettevano solo di parole, dissero la giustificazione dell’uomo per mezzo della grazia esser solo di parole in questa vita, e reale nell’altra.

7. Maggioristi; da Giorgio Maggiore, che insegnarono l’uomo esser giustificato solo dalle proprie sue opere precedenti, perciò il Battesimo non giustificare i fanciulli.

8. Penitenziarj; che all’errore di Melantone, che sosteneva la penitenza consistere nel rimorso del peccato e nella fede del perdono, ne aggiunsero altri sette ancora e più grossolani.

9. Sincretizzantij che persuadono a tutte le sette di simulare una finta pace fra loro, non potendo averne una vera affine di riunire gli sforzi comuni contro la Cattolica Chiesa.

3. Confessionisti stravaganti.

La confessione di Augusta, come di poi avvenne dei trentanove articoli del protestantismo inglese, non tardò a divenire, in molte parti della Germania, legge di stato, che i governi imposero alle coscienze colla forza, non potendo persuaderla colla ragione. Per quieto vivere adunque coi principi, moltissimi discepoli di Melantone si adattarono a ricevere esteriormente questa confessione per regola di fede, mentre che nell’interno del loro cuore la detestavano e facevano sforzi comuni per distruggerla. Costoro furono di tutti i confessionisti quei che andarono più lungi dalle dottrine di Lutero; e costituirono perciò la prosapia dei confessionisti stravaganti. Ma siccome al solito, all’uscire dalla comunione confessionista, presero diverse vie, così formarono diverse sette, sotto il nome di:

1. Schuvenkfeldianij da Gaspare Schuvenkfeldio, che, avendo per domma comune che l’umanità di Gesù Cristo era stata generata dallo Spirito Santo, e che il Battesimo (la penna rifugge di scrivere questa bestemmia) è un bagno porcino (balneum suillum), si suddivisero in quattro altre sette.

2. Osiandriani, che opinarono che Gesù Cristo solamente colla sua divinità, escluso ogni soccorso della sua umanità ha compiuta la giustificazione del genere umano.

3. Stancarianij che sostenevano tutto il contrario: la giustificazione del genere umano essere stata opera della sola umanità di Gesù Cristo, e che la divinità sua non vi ha avuta alcuna parte.

4. Aniistancariani; che, opponendosi a tutte e due le sette precedenti, rinnovarono l’orribile bestemmia degli armeni, dicendo la giustificazione degli uomini essere stata sì fattamente l’opera delle due nature insieme che anche la divinità fu morta in Gesù Cristo in croce.

5. Nuovi pelagiani; che dissero il peccato originale essere una malattia, non una colpa; e perciò posero in paradiso Numa Pompilio, Catone, Scipione e tutti i gentili che hanno lasciato un nome nella storia; riprovati perciò da Lutero e da Zwinglio.

6. Nuovi manichei; che insegnarono tutti i mali accadere per una assoluta necessità e che Dio è l’autor del peccato, concorrendovi non solo permissivamente ma effettivamente ancora. Sicché nessun furto, omicidio, adulterio si commette dall’uomo contro il volere di Dio; ma tutti i peccati si commettono da Dio nell’uomo, e, più che l’uomo il vero peccatore é Dio. E perciò il peccato di Davide e il tradimento di Giuda essere stata opera di Dio tanto quanto la conversione di S. Paolo. Altri di loro poi portarono sì lungi la bestemmia che dissero che Dio ispira a bella posta pensieri rei all’uomo. Poiché però i semi di queste empie dottrine si trovano sparsi nelle opere di Lutero e di Calvino. può senza ingiustizia disputarne loro il primo magistero.

4. I Confessionisti indifferenti.

Questa orribile confusione d’idee, di giudizj, di credenze contradittorie, nate dalla stessa confessione d’Augusta, non erano certo una buona raccomandazione per farla credere il vero simbolo cristiano, la formola vera e sicura di ciò che bisogna credere e fare per piacere a Dio e salvarsi: ma tutto al contrario, era un argomento infallibile, un motivo possente per disperare di trovar nulla di certo e di vero nella luterana riforma, o in alcuna delle sette infinite in cui si era trasformata. Or la conseguenza che si avrebbe dovuto tirare da questo gran fatto pubblico e solenne dell’impossibilità di trovare una forma certa e vera di religione fuori della Cattolica Chiesa era questa: Dunque bisogna ritornar nella Chiesa che abbiamo abbandonata, ed in cui solo si trova una dottrina uniforme, stabile e costante e perciò vera e sicura. Ma questo ritorno sarebbe costato molto all’orgoglio ed alle passioni, che nell’apostasia della Chiesa avevano trovato tutto il loro conto. Perciò l’argomento che era stato sì buono a discoprire la grande decezione, l’orribile scherno, il nulla della riforma, non fu più buono per conchiuderne la necessità del ritorno alla vera Chiesa. La logica dell’errore, forte contro l’errore, disanimata si arresta in faccia ai sacrifici che imporrebbe la verità: e perciò procura di non vederla, di non accorgersene, per non essere obbligata a seguirla, come appunto un debitore fugge l’incontro di un creditore severo; e se lo vede da lungi, torce altrove il volto e cambia cammino. Perciò moltissimi confessionisti, che. da ciò che vedevano accadere, non potevano credere che nella confessione d’Angusta, seminario di tanti errori, di tanti scismi, di tanta rivalità, vi fosse il vero Cristianesimo: anziché ridursi a cercarlo, a riconoscerlo nella Chiesa Cattolica, in cui era sì visibile e sì facile a ritrovarlo, amaron meglio di dire che il vero Cristianesimo non si trova in nessun luogo; e quindi i confessionisti scettici e indifferenti, che, mentre erano ancor calde le ceneri di Lutero, si formarono in diverse sette, onde ebbero origine:

1. Gli anfidossi; che, per un avanzo di pudore, volendo conservare un’ombra di Cristianesimo, dissero che tutte le religioni sono buone per salvarsi, purché si creda che Gesù Cristo è morto per tutti.

2. I teodossi; che, più empj, ma almeno più franchi e più consentanei ai principj della riforma, rigettando senza tanti complimenti ogni verità cristiana, ritennero che per salvarsi bastava credere in un solo Dio creatore del cielo e della terra; e perciò, che il maomettanismo, il giudaismo e il Cristianesimo sono religioni ugualmente buone per andar salvo.

3. Gli eterodossi; che, avendo rinunziato ad ogni comunione cristiana e rigettando con eguale indifferenza il magistero di Lutero e di Melantone, di Zwinglio e di Calvino, di tutte le dottrine di sì bravi maestri ritennero quello solamente che ad ognuno parve bene di ritenere; e rimanendovi pertinacemente attaccati, con ciò solo credevano di potere salvarsi.

4. Gli autodossi; che facendo un passo di più di tutti i settarj precedenti, professarono che non era affatto necessario l’ammettere e ritenere alcuna dottrina di alcuna comunione cristiana; ma che vera e bastante per conseguir la salute era quella religione che ognuno si formerebbe col suo giudizio, né esservi alcun obbligo di restare immobile in questa religione, ma potersi variare secondo il proprio capriccio; in una parola, che bisogna render culto a Iddio come e quando ognuno l’intende.

5. Gli epicurei novelli; che, ancora più espliciti, dissero che non vi è alcun bisogno di render culto a Dio; giacché l’anima muore col corpo, come quella dei bruti, di cui però imitavan la vita.

6. I fratelli di Rosa Croce; nati da ciò che la setta degli anabattisti avea prodotto di più empio e di più impuro: che, fingendosi confessionisti in apparenza, furono atei in sostanza; e promettendo d’insegnare l’alchimia o l’arte di convertire in oro i metalli, attiravano alla loro setta gl’incauti; e fermativili per mezzo di orribili giuramenti, li iniziavano a tutti i misteri d’empietà.

7. I libertini; che ammisero che non vi é altro che un solo spirito immortale, e non solamente le anime umane, ma ancora gli angioli essere soggetti alla morte; che la morte di Gesù Cristo sulla croce fu solo apparente; che è lecito di dissimulare la propria religione e prendere alla circostanza quella delle persone con cui si tratta, per avere pace con tutti. Di questa setta parlando Io stesso Calvino, dice che era numerosa di molte migliaja fino mentr’esso vivea.

8. Gli atei; che, più empj, ma più progressisti e più conseguenti di tutti, insegnarono che non vi è alcun Dio, e che la religione è invenzione degli uomini.

9. I machiavellisti; che, convenendo interamente cogli atei nel negare ogni verità ed ogni religione, dissero però che una qualche religione bisogna ritenerla, come mezzo di politica, per contenere in dovere il popolo. Sicché l’ateismo puro è stata l’ultima conseguenza e l’ultima orribil parola del protestantismo. Così quando si abbandona la fede e l’autorità della Chiesa, sola depositaria sicura del vero, l’uomo che ragiona, di conseguenza in conseguenza, di errore in errore, è strascinato a non creder più nulla a negar tutto fino Dio stesso; ciò che fece dire a Fénélon che « tra la Religione Cattolica e l’ateismo non vi è alcun mezzo ragionevole, e la storia di tutte le eresie é una prova costante di questa verità. »

Beerlinkio, dopo aver tessuto il catalogo di queste sette di indifferenti o di atei (questi due vocaboli sono sinonimi) assicura che essi nel secolo XVII, in cui egli scriveva, erano sparse negli angoli più remoti della Germania, sebbene non cosi pubbliche che si potessero da tutti riconoscere: Inveniuntur hae omms et singula secta in omnibus Germaniæ angulis, licet non usque adeo apertæ ut ab omnibus dignosci queant. Aggiunge però che esse appettavano l’occasione. opportuna per prodursi alla luce del giorno e, come un fiume accresciuto dalle piene di torrenti devastatori,rompere in ogni luogo; Sed parum abest quin, ut ingens flumen torrentibus auctum, hae sectæ, data occasione in lucem apertissimam prorumpant (Theatr. vit. hum., art. HÆRETICUS) . E di fatti questa profezia ebbe nel secolo decimottavotutto il suo compimento.

§ VI. – Siegue la storia delle moderne eresie. Quarta prosapia di Lutero. Calvino, suoi errori e sua indole. Sette principali nate dal calvinismo. Il protestantismo inglese e suoi effetti. Scuola anticristiana del secolo decimottavo, e panteistica del nostro. La ragione umana, negando la vera fede, finisce col negare se stessa.

QUARTA PROSAPIA DI LUTERO

I CALVINISTI.

Ma la più maligna e la più infamemente feconda e feroce delle prosapie di Lutero, fu quella che questo eresiarca ottenne per mezzo di Calvino. Costui figlio negli errori e discepolo di Zwinglio, e nipote perciò di Lutero, superò cotanto il padre e l’avolo nell’abominazione dei costumi e nella intrepidezza della bestemmia che il suo nome ebbe il triste vanto di essere associato a quello di Lutero nel patriarcato infernale delle moderne eresie. Imperciocché, cacciato dalla Francia per le sue scelleratezze, e nella Svizzera battuto con verghe e bollato alle spalle con ferro rovente per delitto provato di sodomia, abbracciò da prima l’eresia per prender moglie, ecclesiastico che esso era; e poi, erettosi in caposcuola egli pure, oltre di aver con Zwinglio negati i sacramenti, o ridottili a pura cerimonia, e con Lutero negato il libero arbitrio e la necessità delle buone opere, disse che i figli dei battezzati nascono santi; che la grazia divina, una volta ricevuta, non si può più perdere; che Gesù Cristo mori disperato sulla croce: che né il Papa né i Vescovi né i sacerdoti hanno alcun carattere sacro; che l’unica regola di fede pel Cristiano è la Scrittura sacra, del cui senso ognuno è legittimo interprete. Quello però che non è stato notato abbastanza si è l’odio profondo onde quest’uomo indiavolato era animato contro la persona adorabile di Gesù Cristo, e che, non ostante la sua ipocrisia, traspira da tutti i suoi scritti. Dimodoché, se fosse vera la trasmigrazione delle anime, bisognerebbe dire che l’anima di Caino, dopo essere passata in Giuda, sia rinata in Calvino; e che più tardi lasciata nel sepolcro la maschera, sia ricomparsa in Voltaire più invereconda e più empia. Finalmente Calvino straziato per quattro continui anni, come già Erode e Nestorio, da malattia pediculare e da vermini, che gli divorarono, vivente ancora, tutte le carni, spirò, come era vissuto, bestemmiando Iddio ed invocando il diavolo. Tale fu il fondatore e padre della setta dei calvinisti, la più assurda, la più audace, la più spietata, la più dissoluta di tutte le sette moderne; che col favore di tutte le passioni, cui accordò la più grande licenza e la più grande impunità, si estese non solo in molti paesi della Germania, ma ancor nella Svizzera, nell’ Olanda e più tardi in Inghilterra. – Essa pure, come le precedenti, si suddivise e formò due ampie prosapie: una sul continente, l’altra nelle isole britanniche; che, prive di un capo comune, la cui autorità fosse da tutti riconosciuta, si sminuzzarono esse ancora in sette infinite. Le principali furono:

Calvinisti del continente.

1. I nuovi iconoclasti. Il vero spirito del calvinismo essendo quello dell’odio contro Gesù Cristo, la santissima Vergine e i santi, dovea farne necessariamente detestare le immagini. Tutti i calvinisti perciò sono iconoclasti o distruttori delle sacre immagini. Ciò non ostante però questo nome rimase a’ più fanatici fra loro, che formarono una setta particolare il cui scopo fu di abbattere col ferro e col fuoco i sacri templi, le croci, le statue, le pitture sacre ed ogni sensibile emblema del cristianesimo. Nulla difatti eguagliò il furore di questa setta infernale in questa guerra sacrilega a tutto ciò che è oggetto di venerazione, e risveglia le più care memorie al Cristiano. Ma ciò che distinse ancora di più questa dalle altre sette calviniste si fu che i nuovi iconoclasti non isbandirono dai sacri templi le immagini sacre che per sostituirvi le profane: poiché nel luogo delle immagini di Gesù Cristo e dei santi vi posero le loro e quelle delle loro donne e dei loro figliuoli negli atteggiamenti i più lascivi. Cosi già Simon mago, patriarca di tutti gli eretici, fece porre in chiesa il suo ritratto e quello della sua amica Sifone; e così pure, nel tempo della rivoluzione francese del 1793, furono i calvinisti puri quelli che posero sul tabernacolo della cattedrale di Parigi viva una prostituta ignuda. Questi orrori in sì diversi tempi furono dettati dallo stesso spirito.

2. Gli ugonotti, che a tutto il furore degli iconoclasti contro le sacre immagini aggiunsero l’odio contro ogni potestà anche civile. Perciò in Francia, ove particolarmente si stabilirono, eccitarono non solo scismi religiosi ma ancora rivoluzioni politiche, onde quel bel paese fu per più di cento anni straziato e ricoperto di stragi e di sangue.

3. I nuovi ariani. Tutti i libri di Calvino contengono i germi dell’arianesimo e sono una orribile congiura contro la divinità di Gesù Cristo, ma occulta e nascosta. Ora quello che Calvino aveva solo segretamente insinuato, Michele Serveto e Valentino Gentile lo insegnarono pubblicamente, e formarono in Isvizzera la setta de’ nuoci ariani. – Ma siccome non era giunto peranco il tempo in cui si potesse proclamare quest’orribile conseguenza della dottrina di Calvino, cosi Serveto fu fatto bruciar rivo da Calvino medesimo in Ginevra, e a Gentile fu mozzato il capo dagli stessi eretici in Berna.

4. I sociniani, da Lelio Socino senese, che passato in Isvizzera, vi si dichiarò ariano. Ma consigliato da Calvino e molto più istruito dal supplicio di Serveto. usò prudenza finché non fu libero di sé in Polonia; dove i grandi signori accoglievano tutti gli eretici che vi accorrevano da tutte le parti, ed assicuravano loro la più grande impunità. Il suo nipote però Fausto Socino recatosi in Zurigo per prendere l’eredità dello zio, coi beni e gli scritti di lui adottò anche gli errori, anzi li portò ancora più innanzi, dicendo che gli ariani erano stati molto discreti, giacché aveano molto, accordato a Gesù Cristo. Perciò fondò una nuova setta, che propagò nella Svizzera, in Polonia ed in Olanda; e fu impudente nel negare tutto ciò che prima di lui si era creduto dai Cristiani che ebbe il tristo vanto che il suo nome sia stato associato a quello di Lutero e di Calvino nella gloria infernale di aver voluto distruggere il Cristianesimo, come appare da quest’empia iscrizione posta sul suo sepolcro: « Lutero ha levato il tetto di Babilonia, Calvino ne ha atterrate le pareti; ma Socino ne ha distrutte le fondamenta. »

5. I mennonisti; sul principio non furono essi che avanzi della sentina degli anabattisti, che, fuggendo da Munster dopo la caduta del preteso regno di Giovanni Leida, furono da Mennone raccolti nella Frisia. Conservarono essi alcun tempo le dottrine di Botmano, ma poi avendo adottate anche quelle di Calvino, e non essendo al solito più fra loro d’accordo, si divisero in trenta novelle sette.

6. I gommarani dall’olandese Gommaro, che avendo estratto da Calvino i dommi più spietati e più disperati intorno alla predestinazione, alla grazia, al peccato originale, li insegnò pubblicamente e si fece molti seguaci. Dai gommarani nacquero più tardi in Olanda pure …

7. I giansenisti; che ritenendo le stesse dottrine, vi aggiunsero la maschera dell’ipocrisia, pretendendo di passare per buoni cattolici e membri della Chiesa, mentre abbattono le fondamenta del Cattolicismo e negano l’autorità della Chiesa. Coll’ajuto però della simulazione e della perfidia si sono insinuati in tutte le contrade cattoliche e vi hanno cagionato un immenso danno non solo alla Religione ma ancora alla politica. A sentire questi impostori, non vogliono essi che la dottrina sana e la morale pura. In fatti però colle loro atroci dottrine ispirando un secreto odio di Dio e la disperazione di salvarsi, per una via contraria a quella che tendono gli atei manifesti, conducono l’uomo al medesimo termine, ad abbandonarsi, cioè, a tutti i vizj e non credere alcuna verità.

8. Gli arminiani: da Giacomo Anninio, acerrimo avversario di Gommaro e dei suoi dommi ingiuriosi alla bontà di Dio e distruttori di ogni sentimento di fiducia e di cristiana carità nell’uomo. Fermissimo egli però nell’errore calviniano, che ad ognuno è lecito l’interpretare a suo modo la Scrittura, ed obbligato a soffrire le interpretazioni delle altre sette per avere perdonate le proprie, proclamò in Olanda la dottrina della tolleranza universale di tutte le sette e di tutti gli errori, cioè l’indifferenza e lo scetticismo assoluto in materia di religione; che formò poi tutta la filosofìa e la religione che Bayle ha professata nel suo Dizionario. Perciò gli arminiani, detti ancora rimostrami per una rimostranza da essi fatta agli stati generali, furono ragionevolmente sospetti di socinianismo.

9, I worstiani, da Worstio professore di Leida, uno dei più arditi bestemmiatori di Dio, cui negò la trinità, l’immutabilità, l’immensità, e fece ad accidenti materiali soggetto. Oneste bestemmie prepararono la via a Benedetto Spinoza per fabbricarvi il suo orribile sistema del panteismo; onde, a forza di sostenere che tutto è Dio, si viene a distruggere ogni idea della divinità.

10. I contro-rimostranti o rigidi calvinisti; che, per opporsi agli arminiani, si posero a difendere fino alle sillabe la dottrina di Calvino; ma non essendo d’accordo nell’intenderla, si divisero subito in tre sette diverse.

11. I pescatoriani, da Giovanni Pescatore, che con una rara modestia disse che Dio avea a lui conceduto il suo spirito in maggiore abbondanza che a qualunque altro uomo per intendere bene la Scrittura. Quest’uomo, si pieno dello spirito di Dio, però bestemmiò come un demonio: asserendo che Gesù non meritò nulla colla sua vita, ma solo colla sua morte e pei soli eletti; che la dannazione, o la salvazione è l’effetto della necessità. Ma siccome pose per cerimonia essenziale la frazione del pane nella cena, ed alterò in altri punti la purezza della dottrina di Calvino, dai calvinisti di Francia e di Germania fu colla sua setta scomunicato come eretico.

Calvinisti d’Inghilterra.

Arrigo VIII, di cui è stato detto che non risparmiò mai l’onore di alcuna donna alla sua lascivia, né la vita di alcun uomo al suo orgoglio, marito inverecondo e crudele di diciannove mogli, che fece quasi tutte decapitare pel delitto di avere amato in lui un mostro a forme umane; volendo ripudiare la sua prima legittima moglie per isposare una prostituta, ed opponendovisi, come era di ragione, il Sommo Pontefice, fece scisma dalla Chiesa ed abbracciò la riforma luterana, la quale, per raccomandarsi al favore e alle passioni dei grandi, avea per primo articolo conceduto il divorzio, o l’adulterio legale. Chiamò Arrigo varj eresiarchi dalla Germania e dall’Olanda, e col loro ajuto formò la nuova religione anglicana, di cui egli si costituì capo e pontefice. Ma una religione non si forma così facilmente dall’uomo come un impero. Gli eresiaschi di tutte le comunioni e di tutte le sette, principalmente calviniste, venuti in Inghilterra dal continente, e tutti d’accordo in ripudiare la Chiesa Cattolica, non convennero però nel riconoscere la religione d’Arrigo e dei suoi degni successori: e però si scissero da prima in due grandi divisioni, quella dei calvinisti protestanti e quella dei puritani.

1. I calvinisti-protestanti professarono una dottrina mista di luteranismo e di calvinismo. Questa setta formossi d’individui di tutte le opinioni delle innumerabili sette luterane e calviniste del continente. Ad essa unironsi

2. Gli anglo-papisti, ossia l’ammasso di ecclesiastici apostati e di nobili dilapidatori e loro degni aderenti, che, per godersi gl’immensi beni tolti al clero cattolico, conservarono una specie di gerarchia ecclesiastica, e molte cerimonie della Chiesa Cattolica affine d’ingannare più facilmente il popolo. – Queste due sette, per partecipare alla protezione ed alle largizioni ecclesiastiche, di cui si fece arbitro assoluto e dispensatore il monarca, si rassegnarono a riconoscerlo per pontefice e capo legittimo della religione, protestando con giuramento di credere « che al principe secolare si deve ubbidienza cieca in materia di fede. » Una certa restrizione a questo giuramento degradante ed assurdo, particolarmente per uomini che avevano rigettata l’autorità del Pontefice della Chiesa universale, ve l’apposero

3. I formalisti, che sostennero che formalmente la podestà ecclesiastica risiede nel ministero della parola, e solo protestantivamente ed in quanto all’esteriore esercizio si deve riconoscere nel principe. Ma siccome essi ancora prestavano in pubblico il giuramento di supremazia religiosa al potere civile, salvo il diritto di ridersene in privato, così tutte e tre queste grandi sette, con tutte quelle in cui si suddivisero all’infinito, esteriormente non ne formarono che una sola. Lo stesso avvenne dei …

4. Puritani; essi in principio non furono che calvinisti puri, che con una cieca ostinazione sostennero tutti e singoli i dommi di Calvino, e particolarmente quello di un’assoluta libertà di coscienza e di non riconoscere alcuna autorità in materia di fede. Più tardi vi si unirono:

5. I presbiteriani, che sostengono che ogni Cristiano è presbitero. Quindi ancora vi aggiunsero:

6. Gli arminiani, 7. i pescatoriani, 8. i worstiani, 9. I sociniani inglesi e scozzesi, e tutte quante le sette dette dei dissidenti perché non riconoscevano né in privato né in pubblico la religione legale del parlamento e la supremazia spirituale del re. Tutti costoro, facendo causa comune coi puritani, formarono come una setta comune. Questa orribile riunione di tutte le sette le più fanatiche e le più turbolenti sosteneva essere dalla natura del protestantismo, come la stessa parola abbastanza lo indica, il protestare contro ogni autorità in materia di religione per attenersi alla pura parola delle Scrittore interpretate secondo il privato senso di ognuno, come i patriarchi della riforma lo avevano insegnato; perciò i protestanti-anglicani essere contradittorj a sé medesimi nel pretendere che si riconoscesse da tutti per vera la chiesa anglicana, dopo che essi pure aveano rigettata la Chiesa Cattolica, e che si accettasse per capo della religione il re da uomini che ricusavano di riconoscerne il Papa. Nulla eravi di più ragionevole di questo discorso. Ma il re-pontefice rispondendo col cannone e colle forche ai raziocini dei teologi, si venne alle armi, e le due grandi divisioni dei protestanti-anglicani e dei puritani si fecero una guerra ostinata e crudele. Mentre adunque i veri Cattolici, perseguitati e cerchi a morte come bestie feroci, rinnovarono, colla loro costanza nella vera fede, gli esempi di eroismo dei primi martiri, in faccia ad Arrigo, ad Elisabetta, a Giacomo, a Gromwel, che rinnovarono gli orrori degli antichi tiranni: i dissidenti ricoprirono il paese di stragi e di sangue; in che, dopo più di cento anni di scismi, di ribellioni, di guerre in cui il sangue dei re bagnò i patiboli, dopo tante riforme di una religione non mai formata, la religione anglicana, ridotta ai famosi trentanove articoli e sostenuta dalla forza delle baionette, del potere e dell’oro, trionfò della forza dei raziocinj, la sola che era rimasta ai dissidenti; e sopra fondamenta di fango insanguinato sorse ad insultare il pubblico buon senso e la verità quell’impasto mostruoso che si disse chiesa-anglicana-stabilita, opera di tante usurpazioni, di tante rapine, di tante apostasie, di tanti sacrilegi e di tanto sangue. – Ma la forza, che mantenne una forma esteriore di religione, non poté produrre il convincimento interiore, la concordia e la fede. Le dissidenze adunque si manifestarono nella stessa comunione anglicana e presero a lacerarne il seno, come le vipere si rivolgono a mordere la loro madre. In tutte le quattro funeste prosapie di Lutero con tutte le loro molteplici discendenze vi ebber seguaci, che crearono mille altre sette più libere, più stravaganti e più bizzarre, come in particolare quelle dei quaccheri e dei metodisti. Quelle però che vi si moltiplicaron di più furono le diverse sezioni dei confessionisti indifferenti, di cui si è parlato. Una gran parte di coloro che, per potere essere ammessi alla rappresentanza nazionale o ai pubblici impieghi, prestavano giuramento di supremazia al re e di fedeltà ai trentanove articoli erano allo stesso tempo notoriamente anti-trinitarj, sociniani, materialisti o atei. Il giuramento divenne un affare di pura cerimonia, che non impose alla coscienza alcun dovere; e col favore della libertà della stampa si venne a tal licenza di opinare e di credere che fra gli stessi anglicani, nella stessa famiglia, fu difficile trovare due individui che avessero le stesse credenze in materia di religione. La chiesa anglicana perciò, restata come stabilimento politico, fu a poco a poco demolita dai suoi stessi figli come dottrina teologica e come comunione religiosa; e sulle sue rovine sorse la scuola o setta anti-cristiana dei libertini, che numerò tra i suoi padri i Collins, i Bolinbroke, gli Hume, i Gibbon, i quali negarono ed attaccarono tutto il Cristianesimo. – Tali furono e sono tuttavia i discendenti di Lutero, di un padre malvagio figli peggiori, che con nomi comuni si chiamano protestanti perché protestano contro la vera fede della Chiesa: evangelici perché dicono di professare il puro Vangelo, essi che l’un dopo l’altro hanno distrutto tutti i dommi e tutti i precetti del Vangelo: e finalmente riformati perché spacciano di avere riformata la Chiesa, essi che per dottrine o per costumi moltiformi, difformi, informi e deformi l’avrebbero dalle fondamenta distrutta, se le porte dell’inferno avessero potuto prevalere contro di essa, e non fosse essa l’opera che Dio sostiene, come Dio è che l’ha stabilita. – Infatti la scuola di empietà di cui si è detto, ultimo parto ed espressione ultima del protestantismo inglese, trapiantata in Francia da Voltaire, il Lutero della filosofia, partorì un Rousseau, che ne fu come il Calvino, e quindi i D’Alembert, i Diderot, i D’Argens, i La-Metrie, i D’Holbach, gli Elvezi. Costoro discordanti di opinioni fra loro, e solo uniti da un odio comune contro la Religione Cristiana, anzi contro ogni sorta di religione, associandosi a tutti quelli che avean di già abbracciate le empietà dei confessionisti indifferenti, degli illuminati di Germania e dei libertini della Svizzera, formarono la setta filosofica del secolo decimottavo, di sempre turpe ed esecranda memoria: che, non contenta di avere negata la Trinità, Gesù Cristo, il Cristianesimo, rinnovò con una intrepidezza infernale, quasi nei medesimi termini, tutti gli errori, tutte le turpitudini, tutti i delirj. Tutte le assurdità della filosofia pagana. Imperciocché negò ogni culto, ogni divinità, ogni legge morale, l’immortalità dell’anima, anzi l’anima assolutamente e perfino la ragione dell’uomo, asserendo l’uomo non differire dai bruti se non perché ha le mani. Oh prova tremenda, oh lugubre monumento dell’impotenza di edificare, della funesta energia di distruggere della ragione umana, allora quando, abbandonate le vie dell’autorità e della fede, pretende colle sole sue forze crearsi la religione e la verità. – Che avvenne però da questa orribile apostasia della fede? Gibbon, autor non sospetto, dimostra che l’indifferentismo o l’ateismo pratico in cui sotto gl’imperatori degenerò in Roma la filosofia pagana, terminando di corrompere i costumi, fece discendere il popolo romano sino al fondo della turpitudine e della barbarie, e partorì quei portenti di lascivia e di crudeltà di cui parla con orrore la storia augusta e che, più che le armi dei barbari, fecero crollare dalle fondamenta l’impero romano e vendicarono il mondo. Ora le stesse cause produssero gli stessi effetti nel secolo decimottavo. L’indifferentismo o l’ateismo, nato dalla filosofia ereticale del protestantismo moderno, e propagato in Francia da empi sofisti, vi produsse quella orribile licenza di pensare e di vivere che andò a terminare colle turpi e sanguinose orge del 1793, collo sconvolgimento e la rovina della società. I filosofi pagani però, spaventati dalle orribili conseguenze dell’ateismo, per salvare un avanzo di credenza onde sostenere la società pagana caduta in dissoluzione e in ruina, fabbricarono, sotto il nome di neoplatonismo, nelle scuole filosofiche di Roma e di Alessandria, un certo misticismo panteista che fu l’ultimo errore che la ragion pagana oppose al Cristianesimo. Ora così pure i filosofi anti-cristiani di oggidì, atterriti dai tremendi effetti dell’ateismo, in cui è finita la filosofia degli eretici, volendo mantenere un’ombra di ordine sociale senza il Cristianesimo, hanno sognato anch’essi il panteismo, lo hanno eretto in iscuola ed in religione: orribile religione! che non è se non il composto del sacrilegio e dell’assurdità: e in cui l’orgoglio e la voluttà, all’ombra del domma « che tutto è Dio, » divinizzando la ragione e la carne umana, credono di poter delirare e scapricciarsi senza rimorso. E questo pure è l’ultimo errore che la ragione ereticale oppone al Cattolicismo. – Ma poiché questa orribile dottrina «che l’universo con tutti gli esseri che lo compongono non sono che una sola e medesima sostanza, un solo e medesimo Dio » è distruttiva d’ogni idea vera di Dio; il dire che tutto ciò che esiste è Dio equivale a dire che Dio non esiste in alcun modo. Il panteismo adunque dei sofisti anti-cristiani dei nostri giorni non è in fondo che l’ateismo mascherato dello scorso secolo. Sono essi simili agli antichi epicurei, ai quali Tullio rimproverava che, ammettendo Dio colle parole, lo toglievano col fatto: Verbis quidem ponunt deos, re tollunt. I.a sola differenza che passa tra i sofisti atei del secolo decimottavo e quelli del decimonono si è, che quelli erano atei e lo confessavano, questi lo son niente meno e non osano di comparirlo. Quelli, negando Dio, aveano finito col negare l’uomo, facendone un bruto; questi, dicendo che tutto è Dio, negano nientemeno anche l’uomo, facendone un Dio. Perciò, tolta la circostanza, che i moderni panteisti all’orribile dell’ateismo aggiungono la maschera dell’ipocrisia ed il delirio di un immenso orgoglio, in tutto il resto la loro dottrina, non meno che quella dei loro padri funesta, finisce al medesimo termine di negare il sentimento, la coscienza, l’intelletto, la ragione, l’individualità, la persona propria dell’uomo. Ciò è a dire che la ragione umana, a forza di ragionare, di negazione in negazione, ha finito col negare sé medesima; che, pretendendo indovinare coi soli suoi lumi ogni verità, non ha trovato che tutti gli errori, giacché l’ateismo tutti li comprende; che, essendosi alzata come un gigante verso del cielo, ha finito collo stramazzare in terra nel fango come un vilissimo insetto; che, ripromettendosi d’intendere i misteri di Dio, è divenuta a sé medesimo un mistero affatto incomprensibile; che in luogo della luce, cui si augurava di giungere, non ha fatto che addensare sopra di sé tenebre sopra a tenebre e perdersi nella loro oscurità; che, vantandosi di ergere colle sole sue forze l’edifìcio del vero, non ha ammassate che mine che l’hanno oppressa; e analmente che, sognando di crear poco meno che tutto, la religione, la società, Dio stesso, ha esaurita tutta la sua attività funesta nel distruggere, e non ha terminato questo suo tremendo lavorio di demolizione che distruggendo persin sé stessa, Ecco a che è buona la ragione senza la fede!

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. LEONE XIII – RERUM NOVARUM (2)

La questione sociale, non trova soluzione né rimedio alcuno senza che si ricorra alla Religione Cattolica e alla dottrina della Chiesa … Questo è il compendio che il Pontefice indicava già in precedenza nel corso della presente Enciclica. Qui definisce i ruoli complementari ma subordinati alla Chiesa, dello Stato nei confronti dei cittadini o sudditi, e il ruolo delle associazioni. Il mondo di oggi invece ha escluso il ruolo della Chiesa e della Religione – unica vera – da ogni processo sociale, da ogni contesto produttivo, assegnando alle speculazioni finanziarie di usurai senza scrupolo, che manipolano burattini sciocchi asserviti alle logge massoniche dirette dalle forze oscure e tenebrose dedite a culti satanici e a pratiche esoteriche, il compito di regolare il mondo del lavoro e l’assetto sociale, con i risultati che tutti possiamo con orrore e raccapriccio vedere. In pratica la moderna politica finanziaria, sociale, lavorativa è gestita dai poteri infernali che per poter liberamente operare, oltre alle zecche di stato, ai mass media volutamente ignoranti ma obbedienti, hanno dovuto scardinare – almeno in apparenza – le strutture ecclesiastiche e le direttive dottrinali della Chiesa di Cristo non solo dall’esterno con le mille abominevoli teorie filosofiche, pedagogiche, economiche, tutte minate dall’immanentismo e panteismo gnostico – vedi socialismo, comunismo, liberismo sfrenato, mondialismo … – ma direttamente dall’interno introducendosi con logge del G. O., degli Illuminati e del B’nai b’rith fin nel tempio sacro, facendone una turpe conchiglia che mostra un’apparenza di Cristianesimo modernista, in sostanza sterco gnostico indorato condito da indifferentismo, soggettivismo, ecumenismo becero anticristiano che mescola un ignobile finto Cattolicesimo al protestantesimo di ogni risma ed eresia, al talmudismo-kabalistico, al maomettanesimo ebionita, taoismo, buddismo, e finanche all’animismo, a sciamanesimo e allo spiritismo. A questo punto dobbiamo solo aspettare che si compiano gli eventi profetizzati e che la bestia, i falsi profeti ed il dragone maledetto siano gettati nello stagno dell’eterno fuoco.

RERUM NOVARUM

LETTERA ENCICLICA DI

S.S. LEONE XIII -2-

1 – Il diritto d’intervento dello Stato

26. I governanti dunque debbono in primo luogo concorrervi in maniera generale con tutto il complesso delle leggi e delle istituzioni politiche, ordinando e amministrando lo Stato in modo che ne risulti naturalmente la pubblica e privata prosperità. Questo infatti è l’ufficio della civile prudenza e il dovere dei reggitori dei popoli. Ora, la prosperità delle nazioni deriva specialmente dai buoni costumi, dal buon assetto della famiglia, dall’osservanza della religione e della giustizia, dall’imposizione moderata e dall’equa distribuzione dei pubblici oneri, dal progresso delle industrie e del commercio, dal fiorire dell’agricoltura e da altre simili cose, le quali, quanto maggiormente promosse, tanto più felici rendono i popoli. Anche solo per questa via, può dunque lo Stato grandemente concorrere, come al benessere delle altre classi, così a quello dei proletari; e ciò di suo pieno diritto e senza dar sospetto d’indebite ingerenze; giacché provvedere al bene comune è ufficio e competenza dello Stato. E quanto maggiore sarà la somma dei vantaggi procurati per questa generale provvidenza, tanto minore bisogno vi sarà di tentare altre vie a salvezza degli operai.

a) per il bene comune

27. Ma bisogna inoltre considerare una cosa che tocca più da vicino la questione: che cioè lo Stato è una armoniosa unità che abbraccia del pari le infime e le alte classi. I proletari né di più né di meno dei ricchi sono cittadini per diritto naturale, membri veri e viventi onde si compone, mediante le famiglie, il corpo sociale: per non dire che ne sono il maggior numero. Ora, essendo assurdo provvedere ad una parte di cittadini e trascurare l’altra, è stretto dovere dello Stato prendersi la dovuta cura del benessere degli operai; non facendolo, si offende la giustizia che vuole si renda a ciascuno il suo, Onde saggiamente avverte san Tommaso: Siccome la parte e il tutto fanno in certo modo una sola cosa, così ciò che è del tutto è in qualche maniera della parte (S. Th. II-II, q. 61, a. 1 ad 2). Perciò tra i molti e gravi doveri dei governanti solleciti del bene pubblico, primeggia quello di provvedere ugualmente ad ogni ordine di cittadini, osservando con inviolabile imparzialità la giustizia cosiddetta distributiva.

b) per il bene degli operai

Sebbene tutti i cittadini senza eccezione alcuna, debbano cooperare al benessere comune che poi, naturalmente, ridonda a beneficio dei singoli, tuttavia la cooperazione non può essere in tutti né uguale né la stessa. Per quanto si mutino e rimutino le forme di governo, vi sarà sempre quella varietà e disparità di condizione senza la quale non può darsi e neanche concepirsi il consorzio umano. Vi saranno sempre pubblici ministri, legislatori, giudici, insomma uomini tali che governano la nazione in pace, e la difendono in guerra; ed è facile capire che, essendo costoro la causa più prossima ed efficace del bene comune, formano la parte principale della nazione. Non possono allo stesso modo e con gli stessi uffici cooperare al bene comune gli artigiani; tuttavia vi concorrono anch’essi potentemente con i loro servizi, benché in modo indiretto. Certo, il bene sociale, dovendo essere nel suo conseguimento un bene perfezionativo dei cittadini in quanto sono uomini, va principalmente riposto nella virtù. Nondimeno, in ogni società ben ordinata deve trovarsi una sufficiente abbondanza dei beni corporali, l’uso dei quali è necessario all’esercizio della virtù (S. Th., De reg, princ. I,17). Ora, a darci questi beni è di necessità ed efficacia somma l’opera e l’arte dei proletari, o si applichi all’agricoltura, o si eserciti nelle officine. Somma, diciamo, poiché si può affermare con verità che il lavoro degli operai è quello che forma la ricchezza nazionale. È quindi giusto che il governo s’interessi dell’operaio, facendo si che egli partecipi ín qualche misura di quella ricchezza che esso medesimo produce, cosicché abbia vitto, vestito e un genere di vita meno disagiato. Si favorisca dunque al massimo ciò che può in qualche modo migliorare la condizione di lui, sicuri che questa provvidenza, anziché nuocere a qualcuno, gioverà a tutti, essendo interesse universale che non rimangano nella miseria coloro da cui provengono vantaggi di tanto rilievo.

2 – Norme e limiti del diritto d’intervento

28. Non è giusto, come abbiamo detto, che il cittadino e la famiglia siano assorbiti dallo Stato: è giusto invece che si lasci all’uno e all’altra tanta indipendenza di operare quanta se ne può, salvo il bene comune e gli altrui diritti. Tuttavia, i governanti debbono tutelare la società e le sue parti. La società, perché la tutela di questa fu da natura commessa al sommo potere, tanto che la salute pubblica non è solo legge suprema, ma unica e totale ragione della pubblica autorità; le parti, poi, perché filosofia e Vangelo si accordano a insegnare che il governo è istituito da natura non a beneficio dei governanti, bensì dei governati. E perché il potere politico viene da Dio ed è una certa quale partecipazione della divina sovranità, deve amministrarsi sull’esempio di questa, che con paterna cura provvede non meno alle particolari creature che a tutto l’universo. Se dunque alla società o a qualche sua parte è stato recato o sovrasta un danno che non si possa in altro modo riparare o impedire, si rende necessario l’intervento dello Stato.

29. Ora, interessa il privato come il pubblico bene che sia mantenuto l’ordine e la tranquillità pubblica; che la famiglia sia ordinata conforme alla legge di Dio e ai principi di natura; che sia rispettata e praticata la religione; che fioriscano i costumi pubblici e privati; che sia inviolabilmente osservata la giustizia; che una classe di cittadini non opprima l’altra; che crescano sani e robusti i cittadini, atti a onorare e a difendere, se occorre, la patria. Perciò, se a causa di ammutinamenti o di scioperi si temono disordini pubblici; se tra i proletari sono sostanzialmente turbate le naturali relazioni della famiglia; se la religione non é rispettata nell’operaio, negandogli agio e tempo sufficiente a compierne i doveri; se per la promiscuità del sesso ed altri incentivi al male l’integrità dei costumi corre pericolo nelle officine; se la classe lavoratrice viene oppressa con ingiusti pesi dai padroni o avvilita da fatti contrari alla personalità e dignità umana; se con il lavoro eccessivi o non conveniente al sesso e all’età, si reca danno alla sanità dei lavoratori; in questi casi si deve adoperare, entro i debiti confini, la forza e l’autorità delle leggi. I quali fini sono determinati dalla causa medesima che esige l’intervento dello Stato; e ciò significa che le leggi non devono andare al di là di ciò che richiede il riparo dei mali o la rimozione del pericolo. I diritti vanno debitamente protetti in chiunque li possieda e il pubblico potere deve assicurare a ciascuno il suo, con impedirne o punirne le violazioni. Se non che, nel tutelare le ragioni dei privati, si deve avere un riguardo speciale ai deboli e ai poveri. Il ceto dei ricchi, forte per sé stesso, abbisogna meno della pubblica difesa; le misere plebi, che mancano di sostegno proprio, hanno speciale necessità di trovarlo nel patrocinio dello Stato. Perciò agli operai, che sono nel numero dei deboli e dei bisognosi, lo Stato deve di preferenza rivolgere le cure e le provvidenze sue.

3 – Casi particolari d’intervento

a) difesa della proprietà privata

30. Ma giova discendere espressamente ad alcuni particolari di maggiore importanza. Principalissimo è questo: i governi devono per mezzo di sagge leggi assicurare la proprietà privata. Oggi specialmente, in tanto ardore di sfrenate cupidigie, bisogna che le popolazioni siano tenute a freno; perché, se la giustizia consente a loro di adoperarsi a migliorare le loro sorti, né la giustizia né il pubblico bene consentono che si rechi danno ad altri nella roba, e sotto colore di non so quale eguaglianza si invada l’altrui. Certo, la massima parte degli operai vorrebbe migliorare la propria condizione onestamente, senza far torto ad alcuni; tuttavia non sono pochi coloro i quali, imbevuti di massime false e smaniosi di novità, cercano ad ogni costo di eccitare tumulti e sospingere gli altri alla violenza. Intervenga dunque l’autorità dello Stato e, posto freno ai sobillatori, preservi i buoni operai dal pericolo della seduzione e i legittimi padroni da quello dello spogliamento.

b) difesa del lavoro

1) contro lo sciopero

31. Il troppo lungo e gravoso lavoro e la mercede giudicata scarsa porgono non di rado agli operai motivo di sciopero. A questo disordine grave e frequente occorre che ripari lo Stato, perché tali scioperi non recano danno solamente ai padroni e agli operai medesimi, ma al commercio e ai comuni interessi e, per le violenze e i tumulti a cui d’ordinario danno occasione, mettono spesso a rischio la pubblica tranquillità. Il rimedio, poi, in questa parte, più efficace e salutare, si é prevenire il male con l’autorità delle leggi e impedire lo scoppio, rimovendo a tempo le cause da cui si prevede che possa nascere il conflitto tra operai e padroni.

2) condizioni di lavoro

32. Molte cose parimenti lo Stato deve proteggere nell’operaio, e prima di tutto i beni dell’anima. La vita di quaggiù, benché buona e desiderabile, non è il fine per cui noi siamo stati creati, ma via e mezzo a perfezionare la vita dello spirito con la cognizione del vero e con la pratica del bene. Lo spirito è quello che porta scolpita in sé l’immagine e la somiglianza divina, ed in cui risiede quella superiorità in virtù della quale fu imposto all’uomo di signoreggiare le creature inferiori, e di far servire all’utilità sua le terre tutte ed i mari. Riempite la terra e rendetela a voi soggetta: signoreggiate i pesci del mare e gli uccelli dell’aria e tutti gli animali che si muovono sopra la terra (Gen 1,28). In questo tutti gli uomini sono uguali, né esistono differenze tra ricchi e poveri, padroni e servi, monarchi e sudditi, perché lo stesso è il Signore di tutti (Rom 10,12). A nessuno è lecito violare impunemente la dignità dell’uomo, di cui Dio stesso dispone con grande riverenza, né attraversargli la via a quel perfezionamento che è ordinato all’acquisto della vita eterna. Che anzi, neanche di sua libera elezione potrebbe l’uomo rinunziare ad esser trattato secondo la sua natura, ed accettare la schiavitù dello spirito, perché non si tratta di diritti dei quali sia libero l’esercizio, bensì di doveri verso Dio assolutamente inviolabili. Di qui segue la necessità del riposo festivo. Sotto questo nome non s’intenda uno stare in ozio più a lungo, e molto meno una totale inazione quale si desidera da molti, fomite di vizi e occasione di spreco, ma un riposo consacrato dalla religione. Unito alla religione, il riposo toglie l’uomo ai lavori e alle faccende della vita ordinaria per richiamarlo al pensiero dei beni celesti e al culto dovuto alla Maestà divina. Questa è principalmente la natura, questo il fine del riposo festivo, che Iddio con legge speciale, prescrisse all’uomo nel Vecchio Testamento, dicendogli: Ricordati di santificare il giorno di sabato (Es 20,8) e che egli stesso insegnò di fatto, quando nel settimo giorno, creato l’uomo, si riposò dalle opere della creazione: Riposò nel giorno settimo da tutte le opere che aveva fatte (Gen 2,2).

33. Quanto alla tutela dei beni temporali ed esteriori prima di tutto è dovere sottrarre il povero operaio all’inumanità di avidi speculatori, che per guadagno abusano senza alcuna discrezione delle persone come fossero cose. Non è giusto né umano esigere dall’uomo tanto lavoro da farne inebetire la mente per troppa fatica e da fiaccarne il corpo. Come la sua natura, così l’attività dell’uomo è limitata e circoscritta entro confini ben stabiliti, oltre i quali non può andare. L’esercizio e l’uso l’affina, a condizione però che di quando in quando venga sospeso, per dar luogo al riposo. Non deve dunque il lavoro prolungarsi più di quanto lo comportino le forze. Il determinare la quantità del riposo dipende dalla qualità del lavoro, dalle circostanze di tempo e di luogo, dalla stessa complessione e sanità degli operai. Ad esempio, il lavoro dei minatori che estraggono dalla terra pietra, ferro, rame e altre materie nascoste nel sottosuolo, essendo più grave e nocivo alla salute, va compensato con una durata più breve. Si deve avere ancor riguardo alle stagioni, perché non di rado un lavoro, facilmente sopportabile in una stagione, è in un’altra o del tutto insopportabile o tale che sí sopporta con difficoltà. Infine, un lavoro proporzionato all’uomo alto e robusto, non é ragionevole che s’imponga a una donna o a un fanciullo. Anzi, quanto ai fanciulli, si badi a non ammetterli nelle officine prima che l’età ne abbia sufficientemente sviluppate le forze fisiche, intellettuali e morali. Le forze, che nella puerizia sbocciano simili all’erba in fiore, un movimento precoce le sciupa, e allora si rende impossibile la stessa educazione dei fanciulli. Così, certe specie di lavoro non si addicono alle donne, fatte da natura per í lavori domestici, í quali grandemente proteggono l’onestà del sesso debole, e hanno naturale corrispondenza con l’educazione dei figli e il benessere della casa. In generale si tenga questa regola, che la quantità del riposo necessario all’operaio deve essere proporzionata alla quantità delle forze consumate nel lavoro, perché le forze consumate con l’uso debbono venire riparate col riposo. In ogni convenzione stipulata tra padroni e operai vi è sempre la condizione o espressa o sottintesa dell’uno e dell’altro riposo; un patto contrario sarebbe immorale, non essendo lecito a nessuno chiedere o permettere la violazione dei doveri che lo stringono a Dio e a sé stesso.

3) la questione del salario

34. Tocchiamo ora un punto di grande importanza, e che va inteso bene per non cadere in uno dei due estremi opposti. La quantità del salario, si dice, la determina il libero consenso delle parti: sicché  il padrone, pagata la mercede, ha fatto la sua parte, né sembra sia debitore di altro. Si commette ingiustizia solo quando o il padrone non paga l’intera mercede o l’operaio non presta tutta l’opera pattuita; e solo a tutela di questi diritti, e non per altre ragioni, è lecito l’intervento dello Stato. A questo ragionamento, un giusto estimatore delle cose non può consentire né facilmente né in tutto; perché esso non guarda la cosa sotto ogni aspetto; vi mancano alcune considerazioni di grande importanza. Il lavoro è l’attività umana ordinata a provvedere ai bisogni della vita, e specialmente alla conservazione: Tu mangerai pane nel sudore della tua fronte (Gen 3,19). Ha dunque il lavoro dell’uomo come due caratteri impressigli da natura, cioè di essere personale, perché la forza attiva è inerente alla persona, e del tutto proprio di chi la esercita e al cui vantaggio fu data; poi di essere necessario, perché il frutto del lavoro è necessario all’uomo per il mantenimento della vita, mantenimento che è un dovere imprescindibile imposto dalla natura. Ora, se si guarda solo l’aspetto della personalità, non v’è dubbio che può l’operaio pattuire una mercede inferiore al giusto, poiché siccome egli offre volontariamente l’opera, così può, volendo, contentarsi di un tenue salario o rinunziarvi del tutto. Ben diversa è la cosa se con la personalità si considera la necessità: due cose logicamente distinte, ma realmente inseparabili. Infatti, conservarsi in vita è dovere, a cui nessuno può mancare senza colpa. Di qui nasce, come necessaria conseguenza, il diritto di procurarsi i mezzi di sostentamento, che nella povera gente sí riducono al salario del proprio lavoro. L’operaio e il padrone allora formino pure di comune consenso il patto e nominatamente la quantità della mercede; vi entra però sempre un elemento di giustizia naturale, anteriore e superiore alla libera volontà dei contraenti, ed è che il quantitativo della mercede non deve essere inferiore al sostentamento dell’operaio, frugale si intende, e di retti costumi. Se costui, costretto dalla necessità o per timore di peggio, accetta patti più duri i quali, perché imposti dal proprietario o dall’imprenditore, volenti o nolenti debbono essere accettati, è chiaro che subisce una violenza, contro la quale la giustizia protesta. Del resto, in queste ed altre simili cose, quali sono l’orario di lavoro, le cautele da prendere, per garantire nelle officine la vita dell’operaio, affinché l’autorità non s’ingerisca indebitamente, specie in tanta varietà di cose, di tempi e di luoghi, sarà più opportuno riservare la decisione ai collegi di cui parleremo più avanti, o usare altri mezzi che salvino, secondo giustizia, le ragioni degli operai, limitandosi lo Stato ad aggiungervi, quando il caso lo richiede, tutela ed appoggio.

c) educazione al risparmio

35. Quando l’operaio riceve un salario sufficiente a mantenere sé stesso e la sua famiglia in una certa quale agiatezza, se egli è saggio, penserà naturalmente a risparmiare e, assecondando l’impulso della stessa natura, farà in modo che sopravanzi alle spese una parte da impiegare nell’acquisto di qualche piccola proprietà. Poiché abbiamo dimostrato che l’inviolabilità del diritto di proprietà è indispensabile per la soluzione pratica ed efficace della questione operaia. Pertanto le leggi devono favorire questo diritto, e fare in modo che cresca il più possibile il numero dei proprietari. Da qui risulterebbero grandi vantaggi, e in primo luogo una più equa ripartizione della ricchezza nazionale. La rivoluzione ha prodotto la divisione della società come in due caste, tra le quali ha scavato un abisso. Da una parte una fazione strapotente perché straricca, la quale, avendo in mano ogni sorta di produzione e commercio, sfrutta per sé tutte le sorgenti della ricchezza, ed esercita pure nell’andamento dello Stato una grande influenza. Dall’altra una moltitudine misera e debole, dall’animo esacerbato e pronto sempre a tumulti. Ora, se in questa moltitudine s’incoraggia l’industria con la speranza di poter acquistare stabili proprietà, una classe verrà avvicinandosi poco a poco all’altra, togliendo l’immensa distanza tra la somma povertà e la somma ricchezza. Oltre a ciò, dalla terra si ricaverà abbondanza di prodotti molto maggiore. Quando gli uomini sanno di lavorare in proprio, faticano con più alacrità e ardore, anzi si affezionano al campo coltivato di propria mano, da cui attendono, per sé e per la famiglia, non solo gli alimenti ma una certa agiatezza. Ed è facile capire come questa alacrità giovi moltissimo ad accrescere la produzione del suolo e la ricchezza della nazione. Ne seguirà un terzo vantaggio, cioè l’attaccamento al luogo natio; infatti non si cambierebbe la patria con un paese straniero, se quella desse di che vivere agiatamente ai suoi figli. Si avverta peraltro che tali vantaggi dipendono da questa condizione, che la privata proprietà non venga oppressa da imposte eccessive. Siccome il diritto della proprietà privata deriva non da una legge umana ma da quella naturale, lo Stato non può annientarlo, ma solamente temperarne l’uso e armonizzarlo col bene comune. È ingiustizia ed inumanità esigere dai privati più del dovere sotto pretesto di imposte.

C) L’opera delle associazioni

1 – Necessità della collaborazione di tutti

36. Finalmente, a dirimere la questione operaia possono contribuire molto i capitalisti e gli operai medesimi con istituzioni ordinate a porgere opportuni soccorsi ai bisognosi e ad avvicinare e udire le due classi tra loro. Tali sono le società di mutuo soccorso; le molteplici assicurazioni private destinate a prendersi cura dell’operaio, della vedova, dei figli orfani, nei casi d’improvvisi infortuni, d’infermità, o di altro umano accidente; i patronati per i fanciulli d’ambo i sessi, per la gioventù e per gli adulti. Tengono però il primo posto le corporazioni di arti e mestieri che nel loro complesso contengono quasi tutte le altre istituzioni. Evidentissimi furono presso i nostri antenati i vantaggi di tali corporazioni, e non solo a pro degli artieri, ma come attestano documenti in gran numero, ad onore e perfezionamento delle arti medesime. I progressi della cultura, le nuove abitudini e i cresciuti bisogni della vita esigono che queste corporazioni si adattino alle condizioni attuali. Vediamo con piacere formarsi ovunque associazioni di questo genere, sia di soli operai sia miste di operai e padroni, ed è desiderabile che crescano di numero e di operosità. Sebbene ne abbiamo parlato più volte, ci piace ritornarvi sopra per mostrarne l’opportunità, la legittimità, la forma del loro ordinamento e la loro azione.

2 – Il diritto all’associazione è naturale

37. Il sentimento della propria debolezza spinge l’uomo a voler unire la sua opera all’altrui. La Scrittura dice: E’ meglio essere in due che uno solo; perché due hanno maggior vantaggio nel loro lavoro. Se uno cade, è sostenuto dall’altro. Guai a chi è solo; se cade non ha una mano che lo sollevi (Eccl 4,9-10). E altrove: il fratello aiutato dal fratello è simile a una città fortificata (Prov 18,19). L’istinto di questa naturale inclinazione lo muove, come alla società civile, così ad altre particolari società, piccole certamente e non perfette, ma pur società vere. Fra queste e quella corre grandissima differenza per la diversità dei loro fini prossimi. Il fine della società civile è universale, perché è quello che riguarda il bene comune, a cui tutti e singoli i cittadini hanno diritto nella debita proporzione. Perciò è chiamata pubblica; per essa gli uomini si mettono in mutua comunicazione al fine di formare uno Stato (S, Th., Contra impugn. Dei cultum et religionem, c. II). Al contrario le altre società che sorgono in seno a quella si dicono e sono private, perché hanno per scopo l’utile privato dei loro soci. Società privata è quella che si forma per concludere affari privati, come quando due o tre si uniscono a scopo di commercio (Ivi).

38. Ora, sebbene queste private associazioni esistano dentro la Stato e ne siano come tante parti, tuttavia in generale, e assolutamente parlando, non può lo Stato proibirne la formazione. Poiché il diritto di unirsi in società l’uomo l’ha da natura, e i diritti naturali lo Stato deve tutelarli, non distruggerli. Vietando tali associazioni, egli contraddirebbe sé stesso, perché l’origine del consorzio civile, come degli altri consorzi, sta appunto nella naturale socialità dell’uomo. Si danno però casi che rendono legittimo e doveroso il divieto. Quando società particolari si prefiggono un fine apertamente contrario all’onestà, alla giustizia, alla sicurezza del consorzio civile, legittimamente vi si oppone lo Stato, o vietando che si formino o sciogliendole se sono formate; è necessario però procedere in ciò con somma cautela per non invadere i diritti dei cittadini, e non fare il male sotto pretesto del pubblico bene. Poiché le leggi non obbligano se non in quanto sono conformi alla retta ragione, e perciò stesso alla legge eterna di Dio (Cfr. S. Th. I-II, q. 13, a. 3).

39. E qui il nostro pensiero va ai sodalizi, collegi e ordini religiosi di tante specie a cui dà vita l’autorità della Chiesa e la pietà dei fedeli; e con quanto vantaggio del genere umano, lo attesta la storia anche ai nostri giorni. Tali società, considerate al solo lume della ragione, avendo un fine onesto, sono per diritto di natura evidentemente legittime. In quanto poi riguardano la religione, non sottostanno che all’autorità della Chiesa. Non può dunque lo Stato arrogarsi più quelle competenza alcuna, né rivendicarne a sé l’amministrazione; ha però il dovere di rispettarle, conservarle e, se occorre, difenderle. Ma quanto diversamente si agisce, soprattutto ai nostri tempi! In molti luoghi e in molti modi lo Stato ha leso i diritti di tali comunità, avendole sottoposte alle leggi civili a private di giuridica personalità, o spogliate dei loro beni. Nei quali beni la Chiesa aveva il diritto suo, come ognuno dei soci, e similmente quelli che li avevano destinati per un dato fine, e quelli al cui vantaggio e sollievo erano destinati. Non possiamo dunque astenerci dal deplorare spogliazioni sì ingiuste e dannose, tanto più che vediamo proibite società cattoliche, tranquille e utilissime, nel tempo stesso che si proclama altamente il diritto di associazione; mentre in realtà tale diritto vieni largamente concesso a uomini apertamente congiurati ai danni della religione e dello Stato.

40. Certe società diversissime, costituite specialmente di operai, vanno oggi moltiplicandosi sempre più. Di molte, tra queste, non è qui luogo di indagar l’origine, lo scopo, i procedimenti. È opinione comune però, confermata da molti indizi, che il più delle volte sono rette da capi occulti, con organizzazione contraria allo spirito cristiano e al bene pubblico; costoro con il monopolio delle industrie costringono chi rifiuta di accomunarsi a loro, a pagar caro il rifiuto. In tale stato di cose gli operai cristiani non hanno che due vie: o iscriversi a società pericolose alla religione o formarne di proprie e unire così le loro forze per sottrarsi coraggiosamente a sì ingiusta e intollerabile oppressione. Ora, potrà mai esitare sulla scelta di questo secondo partito, chi non vuole mettere a repentaglio il massimo bene dell’uomo?

3 – Favorire i congressi cattolici

41. Degnissimi d’encomio sono molti tra i cattolici che, conosciute le esigenze dei tempi, fanno ogni sforzo per migliorare onestamente le condizioni degli operai. E presane in mano la causa, si studiano di accrescerne il benessere individuale e domestico; di regolare, secondo equità, le relazioni tra lavoratori e padroni; di tener viva e profondamente radicata negli uni e negli altri il senso del dovere e l’osservanza dei precetti evangelici; precetti che, allontanando l’animo da ogni sorta di eccessi, lo inducono alla moderazione e, tra la più grande diversità di persone e di cose, mantengono l’armonia nella vita civile. A tal fine vediamo che spesso si radunano dei congressi, ove uomini saggi si comunicano le idee, uniscono le forze, si consultano intorno agli espedienti migliori, Altri s’ingegnano di stringere opportunamente in società le varie classi operaie; le aiutano col consiglio e i mezzi e procurano loro un lavoro onesto e redditizio. Coraggio e protezione vi aggiungono i vescovi, e sotto la loro dipendenza molti dell’uno e dell’altro clero attendono con zelo al bene spirituale degli associati. Non mancano finalmente i cattolici benestanti che, fatta causa comune coi lavoratori, non risparmiano spese per fondare e largamente diffondere associazioni che aiutino l’operaio non solo a provvedere col suo lavoro ai bisogni presenti, ma ad assicurarsi ancora per l’avvenire un riposo onorato e tranquillo. I vantaggi che tanti e sì volenterosi sforzi hanno recato al pubblico bene, sono così noti che non occorre parlarne. Di qui attingiamo motivi a bene sperare dell’avvenire, purché tali società fioriscano sempre più, e siano saggiamente ordinate. Lo Stato difenda queste associazioni legittime dei cittadini; non si intrometta però nell’intimo della loro organizzazione e disciplina, perché il movimento vitale nasce da un principio intrinseco, e gli impulsi esterni facilmente lo soffocano.

4 – Autonomia e disciplina delle associazioni

42. Questa sapiente organizzazione e disciplina è assolutamente necessaria perché vi sia unità di azione e d’indirizzo. Se hanno pertanto i cittadini, come l’hanno di fatto, libero diritto di legarsi in società, debbono avere altresì uguale diritto di scegliere per i loro consorzi quell’ordinamento che giudicano più confacente al loro fine. Quale esso debba essere nelle singole sue parti, non crediamo si possa definire con regole certe e precise, dovendosi determinare piuttosto dall’indole di ciascun popolo, dall’esperienza e abitudine, dalla quantità e produttività dei lavori, dallo sviluppo commerciale, nonché da altre circostanze, delle quali la prudenza deve tener conto. In sostanza, si può stabilire come regola generale e costante che le associazioni degli operai si devono ordinare e governare in modo da somministrare i mezzi più adatti ed efficaci al conseguimento del fine, il quale consiste in questo, che ciascuno degli associati ne tragga il maggior aumento possibile di benessere fisico, economico, morale. È evidente poi, che conviene aver di mira, come scopo speciale, il perfezionamento religioso e morale, e che a questo perfezionamento si deve indirizzare tutta la disciplina sociale. Altrimenti tali associazioni degenerano facilmente in altra natura, né si mantengono superiori a quelle in cui della religione non si tiene conto alcuno. Del resto, che gioverebbe all’operaio l’aver trovato nella società di che vivere bene, se l’anima sua, per mancanza di alimento adatto, corresse pericolo di morire? Che giova all’uomo l’acquisto di tutto il mondo con pregiudizio dell’anima sua? (Mat 16,26). Questo, secondo l’insegnamento di Gesù Cristo, é il carattere che distingue il cristiano dal pagano: I pagani cercano tutte queste cose… voi cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, e gli altri beni vi saranno dati per giunta (Mat 6,32-33). Prendendo adunque da Dio il principio, si dia una larga parte all’istruzione religiosa, affinché ciascuno conosca i propri doveri verso Dio; sappia bene ciò che deve credere, sperare e fare per salvarsi; e sia ben premunito contro gli errori correnti e le seduzioni corruttrici. L’operaio venga animato al culto di Dio e all’amore della pietà, e specialmente all’osservanza dei giorni festivi. Impari a venerare e amare la Chiesa, madre comune di tutti, come pure a obbedire ai precetti di lei, e a frequentare i sacramenti, mezzi divini di giustificazione e di santità.

5 – Diritti e doveri degli associati

43. Posto il fondamento degli statuti sociali nella religione, è aperta la strada a regolare le mutue relazioni dei soci per la tranquillità della loro convivenza e del loro benessere economico. Gli incarichi si distribuiscano in modo conveniente agli interessi comuni, e con tale armonia che la diversità non pregiudichi l’unità. E’ sommamente importante che codesti incarichi vengano distribuiti con intelligenza e chiaramente determinati, perché nessuno dei soci rimanga offeso. I beni comuni della società siano amministrati con integrità, così che i soccorsi vengano distribuiti a ciascuno secondo i bisogni; e i diritti e i doveri dei padroni armonizzino con i diritti e i doveri degli operai. Quando poi gli uni o gli altri si credono lesi, è desiderabile che trovino nella stessa associazione uomini retti e competenti, al cui giudizio, in forza degli statuti, si debbano sottomettere. Si dovrà ancora provvedere che all’operaio non manchi mai il lavoro, e vi siano fondi disponibili per venire in aiuto di ciascuno, non solamente nelle improvvise e inattese crisi dell’industria, ma altresì nei casi di infermità, di vecchiaia, di infortunio. Quando tali statuti sono volontariamente abbracciati, si é già sufficientemente provveduto al benessere materiale e morale delle classi inferiori; e le società cattoliche potranno esercitare non piccola influenza sulla prosperità della stessa società civile. Dal passato possiamo prudentemente prevedere l’avvenire. Le umane generazioni si succedono, ma le pagine della loro storia si rassomigliano grandemente, perché gli avvenimenti sono governati da quella Provvidenza suprema la quale volge e indirizza tutte le umane vicende a quel fine che ella si prefisse nella creazione della umana famiglia. Agli inizi della Chiesa i pagani stimavano disonore il vivere di elemosine o di lavoro, come tacevano la maggior parte dei cristiani. Se non che, poveri e deboli, riuscirono a conciliarsi le simpatie dei ricchi e il patrocinio dei potenti. Era bello vederli attivi, laboriosi, pacifici, giusti, portati come esempio, e singolarmente pieni di carità. A tale spettacolo di vita e di condotta si dileguò ogni pregiudizio, ammutolì la maldicenza dei malevoli, e le menzogne di una inveterata superstizione cedettero il posto alla verità cristiana.

6 – Le questioni operaie risolte dalle loro associazioni

44. Si agita ai nostri giorni la questione operaia, la cui buona o cattiva soluzione interessa sommamente lo Stato. Gli operai cristiani la sceglieranno bene, se uniti in associazione, e saggiamente diretti, seguiranno quella medesima strada che con tanto vantaggio di loro stessi e della società, tennero i loro antenati. Poiché, sebbene così prepotente sia negli uomini la forza dei pregiudizi e delle passioni, nondimeno, se la pravità del volere non ha spento in essi il senso dell’onesto, non potranno non provare un sentimento benevolo verso gli operai quando li scorgono laboriosi, moderati, pronti a mettere l’onestà al di sopra del lucro e la coscienza del dovere innanzi a ogni altra cosa. Ne seguirà poi un altro vantaggio, quello cioè di infondere speranza e facilità di ravvedimento a quegli operai ai quali manca o la fede o la buona condotta secondo la fede. Il più delle volte questi poveretti capiscono bene di essere stati ingannati da false speranze e da vane illusioni. Sentono che da cupidi padroni vengono trattati in modo molto inumano e quasi non sono valutati più di quello che producono lavorando; nella società, in cui si trovano irretiti, invece di carità e di affetto fraterno, regnano le discordie intestine, compagne indivisibili della povertà orgogliosa e incredula. Affranti nel corpo e nello spirito, molti di loro vorrebbero scuotere il giogo di si abietta servitù; ma non osano per rispetto umano o per timore della miseria. Ora a tutti costoro potrebbero recare grande giovamento le associazioni cattoliche, se agevolando ad essi il cammino, li inviteranno, esitanti, al loro seno, e rinsaviti, porgeranno loro patrocinio e soccorso.

CONCLUSIONE

La carità, regina delle virtù sociali

45. Ecco, venerabili fratelli, da chi e in che modo si debba concorrere alla soluzione di sì arduo problema. Ciascuno faccia la parte che gli spetta e non indugi, perché il ritardo potrebbe rendere più difficile la cura di un male già tanto grave. I governi vi si adoperino con buone leggi e saggi provvedimenti; i capitalisti e padroni abbiano sempre presenti i loro doveri; i proletari, che vi sono direttamente interessati, facciano, nei limiti del giusto, quanto possono; e poiché, come abbiamo detto da principio, il vero e radicale rimedio non può venire che dalla religione, si persuadano tutti quanti della necessità di tornare alla vita cristiana, senza la quale gli stessi argomenti stimati più efficaci, si dimostreranno scarsi al bisogno. Quanto alla Chiesa, essa non lascerà mancare mai e in nessun modo l’opera sua, la quale tornerà tanto più efficace quanto più sarà libera, e di questo devono persuadersi specialmente coloro che hanno il dovere di provvedere al bene dei popoli. Vi pongano tutta la forza dell’animo e la generosità dello zelo i ministri del santuario; e guidati dall’autorità e dall’esempio vostro, venerabili fratelli, non si stanchino di inculcare a tutte le classi della società le massime del Vangelo; impegnino le loro energie a salvezza dei popoli, e soprattutto alimentino in sé e accendano negli altri, nei grandi e nei piccoli, la carità, signora e regina di tutte le virtù. La salvezza desiderata dev’essere principalmente frutto di una effusione di carità; intendiamo dire quella carità cristiana che compendia in sé tutto il Vangelo e che, pronta sempre a sacrificarsi per il prossimo, è il più sicuro antidoto contro l’orgoglio e l’egoismo del secolo. Già san Paolo ne tratteggiò i lineamenti con quelle parole: La carità è longanime, è benigna; non cerca il suo tornaconto: tutto soffre, tutto sostiene (1 Cor 13,4-7). Auspice dei celesti favori e pegno della nostra benevolenza, a ciascuno di voi, venerabili fratelli, al vostro clero e al vostro popolo, con grande affetto nel Signore impartiamo l’apostolica benedizione.

Dato a Roma presso san Pietro, il giorno 15 maggio 1891, anno decimoquarto del nostro pontificato.

LEONE PP. XIII

DOMENICA I DI AVVENTO (2020)

DOMENICA I DI AVVENTO (2020)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B.; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Stazione a S. Maria Maggiore.

Semid. Dom. privil. di I cL. – Paramenti violacei.

A Natale Gesù nascerà nelle nostre anime, perché allora si celebrerà l’anniversario della sua nascita e alla domanda della Chiesa sua Sposa, alla quale non rifiuta nulla, accorderà alle nostre anime le stesse grazie che ai pastori e ai re magi. Cristo tornerà cosi alla fine del mondo per « condannare i colpevoli alle fiamme e per invitare con voce amica i buoni in cielo » (Inno Matt..). Tutta la Messa di questo giorno ci prepara a questo doppio Avvento (Adventus) di misericordia e di giustizia.

Alcune parti si riferiscono indifferentemente all’uno e all’altro (Intr. Oraz. Grad. All.), altre fanno allusione alla umile nascita del nostro Divin Redentore, (Comm. Postcomm.). Altre, infine, parlano della sua venuta come Re in tutto lo splendore della sua potenza e della sua maestà (Ep., Vang.). L’accoglienza che noi facciamo a Gesù quando viene a redimerci, sarà quella ch’Egli ci farà quando verrà a giudicarci. Prepariamoci dunque, con sante aspirazioni e col mutamento della nostra vita alle feste di Natale, per essere pronti all’ultimo tribunale, dal quale dipenderà la sorte della nostra anima per l’eternità. Abbiamo fiducia, perché « quelli che aspettano Gesù non saranno confusi » (Intr. Grad. Off.). – Nella basilica di S. Maria Maggiore tutto il popolo di Roma un tempo si intratteneva in questa la Domenica di Avvento, per assistere alla Messa solenne che celebrava il Papa, assistito dal suo clero. Si sceglieva questa chiesa, perché è Maria che ci ha dato Gesù e poiché in questa chiesa si conservano le reliquia della mangiatoia nella quale la Madre benedetta adagiò il suo Figlio divino.

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXIV: 1-3.
Ad te levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.

[A Te ho innalzato l’ànima mia: Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire, né abbiano a deridermi i miei nemici: poiché quelli che confidano in Te non saranno confusi.]


Ps XXIV: 4
Vias tuas, Dómine, demónstra mihi: et sémitas tuas édoce me.

[Mostrami le tue vie, o Signore, e insegnami i tuoi sentieri.]

Ad te levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.

[A Te ho innalzato l’ànima mia: Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire, né abbiano a deridermi i miei nemici: poiché quelli che confidano in Te non saranno confusi.]

Oratio

Orémus.
Excita, quǽsumus, Dómine, poténtiam tuam, et veni: ut ab imminéntibus peccatórum nostrórum perículis, te mereámur protegénte éripi, te liberánte salvári:

[Súscita, o Signore, Te ne preghiamo, la tua potenza, e vieni: affinché dai pericoli che ci incombono per i nostri peccati, possiamo essere sottratti dalla tua protezione e salvati dalla tua mano liberatrice.]

Lectio

Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Romános Rom XIII: 11-14.

“Fratres: Scientes, quia hora est jam nos de somno súrgere. Nunc enim própior est nostra salus, quam cum credídimus. Nox præcéssit, dies autem appropinquávit. Abjiciámus ergo ópera tenebrárum, et induámur arma lucis. Sicut in die honéste ambulémus: non in comessatiónibus et ebrietátibus, non in cubílibus et impudicítiis, non in contentióne et æmulatióne: sed induímini Dóminum Jesum Christum” .

 “È già ora che ci svegliamo dal sonno, perché al presente la salute è più vicina che quando credemmo. La notte è avanzata e il giorno è vicino: gettiam via le opere delle tenebre e vestiamo le armi della luce. Camminiamo con decoro, come chi cammina alla luce del giorno; non in crapule e in ubriachezze, non sotto coltri ed in lascivie, non nelle contese e nell’invidia; ma rivestite il Signore Gesù Cristo e non accarezzate la carne per concupiscenza „ (Ai Rom. XIII, 11-14).

S. Paolo, dopo avere spiegato in questa ammirabile lettera i principali doveri del Cristianesimo, eccita i Romani a praticar la virtù, rammentando loro la breve durata di una vita che tanti uomini passano in un tristo assopimento. Gli esorta ad uscirne, perché il tempo stringe, ed il momento definitivo della nostra salute non è molto lontano. – Che cosa si intende qui per l’assopimento, per la notte ed il giorno, e per le opere delle tenebre?

Per assopimento s’intende quella funesta tiepidezza che fa trascurare a tanti Cristiani ogni mezzo di salute. Ah! di quanti noi possiamo dire che la morte sarà il loro risvegliarsi! Per la notte s’intende il peccato, che immerge l’anima nelle tenebre allontanando da Dio, che è il vero lume; per il giorno, s’intende la fede, la grazia, la riconciliazione con Dio, la scienza della salute. Le opere delle tenebre sono i peccati in generale, ed in particolare quelli che si commettono nell’oscurità della notte da chi l’aspetta per abbandonarsi al male. – Quali sono le  armi della luce, delle quali dobbiamo rivestirci? Sono la fede, la speranza e la carità, e in generale tutte le buone opere. Noi combatteremo per esse il demonio, il mondo e la carne.

Che significa camminare nella decenza come durante il giorno?

Significa il non fare e non dire alla presenza di Dio. che vede e sente tutto, nulla di ciò che non si osa fare o dire in presenza delle persone che più si rispettano.

Che vuol dire rivestirsi di Gesù Cristo?

Vuol dire pensare, parlare ed operar come Gesù Cristo.

Aspirazione: O mio divino Gesù! fate che la penitenza mi tolga dal sonno del peccato; la pratica delle buone opere mi faccia camminare alla luce delle vostre grazie, e l’imitazione delle vostre virtù mi rivesta di Voi stesso, che dovete essere l’ornamento dell’anima mia.

[P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.]

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

SCUOTIAMOCI.

La nostra vita di Cristiani oscilla tra un grande ricordo e una grande, immensa speranza. Non aspettiamo più nulla e aspettiamo ancora tutto. Non abbiamo l’attesa degli ebrei, i quali, come è noto, aspettano ancora la grande manifestazione di Dio; aspettano il Messia. Egli per noi è venuto. Ma Egli deve ritornare. È venuto… deve tornare; qui è il ritmo della nostra vita cristiana. – Fede nel Venuto, attesa nel Venturo. Qualcuno ha parlato dell’attesa come di uno stato psicologico proprio dei primi Cristiani. E certo essi cantavano all’indirizzo di Gesù, il Salvatore: tornerà a giudicare i vivi ed i morti. Ma lo cantiamo anche noi con la stessa tonalità interiore. Non con tristezza, con gioia, non con terrore, con fiducia. L’annuncio di questo ritorno è fatto in forma e con tono d’invocazione: Signore, vieni! La stagione ecclesiastica, (c’è un anno ecclesiastico come c’è un anno meteorologico, quello per gli spiriti, questo per i corpi), dell’avvento è l’espressione concreta, sociale, liturgica dei due sentimenti. Noi ricordiamo il primo Avvento del Cristo, riconoscenti. Lo diciamo, lo ripetiamo, lo cantiamo: è venuto. Dopo secoli di ripetute promesse, di attesa angosciosa, è venuto. E una gran gioia si diffonde nelle nostre anime… Il terreno religioso è solido sotto i nostri piedi. Le promesse di Dio non falliscono. La parola di Lui non torna indietro vuota mai. Ecco perché siamo sicuri che tornerà. La seconda promessa si adempierà come la prima si è adempiuta. Come è venuto il Salvatore, tornerà il Giudice. La sicurezza del ritorno si traduce in un’impressione di rapidità, di prontezza. Tanto più che il ritorno finale, universale, definitivo si confonde per ciascuno di noi con un ritorno parziale, individuale. Il Giudice torna quando noi gli andiamo incontro, colla morte… E allora l’attitudine è quella che la odierna epistola ci descrive d’accordo con la frase della parabola evangelica. Lo sposo è alle porte, torna, viene!… Pronti dunque a riceverlo! Sempre pronti! I veri sempre pronti siamo noi Cristiani. Sempre vigili. Fuori, nel mondo si dorme o si sonnecchia. Si fa il male, (notte, tenebre) o non si fa abbastanza alacremente il bene (sonnecchiare). In piedi, grida l’Apostolo ai dormienti e ai sonnecchianti. « Hora est jam nos de somno surgere. » E’ l’ora della sveglia, sempre… Non c’è un’ora: questa o quella: sempre desti perché lo sposo può arrivare da un momento all’altro. Tutte le ore sono buone per il  Suo ritorno. Bella e balda attitudine di temperanza e di operosità. Non fare il male mai, nessun male: fare il bene sempre, tutto il bene possibile, finché è giorno, finché dura la vita. Operare con chi ha coscienza della luce che gli brilla d’attorno. Il malfattore non lavora di giorno, la luce gli dà fastidio, la teme, gli dà noia. Il male si fa di notte. È da compatirsi se lo fa il pagano, per cui non è ancora spuntata la luce, non è venuto ancora il giorno. Non il Cristiano per cui il giorno della verità, della bontà è spuntato. Il programma negativo del non fare male, l’Apostolo lo svolge analiticamente: niente lussuria, niente piaceri illeciti, niente contese reciproche e miserabili invidie. Non la bestialità molle e non la bestialità violenta: nessuna delle due forme in un Cristiano. Ma di giorno l’uomo conscio del tempo che fa, conscio della luce che brilla non sta ozioso, pago a non far male di giorno lavora, utilizza il tempo, fa bene, fa il bene. Così noi Cristiani. La luce splende sul nostro capo, ci si irradia d’intorno, profittiamone per camminare, per progredire. Attizziamo il fuoco nella lampada con cui dovremo da un momento all’altro ricevere lo Sposo: versiamoci dentro l’olio pingue, l’olio abbondante delle opere buone, « Lumbi præcincti, lucernæ ardentes in manibus. » Che bella falange questi sempre pronti alla vita morale e religiosa! Questi intransigenti col male, questi incontentabili del bene! Falange in aumento continuo, mentre i giorni passano e le generazioni si succedono, e lo Sposo pare che tardi. In realtà i tempi maturano sempre. Il ritardo rafforza l’attesa; l’attesa più intensa nutre le operosità più febbrili. E la misura del bene voluta dalla Provvidenza di Dio nella storia dell’umanità si colma. Possiamo noi avere oggi la gioia di lavorare a questo colmarsi della misura, domani la gioia di vederla compiuta!

Graduale

Ps XXIV: 3; 4
Univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur, Dómine.

[Tutti quelli che Ti aspettano, o Signore, non saranno confusi].


V. Vias tuas, Dómine, notas fac mihi: et sémitas tuas édoce me.

[Mostrami le tue vie, o Signore, e insegnami i tuoi sentieri.]

Alleluja

Allelúja, allelúja.

Ps LXXXIV: 8. V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam: et salutáre tuum da nobis. Allelúja.

[Mostraci, o Signore, la tua misericordia: e dacci la tua salvezza. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secundum S. Lucam.

Luc XXI: 25-33.

In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Erunt signa in sole et luna et stellis, et in terris pressúra géntium præ confusióne sónitus maris et flúctuum: arescéntibus homínibus præ timóre et exspectatióne, quæ supervénient univérso orbi: nam virtútes coelórum movebúntur. Et tunc vidébunt Fílium hóminis veniéntem in nube cum potestáte magna et majestáte. His autem fíeri incipiéntibus, respícite et leváte cápita vestra: quóniam appropínquat redémptio vestra. Et dixit illis similitúdinem: Vidéte ficúlneam et omnes árbores: cum prodúcunt jam ex se fructum, scitis, quóniam prope est æstas. Ita et vos, cum vidéritis hæc fíeri, scitóte, quóniam prope est regnum Dei. Amen, dico vobis, quia non præteríbit generátio hæc, donec ómnia fiant. Coelum et terra transíbunt: verba autem mea non transíbunt.

“In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: Vi saranno dei prodigi nel sole, nella luna e nelle stelle, e pel mondo le nazioni in costernazione per lo sbigottimento (causato) dal fiotto del mare e dell’onde: consumandosi gli uomini per la paura e per l’aspettazione di quanto sarà per accadere a tutto l’universo: imperocché le virtù de’ cieli saranno commosse. E allora vedranno il Figliuolo dell’uomo venire sopra una nuvola con potestà grande e maestà. Quando poi queste cose principieranno ad effettuarsi, mirate in su, e alzate le vostre teste; perché la redenzione vostra è vicina. E disse loro una similitudine: Osservate il fico e tutte le piante: quando queste hanno già buttato, sapete che la state è vicina. Così pure voi, quando vedrete queste cose succedere, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità vi dico, che non passerà questa generazione, fino a tanto che tutto si adempia. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”

Omelia

Sul giudizio finale.

[Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, curato d’Ars – Vol. I, 4° ed. Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]

Tunc videbunt Filium hominis venientem cum potestate magna et majestate.

(Allora vedranno venire il Figlio dell’uomo con grande potenza e maestà terribile, circondato dagli Angeli e dai Santi.)

Non è più, fratelli miei un DIO rivestito dalle nostre infermità, nascosto nell’oscurità di una povera stalla, adagiato in una mangiatoia, saziato di obbrobri, accasciato sotto il pesante fardello della croce; è un DIO rivestito da tutto lo splendore della sua potenza e della sua maestà, che fa annunziare la sua venuta dai prodigi più eclatanti, cioè dall’eclissi del sole, della luna, dalla caduta delle stelle e da un intero stravolgimento della natura. Non è più un Salvatore che viene con la dolcezza di un agnello, per essere giudicato dagli uomini e riscattarli: è un Giudice giustamente irritato, che giudica gli uomini con tutto il rigore della sua giustizia. Non è più un pastore caritatevole che viene a cercare le sue pecore disperse e perdonarle: è un DIO  vendicatore che viene a separare per sempre i peccatori dai giusti, caricare i malvagi della sua più terribile vendetta, e deliziare i giusti con un torrente di dolcezze. Momento terribile, momento spaventoso, quando giungerai? Momento doloroso, ahimè! Forse, in qualche mattino, noi ascolteremo i precursori di questo Giudice così terribile per i peccatori. O voi, peccatori, uscite dalla tomba dei vostri peccati, venite al tribunale di DIO, istruitevi sulla maniera in cui il peccatore sarà trattato. L’empio, in questo mondo, sembra voler disconoscere la potenza di DIO, vedendo i peccatori senza punizione; egli giunge fin’anche a dire: No, no, non c’è DIO, né inferno; oppure: DIO non bada a ciò che accade sulla terra. Ma aspettiamo il giudizio e, in questo grande giorno, DIO manifesterà la sua potenza e mostrerà a tutte le nazioni che ha visto tutto e contato tutto. Qual differenza, fratelli miei, con le meraviglie che operò creando il mondo! Che sgorghino le acque, fertilizzino la terra; e nello stesso istante, le acque copriranno la terra donandole la fertilità. Ma quando Egli verrà per distruggere il mondo, comanderà al mare di lasciare le sue rive con una impetuosità spaventosa che ingoierà tutto l’universo nel suo furore. Quando DIO creò il cielo, ordinò alle stelle di attaccarsi al firmamento. Alla sua voce, il sole rischiarò il giorno, e la luna presiedette alla notte. Ma in questo ultimo giorno, il sole si oscurerà, la luna e le stelle non daranno più luce. Tutti questi astri meravigliosi cadranno con uno spaventoso fracasso. Quale differenza, fratelli miei cari. DIO impiegò sei giorni nel creare il mondo; ma per distruggerlo, sarà sufficiente un battito d’occhio. Per creare l’universo e tutto ciò che esso racchiude, DIO non chiamò nessuno spettatore di tante meraviglie; ma nel distruggerlo, saranno presenti tutti i popoli, tutte le nazioni confesseranno che c’è un DIO e che Esso è potente. Venite, empi beffardi, venite, increduli raffinati, venite a conoscere se c’è un DIO, e se è onnipotente! O DIO mio! Il peccatore cambierà linguaggio in questo momento! Quanti rimpianti! Qual pentimento per aver tralasciato un tempo sì prezioso! Ma non c’è più tempo, tutto è finito per il peccatore, tutto è senza speranza! Oh! Quanto terribile sarà questo momento! San Luca ci dice che gli uomini si disseccheranno per la paura fin dalla punta dei piedi pensando ai dolori che saranno loro preparati. Ahimè, fratelli miei, si può disseccare per la paura e morire dallo spavento nell’attesa di un malore infinitamente meno grande di quello di cui è minacciato il peccatore e che certamente gli arriverà se continua a vivere nel peccato. In questo momento, fratelli miei, io mi dispongo a parlare del giudizio in cui noi compariremo tutti per rendere conto di tutto il bene ed il male che avremo fatto, per ricevere la nostra sentenza definitiva per il cielo o per l’inferno: se venisse un Angelo dal cielo ad annunciarvi da parte di DIO che tra ventiquattro ore tutto l’universo sarà ridotto in fuoco da una pioggia di fuoco e zolfo, e voi cominciaste ad avvertire i tuoni scuotenti, i furori delle tempeste abbattersi sulle vostre case, i fulmini talmente numerosi tanto da rendere l’universo un rogo ardente, e l’inferno vomitasse già tutti i suoi riprovati le cui urla e grida si possono ascoltare da tutti gli angoli del mondo; che il solo mezzo per evitare tutti questi malanni fosse lasciare il peccato e fare penitenza; intendereste voi, fratelli miei, tutti questi uomini senza versare un torrente di lacrime e gridare: misericordia! Non vi gettereste ai piedi degli altari per chiedere misericordia? O accecamento, o incomprensibile infelicità dell’uomo peccatore! I mali che il vostro pastore vi annuncia sono ancor più infinitamente spaventosi e degni di strappare le vostre lacrime, lacerare i vostri cuori. Ahimè! Queste verità così terribili diventeranno tante sentenze che stanno per pronunciare la vostra eterna condanna. Ma la più grande di ogni disgrazia, è che voi ne siete insensibili e continuate a vivere nel peccato e non riconosciate la vostra follia se non nel momento in cui non avrete più rimedio. Ancora un momento, e questo peccatore che viveva tranquillamente nel peccato, sarà giudicato e condannato; ancora un istante ed egli porterà questo rimpianto per l’eternità. Sì, fratelli miei, noi saremo giudicati, nulla di più certo; sì, noi saremo giudicati senza misericordia; sì noi rimpiangeremo eternamente l’aver peccato.    

I. — Noi leggiamo nella Sacra Scrittura, fratelli miei, che tutte le volte che DIO vuole inviare qualche flagello al mondo o alla sua Chiesa, Egli lo fa sempre precedere da qualche segno per cominciare a gettare il terrore nei cuori, e per portarlo a placare la sua giustizia. Volendo far perire l’universo con un diluvio, l’arca di Noè, che si impiegarono cento anni per costruirla, fu un segno per condurre gli uomini alla penitenza, cosicché tutti non dovessero perire. Lo storico Giuseppe ci dice che prima della distruzione della città di Gerusalemme, comparve per molto tempo una cometa in forma di falce che gettò nella costernazione il mondo. Ognuno diceva: Ahimè, cosa vuol dire questo segno? Forse qualche grande sventura che DIO vuole inviarci? La luna rimase otto giorni senza dare luce; le genti sembravano già non potessero vivere. Tutto ad un tratto comparve un uomo sconosciuto che per tre anni non faceva altro che gridare per le strade di Gerusalemme, giorno e notte: Guai a Gerusalemme! Guai a Gerusalemme! … lo si prese e lo si batté con verghe per impedirgli di gridare, ma niente lo fermò. Dopo tre anni, egli gridò: Ah! Gerusalemme: ah! guai a me. Una pietra lanciata da una macchina gli cadde addosso e lo schiacciò in quell’istante. Allora tutti i mali di cui questo sconosciuto aveva minacciato Gerusalemme, le si abbatterono addosso. La fame fu così grande, che le madri sgozzavano i loro figli per servirsene da nutrimento. Gli abitanti, senza sapere perché, si sgozzavano gli uni gli altri; la città fu presa e come annientata; le strade e le piazze erano coperte da cadaveri; il sangue scorreva a fiumi, i pochi che sopravvissero, furono venduti come schiavi. Ma, siccome il giorno del giudizio sarà il giorno più terribile ed il più spaventoso che ci sia mai stato, sarà preceduto da segno così paurosi che getteranno il terrore fino al fondo degli abissi. Nostro Signore ci dice che, in questo momento terribile per il peccatore, il sole non darà più luce, la luna sarà simile ad una massa di sangue, e le stelle cadranno dal cielo. L’aria sarà talmente piena di fulmini che sarà tutta un fuoco, e si sentiranno tuoni, il cui rimbombo sarà così grande che gli uomini disseccheranno per il terrore fin dalla pianta dei loro piedi. I venti saranno così impetuosi che nulla potrà resistere loro. Gli alberi e le case, saranno inghiottiti dal caos del mare; il mare stesso sarà talmente agitato dalle tempeste che i suoi flutti si alzeranno di quattro cubiti sopra le montagne più alte, e scenderanno così in basso da mostrare gli orrori degli inferi; tutte le creature, anche inanimate, sembreranno volersi annientare per evitare la presenza del loro Creatore, vedendo quanto i crimini degli uomini hanno lordato e sfigurato la terra. Le acque dei mari e dei fiumi gorgoglieranno come olio nei bracieri; gli alberi e le piante vomiteranno torrenti di sangue; i tremori della terra saranno così grandi che si vedrà la terra aprirsi da ogni parte; la maggior parte degli alberi e delle bestie saranno distrutti, gli uomini che resteranno saranno come insensati; le rocce, i monti crolleranno con un frastuono spaventoso. Dopo tutti questi orrori, sarà acceso il fuoco nei quattro angoli del mondo, ma un fuoco così violento che brucerà le pietre, le rocce e la terra, come un filo di paglia gettato in una fornace. Tutto l’universo sarà ridotto in cenere; è necessario che questa terra lordata da tanti crimini, sia purificata dal fuoco che sarà acceso dalla collera del Signore, di un DIO giustamente irritato.  – Dopo che questa terra, fratelli miei, coperta da tanti crimini sarà purificata, DIO invierà i suoi Angeli che soneranno la tromba ai quattro angoli del mondo, e che diranno a tutti i morti: Alzatevi, morti, uscite dalle vostre tombe, venite e preparatevi al giudizio. Allora tutti i morti, buoni e cattivi, giusti e peccatori, riprenderanno le stesse forme che un tempo avevano, il mare vomiterà tutti i suoi cadaveri rinchiusi in esso, la terra rigetterà tutti i corpi seppelliti da tanti secoli nel suo seno. Dopo questa rivoluzione, tutte le anime dei santi discenderanno dal cielo raggianti di luce, ogni anima si ricongiungerà con il suo corpo dando mille e mille benedizioni. Venite – esse diranno – compagno delle mie sofferenze; se avete lavorato per piacere a DIO; se avete fatto consistere la vostra felicità nelle sofferenze e nei combattimenti, oh! Quanti beni ci sono riservati, sono più di mille anni che io gioisco di questa felicità; oh! Quale gioia per me ad annunciarvi i tanti beni che si sono stati preparati per l’eternità. Venite, occhi benedetti, che tante volte vi siete chiusi al cospetto di oggetti impuri, timorosi di perdere la grazia del vostro DIO, venite nel cielo dove non vedrete che beltà che mai in questo mondo si vedono. Venite, orecchie mie, voi che avete avuto orrore delle parole e dei discorsi impuri e calunniatori; venite ed ascolterete nel cielo questa musica celeste che vi metterà in continuo rapimento. Venite, miei piedi e mani mie, che tante volte vi siete adoperate a sollevare gli sventurati; andiamo a trascorrere la nostra eternità in questo bel cielo ove vedremo il nostro amabile e caritatevole Signore che tanto ci ha amato. Ah! voi vedrete Colui che tante volte è venuto a riposare nel vostro cuore. Ah! noi vi vedremo questa mano ancora tinta del sangue del nostro divin Salvatore, per mezzo del quale Egli ci ha meritato tanta gioia. Infine, il corpo e l’anima dei Santi si daranno mille e mille benedizioni, e questo per tutta l’eternità. Dopo che tutti i Santi avranno ripreso i loro corpi raggianti di gloria, tutti là, secondo le buone opere e le penitenze che avranno fatto, attenderanno con piacere il momento in cui DIO starà per svelare in faccia a tutto l’universo tutte le lacrime, tutte le penitenze, tutto il bene che avranno compiuto durante tutta la loro vita senza trascurarne neppure una, neppure una sola, già tutte rapite dalla felicità di DIO stesso. Aspettate, dirà loro Gesù-Cristo stesso, aspettate, io voglio che tutto l’universo veda quanto voi abbiate lavorato con piacere. I peccatori induriti, gli increduli dicevano che Io fossi indifferente a tutto ciò che voi facevate per me; ma Io voglio mostrare loro oggi che vi ho visto ed ho contato tutte le vostre lacrime versate nel fondo dei deserti; Io voglio oggi mostrare loro che Io ero al fianco vostro sui patiboli. Venite tutti e comparite davanti a questi peccatori che mi hanno disprezzato ed oltraggiato, che hanno osato negare che Io esistessi, che Io li vedessi. Venite, figli miei, venite miei diletti e vedrete quanto sono stato buono, quanto grande è il mio amore per voi. – Contempliamo, fratelli miei, per un istante, questo numero infinito di anime giuste che rientrano nei loro corpi, che rendono simili a dei soli luminosi. Voi vedete tutti questi martiri, con in mano la palma. Vedete tutte queste Vergini, con la corona della verginità sulla testa. Vedete tutti questi Apostoli, questi sacerdoti, che hanno salvato tante anime, con i raggi di gloria di cui sono abbelliti. Fratelli miei, tutti diranno a Maria, questa Madre-Vergine: andiamo a raggiungere Colui che è in cielo per dare un nuovo splendore alle vostre beltà. Ma no, un momento di pazienza; Voi siete stata disprezzata, calunniata e perseguitata dai malvagi, è giusto che, prima di entrare in questo reame eterno, i peccatori vengano a fare ammenda onorevole. – Ma, terribile e fragorosa rivoluzione! … Io sento la stessa tromba che intima ai riprovati di uscire dagli inferi. Venite peccatori, carnefici e tiranni – dirà DIO che voleva tutti salvi – venite, comparite al tribunale del Figlio dell’Uomo, a Colui del quale sì sovente avete voluto persuadervi che non vi vedesse, né vi intendesse! Venite e comparite, perché tutto quello che voi avete commesso, sarà manifestato in faccia a tutto l’universo. Allora l’Angelo griderà: Abissi degli inferi, aprite le vostre porte, vomitate tutti i riprovati, il loro Giudice li chiama. Ah! Momento terribile! Tutti queste anime maledette riprovate, orribili come demoni, usciranno dagli abissi ed andranno, come dei disperati, a cercare i propri corpi. Ah! Momento crudele! Nel momento in cui l’anima entrerà nel suo corpo, questo corpo proverà tutti i rigori dell’inferno. Ah! Corpo maledetto, dirà l’anima al suo corpo che ha rotolato e trascinato nel fango delle sue impurità; sono già mille anni che soffro e brucio nell’inferno. Venite occhi maledetti, che tante volte avete avuto piacere nel volgere sguardi disonesti su di voi od altri, venite all’inferno per contemplarvi i mostri più orribili. Venite, orecchie maledette, che avete tratto tanto piacere da queste parole, da questi discorsi impuri, venite eternamente a sentire le grida, le urla, i ruggiti dei demoni. Venite, lingua e bocca maledetta che tante volte avete dato baci impuri e che nulla avete risparmiato per accontentare la vostra sensualità e la vostra ingordigia; venite nell’inferno e non avrete che il fiele dei dragoni per nutrimento. Vieni, corpo maledetto che ho tanto cercato di accontentare; vieni, tu sarai immerso per l’eternità in uno stagno di fuoco e di zolfo, alimentato dalla potenza e dalla collera di DIO! Ah! chi potrà comprendere e raccontarci le maledizioni che il corpo e l’anima si vomiteranno per tutta l’eternità? Sì, fratelli miei, ecco tutti i giusti ed i riprovati che hanno ripreso la forma antica, cioè i loro corpi tali come ora li vediamo, che attendono il loro Giudice, ma un Giudice giusto e senza compassione, per punire o ricompensare, secondo il bene o il male che noi avremo fatto. Eccolo che arriva, seduto su di un trono, sfolgorante di gloria, circondato da tutti gli Angeli, con lo stendardo della sua croce che marcerà davanti a Lui. I dannati vedranno il loro Giudice; ah! che dico? Vedranno Colui che essi non hanno visto procurare loro la felicità del Paradiso, e che, malgrado Lui, si sono dannati: montagne, essi grideranno, schiacciateci, nascondeteci dalla faccia del nostro Giudice; rocce, cadeteci addosso; ah! di grazia, precipitateci negli inferi! No, no, peccatore, avanza e vieni a render conto di tutta la tua vita. vieni avanti maledetto, che tanto hai disprezzato un DIO così buono. Ah! Giudice mio, Padre mio, mio Creatore, dove sono mio padre, mia madre che mi hanno dannato? Ah! io vorrei vederli; ah! io vorrei loro domandare il cielo che essi mi hanno lasciato perdere. Padre mio e madre mia, siete voi che mi avete dannato, siete voi la causa della mia rovina. No, no, avanza verso il tribunale del tuo DIO, per te tutto è perduto: sì, tu sei perduto! Sì, tutto è perduto, poiché tu hai perduto la tua anima ed il tuo DIO. Ah! chi potrà mai comprendere il dolore di un dannato che si vedrà di fronte, cioè nel lato dei Santi, un padre o una madre tutti raggianti di gloria e pronti per il cielo, e vedersi riservato all’inferno? Montagne, diranno questi riprovati, fateci sfuggire; ah! di grazia cadeteci addosso! Ah! porte degli abissi, apritevi per nasconderci! No, peccatore; tu hai sempre disprezzato i miei comandamenti; ma oggi Io voglio mostrarti che sono Io il tuo padrone. Comparirai davanti a me con tutti i tuoi crimini dei quali è intessuta tutta la tua vita. Ah! è allora – ci dice il profeta Ezechiele – che il Signore prenderà questo gran foglio miracoloso, ove sono scritti e consegnati tutti i crimini degli uomini. Quanti peccati, mai comparsi agli occhi dell’universo, si vedranno apparire. Ah! tremate, voi che forse dopo quindici o venti anni, avete accumulati peccati su peccati. Ah! guai a voi! Allora Gesù-Cristo, con il libro delle coscienze in mano, chiamerà tutti i peccatori per convincerli di tutti i peccati che avranno commesso nel corso della loro vita, con il suono di un tuono spaventoso. Venite impudichi – dirà loro – avvicinatevi e leggete giorno per giorno; ecco tutti questi pensieri che hanno riempito la vostra immaginazione, tutti questi desideri vergognosi che hanno corrotto il vostro cuore; leggete e contate i vostri adulteri, eccone il luogo, il momento in cui li avete commessi, ecco la persona con la quale avete peccato. Leggete tutte le vostre mollezze e le vostre lascivie, leggete e contate quante volte avete perso delle anime che mi erano costate così caramente. Era da più di mille anni che il vostro corpo era marcito e la vostra anima all’inferno, ed il vostro libertinaggio portava ancora anime all’inferno. Vedete questa donna che avete perduto, vedete questo marito, questi figli e questi vicini! Tutti chiedono vendetta, tutti vi accusano che li avete perduti e che senza di voi sarebbero destinati al cielo. – Venite figlie mondane, strumenti di satana, venite e leggete tutte queste cure e questi tempi che avete impiegato nel prepararvi; contate il numero dei cattivi pensieri e dei cattivi desideri che avete suscitato a coloro che vi hanno visto. Vedete tutte le anime che gridano che siete state voi che li avete perduti. – Venite maldicenti, seminatori di falsi rapporti, venite e leggete, ecco dove sono segnate tutte le vostre maldicenze, i vostri insulti, le vostre ingiurie; ecco tutte le divisioni che avete provocato; ecco tutte le turbe che avete fatto nascere, tutte le perdite e tutti i mali dei quali la vostra lingua maledetta è stata la prima causa. Andate disgraziati, andate ad ascoltare le grida e le urla spaventose dei demoni. – Venite avari maledetti, leggete e contate questo denaro e questi beni fatiscenti ai quali avete legato il vostro cuore, il disprezzo del vostro DIO, e per i quali avete sacrificato la vostra anima. Avete dimenticato la vostra durezza per i poveri? Eccola, leggete e contate. Ecco il vostro oro ed il vostro denaro, chiedete ora loro soccorso, dite loro che vi traggano dalle mie mani. Andate maledetti a soffrir fame negli inferi. – Venite vendicativi, leggete e vedete tutto ciò che voi avete fatto per nuocere al vostro prossimo, contate tutte queste ingiustizie, contate tutti questi pensieri di odio e di vendetta che avete nutrito nei vostri cuori; andate, maledetti, nell’inferno. Voi siete stati ribelli: i miei ministri hanno detto mille volte che se non amate il vostro prossimo come voi stessi, non c’è perdono per voi. Ritiratevi da me, maledetti, andate all’inferno, sarete la vittima della mia eterna collera, ove conoscerete che la vendetta non è che per DIO solo. – Vieni, vieni, ubriacone, ecco là un bicchiere di vino, un pezzo di pane che tu hai strappato dalla bocca di tua moglie e dei tuoi figli; ecco tutti gli eccessi, li riconosci? Sono i tuoi, o sono quelli del tuo vicino? Ecco il numero delle notti, dei giorni, le domeniche e le feste che tu hai trascorso nelle bettole; ecco  fino all’ultima, le parole disoneste che hai dette nelle tue sbornie; ecco tutti i giuramenti, tutte le imprecazioni che hai vomitato; ecco tutti gli scandali che hai dato a tua moglie, ai tuoi figli, ai vicini. Sì, io ho scritto tutto, ho tutto contato. Va, disgraziato, ad ubriacarti negli inferi del fiele della mia collera. – Venite mercanti, operai, di qualunque stato voi siate, venite, rendetemi conto fino all’obolo di tutto ciò che avete comprato e venduto; venite, esaminiamo insieme se le vostre misure ed i vostri conti siano conformi ai miei? Ecco, mercanti, il giorno in cui avete ingannato questo bambino. Ecco il giorno in cui avete fatto pagare due volte la stessa cosa. Venite, profanatori dei Sacramenti, ecco tutti i vostri sacrilegi, tutte le vostre ipocrisie. Venite, padri e madri, rendetemi conto di queste anime che a voi ho affidato; rendetemi conto di tutto ciò che hanno fatto i vostri figli, i vostri domestici; ecco tutte le volte che avete dato loro il permesso di andare nei luoghi e con le compagnie in cui hanno peccato. Ecco tutti i cattivi pensieri ed i cattivi desideri che vostra figlia ha coltivato; ecco tutti gli abbracci e le azioni infami; ecco tutte le parole impure che i vostri figli hanno pronunziato. Ma, Signore, diranno i padri e le madri, io non li ho comandati. Non importa, dirà ad essi il loro Giudice, i peccati dei tuoi figli, sono i tuoi peccati. Dove sono le virtù che hai fatto loro praticare? Dove sono i buoni esempi che hai loro dati o le buone opere che hai fatto fare loro? Ahimè! Cosa sarà di questi padri e queste madri che vedono che i loro figli, gli uni vanno a ballare, gli altri ai giochi o alla bettola, e vivono tranquilli. O DIO mio quale cecità! Oh! Da quali crimini si vedranno oppressi in questi terribili momenti! Oh! Quanti peccati nascosti che saranno manifestati alla presenza di tutto l’universo! Oh! Abissi profondi degli inferi, apritevi per ingoiare questa folla di perversi che non hanno vissuto che per oltraggiare DIO e dannarsi. Ma – voi mi direte – tutte le buone opere che abbiamo fatto non serviranno dunque a niente? Questi digiuni, queste penitenze, queste elemosine, queste Comunioni, queste Confessioni saranno dunque senza ricompensa? No, vi dirà Gesù-Cristo, tutte le vostre preghiere non erano che pratiche di abitudini, i vostri digiuni ipocrisie, le vostre elemosine vanagloria; il vostro lavoro non aveva altro scopo che l’avarizia e la cupidigia, le vostre sofferenze non erano accompagnate che da pianti e mormorii; in tutto ciò che facevate, Io non c’ero per nulla; tuttavia vi ho ricompensato con beni temporali, ho benedetto il vostro lavoro, ho dato fertilità ai vostri campi, arricchiti i vostri figli, il poco di bene che avete fatto ve l’ho ricompensato con più di quanto potevate attendere. Ma, Egli ci dirà, i vostri peccati vivono ancora, essi vivranno eternamente davanti a me; andate maledetti, nel fuoco eterno preparato per tutti coloro che mi hanno disprezzato durante la loro vita. – Sentenza terribile, ma infinitamente giusta. Cosa di più giusto? Un peccatore che per tutta la sua vita, non ha fatto che rivoltarsi nel crimine, malgrado le grazie che il buon DIO gli presentava incessantemente per uscirne! Vedete questi empi che si lamentavano del loro pastore, che disprezzavano le parole di vita, che volgevano in ridicolo quello che il loro pastore diceva ad essi? Vedete questi peccatori che si gloriavano nel non avere Religione, che schernivano coloro che la praticavano? Vedeteli, questi cattivi Cristiani che avevano così spesso in bocca queste orribili bestemmie che- essi dicevano – trovavano ancora eccellente il pane, e non avevano bisogno di Confessione? Vedete questi increduli che ci dicevano che, quando fossimo morti, tutto era finito? Vedete la loro disperazione, ascoltateli confessare la loro empietà? Li udite implorare misericordia? Ma tutto è finito, non avete più che l’inferno per retaggio. – Vedete questo orgoglioso che scherniva e disprezzava tutti? Lo vedete inabissato nel suo cuore, condannato per una eternità sotto i piedi dei demoni? Vedete quell’incredulo che diceva che non c’è DIO, che non c’è inferno? Lasciate confessare loro davanti a tutto l’universo che c’è un DIO Giudice, ed un inferno dove sta per precipitare per non uscirne mai più? È vero che DIO darà la libertà a tutti i peccatori di portare lo loro ragioni, le loro scuse per giustificarsi, se possono. Ma ahimè! Che potrà dire un criminale che non vede che crimine e ingratitudine? Ahimè! Tutto ciò che potrà dire un peccatore in questo momento doloroso non servirà che a mostrare ancor più la sua empietà e la sua ingratitudine. – Ecco, senza dubbio, fratelli miei, ciò che vi sarà di più sconvolgente in questo terribile momento; questo sarà quando vedremo che DIO non ha nulla risparmiato per salvarci; che Egli ci fa fatto partecipi dei meriti infiniti della sua morte in croce; che Egli ci ha fatto nascere nel seno della sua Chiesa; che ci ha dato dei pastori per mostrarci ed insegnarci tutto ciò che si debba fare per essere felici. Egli ci ha dato i Sacramenti per farci recuperare la sua amicizia tutte le volte che l’avessimo perduta. Non ha posto dei limiti al numero dei peccati che voleva perdonarci; se il nostro ritorno fosse sincero, saremmo stati sicuri del nostro perdono, egli ci ha atteso per un numero infinito di anni, benché non vivessimo che per oltraggiarlo; Egli non voleva perderci o piuttosto voleva assolutamente salvarci; e noi non abbiamo voluto! Siamo noi stessi che lo forziamo con i nostri peccati a fargli emettere una sentenza di eterna riprovazione: Andate, figli maledetti, andate a trovare colui che avete imitato: io non vi riconosco, se non per non schiacciarvi con tutti i furori della mia eterna collera. – Venite, ci dice il Signore per mezzo di uno dei suoi Profeti, venite, uomini, donne, ricchi e poveri, quantunque peccatori, di qualunque stato e condizione siate, dite tutti insieme, ditemi le vostre ragioni, ed Io vi dirò le mie. Entriamo in giudizio, pesiamo tutto ai piedi del santuario. Ah! momento terribile per un peccatore che da qualunque lato consideri la sua vita, non vede che peccato, ed alcun bene. DIO mio! Che sarà di lui? In questo mondo, il peccatore ha sempre qualche scusa da recare per tutti i peccati che ha commesso; egli porta finanche il suo orgoglio al tribunale della penitenza, dove non dovrebbe comparire se non per accusar se stesso e condannarsi. Per gli uni l’ignoranza; per altri le tentazioni troppo violente; infine per altri, le occasioni e i cattivi esempi: ecco, ogni giorno le ragioni che i peccatori accampano per nascondere la oscurità dei loro crimini. Venite peccatori orgogliosi, vedete se le vostre scuse saranno bene accolte nel giorno del giudizio, e spiegatevi con Colui che ha la falce in mano, che ha visto tutto, tutto contato, tutto pesato. Voi non sapevate, direte, che questo fosse un peccato! Ah! Sventurati, vi dirà Gesù-Cristo, se foste nati tra le nazioni idolatre che non hanno mai sentito parlare del vero DIO, potreste ancora scusarvi per la vostra ignoranza; ma voi Cristiani, che avete avuto la fortuna di nascere nel seno della mia Chiesa, allevati nel centro della luce, voi, ai quali si parla della vostra eterna felicità? Dalla vostra infanzia vi si insegna cosa fare per procurarvela, voi che mai si è cessato di istruire; era proprio perché non avete voluto istruirvi; era proprio perché non avete voluto profittare delle istruzioni o che voi avete rifuggito. Andate maledetti! Andate, le vostre scuse vi rendono ancor più degni di maledizione! Andate, figli maledetti, negli inferi e bruciate con la vostra ignoranza. – Ma, dirà un altro, le mie passioni erano troppo vive e grande la mia debolezza. Ma, dirà loro il Signore, poiché DIO era così buono da farvi conoscere la vostra debolezza, ed i vostri pastori vi dicevano che bisognava continuamente vegliare su voi stessi, mortificarvi, se volevate domarle; perché facevate tutto all’opposto? Perché prendevate tanta cura nel contentare il vostro corpo ed i vostri piaceri? DIO vi faceva conoscere la vostra debolezza e voi ricadevate ad ogni istante? Perché non facevate ricorso a DIO per chiedergli la sua grazia? Perché non ascoltavate i vostri pastori che non cessavano di esortarvi nel chiedere le grazie e le forze di cui avevate bisogno per vincere il demonio? Perché avete dunque tanto spesso disprezzato la parola di DIO che vi avrebbe guidato nel cammino che dovevate intraprendere per andare a Lui? Ah! Peccatori ingrati e ciechi, tutti questi beni erano a vostra disposizione, voi potevate servirvene come tanti altri. Cosa avete fatto per impedirvi di cadere nel peccato? Voi non avete pregato che per uso ed abitudine. Andate maledetti! Più avete conosciuto la vostra debolezza, più dovevate far ricorso a DIO che vi avrebbe sostenuto ed aiutato per operare la vostra salvezza. Andate maledetti, voi non siete se non più colpevoli. – Ma ci sono tante occasioni di peccare, dirà ancora un altro. Amico mio, io conosco tre tipi di occasione che possono portare al peccato. Tutti gli stati hanno i loro pericoli. Io dico che ve ne sono di tre sorta: quelli in cui siamo necessariamente esposti per i doveri del nostro stato, quelli che incontriamo senza cercarli, e quelli ai quali ci esponiamo senza necessità. Se per quelli in cui ci invischiamo senza necessità non abbiamo scusanti, non cerchiamo di scusare un peccato con un altro peccato. Voi avete inteso cantare cattive canzoni, voi dite; avete ascoltato una maldicenza o una calunnia, e perché siete andato in questa casa o con questa compagnia? Perché frequentate queste persone senza Religione? Non sapete che chi si espone al pericolo è colpevole e vi perirà? Colui che cade senza esporsi si rialza ben presto, e la sua caduta lo rende ancor più vigilante e saggio. Ma non vedete voi che DIO ci ha promesso il suo soccorso nelle tentazioni, non ce lo ha promesso però quando abbiamo la temerarietà di esporci da noi stessi. Andate maledetti, voi stessi avete cercato di perdervi; voi meritate l’inferno che è riservato ai peccatori come voi. – Ma, voi mi direte, si hanno continuamente cattivi esempi davanti agli occhi. Voi avete cattivi esempi … quale scusa frivola! Se ne avete di cattivi, non ne avete pure di buoni? Perché non avete seguito piuttosto i buoni che i cattivi? Quando vedevate che questa giovane andava in chiesa, alla sacra mensa, perché non la seguivate, piuttosto che seguire quella che andava alle danze? Quando quest’uomo andava in chiesa per adorarvi Gesù-Cristo nel santo tabernacolo, perché non avete seguito i suoi passi piuttosto che seguire le orme di coloro che si recavano alla bettola? Dite piuttosto, peccatori, che avete amato più la via larga che vi ha condotto in questo disastro in cui vi trovate, che il cammino che il Figlio di DIO ha tracciato Egli stesso. La vera causa delle vostre cadute e della vostra riprovazione, non viene dunque né dai cattivi esempi, né dalle occasioni, né dalle vostre debolezze, né dalle grazie che vi mancavano; ma soltanto dalle cattive disposizioni del vostro cuore che non avete voluto reprimere. Se avete fatto il male, è perché lo avete voluto. La vostra perdita non viene dunque, che solamente da voi. – Ma, mi direte, non ci veniva sempre detto che DIO era buono. È vero che Egli è buono, ma Egli è giusto; la sua bontà e la sua misericordia sono per voi passate: non c’è più che la sua giustizia e la sua vendetta. Ahimè! Fratelli miei, noi che abbiamo tanta ripugnanza nel confessarci, se cinque minuti prima di questo grande giorno, DIO ci concedesse dei sacerdoti per confessare i nostri peccati perché fossero cancellati, ahimè! Con quanta premura non ne profitteremmo? Questo non ci sarà mai concesso in questo momento di disperazione. Il re Bogoris fu molto più saggio di noi. Essendo stato istruito da un missionario della Religione Cattolica, ma trattenuto ancora dai falsi piaceri del mondo, per effetto della Provvidenza di DIO, un pittore cristiano al quale aveva dato la commissione di dipingere nel suo palazzo la caccia più terribile alle bestie selvatiche, gli dipinse all’opposto il giudizio finale, il mondo tutto in fuoco, Gesù-Cristo in mezzo ai fulmini ed ai tuoni, l’inferno già aperto per inghiottire i dannati, con figure tanto spaventose, per cui il re restò di stucco. Ritornato in sé, si sovvenne di ciò che il missionario gli aveva detto per evitare gli orrori di questo momento, in cui il peccatore non può che avere la disperazione per retaggio, e rinunciando in seguito ai suoi piaceri, passò il resto della sua vita nella penitenza e nelle lacrime. Ahimè! Fratelli miei, se questo re non si fosse convertito, sarebbe morto egualmente, avrebbe lasciato tutti i suoi beni ed i suoi piaceri, è vero, un po’ più tardi; ma morendo, nel volgere di secoli, sarebbero passati ad altri. Egli sarebbe invece a bruciare per sempre nell’inferno, mentre è in cielo per l’eternità, ed è contento, aspettando questo giorno, di vedere che tutti i suoi peccati gli siano perdonati e non riappariranno mai più, né agli occhi di DIO, né agli occhi degli uomini. – Fu questo pensiero ben meditato da San Girolamo che lo spinse a tanti rigori per il suo corpo e a versare tante lacrime. Ah! esclamava egli in questa vasta solitudine, mi sembra di sentire ad ogni istante questa tromba che deve svegliare tutti i morti, chiamarmi al tribunale del mio Giudice. Questo pensiero faceva tremare un Davide sul suo trono, un Agostino in mezzo ai suoi piaceri, malgrado tutti gli sforzi che faceva per soffocare questo pensiero che un giorno sarebbe stato giudicato. Egli diceva di tanto in tanto al suo amico Alipio: Ah! caro amico, verrà il giorno in cui noi appariremo davanti al tribunale di DIO per ricevervi la ricompensa del bene o il castigo del male che avremo fatto durante la nostra vita; lasciamo, amico caro mio la strada del crimine per quella che hanno seguito tutti i santi. Prepariamoci a questo giorno, fin dal momento presente. – San Giovanni Climaco ci racconta che un solitario lasciò il suo monastero per passare in un altro a farvi più penitenza. La prima notte, fu chiamato al tribunale di DIO che gli mostrò come egli fosse debitore verso la sua giustizia di cento libbre d’oro. Ahimè! Signore, egli esclamò, cosa devo fare per acquistarli? Egli restò tre anni in questo monastero, dove DIO permise che fosse disprezzato e maltrattato da tutti gli altri, al punto che gli sembrava che nessuno potesse sopportarlo. Il Signore gli apparve una seconda volta dicendogli che non aveva acquistato ancora che un quarto del suo debito. Ah! Signore, esclamò ancora, cosa devo fare quindi per farmi giustificare? Egli si finse pazzo per tredici anni, facendo tutto ciò che gli si voleva: lo si trattava duramente come una bestia da soma. Il buon DIO gli apparve una terza volta, dicendogli che era giunto alla metà. Ah! Signore, poiché io l’ho voluto, devo soffrire per poter soddisfare alla vostra giustizia. Ah! DIO mio! Non aspettate che i miei peccati siano puniti dopo il giudizio. San  Giovanni Climaco ci racconta un fatto che ci fa tremare. C’era, ci dice, un solitario che dopo quarant’anni piangeva i suoi peccati in fondo ad un bosco. Alla vigilia della sua morte, tutto ad un tratto, fuor di sé, aprendo gli occhi, guardando a destra ed a sinistra del suo letto, come se avesse visto qualcuno che gli domandasse conto della sua vita, rispondeva con voce tremante: Sì, io ho commesso questo peccato, ma io l’ho confessato ed ho fatto penitenza per trenta anni, fino a quando il buon DIO mi ha perdonato. Tu hai commesso anche questo peccato, gli diceva questa voce. No, gli rispose il solitario, io non l’ho commesso. Prima di morire lo si sentì gridare: DIO mio, DIO mio, togliete, togliete i miei peccati, per piacere, da davanti agli occhi miei, io non posso più sopportarli. Ahimè! Cosa ci accadrà se il demonio ci rimprovera anche i peccati che non abbiamo commesso, a noi che siamo tutti coperti dai peccati e non abbiamo fatto penitenza; ahimè! Cosa dobbiamo aspettarci per questo terribile momento? Se i Santi appena sono rassicurati, cosa accadrà a noi? – Cosa dobbiamo concludere da tutto questo, fratelli miei? Non bisogna mai perdere di vista che noi saremo giudicati un giorno senza misericordia, e che tutti i nostri peccati saranno mostrati agli occhi di tutto l’universo; e che dopo questo giudizio, se ci troviamo in questi peccati, andremo a piangerli negli inferi senza poterli né cancellarli, né dimenticarli. Oh! Quanto siamo ciechi, fratelli miei, se non profittiamo del poco di tempo che ci resta da vivere per assicurarci il cielo. Se siamo peccatori, abbiamo la speranza del perdono; se noi invece lo aspettiamo allora, non ci saranno più risorse. DIO mio! Fatemi la grazia di non farmi mai perdere il ricordo di questo terribile momento, soprattutto quando sarò tentato, per non lasciarmi soccombere; affinché in questo giorno noi udiamo queste dolci parole uscite dalla bocca del Salvatore: « Venite, benedetti dal Padre mio, a possedere il regno che vi è stato preparato fin dal principio del mondo. »

Credo

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXIV: 1-3. Ad te levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.

[A Te ho innalzato l’ànima mia: Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire, né abbiano a deridermi i miei nemici: poiché quelli che confidano in Te non saranno confusi.]

Secreta

Hæc sacra nos, Dómine, poténti virtúte mundátos ad suum fáciant purióres veníre princípium.[Questi misteri, o Signore, purificandoci con la loro potente virtú, ci facciano pervenire piú mondi a Te che ne sei l’autore.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps LXXXIV: 13.
Dóminus dabit benignitátem: et terra nostra dabit fructum suum.

[Il Signore ci sarà benigno e la nostra terra darà il suo frutto.]

Postcommunio

Orémus.
Suscipiámus, Dómine, misericórdiam tuam in médio templi tui: ut reparatiónis nostræ ventúra sollémnia cóngruis honóribus præcedámus.
[Fa, o Signore, che (per mezzo di questo divino mistero) in mezzo al tuo tempio sperimentiamo la tua misericordia, al fine di prepararci convenientemente alle prossime solennità della nostra redenzione.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SUL GIUDIZIO FINALE.

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

Sul giudizio finale.

[Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, curato d’Ars – Vol. I, 4° ed. Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]

Tunc videbunt Filium hominis venientem cum potestate magna et majestate.

(Allora vedranno venire il Figlio dell’uomo con grande potenza e maestà terribile, circondato dagli Angeli e dai Santi.)

(Ev. s. S. Luc., XXI, 27.)

Non è più, fratelli miei un DIO rivestito dalle nostre infermità, nascosto nell’oscurità di una povera stalla, adagiato in una mangiatoia, saziato di obbrobri, accasciato sotto il pesante fardello della croce; è un DIO rivestito da tutto lo splendore della sua potenza e della sua maestà, che fa annunziare la sua venuta dai prodigi più eclatanti, cioè dall’eclissi del sole, della luna, dalla caduta delle stelle e da un intero stravolgimento della natura. Non è più un Salvatore che viene con la dolcezza di un agnello, per essere giudicato dagli uomini e riscattarli: è un Giudice giustamente irritato, che giudica gli uomini con tutto il rigore della sua giustizia. Non è più un pastore caritatevole che viene a cercare le sue pecore disperse e perdonarle: è un DIO  vendicatore che viene a separare per sempre i peccatori dai giusti, caricare i malvagi della sua più terribile vendetta, e deliziare i giusti con un torrente di dolcezze. Momento terribile, momento spaventoso, quando giungerai? Momento doloroso, ahimè! Forse, in qualche mattino, noi ascolteremo i precursori di questo Giudice così terribile per i peccatori. O voi, peccatori, uscite dalla tomba dei vostri peccati, venite al tribunale di DIO, istruitevi sulla maniera in cui il peccatore sarà trattato. L’empio, in questo mondo, sembra voler disconoscere la potenza di DIO, vedendo i peccatori senza punizione; egli giunge fin’anche a dire: No, no, non c’è DIO, né inferno; oppure: DIO non bada a ciò che accade sulla terra. Ma aspettiamo il giudizio e, in questo grande giorno, DIO manifesterà la sua potenza e mostrerà a tutte le nazioni che ha visto tutto e contato tutto. Qual differenza, fratelli miei, con le meraviglie che operò creando il mondo! Che sgorghino le acque, fertilizzino la terra; e nello stesso istante, le acque copriranno la terra donandole la fertilità. Ma quando Egli verrà per distruggere il mondo, comanderà al mare di lasciare le sue rive con una impetuosità spaventosa che ingoierà tutto l’universo nel suo furore. Quando DIO creò il cielo, ordinò alle stelle di attaccarsi al firmamento. Alla sua voce, il sole rischiarò il giorno, e la luna presiedette alla notte. Ma in questo ultimo giorno, il sole si oscurerà. La luna e le stelle non daranno più luce. Tutti questi astri meravigliosi cadranno con uno spaventoso fracasso. quale differenza, fratelli miei cari. DIO impiegò sei giorni nel creare il mondo; ma per distruggerlo, sarà sufficiente un battito d’occhio. Per creare l’universo e tutto ciò che esso racchiude, DIO non chiamò nessuno spettatore di tante meraviglie; ma nel distruggerlo, saranno presenti tutti i popoli, tutte le nazioni confesseranno che c’è un DIO e che Esso è potente. Venite, empi beffardi, venite, increduli raffinati, venite a conoscere se c’è un DIO, e se è onnipotente! O DIO mio! Il peccatore cambierà linguaggio in questo momento! Quanti rimpianti! Qual pentimento per aver tralasciato un tempo sì prezioso! Ma non c’è più tempo, tutto è finito per il peccatore, tutto è senza speranza! Oh! Quanto terribile sarà questo momento! San Luca ci dice che gli uomini si disseccheranno per la paura fin dalla punta dei piedi pensando ai dolori che saranno loro preparati. Ahimè, fratelli miei, si può disseccare per la paura e morire dallo spavento nell’attesa di un malore infinitamente meno grande di quello di cui è minacciato il peccatore e che certamente gli arriverà se continua a vivere nel peccato. In questo momento, fratelli miei, io mi dispongo a parlare del giudizio in cui noi compariremo tutti per rendere conto di tutto il bene ed il male che avremo fatto, per ricevere la nostra sentenza definitiva per il cielo o per l’inferno: se venisse un Angelo dal cielo ad annunciarvi da parte di DIO che tra ventiquattro ore tutto l’universo sarà ridotto in fuoco da una pioggia di fuoco e zolfo, e voi cominciaste ad avvertire i tuoni scuotenti, i furori delle tempeste abbattersi sulle vostre case, i fulmini talmente numerosi tanto da rendere l’universo un rogo ardente, e l’inferno vomitasse già tutti i suoi riprovati le cui urla e grida si possono ascoltare da tutti gli angoli del mondo; che il solo mezzo per evitare tutti questi malanni fosse lasciare il peccato e fare penitenza; intendereste voi, fratelli miei, tutti questi uomini senza versare un torrente di lacrime e gridare: misericordia! Non vi gettereste ai piedi degli altari per chiedere misericordia? O accecamento, o incomprensibile infelicità dell’uomo peccatore! I mali che il vostro pastore vi annuncia sono ancor più infinitamente spaventosi e degni di strappare le vostre lacrime, lacerare i vostri cuori. Ahimè! Queste verità così terribili diventeranno tante sentenze che stanno per pronunciare la vostra eterna condanna. Ma la più grande di ogni disgrazia, è che voi ne siete insensibili e continuate a vivere nel peccato e non riconosciate la vostra follia se non nel momento in cui non avrete più rimedio. Ancora un momento, e questo peccatore che viveva tranquillamente nel peccato, sarà giudicato e condannato; ancora un istante ed egli porterà questo rimpianto per l’eternità. Sì, fratelli miei, noi saremo giudicati, nulla di più certo; sì, noi saremo giudicati senza misericordia; sì noi rimpiangeremo eternamente l’aver peccato.    

I. — Noi leggiamo nella Sacra Scrittura, fratelli miei, che tutte le volte che DIO vuole inviare qualche flagello al mondo o alla sua Chiesa, Egli lo fa sempre precedere da qualche segno per cominciare a gettare il terrore nei cuori, e per portarlo a placare la sua giustizia. Volendo far perire l’universo con un diluvio, l’arca di Noè, che si impiegarono cento anni per costruirla, fu un segno per condurre gli uomini alla penitenza, cosicché tutti non dovessero perire. Lo storico Giuseppe ci dice che prima della distruzione della città di Gerusalemme, comparve per molto tempo una cometa in forma di falce che gettò nella costernazione il mondo. Ognuno diceva: Ahimè, cosa vuol dire questo segno? Forse qualche grande sventura che DIO vuole inviarci? La luna rimase otto giorni senza dare luce; le genti sembravano già non potessero vivere. Tutto ad un tratto comparve un uomo sconosciuto che per tre anni non faceva altro che gridare per le strade di Gerusalemme, giorno e notte: Guai a Gerusalemme! Guai a Gerusalemme! … lo si prese e lo si batté con verghe per impedirgli di gridare, ma niente lo fermò. Dopo tre anni, egli gridò: Ah! Gerusalemme: ah! guai a me. Una pietra lanciata da una macchina gli cadde addosso e lo schiacciò in quell’istante. Allora tutti i mal di cui questo sconosciuto aveva minacciato a Gerusalemme, le si abbatterono addosso. La fame fu così grande, che le madri sgozzavano i loro figli per servirsene da nutrimento. Gli abitanti, senza sapere perché, si sgozzavano gli uni gli altri; la città fu presa e come annientata; le strade e le piazze erano coperte da cadaveri; il sangue scorreva a fiumi, i pochi che sopravvissero, furono venduti come schiavi. Ma, siccome il giorno del giudizio sarà il giorno più terribile ed il più spaventoso che ci sia mai stato, sarà preceduto da segno così paurosi che getteranno il terrore fino al fondo degli abissi. Nostro Signore ci dice che, in questo momento terribile per il peccatore, il sole non darà più luce, la luna sarà simile ad una massa di sangue, e le stelle cadranno dal cielo. L’aria sarà talmente piena di fulmini che sarà tutta un fuoco, e si sentiranno tuoni, il cui rimbombo sarà così grande che gli uomini disseccheranno per il terrore fin dalla pianta dei loro piedi. I venti saranno così impetuosi che nulla potrà resistere loro. Gli alberi e le case, saranno inghiottiti dal caos del mare; il mare stesso sarà talmente agitato dalle tempeste che i suoi flutti si alzeranno di quattro cubiti sopra le montagne più alte, e scenderanno così in basso da mostrare gli orrori degli inferi; tutte le creature, anche inanimate, sembreranno volersi annientare per evitare la presenza del loro Creatore, vedendo quanto i crimini degli uomini hanno lordato e sfigurato la terra. Le acque dei mari e dei fiumi gorgoglieranno come olio nei bracieri; gli alberi e le piante vomiteranno torrenti di sangue; i tremori della terra saranno così grandi che si vedrà la terra aprirsi da ogni parte; la maggior parte degli alberi e delle bestie saranno distrutti, gli uomini che resteranno, saranno come insensati; le rocce, i monti crolleranno con un frastuono spaventoso. Dopo tutti questi orrori, sarà acceso il fuoco nei quattro angoli del mondo, ma un fuoco così violento che brucerà le pietre, le rocce e la terra, come un filo di paglia gettato in una fornace. Tutto l’universo sarà ridotto in cenere; è necessario che questa terra lordata da tanti crimini, sia purificata dal fuoco che sarà acceso dalla collera del Signore, di un DIO giustamente irritato.  – Dopo che questa terra, fratelli miei, coperta da tanti crimini sarà purificata, DIO invierà i suoi Angeli che soneranno la tromba ai quattro angoli del mondo, e che diranno a tutti i morti: Alzatevi, morti, uscite dalle vostre tombe, venite e preparatevi al giudizio. Allora tutti i morti, buoni e cattivi, giusti e peccatori, riprenderanno le stesse forme che un tempo avevano, il mare vomiterà tutti i suoi cadaveri rinchiusi nel caos, la terra rigetterà tutti i corpi seppelliti da tanti secoli nel suo seno. Dopo questa rivoluzione, tutte le anime dei santi discenderanno dal cielo tutti raggianti di luce, ogni anima si ricongiungerà con il suo corpo dando mille e mille benedizioni. Venite – esse diranno – compagno delle mie sofferenze; se avete lavorato per piacere a DIO; se avete fatto consistere la vostra felicità nelle sofferenze e nei combattimenti, oh! Quanti beni ci sono riservati, sono più di mille anni che io gioisco di questa felicità; oh! Quale gioia per me ad annunciarvi i tanti beni che si sono stati preparati per l’eternità. Venite, occhi benedetti, che tante volte vi siete chiusi al cospetto di oggetti impuri, timorosi di perdere la grazia del vostro DIO, venite nel cielo dove non vedrete che beltà che mai in questo mondo si vedono. Venite, orecchie mie, voi che avete avuto orrore delle parole e dei discorsi impuri e calunniatori; venite ed ascolterete nel cielo questa musica celeste che vi metterà in continuo rapimento. Venite, miei piedi e mani mie, che tante volte vi siete adoperate a sollevare gli sventurati; andiamo a trascorrere la nostra eternità in questo bel cielo ove vedremo il nostro amabile e caritatevole Signore che tanto ci ha amato. Ah! voi vedrete Colui che tante volte è venuto a riposare nel vostro cuore. Ah! noi vi vedremo questa mano ancora tinta del sangue del nostro divin Salvatore, per mezzo del quale Egli ci ha meritato tanta gioia. Infine, il corpo e l’anima dei Santi si daranno mille e mille benedizioni, e questo per tutta l’eternità. Dopo che tutti i Santi avranno ripreso i loro corpi raggianti di gloria, tutti là, secondo le buone opere e le penitenze che avranno fatto, attenderanno con piacere il momento in cui DIO starà per svelare in faccia a tutto l’universo tutte le lacrime, tutte le penitenze, tutto il bene che avranno compiuto durante tutta la loro vita senza trascurarne neppure una, neppure una sola, già tutte rapite dalla felicità di DIO spesso. Aspettate, dirà loro Gesù-Cristo stesso, aspettate, io voglio che tutto l’universo veda quanto voi abbiate lavorato con piacere. I peccatori induriti, gli increduli dicevano che Io ero indifferente a tutto ciò che voi facevate per me; ma Io voglio mostrare loro oggi che vi ho visto, ed ho contato tutte le vostre lacrime versavate nel fondo dei deserti; Io voglio oggi mostrare loro che Io ero al fianco vostro sui patiboli. Venite tutti e comparite davanti a questi peccatori che mi hanno disprezzato ed oltraggiato, che hanno osato negare che Io esistessi, che Io li vedessi. Venite, figli miei, venite miei diletti e vedrete quanto sono stato buono, quanto grande è il mio amore per voi. – Contempliamo, fratelli miei, per un istante, questo numero infinito di anime giuste che rientrano nei loro corpi, che rendono simili a dei soli luminosi. Voi vedete tutti questi martiri, con in mano la palma. Vedete tutte queste Vergini, con la corona della verginità sulla testa. Vedete tutti questi Apostoli, questo sacerdoti, che hanno salvato tante anime, con i raggi di gloria di cui sono abbelliti. Fratelli miei, tutti diranno a Maria, questa Madre-Vergine: andiamo a raggiungere Colui che è in cielo per dare un nuovo splendore alle vostre beltà. Ma no, un momento di pazienza; Voi siete stata disprezzata, calunniata e perseguitata dai malvagi, è giusto che, prima di entrare in questo reame eterno, i peccatori vengano a fare ammenda onorevole. – Ma, terribile e fragorosa rivoluzione! … Io sento la stessa tromba che intima ai riprovati di uscire dagli inferi. Venite peccatori, carnefici e tiranni – dirà DIO che voleva tutti salvi – venite, comparite al tribunale del Figlio dell’Uomo, a Colui del quale sì sovente avete voluto persuadervi che non vi vedesse, né vi intendesse! Venite e comparite, perché tutto quello che voi avete commesso, sarà manifestato in faccia a tutto l’universo. Allora l’Angelo griderà: Abissi degli inferi, aprite le vostre porte, vomitate tutti i riprovati, il loro Giudice li chiama. Ah! Momento terribile! Tutti queste anime maledette riprovate, orribili come demoni, usciranno dagli abissi ed andranno, come dei disperati a cercare i propri corpi. Ah! Momento crudele! Nel momento in cui l’anima entrerà nel suo corpo, questo corpo proverà tutti i rigori dell’inferno. Ah! Corpo maledetto, dirà l’anima al suo corpo che ha rotolato e trascinato nel fango delle sue impurità; sono già mille anni che soffro e brucio nell’inferno. Venite occhi maledetti, che tante volte avete avuto piacere nel volgere sguardi disonesti su di voi od altri, venite all’inferno per contemplarvi i mostri più orribili. Venite, orecchie maledette, che avete tratto tanto piacere da queste parole, da questi discorsi impuri, venite eternamente a sentire le grida, le urla, i ruggiti dei demoni. Venite, lingua e bocca maledetta che tante volte avete dato baci impuri e che nulla avete risparmiato per accontentare la vostra sensualità e la vostra ingordigia; venite nell’inferno e non avrete che il fiele dei dragoni per nutrimento. Vieni corpo maledetto che ho tanto cercato di accontentare; vieni, tu sarai immerso per l’eternità in uno stagno di fuoco e di zolfo, alimentato dalla potenza e dalla collera di DIO! Ah! chi potrà comprendere e raccontarci le maledizioni che il corpo e l’anima si vomiteranno per tutta l’eternità? Sì, fratelli miei, ecco tutti i giusti ed i riprovati che hanno ripreso la forma antica, cioè i loro corpi tali come ora li vediamo, che attendono il loro Giudice, ma un Giudice giusto e senza compassione, per punire o ricompensare, secondo il bene o il male che noi avremo fatto. Eccolo che arriva, seduto su di un trono, sfolgorante di gloria, circondato da tutti gli Angeli, con lo stendardo della sua croce che marcerà davanti a Lui. I dannati vedranno il loro Giudice; ah! che dico? Vedranno Colui che essi non hanno visto procurare loro la felicità del Paradiso, e che, malgrado Lui, si sono dannati: montagne, essi grideranno, schiacciateci, nascondeteci dalla faccia del nostro Giudice; rocce, cadeteci addosso; ah! di grazia, precipitateci negli inferi! No, no, peccatore, avanza e vieni a render conto di tutta la tua vita. vieni avanti maledetto, che tanto hai disprezzato un DIO così buono. Ah! Giudice mio, Padre mio, mio Creatore, dove sono mio padre, mia madre che mi hanno dannato? Ah! io vorrei vederli; ah! io vorrei loro domandare il cielo che essi mi hanno lasciato perdere. Padre mio e madre mia, siete voi che mi avete dannato; siete voi che mi avete dannato; siete voi la causa della mia rovina. No, no, avanza verso il tribunale del tuo DIO, per te tutto è perduto: sì, tu sei perduto! Sì, tutto è perduto, poiché tu hai perduto la tua anima ed il tuo DIO. Ah! chi potrà mai comprendere il dolore di un dannato che si vedrà di fronte, cioè nel lato dei Santi, un padre o una madre tutti raggianti di gloria e pronti per il cielo, e vedersi riservato all’inferno! Montagne, diranno questi riprovati, fateci sfuggire; ah! di grazia cadeteci addosso! Ah! porte degli abissi, apritevi per nasconderci! No, peccatore; tu hai sempre disprezzato i miei comandamenti; ma oggi Io voglio mostrarti che Io sono il tuo padrone. Comparirai davanti a me con tutti i tuoi crimini dei quali è intessuta tutta la tua vita. Ah! è allora – ci dice il profeta Ezechiele – che il Signore prenderà questo gran foglio miracoloso, ove sono scritti e consegnati tutti i crimini degli uomini. Quanti peccati mai comparsi agli occhi dell’universo, si vedranno apparire. Ah! tremate, voi che forse dopo quindici o venti anni, avete accumulati peccati su peccati. Ah! guai a voi! Allora Gesù-Cristo, con il libro delle coscienze in mani, chiamerà tutti i peccatori per convincerli di tutti i peccati che avranno commesso nel corso della loro vita, con il suono di un tuono spaventoso. Venite impudichi – dirà loro – avvicinatevi e leggete giorno per giorno; ecco tutti questi pensieri che hanno riempito la vostra immaginazione, tutti questo desideri vergognosi che hanno corrotto il vostro cuore; leggete e contate i vostri adulteri, eccone il luogo, il momento in cui li avete commessi, ecco la persona con la quale avete peccato. Leggete tutte le vostre mollezze e le vostre lascivie, leggete e contate quante volte avete perso delle anime che mi erano costate così caramente. Era da più di mille anni che il vostro corpo era marcito e la vostra anima all’inferno, ed il vostro libertinaggio portava ancora anime all’inferno. Vedete questa donna che avete perduto, vedete questo marito, questi figli e questi vicini! Tutti chiedono vendetta, tutti vi accusano che li avete perduti e che senza di voi sarebbero destinati al cielo. – Venite figlie mondane, strumenti di satana, venite e leggete tutte queste cure e questi tempi che avete impiegato nel prepararvi; contate il numero dei cattivi pensieri e dei cattivi desideri che avete suscitato a coloro che vi hanno visto. Vedete tutte le anime che gridano che siete state voi che li avete perduti. – Venite maldicenti, seminatori di falsi rapporti, venite e leggete, ecco dove sono segnate tutte le vostre maldicenze, i vostri insulti, le vostre ingiurie; ecco tutte le divisioni che avete provocato; ecco tutte le turbe che avete fatto nascere, tutte le perdite e tutti i mali dei quali la vostra lingua maledetta è stata la prima causa. Andate disgraziati, andate ad ascoltare le grida e le urla spaventose dei demoni. – Venite avari maledetti, leggete e contate questo denaro e questi beni fatiscenti ai quali avete legato il vostro cuore, il disprezzo del vostro DIO, e per i quali avete sacrificato la vostra anima. Avete dimenticato la vostra durezza per i poveri? Eccola, leggete e contate. Ecco il Vostro oro ed il Vostro denaro, chiedete ora loro soccorso, dite loro che vi traggano dalle mie mani. Andate maledetti a soffrir fame negli inferi. – Venite vendicativi, leggete e vedete tutto ciò che voi avete fatto per nuocere al vostro prossimo, contate tutte queste ingiustizie, contate tutti questi pensieri di odio e di vendetta che avete nutrito nei vostri cuori; andate, maledetti, nell’inferno. Voi siete stati ribelli: i miei ministri hanno detto mille volte che se non amate il vostro prossimo come voi stessi, non c’è perdono per voi. Ritiratevi da me, maledetti, andate all’inferno, sarete la vittima della mia eterna collera, ove conoscerete che la vendetta non è che per DIO solo. – Vieni, vieni, ubriacone, ecco là un bicchiere di vino, un pezzo di pane che tu hai strappato dalla bocca di tua moglie e dei tuoi figli; ecco tutti gli eccessi, li riconosci? Sono i tuoi, o sono quelli del tuo vicino? Ecco il numero delle notti, dei giorni, le domeniche e le feste che tu hai trascorso nei cabaret; ecco  fino all’ultima, le parole disoneste che hai dette nelle tue sbornie; ecco tutti i giuramenti, tutte le imprecazioni che hai vomitato; ecco tutti gli scandali che hai dato a tua moglie, ai tuoi figli, ai vicini. Sì, io ho scritto tutto, ho tutto contato. Va, disgraziato, ad ubriacarti negli inferi del fiele della mia collera. – Venite mercanti, operai, di qualunque stato voi siate, venire, rendetemi conto fino all’obolo di tutto ciò che avete comprato e venduto; venite, esaminiamo insieme se le vostre misure ed i vostri conti siano conformi ai miei? Ecco, mercanti, il giorno in cui avete ingannato questa bambino. Ecco il giorno in cui avete fatto pagare due volte la stessa cosa. Venite, profanatori dei Sacramenti, ecco tutti i vostri sacrilegi, tutte le vostre ipocrisie. Venite, padri e madri, rendetemi conto di queste anime che a voi ho affidato; rendetemi conto di tutto ciò che hanno fatto i vostri figli, i vostri domestici; ecco tutte le volte che avete dato loro il permesso di andare nei luoghi e con le compagnie in cui hanno peccato. Ecco tutti i cattivi pensieri ed i cattivi desideri che vostra figlia ha coltivato; ecco tutti gli abbracci e le azioni infami; ecco tutte le parole impure che i vostri figli hanno pronunziato. Ma, Signore, diranno i padri e le madri, io non li ho comandati. Non importa, dirà ad essi il loro Giudice, i peccati dei tuoi figli, sono i tuoi peccati. Dove sono le virtù che hai fatto loro praticare? Dove sono i buoni esempi che hai loro dati o le buone opere che hai fatto fare loro? Ahimè! Cosa sarà di questi padre e queste madri che vedono che i loro figli, gli uni vanno a ballare, gli altri ai giochi o alla bettola, e vivono tranquilli. O DIO mio quale cecità! Oh! Da quali crimini si vedranno oppressi in questi terribili momenti! Oh! Quanti peccati nascosti che saranno manifestati alla presenza di tutto l’universo! Oh! Abissi profondi degli inferi, apritevi per ingoiare questa folla di perversi che non hanno vissuto che per oltraggiare DIO e dannarsi. Ma – voi mi direte – tutte le buone opere che abbiamo fatto non serviranno dunque a niente? Questi digiuni, queste penitenze, queste elemosine, queste Comunioni, queste Confessioni saranno dunque senza ricompensa? No, vi dirà Gesù-Cristo, tutte le vostre preghiere non erano che pratiche di abitudini, i vostri digiuni ipocrisie, le vostre elemosine vanagloria; il vostro lavoro non aveva altro scopo che l’avarizia e la cupidigia, le vostre sofferenze non erano accompagnate che da pianti e mormorii; in tutto ciò che facevate, Io non c’ero per nulla; tuttavia vi ho ricompensato con beni temporali, ho benedetto il vostro lavoro, ho dato fertilità ai vostri campi, arricchiti i vostri figli, il poco di bene che avete fatto ve l’ho ricompensato con più di quanto potevate attendere. Ma, Egli ci dirà, i vostri peccati vivono ancora, essi vivranno eternamente davanti a me; andate maledetti, nel fuoco eterno preparato per tutti coloro che mi hanno disprezzato durante la loro vita. – Sentenza terribile, ma infinitamente giusta. Cosa di più giusto! Un peccatore che per tutta la sua vita, non ha fatto che rivoltarsi nel crimine, malgrado le grazie che il buon DIO gli presentava incessantemente per uscirne! Vedete questi empi che si lamentavano del loro pastore, che disprezzavano le parole di vita, che volgevano in ridicolo quello che il loro pastore diceva ad essi? Vedete questi peccatori che si gloriavano nel non avere Religione, che schernivano coloro che la praticavano? Vedeteli, questi cattivi Cristiani che avevano così spesso in bocca queste orribili bestemmie che- essi dicevano – trovavano ancora eccellente il pane, e non avevano bisogno di Confessione? Vedete questi increduli che ci dicevano che, quando fossimo morti, tutto era finito? Vedete la loro disperazione, ascoltateli confessare la loro empietà? Li udite implorare misericordia? Ma tutto è finito, non avete più che l’inferno per retaggio. – Vedete questo orgoglioso che scherniva e disprezzava tutti? Lo vedete inabissato nel suo cuore, condannato per una eternità sotto i piedi dei demoni? Vedete quell’incredulo che diceva che non c’è DIO, che non c’è inferno? Lasciate confessare loro davanti a tutto l’universo che c’è un DIO Giudice, ed un inferno dove sta per precipitare per non uscirne mai più? È vero che DIO darà la libertà a tutti i peccatori di portare lo loro ragioni, le loro scuse per giustificarsi, se possono. Ma ahimè! Che potrà dire un criminale che non vede che crimine e ingratitudine? Ahimè! Tutto ciò che potrà dire un peccatore in questo momento doloroso non servirà che a mostrare ancor più la sua empietà e la sua ingratitudine. – Ecco, senza dubbio, fratelli miei, ciò che vi sarà di più sconvolgente in questo terribile momento; questo sarà quando vedremo che DIO non ha nulla risparmiato per salvarci; che Egli ci fa fatto partecipi dei meriti infiniti della sua morte in croce; che Egli ci ha fatto nascere nel seno della sua Chiesa; che ci ha dato dei pastori per mostrarci ed insegnarci tutto ciò che si debba fare per essere felici. Egli ci ha dato i Sacramenti per farci recuperare la sua amicizia tutte le volte che l’avessimo perduta. Non ha posto dei limiti al numero dei peccati che voleva perdonarci; se il nostro ritorno fosse sincero, saremmo stati sicuri del nostro perdono, egli ci ha atteso per un numero infinito di anni, benché non vivessimo che per oltraggiarlo; Egli non voleva perderci o piuttosto voleva assolutamente salvarci; e noi non abbiamo voluto! Siamo noi stessi che lo forziamo con i nostri peccati a fargli emettere una sentenza di eterna riprovazione: Andate, figli maledetti, andate a trovare colui che avete imitato: io non vi riconosco, se non per non schiacciarvi con tutti i furori della mia eterna collera. – Venite, ci dice il Signore per mezzo di uno dei suoi Profeti, venite, uomini, donne, ricchi e poveri, quantunque peccatori, di qualunque stato e condizione siate, dite tutti insieme, ditemi le vostre ragioni, ed Io vi dirò le mie. Entriamo in giudizio, pesiamo tutto ai piedi del santuario. Ah! momento terribile per un peccatore che da qualunque lato consideri la sua vita, non vede che peccato, ed alcun bene. DIO mio! Che sarà di lui? In questo mondo, il peccatore ha sempre qualche scusa da recare per tutti i peccati che ha commesso; egli porta finanche il suo orgoglio al tribunale della penitenza, dove non dovrebbe comparire se non per accusar se stesso e condannarsi. Per gli uni l’ignoranza; per altri le tentazioni troppo violente; infine per altri, le occasioni e i cattivi esempi: ecco, ogni giorno le ragioni che i peccatori accampano per nascondere la oscurità dei loro crimini. Venite peccatori orgogliosi, vedete se le vostre scuse saranno bene accolte nel giorno del giudizio, e spigatevi con Colui che ha la face in mano, che ha visto tutto, tutto contato, tutto pesato. Voi non sapevate, direte, che questo fosse un peccato! Ah! Sventurati, vi dirà Gesù-Cristo, se foste nati tra le nazioni idolatre che non hanno mai sentito parlare del vero DIO, potreste ancora scusarvi per la vostra ignoranza; ma voi Cristiani, che avete avuto la fortuna di nascere nel seno della mia Chiesa, allevato nel centro della luce, voi, ai quali si parla della vostra eterna felicità? Dalla vostra infanzia vi si insegna cosa fare per procurarvela, voi che mai si è cessato di istruire; era proprio perché non avete voluto istruirvi; era proprio perché non avete voluto profittare delle istruzioni o che voi avete rifuggito. Andate maledetti! Andate, le vostre scuse vi rendono ancor più degni di maledizione! Andate, figli maledetti, negli inferi e bruciate con la vostra ignoranza. – Ma, dirà un altro, le mie passioni erano troppo vive e grande la mia debolezza. Ma, dirà loro il Signore, poiché DIO era così buono da farvi conoscere la vostra debolezza, ed i vostri pastori vi dicevano che bisognava continuamente vegliare su voi stessi, mortificarvi, se volevate domarle; perché facevate tutto all’opposto? Perché prendevate tanta cura nel contentare il vostro corpo ed i vostri piaceri? DIO vi faceva conoscere la vostra debolezza e voi ricadevate ad ogni istante? Perché non facevate ricorso a DIO per chiedergli la sua grazia? Perché non ascoltavate i vostri pastori che non cessavano di esortarvi nel chiedere le grazie e le forze di cui avevate bisogno per vincere il demonio? Perché avete dunque tanto spesso disprezzato la parola di DIO che vi avrebbe guidato nel cammino che dovevate intraprendere per andare a Lui? Ah! Peccatori ingrati e ciechi, tutti questi beni erano a vostra disposizione, voi potevate servirvene come tanti altri. Cosa avete fatto per impedirvi di cadere nel peccato? Voi non avete pregato che per uso ed abitudine. Andate maledetti! Più avete conosciuto la vostra debolezza, più dovevate far ricorso a DIO che vi avrebbe sostenuto ed aiutato per operare la vostra salvezza. Andate maledetti, voi non siete se non più colpevole. – Ma ci sono tante occasioni di peccare, dirà ancora un altro. Amico mio, io conosco tre tipi di occasione che possono portare al peccato. Tutti gli stati hanno i loro pericoli. Io dico che ve ne sono di tre sorta: quelli in cui siamo necessariamente esposti per i doveri del nostro stato, quelli che incontriamo senza cercarceli, e quelli ai quali ci esponiamo senza necessità. Se per quelli in cui ci invischiamo senza necessità non abbiamo scusanti, non cerchiamo di scusare un peccato con un altro peccato. Voi avete inteso cantare cattive canzoni, voi dite; avete ascoltato una maldicenza o una calunnia, e perché siete andato in questa casa o con questa compagnia? Perché frequentate queste persone senza Religione? Non sapete che chi si espone al pericolo è colpevole e vi perirà? Colui che cade senza esporsi si rialza ben presto, e la sua caduta lo rende ancor più vigilante e saggio. Ma non vedete voi che DIO ci ha promesso il suo soccorso nelle tentazioni, non ce lo ha promesso però quando abbiamo la temerarietà di esporci da noi stessi. Andate maledetti, voi stessi avete cercato di perdervi; voi meritate l’inferno che è riservato ai peccatori come voi. – Ma, voi mi direte, si hanno continuamente cattivi esempi davanti agli occhi. Voi avete cattivi esempi … quale scusa frivola! Se ne avete di cattivi, non ne avete pure di buoni? Perché non avete seguito piuttosto i buoni che i cattivi? Quando vedevate che questa giovane va in chiesa, alla sacra mensa, perché non la seguite, piuttosto che seguire quella che andava alle danze? Quando quest’uomo andava in chiesa per adorarvi Gesù-Cristo nel santo tabernacolo, perché non avete seguito i suoi passi piuttosto che seguire le orme di coloro che si recavano alla bettola? Dite piuttosto, peccatori, che avete amato più la via larga che vi ha condotto in questo disastro in cui vi trovate, che il cammino che il Figlio di DIO ha tracciato Egli stesso. La vera causa delle vostre cadute e della vostra riprovazione, non viene dunque né dai cattivi esempi, né dalle occasioni, né dalle vostre debolezze, né dalle grazie che vi mancavano; ma soltanto dalle cattive disposizioni del vostro cuore che non avete voluto reprimere. Se avete fatto il male, è perché lo avete voluto. La vostra perdita non viene dunque, che solamente da voi. – Ma, mi direte, non ci veniva sempre detto che DIO era buono. È vero che Egli è buono, ma Egli è giusto; la sua bontà e la sua misericordia sono per voi passate: non c’è più che la sua giustizia e la sua vendetta. Ahimè! Fratelli miei, noi che abbiamo tanta ripugnanza nel confessarci, se cinque minuti prima di questo grande giorno, DIO ci concedesse dei sacerdoti per confessare i nostri peccati perché fossero cancellati, ahimè! Con quanta premura non ne profitteremmo? Questo non ci sarà mai concesso in questo momento di disperazione. Il re Bogoris fu molto più saggio di noi. Essendo stato istruito da un missionario della Religione Cattolica, ma trattenuto ancora dai falsi piaceri del mondo, per effetto della Provvidenza di DIO, un pittore cristiano al quale aveva dato la commissione di dipingere nel suo palazzo la caccia più terribile alle bestie selvatiche, gli dipinse all’opposto il giudizio finale, il mondo tutto in fuoco, Gesù-Cristo in mezzo ai fulmini ed ai tuoni, l’inferno già aperto per inghiottire i dannati, con figure tanto spaventose, per cui il re restò di stucco. Ritornato in sé, si sovvenne di ciò che il missionario gli aveva detto per evitare gli orrori di questo momento, in cui il peccatore non può che avere la disperazione per retaggio, e rinunciando in seguito ai suoi piaceri, passò il resto della sua vita nella penitenza e nelle lacrime. Ahimè! Fratelli miei, se questo re non si fosse convertito, sarebbe morto egualmente, avrebbe lasciato tutti i suoi beni ed i suoi piaceri, è vero, un po’ più tardi; ma morendo, nel volgere di secoli, sarebbero passati ad altri. Egli sarebbe invece a bruciare per sempre nell’inferno, mentre è in cielo per l’eternità, ed è contento, aspettando questo giorno, di vedere che tutti i suoi peccati gli siano perdonati e non riappariranno mai più, né agli occhi di DIO, né agli occhi degli uomini. – Fu questo pensiero ben meditato da San Girolamo che lo spinse a tanti rigori per il suo corpo e a versare tante lacrime. Ah! esclamava egli in questa vasta solitudine, mi sembra di sentire ad ogni istante questa tromba che deve svegliare tutti i morti, chiamarmi al tribunale del mio Giudice. Questo pensiero faceva tremare un Davide sul suo trono, un Agostino in mezzo ai suoi piaceri, malgrado tutti gli sforzi che faceva per soffocare questo pensiero che un giorno sarebbe stato giudicato. Egli diceva di tanto in tanto al suo amico Alipio: Ah! caro amico, verrà il giorno in cui noi appariremo davanti al tribunale di DIO per ricevervi la ricompensa del bene o il castigo del male che avremo fatto durante la nostra vita; lasciamo, amico caro mio la strada del crimine per quella che hanno seguito tutti i santi. Prepariamoci a questo giorno, fin dal momento presente. – San Giovanni Climaco ci racconta che un solitario lasciò il suo monastero per passare in un altro a farvi più penitenza. La prima notte, fu chiamato al tribunale di DIO che gli mostrò come egli fosse debitore verso la sua giustizia di cento libbre d’oro. Ahimè! Signore, egli esclamò, cosa devo fare per acquistarli? Egli restò tre anni in questo monastero, dove DIO permise che fosse disprezzato e maltrattato da tutti gli altri, al punto che gli sembrava che nessuno potesse sopportarlo. Il Signore gli apparve una seconda volta dicendogli che non aveva acquistato ancora che un quarto del suo debito. Ah! Signore, esclamò ancora, cosa devo fare quindi per farmi giustificare? Egli si finse pazzo per tredici anni, facendo tutto ciò che gli si voleva: lo si trattava duramente come una bestia da soma. Il buon DIO gli apparve una terza volta dicendogli, che era giunto alla metà. Ah! Signore, poiché io l’ho voluto, devo soffrire per poter soddisfare alla vostra giustizia. Ah! DIO mio! Non aspettate che i miei peccati siano puniti dopo il giudizio. San  Giovanni Climaco ci racconta un fatto che ci fa tremare. C’era, ci dice, un solitario che dopo quarant’anni piangeva i suoi peccati in fondo ad un bosco. Alla vigilia della sua morte, tutto ad un tratto, fuor di sé, aprendo gli occhi, guardando a destra ed a sinistra del suo letto, come se avesse visto qualcuno gli domandasse conto della sua vita, rispondeva con voce tremante: Sì, io ho commesso questo peccato, ma io l’ho confessato ed ho fatto penitenza per trenta anni, fino a quando il buon DIO mi ha perdonato. Tu hai commesso anche questo peccato, gli diceva questa voce. No, gli rispose il solitario, io non l’ho commesso. Prima di morire lo si sentì gridare: DIO mio, DIO mio, togliete, togliete i miei peccati, per piacere, da davanti agli occhi miei, io non posso più sopportarli. Ahimè! Cosa ci accadrà se il demonio ci rimprovera anche i peccati che non abbiamo commesso, a noi che siamo tutti coperti dai peccati e non abbiamo fatto penitenza; ahimè! Cosa dobbiamo aspettarci per questo terribile momento? Se i Santi appena sono rassicurati, cosa accadrà a noi? – Cosa dobbiamo concludere da tutto questo, fratelli miei? Non bisogna mai perdere di vista che noi saremo giudicati un giorno senza misericordia, e che tutti i nostri peccati saranno mostrati agli occhi di tutto l’universo; e che dopo questo giudizio, se ci troviamo in questi peccati, andremo a piangerli negli inferi senza poterli né cancellarli, né dimenticarli. Oh! Quanto siamo ciechi, fratelli miei, se non profittiamo del poco di tempo che ci resta da vivere per assicurarci il cielo. Se siamo peccatori, abbiamo la speranza del perdono; se noi invece lo aspettiamo allora, non ci saranno più risorse. DIO mio! Fatemi la grazia di non farmi mai perdere il ricordo di questo terribile momento, soprattutto quando sarò tentato, per non lasciarmi soccombere; affinché in questo giorno noi udiamo queste dolci parole uscite dalla bocca del Salvatore: « Venite, benedetti dal Padre mio, a possedere il regno che vi è stato preparato fin dal principio del mondo. »

TEMPO DI AVVENTO (2020)

TEMPO DI AVVENTO (2020)

[Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani – Comm. D. G. Lefebvre O.S. B.; L.I.C.E. Berruti & C. Torino, 1950]

Dalla Domenica di Avvento al 24 Dicembre.

I. Commento Dogmatico.

La lettura dei testi liturgici dei quali si serve la Chiesa durante le quattro settimane del tempo dell’Avvento, ci mostra chiaramente la sua intenzione di farci partecipi dello spirito dei Patriarchi e dei veggenti di Israele, che attendevano la venuta del Messia, nel suo duplice avvento di grazia e di gloria. – La Chiesa Greca celebra nell’Avvento gli Antenati del Signore, e specialmente Abramo, Isacco e Giacobbe. Nella quarta domenica, essa venera tutti i Patriarchi dell’Antico Testamento da Adamo fino a S. Giuseppe e i Profeti dei quali S. Matteo parla nella genealogia di Gesù. La Chiesa Latina, senza onorarli di un culto particolare, ce ne parla tuttavia nell’Ufficio, citando le promesse che sono state loro fatte circa il Messia. È il magnifico corteo che precede Gesù nel corso dei secoli, che la Chiesa fa cosi sfilare ogni anno avanti ai nostri occhi.

Ecco Giacobbe, [I domenica, 3° respons.], Giuda, [IV dom., 2° resp.], Mosè 3) [Intr. Vig. di Nat.] David [Epif. ed Ev. di Nat.], Michea [lI dom., I resp.], Geremia [Merc, I Sett., 3° resp.], Ezechiele [I Sett., 2° resp.], Daniele [I dom. 2° resp.], Gioele [Lun. I Sett., 3° resp.], Zaccaria [I Dom., 2a Ant. lod.], Habacuc [mart. I Sett. 3° resp.], Osea1 [Ven. I Sett., Ant. Magnif.], Aggeo [VI Ant. Magg.], Malachia [Merc. II Sett., Benedictus]; ma soprattutto Isaia [Tutte le lezioni del I Notturno di Mattutino nell’Avvento sono di Isaia, come pure l’Introito della II dom., il Communio della III Dom., l’Introito, la Lezione, l’Offertorio e il Communio del Mercoledì delle Quattro Tempora, l’Epistola del Venerdì, le quattro lezioni del Sabato e il Communio della Vigilia di Natale], S. Giovanni Battista [Dei quattro Vangeli dell’Avvento, tre sono dedicati a lui], S. Giuseppe [Vang. Della Vig. di Nat., e la gloriosa Vergine Maria [I Dom., 3° resp. Ecc.], che riassume in sé tutte le speranze messianiche, perché dal suo Fiat dipende la loro realizzazione. E tutte queste anime sante anelano al Salvatore, e, accese di desiderio, lo supplicano d’affrettare la sua venuta. Non si può fare a meno, seguendo le diverse parti delle Messe e dell’Ufficio dell’Avvento, d’essere colpiti da queste invocazioni al Messia, insistenti e continue: « Vieni, o Signore, non tardare più [IV. Dom. All.]— Venite adoriamo il Re che viene [Invit. Dom.]; « Il Signore è vicino, venite adoriamolo [Invit. III Dom.]. — « Vieni, Signore, per salvarci [Tratto Sab. Q. T.] — «Mostra la tua potenza, Signore, e vieni » [Oraz. IV Dom.]. — « O Saggezza, vieni ad insegnarci la via della prudenza» [Antif. Magg.. — « O Dio, guida della casa di Israele, vieni a redimerci con la potenza del tuo braccio » [Antif. Magg.] ! — « O discendente di Jesse, vieni a liberarci e non tardare » [Antif. Mag. — « O chiave di David e scettro della casa d’Israele, vieni e libera il prigioniero immerso nelle tenebre e nell’ombra della morte » [Ant. Mag.]. — « O Oriente, splendore della luce eterna, vieni ed illumina quelli che giacciono nelle tenebre e nell’ombra della morte » [Anti. Mag.]. — « O Re delle Nazioni e loro desiderio, vieni a salvare l’uomo che hai creato dal fango » [Antif. Mag.]. — « O Emmanuele (Dio con noi) nostro Re e Legislatore, vieni a salvarci, Signore nostro Dio » [Ant. Mag.]. II Messia atteso è dunque lo stesso figlio di Dio, il Gran Re liberatore [III Dom. 4° e 8° resp.], che vincerà satana [Ep. Sab. Q. T.], che regnerà eternamente sul suo popolo [IV Dom. 4° resp.], e che tutte le nazioni serviranno [Sab. Q. T. 3° lez.] . — Ed è principalmente perché la misericordia divina si estende non solo a Israele, ma a tutti i Gentili, che noi dobbiamo far nostro questo « vieni » e dire a Gesù: « O pietra angolare, che riunisci in Te i due popoli, vieni ». — E quando sarà venuto, tutti saremo insieme guidati da questo divino Pastore. « Egli pascolerà il suo gregge, dice Isaia, prenderà gli agnelli nelle sue braccia e li porterà in seno, Egli il Signore nostro Dio » [II Dom. intr.]. Questa venuta del Cristo, annunciata dai Profeti ed alla quale anela il popolo di Dio, è duplice; è insieme V Avvento di misericordia, nel quale il Divino Redentore è apparso in terra nell’umile condizione della Sua esistenza umana, e l’avvento di giustizia, nel quale apparirà pieno di gloria e di maestà, alla fine del mondo, come Giudice e supremo Rimuneratore degli uomini. I Profeti dell’Antico Testamento non hanno separato queste due venute, così la liturgia dell’Avvento, che ci riferisce le loro parole, parla ora dell’uno e ora dell’altro. Nostro Signore stesso (Cfr. il Vangelo della I Domenica di Avvento), passa senz’altro dalla sua prima venuta alla seconda, e nella sua omelia sul Vangelo della III Domenica dell’Avvento, S. Gregorio spiega che S. Giovanni Battista, il precursore del Redentore, è, nello spirito e nella virtù, Elia, il precursore del Giudice. Queste due venute non hanno del resto lo stesso fine? Che, se il Figlio di Dio si è abbassato fino a noi facendosi uomo (1a venuta) è per farci risalire fino al Padre suo (Orazione della Domenica delle Palme) con l’introdurci nel suo regno celeste (2a venuta). E la sentenza che il Figlio dell’uomo, cui sarà rimesso ogni giudizio, pronuncerà quando tornerà in questo mondo, dipenderà dall’accoglienza che gli sarà stata fatta quando venne per la prima volta. « Questo fanciullo — dice Simeone — è posto per rovina e per risurrezione di molti, e come segno di contraddizione  ».(Vang. Dom. ottava di Natale]. Il Padre e lo Spirito attesteranno che il Cristo è il Figlio di Dio, e Gesù stesso lo proverà con le sue parole e con i suoi miracoli. E gli uomini dovranno far propria questa triplice testimonianza di Dio in tre Persone, e decideranno cosi essi stessi la loro sorte futura. « Beato — dice il Maestro — chi non si scandalizzerà di me » [Ev. II Dom. Avv.] perché « chi confiderà nel Cristo non sarà confuso » [1 S. Pietro II, 6). Sventura, al contrario, a chi si getterà contro questa pietra di salvezza, perché vi si spezzerà. « Se qualcuno arrossisce di me o delle mie parole — dichiara ancora Gesù, — il Figlio dell’uomo arrossirà di lui quando verrà nella sua gloria e in quella del Padre e dei Santi Angeli » [S. Luc. IX, 26). — « Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua Maestà e con Lui tutti gli Angeli, si porrà sul trono della sua gloria. E, adunate tutte le genti avanti a sé, separerà gli uni dagli altri, come il pastore le pecore dai capri. Porrà le pecore alla Sua destra e i capri alla sua sinistra. Allora il Re dirà a quelli che sono alla sua destra: « Venite, benedetti dal Padre mio, e possedete il regno dei Cieli, che vi è stato preparato dall’origine del mondo. Dirà poi a quelli che sono alla sua sinistra: « Fuggite da me, maledetti, andate al fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli » [Matth. XXV, 34, 41]. — Il Giudizio divino sarà dunque una separazione che Dio farà tra i buoni e i cattivi. « Giudicami, o Dio — dice il Salmista — e separa la causa mia da quella di un popolo che mi è nemico; liberami dall’uomo malvagio e ingannatore » [Ps. XLII, ai piedi dell’altare]. — Tutti quelli che avranno rinnegato il Cristo sulla terra, saranno da Lui allontanati e separati per sempre da quelli che gli sono fedeli, mentre adunerà intorno a se quelli che l’avranno seguito, per farne i figli di Dio. Accoglierà nel suo seguito tutti quelli che lo avranno accolto con fede e con amore, e li farà entrare nel regno del Padre Suo. Intimamente uniti al Figlio di Dio fatto uomo, essi saranno per tutta l’eternità ciò che S. Paolo chiama il Cristo e il suo Corpo mistico » e S. Agostino « il Cristo totale ». E su questo principio Gesù giustificherà la sua sentenza, che separerà i buoni dai cattivi, dicendo: « Tutto ciò che avrete fatto al minimo dei miei, l’avrete fatto a me, e tutto ciò che non avrete fatto a questi, non l’avrete fatto a me ». È dunque proprio dall’accettazione del « mistero del Cristo » come lo chiama l’Apostolo, cioè del mistero dell’Incarnazione con tutte le sue conseguenze (accettazione di Gesù nel suo avvento d’umiltà, e accettazione della sua Chiesa, che dividerà le umiliazioni del suo Sposo divino), che dipenderà il giudizio finale; ed è per questo che, dopo aver parlato della nascita del fanciullo Gesù a Natale, la Chiesa parla, nel tempo dopo l’Epifania, dell’accoglienza ch’ebbe tanto dagli umili pastori giudei come dai potenti re-Magi, primizie delle nazioni pagane ch’entreranno nella Chiesa per la loro fede in Gesù, mentre gli orgogliosi giudei ne rimarranno fuori. « I Gentili dovevano essere tutti raccolti, scrive S. Gregorio, mentre i giudei stavano per essere dispersi a causa della loro perfidia »  [Sab. Q. T., T. I lez.]. — « Non ho trovato fede si grande in Israele — dirà il Cristo al Centurione pagano, — e cosi molti verranno dall’Oriente e dall’Occidente, e parteciperanno al festino con Abramo, Isacco e Giacobbe, nel regno dei cieli; mentre i figli del regno (i Giudei) saranno gettati nelle tenebre esteriori » [V. III Don. Epif.]. E ancora: « Lasciate crescere insieme il loglio e il frumento, fino al tempo della mietitura, e al tempo della mietitura, io dirò ai mietitori: « Raccogliete prima il loglio, e legatelo in fasci per bruciarlo e radunate poi il grano nel mio granaio » [Ev. V Dom. Epif.] . — E in tutte le Epistole di questo stesso tempo dopo l’Epifania che chiude il ciclo di Natale, San Paolo insisterà sul grande precetto dell’amore verso il prossimo. « Soprattutto, abbiate la carità, che è il vincolo della perfezione: e la pace di Cristo regni nei vostri cuori, nella quale siete uniti per formare un solo corpo. E tutto quello che farete in parole ed in opere, fatelo tutto nel nome del Signore Gesù Cristo, rendendo grazie a Dio per Gesù Cristo nostro Signore » [Ep. V Dom. Epif.]. Si comprende allora il compito dell’Avvento. Questo tempo ci prepara a ricevere, con le disposizioni necessarie, Gesù nel suo primo avvento, perché le feste di Natale sono per la Chiesa l’anniversario ufficiale della venuta del Salvatore; ed Egli ci prepara perciò ad essere nel numero dei benedetti dal Padre Suo quando verrà la seconda volta. La liturgia di questo tempo ci mostra dunque insieme le due venute affinché, noi guardiamo con la stessa confidenza alla nascita del Fanciullo del Presepio che nascerà sempre di più in noi per la grazia a Natale, e alla venuta del nostro Sovrano Giudice che ci introdurrà nel suo regno, e ci separerà dai malvagi, « mettendo tra loro e noi un abisso » [S. Luc. XVI, 26]. Al contrario dunque dei Giudei, i quali non vollero ammettere che la venuta di gloria del Messia, occupiamoci ora soltanto della sua venuta di misericordia. Lasciamo alle formule liturgiche tutta la loro ampiezza per non togliere nulla della loro efficacia, e diciamo come la Chiesa: Veni, Domine, vieni, o Signore, mio Salvatore e mio Giudice. Liberami quaggiù dai miei peccati e accoglimi un giorno nel tuo Cielo. Adveniat regnum tuum. Con tutti i Patriarchi ed i Profeti, io metto in Te, o Signore, ogni mia speranza: Per adventum tuum libera nos, Domine. Quanto è provvida la liturgia di questo tempo che ci prepara a celebrare il primo avvento di Gesù in preparazione del secondo, in modo che, godendo delle grazie del Redentore, non abbiamo a temere i castighi del Giudice. « Fa’, o Signore — domanda la Chiesa — che accogliendo con allegrezza il Figlio di Dio ora che viene a redimerci, possiamo rimirarlo con fiducia quando verrà per giudicarci » [Oraz. V. di Nat.]. L’Avvento ci mostra dunque che Gesù è il centro di tutta la storia del mondo. Cominciata da Adamo con l’attesa del suo avvento di grazia, finirà con l’attuazione della sua venuta di gloria. E la liturgia affida a tutti i Cristiani un ufficio in questo disegno divino; perché, se Gesù è venuto sulla terra rispondendo alla chiamata dei giusti dell’Antico Testamento, è rispondendo all’appello che di generazione in generazione fanno risonare le anime fedeli, ch’Egli viene sempre più in esse con la sua grazia nelle feste di Natale; ed è infine in risposta all’invito degli ultimi Cristiani, che saranno perseguitati dall’Anticristo, alla fine dei tempi, che egli affretterà la sua Venuta per liberarli. « Per gli eletti questi giorni saranno abbreviati » dice Gesù. Il compito della preghiera nell’attuale economia della Provvidenza, è cosi essenziale, che non può non cooperare a questo doppio avvento del grande Liberatore: « Veni, Domine, noli tardare». E come nella sua eternità Dio ha inteso, in qualche modo simultaneamente, tutte queste preghiere, la Chiesa preferisce nella, sua liturgia sopprimere quasi del tutto le nozioni del tempo e di distanza, e rendere in un certo senso contemporanee tutte le generazioni. Ed è cosi che le nostre aspirazioni al Cristo sono identiche a quelle dei Patriarchi e dei Profeti, perché il Breviario e il Messale mettono sulle nostre labbra le stesse parole da loro un tempo pronunciate. Così, nel corso dei secoli, non è che un solo grido di fede, di speranza e d’amore che si eleva verso Dio e il Suo Figlio divino. Partecipiamo dunque alle aspirazioni entusiastiche e alle ardenti suppliche di Isaia, di Giovanni Battista e della benedetta Vergine Maria, queste tre figure che riassumono così perfettamente tutto lo Spirito del Tempo dell’Avvento, ed attendiamo sinceramente, amorosamente, impazientemente Gesù nel suo doppio Avvento: « Venite, adoriamo il Re che viene ». – Le iniziali delle Antifone Maggiori dell’Avvento lette in senso inverso, offrono questa frase: Ero Cras, cioè: io sarò domani. Ciò significa che la preparazione alla doppia venuta di Gesù è tanto più necessaria in quanto l’una e l’altra sono vicine. La prima è Natale che ci ricorda la sua venuta passata; la seconda è il momento della nostra morte che ci annunzia la sua venuta futura.

E — O Emmanuel veni!

R — O Rex veni!

O — O Oriens veni!

C — O Clavis veni!

R — O Radix veni!

A — O Adonai veni!

S — O Sapientia veni!

II. – Commento Storico.

Le predizioni dei Profeti si erano verificate: il retaggio Dio era passato nelle mani dei Romani, lo scettro era stato tolto alla casa di Giuda (2° resp. IV Dom.). Il Messia doveva venire, e il mondo, e soprattutto i Giudei, lo attendevano. Giovanni Battista, docile alla voce di Dio, lascia il deserto dove ha trascorso l’infanzia: viene nella regione del Giordano a Betania e dà un battesimo di penitenza per preparare e anime alla venuta del Cristo (Vangelo della IV Domenica dell’Avvento). Le sue virtù sono tali che si potrebbe credere Egli sia il Messia. Anche i Farisei gli mandano, da Gerusalemme, una deputazione di Sacerdoti e di leviti per interrogarlo. Egli risponde di essere colui, del quale Isaia ha predetto: « Io sono la voce che grida nel deserto: preparate la via del Signore » (Vangelo della III Dom. dell’Avvento). E vedendo Gesù che viene allora al Giordano per essere battezzato, dichiara che quegli è l’Agnello di Dio, il cui sangue cancellerà i peccati degli uomini. – Più tardi Giovanni Battista è gettato in prigione nella fortezza di Macheronte, a Oriente del Mar Morto, in Perea. Li conosce il numerosi miracoli di Gesù, e probabilmente la risurrezione del figlio della vedova di Naim che Egli ha operato in Galilea nel secondo anno del suo ministero pubblico; Giovanni gli manda allora dalla sua prigione due discepoli, perché il Cristo possa manifestare a tutti la sua missione: «Sei tu quello che deve venire?» (Vang. della II Dom. dell’Avvento). E Gesù risponde con la profezia di Isaia che diceva del Messia: « Dio verrà Egli stesso e vi salverà. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno le orecchie dei sordi; lo zoppo salterà come un cervo, e sarà sciolta la lingua dei muti » [Isai. XXXV, 4-6]. Questi miracoli il Figlio di Maria li fa, Egli è dunque il Messia. In quanto a Giovanni, continua il Maestro, è di Lui che Isaia ha cosi scritto: « Ecco che Io mando avanti a te il mio Angelo per precederti e prepararti la via ». Egli è il precursore di Gesù, « egli viene per rendere testimonianza alla luce ». Questa testimonianza egli la rese ai Giudei; ed egli ce la rende ogni anno per mezzo dei Vangeli, che si leggono durante l’Avvento, e ogni giorno nell’ultimo Vangelo e nell’« Ecce Agnus Dei » della Messa. Un tempo le domeniche dell’Avvento si succedevano nell’ordine inverso a quello attuale. La Domenica più vicina a Natale era la prima, la domenica precedente la seconda, ecc.. È da notare che i Vangeli che parlano di S. Giovanni si succedevano in tal caso nell’ordine storico. – Il Vangelo della IX Domenica dopo la Pentecoste, ci riferisce un’altra profezia che fece Gesù. Il giorno della sua entrata trionfale in Gerusalemme, trovandosi coi suoi discepoli sul monte degli Ulivi, e, vedendo la città che si stendeva davanti ai suoi occhi, annunciò che Gerusalemme sarebbe stata distrutta, perché non l’aveva accolto. E due giorni dopo parlò della sua seconda venuta alla fine del mondo. Allora gli elementi saranno sconvolti ed il Figlio dell’Uomo verrà con grande potenza e grande maestà. « Alzate allora il capo perché la vostra redenzione è vicina… quando vedrete tutto questo, sappiate che il regno di Dio è vicino ». Il cielo e la terra passeranno, ma le parole del Maestro non passeranno; avranno dunque la loro realizzazione.

III. – Commento Liturgico.

La data iniziale dell’anno liturgico era nel V secolo la festa dell’Annunciazione [Lettera di Papa Gelasio I (492-496)]. Celebrata prima in Dicembre, questa Solennità fu trasferita in Marzo. Nel X secolo si comincia l’anno alla I Domenica di Avvento, cioè qualche settimana prima di Natale. Dal 380, un Concilio di Saragozza ordina una preparazione di otto giorni alla festa di Natale. Al Concilio di Tours nel 563 si fa menzione dell’Avvento come di un periodo liturgico con suoi riti e formule proprie. Nella liturgia nestoriana (v°. secolo) l’Avvento aveva una durata di quattro domeniche, chiamate Domeniche dell’Annunciazione, e nelle liturgie ambrosiane e mozarabica, se ne contavano sei. Nella liturgia Romana l’Avvento durò prima cinque settimane, attualmente quattro. La prima domenica dell’Avvento è quella che è più vicina alla festa di S. Andrea, celebrata il 30 novembre. – La gioia di veder presto venire il Cristo è una delle note dominanti nell’Avvento. Contenuta prima, vi erompe poi liberamente fino a divenire esultanza a Natale. L’idea della purificazione delle anime, intimamente legata a quella del ritorno di Cristo, si trova così in questo tempo in ogni pagina del Breviario e del Messale. Gli Inni, la scelta dei Salmi, la predicazione dei Profeti, quella del Precursore, le Collette delle quattro domeniche, il versetto così spesso ripetuto: Rectas facile semitas eius, rendete diritti i suoi sentieri, parlano delle necessità della preparazione delle nostre anime alla venuta del Salvatore nel suo duplice avvento. « Fate penitenza, dice Gesù, perché il regno dei cieli è vicino» (Ant. Bened. Lunedi IV Settimana). Nel Medio evo si prescrisse il digiuno durante l’Avvento, che si chiamava « La quaresima di Natale ». Si velarono anche le statue come al tempo della Passione. Ora si impiegano ancora, come in quaresima, gli ornamenti violetti e si sostituisce il Benedicamus Dominoall’Ite missa est. Durante l’Avvento si canta l’Antifona Alma Redemptoriscol suo versetto Angelus Domini, e la seconda orazione della Messa è De beata, per la parte che Maria ebbe nell’Incarnazione, che è il mistero che occupa in questo momento la Santa Chiesa. Non si canta più il Gloria in Excelsis, perchè è il canto degli angeli al presepe e bisogna, in questo nuovo anno ecclesiastico, ora incominciato, che solo a Natale si faccia sentire per la prima volta.