SANTO NATALE (2020): MESSA DEL GIORNO

MESSA DI NATALE (2020) TERZA MESSA DURANTE IL GIORNO.

Staz. a S. Maria Maggiore.

« In principio era il Verbo, e il Verbo era con Dio. Tutte le cose sono state fatte da Lui » (Vang.). «Tu, o Signore, in principio hai creato la terra: i cieli sono opera delle tue mani » (Ep.). « Tuoi sono i cieli e la terra, sei tu che hai creato l’Universo e tutto ciò che contiene » (Off.). L’uomo, che è stato creato da Dio, da Lui sarà ristabilito nella primitiva dignità. Cosi « il Verbo si fece carne ed abitò in noi” (Vang.). «Iddio, in questi ultimi tempi (cioè nei giorni messianici) ci ha parlato nella persona del Figlio, che è lo splendore della sua gloria » (Ep.). Così la Chiesa canta oggi che una gran luce è discesa sulla terra (Allel.). Questa luce ha brillato nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta, perché il Verbo è venuto nel mondo, ma i suoi non l’hanno ricevuto. A quelli invece che l’hanno accolto ha dato il potere di divenire figli di Dio (Vang.). « È infatti per liberarci dalla schiavitù del peccato, per purificarci dalle nostre colpe (Secr.) e per farci nascere alla vita divina (Poste.) che l’Unigenito di Dio è nato secondo la carne » (Ep.). Più di settecento anni prima di questa nascita, Isaia esaltava già la potenza dell’Uomo-Dio. «Un bambino ci è nato, egli porterà i segni della sua regalità. E i prodigi ch’Egli operò sono raffigurati in quelli che Dio fece quando liberò gli Ebrei dalla schiavitù d’Egitto (Vers. Dell’Intr.). Cosi, oggi come allora, «tutti i confini della terra sono testimoni della salvezza che Dio operò per il suo popolo » (Grad. Comm.). – La salvezza che Cristo ha realizzato nel suo primo avvento, la compirà alla fine dei tempi. « Dopo che Gesù ebbe operato la purificazione dai peccati, spiega l’Apostolo Paolo, sali in Cielo, dove è assiso alla destra della Maestà divina » (Ep.). La sua umanità glorificata partecipa dunque del trono dell’Eterno: « Il tuo trono, o Dio, è nei secoli dei secoli: lo scettro del tuo regno è uno scettro di giustizia » (Ep.). « La giustizia e l’equità sono le basi del tuo trono » (Offerì.). « E un giorno, dice S. Luca, il Figlio dell’Uomo verrà nella sua gloria e in quella del Padre e degli Angeli suoi, per rendere a ciascuno secondo le proprie opere ». Quando Dio manderà di nuovo (cioè alla fine del mondo) il suo Primogenito sulla terra dirà: « tutti gli Angeli lo adorino » (Ep.). E ci sarà allora una trasformazione di tutte le creature, perché il Figlio di Dio, che non muta, rinnoverà le creature come si fa di un vestito vecchio (Ep.). E l’Apostolo in una settima citazione delle Sacre Scritture, che segue quelle che troviamo oggi nell’Epistola, aggiunge che « Iddio farà allora dei nemici di Cristo uno sgabello ai suoi piedi ». Sarà il trionfo finale del Verbo incarnato che punirà, nella sua seconda venuta, quelli che non l’avranno accolto nella prima; mentre farà partecipi della sua immortalità quelli che saranno nati da Dio, avendo questi accolto con fede e con amore il Verbo incarnato, come lo hanno accolto i Re Magi, venuti da lontano per adorarlo (Vangelo dell’Epifania, letto come ultimo Vang.). Ed essendo Gesù presente anche nell’Eucarestia, cosi come lo era a Betlemme, adoriamolo sull’Altare, vera mangiatoia, dove si trovò il Bambino Gesù, perché in questo tempo di Natale la liturgia grazie al Messale, ci rappresenta l’Ostia nel quadro di Betlemme. È nella gran Chiesa della Vergine, che a Roma rappresenta Betlemme, che si celebra la Messa del giorno di Natale, come vi si è celebrata quella di mezzanotte.

Incipit

In nómine Patris, ☩︎ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Isa IX: 6
Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus.

[Ci è nato un Bambino e ci è stato dato un Figlio, il cui impero poggia sugli òmeri suoi: il suo nome sarà Àngelo del buon consiglio.]

Ps XCVII:1
Cantáte Dómino cánticum novum, quia mirabília fecit.

[Cantate al Signore un càntico nuovo: poiché ha fatto cose mirabili.]

Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus.

[Ci è nato un Bambino e ci è stato dato un Figlio, il cui impero poggia sugli òmeri suoi: il suo nome sarà Angelo del buon consiglio.]

Oratio

Orémus.
Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut nos Unigéniti tui nova per carnem Natívitas líberet; quos sub peccáti jugo vetústa sérvitus tenet.

[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che la nuova nascita secondo la carne del tuo Unigenito, liberi noi, che l’antica schiavitù tiene sotto il gioco del peccato.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Hebraeos.
Hebr 1: 1-12
Multifáriam, multísque modis olim Deus loquens pátribus in Prophétis: novíssime diébus istis locútus est nobis in Fílio, quem constítuit herédem universórum, per quem fecit et saecula: qui cum sit splendor glóriæ, et figúra substántia? ejus, portánsque ómnia verbo virtútis suæ, purgatiónem peccatórum fáciens, sedet ad déxteram majestátis in excélsis: tanto mélior Angelis efféctus, quanto differéntius præ illis nomen hereditávit. Cui enim dixit aliquándo Angelórum: Fílius meus es tu, ego hódie génui te? Et rursum: Ego ero illi in patrem, et ipse erit mihi in fílium? Et cum íterum introdúcit Primogénitum in orbem terræ, dicit: Et adórent eum omnes Angeli Dei. Et ad Angelos quidem dicit: Qui facit Angelos suos spíritus, et minístros suos flammam ignis. Ad Fílium autem: Thronus tuus, Deus, in saeculum saeculi: virga æquitátis, virga regni tui. Dilexísti justítiam et odísti iniquitátem: proptérea unxit te Deus, Deus tuus, óleo exsultatiónis præ particípibus tuis. Et: Tu in princípio, Dómine, terram fundásti: et ópera mánuum tuárum sunt coeli. Ipsi períbunt, tu autem permanébis; et omnes ut vestiméntum veteráscent: et velut amíctum mutábis eos, et mutabúntur: tu autem idem ipse es, et anni tui non defícient.

OMELIA I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli. Tip. Artigianelli, Pavia, 1929 – imprim.]

[A più riprese e in molte maniere, parlò Dio un tempo ai padri per mezzo dei profeti: ultimamente, in questi giorni; ha parlato a noi per mezzo del suo Figliuolo, che egli ha costituito erede di tutte le cose, e per mezzo del quale ha anche creato il mondo. Questo Figlio che è lo splendore della gloria del Padre e la forma della sua sostanza, e che sostiene tutte le cose con la sua potente parola, compiuta che ebbe l’espiazione dei peccati; s’è posto a sedere alla destra della maestà nel più alto dei cieli, fatto di tanto superiore agli Angeli, di quanto più eccellente del loro è il nome da lui ereditato. Infatti, a quale degli Angeli disse mai. Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generata? E ancora: Io gli sarò Padre, ed Egli mi sarà Figlio? E quando introduce di nuovo il primogenito nel mondo dice: E l’adorino tutti gli Angeli di Dio. Agli Angeli, poi, dice: Colui che fa dei suoi Angeli i venti, e dei suoi ministri guizzi di fuoco. Al Figlio, invece dice: Il tuo trono, o Dio sta in eterno: lo scettro del tuo regno è scettro di rettitudine. Hai amato la giustizia, e hai odiato l’iniquità; perciò, o Dio, il tuo Dio ti ha unto con olio di allegrezza a preferenza dei tuoi compagni. E tu in principio, o Signore, hai creato la terra, e i cieli sono opera delle tue mani. Essi passeranno, ma tu rimarrai, e tutti invecchieranno come un vestito, e tu li cambierai come un mantello, ed essi saranno cambiati. Ma tu sarai sempre quello, e i tuoi anni non finiranno mai.”].

S. Paolo era venuto a conoscenza delle persecuzioni che subivano i Cristiani palestinesi, convertiti dal giudaismo, e non gli sfuggiva i l pericolo che correvano di abbandonare la Religione cristiana per far ritorno a quella ebraica. A confortarli nella loro tribolazione, e a confermarli nella religione abbracciata manda loro dall’Italia una lunga lettera. In essa è dimostrata la grande superiorità del Nuovo Testamento su l’antico, e se ne deducono pratiche esortazioni. Il principio di questa lettera forma l’Epistola di quest’oggi. — Premesso che Dio ci ha parlato, un tempo, per mezzo dei profeti, in molti e vari modi, e, ora, per mezzo del proprio Figlio, prova, con diversi argomenti che il Figlio di Dio è molto superiore agli Angeli. Guidati dagli insegnamenti dell’Apostolo, portiamoci davanti alla culla di Gesù a venerare Colui che è:

1. La luce fra le tenebre,

2. Il Salvatore del mondo,

3. Il dispensatore delle grazie.

1.

Quando nasce il figlio di un re si fa festa in tutto il regno. Il giorno della sua nascita è considerato un giorno di letizia. La nascita di Gesù Cristo si festeggia in tutto il mondo: il giorno di questa nascita è il giorno del gaudio universale. Tutti vi prendono parte: adulti e piccini, fortunati e infelici. E perché tanto gaudio, da 19secoli, si rinnova di anno in anno davanti alla culla di Gesù? Chi è quel bambino che vagisce nella mangiatoia, che non balbetta una parola? Egli è l’interprete della volontà di Dio, egli è colui che rivela pienamente le verità che riguardano l’Altissimo. Nell’Antico Testamento erano state fatte al popolo ebreo divine rivelazioni: e questo tesoro delle divine rivelazioni rendeva quel popolo grandemente superiore a tutti gli altri popoli. Con l a nascita di Gesù Cristo comincia una nuova rivelazione. Udiamo S. Paolo:

A più riprese e in molte maniere parlò Dio un tempo ai padri per mezzo dei profeti: ultimamente, in questi giorni, parlò a noi per mezzo del suo Figliuolo. Fin dal tempo deiprimi patriarchi Dio manifesta i suoi oracoli a uomini, che si è scelti come strumenti per manifestare la sua volontà. Non tutto è rivelato ai profeti, né a tutti è rivelata la stessa cosa. Una cosa è rivelata ai nostri progenitori, altra a Noè, altra ad Abramo. A Isaia è rivelato il parto della Vergine e la passione di Cristo. A Daniele il tempo della nascita del Messia; a Michea il luogo. La rivelazione è fatta come a frammenti, a più riprese, in modo che s’accresce col succedersi dei tempi.Orbene, il fanciullo che noi contempliamo nella culla di Betlemme, è strumento di rivelazione divina molto più completa di quella fatta per mezzo dei profeti, attraverso tanto volgere di secoli. Quel Bambino ci istruirà non solamente intorno a qualche verità, ma intorno a tutte le verità. Non ci istruirà in modo confuso, ma chiaro. Quel Bambino è il riflesso della gloria di Dio e l’impronta della sua sostanza; è il Verbo fatto carne. La dottrina che Egli insegna l’ha attinta nel seno del Padre. «Tutto quello che intesi dal Padre — dirà un giorno agliApostoli — l’ho fatto sapere a voi» (Giov. XV, 15). E la sua rivelazione non è riservata ai soli Ebrei: è fatta per tutti i popoli della terra. Questo profeta di tutti i tempi e ditutte le verità è anche il profeta di tutte le genti». « È la luce che splende fra le tenebre» (Giov. I, 5) dovunque esse si stendano. La luce che questo Bambino è venuto a portare porterà un nuovo ordine, che andrà estendendosi a tutto il mondo.

2.

Il Fanciullo che contempliamo nella culla è colui che si porrà, compiuta  l’espiazione dei peccati, a sedere alla destra della maestà nel più alto dei cieli.

Sofonia aveva predetto:« In quel giorno si dirà in Gerusalemme: … Il Signore, il Dio tuo forte sta in mezzo a te » (Sof. III, 16-17). Quel giorno è venuto. Il Fanciullo che vagisce è il Dio forte venuto a salvarci, espiando per noi i peccati. Attorno a lui l’occhio umano non scorge nulla che indichi chi strapperà i popoli al potere dei nemici. Dalle pareti tra cui vagisce non pendono i ritratti di antenati guerrieri. Alla soglia non vegliano soldati armati. Le sue mani non stringono la spada. Egli è avvolto nelle fasce, debole come tutti i fanciulli appena nati. Crescerà non in una scuola di guerra, ma in una bottega di falegname. Un giorno si assocerà dei discepoli, che non avranno mai combinato piani di battaglia, ma unicamente tese le reti nel lago di Genesaret, E se un giorno, uno di loro, in un momento di zelo, sfodererà la spada per difendere il Maestro; questi lo richiamerà prontamente: «Rimetti la spada al posto, perché tutti coloro che si serviranno della spada, periranno di spada» (Matth. XXVI, 52). – Gesù, come predisse l’Angelo a S. Giuseppe, «salverà il popolo dai suoi peccati» (Matth. I, 21). ma non per mezzo di eserciti. Egli combatterà non sterminando i nemici col ferro e col fuoco, ma consegnando se stesso alla morte come mite agnello. «E l’Agnello li vincerà, perché Egli è il Signore dei Signori e il R e dei Re» (Apoc. XVII, 14). Questo Bambino nella natura umana che ha assunto ha deposto la maestà divina, ma non il potere» (S. Zenone, L. 2 Tract. 9, 1). – I tiranni sorgono e scompaiono. I regni da loro fondati si dilatano, poi vanno restringendosi, e poi non sono che ricordi. Ma il tiranno, contro cui prende a lottare Gesù Cristo, regna da secoli. Ha posto il suo giogo sul primo uomo, e continua a porlo sopra i suoi discendenti. Il suo regno, che è il regno del peccato, si estende a tutto il mondo. Non c’è nazione, non c’è individuo che se ne possa sottrarre. « In vero tutti hanno peccato, e sono privi della gloria di Dio » (Rom. III, 23).Gesù Cristo sarà il liberatore di tutti. – Quel Bambino, è l’innocente, è il segregato dai peccatori. Egli è sfuggito al dominio di satana, e sulla croce lo infrangerà completamente. Da Adamo fino a Gesù Cristo ha dominato il peccato. Con la venuta di Gesù Cristo si inizia il dominio della grazia. L’impero di satana andrà perdendo terreno ogni giorno. I tempi dedicati agli idoli cadranno a mano a mano, e al loro posto sorgeranno chiese, in cui si innalzeranno preghiere al vero Dio, e a Lui si faranno sacrifici accetti, l’uomo è ora destinato alla morte eterna, e Gesù gli aprirà le porte della vita beata. Egli salirà al cielo a ricevere il premio della sua vittoria, e dietro di Lui saranno continuamente i suoi seguaci. Come aveva ragione l’Angelo di dire ai pastori: «Vi reco una buona novella di grande allegrezza per tutto il popolo. Oggi nella città di Davide vi è nato un Salvatore che è il Cristo Signore» (Luc. II, 10-11).

3.

In principio hai creato la terra e i cieli sono opera delle tue mani.

È la preghiera che il popolo d’Israele, schiavo in Babilonia, rivolge a Dio, perché lo liberi, e faccia risorgere Gerusalemme. Egli può farlo: è onnipotente (Salm. CI, 26). Lo stesso possiam dire Con S. Paolo del fanciullo di Betlemme. Egli è padrone del cielo e della terra: l’universo e quanto vi si contiene è suo. Egli può ricolmarci di tutti i beni. Non sconfortiamoci se non lo vediamo in una culla dorata, se non è difeso da cortine di seta, se il suolo della sua abitazione non è coperto di ricchi tappeti. « La povertà di Cristo è più ricca che tutta la roba, che tutti i tesori del mondo » (S. Bernardo. In Vig. Nat. Serm. 4, 6). Questo povero Fanciullo un giorno darà abbondanza di pane alle turbe affamate. Darà il camminare agli storpi, l’udito ai sordi, la vista ai ciechi, la loquela ai muti, la liberazione agli indemoniati. – Padrone della vita e della morte, ascolterà la preghiera delle sorelle di Lazzaro, e richiamerà dalla tomba, ove è già in preda alla corruzione, il loro fratello; scuoterà dal sonno della morte la figlia di Giairo, fermerà la bara che porta alla sepoltura il figlio unico della vedova di Naim; e, ridonata la vita al giovinetto, lo consegnerà alla madre. – Chi giace privo di tutto nella mangiatoia è il dispensatore dei regni. Un giorno dirà agli eletti : « Venite, o benedetti dal Padre mio; prendete il regno che vi è stato preparato dalla fondazione del mondo » (Matth. XXV, 34).Egli richiamerà i peccatori dalla morte alla vita spirituale. La peccatrice, il paralitico, ascolteranno dalla sua bocca la consolante parola: « Va, ti sono rimessi i tuoi peccati » (Luc. V, 20; VII, 48). S. Giovanni racchiude tutto in una frase: E della pienezza di Lui tutti abbiamo ricevuto, grazia su grazia » (Giov. I, 16). E intanto gli uomini cominciano a godere il dono della pace. Poco lontano dalla sua culla uno stuolo dell’esercito celeste canta: « Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà» (Luc. II, 14). La pace tra Dio e l’uomo è stata inaugurata con la nascita del Redentore. Il Bambino di Betlemme è la vittima destinata a placare la divina giustizia offesa. La culla in cui piange è come un altare su cui comincia per noi il sacrificio che deve riconciliarci al Padre. Su questo altare versa lagrime; sulla croce verserà sangue, e sarà compiuto l’ultimo atto del sacrificio. L’opera è cominciata con l’offerta di pace; non respingiamola. È un dono che non troveremo altrove, perché, nessuno può dare quel che non ha. Togliamo prontamente tutto ciò ch’è d’ostacolo a questa pace, e godremo pienamente di questo giorno. Oggi dev’essere giorno di letizia. « Non è lecito dar luogo alla tristezza quando è il giorno natalizio della vita» (S. Leone M. Serm. 21, 1). Non potremo sottrarci alla tristezza se avremo il peccato su l’anima: via, dunque, il peccato. E se vogliamo gustare appieno la letizia, procuriamo di stringere al nostro cuore, sotto le specie eucaristiche, quel Bambino che contempliamo nella culla di Betlemme. – È commovente la storia del piccolo Giorgio, nipote del celebre ebreo convertito, Ermanno Cohen. Per obbligarlo ad abiurare la religione cattolica, che il fanciullo aveva abbracciato con la madre, il padre, ebreo, lo separa da questa, e lo conduce in un paese protestante, lontano quattrocentocinquanta leghe da lei. Si era fatto Cristiano per poter ricevere Gesù nella S. Comunione, e ora ne è severamente impedito. Era questo il suo maggior tormento. All’avvicinarsi di Natale può far pervenire allo zio i suoi lamenti: « Siamo alla vigilia di Natale, ed all’approssimarsi di questa solennità la sorveglianza si raddoppia per impedirmi di ricevere il mio Dio. Ahimè! Dovrò dunque passare queste belle feste nel digiuno e privo del pane di vita? Prego il Santo Bambino Gesù che il mio digiuno presto finisca ». Il non rimaner digiuno del pane di vita sarà appunto il modo migliore di assaporare tutta intera la gioia che ci reca la nascita di Gesù.

Graduale

Ps XCVII: 3; 2
Vidérunt omnes fines terræ salutare Dei nostri: jubiláte Deo, omnis terra.

[Tutti i confini della terra videro la salvezza del nostro Dio: tutta la terra acclàmi a Dio].

V. Notum fecit Dominus salutare suum: ante conspéctum géntium revelávit justitiam suam. Allelúja, allelúja.

[Il Signore ci fece conoscere la sua salvezza: agli occhi delle genti rivelò la sua giustizia. Allelúia, allelúia.]

V. Dies sanctificátus illúxit nobis: veníte, gentes, et adoráte Dóminum: quia hódie descéndit lux magna super terram. Allelúja.

[Un giorno sacro ci ha illuminati: venite, genti, e adorate il Signore: perché oggi discende gran luce sopra la terra. Allelúia.]

Evangelium

Joann 1:1-14
In princípio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Hoc erat in princípio apud Deum. Omnia per ipsum facta sunt: et sine ipso factum est nihil, quod factum est: in ipso vita erat, et vita erat lux hóminum: et lux in ténebris lucet, et ténebræ eam non comprehendérunt. Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Joánnes. Hic venit in testimónium, ut testimónium perhibéret de lúmine, ut omnes créderent per illum. Non erat ille lux, sed ut testimónium perhibéret de lúmine. Erat lux vera, quæ illúminat omnem hóminem veniéntem in hunc mundum. In mundo erat, et mundus per ipsum factus est, et mundus eum non cognóvit. In própria venit, et sui eum non recepérunt. Quotquot autem recepérunt eum, dedit eis potestátem fílios Dei fíeri, his, qui credunt in nómine ejus: qui non ex sanguínibus, neque ex voluntáte carnis, neque ex voluntáte viri, sed ex Deo nati sunt. (Hic genuflectitur) Et Verbum caro factum est, et habitávit in nobis: et vídimus glóriam ejus, glóriam quasi Unigéniti a Patre, plenum grátiæ et veritátis.

[In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che è fatto. In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini. E la luce splende tra le tenebre e le tenebre non l’hanno accolta. Ci fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Questi venne come testimonio, per rendere testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma era per rendere testimonianza alla luce. Era la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di Lui, e il mondo non lo conobbe. Venne nella sua casa, e i suoi non lo accolsero. Ma a quanti lo accolsero diede il potere di diventare figli di Dio: a loro che credono nel suo nome: i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono nati. Genuflettiamo E il Verbo si fece carne Ci alziamo, e abitò tra noi: e noi abbiamo visto la sua gloria, gloria come di Unigénito dal Padre, pieno di grazia e di verità.]

OMELIA II

[Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, curato d’Ars – Vol. I, ed. Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]

PER IL GIORNO DI NATALE

(Primo discorso)

SUL MISTERO

Annunciare ad un moribondo il quale è estremamente affezionato alla vita, che un medico valente può trarlo dalle porte della morte e restituirgli una sanità perfetta, si potrebbe recargli una più felice novella? Ma infinitamente più lieta è quella che l’angelo reca oggi a tutti gli uomini nella persona dei pastori! Si, miei Fratelli, il demonio col peccato, aveva inferto le ferite più crudeli e più letali alle nostre povere anime. Vi aveva piantato le tre passioni le più funeste, dalle quali derivano tutte le altre, che sono l’orgoglio, l’avarizia, la. sensualità. Essendo divenuti gli schiavi di queste vergognose passioni, noi eravamo tutti come altrettanti infermi pei quali non eravi speranza di sorta e non potevamo aspettarci che la morte eterna, se Gesù Cristo nostro vero medico non fòsse venuto in nostro soccorso. Ma no, commosso della nostra sventura, lasciò il seno del Padre suo, discese nel mondo nell’umiliazione, nella povertà e nei patimenti, affin di distruggere l’opera del demonio e applicare dei rimedi efficaci alle crudeli ferite che ci aveva recate questo antico serpente. Sì, egli viene, questo tenero Salvatore, per guarirci da tutti questi mali spirituali, per meritarci la grazia di condurre una vita umile, povera e mortificata; e, per meglio muoverci a far ciò, Egli medesimo ce ne porge l’esempio. È quello che noi vediamo in un modo ammirabile nella sua nascita. Noi vediamo che egli ci prepara 1° colle sue umiliazioni e colla obbedienza sua un rimedio al nostro orgoglio; 2° colla sua estrema povertà, un rimedio al nostro amore per i beni di questo mondo, e 3° col suo stato di patimento e di mortificazione, un rimedio al nostro amore per i piaceri dei sensi. Con questi rimedi ci restituisce la vita spirituale che il peccato di Adamo ci aveva rapita, diciamo ancor meglio, Egli viene ad aprirci la porta del cielo che il peccato ci aveva chiusa. Dopo tutto ciò, io vi lascio pensare quale debba essere la gioia e la riconoscenza d’un Cristiano alla vista di tanti benefizi! Ne occorrono altri per farci amare questo tenero e dolce Gesù, il quale viene per prendere sopra di sé tutti i nostri peccati, e che soddisfa alla giustizia del Padre suo per noi tutti? 0 mio Dio! Un Cristiano può pensare a tutto ciò senza venir meno d’amore e di riconoscenza?

I. — Io dico adunque, che la prima piaga che il peccato ha recato nel nostro cuore è l’orgoglio, questa passione così pericolosa, la quale consiste in un fondo d’amore e di stima di noi medesimi, e fa: 1° che noi non amiamo di dipendere da alcuno, né di obbedire; 2° che noi nulla temiamo tanto quanto di vederci umiliati agli occhi degli uomini; 3° che noi ricerchiamo tutto ciò che può farci emergere nella stima degli uomini. Ora, ecco quello che Gesù Cristo viene a combattere nella sua nascita colla umiltà più profonda.  – Non solamente Egli vuol dipendere dal Padre suo e obbedirgli in tutto, ma vuole ancora obbedire agli uomini e dipendere in qualche modo dalla loro volontà. Infatti, l’imperatore Augusto, per vanità, per capriccio o per interesse, ordina che si faccia il censimento di tutti i suoi sudditi, e che ciascun suddito si rechi a farsi registrare nel luogo nel quale sia nato. Noi vediamo che appena questo ordine è stato pubblicato, la Ss. Vergine e S. Giuseppe si mettono in viaggio, e Gesù Cristo benché nel seno della madre sua, obbedisca prontamente e con conoscenza a questo ordine. Ditemi, possiamo noi trovare un esempio di umiltà più adatto a farci praticare questa virtù con amore e con premura? E che! Un Dio obbedisce alle sue creature e vuole dipendere da esse, e noi, miserabili peccatori, che dovremmo, alla vista delle nostre miserie spirituali, nasconderci nella polvere, potremmo noi cercare mille pretesti per dispensarci dall’obbedire ai comandamenti di Dio e della sua Chiesa, ai nostri superiori, i quali in ciò tengono il luogo di Dio? Quale onta per noi se confrontiamo la nostra condotta con quella di Gesù Cristo! Un’altra lezione di umiltà che Gesù Cristo ci porge, è di aver voluto subire il rifiuto del mondo. Dopo un lungo viaggio, Maria e Giuseppe arrivarono a Betlemme; con quale onore non dovevasi ricevere Colui che si aspettava da quattromila anni! Ma come Egli veniva per guarirci del nostro orgoglio e per insegnarci l’umiltà, permette che tutti lo rifiutino e che nessuno voglia ricettarlo. Ecco dunque il padrone dell’universo, del cielo e della terra, disprezzato dagli uomini per i quali viene a sagrificare la propria vita per salvarli! E necessario adunque che questo tenero Salvatore sia ridotto di prendere a prestito il luogo degli animali. O mio Signore! quale umiltà e quale annientamento per un Dio! Certamente, nulla ci è più sensibile che gli affronti, i disprezzi, ed i rifiuti; che se noi vogliamo considerare quelli che furono fatti provare a Gesù Cristo, per quanto grandi siano i nostri, potremmo noi mai levarne lamento? Quale felicità per noi di avere dinanzi agli occhi un così bel modello che possiamo riprodurre senza timore di ingannarci! Io dico che Gesù Cristo, lontano dal cercare ciò che poteva farlo emergere nella stima degli uomini, all’opposto, vuol nascere nell’oscurità e nell’oblio; Egli vuole che poveri pastori siano istruiti segretamente della sua nascita da un angelo, affinché le prime adorazioni che riceverebbe provenissero dai più umili degli uomini. Lascia nel loro riposo e nella loro abbondanza i grandi ed i fortunati del secolo, per mandare i suoi ambasciatori ai poveri, onde siano consolati nel loro stato vedendo in una mangiatoia, adagiato sopra una manata di paglia, il loro Dio e il loro Salvatore. I ricchi non sono chiamati che alcun tempo dopo per farci comprendere che ordinariamente le ricchezze, gli agi, ci allontanano dal buon Dio. Possiamo noi, dopo un tale esempio, avere dell’ambizione, conservare un cuore gonfio d’orgoglio, ripieno di vanità? Possiamo ancora cercare la stima e le lodi degli uomini, gettando gli occhi sopra questa mangiatoia? Non vi pare di udire questo tenero ed amabile Gesù dire a tutti: “Imparate da me quanto sono dolce ed umile di cuore? „ – Dopo ciò, amiamo di vivere nella dimenticanza e nel disprezzo del mondo; non temiamo tanto, scrive S. Agostino, quanto gli onori e le ricchezze di questo mondo, perché se fosse permesso di amarli, Colui che si è fatto uomo per l’amore di noi, Egli medesimo li avrebbe amati. Se Egli fugge e disprezza tutto ciò, noi dobbiamo fare lo stesso, amare quello che ha amato e disprezzare quello che ha disprezzato; ecco l’insegnamento che Gesù Cristo ne porge venendo al mondo, ed ecco nell’atto stesso il rimedio che Egli applica alla nostra prima piaga, che è l’orgoglio. Ma ne abbiamo una seconda, la quale non è meno pericolosa: è l’avarizia.

II. — Noi diciamo che la seconda piaga che il peccato ha inferto nel cuore dell’uomo, è l’avarizia, con altre parole, un amore smodato delle ricchezze e dei beni di questo mondo. Ah! quanto questa passione mena strage nel mondo! S. Paolo ha ben ragione di dirci che essa è la sorgente di tutti i mali. Infatti, non è da questo malaugurato interesse che provengono le ingiustizie, le invidie, gli odi, gli spergiuri, i processi, le querele, le animosità e le durezze verso i poveri? Dopo ciò possiamo meravigliarci che Gesù Cristo, il quale non viene sopra la terra che per guarire le passioni degli uomini, voglia nascere nella più grande povertà e nella privazione di tutti gli agi anche di quelli che sembrano necessari alla vita degli uomini? Per questo noi vediamo che Egli comincia a scegliere una madre povera, e vuol essere creduto il figlio di un povero operaio, e, come i profeti avevano annunciato che nascerebbe dalla famiglia regale di Davide, così affin di conciliare questa nobile origine col suo grande amore per la povertà, permette che, nel tempo della sua nascita, questa illustre famiglia sia caduta nell’indigenza. Non è tutto. Maria e Giuseppe, benché poveri, avevano una piccola casa a Nazareth; era ancora troppo per Lui; Egli non vuol nascere in un luogo che possa chiamar suo; e per questo obbliga Maria, la sua santa Madre, a intraprendere con Giuseppe il viaggio di Betlemme nel tempo preciso nel quale doveva darlo in luce. Ma almeno in Betlemme, che era la patria del loro avo Davide, non troverà parenti per riceverlo in loro casa? No, dice il Vangelo, nessuno lo vuol ricevere; tutti lo rimandano col pretesto che è povero. Ditemi, dove si recherà questo tenero Salvatore, se nessuno vuol riceverlo per guarentirlo dalle ingiurie del tempo cattivo? Tuttavolta resta ancora uno spediente; entrare in una locanda. Infatti, Maria e Giuseppe si presentano. Ma Gesù, il quale aveva tutto preveduto, permise che il concorso fosse così grande, sicché essi non trovarono luogo. Oh! dove riposerà dunque il nostro amabile Salvatore? S. Giuseppe e la Ss. Vergine cercano da ogni parte; essi scorgono una vecchia casupola nella quale le bestie si ritiravano nel cattivo tempo. O cieli! meravigliate! un Dio in una stalla! Egli poteva scegliere un magnifico palazzo; ma colui che ama cotanto la povertà non lo farà. Una stalla sarà il suo palazzo, una mangiatoia la sua culla, un po’ di paglia comporrà il suo letto, miserabili pannolini saranno tutti i suoi ornamenti, e dei poveri pastori formeranno la sua corte. – Ditemi, poteva Egli insegnarci in modo più efficace, il disprezzo che dovremmo fare dei beni e delle ricchezze di questo mondo, e nell’atto stesso, la stima che dobbiamo avere per la povertà e per i poveri? Venite, miserabili, ci dice S. Bernardo, venite voi tutti che attaccate i vostri cuori ai beni di questo mondo, ascoltate quello che vi diranno in questa stalla, questi pastori e questi pannolini che involgono il vostro Salvatore! Ah! sventura a voi che amate i beni di questo mondo! Ah! quanto è difficile che i ricchi si salvino! — Perché, mi direte voi? — Perché? 1° perché  ordinariamente una persona che è ricca è piena d’orgoglio; è necessario che tutti si curvino dinanzi a lei; che tutte le volontà degli altri siano sottomesse alla sua; 2° perché le affezionano i nostri cuori alla vita presente per la qual cosa, noi vediamo ogni giorno che un ricco teme grandemente la morte; 3° perché le ricchezze rovinano l’amore di Dio, estinguono tutti i sentimenti di compassione verso i poveri, o, per dir meglio, le ricchezze sono uno strumento che mette in movimento tutte le altre passioni. Ah! se noi avessimo gli occhi dell’anima aperti, quanto temeremmo che il nostro cuore si affezionasse alle cose di questo mondo! Ah! se i poveri potessero comprendere quanto il loro stato li avvicina a Dio e loro dischiude il cielo, benedirebbero il buon Dio di averli collocati in uno stato che li avvicina al loro Salvatore! Ma se voi mi domandate, chi sono questi poveri che Gesù Cristo ama tanto? Sono quelli che soffrono la loro povertà in ispirito di penitenza, senza mormorare e senza lagnarsi.  Altrimenti, la loro povertà non servirebbe che a renderli più colpevoli dei ricchi.- Ma i ricchi, mi direte voi, che cosa devono per imitare un Dio così povero e così disprezzato? — Ecco: non affezionare il loro cuore ai beni che posseggono; consacrarli in buone opere per quanto il possono; ringraziare il buon Dio di aver loro concesso un mezzo per cancellare i loro peccati colle loro limosine; di non mai disprezzare coloro che sono poveri; all’opposto rispettarli per la grande rassomiglianza che hanno con Gesù Cristo. È dunque con questa grande povertà che Gesù Cristo ci insegna a combattere l’attaccamento che abbiamo per i beni di questo mondo: è con ciò che Egli ci guarisce della seconda piaga che il peccato ci ha recato. Ma questo tenero Salvatore vuol guarircene un’altra recata dal peccato, che è la sensualità.

III. — Questa passione consiste nell’amore smodato dei piaceri che si gustano coi sensi. Questa funesta passione prende nascimento dall’eccesso del bere e del mangiare, dall’amore eccessivo del riposo, degli agi e delle comodità della vita, dagli spettacoli, dalle assemblee profane, in una parola, da tutti i piaceri che noi possiamo godere coi sensi. Che cosa fa Gesù Cristo per guarirci da questa pericolosa malattia? Egli nasce fra i patimenti, nelle lagrime, nella mortificazione; Egli nasce nel cuor della notte, nella stagione più rigorosa dell’anno. Appena nato, è coricato sopra una brancata di paglia, in una stalla. O mio Dio! quale stato per un Dio! Quando il Padre eterno creò Adamo, lo collocò in un giardino di delizie; quando nasce il Figlio suo, lo colloca sopra una manata di paglia! O mio Dio! quale stato! Colui che abbellisce il cielo e la terra, che forma tutta la felicità degli Angeli e dei santi vuol nascere, vivere e morire nei patimenti. Può Egli dimostrare in un modo più forte il disprezzo che dobbiamo fare del nostro corpo, e come dobbiamo trattarlo duramente, per timore che non perda l’anima nostra? O mio Dio! quale contraddizione! un Dio soffre per noi, un Dio versa lagrime sopra i nostri peccati, e noi non vorremmo soffrir nulla, aver tutti i nostri agi! … – Ma le lagrime e i patimenti di questo divino Bambino ci muovono terribili minacce. “Sventura a voi, ci dice, che passate la vostra vita nel ridere, perché sorgerà un giorno nel quale verserete lagrime che mai avranno termine.„ — “Il regno dei cieli soffre violenza e non è che per coloro che se la fanno continuamente. „ Sì, se noi ci avviciniamo con fiducia alla culla di Gesù Cristo, se noi mescoliamo le nostre lagrime con quelle del nostro tenero Salvatore, nell’ora della morte, noi udremo queste dolci parole: “Beati color che hanno pianto, perché saranno consolati.” Ecco dunque questa terza piaga che Gesù Cristo vuol guarire venendo al mondo, che è la sensualità, vo’ dire quel malaugurato peccato d’impurità. Con quale ardore dobbiamo amare e ricercare tutto ciò che può procurarci o conservare una virtù che ci rende aggradevoli a Dio! Sì, prima della nascita di Gesù Cristo correva troppa distanza tra Dio e noi, perché potessimo osare di pregarlo. Ma, il Figlio di Dio, facendosi uomo, volle avvicinarci grandemente a Lui, e forzarci ad amarlo fino alla tenerezza. In qual modo vedendo un Dio in questo stato di bambino, potremmo negargli di amarlo con tutto il nostro cuore? Egli vuole egli medesimo essere il nostro Mediatore, è Lui che si incarica di domandare ogni cosa al Padre suo per noi; ci chiama fratelli suoi, figli suoi; poteva egli prendere dei nomi che ci inspirino una più grande fiducia? Accostiamoci adunque a lui con una grande confidenza tutte le volte che abbiamo peccato; egli medesimo domanderà il nostro perdono, e ci otterrà la sorte di perseverare. Ma per meritare questa grande e preziosa grazia, è necessario camminare sulle tracce del nostro modello; che a suo esempio noi amiamo la povertà, il disprezzo e la purità; che la nostra vita risponda alla grandezza della nostra qualità di figli e di fratelli di un Dio fatto uomo. No, noi non possiamo considerare la condotta dei Giudei senza essere compresi di meraviglia. Questo popolo lo aspettava da quattro mila anni, aveva fervorosamente pregato pel desiderio che aveva di riceverlo; e quando Egli viene, non trova alcuno per fornirgli un qualche ricovero; gli è necessario, benché sia onnipotente, benché sia Dio, prendere a prestito dagli animali un asilo. Tuttavia, io trovo nella condotta dei Giudei, benché colpevole sia, non un argomento di scusa per questo popolo, ma un motivo di condanna per la maggior parte dei Cristiani. Noi vediamo che i Giudei si erano formati del loro liberatore un’idea che non si accordava collo stato d’umiliazione nel quale apparve; sembravano non potersi persuadere che Egli fosse colui che doveva essere il loro liberatore; poiché S. Paolo ha lasciato scritto che “se i Giudei l’avessero conosciuto per Dio, non lo avrebbero mandato a morte „ (I. Cor. II, 8). Ecco una piccola scusa per i Giudei. Ma per noi quale scusa potremo recare della nostra freddezza e del nostro disprezzo per Gesù Cristo? Si, certamente, noi crediamo che Gesù Cristo è venuto sulla terra, che ha prodotto le prove più convincenti della sua divinità: ecco quello che forma l’oggetto della nostra solennità. Questo medesimo Dio vuol prendere, coll’effusione della sua grazia, una nascita spirituale nei nostri cuori: ecco i motivi della nostra fiducia. Noi ci gloriamo e abbiamo ragione di riconoscere Gesù Cristo per nostro Dio, per nostro Salvatore e per nostro modello: ecco il fondamento della nostra fede. Ma, ditemi, con tutto ciò, quale omaggio gli rendiamo noi? Qual cosa facciamo di più per Lui, come se non crediamo tutto ciò? Ditemi, la nostra condotta risponde alla nostra credenza? Consideriamo più attentamente e noi vedremo che siamo più colpevoli dei Giudei nel loro accecamento e nel loro induramento.

IV. — Dapprima, M. F., non parleremo di coloro i quali, dopo di aver perduto la fede, non la professano più esternamente; ma parliamo di coloro i quali credono tutto ciò che la Chiesa insegna, e che tuttavia nulla fanno di quanto la religione ci comanda. Facciamo alcune riflessioni particolari, opportune per il tempo nel quale viviamo. Noi rimproveriamo i Giudei di aver negato un asilo a Gesù Cristo, benché non lo conoscessero. Ora, abbiamo noi ben posto mente che noi gli rechiamo lo stesso affronto tutte le volte che trascuriamo di riceverlo nei nostri cuori colla santa comunione? Noi riprendiamo i Giudei di averlo appeso alla croce, benché non avesse loro procurato che del bene; ditemi, qual male ci ha recato, o più giustamente, qual bene non ci ha procurato? E noi non gli rechiamo lo stesso oltraggio, tutte le volte che abbiamo l’audacia di abbandonarci in preda del peccato? E i nostri peccati non sono ancora più penosi a questo buon cuore che non quello che i Giudei gli fecero soffrire? Noi non possiamo leggere senza essere compresi d’orrore tutte le persecuzioni che i Giudei gli fecero soffrire, benché credessero di fare una cosa accettevole a Dio. Ma non facciamo noi alla santità del Vangelo una guerra mille volte più crudele colle sregolatezze dei nostri costumi ? Ah! noi non apparteniamo al Cristianesimo che per una fede morta, e non sembra che noi non crediamo in Gesù Cristo che per oltraggiarlo maggiormente e per disonorarlo con una vita cosi miserabile agli occhi di Dio. Posto ciò, giudicate ciò che i Giudei devono pensare di noi, e con essi, tutti i nemici della nostra santa Religione. Quando essi esaminano i costumi della maggior parte dei Cristiani, essi ne trovano una quantità che vivono quasi non fossero mai stati Cristiani: lascio di essere più particolare per non dilungarmi lungamente. Io mi limito a due punti essenziali, che sono il culto esterno della nostra santa Religione, ed i doveri della carità cristiana. No, nulla dovrebbe essere per noi più umiliante e più amaro di quei rimproveri che i nemici della nostra Religione muovono contro di noi; perché tutto ciò tende ad assodare come la nostra condotta è in contraddizione colla nostra credenza. Voi vi gloriate, ci dicono, di possedere in corpo ed in anima la Persona di quel medesimo Gesù Cristo che è vissuto in altro tempo sopra la terra, e che voi adorate come vostro Dio e vostro Salvatore; voi credete che Egli discende sopra i vostri altari, che riposa nei vostri tabernacoli, e voi credete che la sua carne è veramente il vostro nutrimento e il suo sangue la vostra bevanda; ma se la vostra fede è tale, siete voi gli empi, perché  vi recate nelle vostre chiese con minor rispetto, ritenutezza e decenza, che non fareste recandovi nella casa di un uomo onesto per fargli visita. I pagani non avrebbero certamente permesso che si commettessero nei loro templi e in presenza dei loro idoli, mentre si offrivano sacrifizi, le immodestie che voi commettete alla presenza di Gesù Cristo nel momento nel quale voi dite che Egli discende sopra i vostri altari. Se veramente credeste quello che voi dite di credere, voi dovreste essere compresi d’un santo tremore. Ah! questi rimproveri sono pur troppo meritati. Che cosa pensare vedendo il modo col quale la maggior parte dei Cristiani si conducono nelle nostre chiese? Gli uni hanno lo spirito volto ai loro affari temporali, gli altri ai loro piaceri; questi dorme, si gira la testa, si sbadiglia, si squaderna il libro, si guarda se i santi uffici saranno quanto prima terminati. La presenza di Gesù Cristo è un martirio, mentre si passeranno le cinque o le sei ore nei salotti, in una bettola, alla caccia, senza che si trovi questo tempo troppo lungo; e vediamo che in questo tempo che si consacra al mondo ed ai piaceri suoi, non si pensa né a dormire, né a sbadigliare, né ad annoiarsi. È mai possibile che la presenza di Gesù Cristo sia così penosa per Cristiani i quali dovrebbero riporre tutta la loro felicità nel venire a tenere un momento di compagnia ad un cosi buon padre? Ditemi, che cosa deve pensare di noi Gesù Cristo medesimo, il quale non si è reso presente nei nostri tabernacoli che per amore per noi, e che vede che la sua santa presenza, che dovrebbe formare tutta la nostra felicità, ed essere il nostro paradiso in questo mondo, sembra essere un supplizio ed un martirio per noi? Non si ha ragion di credere che codesti Cristiani non saranno mai assunti in cielo, dove sarebbe necessario restare per il volgere di tutta l’eternità alla presenza di questo medesimo Salvatore? Il tempo non sarebbe soverchiamente lungo?… Ah! voi non conoscete la vostra felicità, quando siete così fortunati di venire a presentarvi davanti al Padre vostro che vi ama più che se medesimo, e che vi chiama ai piedi dei suoi altari, come altra volta chiamò i pastori, per ricolmarvi d’ogni sorta di benefizi. Se noi fossimo ben penetrati di ciò, con quale amore, con quale sollecitudine non ci recheremmo qui come i magi, per offrirgli in dono tutto quello che possediamo, vo’ dire, i nostri cuori e le anime nostre? I padri e le madri non verrebbero con maggior diligenza ad offrirgli tutta la loro famiglia, perché la benedicesse e le concedesse le grazie di santificazione? Con qual piacere i ricchi non verrebbero ad offrirgli una parte dei loro beni nella persona dei poveri? Mio Dio, la nostra poca fede ci fa perdere i beni dell’eternità! – Ascoltate ancora i nemici della nostra santa religione: noi nulla diciamo, così essi, dei vostri sacramenti per riguardo ai quali la vostra condotta è tanto lontana dalla vostra credenza, quanto lo è il cielo dalla terra, giusta i principi della vostra fede. Voi diventate per il vostro battesimo come altrettanti Dei, ciò che vi aderge ad un grado di onore che non si può comprendere, perché si suppone che solo Dio vi sia superiore. Ma che devesi pensare di voi, vedendo il maggior numero abbandonarsi a delitti che vi mettono al disotto dei bruti privi di ragione? Voi diventate, per il sacramento della Confermazione, come altrettanti soldati di Gesù Cristo, che si inscrivono sotto lo stendardo della croce, che non devono mai arrossire delle umiliazioni e degli obbrobri del loro Padrone, che, in ogni circostanza, devono rendere testimonianza alla verità del Vangelo. Ma tuttavolta, chi oserebbe dirlo? occorrono nel mezzo di voi non so quanti Cristiani che il rispetto umano impedisce di fare pubblicamente le loro opere di pietà; che forse non oserebbero avere un crocifisso nella loro camera e dell’acqua benedetta a lato del loro letto; che avrebbero vergogna di fare il segno della croce prima e dopo i loro pasti, o che si nascondono per farlo. Vedete quanto siete lontani dal vivere secondo che la vostra Religione vi comanda? Voi ci dite, per riguardo alla confessione e alla comunione, delle cose che sono bellissime e consolantissime: ma in qual modo vi accostate voi a questi sacramenti? In qual modo li ricevete voi? Negli uni, non è che un’abitudine, un uso, un trastullo; negli altri è un supplizio: è necessario trascinarveli. per così dire. Vedete come è necessario che i vostri ministri  vi incalzino e vi sollecitino, perché vi accostiate a questo tribunale della penitenza dove ricevete, voi dite, il perdono dei rostri peccati: a questa mensa dove voi credete di mangiare il pane degli angeli, che il Salvator vostro? Se voi credete quello che dite, non si sarebbe piuttosto obbligati di frenarvi, vedendo come è grande la felicità vostra di ricevere il vostro Dio, che deve formare la consolazione vostra in questo mondo e la gloria vostra nell’altro? Tutto quello che, giusta la fede vostra, si chiama una sorgente di grazia e di santificazione, non è, nel fatto, per la maggior parte di voi, che una occasione di irriverenza, di disprezzo, di profanazione e di sacrilegi. O voi siete degli empi, o la vostra Religione è falsa, perché se voi foste veramente persuasi che la vostra Religione è santa, voi non vi condurreste in questo modo in tutto quello che vi comanda. Voi avete, oltre la domenica, delle feste le quali, voi dite, sono istituite, le une per onorare quello che voi chiamate i misteri della vostra Religione; le altre per celebrare la memoria dei vostri Apostoli, le virtù dei vostri martiri, ai quali è tanto costato il fondare la vostra Religione. Ma diteci, queste feste, queste domeniche, in qual modo le celebrate voi? Non sono segnatamente tutti questi giorni che voi scegliete per darvi in balia di ogni sorta di disordini, di stravizzi e di libertinaggio? Non commettete un male più grave, in questi giorni che voi dite essere così santi, che in tutti gli altri tempi? Le vostre funzioni, che voi ci dite essere una riunione coi santi che sono in cielo, dove voi cominciate a gustare la medesima felicità, vedete il pregio nei quale li tenete: una parte non vi si reca quasi mai; gli altri vi sono come i colpevoli sul banco degli accusati; che cosa potrebbesi pensare dei vostri misteri e dei vostri santi, se si volesse giudicarne dal modo col quale celebrate le loro feste? – Ma non badiamoci più a lungo intorno a questo culto esteriore, il quale, per una singolare bizzarria, e per una inconseguenza piena di irreligione, rivela la vostra fede e nell’atto medesimo la smentisce. Dove si trova nel mezzo di voi quella carità fraterna, la quale, nei principì di vostra credenza, è fondata sopra motivi così sublimi e così divini ? Siamo un po’ più particolari, e noi vedremo se questi rimproveri non sono ben fondati. Quanto la vostra Religione è bella, ci dicono i Giudei ed anche i pagani, se voi faceste quello che essa vi comanda! Non solamente voi siete fratelli, ma, ciò che è più bello, voi non formate tutti insieme che un medesimo corpo con Gesù Cristo, la cui carne e il cui sangue vi servono ogni giorno di nutrimento; voi siete tutti membri gli uni degli altri. Bisogna convenirne, questo articolo della vostra fede è ammirabile, vi è qualche cosa di divino. Se voi operaste secondo la vostra credenza, voi sareste nel caso di attrarre tutte le altre nazioni alla vostra Religione, tanto è bella, consolante, e ineffabili beni vi promette per l’altra vita! Ma quello che fa credere a tutte le nazioni che la vostra Religione non è tale quale voi la dite, è che la condotta vostra è affatto opposta a quello che la vostra Religione vi comanda. Se si interrogassero i vostri pastori, e che loro fosse permesso di svelare quello che vi ha di più segreto, ci mostrerebbero le querele, le inimicizie, la vendetta, le gelosie, le maldicenze, i falsi rapporti, i processi e tanti altri vizi che eccitano l’orrore di tutti i popoli, anche di coloro dei quali voi dite che la Religione è tanto lontana dalla vostra per rapporto alla santità. La corruzione dei costumi che regna in mezzo a voi, trattiene coloro che non sono della vostra Religione di abbracciarla; perché se voi foste ben persuasi che essa è buona e divina, voi vi condurreste in modo tutto diverso. Ah! qual vergogna per noi che i nemici della nostra santa Religione tengano un tal linguaggio! E non hanno ragione di tenerlo? Esaminando noi medesimi la nostra condotta, noi vediamo positivamente che nulla facciamo di quello che essa comanda. All’opposto, noi non sembriamo appartenere ad una Religione così santa che per dimenticarla, e per allontanare coloro che avrebbero desiderio di abbracciarla; una Religione che ci proibisce il peccato che commettiamo con diletto e verso il quale siamo trasportati con un tal furore, che non sembriamo vivere che per moltiplicarlo; una Religione che espone ogni giorno Gesù Cristo ai nostri occhi, come un buon padre che vuole colmarci di benefizi: ora noi fuggiamo la sua santa presenza, o, se qui ci rechiamo, non è che per disprezzarlo e renderci più colpevoli; una Religione che ci offri il perdono dei nostri peccati per il ministero dei suoi sacerdoti: lontani dal approfittare di questi mezzi, o li profaniamo, o li fuggiamo; una Religione che ci lascia intravvedere tanti beni per l’altra vita, e che ci mostra dei mezzi così chiari e così facili per acquistarli: e noi sembriamo non conoscere tutto ciò che per farli segno di disprezzo e di scherno; una Religione la quale ci dipinge in un modo così spaventoso i tormenti dell’altra vita, onde farceli evitare: e noi sembriamo non aver mai commesso abbastanza di male per meritarli! Mio Dio, in quale abisso di accecamento siamo caduti! una Religione che non cessa mai di avvertirci che dobbiamo continuamente adoperarci a correggerci dei difetti, a reprimere le nostre tendenze verso il male: e, lontani dal farlo, sembriamo cercare tutto ciò che può accendere le nostre passioni; una Religione che ci avverte che non dobbiamo operare che per il buon Dio e sempre nella vista di piacergli: e noi non abbiamo in quello che facciamo che viste umane; noi vogliamo sempre che il mondo ne sia testimonio, ci lodi, feliciti. O mio Dio, quale accecamento e quale povertà! E noi potremmo adunare tanti beni per il cielo, se volessimo condurci secondo le regole che ci fornisce la nostra santa Religione. Ma, ascoltate ancora i nemici della nostra santa e divina Religione, come ci opprimono di rimproveri. Voi dite che il vostro Gesù Cristo, che credete essere il Salvator vostro, vi assicura che Egli terrebbe in conto come fatto a se medesimo tutto ciò che voi fareste al fratel vostro; ecco una delle vostre credenze, e certamente ciò è bello, ma se ciò è come voi dite, voi non lo credete che per insultare Gesù Cristo medesimo! Voi non lo credete che per straziarlo e oltraggiarlo, in una parola per maltrattarlo nel modo più crudele nella persona del vostro prossimo! Le più lievi colpe contro la carità devono essere considerate, giusta i principi vostri, come altrettanti oltraggi recati a Gesù Cristo. Ma, dite, Cristiani, qual nome dobbiamo dare a tutte quelle maldicenze, a quelle calunnie, a quelle vendette e a quegli odi con cui vi divorate gli uni gli altri? Voi siete dunque mille volte più colpevoli verso la Persona di Gesù Cristo che non i Giudei medesimi ai quali rimproverate la sua morte! No, M. F, le azioni dei popoli più barbari contro l’umanità, sono nulla in confronto di ciò che noi facciamo ogni giorno contro i princìpi della carità cristiana. Ecco, M. F., una parte dei rimproveri che ci muovono i nemici della nostra santa Religione. – Io non ho la forza di andare innanzi, tanto ciò è triste e disonorevole per la nostra santa Religione, la quale è così bella, così consolante, e capace di renderci felici anche in questo mondo, preparandoci una così grande felicità per la eternità. Voi converrete con me che se questi rimproveri hanno già qualche cosa che umilia un Cristiano, benché non siano mossi che da uomini, io vi lascio pensare quello che essi saranno, quando avremo la sventura di udirli dalla bocca medesima di Gesù Cristo, quando ci presenteremo dinanzi a Lui per rendergli conto delle opere che la nostra fede avrebbe dovuto produrre in noi. Miserabili Cristiani, ci dirà Gesù Cristo, dove sono i frutti di quella fede nella quale siete vissuti e della quale voi recitaste ogni giorno il Simbolo? Voi mi avete preso per Salvator vostro e per vostro modello: ecco le mie lacrime e le mie penitenze; dove sono le vostre? Qual frutto avete voi tratto dal mio sangue adorabile, che ho fatto fluire sopra di voi co’ miei sacramenti? A che vi ha giovato questa croce, dinanzi alla quale tante volte vi siete prostrati? Quale rassomiglianza corre tra me e voi? Qual cosa vi ha di comune tra le vostre penitenze e le mie? tra la vostra vita e la mia? Ah! miserabili, rendetemi conto di tutto il bene che questa fede avrebbe prodotto in voi, se voi aveste avuto la sorte di farla fruttificare! Venite, vili e infedeli, rendetemi conto di questa fede preziosa e inestimabile, la quale poteva e che avrebbe dovuto farvi produrre le ricchezze eterne. Voi l’avete indegnamente associata con una vita tutta carnale e tutta pagana. Vedete, infelici, quale rassomiglianza corre tra voi e me! Ecco il mio Vangelo, ed ecco la vostra fede. Ecco la mia umiltà ed il mio annientamento, ed ecco il vostro orgoglio, la vostra ambizione e la vostra vanità. Ecco la vostra avarizia, e il mio distacco dalle cose di questo mondo. Ecco la vostra durezza verso i poveri e il disprezzo al quale li avete fatti segno; ecco la mia carità e l’amor mio per essi. Ecco tutte le vostre intemperanze, e i miei digiuni e le mie mortificazioni. Ecco tutte le vostre freddezze e tutte le vostre irriverenze nel tempio del Padre mio; ecco tutte le profanazioni vostre, tutti i vostri sacrilegi e tutti gli scandali che avete dati ai miei figli; ecco tutte le anime che avete perdute, e tutti i patimenti e tutti i tormenti che ho sofferto per salvarle! Se voi siete stati la causa per cui i miei nemici hanno bestemmiato il mio santo nome, io saprò ben punirli; ma per voi, io voglio farvi provare tutto ciò che la mia giustizia ha di più rigoroso. Sì, ci dice Gesù Cristo,  (Matth. x, 15) gli abitanti di Sodoma e di Gomorra saranno trattati con minore severità che questo popolo infelice, al quale ho elargito tante grazie, ed al quale i miei lumi, i miei favori e tutti i benefizi miei sono tornati inutili, e che mi ha ricambiato colla più nera ingratitudine. – Sì, i cattivi malediranno eternamente il giorno nel quale hanno ricevuto il santo Battesimo, i pastori che li hanno istruiti, i sacramenti che sono stati loro amministrati. Ah! che dico! quel confessionale, quella sacra mensa, quella cattedra, quell’altare, quella croce, quel Vangelo, o per meglio farvelo comprendere, tutto ciò che è stato l’oggetto della loro fede sarà l’oggetto delle loro imprecazioni, delle loro maledizioni, delle loro bestemmie e della loro disperazione eterna. O mio Dio! quale onta e quale sventura per un Cristiano di non essere stato Cristiano che per dannarsi più facilmente e per meglio far patire un Dio il quale non voleva che la sua felicità eterna, un Dio che non ha risparmiato nulla per questo, che ha abbandonato il seno del Padre suo, che è disceso sopra la terra, ha assunto la nostra umanità, ha trascorso tutta la sua vita nei patimenti e nelle lagrime e che è morto appeso ad una croce per lui! Egli non ha cessato, esso dirà, di incalzarmi con tanti buoni pensieri, con tante buone istruzioni dalla parte dei miei pastori, coi rimorsi della mia coscienza. Dopo il mio peccato, Egli medesimo si è offerto per servirmi di modello; che poteva egli fare di più per procurarmi il cielo? No, nulla di più; se io avessi voluto, tutto ciò mi avrebbe servito per guadagnare il cielo, che mai possederò. Ritorniamo dai nostri traviamenti, e procuriamo di condurci meglio che non abbiamo fatto sino al presente.

Credo

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXXVIII: 12; 15
Tui sunt cœli et tua est terra: orbem terrárum et plenitúdinem ejus tu fundásti: justítia et judícium præparátio sedis tuæ.

[Tuoi sono i cieli, e tua è la terra: tu hai fondato il mondo e quanto vi si contiene: giustizia ed equità sono le basi del tuo trono.]

Secreta

Obláta, Dómine, múnera, nova Unigéniti tui Nativitáte sanctífica: nosque a peccatórum nostrórum máculis emúnda.

[Santifica, o Signore, con la nuova nascita del tuo Unigénito, i doni offerti, e puríficaci dalle macchie dei nostri peccati]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio


Ps XCVII:3
Vidérunt omnes fines terræ salutáre Dei nostri.

[Tutti i confini della terra hanno visto la salvezza del nostro Dio.]

Postcommunio

Orémus.
Præsta, quǽsumus, omnípotens Deus: ut natus hódie Salvátor mundi, sicut divínæ nobis generatiónis est auctor; ita et immortalitátis sit ipse largítor:

[Fa, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che il Salvatore del mondo, oggi nato, come è l’autore della nostra divina rigenerazione, così ci sia anche datore dell’immortalità.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

SANTO NATALE (2020): MESSA DELL’AURORA

SANTO NATALE – (2020

SECONDA MESSA ALL’AURORA

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Stazione a S. Anastasia.

La Messa Dell’Aurora si celebrava a Roma nell’antichissima chiesa di S. Anastasia. La sua posizione ai piedi del Palatino, dov’era la residenza dei Cesari, ne faceva la Chiesa degli alti funzionari della Corte. Il nome di S. Anastasia è inserito al Canone della Messa. Santa Anastasia, di cui oggi si fa memoria, è la celebre martire di Sirmio. – La liturgia della Messa ci fa salutare « con gioia il santo Re che viene » (Com.) « il Signore che è nato per noi » (Intr.), « il Bambino adagiato nella mangiatoia » (Vang.). Ci dice che « colui che è nato uomo in questo giorno, si è rivelato anche ai nostri occhi come Dio » (Secr.). Perchè Egli è « il Verbo fatto carne (Or.) si chiama Dio (Intr.) ed « esiste sino dall’eternità » (Off.). E, se Egli viene, è per salvarci (Ep. Com.) e « per farci eredi della vita eterna » (Ep.) della quale noi godremo nel cielo, quando questo Principe della pace, tornerà alla fine del mondo rivestito di forza» (V. dell’ Intr., Alleluia) e in tutto lo splendore della sua Maestà. Allora « il Re dei cieli, che s’è degnato nascere per noi da una Vergine per richiamare al Regno celeste l’uomo che ne era decaduto» (1° resp.)» regnerà per sempre «(Intr.)sugli uomini di buona volontà (Gloria) che lo avranno accolto con fede e amore al tempo della sua prima venuta. Le feste di Natale hanno dunque lo scopo di prepararci al 2° Avvento « giustificandoci per la grazia di Gesù Cristo » (Ep.) « distruggendo in noi il vecchio uomo » (Postcom.) « conferendoci ciò che è divino » (Secr.) e aiutandoci « a fare risplendere nelle nostre opere ciò che per la fede brilla nelle nostre anime » (Or.). – Con i pastori, ai quali il Signore manifesta l’Incarnazione del Suo Figlio, « affrettiamoci di andare» (Vang.) ad adorare all’Altare, che è il vero presepe, il Verbo, nato nell’eternità dal Suo Padre celeste, nato da Maria sopra la terra, e che deve nascere sempre più colla grazia nelle nostre anime, in attesa che ci faccia nascere alla vita gloriosa nel cielo.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Is IX:2 et 6.
Lux fulgébit hódie super nos: quia natus est nobis Dóminus: et vocábitur Admirábilis, Deus, Princeps pacis, Pater futúri sǽculi: cujus regni non erit finis. [La luce splenderà oggi su di noi: poiché ci è nato il Signore: e si chiamerà Ammirabile, Dio, Principe della pace, Padre per sempre: e il suo regno non avrà fine.]

Ps XCII:1
Dominus regnávit, decorem indutus est: indutus est Dominus fortitudinem, et præcínxit se.

[Il Signore regna, si ammanta di maestà: Il Signore si ammanta di fortezza, e si cinge di potenza.]

Lux fulgébit hódie super nos: quia natus est nobis Dóminus: et vocábitur Admirábilis, Deus, Princeps pacis, Pater futúri sǽculi: cujus regni non erit finis.
[
La luce splenderà oggi su di noi: poiché ci è nato il Signore: e si chiamerà Ammirabile, Dio, Principe della pace, Padre per sempre: e il suo regno non avrà fine.]

Oratio

Orémus.
Da nobis, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, qui nova incarnáti Verbi tui luce perfúndimur; hoc in nostro respléndeat ópere, quod per fidem fulget in mente.
[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente: che, essendo inondati dalla nuova luce del Tuo Verbo incarnato, risplenda nelle nostre opere ciò che per virtù della fede brilla nella nostra mente.]

Orémus.
Pro S. Anastasiæ Mart:
Da, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, qui beátæ Anastásiæ Mártyris tuæ sollémnia cólimus; ejus apud te patrocínia sentiámus.
[ Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente: che, celebrando la solennità della Tua Martire Anastasia, possiamo godere presso di Te il beneficio del suo patrocinio.]

Lectio

Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Titum.
Tit III: 4-7
Caríssime: Appáruit benígnitas et humánitas Salvatóris nostri Dei: non ex opéribus justítiæ, quæ fécimus nos, sed secúndum suam misericórdiam salvos nos fecit per lavácrum regeneratiónis et renovatiónis Spíritus Sancti, quem effúdit in nos abúnde per Jesum Christum, Salvatorem nostrum: ut, justificáti grátia ipsíus, herédes simus secúndum spem vitæ ætérnæ: in Christo Jesu, Dómino nostro.

[Carissimo: Apparsa la bontà e l’umanità del Salvatore, nostro Dio: Egli ci salvò non già in ragione delle opere di giustizia fatte da noi, ma per la Sua misericordia: col lavacro di rigenerazione e il rinnovamento dello Spirito Santo, diffuso largamente su di noi per i meriti di Gesù Cristo, nostro Salvatore: affinché, giustificati per la Sua grazia, divenissimo eredi, in speranza, della vita eterna: in Cristo Gesù, Signore nostro.]

Graduale

Ps CXVII: 26; 27; 23
Benedíctus, qui venit in nómine Dómini: Deus Dóminus, et illúxit nobis.

[Benedetto Colui che viene nel nome del Signore: Il Signore è Dio e ci ha illuminati.]

ALLELUJA

V. A Dómino factum est istud: et est mirábile in óculis nostris. Allelúja, allelúja

V. Questa è opera del signore: ed è mirabile ai nostri occhi. Allelúia, allelúia
Ps XCII: 1
V. Dóminus regnávit, decórem índuit: índuit Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se virtúte. Allelúja.

[V. Il Signore regna, si ammanta di maestà: Il Signore si ammanta di fortezza, e si cinge di potenza. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum S. Lucam.
S. Luc II:15-20
In illo témpore: Pastóres loquebántur ad ínvicem: Transeámus usque Béthlehem, et videámus hoc verbum, quod factum est, quod Dóminus osténdit nobis. Et venérunt festinántes: et invenérunt Maríam et Joseph. et Infántem pósitum in præsépio. Vidéntes autem cognovérunt de verbo, quod dictum erat illis de Púero hoc. Et omnes, qui audiérunt, miráti sunt: et de his, quæ dicta erant a pastóribus ad ipsos. María autem conservábat ómnia verba hæc, cónferens in corde suo. Et revérsi sunt pastóres, glorificántes et laudántes Deum in ómnibus, quæ audíerant et víderant, sicut dictum est ad illos.

[In quel tempo: I pastori presero a dire tra loro: Andiamo sino a Betlemme a vedere quello che è accaduto, come il Signore ci ha reso noto. E andati con prontezza, trovarono Maria, e Giuseppe, e il bambino giacente nella mangiatoia. Dopo aver visto, raccontarono quanto era stato detto loro di quel bambino. Coloro che li udirono rimasero meravigliati di ciò che i pastori avevano detto. Intanto Maria riteneva tutte queste cose, meditandole in cuor suo. E i pastori se ne ritornarono glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e veduto, come era stato loro detto.]

[DA: MEDITAZIONI DI NATALE

OMELIA

(A. Carmignola – Sacerd. Sales. -: MEDITAZIONI; VOL. I, S. E. I. Torino, 1942)

Mediteremo sopra i sentimenti di Maria e di Giuseppe nella nascita di Gesù Bambino. C’immagineremo di entrare nella capanna di Betlemme e di vedervi Maria e Giuseppe inginocchiati presso il santo presepio, in atto di profonda adorazione. Ci prostreremo in ispirito anche noi, unendo le adorazioni nostre alle loro e pregando il Santo Bambino di volerci rendere partecipi dei sentimenti, che vi ebbero la sua santissima Madre e il suo padre nutrizio.

Sentimenti di pena di Maria e di Giuseppe.

Quali sentimenti di pena ebbero nel loro cuore Maria e Giuseppe allora che, respinti da Betlemme, furono costretti a entrare nella povera capanna! S. Giuseppe, dalla Divina Provvidenza destinato a essere l’angelo tutelare visibile di Maria, ebbe asoffrire il più grande affanno, non per sé certamente, ma per lei. Per Maria quel luogo gli si mostrava troppo orrido, troppo aspro e inospitale, e pensando poi chi Ella fosse, doveva sentirsi nel petto scoppiare il cuore dall’ambascia. Maria Vergine dal canto suo quanto pure doveva soffrire al pensiero che il suo divin Figlio, Creatore e Signore del cielo e della terra, doveva nascere in quel meschino tugurio! Con tutto ciò i santi sposi chinarono la fronte ai disegni di Dio, e riconoscendo che così piaceva al Signore, conformarono pienamente la loro volontà alla sua. Ecco la virtù, che noi pure dovremmo esercitare continuamente. Purtroppo noi vorremmo sempre le cose a modo nostro; Dio invece le vuole a modo suo. Noi vorremmo sempre sanità, e invece Iddio talora ci vuole infermi; noi vorremmo sempre essere ben voluti, onorati e rispettati, e Iddio permette che siamo non curati, scherniti e perseguitati; noi vorremmo che non ci mancasse mai nulla, e invece Iddio dispone che ora ci troviamo senza una cosa, ora senza un’altra. Ma tutto ciò che Dio vuole è senza dubbio per la sua gloria e per il bene nostro. Come dunque non conformarci sempre alla sua santa volontà?

Sentimenti di gioia di Maria e di Giuseppe.

Ai sentimenti di pena sottentrarono ben preso in Maria e Giuseppe i sentimenti della più ineffabile gioia, appena nacque il sacrosanto Bambino. Maria per la prima vide a sé dinanzi il vezzosissimo suo Figlio, che la guardava, le sorrideva e le tendeva le candide manine. Per impeto d’ineffabile amore lo adorò dicendo: O Gesù Bambino, nato da Dio prima del tempo, nato da me or ora, tu sei il mio Figlio e il mio Dio, ed io sono la tua Madre, la Madre di Dio. O Gesù, Salvatore del mondo, Re del cielo e della terra, tu sei il mio tesoro, il mio amore, la gioia del mio cuore! San Giuseppe da parte sua, sebbene come semplice custode di Gesù non potesse esprimergli i medesimi sentimenti, tuttavia anch’egli invaso dalla gioia più viva e più santa non lasciava di sfogare il suo cuore nei più teneri accenti. E noi quali sentimenti proviamo ricevendo Gesù nel nostro cuore per la S. Comunione, o venendo a visitarlo nel SS. Sacramento? Non dobbiamo confessare che purtroppo le nostre comunioni e le nostre visite sono fredde, senza gusto spirituale e senza gioia alcuna del cuore?

Sentimenti di fede di Maria e di Giuseppe.

I sentimenti di gioia, che riempirono Maria e Giuseppe per la nascita di Gesù, erano la conseguenza dei sentimenti vivissimi della loro fede. Gesù Bambino, pur essendo vero Dio, sotto il velo della carne nascondeva al tutto la sua divinità, e nella carne istessa non appariva nulla più di quello che sono gli altri bambini appena nati. Di modo che era debole, sofferente, bisognoso di venir ricoperto, allattato, sostentato; come gli altri bambini piangeva, dormiva, non mostrava intelligenza di sorta; insomma sebbene a differenza di tutti gli altri bambini non avesse in sé il peccato e le impure sue conseguenze, era tuttavia – come dice S. Paolo – nella somiglianza della carne di peccato, umiliato e passibile: in similitudinem carnis peccati(Rom.. VIII, 3). Ora a riconoscere che questo Bambino era vero Dio. si richiedeva una vivissima fede. E tale fu propriamente la fede di Maria e di Giuseppe. Entrambi riconobbero in Lui il vero Figlio di Dio, incarnatosi e fattosi uomo per la salute del mondo, e come tale Maria lo adorò: Ipsum quem genuit, adoravit. E alle adorazioni di Maria si unirono ben tosto quelle di S. Giuseppe. Oh se anche noi avessimo nel cuore una fede somigliante a quella di Maria e di Giuseppe! La fede sarà tanto più viva in noi, quanto più sull’esempio di Maria e di Giuseppe saremo puri ed umili di cuore. – Mediteremo poi sopra gli atti interiori del Bambino Gesù appena nato. C’immagineremo di vedere questo Santo Bambino, che nel presepio si considera come sull’altare, di dove, sacerdote e vittima ad un tempo, si offre al suo Eterno Padre in espiazione dei nostri peccati. E prostrati in spirito dinanzi alla sua culla lo adoreremo e ringrazieremo di quanto comincia a operare in nostro vantaggio e gli prometteremo di non mandare a vuoto ciò che Egli ha tosto fatto per noi appena nato.

Gesù Bambino si offre al suo Divin Padre.

Secondo la testimonianza di S. Paolo, Gesù Cristo, entrando nel mondo, disse a Dio suo Padre: Tu non hai gradito i sacrifici di quelle vittime, che furono precedentemente offerte; e perciò a me hai formato un corpo, con cui io fossi atto a venir immolato in luogo di tutte le vittime precedenti per la tua gloria e per la salute del mondo, e questo corpo io te l’offro in espiazione dei peccati degli uomini fin da questo momento, compiendo perfettamente la tua santa volontà (Hebr., X , 5-7). Così

adunque Gesù appena nato si offre vittima al suo Divin Padre per ripararlo delle nostre ingratitudini, colpe, tiepidezze, debolezze e miserie, e per espiarle comincia tosto a offrirgli quei patimenti che soffre nel suo tenero corpicciuolo. O vittima adorabile, come non esaltare e ringraziare la vostra bontà infinita? – Con quanta prontezza, con quanto zelo voi v’immolate per la mia salute! Ma se Gesù si offre tosto, appena nato, in sacrifizio al suo Divin Padre, c’insegna altresì che noi, dovendo imitarlo come nostro modello, dobbiamo menare volentieri una vita di sacrifizio per espiare i tanti peccati da noi commessi e cooperare in tal guisa alla nostra salvezza. Miseri noi se non siamo fermamente risoluti di immolare a Dio la nostra volontà, il nostro carattere, il nostro io, l’amore dei nostri comodi e delle nostre soddisfazioni! Molto facilmente lasceremo la via del bene per metterci su quella del disordine e della rovina.

Gesù Bambino prega il suo Divin Padre.

Gesù Bambino appena nato, oltre all’offrirsi al suo Divin Padre come vittima di espiazione per i nostri peccati, gli rivolse pure le più efficaci preghiere a nostro vantaggio, per implorarci la sua misericordia e impetrarci tutte le grazie, di cui abbiamo bisogno. Sì, Gesù ha cominciato le sue preghiere fin dal presepio, preghiere non espresse con parole, ma con lagrime, come furono poi altresì quelle offerte al suo Padre celeste dall’alto della croce. Nei giorni della sua carne, dice S. Paolo, offerse preghiere e suppliche con forti grida e con lagrime: in diebus carnis suæ preces supplicationesque… cum clamore valido et lacrimis offerens(Hebr., V, 7). E quanto furono ferventi talipreghiere! Costituito nostro Pontefice, resosi simile in tutto anoi, fuorché nel peccato, conoscendo in se stesso le infermitàe miserie nostre, ne sente la più tenera compassione, e volendotosto alleviarle implora col massimo fervore su di noi la misericordiae la grazia di Dio. Oh bontà grande del mio Gesù!Voi appena nato rivolgete subito il pensiero a me, alla miameschinità e impotenza, e per me indirizzate al vostro DivinPadre i sentimenti del vostro cuore e le lagrime de’ vostriocchi, supplicandolo che si muova a pietà di me, che mi perdonii miei peccati e mi conceda i suoi celesti favori! Voi senzaavere alcun bisogno di pregare, tuttavia appena nato, non curandoi vostri patimenti, pregate per l’anima mia, e io contanto bisogno che ne ho, anche in mezzo ai patimenti, pensocosì poco a pregare! Concedetemi, o caro Gesù, che comprendal’importanza e la dolcezza della preghiera, e preghi anch’io epreghi con fervore.

Gesù Bambino glorifica il suo Divin Padre.

Gesù Bambino appena nato rinnovò l’atto di glorificazione, che al suo Divin Padre aveva fatto sin dal primo istante della sua Incarnazione. Giacché, siccome nessun’altra opera, neanche la creazione del cielo e della terra, fu di tanta gloria a Dio, quanto l’Incarnazione del Verbo eterno, così ora che l’Incarnazione di Lui si era manifestata al mondo con la sua nascita, Gesù dice con slancio: la mia gloria è un niente: gloria mea nihil est(S. Jo., VIII, 54), non mi preoccupo che della gloria di mio Padre: honorifico Patrem meum(S. Jo., VIII, 49). Così Egli rese tosto a Lui onore e gloria infinita per tutto ciò che aveva stabilito si avesse a fare per la salvezza degli uomini. Che zelo Ammirabile! Che purità di amore! Avviciniamoci a questo fuoco sacro, che arde in petto al Bambino Gesù per purificare le nostre azioni, guaste così spesso da mire ambiziose, che ci tolgono il merito delle nostre opere, e per accenderci anche noi di zelo per i grandi interessi della gloria di Dio. Non siamo noi tanto saldi per gli interessi della gloria nostra! Per acquistare, o per non perdere questa gloria, che cosa non diciamo, che cosa non facciamo, che cosa non soffriamo? E per la gloria di Dio invece siamo tanto freddi, tanto trascurati? Impariamo, sì, impariamo da Gesù Bambino a non dire, a non fare, a non desiderare nulla per l’amor proprio, per la lode e riputazione nostra, ma tutto per l’onore e la gloria di Dio. – Mediteremo ancora sopra gli omaggi resi dagli Angeli al Bambino Gesù. C’immagineremo di vederli raccolti intorno al presepio per adorare il Divin Salvatore, lodarlo e benedirlo. Ci uniremo a loro, pregando questi beati spiriti che vogliano congiungere le loro e le nostre adorazioni e benedizioni in una sola oblazione, che riesca così meno indegna del Divino Infante.

Gli angeli adorano il Bambino Gesù.

Essendo il Divin Salvatore nato pressoché incognito agli uomini, ancorché fosse stato predetto da tanti profeti e aspettato da tutto il mondo, tuttavia ben lo conobbero gli Angeli. Obbidienti all’ordine del Padre celeste di adorarlo, secondo che si apprende S. Paolo: cum introducit Primogenitum in orbem terræ dicit: Et adorent eum omnes angeli Dei(Hebr., I , 6), discesero tosto dal paradiso per prosternarsi in adorazione intorno al loro sovrano sotto la forma di tenero bambino. E chi può dire la loro ammirazione, il loro slancio d’amore e di ossequio davanti alle umiliazioni dell’eterno Figlio di Dio? Quanto più lo veggono impicciolito, tanto più riconoscono la sua infinita grandezza e tanto più si fanno con riverenza ad adorarlo. Confrontando le loro perfezioni con quelle di Lui, si riconoscono un nulla al suo cospetto e sentono ad ogni modo che quanto vi ha di bello e grande in loro, da Lui l’hanno ricevuto. E col sentimento della più viva gratitudine lo ringraziano e lo esaltano, e confessano che a Lui solo si devono onore e gloria, lode e benedizione per tutti i secoli dei secoli. Oh il bell’esempio, che ci danno in tal modo, del come dobbiamo diportarci con Gesù, che si trova pure realmente presente tra di noi nei santi tabernacoli! Quando entriamo nelle dimore del Dio Sacramentato, portiamovi gli stessi sentimenti e affetti, che ebbero gli Angeli nella grotta di Betlemme.

Gli angeli annunziano la nascita di Gesù.

Gli Angeli, non paghi di adorare essi il Santo Bambino, ardono della brama di guadagnargli altri adoratori. Uno, che piamente si crede essere stato l’Arcangelo Gabriele, a nome di tutti gli altri, prendendo vaghissima forma umana, apparve, in una fulgidissima luce, ad alcuni pastori che stavano vigilando alla custodia del gregge nei dintorni di Betlemme. E poiché per quella luce i pastori furono presi da gran timore, l’Angelo li rassicurò tosto dicendo: Non temete, perché io vengo ad annunziarvi una grande allegrezza, non solo per voi, ma anche per tutto il popolo: oggi è nato in Betlemme, città di David, il Salvatore, che è Cristo, il Messia aspettato da tutti i secoli; ed ecco il segnale a cui lo riconoscerete: troverete un bambino involto in pannicelli, messo dentro un presepio. Quando si ama Iddio, si ha zelo di farlo conoscere e amare anche dagli altri, e quanto più vivo è l’amore a Dio, tanto più ardente è lo zelo per acquistargli altri cuori amanti. Le persone religiose, che si sono consacrate a Dio per tendere meglio alla loro perfezione, si sono pure consacrate a Lui per zelare la sua gloria e la salute delle anime in quelle opere apostoliche, le quali mirano a farlo meglio conoscere, amare e servire. Questo ufficio compiamo noi davvero nel debito modo e con rettitudine di l’intenzione?

Gli angeli cantano gloria a Dio e pace agli nomini.

All’Angelo che era apparso ai pastori, si unì la moltitudine degli altri spiriti celesti lodando Dio e dicendo: Gloria a Dio negli altissimi cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà. Gloria a Dio negli altissimi cieli, perché la nascita del Bambino ci ha operato questo primo effetto di procurare a Dio, che abita nel più alto de’ cieli, una gloria infinita, essendoché l’abbassamento a cui si è assoggettato Gesù nella sua Incarnazione e nascita, è per Iddio un omaggio di valore infinito. Pace allora agli uomini di buona volontà, perché la nascita di Gesù ha operato questo secondo effetto di apportare la vera pace a tutti quegli uomini, che, essendo animati da buona volontà, amano praticamente la legge divina, operando il bene e fuggendo il peccato. Anche noi siamo venuti al mondo e vi dobbiamo vivere per dar gloria a Dio. Se persino il sole, la luna, le stelle, le piante, gli animali e tutte le altre creature irragionevoli esistono per dar gloria a Dio, quanto più noi dotati di ragione e d’intelligenza! Il che dobbiamo fare in due modi: praticando opere buone ogni volta che ce ne viene l’opportunità; facendo tutte le nostre azioni, anche indifferenti, per l’onore di Dio. Solo così acquisteremo tesori di meriti per l’eternità; solo così gusteremo intanto su questa terra un preludio di quella felicità, che si gode in cielo nel possesso della pace del Signore, pace che Dio dà realmente a godere a quelli che lo amano e lo servono, anche in mezzo alle tribolazioni del mondo. – Mediteremo infine sopra la santa condotta tenuta dai pastori chiamati dall’Angelo alla grotta di Betlemme. C’immagineremo di vederli davanti alla culla del Bambino Gesù, in atto di vagheggiarlo con gioia ineffabile e di adorarlo col più profondo rispetto. Prostrandoci in ispirito accanto a loro, adoreremo anche noi il Divin Salvatore e lo ringrazieremo d’averci concessa una fortuna anche maggiore di quella concessa ai pastori, potendolo noi ricevere dentro i nostri cuori per mezzo della Santa Comunione.

PUNTO 1°.

I pastori si recano prontamente alla capanna.

Con quale prontezza i buoni pastori si recarono alla grotta di Betlemme! Il Vangelo ci dice che appena gli Angeli si furono ritirati da loro verso il cielo, i pastori presero a dirsi l’uno all’altro: Andiamo sino a Betlemme a vedere quello che è ivi accaduto, come il Signore ci ha manifestato. E andarono con prestezza: et venerunt festinantes(S. Luc. , II, 15). Lasciarono dunque i loro armenti e partirono senza indugio, ancorché fosse nel cuor della notte. Le buone ispirazioni sono messaggi celesti che c’invitano a lasciare il male e a operare il bene. Quante volte non ne facciamo caso o lasciamo che si spengano nel nostro cuore, perché differiamo a metterle in pratica! Se in questi santi giorni si faranno sentire più forti le ispirazioni della grazia, che ci chiamino a far sacrifizio di noi stessi, del nostro amor proprio, delle nostre comodità, per dedicarci interamente all’amore del Bambino Gesù, arrendiamoci ad esse con tutta prestezza. I pastori assecondano senza più l’invito dell’Angelo, perché sono uomini umili e semplici e credono tosto a quanto è stato loro detto. Così anche noi ci arrenderemo facilmente alle divine inspirazioni, se avremo umiltà e semplicità, scacciando dall’animo nostro quei sentimenti di orgoglio, che soli sono la causa, per cui non seguiamo l’invito dei celesti messaggi.

PUNTO 2°.

I pastori adorano Gesù nella capanna.

I pastori arrivati alla grotta vi trovarono Maria e Giuseppe e il Bambino giacente nella mangiatoia. Con che divozione e fede l’adorarono! Oh come, piegati i ginocchi e giunte le mani, saranno stati estatici a rimirarlo! Ed ecco a quali persone il Signore manifestò se medesimo prima che ad altre. Oh come il Signore intende le cose a rovescio del mondo, il quale si mostra sempre incantato dallo splendore delle ricchezze, della gloria e dell’umana sapienza, dando le sue preferenze a coloro che di tutto ciò sono ammantati! E la condotta che Gesù tiene dalla nascita è quella che seguirà mai sempre; perciocché – dice San Paolo – il Signore elegge le cose stolte del mondo per confondere le sapienti, le cose deboli per confondere le forti, le cose ignobili, le spregevoli e quelle che sono reputate un nulla per distruggere quelle che sono stimate assai, affinché non vi sia alcun uomo che abbia ardire di darsi vanto dinanzi a Lui (I Cor., I, 27-29). Di qui dobbiamo imparare che non la nostra abilità, sapienza, valentia induce il Signore a farci favori speciali e a chiamarci all’onore di compiere le sue grandi imprese, ma l’umiltà, la semplicità, la rettitudine. Non lasciamo, no, di mettere il nostro impegno ad acquistare scienza, idoneità e pratica per compiere bene certi uffici, essendo pur questo il nostro dovere; ma più di tutto adoperiamoci ad avere in noi quelle virtù, per le quali solanto possiamo piacere a Dio, ed essere da Lui prescelti e aiutati a far del bene.

PUNTO 3°.

I pastori ritornano giubilanti dalla capanna.

I pastori, poiché ebbero resi i loro omaggi al Bambino Gesù, se ne ritornarono alle loro abitazioni pieni di santo giubilo, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e veduto, conforme era stato ad essi predetto, di guisa che tutti quelli, che li sentivano a parlare, restarono meravigliati delle cose da essi riferite (S. Luc., II, 18, 20). Ecco quello che dovremmo fare anche noi quando il Signore per grazia sua ci fa sentire le dolcezze della vita cristiana e delle pratiche devote. Con il nostro contegno, più ancora che con le parole, dovremmo glorificare e lodare Iddio al cospetto degli uomini, dimostrando loro coi fatti che la vita veramente cristiana, anziché riuscire di peso, arreca consolazioni e gioie ineffabili; che sono veramente beati coloro che abitano per la grazia, per l’orazione, e per la frequenza dei Sacramenti, nella casa del Signore; che vale infinitamente più un’ora passata davanti al tabernacolo, che non mille giorni trascorsi nelle case dei peccatori: così il nostro prossimo sarebbe indotto dal nostro esempio a fare anch’esso la prova.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XCII:1-2
Deus firmávit orbem terræ, qui non commovébitur: paráta sedes tua, Deus, ex tunc, a sǽculo tu es.
[Iddio ha consolidato la terra, che non vacillerà: il Tuo trono, o Dio, è stabile, fin dal principio, fin dall’eternità Tu sei.]

Secreta

Múnera nostra, quǽsumus, Dómine, Nativitátis hodiérnæ mystériis apta provéniant, et pacem nobis semper infúndant: ut, sicut homo génitus idem refúlsit et Deus, sic nobis hæc terréna substántia cónferat, quod divínum est.
Pro S. Anastasia.
Acipe, quǽsumus, Dómine, múnera dignánter obláta: et, beátæ Anastásiæ Mártyris tuæ suffragántibus méritis, ad nostræ salútis auxílium proveníre concéde.

[Le nostre offerte, o Signore, riescano atte ai misteri dell’odierna Natività e ci infondano pace duratura: affinché, come il Tuo Figlio nascendo uomo rifulse quale Dio, così queste offerte terrene conferiscano a noi ciò che è divino.]
Pro S. Anastasia.
[O Signore, Te ne preghiamo, accogli favorevolmente i doni offerti: e concedi che, per i meriti della beata Anastasia, Martire Tua, giovino a soccorso della nostra salvezza.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Zach IX:9
Exsúlta, fília Sion, lauda, fília Jerúsalem: ecce, Rex tuus venit sanctus et Salvátor mundi

[Esulta, o figlia di Sion, giubila, o figlia di Gerusalemme: ecco che viene il tuo Re santo, il Salvatore del mondo.]

Postcommunio


Orémus.
Hujus nos, Dómine, sacraménti semper nóvitas natális instáuret: cujus Natívitas singuláris humánam réppulit vetustátem.

Orémus.
Pro S. Anastasia.
Satiásti, Dómine, famíliam tuam munéribus sacris: ejus, quǽsumus, semper interventióne nos réfove, cujus sollémnia celebrámus.

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

SANTO NATALE (2020): MESSA DELLA NOTTE

SANTO NATALE (2020)

Doppio di I cl. con ottava privileg. di III ord. – Paramenti bianchi.

PRIMA MESSA • DURANTE LA NOTTE.

Stazione a S. Maria Maggiore all’altare del Presepe.

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Il Verbo, generato nell’eternità del Padre, (Com. Grad.) ha elevato fino all’unione personale con sé il frutto benedetto del seno verginale di Maria, ciò che significa che la natura umana e la natura divina sono legate in Gesù nell’unità di una sola Persona, che è la seconda Persona della SS. Trinità. E, come quando si parla di figliolanza, è la persona che si designa, si deve dire che Gesù è il Figlio di Dio perché la sua persona è divina; è il Verbo incarnato. Perciò Maria è la Madre di Dio; non perché essa abbia generato il Verbo, ma perché ha generato l’umanità che il Verbo si è unito nel mistero dell’Incarnazione; mistero di cui la nascita di Gesù a Betlemme fu la prima manifestazione al mondo. Si comprende allora perché la Chiesa canti ogni anno a Natale: « Puer natus est nobis et Filius datus est nobis»; un fanciullo è nato per noi, un figlio ci viene dato, (Intr., Allei.). Questo Figlio è il Verbo incarnato, generato come Dio dal Padre nel giorno dell’eternità: Ego hodie genui te, e che Dio genera come uomo nel giorno dell’Incarnazione: Ego hodie genui te; perché con l’assunzione della sua umanità in Dio « assumptione humanitatis in Deum » (Simbolo di S. Atanasio), il Figlio di Maria è nato alla vita divina, ed ha Dio stesso per Padre, perché Egli è unito ipostaticamente a Dio Figlio. – «Con grande amore, dice S. Leone, il Verbo incarnato ha ingaggiato la lotta contro satana per salvarci, perché l’onnipotente Signore ha combattuto con il crudelissimo nemico non nella maestà di Dio, ma nella debolezza della nostra carne » (5a Lez.). E la vittoria che ha riportato, malgrado la sua debolezza, mostra che Egli è Dio. – Fu nel mezzo della notte, che Maria mise al mondo il Figlio primogenito e lo depose in una mangiatoia. Cosi la Messa si celebra a mezzanotte nella Basilica di S. Maria Maggiore, dove si conservano le reliquie della mangiatoia. – Questa nascita in piena notte è simbolica. È il « Dio da Dio, luce da luce » (Credo) che disperde le tenebre del peccato. « Gesù è la vera luce che viene a illuminare il mondo immerso nelle tenebre » (Or.). «Col Mistero dell’Incarnazione del Verbo, dice il Prefazio, un nuovo raggio di splendore del Padre ha brillato agli occhi della nostra anima, perché, mentre conosciamo Iddio sotto una forma visibile, possiamo esser tratti da Lui all’amore delle cose invisibili ». « La bontà del nostro Dio Salvatore si è dunque manifestata a tutti gli uomini per insegnarci a rinunciate alle cupidigie umane, per redimerci da ogni bassezza e per fare di noi un popolo gradito, e fervente di buone opere» (Ep.). «Si è fatto simile a noi perché noi diventiamo simili a Lui (Secr.) e perché dietro il suo esempio possiamo condurre una vita santa » (Postcom.). « È cosi che vivremo in questo mondo con temperanza, giustizia e pietà, attendendo la lieta speranza e l’avvento della gloria del nostro grande Iddio Salvatore e nostro Gesù Cristo » (Ep.). Come durante l’Avvento, la prima venuta di Gesù ci prepara dunque alla seconda.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps II: 7.
Dóminus dixit ad me: Fílius meus es tu, ego hódie génui te

(Il Signore disse a me: tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato).
Ps II:1
Quare fremuérunt gentes: et pópuli meditáti sunt inánia?

[Perché si agitano le genti: e i popoli ordiscono vani disegni?]

Dóminus dixit ad me: Fílius meus es tu, ego hódie génui te.

[Il Signore disse a me: tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato].

Oratio

Orémus.
Deus, qui hanc sacratíssimam noctem veri lúminis fecísti illustratióne claréscere: da, quǽsumus; ut, cujus lucis mystéria in terra cognóvimus, ejus quoque gáudiis in coælo perfruámur:

[O Dio, che questa notta sacratissima hai rischiarato coi fulgori della vera Luce, concedici, Te ne preghiamo, che di Colui del quale abbiamo conosciuto in terra i misteriosi splendori, partecipiamo pure i gaudii in cielo:]

Lectio

Léctio Epístolæ beati Pauli Apóstoli ad Titum
Tit 2:11-15
Caríssime: Appáruit grátia Dei Salvatóris nostri ómnibus homínibus, erúdiens nos, ut, abnegántes impietátem et sæculária desidéria, sóbrie et juste et pie vivámus in hoc sǽculo, exspectántes beátam spem et advéntum glóriæ magni Dei et Salvatóris nostri Jesu Christi: qui dedit semetípsum pro nobis: ut nos redímeret ab omni iniquitáte, et mundáret sibi pópulum acceptábilem, sectatórem bonórum óperum. Hæc lóquere et exhortáre: in Christo Jesu, Dómino nostro.

[Carissimo: La grazia salvatrice di Dio si è manifestata per tutti gli uomini e ci ha insegnato a rinnegare l’empietà e le mondane cupidigie, e a vivere in questo mondo con temperanza, giustizia e pietà, aspettando la lieta speranza e la manifestazione gloriosa del nostro grande Iddio e Salvatore nostro Gesù Cristo. Egli ha dato sé stesso per noi, a fine di riscattarci da ogni iniquità, e purificare per sé un popolo suo proprio, zelante per buone opere. Insegna queste cose e raccomandale: in nome del Cristo Gesù, Signore nostro.]

Aspirazione. Siate benedetto, o mio divin Salvatore, che vi siete degnato di scendere dal cielo e rivestirvi di nostra carne mortale, per venire ad insegnarmi il cammino giustizia! Riconoscente a sì grande amore e per profittare di un sì gran benefizio, rinunzio ad ogni empietà e ad ogni inimicizia, ai piaceri della carne ed a tutte le azioni, parole, pensieri che potessero dispiacervi, e prometto fermamente di vivere con temperanza, giustizia e pietà. Deh! la vostra grazia, o mio Dio, mi renda fedele ai disegni che essa m’ispira!

(Goffinè: Manuale per la santif. della Domenica, etc …)

Graduale

Ps CIX:3; 1
Tecum princípium in die virtútis tuæ: in splendóribus Sanctórum, ex útero ante lucíferum génui te.
[Con te è il principato dal giorno della tua nascita: nello splendore dei santi, dal mio seno ti ho generato, prima della stella del mattino.]

V. Dixit Dóminus Dómino meo: Sede a dextris meis: donec ponam inimícos tuos, scabéllum pedum tuórum. Allelúja, allelúja.

[V. Disse il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra: finché ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi. Allelúia, allelúia.]

Ps II: 7
V. Dóminus dixit ad me: Fílius meus es tu, ego hódie génui te. Allelúja.

[V. Il Signore disse a me: tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secundum Lucam
Luc II: 1-14
In illo témpore: Exiit edíctum a Cæsare Augústo, ut describerétur univérsus orbis. Hæc descríptio prima facta est a præside Sýriæ Cyríno: et ibant omnes ut profiteréntur sínguli in suam civitátem. Ascéndit autem et Joseph a Galilæa de civitáte Názareth, in Judæam in civitátem David, quæ vocatur Béthlehem: eo quod esset de domo et fámilia David, ut profiterétur cum María desponsáta sibi uxóre prægnánte. Factum est autem, cum essent ibi, impléti sunt dies, ut páreret. Et péperit fílium suum primogénitum, et pannis eum invólvit, et reclinávit eum in præsépio: quia non erat eis locus in diversório. Et pastóres erant in regióne eádem vigilántes, et custodiéntes vigílias noctis super gregem suum. Et ecce, Angelus Dómini stetit juxta illos, et cláritas Dei circumfúlsit illos, et timuérunt timóre magno. Et dixit illis Angelus: Nolíte timére: ecce enim, evangelízo vobis gáudium magnum, quod erit omni pópulo: quia natus est vobis hódie Salvátor, qui est Christus Dóminus, in civitáte David. Et hoc vobis signum: Inveniétis infántem pannis involútum, et pósitum in præsépio. Et súbito facta est cum Angelo multitúdo milítiæ coeléstis, laudántium Deum et dicéntium: Glória in altíssimis Deo, et in terra pax hóminibus bonæ voluntátis.

[In quel tempo: Uscì un editto di Cesare Augusto che ordinava di fare il censimento di tutto l’impero. Questo primo censimento fu fatto mentre Quirino era preside della Siria. Recandosi ognuno a dare il nome nella propria città, anche Giuseppe, appartenente al casato ed alla famiglia di Davide, andò da Nazareth di Galilea alla città di Davide chiamata Betlemme, in Giudea, per farsi iscrivere con Maria sua sposa, ch’era incinta. E avvenne che mentre si trovavano lì, si compì per lei il tempo del parto; e partorì il suo figlio primogenito, lo fasciò e lo pose in una mangiatoia, perché non avevano trovato posto nell’albergo. Nello stesso paese c’erano dei pastori che pernottavano all’aperto e facevano la guardia al loro gregge. Ed ecco apparire innanzi ad essi un Angelo del Signore e la gloria del Signore circondarli di luce, sicché sbigottirono per il gran timore. L’Angelo disse loro: Non temete, perché annuncio per voi e per tutto il popolo un grande gaudio: infatti oggi nella città di Davide è nato un Salvatore, che è il Cristo Signore. Questo sia per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, giacente in una mangiatoia. E d’un tratto si raccolse presso l’Angelo una schiera della Milizia celeste che lodava Iddio, dicendo: Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà.]

Omelia

(Mons. G. Bonomelli: MISTERI CRISTIANI, I vol. Queriniana, Brescia, 1894)

Il nascimento di Gesù Cristo

Signori! Voi ora avete udita la narrazione che S. Luca, unico dei quattro Evangelisti, ci lasciò del nascimento di Gesù Cristo e dei particolari semplicissimi, che lo accompagnarono. È una narrazione, che abbiamo udito cento e cento volte, eppure ci torna sempre bella e cara come la memoria dell’infanzia. Quella capanna abbandonata, quei poveri sposi, Giuseppe e Maria, che si ricoverano nel cuore della notte, quella mangiatoia, quel Bambino, che avvolto in fasce sopra vi è adagiato, quegli angeli, che aleggiano e cantano sulla capanna e chiamano i pastori, i primi pastori, che accorrono dai vicini colli e adorano  il nato Salvatore del mondo, formano un quadro d’una semplicità incantevole, d’ una bellezza impareggiabile, che rapisce il cuore. In quella deserta capanna tutto parla a chi ha scintilla di fede. Quell’Infante celeste, promesso da Dio, annunziato dai patriarchi e dai profeti, simboleggiato nei riti della sinagoga, aspettato confusamente da tutti i popoli, nel quale si concentrano i desideri e le speranze tutte del passato e si concentreranno l’ammirazione, la fede e l’amore dei futuri, quell’Infante celeste non sa articolare un solo accento; piange e vagisce anch’egli come l’ultimo bambino del popolo; ma se  tace la lingua parlano le opere. E che dicono l’opere sue? Ciò che più tardi confermeranno le parole, secondo la bella frase di S. Bernardo – lam clamat exæmplo quod postmodum conmaturus est verbo – In questo ragionamento, che è piuttosto una Omelia, noi seguiremo passo passo il racconto evangelico, cavandone quelle pratiche applicazioni che per essere comuni non cessano d’essere interessanti e importantissime. Il racconto evangelico, che vi ho riportato, ha tre parti distinte: la prima comincia dal primo versetto e si chiude col sesto e narra il viaggio di Giuseppe e Maria da Nazaret a Betlemme e la ragione del viaggio: la seconda parte si racchiude tutta nel versetto settimo e narra il nascimento di Gesù Cristo: la terza corre dal settimo al decimo-settimo versetto e contiene l’annunzio angelico datone ai pastori e la loro andata a Betlemme. L’Impero romano, dopo le ferocissime guerre civili, che l’aveano riempiuto di stragi e di sangue, era composto in pace profonda: il tempio di Giano era chiuso e Cesare Augusto vedeva le aquile romane temute e rispettate dal Tigri al Tago, dal Reno al Nilo. La civiltà, quella che era possibile nel paganesimo, avea toccato il supremo fastigio: nel foro risuonavamo ancora le voci di Ortensio e Cicerone, le odi di Orazio si cantavano per le vie e i versi del dolce Virgilio, che salutavano il rinnovamento del secolo e la prole celeste erano sulle bocche di tutti. I tempi erano mutati: lo scettro di Giuda era caduto nelle mani d’uno straniero, si compivano le settanta settimane e il mondo aspettava il Salvatore. Un’umile verginella di Nazaret, a tutti ignota, lo portava nel suo seno intemerato e il giorno, in cui dovea comparire sulla terra era vicino. Ma vi era un vaticinio, celebre in Israele, il vaticinio di Michea (. 2): esso diceva a chiara note che il Promesso duce d’Israele sarebbe nato in Betlemme: ora la Vergine vivea in fondo alla Galilea, a Nazaret, precisamente nella regione più lontana da Betlemme. Come dunque si adempirà la parola del profeta? Tutto è nelle mani di Dio e delle sue parole non cade un apice solo. Gli uomini operano liberamente ed anche seguendo le loro passioni servono inconsci ai suoi disegni e se ne fanno i suoi esecutori fedeli. Udite il Vangelista. « A que’ giorni uscì un editto da Cesare Augusto perché si facesse il censo del mondo intero: questo censo fu il primo, che si facesse, essendo Quirino preside della Siria. Qual’era il fine che mosse Cesare Augusto ad imporre quel censo? La Storia nol dice, ma è troppo naturale che fosse quello di determinare i tributi e regolare l’amministrazione dell’immenso Impero e fora’ anche l’orgoglio di poter dire con certezza: – Tanti milioni si curvano sotto il mio scettro! – Chi mai poteva immaginare, che quel decreto dell’Imperatore romano adempiva il vaticinio d’ un profeta, vissuto sei secoli prima e obbligava a un lungo viaggio il figlio di Dio fatto uomo, i Vicari del quale un giorno si sarebbero assisi sul suo trono istesso! – Impariamo a rispettare e venerare i consigli di Dio in tutti i fatti degli uomini, perché a lui servono i buoni e i cattivi, Davide come Saule, Ciro come Zorobabele. La Palestina allora non era propriamente provincia dell’Impero romano, ma n’era re Erode: re tributario dovette sottostare a quel censimento delle persone e delle sostanze, che preludeva alla prossima unione all’ Impero. Il censimento, secondo l’uso degli Ebrei, richiedeva che ciascuno dovesse recarsi nella tribù o nella città, donde teneva l’origine e perciò Giuseppe dovette recarsi a Betlemme e condursi seco Maria, ancorché già presso a dare alla luce. Entrambi in quel decreto videro il dito di Dio, che li conduceva là dove secondo i Profeti doveva nascere il Salvatore del mondo. Da Nazaret a Betlemme vi sono circa quattro giornate di cammino, che è quanto dire circa 80 chilometri, pigliando la via dritta, che attraversa la pianura di Iesrael, tocca Betulia, Sichem e Gerusalemme, la via battuta dalle carovane. La povera gente camminava a piedi, guidando per lo più 1’umile cavalcatura del povero, il giumento col carico delle provvisioni necessarie e di cui talvolta usava per alleggerire la fatica. La carovana, in cui gli uomini viaggiavano separatamente dalle donne, sostava a quando a quando all’ombra di qualche albero o presso qualche fonte e per difendersi dal calore del sole si raccoglieva nel Khan o caravan-serragli, specie di recinto di pietre gregge, che sorgeva all’ingresso d’ogni villaggio e offriva un miserabile riparo ai viaggiatori ed alle bestie. Allo spuntare dell’alba, la carovana si metteva in cammino, cantando i salmi, che si riferiscono a Gerusalemme e al tempio (Didon, Vol. I, pag. 50). Era uno spettacolo di fede e di pietà, che riflette mirabilmente il carattere dei popoli orientali, grave, solenne e profondamente religioso. – Maria e Giuseppe, seguendo la carovana, attraversata Gerusalemme e fatto ivi secondo ogni verosimiglianza una sosta più o meno lunga, ripresero il cammino alla volta di Betlemme, che dista circa dieci chilometri, nella direzione di mezzogiorno. Il paese è tutto rotto a valli, colli e burroni e Betlemme giace sopra due colline, che si congiungono in forma di semicerchio e formano un grandioso anfiteatro verdeggiante e coperto di viti e di olivi, di fichi e di mandorli. Poco lungi si vede il campo, dove Ruth, la povera moabita, spigolava e lì presso il piccolo colle, su cui era l’aia di Booz. Ecco la patria di Davide, che vi custodiva il gregge paterno: ecco il luogo, che Dio ha scelto e dove vedrà la luce il Figliuol suo. Maria e Giuseppe vi dovettero giungere in sul fare della sera: il carovan-serragli, o albergo di Betlemme, era ingombro e pei due poverelli non v’era più luogo, scrive 1’Evangelista – Non erat eis locus in diversorio -. Nei fianchi dei monti e dei colli di Palestina, che sono calcarei, spesso la natura e talvolta la mano dell’uomo qua e là hanno aperto ampie fessure e caverne e profondi scavi, che si nascondono nelle viscere della terra; in uno di quegli scavi, che talora serviva di riparo agli animali ed anche agli uomini che forse si chiamava la stalla, i due viaggiatori, stanchi del cammino, trovarono un ricovero (Didon, 1. c.) Fratelli! Non vi sia grave udire alcune considerazioni volgari, si, ma sempre belle e acconce ad ogni stato di persone e che scaturiscono dal racconto evangelico. Noi vediamo le due più sante creature, che fossero sulla terra, Giuseppe e Maria, ubbidire con gravissimo loro disagio al comando d’un Imperatore straniero e per giunta pagano; ciò è nulla: noi vediamo lo stesso Figliuol di Dio, il Salvatore del mondo, che sta per nascere, nella Madre e colla Madre ubbidire allo stesso comando, con qual disagio, pensatelo voi, che sapete per fede, Gesù Cristo dal primo istante di sua incarnazione aver avuto perfettissimo conoscimento d’ogni cosa, anzi aver avuto la visione beatifica. Ecco, o signori e fratelli miei, il modello sovrano della nostra condotta per ciò che riguarda le Autorità costituite anche politiche e civili. Se vi erano persone, che potevano sottrarsi al dovere della ubbidienza verso di esse, erano Giuseppe e Maria e sopra tutto il nascituro Figliuolo di Dio, supremo legislatore del cielo e della terra. Eppure ubbidiscono prontamente, non si lagnano del lungo cammino, del rigore della stagione: non mettono innanzi ragioni o privilegi: non cercano se l’autorità che comanda è legittima, né perché comandi: nulla di tutto ciò: obbediscono semplicemente. Noi Cristiani cattolici dobbiamo seguire tanto esempio. La nostra regola immutabile è stabilita da S. Paolo, che dice ai Cristiani di Roma, ai tempi di Nerone « Ogni uomo è sottoposto alle podestà superiori, perché non vi è podestà se non da Dio: e le podestà che sono, sono da Dio ordinate, a talché chi resiste alle podestà resiste all’ordine di Dio ». Noi cristiani cattolici, fissi gli occhi sull’esempio della santa Famiglia e fermi nella dottrina del grande Apostolo, dinnanzi alle Autorità non discutiamo: non domandiamo le prove della loro origine, né esaminiamo i titoli della loro legittimità: al di sopra di loro vediamo Iddio, che regge le cose umane e fa passare lo scettro dall’uno all’altro monarca come e quando gli piace: noi non guardiamo agli uomini che tengono il potere, ma sì al potere, che è nelle loro mani: questo è sempre da Dio anche quando è in mani inique, come sull’altare è sempre il ministro di Dio, che parla e offre i sacri misteri, ancorché indegno. Noi cristiani cattolici non ci rivoltiamo mai contro le Autorità, le rispettiamo ed ubbidiamo, non solo per timore, ma per coscienza, pel sentimento del dovere, perché in una parola, ubbidiamo a Dio. Che se codeste Autorità ci comandano ciò che offende Dio e le sue leggi, allora noi senza timore e con ogni rispetto rispondiamo cogli Apostoli: – Si deve ubbidire prima a Dio e poi agli uomini. Fate ciò che volete di noi, non possiamo calpestare la nostra coscienza e fallire ai nostri doveri verso Dio. E questa la nostra regola in faccia a Diocleziano, come in faccia a Costantino, a Carlo Magno o Enrico VIII, dinnanzi ad una repubblica, come dinnanzi ad un Impero, dinnanzi ad un corpo legislativo, come ad un corpo esecutivo. E questa la libertà, che ci ha portata il Vangelo di Cristo, allorché disse: – Rendete a Dio ciò che è di Dio e a Cesare ciò che spetta a Cesare -. Vi piaccia contemplare coll’occhio della fede i due viaggiatori, che da Nazaret salgono a Betlemme. Vedeteli questi due sposi, che non si separano un solo istante, sempre a fianco l’uno dell’altro: pieni di affetto riverente mettono ogni studio in compiacersi a vicenda: i loro cuori si intendono a meraviglia; parlano tra loro con voce piana e soave, ma non delle cose della terra: i loro pensieri come i loro discorsi sono tutti di cielo; non un lamento, non ombra di timore o sconforto; in ogni cosa veggono la mano amorosa della Provvidenza e da essa si lasciano docilmente condurre. Sempre lieti e tranquilli portano sulla fronte la serenità imperturbabile dell’animo. Amabili, cortesi con tutti, non cercano, non schivano la compagnia di persona, felici di rendere a tutti qualche servigio se possono: nascondono studiosamente il mistero, del quale essi soli posseggono il segreto e gustano la gioia di trovarsi in mezzo a quella turba di poveri e di anime pie, che con essi salgono verso Betlemme. Quanta pace! Quanta modestia! Quanta umiltà! Quanta fede e quale abbandono in Dìo! I compagni di viaggio li miravano stupiti, li segnavano a dito e li circondavano di rispetto religioso; parea che dagli sguardi, dagli atti e dalla persona di quo’ due sposi raggiasse una luca divina, un’aura di paradiso. L’Uomo-Dio, l’aspettato Redentore del mondo camminava con essi e schiere di angeli invisibili e venerabondi li seguivano e spandevano intorno un profumo di cielo, ammiranti tanta grandezza e tanta povertà, tanta virtù congiunta a tanta umiltà e semplicità. I due pellegrini, come dicevamo, non trovato luogo nel Khan o caravan serragli, si erano ridotti in una di quelle grotte od in uno di quegli scavi, che si vedono ancora a metà costa della collina per trovarvi un riparo nella notte, che cadeva. Grande Iddio! Ed è qui, in questa grotta, che deve venire alla luce il vostro Figliuolo, il sospirato Messia? E questo il palagio, è questa la reggia, che avete preparata a Colui, che deve essere il Re di tutte le nazioni e che voi dalla eternità generate di voi stesso tra gli splendori dei santi? La ragione si confonde, si smarrisce e non ci resta che credere al Vangelo e adorare in silenzio il mistero di fede e di amore, che sta per compirsi. In un cielo limpidissimo, com’è in Oriente, scintillano le stelle e lo dipingono per tutti i seni; il confuso rumore del giorno a poco a poco si è dileguato; qua e là per le capanne sparse lungo le colline e nel gruppo di case, che formano Betlemme, appariscono e spariscono lumi incerti; la notte col nero suo manto avvolge tutte le cose e il silenzio regna profondo e solenne in tutta la valle e intorno alla fortunata grotta. Accostiamoci riverenti e vediamo che cosa avviene in quell’antro, che sta per tramutarsi in un paradiso. Giuseppe, tutto raccolto in sé, in un angolo, prega e medita; la Vergine, le mani giunte, gli occhi fissi in alto e pieni di letizia, circonfusa d’una luce celeste, più simile ad un Angelo che ad una creatura terrestre, sembra estatica e tutta rapita in Dio. – In quel silenzio beato, nel cuore della notte, ecco nato sul duro terreno un bambino, che tende le picciolette e tremanti mani alla Vergine e tacitamente chiede le cure materne. Ella estatica lo contempla, si inginocchia, l’adora, lo piglia tra le sue braccia, cogli occhi ineffabilmente ridenti e gonfi di lagrime lo mostra a Giuseppe, lo bacia, lo avvolge tra le fascia e lo depone sulla paglia della mangiatoia. È il Vangelo che dice tutto questo con una semplicità sublime e inarrivabile. Udite le sue parole: « E partorì il Figliuolo suo primogenito e lo fasciò e lo reclinò in una mangiatoia, perché per loro non vi era un posto nell’albergo ». Il fatto più grande, che si incontri in tutta la storia, a cui e legata la sorte dell’umanità tutta quanta, si  contiene in questa sentenza brevissima! Non un accenno di stupore, non una parola di compatimento pel parvolo, che soffre, per la madre sì povera: non un cenno alla durezza ed alla ingratitudine degli uomini, che non hanno un asilo per questi tre abbandonati e nemmeno un cenno alla futura grandezza del nato bambino: nulla: la narrazione nuda, brevissima del fatto e nient’altro! « Colei che era divenuta madre, rimanendo vergine, vergine partorisce. Il Vangelo lo lascia capire: ella non conosce né la debolezza, né lo sfinimento delle madri comuni. E dessa che raccoglie il suo bambino, è dessa che lo colloca nella culla allora trovata. La fede cristiana rimase in ginocchio dinnanzi a questa donna e al bambino, che riposa sul suo seno: contemplandola, apprese dolcezza, la povertà, il sacrificio; di questa scena ineffabile essa si creò in ogni tempo visioni novelle senza stancarsi mai, senza mai esaurirne la forza, la bellezza, l’incanto » (P. Didon, pag. 52). – Ponete mente a questa parola – Primogenito – con cui il Vangelista designa il divino Infante. Forrsechè con essa il Vangelo vuole insinuarci, che Maria ebbe altri figli? Tolga il cielo! Sarebbe manifesta eresia, giacché noi salutiamo Maria quale vergine per eccellenza, sempre vergine. La parola primogenito significa il primo nato? Che può essere primo ed ultimo, unico, come crediamo essere stato Gesù Cristo. E chi può mai credere che Maria, sì tenera e gelosa della sua verginità, ch’era disposta a rifiutare la gloria della maternità divina, se questa le avesse tolta quella, potesse poi farne getto? Chi potrebbe mai immaginare, che dopo essere diventata madre con sì strepitoso miracolo, rimanendo vergine, volontariamente a tanta gloria rinunciasse? Come credere, scrive S. Tommaso, che, avendo ricevuto dal cielo tal Figlio, potesse desiderare d’averne altri? O Maria, o Vergine e Madre! Noi ci prostriamo ai vostri piedi e crediamo che questi due titoli sì gloriosi si accoppiano in voi in guisa, che l’uno abbellisce e compie l’altro e insieme congiunti fanno di voi un miracolo quale il mondo mai non vide, né vedrà l’uguale. Voi foste simile ad un albero gentile, che sotto i raggi del sole e la rugiada del cielo cresce, cresce sempre e di sé germoglia un fiore candido come la neve e nel fiore germoglia il frutto, che maturo si stacca da sé e fiore e frutto sono lavoro della pianta, che non pure non ne riceve offesa, ma bellezza e decoro. Dio, scrisse il Nazianzeno, è la fonte della purezza e della verginità, anzi è la stessa purezza e verginità e perciò quanto più l’anima si avvicina a Dio e tanto più diventa pura e vergine, simile, ad una nube che più si imbianca e si imporpora quanto più si solleva da terra e più diritti riceve i raggi del sole. Maria sì alta levossi e tanto si avvicinò a Dio, che tutta fu penetrata e investita della sua virtù, lo toccò nell’essere suo immediatamente per guisa, che nel proprio seno ricevette il Figlio di lui e lo vestì della propria carne e così vestito lo porse a tutta la progenie di Adamo. Nessuna creatura fu più vergine di Maria e la sua purezza e verginità allora toccò il sommo grado della perfezione quando divenne madre, onde questi due titoli, che nelle altre donne si escludono a vicenda, in Maria si uniscono per modo che a vicenda si perfezionano. Maria concepì vergine e la sua generazione nel tempo è simile alla generazione del Padre nella eternità. Ecce virgo concipiet – Maria diede alla luce vergine – Natus ex Maria Virgine – Il raggio del sole attraversa l’aria, l’acqua e il cristallo, eppure l’aria e l’acqua non tremolano tampoco e il cristallo non si spezza, né si appanna. Io penso e il mio pensiero si genera nel fondo dell’anima mia senza sforzo, senza divisione: penso, e il mio pensiero, pur rimanendo tutto nei penetrali dell’anima mia, invisibile a tutti, tutto intero esce dall’anima mia, si veste del suono e del segno esterno e diventa sensibile e visibile, a tutti si manifesta senza che avvenga dentro o fuori di me ombra di divisione. Similmente Gesù nasce da Maria, rimanendo inviolata la sua verginità – Natus ex Maria Virgine – . Poco lungi da Betlemme, a levante e a mezzogiorno, s’apre una bella e ricca valle. In quella anche nella stagione invernale, giorno e notte, andavano errando e pascendo numerosi greggi, secondo l’uso orientale. Mentre nella grotta si compiva il mistero, che S. Paolo chiama nascosto ai secoli: mentre la piccola città di Betlemme era sepolta nel sonno, lo spirito di Dio comincia quell’opera, che avrà fine col termine dei tempi. Lungo la valle, che si distende ad oriente e a mezzogiorno di Betlemme, alcuni pastori vegliavano e facevano la guardia al loro gregge. Erano forse i soli uomini, che a quell’ora vegliavano ed erano certamente tra più poveri della contrada, 2) (Il P. Didon che per due anni visse e studiò in Palestina, nella Vita di Gesù, pag. 53, scrive: – 1 pastori in Oriente rappresentano la classe infima della popolazione agricola: sono i servi dei servi dei servi. Il padrone del campo non lavora : ha i suoi lavoratori, i suoi operai i guardiani dei greggi. I pastori si vedono ancor oggi, la testa coperta d’un lungo velo nero, una pelle di montone sulle spalle, i pie’ nudi o avvolti in miserabili sanigli, un piccolo bastone di abete o di sicomero in mano.) ma di costumi semplici e pieni di fede antica; a questi uomini, che vegliano, che sono poverissimi, ma ricchi di virtù, è riserbato l’alto onore d’essere chiamati pei primi ad adorare il nato Salvatore, ad essere la primizia dei credenti in Israele. Gran cosa, o fratelli! I primi uomini che sono reputati degni di vedere e adorare il Figlio di Dio fatto uomo, non sono i ricchi, non sono i dotti, non sono i grandi, i re della terra, ma i poveri, gli ignoranti, gli ultimi del popolo. E questo il carattere della Religione, che Gesù Cristo porta sulla terra, la preferenza per le classi spregiate e sofferenti, perché queste dalla povertà e dal dolore meglio preparate al conoscimento della verità, più prontamente ubbidiscono alla sua voce. E in vero come mai i grandi, i ricchi, i potenti della terra, a quell’ora sepolti nel sonno, o intesi ai trastulli e ai piaceri, avrebbero udita la voce di lui e sarebbero accorsi a’ suoi piedi? Come mai, essi pieni di fasto e di orgoglio, si sarebbero prostrati dinnanzi ad un bambino adagiato sulla paglia di una mangiatoia? Dio nell’ordine soprannaturale come nel naturale opera per mezzo delle cause seconde e gli angeli sono gli ordinari messaggeri del suo volere; ed ecco un angelo, credo de’ primi, apparve a que’ pastori « e un fulgore divino li ravvolse, sicché essi forte temettero ». Le apparizioni degli esseri celesti sono quasi sempre accompagnate da irradiamenti di luce. Forsechè gli angeli sono luce e di lor natura diffondono intorno a sé onde luminose? No, per fermo; gli Angeli sono sostanze spirituali di ben altra natura di questa luce, che si spande per ogni dove nell’atmosfera. Gli esseri invisibili (e tali sono gli angeli) a noi esseri visibili non possono far conoscere la loro presenza e la loro azione se non mercé di manifestazioni esterne e perciò devono usare di cose sensibili, e poiché la luce tra le cose sensibili è la più bella e meglio d’ogni altra rappresenta la perfezione degli spiriti, di questa si mostrano ammantati e in questa sogliono far sentire la loro presenza. Quella luce sfolgorante in mezzo alle fìtte tenebre della notte riempì naturalmente di timore qne’ poveri pastori e subitamente l’angelo, per assicurarli, disse: « Non temete. Anzi rallegratevi, perché vi do l’annuncio, che dee riempire voi e tutto Israele d’immensa gioia. A Betlemme, la città di Davide, è nato il Salvatore e lo riconoscerete a questo segno: troverete un bambino, avvolto tra fasce e reclinato in una mangiatoia. » E son questi, o signori, i segni per riconoscere il Messia, il Figlio dell’Eterno, divenuto Figlio dell’uomo? I segni della debolezza, dell’estrema povertà? così è: l’orgoglio umano avea bisogno d’esser fiaccato ed è questa la prima lezione che ci è data a Betlemme. E vero, tanta debolezza e povertà poteva essere uno scandalo, poteva offendere la ragione e mettere a pericolo la fede de’ pastori; ma Dio dispone ogni cosa con somma sapienza e mentre da un lato umilia l’orgoglio degli uomini collo spettacolo della grotta di Betlemme, dall’altro conforta ed avvalora la fede coll’annunzio celeste degli ‘angeli: se le fasce e la mangiatoia mostrano la debolezza e la povertà estrema dell’Infante celeste, il messaggio degli Angeli, la luce che li avvolge, provano ad evidenza ch’egli è veramente il promesso Salvatore. Sempre così: la vita di Gesù Cristo, dalla mangiatoia alla croce, ci dispiega sotto gli occhi l’incessante alternativa della debolezza massima e della massima grandezza, della potenza propria di Dio e della infermità propria dell’uomo: così si rivela costantemente la doppia natura di Cristo, e mentre per una parte siamo costretti a vedere in Lui l’uomo, per l’altra dobbiamo riconoscere in Lui Dio e la nostra fede in Lu i , Dio-Uomo, è perfettamente stabilita. – E mentre così parlava co’ pastori l’Angelo, una moltitudine d’altri Angeli a quello si unì e insieme cantavano lodando Dio: « Gloria nel più alto de’ cieli a Dio e in terra pace agli uomini di buon volere ». Tutto ciò che avviene quaggiù, lassù in Cielo è preveduto e voluto e tutti i fatti, che si svolgono sulla terra, sono l’effetto delle cause invisibili e arcane, che operano in cielo. E bene a ragione si può dire, che tutto il mistero della vita di Cristo, che oggi nasce, si racchiude in queste due parole, che riempiranno lo spazio e i secoli: Gloria e pace! Gloria a Dio in Cielo, pace agli uomini in terra (Didon 1. c.). — E perché gloria a Dio? Perché Dio si è abbassato fino a farsi uomo e perché un uomo ora è Dio! Perché Dio fatto uomo, disvela la smisurata grandezza dell’amore suo e dispiega le ricchezze della sua sapienza, della sua potenza, della sua giustizia, di tutte le sue perfezioni. Gloria a Dio, perché ora si dischiudono le porte de’ cieli e gli uomini, riconciliati con Dio, rifatti secondo la sua immagine, vi potranno entrare e cresceranno le lingue, che lassù lo esaltano e cantano le sue grandezze. Pace agli uomini in terra, perché il maestro divino è comparso in mezzo a loro, perché la vittima espiatrice de’ loro falli è preparata e comincia il sacrificio, che più tardi sarà consumato sul Golgota. Ciò, che porta la pace agli uomini, glorifica Dio, e ciò che glorifica Dio porta la pace agli uomini. In questo giorno Dio dall’alto de’ cieli vede per la prima volta nato sulla terra un figlio innocente, santo, immacolato, eguale a sé e a cui può e deve dire: – Tu sei il Figliuol mio diletto: in te trovo tutte le mie compiacenze -. Oggi per la prima volta dalla terra s’innalza un grido, un gemito, che placa Iddio, e gli rende un onore adeguato, degno di lui. Oggi Iddio dall’ alto de’ cieli vede il Figliuol suo unigenito vestito della forma umana e, abbracciando Lui, non può non abbracciare tutti i fratelli suoi secondo la carne e perciò è fatta la pace tra il cielo e la terra, tra Dio e gli uomini. Gloria adunque a Dio in alto e pace in terra agli uomini. Ma a quali uomini? Agli uomini di buona volontà, bonæ voluntatis: non agli uomini pigri, non agli uomini indolenti, non ai malevoli, ma agli uomini alacri, pronti, benevoli, di buona volontà. – Le anime semplici, rette, di buona volontà, ancorché spesso digiune d’ ogni scienza, illuminate da Dio, non so come, hanno uno sguardo netto, acuto, sicuro più dei dotti; hanno l’attrazione, l’istinto santo della verità e tosto l’afferrano. La fede semplice e docile va dritta a Dio, mentre la scienza gonfia e superba discute, è restìa, e si smarrisce nel labirinto delle prove e dei dubbi. I Pastori hanno veduta la luce, hanno udito la voce degli Angeli, che li invitano a Betlemme; non frappongono indugio e chiamandosi gli uni gli altri, gridano: – Andiamo, andiamo a Betlemme, a vedere questo fatto che è avvenuto e che il Signore ci ha manifestato; e vennero in fretta e trovarono Maria, Giuseppe e il bambino posto sulla mangiatoia -. Ciò che dicessero e facessero que’ pastorelli là nella grotta di Betlemme, chi ha filo di fede in cuore, può troppo bene immaginarlo. Fratelli dilettissimi! Uomini di buona volontà, pieni di fede e docili come i pastori, in spirito, andiamo, andiamo noi pure a Betlemme; vediamo il mistero d’amore, che vi si è compiuto e, prostrati a’ piedi di quella mangiatoia, facciamo ciò che la fede e l’amore ci domandano.

IL CREDO

Credo …

Offertorium

Orémus
Ps XCV:1 1:13
Læténtur cæli et exsúltet terra ante fáciem Dómini: quóniam venit.

[Si allietino i cieli, ed esulti la terra al cospetto del Signore: poiché Egli è venuto.]

Secreta

Acépta tibi sit, Dómine, quǽsumus, hodiérnæ festivitátis oblátio: ut, tua gratia largiénte, per hæc sacrosáncta commércia, in illíus inveniámur forma, in quo tecum est nostra substántia:

[Ti sia gradita, o Signore, Te ne preghiamo, l’offerta dell’odierna solennità: affinché, aiutati dalla tua grazia, mediante questi sacrosanti scambi, siamo ritrovati conformi a Colui nel quale la nostra sostanza è unita alla Tua:]

Prefatio de Nativitate Domini

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Quia per incarnáti Verbi mystérium nova mentis nostræ óculis lux tuæ claritátis infúlsit: ut, dum visibíliter Deum cognóscimus, per hunc in invisibílium amorem rapiámur. Et ideo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia coeléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes: Sanctus …

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps CIX:3
In splendóribus Sanctórum, ex útero ante lucíferum génui te.

[Nello splendore dei santi, dal mio seno ti ho generato, prima della stella del mattino.]

Postcommunio

Orémus.
Da nobis, quǽsumus, Dómine, Deus noster: ut, qui Nativitátem Dómini nostri Jesu Christi mystériis nos frequentáre gaudémus; dignis conversatiónibus ad ejus mereámur perveníre consórtium:

[Concedici, Te ne preghiamo, o Signore Dio nostro, che celebrando con giubilo, mediante questi sacri misteri, la nascita del Signore nostro Gesù Cristo, meritiamo con una vita santa di pervenire al suo consorzio:]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

ASPETTANDO GESÙ CHE NASCE…

Nascita di Gesù. — Adorazione dei pastori e dei Magi.

 (A. NICOLAS – LA VERGINE MARIA SECONDO IL VANGELO – S. E. I., Torino – 1938)

CAPITOLO XII.

Il Vangelo, in perfetto accordo col disegno divino, si propone principalmente in mezzo a tutti i suoi racconti, la cui schiettezza quasi indeliberata copre un disegno profondo, si propone, dico, di persuaderci bene, d’imprimerci nello spirito che Gesù Cristo è realmente Dio e uomo allo stesso tempo. Se ci facesse vedere troppo separatamente le testimonianze della sua divinità, noi saremmo tentati di credere che l’umanità sua non fosse che fantastica. Se ce ne facesse vedere altresì troppo separatamente l’umanità, noi crederemmo che la divinità non fosse che metaforica. Perciò Gesù Cristo in tutte le sue azioni, e gli evangelisti nei loro racconti, tengono sempre in una specie di equilibrio tra queste due testimonianze, mostrando sempre l’uomo nel maggiore splendore della sua divinità, e il Dio negli annientamenti che provano maggiormente che Egli è uomo. Per esempio, Gesù risuscita Lazzaro: ecco il Signore della vita e della morte, ecco il Dio; ma, prima di risuscitarlo, è detto: Ed a Gesù vennero le lagrime: ecco l’uomo. Così: Gesù medesimo muore del più ignominioso supplizio, trastullo dei suoi carnefici: ecco il mortale, ecco l’uomo; ma a quell’ultimo sospiro il sole si oscura, la terra trema, i morti risuscitano: ecco il Dio. Percorrete così tutto il Vangelo, notatevi sopra tutto la cura che ha costantemente Gesù Cristo di temperare lo splendore delle sue meraviglie, involandovisi col silenzio e col ritiro, e di mescolar sempre le sue umiliazioni coi suoi trionfi; come, ed esempio, nella entrata in Gerusalemme, quando riceve le adorazioni della Giudea su quell’umile cavalcatura che faceva dire a Bossuet: « Invece che uno schiavo gridava ai trionfatori romani: Ricordati che sei uomo, io sono tentato di ricordare al mio Salvatore che egli è Dio »: percorrete così, io dico, tutto il Vangelo, e voi sarete meravigliati di trovarvi come la chiave della sua economia. – Perciò conveniva che il Figliuolo di Dio, prima di rivelarsi sempre più come tale nei tre ultimi anni della sua vita, e colla trasformazione universale che seguì la sua ascensione, imprimesse largamente e profondamente nelle nostre anime la convinzione della sua umanità per ben trent’anni di vita comune e domestica sulla terra, sia per eccitare la nostra fiducia, sia per correggere il nostro orgoglio. Era soprattutto necessario, per apparire a noi non solamente uomo, ma figliuolo dell’uomo, che Egli si facesse vedere, toccare, maneggiare come fanciullo, e per conseguenza in seno di sua madre, non senza dare allora alcune prove di dignità, la cui grandezza contrappesasse gli abbassamenti così profondi della sua nascente umanità. Di qui tutti i misteri evangelici della nascita e della infanzia di Gesù Cristo; di qui la parte gloriosa che doveva averci la santissima sua Madre. – E siccome il Vangelo ci ha con tanta cura esposti questi criteri solo perché li abbiamo sempre dinanzi agli occhi, affine di farcene coltivare e portare i frutti, di qui ne viene la giustificazione del culto di Maria, Madre di Gesù, la quale ce li rappresenta, e quindi è eminentemente evangelica. – Noi l’abbiamo già detto; non v’ha nulla di gratuito nel Vangelo: tutto ha il valore d’un insegnamento. Ora, il Figliuolo di Dio poteva sicuramente far senza di Maria: il miracolo della sua concezione e della sua nascita verginale, i prodigi celesti che recarono ai suoi piedi i pastori ed i Magi, provano ad esuberanza che sin d’allora Egli era signore della natura. Egli poteva altresì lasciarci ignorare questa prima età della sua esistenza, ed era anzi cosa naturale. Se dunque Egli ha voluto dipendere dalle cure di Maria, andare a Lei debitore delle cure così familiari, intime e sacre di una madre; se Egli ha voluto esser mostrato a tutti in questo stato, e ricevervi le prime adorazioni del cielo e della terra, ciò non poté essere senza onorare Maria e senza volere che noi l’onorassimo. « È stata, come dice benissimo il cardinale di Berulle, una delle grandezze e delle benedizioni della santa Madre di Dio, che suo Figlio siasi voluto manifestare in una età e in una condizione che l’obbligava a manifestarla con Lei ». – Questo è ciò che si rivela soprattutto nel mistero della sua nascita, in quello dell’adorazione dei pastori e in quello dell’adorazione dei Magi.

Noi li studieremo l’uno dopo l’altro.

I.

« Di quei giorni, dice il sacro racconto, uscì un editto di Cesare Augusto, che si facesse il censimento di tutto il mondo. Questo primo censimento fa Cirino, preside della Siria. E andarono tutti a dare il nome, ciascheduno alla sua città. E andò anche Giuseppe da Nazaret, città della Galilea, alla città di David chiamata Betlemme, nella Giudea, per essere egli della casa e famiglia di David, a dare il nome insieme con Maria, sposata a lui in consorte, la quale era incinta » – Luc. II, 1,5 -. Ammiriamo sin dalle prime questa meravigliosa condotta della Provvidenza che, da un lato, avendo fatto predire più di duecento anni prima dal suo profeta Michea che sarebbe nato a Betlemme; dall’altro fa servire la politica di Cesare Augusto a recare e provare l’adempimento di questa profezia. Maria e Giuseppe abitanti nella Galilea non sarebbero venuti in Giudea ed a Betlemme, se non fosse uscito tale editto. Ma lo stesso Cesare ve li condusse con quest’ordine che, obbligando ogni famiglia giudea, qualunque fosse il luogo della sua dimora, a risalire  a quello della sua origine, condusse perciò Giuseppe a Betlemme per esser egli della casa e della famiglia di David, a farvisi registrare con Maria sua sposa. Donde risulta altresì che Maria è della medesima casa e della medesima famiglia; altra prova delle profezie, le quali tutte annunziano come il Messia doveva essere Figliuolo di David. – Lo stesso divin Bambino, nato in quei giorni, dovette similmente essere registrato sulle tavole di Cesare, il quale non sospettava come in quel censimento di tutto il mondo egli iscriveva Colui che dovea esserne per sempre il Dio, nella persona di quel meraviglioso fanciullo, di cui la musa di Virgilio, inconsapevole del fatto, sollecitava coi suoi voti la nascita verginale con questi versi:

Tu modo nascenti puero, quo ferrea primum

Desinet, ac toto surget gens aurea mundo,

Casta fave Lucina…

Così (oh misteriosa continuazione dei disegni di Dio in mezzo alle umane rivoluzioni!) l’universo è conquistato dalla potenza romana, per passare sotto la legge di Gesù Cristo, il quale viene al mondo nel momento preciso in cui questa universale conquista è consumata: e Cesare Augusto, che ne è il trionfatore apparente, scrive di sua mano il nome del Signore Gesù sopra tavole a cui appelleranno in breve Giustino e Tertulliano, come alla testimonianza pubblica di questi divini natali: « Voi potete assicurarcene, dice il primo al mondo pagano, colle tavole del censimento fatte al tempo di Quirino: Voi potete conoscerne la stirpe, dice il secondo, dalle tavole del censimento d’Augusto, testimonianza fedele della nascita divina, conservata nei vostri archivi ». – Cit. da Grozio, annot. In Lucam, p. 18 – Altro argomento di ammirazione si offre a noi in questo avvenimento, e viene a giustificare quanto abbiamo detto precedentemente di questa economia evangelica, che mesce lo splendore e l’oscurità nella vita di Gesù Cristo, e, senza privare la divinità di lui di testimonianze, ne ritarda la compiuta manifestazione col riservarla alla santa Vergine. Il Re del cielo e della terra non doveva venire al mondo senza segni della sua entrata, senza esservi riconosciuto e adorato dalle primizie dei Giudei e dei gentili che Egli era venuto a salvare. Tale fu la ragione della sua manifestazione ai pastori per mezzo degli angeli, ed ai Magi per mezzo della stella miracolosa. Ma questa doppia manifestazione non avrebbe potuto farsi a Nazaret, patria di Gesù Cristo, senza che l’oscurità nella quale Egli voleva rientrare non ne porgesse l’opportunità. La memoria di queste meraviglie si sarebbe conservata fra i suoi, e la voce ne avrebbe pregiudicato il suo mistero. Ma nulla di questo avviene, per la condotta ammirabile di Dio nella nascita del suo Figliuolo. Egli conduce Maria e Giuseppe, per ordine di Cesare, a Betlemme, ove erano poco o nulla conosciuti. Non permette che essi trovino posto in un’osteria, ove sarebbero stati sotto gli occhi altrui. Ma ridotti a ritrarsi in una stalla abbandonata, vi trovarono la solitudine ed il silenzio necessario per conservare il segreto di Dio. I pastori vi vennero ad adorare Gesù Cristo, ma non conobbero né Giuseppe, né Maria; o quello che ne poterono dire non trovò credenza e si cancellò dalla memoria degli uomini; e rispetto ai Magi, se Erode seppe che essi erano venuti a Betlemme, non seppe quello che vi avevano trovato, e il loro ritorno per altra via, ispirato da Dio medesimo, assicurò a Gesù Cristo l’oscurità, nella quale doveva vivere ancora per tanti anni. – E tutto questo avvenne per un concorso naturale di circostanze, con cui la Provvidenza coprì e compose l’adempimento dei suoi disegni.

 Seguiamo il filo.

« Ed avvenne che, mentre quivi si trovavano, giunse per lei il tempo di partorire. E partorì il Figlio suo primogenito, e lo fasciò e lo pose a giacere in una mangiatoia, perché non eravi luogo per essi nell’albergo ». Che ammirabile semplicità di racconto! Questo non è né un mito, né una leggenda; è un fatto vero, schietto, storico: si crede e si vede. Confrontiamo questi natali con le magnifiche promesse dei profeti intorno a questo Gesù, di cui l’Angelo aveva già detto a Maria: « Che Dio gli avrebbe dato la sede di Davide suo padre, che avrebbe regnato nella casa di Giacobbe in eterno, e il suo regno non avrebbe avuto fine »; e consideriamo se un inventore avrebbe potuto essere tanto malaccorto da pregiudicare così la causa da sé abbracciata, facendo nascere il suo eroe in una forma tanto dispregevole e tanto contraria ai suoi destini. Certamente lo stesso narratore ci mostrerà gli Angeli che celebrano questa vile nascita dall’alto dei cieli. Ma il medesimo interesse, il medesimo calcolo che avrebbe fatta inventare questa seconda circostanza, avrebbe evidentemente dovuto far sopprimere la prima, e la sincerità che ha fatto riferir questa, risponde, così, della verità di quella. La mangiatoia ci sta mallevadrice del cielo; gli animali del presepio ci stanno mallevadori degli Angeli. Il Vangelo ci dice che il parto della santa Vergine avvenne nel termine ordinario della natura; e poscia ci dice semplicemente che ella partorì. Se noi non avessimo che questo racconto, dovremmo credere che questo parto fu naturale come il suo termine. Ma il Vangelo ci ha già diversamente istruiti su questo punto; e secondo la sua ordinaria sobrietà, non doveva tornarvi sopra. Difatti, esso ci ha fatto conoscere che Maria aveva concepito il Verbo senza pregiudizio della sua verginità; e ci ha detto altresì che Ella lo avrebbe anche partorito. Sarebbe stato contradditorio ammettere che Ella avesse dovuto perdere nel parto quella verginità che aveva già come stipulata nell’atto di concepire. Il parto e la concezione hanno d’altronde una stretta relazione che rende quello il prezzo doloroso di questa, e di cui per conseguenza Maria era libera. Finalmente, nel racconto dell’annunziazione non è detto solamente: Maria concepirà; ma ancora che: Ella sarà gravida e partorirà un Figliuolo conforme alla profezia: Una Vergine concepirà e partorirà, ed è lo stesso Vangelo che le fa l’applicazione di questa profezia – Matt. I, 23 -. Diciamo dunque colla Chiesa, esprimendo la fede universale dei Cristiani: Virgo prius ac posterius; e, in questo prodigio del parto verginale di Maria, onoriamo la continuazione delle sue grandezze. – Il Vangelo dice che ella partorì il suo Figliuolo primogenito. Noi abbiamo già perentoriamente confuso la stolta obbiezione che trae da questa denominazione di primogenito la conseguenza che Maria avrebbe messo al mondo altri figliuoli dopo Gesù. Ma quanto questa espressione ripugna a questa conseguenza nel senso carnale, altrettanto essa vi si presta nel senso spirituale. « Dio, difatti, ci dice san Paolo, ci ha predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli 5(Rom. VIII, 29); ed è perciò che Egli ha partecipato della nostra carne e del nostro sangue, dovendo essere totalmente simile ai fratelli, affinché divenisse Pontefice misericordioso e fedele presso Dio ». Perciò Maria ha realmente partorito un Figliuolo primogenito, primogenito di tutti i Cristiani, dei quali perciò Ella è veramente la Madre. V’ha di più: siccome, partecipando alla nostra natura, il Figliuolo di Dio si è appropriato in lei tutta la creazione della quale noi siamo il sommario, così Egli è diventato per la sua incarnazione, come anche dice san Paolo, il primogenito di tutte le creature, primogenitus omnis creaturæ (Col. I, 15) espressione la cui sublimità non toglie nulla all’esattezza, e che riflette così sulla Vergine Maria lo splendore più universale. Tutte le creature animate e inanimate, celesti e terrestri, rigenerate, pacificate, consacrate dal Figliuolo primogenito di Maria, salutano in Lei la Madre e la Signora dell’universo. E tutto ciò sotto queste semplici espressioni; Ella partorì il Figliuolo suo primogenito! Non ci faccia stupire adunque che così semplici parole racchiudano un senso così profondo, poiché questo piccolo fanciullo che esse ci mostrano, racchiude e nasconde un Dio. – Maria, dice il Vangelo, lo fasciò e lo pose a giacere… Oh annientamento del Figliuolo! Oh grandezza della Madre! La parola vien meno sotto il peso di questo mistero, la cui esposizione così semplice non fa che renderlo più sublime ai nostri occhi. Ecco come il Figliuolo di Dio ha davvero voluto essere d figliuolo dell’uomo! Ecco come, in questo stato di un bambino, egli viene fasciato e adagiato da sua Madre! Oh! quanto conviene il modo affatto comune con cui ci vien detto questo. alla onnipotenza ed al supremo amore che l’hanno reso intelligibile! – E come altresì la semplicità con cui Maria concorre a questo mistero, la solleva alla sua altezza! Massime se pensiamo che, nell’annunziazione e nella visitazione, ella ne ha ricevuto e manifestata così meravigliosamente l’intelligenza! « Ella ravvivava coi suoi  occhi, dice soavemente sant’Amedeo, ella rimuoveva colle sue mani il Verbo di vita; Ella scaldava col suo fiato colui che scalda e ispira ogni cosa; ella portava colui che porta l’universo; allattava un Figliuolo che versava Egli medesimo il latte nelle sue mammelle, e che alimenta tutte le creature coi suoi doni. Al suo collo pendeva la sapienza eterna del Padre; alle sue spalle si appoggiava Colui che muove tutti gli esseri colla sua virtù; nelle sue braccia e sul suo seno riposava Colui che è il riposo eterno delle anime sante » (Homilia IV, De partu Virginis). Queste antitesi non hanno nulla che non sia esatto. Esse sono la verità medesima di nostra fede, che ci offre nell’incarnazione del Verbo, Dio fatto uomo, perché l’uomo sia fatto Dio: doppia antitesi che compone coi suoi due sensi tutta la tesi del Cristianesimo. – Le grandezze di Maria in questo mistero si compongono altresì degli abbassamenti di Gesù. Ciò che ella ne riceve, è nella proporzione di ciò che vi reca. Tutto ciò che Ella dà al Figliuolo dell’uomo, è a lei reso dal Figliuolo di Dio. Ella lo riveste di fasce, ed Egli riveste lei di grazia e di lume; Ella della sua maternità, ed Egli della sua divinità, et vestis illam et vestiris ab illo. – Lo pose a giacere in una mangiatoia, perché non eravi luogo per essi nell’albergo. Parrebbe che il caso e la necessitàfossero quelli che ridussero Maria a partorire Gesùin una stalla e ad adagiarlo in una mangiatoia. Ma, inrealtà, è la scelta, e la scelta dell’amor materno, dellasapienza infinita, dell’onnipotenza. Quegli che ha posto ilsuo padiglione nel sole, come dice il reale profeta, potevasenza dubbio farsi allestire un posto nell’osteria d’unpiccolo borgo: Egli poteva nascere nel palazzo di Erode o di Cesare, e farsi adorare dal senato nel Campidoglio, perché tutta la terra è sua. Ma che avrebbe fatto, in ciò,di più e di meglio dei potenti del mondo che veniva ad umiliare? Quale alleviamento avrebbe recato all’umanità. povera e miserabile, che voleva liberare e consolare? Era cosa degna di Colui che non ha da ricevere nulla e che veniva a recare ogni cosa, scegliere ciò che v’ha di più povero per arricchirlo, ciò che v’ha di più umile.per innalzarlo, ciò che non è, per farne ciò che è; e il manifestare tanto la sua ricchezza e la sua potenza, quanto la sua misericordia e il suo amore. Era cosa degna dell’eterna sapienza lo smascherare i falsi beni ripudiandoli, e additare i veri beni sposandoli. Era cosa degna del riparatore della natura umana precipitata nell’orgoglio e nella concupiscenza, il raddrizzarla, mettendo il contrappeso e l’allettativo della sua divinità dal lato della povertà e del patimento: sì, era cosa degna del Dio buono, onnipotente, infinitamente sapiente, il nascere in una stalla e il morire sopra una croce. Ah! sequesta vile stalla, se questa spaventevole croce fossero rimaste ciò che furono quando Egli ne ha sposata l’ignominia, io tacerei. Ma quando io vedo tutta la terra stupefatta abbandonare in breve tutti i suoi idoli d’orgoglio e di voluttà, per venire ad adorare la stalla ela croce; quando io vedo trasformata la stalla in una cattedrale, come Nostra Signora di Chartres e di Parigi; e vedo la croce mutata in segno di gloria ed in istrumento di consolazione; quando io le vedo diventate ambedue una sorgente di dolcezza e di forza, una scuola di sapienza e di santità, un centro di lumi e d’incivilimento,di cui venti secoli di esperienza e di progresso non hanno fatto che tentare la pienezza; quando finalmente questa gran meraviglia è raddoppiata ai miei occhi da quella della sua spedizione, e, se cosi oso dire,del suo pegno; allora, oppresso sotto tante prove della onnipotenza, della sapienza infinita e della bontà suprema, io mi arrendo e credo.Noi non abbiamo potuto contenere queste riflessioni, tanto naturalmente sgorgano, per così dire, dal testo del Vangelo. Tuttavia questo testo le copre di una tale semplicità, che ci domandiamo, lasciata da parte l’ispirazione,se lo scrittore sacro ne abbia avuto coscienza, e per non dubitarne, ci è necessario ricordare che, discepolo fedele di san Paolo, san Luca aveva da lui imparato la sublime sapienza degli annientamenti del Verbo. Egli stesso, riferendoci nella continuazione del suo Vangelo i divini oracoli del Salvatore, ci ha fatto udire questo che esce dalla mangiatoia: « Le volpi hanno le loro tane, e gli uccelli dell’aria i loro nidi; ma il Figliuolo dell’uomo non ha dove posare d capo » (Luc. IX, 58).San Teodoto d’Ancira, parlando alla presenza del gran Concilio di Efeso, raccolto nella bella basilica che quella città, già tanto pagana, aveva elevato alla Madre di Dio, diceva intorno a questo argomento, con quell’eloquenza greca i cui modi ingegnosi e abbondanti avevano trovato nel Cristianesimo un oggetto degno della loro ispirazione:« Il Signore, che non ha dove albergare, è posto in una mangiatoia, e questa povertà della sua culla diventa un segno meraviglioso di profezia. Egli è posto difatti in una mangiatoia come per indicare che veniva ad essere il pascolo di quei medesimi che sono come animali privi di ragione; poiché il Verbo di Dio, in tale stato, ha attirato a sé i ricchi e i poveri, i geni eloquenti e quelli a cui non arriva la parola. Questa mangiatoia è diventata la madre della santa Mensa. Egli è posto in. quella, per essere mangiato su questa, come nutrimento dei fedeli. E come la mangiatoia ha indicato questa Mensa venerabile, così questa Vergine germinò i cori delle vergini, la vile stalla di Betlemme ha eretto superbe basiliche, e le fasce che ravvolgevano il Bambino-Dio hanno sciolto i peccati del mondo. Tutte le insegne della sua miseria sono diventate le meraviglie che voi ammirate, e questa miseria medesima ha generato tutti questi tesori… Ciò posto, come mai ci può offendere un’abbiezione di poca durata, che ha dotato per sempre. l’universo di tante ricchezze? Perché gridare contro questa povertà senza tener conto di tutti i benefizi che essa ha meritato al mondo? Perché chiamare indegna di Dio una soggezione che ci ha affrancati dall’infernale tirannia? Ho, non chiamate indegna di Dio una povertà da cui è stato immiserito lo spirito di menzogna, ricco di tanti errori; cessate di vergognarvi di una croce che ha abbattuto gli idoli; non dispregiate più quei chiodi che hanno legata la pietà del mondo all’unica e santa Religione del Cristo » (Labbe, Concil. tom. III, p. 104). Ammirando questa splendida eloquenza che, uscita dalla semplicità del Vangelo, è una testimonianza di più della divinità di esso, taluno dirà forse che l’umile Maria a Betlemme era lungi dal presentirne gli accenti giacché, avendo messo al mondo il Salvatore, Ella non dà segno d’alcun rapimento, né d’alcuna estasi e non dice nulla che l’evangelista abbia creduto degno di riferirci. – Ma il Magnificat risponde a questo falso pensiero. Tutta l’eloquenza cristiana non ha potuto che commentare questo canto di Maria, che ha conservato sopra i più eloquenti discorsi la superiorità di essere stato proferito prima dell’avvenimento, e di esserne la luminosa profezia. Che, dopo di ciò, Maria taccia ai piedi di Gesù nascente, ella non ne è che più eloquente, e guai a chi non lo comprendesse! Ella tace, perché adegua così l’altezza del mistero, la cui sublimità non la trasporta più, e perché Ella vi piglia tal parte da esservi come identificata; Ella tace perché adora, perché ama, perché ascolta questo meraviglioso silenzio della parola eterna che si fa udire al suo cuore. Ah! se l’altra Maria aveva scelto la migliore parte, tenendosi silenziosa ai piedi di Gesù ed ascoltando la sua parola, come mai Maria, Madre di Gesù, avrebbe parlato, quando Gesù tace al di fuori e parla al di dentro, doppiamente degno di essere ascoltato e nel suo silenzio e nella sua parola? Finalmente Maria non doveva più parlare dacché aveva dato alla luce la Parola, il Verbo: o meglio Ella parlava come parlerà sempre questa Parola, questo Verbo che Ella ha messo al mondo. Ecco il senso del silenzio di Maria appiè del Bambino- Dio, e non v’ha che un racconto eminentemente vero e divino, che abbia potuto rispettarlo e lasciare a noi la cura di comprenderlo.

II.

Applichiamo ora la nostra attenzione al mistero dell’adorazione dei pastori.

« Ed eranvi nella stessa regione dei pastori che vegliavano e facevan di notte la ronda attorno al loro gregge. Quand’ecco sopraggiunse vicino ad essi l’Angelo del Signore, e uno splendore divino li abbagliò e furono presi da gran timore. E l’Angelo disse loro: non temete; poiché eccomi a recare a voi la nuova di una grande allegrezza che avrà tutto il popolo; perché vi è nato oggi un Salvatore, che è il Cristo Signore, nella città di David. Ed eccovene il segnale: troverete un bambino avvolto in fasce, giacente in una mangiatoia » (Luc. II, 8-12). – Fino ad ora tutto ciò che è avvenuto nella nascita del Salvatore ci ha fatto vedere in lui l’uomo e il Figliuolo dell’uomo. Un viaggio di Maria e di Giuseppe, da Nazaret a Betlemme, per obbedire ad un editto di fare i ruoli della popolazione; il tempo del parto di Maria, che in quella borgata giunge al suo termine; l’osteria piena, che non permette loro di trovarvi alcun posto; la necessità che riduce Gesù a non avere altro rifugio che una stalla, ed altra culla che una mangiatoia; ecco, certamente, l’uomo in ciò che v’ha di più miserabile, vale a dire di più umano. Maria soprattutto, che mette al mondo questo fanciullo, che lo avvolge in fasce e lo adagia, attesta con tutte queste cure che Colui che le reclama è uno di noi. Tuttavia, questo fanciullo non è solamente uomo; egli è Dio, e tanto Dio quanto è uomo. Ora, in tanta miseria, che cosa ci proverà la sua divinità? Un omaggio che i Cesari, nella loro folle potenza, avrebbero invano domandato alle basse adulazioni dell’universo: l’omaggio del cielo, il grido di un Angelo. E che più evidentemente di questo ci dichiara che la stalla di Betlemme era una scelta di Colui che era in quella guisa proclamato? Egli stesso circa trent’anni dopo, andando ad una morte così ignominiosa com’era stata la sua nascita, dirà ai suoi discepoli che vorranno liberarnelo: « Pensate voi forse che io non possa pregare il Padre mio, e mi porrebbe dinanzi adesso dodici legioni di Angeli? » L’onnipotenza divina era così contenuta sotto la debolezza del Fanciullo-Dio; e l’apparizione dell’Angelo ai pastori, avvolti nella luce divina, non ne era che un semplice raggio. – Ma perché mai i pastori, nomini semplici e rustici, sono i primi favoriti di questa celeste convocazione? Sempre in virtù della medesima economia. Lo stesso Angelo poteva avvolgere il mondo intero nello splendore di Dio. come avea fatto con quei semplici pastori, e il mondo intero sarebbe stato in un attimo ai piedi di Gesù Cristo. Ma Dio, che avea fatto l’uomo libero, voleva che andasse a lui liberamente; aiutato certamente e attirato, ma non forzato; e a tale effetto, attirato da mezzi ed agenti, la cui debolezza apparente nascondesse col suo uso e manifestasse coi suoi effetti l’onnipotenza che li metteva in opera. Per questo, osserva Grozio, come più tardi saranno alcuni pescatori, così sono ora alcuni pastori gli eletti a rendere testimonianza al Cristo: gli uomini più innocenti: Ut piscatores postea, ita nunc pastores Christo testimonium præbere eliguntur, innocens imprimis hominum genus. Inoltre Gesù Cristo non fa in ciò che seguire il suo primo disegno, il suo primo pensiero. Poiché egli si manifesta a quelli cui sono state fatte le promesse: a pastori, simili ad Abramo ed a Giacobbe; a pastori che figuravano, collo stato e colle cure loro, la sua missione verso le pecore d’Israele, il suo ministero di pastore, la sua carità per gli agnelli affidati alla sua guardia; finalmente a uomini piccoli e spregevoli, secondo il secolo, come quelli ai quali e pei quali il Vangelo doveva essere predicato con buon frutto; mentre tutto ciò che è grande in Israele o per l’autorità, o per il sapere, o per le ricchezze ignora quello che è a loro scoperto; seguitando così Dio in questa rivelazione ai pastori ciò che aveva cominciato nei patriarchi e ciò che doveva compiere per mezzo degli apostoli. È dunque sempre il medesimo disegno ammirabile sostenuto in tutto il suo corso: Sic Dei opera et respectus inambulant in abyssis, hominum tum opera, tum respectus in sola altitudine. – Ed oh come la parola dell’Angelo è sublimemente conforme a questa economia! « Oggi, dice egli ai pastori,nella città di David è nato a voi un Salvatore,che è il Cristo Signore; ed eccovene il segnale: Troverete un bambino avvolto in fasce, giacente in una mangiatoia ».Quale opposizione! Oh, come la semplicità del linguaggio sotto cui essa scompare, la rende divina! Bisogna essere ben pratico dei misteri e delle grandezze di Dio,per parlar così del più grande di tutti, dell’Incarnazione del Verbo, senza riflessioni, senza preparazione,senza alcun ornamento dell’eloquenza umana. Bisogna ben conoscere la maestà di Colui che si è reso bambino e che è in una mangiatoia, per unire al tempo stesso queste due estremità opposte, senza darsi cura di conciliarle,e accennare come una distinzione degna di Colui che è il Signore per eccellenza, le fasce di cui è avvolto e la mangiatoia ove giace! Da ben diciannove secoli noi siamo soliti a venire sull’esempio dei pastori a questa mangiatoia che il Signore ha elevata al di sopra di tutti i troni, nell’abbassarvisi; e il prodigio di questa grandezza, a cui Egli l’ha portata, ci nasconde il prodigio di questa umiliazione, in cui Egli l’ha presa; ma oh come una tale notizia, nel momento in cui l’angelo l’annunziò ai pastori, ed anche il Vangelo l’ha proposta alla fede del mondo, come era contro e al di sopra d’ogni invenzione umana e manifestamente divina così nel suo annunzio, come nel suo avvenimento!Questi sono di quei tratti di divinità che il Vangelo getta infallibilmente nelle anime, e che vi portano la condanna e la morte, quando non vi portano la fede e la vita.« E subito si unì coll’Angelo una schiera della celeste milizia che lodava Dio, dicendo: Gloria a Dio nelpiù alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà (Luc. II, 13-14).È pur cosa commovente il vedere, così, la famiglia superiore di Dio rallegrarsi della felicità della famiglia inferiore, perché è nato a noi un Salvatore, conforme al senso letterale della profezia. Il profeta ci aveva già mostrato questi medesimi Angeli, « i nunzi di pace, che piangevano amaramente »sulla miseria degli uomini e sulla loro discordia colla bontà celeste: Angeli pacis amare flebant; ed ora ci cantano questa pace discesa sulla terra in colui che il profeta chiama con questo nome: et erit iste Pax.Ma essi non cantano solamente la pace agli uomini sulla terra; cantano altresì gloria a Dio nel più alto dei cieli, vale a dire, in due parole, tutto il disegno divino,che abbraccia il cielo e la terra, gli angeli e gli uomini, Dio e tutta la creazione in questo meraviglioso Fanciullo, su cui questo canto si fa udire. Verità sublimi,che tutta la terra ignorava, e che solo gli Angeli potevano annunziare agli uomini. Chi sapeva in quel primo momento che, prima che Gesù Cristo, pigliandola nostra carne, si fosse reso l’adoratore di suo Padre,Dio non aveva potuto ricevere una gloria degna di lui?Chi poi conosceva il divorzio e l’inimicizia che v’era fra il cielo e la terra, prima che il Figliuolo di Dio fosse disceso dal cielo in terra, per esserne il legame e la pace? Queste grandi cose, sconosciute adora e nascoste nell’oscurità dei profeti, comprendono tutto, e sono esse medesime comprese in due parole così chiare e così semplici, che bisogna essere un Angelo per averle dette, e ben poco tocchi del meraviglioso, per non sentirle. Illuminati, certo, al di dentro, da quello splendore divino che li abbagliò al di fuori, « i pastori andarono con prestezza a Betlemme. E trovarono Maria e Giuseppe, e il Bambino giacente nella mangiatoia; e vedutolo intesero quanto loro era stato detto di quel Bambino. E tutti quelli che ne sentirono parlare, restarono meravigliati delle cose che erano state riferite loro dai pastori. Maria però di tutte queste cose faceva tesoro, paragonando in cuor suo ».Non cessiamo d’ammirare la buona fede del divino racconto. Alcuni angeli sono apparsi ad alcuni pastori nei campi, per annunziar loro che era nato il Signore,e per invitarli ad adorarlo. Or chi non si aspetterebbe di trovare intorno al medesimo Signore questi medesimi angeli, e, in più gran numero ancora, tutta la corte celeste,a rendere per primi queste adorazioni a cui erano stati invitati i pastori? Come mai colui che non arreca solamente la pace agli uomini, ma altresì la gloria a Dionel più alto dei cieli, non è egli stesso personalmente circondato da alcuna gloria? Come mai inventori che avrebbero fatto tanto nell’immaginare a piacere il meraviglioso dell’apparizione degli angeli, non avrebbero fatto altrettanto riguardo all’oggetto medesimo di questa apparizione?Come mai non è avvolto lo stesso divino Fanciullo? Finalmente, come mai nessuna cosa, assolutamente nessuna cosa soprannaturale viene ad innalzare una bassezza che non aveva per se medesima cosa alcuna che non fosse ributtante e spregevole? No, proprio nulla: solo « Maria e Giuseppe e il Bambino giacente in una mangiatoia »: ecco tutto. Per verità, è questo il modo con cui si inventa? Gli evangelisti sono stati modesti nella esposizione della nostra fede, perché erano sinceri.Essi hanno creduta l’umiliazione della mangiatoia senza arrossirne, e l’apparizione degli angeli, senza aggiungervi altro. Essi hanno lasciato al medesimo Gesù Cristo la cura di onorare la sua mangiatoia colle sue umiliazioni,più che non l’avrebbero onorata con tutte le meraviglie delle loro invenzioni; e con questa fedeltà essi hanno l’atto manifesto quanto v’ha di più meraviglioso: quello non più di alcuni pastori raccolti dagli angeli, ma dell’intero universo convocato dagli apostoli. che adora un semplice bambino nella umiltà di questa culla. In tale stato umiliante, questo divino fanciullo si rivelava certamente sin dal principio alle anime semplici contali atti di grazia, che dovevano rapirle quanto e più di tutte le apparizioni celesti; e il Vangelo ce lo fa conoscere,dicendoci che « vedutolo, i pastori intesero quanto era stato detto loro di quel Bambino », e comunicarono la loro meraviglia a quelli ai quali lo riferirono. Ma quanta ingenuità e grandezza non è anche qui negli evangelisti, nell’averci semplicemente narrato questo mistero di grazia senza svelarlo. Oh! come una tale riservatezza è santa e convincente! Misurando sopra di essa ciò che è detto della santa Vergine, noi troveremo di che istruirci sulla parte gloriosa che essa ha in questo mistero dell’adorazione dei pastori.Questa parte è doppia: quella che Maria vi arreca, e quella che essa vi prende. La prima risulta da queste parole: « Essi trovarono Maria e il Bambino »; la seconda da queste: « Maria però di tutte queste cose faceva tesoro,paragonandole in cuor suo ».Prima che Gesù Cristo entrasse nella sua vita attiva,osserva san Bernardo, tre apparizioni principati erano avvenute di lui: la prima fra le braccia di sua Madre, come figliuolo dell’uomo; la seconda, quando al battesimo di Giovanni, una voce dal cielo lo proclamò Figlio di Dio; e la terza, alle nozze di Cana, quando col primo miracolo che vi fece, si annunziò egli stesso come vero Dio con ogni potestà sulla natura.Ora, nella prima di queste apparizioni, Gesù trae da Maria la sua principale testimonianza.Noi abbiamo già sviluppata questa verità in se medesima. Qui dobbiamo bruttarci a far notare la giustificazione che essa riceve da tutti i racconti del Vangelo che ritardano la prima parte della vita del Salvatore. Ingenerale, non si fa cominciare questa vita divina che dal suo apostolato pubblico, restringendosi, così, nei suoi tre anni, quasi che vi potesse essere in una tal vita un solo momento il quale fosse meno fecondo d’insegnamento! Gesù Cristo ha voluto predicarci col suo silenzio da sua oscurità quanto e anche più che coi suoi miracoli e colle sue meraviglie; e perché noi non ne potessimo dubitare, ha voluto raccogliere la nostra attenzione su questa prima parte della sua vita con misteriche lo manifestano tanto più, in quanto che egli vi èpassivo.Tale, secondo il mistero della sua natività, è quello delle prime adorazioni che egli riceve alla culla, nello stato più acconcio a testimoniare che Egli è figliuolo dell’uomo.Noi dobbiamo attribuire a questi misteri una importanza tanto maggiore, in quanto che noi vediamo GesùCristo, per tutto il resto della sua vita, fin nelle manifestazioni più luminose della sua divinità, ed anche nella gloria celeste, conservare fra tutte quelle qualificazioni chele sue grandezze gli permettono, questa qualificazione di Figliolo dell’uomo, da lui contratta nel seno di Maria, è manifestata nelle braccia di lei. Per questo egli ha voluto ricevere le prime adorazione del genere umano in questo stato di figliuolo, di bambino di una madre umana; ha voluto mostrarsi fatto di donna come dice san Paolo; per questo egli allontana dalla mangiatoia, ove giace, tutto ciò che potrebbe dar troppo a vedere che egli sia Dio; e vi pone Maria e Giuseppe colli e due testimoni della sua umanità, ma soprattutto Maria.Così Maria ci appare come l’ostensorio di Gesù ai pastori, e per essi a tutti gli adoratori che verranno poscia; perché i misteri di Gesù Cristo sono perpetui,e noi troviamo sempre Gesù con Maria.Tale è la parte che Maria presta a questo mistero.La parte che essa vi prende non è meno grande e ce ne dà un’alta idea questo racconto così sobrio e così succinto della adorazione dei pastori, dove si consacra a Maria la sola riflessione che vi si fa su ciò che avveniva nell’interno dei cuori; tanto più che questa riflessione non si presentava da se medesima nel corso del racconto e bisognò deviarne come per una intenzione espressa. I pastori vengono ad adorare il Bambino-Dio; essi lo trovano con Maria e Giuseppe, riconoscono ciò che loro era stato detto di lui, e se ne ritornano meravigliati; ecco, a quel che pare, tutto il mistero. Ma no. L’evangelista mira a farci conoscere che un cuore fra tutti i cuori è stato penetrato di tutte queste cose divine, le ha conservate e pesate in tutto il loro valore. Maria di tutte queste cose faceva tesoro, paragonandole in cuor suo. Vale a dire, che Maria, e Maria sola fra tutti gli astanti, si levava a tutta l’altezza di questi misteri per la sua fedeltà fino a non perderne nulla, e per la sua applicazione a meditarli, a nutrirsene, a paragonarne tutti gli insegnamenti gli uni con gli altri, a far tesoro dei lumi e delle grazie nel suo cuore. Ecco ciò che vogliono significare queste parole così semplici e così comuni, ma che contengono l’elogio della più eminente virtù. Esse ci aprono questo gran cuore, questo santo cuore di Maria, e ce ne danno la più vasta idea, facendoci conoscere che, avendo essa ricevuto lumi e grazie con una pienezza singolare, le ha conservate tutte, conservabat omnia, e non solamente conservate, ma coltivate, fecondate, cresciute coll’interno lavoro della sua fedeltà e recate alla più sublime perfezione. – Non ci si venga dunque più a domandare ciò che abbia fatto la santissima Vergine: le parole esposte ce l’insegnano più esattamente di tutte le storie che ci siano date delle azioni degli altri Santi. Non era necessario che si narrassero i particolari anche di quelle della santissima Vergine. La sua vita fu tutta uguale e tutta uniforme. Ella non fece che una sola cosa; ma la grande e mica cosa: Ella ha conservato le azioni e le parole della capienza eterna nel suo cuore. Questo tratto termina degnamente il mistero dell’adorazione dei pastori, nel Vangelo; esso ne è come la morale, e sembra altresì dirci, come altrove l’abbiamo giuro, che, conservando così tutte queste cose nel suo cuore per se medesima, Maria le conservava per noi, per la Chiesa, e pel mondo, come la degna depositaria di questi misteri, di cui essa doveva essere poi il testimonio.

III.

Finalmente, d terzo mistero dell’adorazione dei Magi, viene a compiere, insieme con quedo dei pastori, il gran mistero della nascita del Figliuolo di Dio. L’insegnamento che esso ci dà, pare giovi doppiamente con quello che abbiamo teste ricevuto. Si tratta ancora di Gesù Bambino, adorato nelle braccia di Maria. Ma questa rappresentazione del medesimo mistero, fatta da un evangelista diverso da quello che ci ha fatto il racconto dei pastori, è una prova manifesta dell’importanza che Dio ha voluto che noi vi attribuissimo. Si direbbe che Gesù Cristo non sapesse troppo, a suo piacere, mostrarsi bambino fra le braccia di sua Madre. Egli vuol far vedere tutta la sua debolezza in tale stato, ed e su questo trono che vuol far adorare tutta la sua grandezza. Non vi fu tempo della sua vita, in cui egli apparisse cotanto uomo e fosse cotanto riconosciuto Dio. E siccome vuol trarre da Maria la più sensibile testimonianza della sua debolezza umana, così sopra Maria riflette il più vivo splendore della sua divinità. – Perché non bastava l’adorazione dei pastori; ci voleva ancora l’adorazione dei re. Non bastava l’adorazione Dei Giudei; ci voleva l’adorazione dei gentili, Non bastava la natura angelica: ci voleva altresì la natura fisica per divulgare questo grande insegnamento. E quanti altri particolari insegnamenti vi si trovano contenuti! Noi trascuriamo di manifestarli, perché, quantunque nello stadio di questo mistero ci siamo proposti specialmente la gloria di Maria, pure tutto ciò che concorre a farcelo conoscere, giova alla parte che ella vi prende. – Senza voler scemare il prodigio celeste che trasse i Magi dall’Oriente a Betlemme, bisogna ricordare questa circostanza storica, in mezzo alla quale esso si è prodotto, e che ne era come la preparazione: cioè che « era una opinione inveterata e accreditata in tutto l’Oriente, fondata sopra antichi oracoli, che dalla Giudea doveva in quel tempo uscire una Potenza rigeneratrice dell’universo ». Tacito, Svetonio e Giuseppe riferiscono questa voce in termini talmente identici, che si vede chiaro che essi non fanno altro che ripeterla. Cicerone e Virgilio, il primo nel trattato della Divinazione, il secondo nella sua quarta Egloga, attestano anch’essi che quella era la grande preoccupazione del loro tempo. Vespasiano ed Erode cercarono di trarla a profitto della loro ambizione. Tutta finalmente la Giudea, donde era aspettato questo grande avvenimento, ne aveva fatto talmente la sua idea fissa, che, come vediamo nella storia di Giuseppe e nel Vangelo, non si trattava già di sapere se il Messia dovesse venire, ma chi fosse il Messia fra tutti i pretendenti a questo gran destino. « Se alcuno vi dirà: Ecco qui, o ecco là il Cristo, non date retta; poiché usciranno fuori falsi Cristi, e faranno miracoli e prodigi tali, da ingannare (se fosse possibile) gli stessi eletti » (Matt. XXIV, 23). Tale era lo stato degli animi nella Giudea e nell’Oriente, e questa è una delle prove più considerevoli della nostra fede. – Aggiungiamo che, fra gli antichi oracoli donde traeva b sua sorgente questa grande testimonianza profetica nella venuta del nostro Dio, Giuseppe cita quello che si legge nel libro dei Numeri: « Da Giacobbe nascerà una stella, e spunterà da Israele una verga »; e quest’oracolo è quello che fece la fortuna del falso messia Barikeba il cui nome significa figlio della stella. « Essendo adunque nato Gesù in Betlemme di Giuda, regnando il re Erode, ecco che i Magi arrivarono dall’Oriente a Gerusalemme, dicendo: Dov’è nato il re dei Giudei? Poiché abbiamo veduto la sua stella in Oriente, siamo venuti ad adorarlo ». E si crede generalmente che questi Magi venissero dall’Arabia, come indica la natura dei loro doni. Erano costoro personaggi ragguardevoli, della stirpe degli emiri, in cui si accoppiava il triplice carattere della scienza, della religione e della sovranità. Essi professavano il sabeismo o il culto degli astri, e rappresentavano così, in una delle sue fasi, ed anche nella sua fase originale, l’errore universale in cui erano immersi i gentili. Ed è manifesto che la Provvidenza, attirandoli appiè della culla di Gesù Cristo, ha voluto fare di essi come i deputati dell’avvenire, come le primizie della conversione del mondo pagano al Cristianesimo. Questo disegno è reso più manifesto quando si mette accanto all’adorazione dei pastori. Questi rappresentavano i Giudei. E come la fede del Messia doveva riunire i due popoli, il giudaico ed il gentile, così la sua culla ne riceve le adorazioni; solo che il giudeo è il figlio della prima alleanza, di cui il gentile ha fuggito il giogo; e per questo i pastori sono chiamati da luoghi assai prossimi e dalle vicinanze di Betlemme, come i domestici della fede; e i Magi sono chiamati assai da lontano e dal fondo dell’Arabia, come immersi nelle tenebre dell’infedeltà. Per la medesima ragione, i giudei, accostumati ad un santo commercio con Dio ed alle apparizioni degli spiriti celesti, sono avvertiti dagli angeli, come da loro fratelli ed eguali. Ma i gentili non danno che lo spettacolo della natura, la luce esteriore del sole e delle stelle: essi ne hanno fatto i loro Dei; ed è perciò che la Provvidenza si serve di questo soggetto del loro traviamento, per farne lo strumento della loro conversione. È una stella quella che li attrae e li guida a Betlemme; ma una stella miracolosa, una stella intelligente, o piuttosto una intelligenza stellata. Questo è ciò che essi medesimi fanno comprendere, quando dicono: Noi abbiamo veduto la sua stella: la stella di Gesù, cotesta meravigliosa stella, la quale non faceva che spuntare e scintillare, apparendo e scomparendo agli occhi dei Magi, ma che poscia, ingrandendo, diventò quel luminoso e permanente sole della fede cristiana, che illumina tutte le nazioni. C’è ogni ragione di credere che questa stella, oltre l’allettativa interiore che Gesù esercitava sul cuore dei Magi, trovava un concorso potente in quella preoccupazione generale che faceva rivolgere allora tutti gli occhi dell’Oriente e dell’Occidente verso la Giudea, come verso il punto dell’adempimento dell’antica profezia: Da Giacobbe nascerà una stella, da Giacobbe verrà il Dominatore (Num. XXIV, 17, 18). – Il che è ciò che si manifesta nel seguito del divino racconto: « Sentite il re Erode tali cose, si turbò, e con lui tutta Gerusalemme. E adunati tutti i principi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, domandò loro dove avesse a nascere il Cristo. Essi gli risposero in Betlemme di Giuda. Poiché così è stato scritto dal profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei la più piccola tra le principali di Giuda; poiché da te uscirà il condottiero che reggerà Israele, d mio popolo. Allora Erode, chiamati segretamente a se i Magi, s’informò da loro in qual tempo fosse loro comparsa la stella. E mandandoli a Betlemme, disse: Andate e fate diligente ricerca di questo Fanciullo; e quando l’abbiate trovato, fatemelo sapere, affinché ancor io vada ad adorarlo ». Questo non è un racconto: è l’azione medesima che avviene sotto i nostri occhi; ed un’azione talmente pubblica e storica, che l’evangelista, riferendola in seno al paese e nella sua lingua, n’è evidentemente il sincero e fedele narratore. Il turbamento di Erode e di Gerusalemme insieme con lui, alla venuta ed alla domanda dei Magi, è affatto conforme alla preoccupazione generale degli animi intorno alla venuta del Messia, di cui l’evangelista non ci parla, ma che essendoci attestata da tutta la storia profana, ne conferma maggiormente il racconto. Erode, in particolare, che era uno dei più ambiziosi competitori della regia dignità del Messia, e che giunse a raccogliere ed a formare, come tanti altri, una setta di fanatici sotto il nome di erodiani, dovette soprattutto esserne turbato; e Gerusalemme, il cui destino politico e religioso era attaccato a questo grande avvenimento, dovette esserne turbata con lui. Perciò si congregarono i Consigli pubblici: l’uno dei principi dei sacerdoti, che era come, un senato ecclesiastico; l’altro degli scribi del popolo, che era fuor d’ogni dubbio una magistratura civile. La risposta che essi danno è chiara e pronta. Tutti avrebbero fatto una eguale risposta, tanto essa era chiaramente dettata da ben tre secoli dal profeta Michea. Questa profezia del luogo preciso, quantunque oscuro, in cui doveva nascere d Dominatore, che tutta la terra aspettava e tutta la terra adora, è una delle mille prove abbaglianti della verità di nostra fede, che fanno dell’incredulità un mistero più grande di quelli che essa nega di credere. – Ma ciò che noi dobbiamo considerare è la sorte di questa incredulità negli Ebrei, è il disegno di Dio quale era stato annunziato e che si è adempiuto in questo popolo infedele; disegno che appare dalla stessa circostanza che noi studiamo. Il giudeo, come dice san Paolo, è un ceppo primitivo della nostra fede, l’olivo domestico. Il gentile è l’olivo selvatico che deve essere innestato sull’olivo domestico, deve esservi inserito come un rampollo selvatico, e riceverne l’umore e la fecondità divina. Per questa ragione, bisogna che i Magi vengano a Gerusalemme, che interroghino i Giudei, che ricevano da essi le profezie e le sante Scritture; che la perfezione della rivelazione particolare che hanno ricevuto, venga da Israele, e che sia giudicata degna, infattibile, per la sua conformità colle profezie; per questo la stella miracolosa che li aveva menati da così lontano, non li dispensa da quel ricorso, si dilegua per obbligarveli, e non ricompare che dopo che essi ne hanno ricevuto il titolo in certo qual modo della loro destinazione. – Ma nei disegni di Dio, i gentili approfitteranno delle Scritture meglio che i Giudei. Ciechi archivisti del Cristianesimo, questi le daranno a quelli, senza averle alterate. Essi vi lasceranno tutto ciò che riguarda il Messia, conserveranno religiosamente le predizioni della nascita e della morte di Lui, ma non ne faranno alcuna applicazione a Gesù Cristo; i gentili non vi vedranno che lui, ma i Giudei vi vedranno tutt’altra cosa. Bisogna perciò che gli Ebrei rispondano bene sul Messia in generale, ma che non traggano alcuna conseguenza a favore di Gesù Cristo dalla loro propria risposta; e bisogna per lo contrario che i Magi determinino la risposta generale dei Giudei alla persona di Gesù Cristo, e approfittino essi soli delle Scritture che i Giudei consultano per essi. Che disegno segreto e ben connesso racchiudono questi misteri del Vangelo, il cui racconto superficiale ci occupa così poco! Così, le opere della natura nascondono un’arte profonda sotto una facile apparenza. – « Quelli, udite le parole del re, si partirono. Ed ecco che la stella veduta da loro in Oriente andava loro davanti fintantoché, arrivata sul luogo in cui stava il Bambino, si fermò. E veduta la stella, si riempirono di stragrande allegrezza; ed entrati nella casa, trovarono il Bambino con Maria sua Madre, e prostratisi lo adorarono e aperti i loro tesori, gd offrirono i doni: oro, incenso e mirra ». – Bastò dire ai pastori una parola del Messia, e subito essi la compresero, si posero in viaggio per adorarlo, senza alcun bisogno di guida. La semplicità della loro anima e la familiarità delle cose di Dio, lo fanno ad così facilmente trovare. Ma tutto è nuovo pei Magi. Essi hanno bisogno di una guida in quel nuovo e sconosciuto cammino: essi sono oltremodo turbati appena si dilegua dai loro occhi la stella, ed esultano di gioia nel ritrovarla e nel vederla fermarsi al luogo  preciso della loro ricerca. Esatto indizio della difficoltà che hanno i savi del mondo, i re della scienza e dello spirito, i magi della filosofia, di discernere le cose della fede, e della necessità in cui sono di assoggettare i loro lumi naturali, per grandi che siano, al lume soprannaturale dell’insegnamento divino, per quanto piccola cosa loro sembri. Questo è il disegno della rivelazione cristiana che, sin dada culla di Gesù Cristo, ci fa vedere in azione questa verità che uscirà un giorno dalla divina sua bocca: « Io ti ringrazio, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenute occulte queste cose ai saggi e prudenti, e le hai rivelate ai piccolini ». Ammirabile economia, che mette la massima sommissione dal lato ove deve trovarsi il più alto orgoglio, e il più facile accesso dal lato della estrema ignoranza! Fedeli e sottomessi al celeste insegnamento, i Magi entrarono nella casa: trovarono il Bambino con Maria sua Madre, e prostratisi l’adorarono. Che meravigliosa lezione! ecco i Magi che non entrarono nella fede con altri fini, né con altre condizioni che quelle dei pastori. Non è Gesù glorioso, e neppure Gesù dottore che loro è dato di trovare a bella prima; è Gesù Bambino. « Che fate voi o Magi? Esclama S. Bernardo; che fate voi? Voi adorate un bambino poppante, sotto un tetto di paglia, in miserabili fasce? È forse questi un Dio? Dio, sicuramente e nel suo tempio: il Signore è nel cielo, solo dimora degna di lui; e voi, voi lo cercate in una vile stalla, al seno di sua Madre? (Serm. 1 in Epiph.). Come mai questi savi personaggi sono diventati così pazzi…? Eh! si sono fatti pazzi per diventar sapienti. Lo spirito di Dio li ha istruiti anticipatamente di quello che l’Apostolo doveva poscia predicare al mondo, che “se alcuno si tiene per sapiente, secondo questo secolo, diventi stolto, affine di essere sapiente. Poiché quando nella sapienza di Dio il mondo non conobbe Dio per mezzo della sapienza, piacque a Dio di salvare i credenti per mezzo della stoltezza della predicazione”. Colui medesimo che ha condotto i Magi, li ha così istruiti ». – E in essi Egli istruisce anche noi di questa grande verità, che Gesù Bambino è quegli che noi dobbiamo specialmente cercare e adorare, e che per conseguenza noi non lo possiamo trovare che con Maria sua Madre. Come Gesù Bambino non può stare senza sua Madre, così noi non possiamo a meno di adorarlo nelle braccia di Lei, di onorare per conseguenza questa Madre col più alto onore che possa tributarsi dopo quello dell’adorazione; poiché deve approssimarsi a questa nella proporzione dell’unione, della consanguineità e dell’affinità che unisce il Figliuolo a sua Madre, e il Bambino-Dio a sua Madre Vergine. E ciò per un grande e commovente disegno; cioè per testificare il mistero dei misteri, d mistero dell’incarnazione; il mistero di Dio fatto uomo e Figliuolo dell’uomo. – Questo è tutto il Cristianesimo, che è propriamente il culto del Figliuolo dell’uomo e della Madre di Dio. Due culti che si chiamano, che si abbracciano, che si uniscono così strettamente come il Figliuolo e la Madre. Per dare al mondo questo grande insegnamento, Dio ha fatto venire i Magi dall’Oriente ai piedi del Bambino- Dio, come aveva fatto venire i pastori; ed il Vangelo ci ha fatto questo doppio racconto. Per questo Egli ha voluto che il culto incontrastabilmente più fervoroso e più solenne di adorazione, che il Figliuolo di Dio ricevesse mai durante la sua vita mortale, gli fosse offerto in tale stato, e gli fosse tributato assai più dai Magi che dai pastori. – E invero il Vangelo ci fa bensì supporre, ma non ci dice in alcun modo che i pastori abbiano adorato il Bambino-Dio; mentre pei Magi pare che si studi di mostrarceli prostrati nella polvere in ragione medesima della loro sapienza, della loro ricchezza e grandezza, di cui fanno a Gesù la simbolica offerta. Essi dichiarano altamente ad Erode che sono venuti dall’Oriente per adorarlo; e appena furono entrati e videro il Bambino con Maria sua Madre, prostratisi, lo adorarono. E aperti i loro tesori, gli offrirono i doni, oro, incenso e mirra. Oh che fede! che umiltà! che fedeltà! che semplicità! Che esempio per noi dei sentimenti che dobbiamo portare appiè degli altari di Gesù e di Maria! « A chi paragonerò io questi uomini? dice ancora san Bernardo. Se io considero la fede del buon ladrone, la confessione del centurione, essi la vincono d’assai, perché, al tempo di costoro, Gesù aveva già fatto moltissimi miracoli, era stato preconizzato da molte voci, aveva ricevuto molte adorazioni In tutto questo io vi prego di considerare e di notare come la fede, che si dice cieca, è chiaroveggente, come essa ha occhi di lince, tanto che scopre il Figliuolo di Dio in un bambino poppante, in un condannato a morte, in un moribondo ». I Magi scoprivano così in questo Bambino colui che dopo di essi tutta la terra doveva adorare. Ed ora che questa adorazione universale di oltre diciannove secoli, che tutte le meraviglie e tutti i benefizi che la giustificano prodigiosamente, sono venuti a manifestarci il Dio e la Madre di Dio, chi è savio, chi chiaroveggente e veramente illuminato: quelli che non vedono ancora, che non sanno ancora trovare il Bambino colla Madre, oppure quelli che, prostrandosi coi Magi, gli offrono tutti i tesori del loro cuore?

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (23)

CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (23)

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR

+ AEM. BONGIORNI, Vic. Gen

TESTIMONIANZE DEI CONCILI ECUMENICI DEI ROMANI PONTEFICI, DEI SANTI PADRI E DELLE SACRE CONGREGAZIONI ROMANE CHE SI CITANO NEL CATECHISMO

DOMANDA 189a.

Concilio di Trento, sess. VI, Decretum de justificatione, cap. II:

« Ma nessuno, per quanto giustificato si deve credere dispensato dall’osservanza de’ comandamenti; nessuno deve servirsi di quella parola temeraria e proibita sotto scomunica dai Padri: che l’osservanza dei comandamenti di Dio è impossibile per un uomo giustificato. Difatti Dio non comanda cose impossibili, ma quando comanda ammonisce di far ciò che puoi e di domandare quel che non puoi e aiuta affinché tu possa, perché i suoi comandi non sono pesanti (Gio. V, 3) e il suo giogo è soave e leggero il peso (Matt. XI, 30). « Infatti quelli che son figli di Dio amano Cristo; ora quelli che lo amano, come attesta Egli stesso, osservano la sua parola (Gio. XIV, 23), cosa che senza dubbio possono praticare coll’aiuto divino ».

DOMANDA 196a.

S. Giovanni Damasceno, De imaginibus, II, 5:

« Saremmo davvero in errore se di Dio, pur invisibile, ci formassimo una immagine, poiché ciò che non è corporeo, né visibile, né circoscritto, né limitato da contorni, non può essere affatto dipinto. Così pure agiremmo empiamente se giudicassimo che sieno dei le immagini degli uomini da noi formate e ad esse attribuissimo onori divini come a divinità. Ma noi non ammettiamo niente di tutto ciò ».

( P . G., 94, 1287).

I l medesimo, ibid., I l i , 4 1 :

« Adoriamo un solo creatore e artefice delle cose, Dio, al quale dobbiamo culto di l a t r i a , come a Dio che dev’essere adorato per sua natura. Veneriamo anche la SS.ma Madre di Dio, non come Dio, ma come madre di Dio secondo la carne. Inoltre veneriamo i Santi come eletti e amici di Dio, ai quali è agevole l’intercessione presso di Lui » .

( P . G., 94, 1358).

DOMANDA 197a.

Concilio II. di Nicea (787), De sacris imaginibus, …. seduta VII:

« Sulla traccia, per così dire, d’un regal sentiero e seguendo il magistero divinamente ispirato dei santi nostri Padri e la tradizione della Chiesa cattolica (difatti sappiamo che essa è dello Spirito Santo, il quale certamente abita in essa) definiamo con ogni certezza e sollecitudine che devono in modo conveniente proporsi al culto, sia la figura della Croce preziosa e salutare, sia le iMmagini venerabili e sante, tanto quelle dipinte e a mosaico, quanto quelle di altra materia nelle sante chiese di Dio e sui sacri vasi e vesti e sulle pareti e le tavolette e nelle case e nelle vie; vale a dire tanto l’immagine di nostro Signore Dio e Salvatore Gesù Cristo, quanto dell’Immacolata Madre di Dio signora nostra e dei venerabili Angeli e di tutti i Santi insieme e degli uomini virtuosi. Difatti, quanto più frequentemente si contemplano attraverso l’immagine, tanto più alacremente ci si sente elevati al ricordo e al desiderio di essi, a baciarli e tributar loro l’adorazione d’onore, non tuttavia la vera latria, che secondo la fede spetta e conviene soltanto alla natura divina: di maniera che ad esse, come alla figura della preziosa Croce salvatrice, e ai santi vangeli e agli altri sacri monumenti si faccia pure offerta d’incenso e di lumi per omaggio d’onore. Tal’era il pio costume anche degli antichi. L’onore tributato all’immagine risale infatti al raffigurato; e chi venera un’immagine, venera in essa la persona del rappresentato…. Quelli dunque, che osano pensare o insegnare diversamente, o disprezzare da veri ed empii eretici le tradizioni ecclesiastiche ed escogitare ogni genere di novità, oppure rifiutare le cose destinate al culto in Chiesa, per esempio il Vangelo, la rappresentazione della Croce, una immagine dipinta, le sacre reliquie d’un martire, oppure escogitare con malizia o astuzia di abolire qualcuna delle legittime tradizioni della Chiesa Cattolica; oppure servirsi profanamente de’ sacri vasi o de’ venerandi monasteri, se sono Vescovi o chierici, ordiniamo che siano deposti; se monaci o laici, che siano separati dalla comunità ».

(Mansi, XIII, 378).

Concilio di Trento: Vedi D. 174.

DOMANDA 198a.

Concilio di Nicea. Vedi D. 197; Concilio di Trento, D.174.

S. Cirillo d’Alessandria, In Psalm., CXIII, 16:

« Facciamo pure le immagini degli uomini santi, ma non per adorarle come divinità, bensì per sentirci spinti dalla loro contemplazione alla imitazione di essi; ora noi ci rappresentiamo l’immagine di Cristo allo scopo di eccitare l’anima nostra all’amore di lui ».

DOMANDA 213a.

Pio XI, Encicl. Divini illius Magistri, 31 dic. 1929:

« Il compito di educare non è proprio dei singoli uomini, ma necessariamente della società. Ora si contano tre sorta di società necessarie, distinte tra di loro, ma, per volere di Dio, armonicamente unite, alle quali l’uomo viene inscritto dalla sua nascita: due di esse di ordine naturale cioè la domestica e la civile; e una terza, cioè la Chiesa, di ordine soprannaturale. Viene in primo luogo la famiglia la quale, poiché è stata stabilita e preparata da Dio stesso allo scopo preciso di procrear la prole e di curarne l’educazione, ‘precede, di natura sua, e perciò con propri diritti, la società civile. Però la famiglia è società imperfetta per il fatto che non ha tutti i mezzi per raggiungere con perfezione il suo nobilissimo fine; invece la società civile possedendo tutti i mezzi necessari pel suo fine, vale a dire per il comune benessere di questa vita, è società in tutto completa e perfetta e quindi, per questo rispetto, superiore alla famiglia, che solamente nel consorzio civile può adempiere convenientemente e sicuramente il suo compito. La terza società finalmente, nella quale gli uomini, per via del Battesimo, fanno ingresso alla vita della divina grazia, è la Chiesa: società precisamente soprannaturale, che abbraccia tutto quanto il genere umano, in sè perfetta, perchè possiede ogni mezzo pel suo fine, cioè l’eterna salvezza degli uomini; perciò, nel suo ordine, suprema. « Ne consegue che l’educazione, la quale investe intero l’uomo, considerato sia come individuo sia come partecipe della società umana, sia nell’ordine di natura sia nell’ordine della grazia divina, appartiene, in proporzioni rispettive a norma del presente stato costituito da Dio, a queste tre società necessarie, conformemente al fine proprio di ciascuna. « E in primo luogo essa spetta alla Chiesa in linea di preferenza, per il duplice titolo di ordine soprannaturale, a lei soltanto da Dio conferito e quindi più eccellente e più valido affatto di qualsiasi altro titolo d’ordine naturale. « La prima ragione di tal diritto risiede nella suprema autorità e missione d’insegnamento, alla medesima conferita dal divin Fondatore deUa Chiesa con queste precise parole: A me fu dato ogni potere nel cielo e sulla terra. Andate dunque e istruite tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre del Figliolo e dello Spirito Santo: insegnando loro a osservare tutti i miei comandamenti. Ed ecco io sono con voi ogni giorno fino alla fine del mondo. (Matth. XXVIII, 18-20). A questo magistero Cristo Signore assicurò l’immunità dall’errore insieme coll’incarico d’insegnare a tutti la sua dottrina; perciò la Chiesa « fu costituita dal suo divin Fondatore come colonna e fondamento della verità, affinchè insegni a tutti gli uomini la fede divina e custodisca integro e inviolato il deposito suo, a lei affidato, e guidi e informi gli uomini e le loro associazioni e azioni all’onestà de’ costumi e all’integrità della vita, secondo la norma della dottrina rivelata. (Pio IX, Encicl. Cum non sine, 14 luglio 1864). – « L’altra ragione del diritto sgorga da quel mandato soprannaturale di madre, in forza del quale la Chiesa, purissima sposa di Cristo, largisce agli uomini la vita della divina grazia e l’alimenta e accresce co’ suoi sacramenti e precetti. Giustamente dice S. Agostino: « Non avrà Dio per padre chi non vorrà per madre la Chiesa » . {De Symbolo ad cathech., XIII). – « Orbene « Dio stesso fece partecipe la Chiesa del divin magistero e inoltre infallibile, per divin suo dono » in tutte le cose, che cadono sotto il suo mandato di educare, cioè « nella fede e nella formazione de’ costumi; perciò essa è la più grande e sicura maestra degli uomini e possiede diritto inviolabile alla libertà del magistero » (Leone XIII, Encicl. Libertas, 20 giugno 1888). Conseguenza necessaria è che la Chiesa non sia soggetta ad alcuna potestà terrena, come nell’origine, così nell’esercizio della sua missione di educare, tanto in materia spettante al suo proprio ufficio quanto nelle cose necessarie o consentanee ad adempirlo. Quindi, rispetto ad ogni altra disciplina e insegnamento umano, per sè stesso di diritto comune a tutti, cioè de’ singoli cittadini e della società stessa, la Chiesa ha facoltà, non soggetta per nulla a qualsiasi potestà, di giovarsene e soprattutto di giudicarne, in quanto sembrano proprio conferire od opporsi alla cristiana educazione. Tanto può la Chiesa sia perchè, essendo società perfetta, è indipendente nella scelta e nell’applicazione delle difese e de’ sussidii, che giovano al suo fine; sia perchè ogni dottrina e istituzione, come ogni azione umana, dipende necessariamente dal fine ultimo e perciò non può non andar soggetta alle prescrizioni della legge divina, di cui la Chiesa è proprio l’infallibile custode, interprete e maestra ».

(Acta Apost. Sedis, XXII, 52 ss.).

DOMANDA 214.a

Leone XIII, Encicl. Immortale Dei, 1 nov. 1885:

« Così davvero il rispetto de’ cittadini circonderà con onore e volentieri la dignità del potere. Se infatti si saranno una buona volta persuasi che i governanti godono d’un’autorità conferita da Dio, capiranno davvero che son giusti doveri quelli di ottemperare ai reggitori e di tributare ossequio e fedeltà con una specie di riverenza, qual’è quella de’ figliuoli verso i genitori. Ogni spirito stia soggetto alle alte potestà (Ai Rom., XIII, 1). Sprezzare la legittima autorità, in qualunque persona sia costituita, davvero non è lecito più che resistere alla volontà divina; e chi vi resiste precipita a rovina volontaria. Chi resiste all’autorità resiste a una disposizione di Dio; ma chi resiste si cagiona da sè la dannazione. (Ai Rom., XIII, 2). Perciò negar obbedienza e provocare colla forza a sommossa il popolo è delitto di lesa maestà non soltanto umana, ma anche divina ».

(Acta Leonis XIII, V, 121-22).

DOMANDA 216a.

Leone X III, Encicl. Immortale Dei, 1 nov. 1885 :

« Da ciò consegue che il pubblico potere per se stesso non è che da Dio. Infatti soltanto Dio è il più vero e il più grande padrone d’ogni cosa, al quale bisogna che si sottomettano e servano tutte le cose qualunque siano; di modo che chiunque ha diritto di comandare non lo riceve altronde se non dal supremo principe di tutto, Dio: Non c’è potere se non da Dio. (Ad Rom., XIII, 1) ».

(Ibid., 120).

S. Giovanni Crisostomo, In Epist. ad Romanos, XXIII, 1:

« E dimostrando che ciò è comandato a tutti anche ai sacerdoti e ai monaci e non soltanto ai secolari, fin da principio dichiara dicendo: Ogni anima sia soggetta alle alte potestà; anche se è un apostolo, un evangelista e un profeta o qualsiasi altro; e difatti questa soggezione non scalza la pietà. E non disse semplicemente: Obbedisca, ma stia soggetta. Ebbene la prima difesa di tale ordinamento, che s’accorda anche coi ragionamenti di fede, è che questi precetti provennero da Dio: Non c’è infatti potere, disse, se non da Dio. Che dici? Dunque ogni principe è ordinato da Dio? Non dico questo, risponde: e difatti, io non parlo ora dei singoli principi, ma dell’autorità in se stessa. Affermo che è disposizione della divina sapienza che ci siano principati e che gli uni comandino, gli altri stiano soggetti, e che ogni cosa non sia governata dal caso e senza disegno, come se i popoli fossero flutti sbattuti di qua e di là. Perciò non disse: Infatti non c’è principe se non da Dio; ma parla dell’autorità stessa dicendo: Infatti non c’è potere se non da Dio; quelli che veramente sono poteri, sono ordinati da Dio ».

(P. G., 60, 615).

DOMANDA 218a.

Leone XIII, Encicl. Rerum novarum, 15 maggio 1891:

« E primieramente tutto l’insegnamento religioso, di cui è interprete e custode la Chiesa, molto può giovare a metter d’accordo ricchi e proletari tra loro e unirli, vale a dire richiamando l’una e l’altra classe ai reciproci doveri e innanzi tutto quelli che derivano da giustizia. Obblighi di giustizia quanto al proletario e all’operaio sono questi: prestare integralmente e fedelmente l’opera che liberamente e secondo equità fu pattuita; non recar danno in alcun modo alla roba, nè offesa alla persona dei padroni; nella difesa stessa dei propri diritti astenersi da fatti violenti, nè mai far sommossa; non far comunella coi delinquenti, che agitano ingannevolmente speranze esagerate e grosse promesse, cosa che cagiona di solito inutile pentimento e rovina dei beni. — Questi altri invece riguardano i ricchi e i padroni: non tenere gli operai alla stregua di schiavi; rispettare in essi la dignità della persona umana nobilitata per di più da quello che si chiama carattere cristiano. L’arte di guadagnare, se si segue l a ragione naturale e la filosofia cristiana, non è vergogna per un uomo, ma onore, perché fornisce una onesta possibilità di sostentamento. Davvero turpe e disumano è l’usar degli uomini come di cose per un guadagno, nè stimarli più di quanto valgano i loro nervi e le loro forze. Similmente si comanda di tener conto a riguardo dei proletari della religione e dei beni spirituali. Perciò entra nei doveri dei padroni di consentire che l’operaio abbia tempo sufficiente per la pietà: non esporlo ai lenocini delle corruttele e alla attrattive del male, nè distoglierlo per qualsiasi motivo dalla cura della famiglia e dall’amore del risparmio. Similmente non imporre opera superiore alle forze o di tal sorta che non convenga all’età e al sesso. Principalissimo tra i doveri dei padroni è dare a ciascuno la giusta mercede ».

(Acta Leonis XIII, XI, 110, 111).

DOMANDA 220a.

Leone XIII, Encicl. Quoad apostolici muneris, 28 dic. 1878:

« Se però talvolta accade che i capi esercitino a capriccio e oltre misura il potere pubblico, la dottrina della Chiesa cattolica non permette d’insorgere a proprio talento contro di essi, affinchè non si turbi sempre più la tranquillità dell’ordine e la società non ne subisca maggior danno. E se si arriverà a tal punto che non sorrida alcun’altra speranza di salvezza, essa insegna ad affrettare il rimedio coi meriti della cristiana pazienza e con incessanti preghiere a Dio. Che se la volontà dei legislatori e dei capi sanzionerà e comanderà cosa che ripugni alla legge divina o naturale, la dignità e il dovere del nome cristiano e inoltre la sentenza apostolica esigono che si debba obbedire prima a Dio che agli uomini ». (Atti, V, 29).

(Ibid., I, 177).

DOMANDA 226a.

Alessandro VII, Decr. 24 sett. 1665, prop. 2a , tra le condannate:

« Un cavaliere, provocato a duello, lo può accettare per non incorrere presso gli altri nel biasimo di viltà ».

(Du Plessis, 1. c., III, 11, 321).

Leone XIII, Lett. Pastoralis officii, 12 sett. 1891 ai Vescovi di Germania e d’Austria:

« L’una e l’altra legge divina, tanto quella eh’è stata promulgata col lume della ragione naturale, quanto quella promulgata nei libri sacri scritti sotto divina ispirazione, vieta rigorosamente che alcuno, tranne per ragione pubblica, uccida o ferisca un uomo, se non costretto dalla necessità per provvedere alla propria salvezza. Ma ehi provoca a duello o l’accetta, questo mira, e a ciò convergono le forze dell’animo suo, senza esser affatto costretto, a strappare la vita o almeno infligger ferite all’avversario. Inoltre, l’una e l’altra legge divina proibisce che nessuno faccia getto spensierato della sua vita, esponendola a rischio grave e manifesto, quando nessuna ragione di dovere o di carità magnanima lo consiglia; ma questa cieca temerità, disprezzatrice della vita, è nella natura appunto del duello. Perciò non è possibile che sia dubbio per chicchessia o cosa oscura che sopra coloro, i quali fanno duello, ricade il duplice delitto dell’altrui uccisione e del rischio volontario della propria vita. Finalmente, non c’è peste più avversa alla disciplina del vivere civile e che rovini il retto ordinamento della nazione quanto permettere ai cittadini che si eriga ciascuno rivendicatore, privatamente e colla violenza, del diritto e dell’onore, che reputi violato».

(Acta Leonis XIII, XI, 284).

DOMANDA 229a.

Pio XI, Encicl. Divini illius Magistri, 31 dic. 1929:

« Ma molto più disastrose son le dottrine ed opinioni intorno al seguire in tutto, per guida, la natura: esse s’intrufolano in una parte scabrosa dell’educazione umana, cioè in quella che concerne l’integrità de’ costumi e la castità. Molti infatti di tanto in tanto tengono e promuovono con stoltezza e con rischio un metodo di educazione, ch’è detta sfacciatamente sessuale, stimando falsamente di potere, con mezzi puramente naturali e con un qualsiasi presidio di religione e di devozione soltanto, preservare i giovani dei piacere e dalla lussuria vale a dire iniziando e istruendo, anche in pubblico, tutti costoro, senza distinzione di sesso, con insegnamenti lubrici, o peggio esponendoli per tempo alle occasioni, affinchè l’animo loro, assuefatto — com’essi cianciano — a siffatti incontri, incallisca, per così dire, contro i pericoli della pubertà ».

(Acta Apost. Sedis, XXII, 71).

DOMANDA 258a

Concilio IV di Laterano (1215), cap. 21: Del dovere della Confessione…. e di comunicarsi almeno alla Pasqua.

« Ogni fedele dell’uno e dell’altro sesso, giunto agli anni della discrezione, confessi lealmente al proprio sacerdote almeno una volta all’anno tutti i suoi peccati da solo a solo e cerchi di adempiere secondo le proprie forze la imposta penitenza, ricevendo con pietà il sacramento dell’Eucaristia almeno alla Pasqua, a meno che dietro consiglio del proprio sacerdote giudichi per qualche ragionevole motivo di astenersene per qualche tempo: altrimenti da vivo gli sia impedito di entrare alla Chiesa e in morte sia privato della sepoltura cristiana. Perciò questa norma salutare sia spesso annunciata nelle chiese, affinchè nessuno possa mettere innanzi la scusa dell’ignoranza. Ma se qualcuno vorrà, per giusto motivo, confessare i suoi peccati a un sacerdote forestiero prima chieda e ottenga licenza dal proprio sacerdote, altrimenti questi non lo potrebbe assolvere o legare. Ma il sacerdote sia discreto e cauto, sicché, da buon medico, infonda vino e olio sopra le piaghe del ferito, richiedendo con diligenza le circostanze tanto del peccatore quanto del peccato, per mezzo delle quali possa prudentemente capire qual consiglio gli debba dare e qual rimedio applicare, giovandosi di varii esperimenti per salvare il malato ».

(Mansi, XXII, 1007)

Concilio Tridentino, sess. XIV, cap. 5, De Pœnitentia:

« La Chiesa ha stabilito per mezzo del Concilio di Laterano…. che il precetto della Confessione sia adempito almeno ima volta all’anno da tutti e singoli, quando sono arrivati agli anni della discrezione. Sicché ormai si osserva in tutta quanta la Chiesa, con immenso vantaggio per le anime dei fedeli, quella salutare usanza di confessarsi nel tempo sacro e opportuno della quaresima; usanza che il santo Sinodo approva e accetta assai volentieri come pia e veramente degna da praticarsi ».

DOMANDA 259a.

Concilio IV di Laterano, vedi D. 258.

Concilio di Trento, sess. XIII, De Eucharistia, can. 9:

« Sia scomunicato chi nega che tutti e singoli i fedeli di Cristo d’ambo i sessi sono tenuti, giunti che siano all’età della discrezione, a comunicarsi ogni anno almeno alla Pasqua, secondo il precetto della santa Madre Chiesa ».

DOMANDA 261a.

Sacra Congregazione del Concilio, Decreto Sacra Tridentina Synodus, 2 dic. 1905:

« L’accesso alla Comunione frequente e quotidiana, desideratissima com’è da Cristo Signore e dalla Chiesa cattolica, sia lasciato aperto a tutti i fedeli di Cristo di qualunque classe o condizione; sicché nessuno, che sia in istato di grazia e voglia accostarsi alla Sacra Mensa con animo retto e pio, possa esserne tenuto lontano ».

(Acta Apost. Sedis, II, 296).

Sacra Congregazione dei Sacramenti, Decreto Quam singulari, 8 ag. 1910:

« VI. Chi ha cura de’ fanciulli deve procurare con ogni mezzo che essi, dopo la prima comunione, si accostino spesso alla sacra Mensa e, se è possibile, anche ogni giorno come desiderano Gesù Cristo e la madre Chiesa; e che ciò facciano con quella divozione dell’anima, che comporta l’età ».

(Ibid., II, 582).

DOMANDA 262a.

S. Congreg. dei Sacramenti, 1. c.:

« I. L’età della discrezione tanto per la Confessione quanto per la Comunione è quella, nella quale il fanciullo comincia a ragionare, cioè verso il settimo anno approssimativamente. Da questo tempo comincia l’obbligo di sodisfare all’uno e all’altro precetto della Confessione e della Comunione ».

(Ibid.).

DOMANDA 263a.

S. Congregazione dei Sacramenti, 1. c.:

« IV. L’obbligo del precetto della Confessione e della Comunione, al quale è tenuto il fanciullo, ricade specialmente sopra coloro, che devono averne cura, cioè sui genitori, sul confessore, sugl’istitutori e sul parroco. Spetta poi al padre, o a chi ne fa le veci, e al confessore, secondo il Catechismo Romano, ammettere il fanciullo alla prima Comunione ».

(Ibid.).

DOMANDA 264a.

S. Congreg. dei Sacramenti, 1. e. :

« II. Per la prima Confessione e Comunione non è necessaria la piena e perfetta conoscenza della dottrina cristiana. Tuttavia il fanciullo dovrà poi a mano a mano imparare tutto intero il catechismo, secondo la sua capacità ».

« III. La conoscenza della religione, che si richiede nel fanciullo perchè si prepari convenientemente alla prima Comunione, è quella che gli permette di comprendere, secondo la sua capacità, i misteri della fede, necessari di necessità di mezzo, e di distinguere il pane Eucaristico dal pane comune e materiale, di modo che s’accosti alla SS. Eucaristia con la devozione che l’età stessa comporta ».

(Ibid.).

DOMANDA 265a.

S. Congreg. dei Sacramenti: V. D. 263.

DOMANDA 266a.

S. Congreg. dei Sacramenti, 1. c.:

« VI. Rammentino coloro cui spetta la cura (de’ fanciulli) l’obbligo gravissimo di provvedere che i fanciulli stessi intervengano alle pubbliche lezioni di catechismo; altrimenti, suppliscano in altro modo alla loro religiosa istruzione » .

(Ibid.).

DOMANDA 269a.

S. Congreg. del S. Ufficio, Decreto 24 sett. 1665, 4 a prop. condannata :

« Chi fa una confessione nulla di proposito, adempie il precetto della Chiesa ».

(Du Plessis, III, II, 321).

DOMANDA 275a.

Pio XI, Enc. Quas primas, 11 dic. 1925:

 Ordini religiosi d’ambo i sessi e sodalizi che, prestando validissimo aiuto ai Pastori della Chiesa, s’adoperano con tutto zelo a promuovere o a costituire il regno di Cristo tanto col combattere, in grazia de’ sacri voti, la triplice concupiscenza del mondo, quanto col contribuire, per mezzo d’una professione di vita più perfetta, a far rifulgere sempre più al cospetto di tutti con splendore perenne, quella santità, che il divin Fondatore volle fosse della Chiesa una nota insigne».

(Acta Apost. Sedis, XVII, 609).

DOMANDA 276a.

Leone XIII, Lett. Testem benevolentiæ, 22 genn. 1899 all’È.mo Card. Gibbons:

« Da questo disprezzo, per così dire, delle virtù evangeliche, che erroneamente son chiamate passive, era inevitabile conseguenza che penetrasse a poco a poco negli animi anche il disprezzo della vita religiosa stessa. E desumiamo che quest’errore sia comune ai fautori delle nuove opinioni, da certe loro sentenze a proposito dei voti che fanno gli Ordini religiosi. Dicono infatti che quelli sono in contrasto assoluto coll’indole del nostro tempo in quanto restringono i confini della libertà umana; e che sono buoni per gli spiriti deboli piuttosto che per i forti; e che non giovano alla perfezione cristiana e al bene dell’umano consorzio, che anzi piuttosto s’oppongono e nuociono all’una e all’altro. Orbene quanta falsità ci sia in queste affermazioni apparisce facilmente dalla pratica e dalla dottrina della Chiesa, che sempre approvò altamente la vita religiosa…. Aggiungono che il sistema di vita religiosa non giova punto o ben poco alla Chiesa. È un’ingiuria per gli Ordini religiosi, e del resto chi ha svolto gli annali della Chiesa non vi potrà mai consentire ».

(Acta Leonis XIII, XIX, 15-16).

Il medesimo, Lett. Au milieu des consolations, 23 ag. 1900, all’E.mo Card. Richard:

« Gli Ordini religiosi, come ognun sa, ebbero l’origine e la loro ragione d’esistere dai sublimi consigli evangelici che il nostro divin Redentore suggerì, pel corso di tutte le generazioni, a coloro che intendono raggiunger la perfezione cristiana: anime forti e generose che per mezzo della preghiera e della contemplazione, di sante austerità, della pratica di certe regole, tendono alle più alte vette della vita spirituale. Nati sotto l’azione della Chiesa, che ne conferma colla sua autorità il reggimento e la disciplina, gli Ordini religiosi sono scelta porzione del gregge di Gesù Cristo; sono, secondo S. Cipriano, « l’onore e l’avvenenza della grazia spirituale » (De discipl. et habitu virginum, c. 77), e nel tempo stesso fanno testimonianza della santa fecondità della Chiesa. Le loro promesse, spontanee e libere, dopo matura riflessione durante il noviziato, furono considerate e rispettate sempre come cosa sacra, sorgente delle più nobili virtù. Lo scopo di questi impegni è doppio: anzitutto sollevare le persone, che se li assumono, a un più alto grado di perfezione; poi prepararle, purificandone e fortificandone l’anima, al ministero esteriore, che si esercita per la salvezza eterna del prossimo e al sollievo delle numerose miserie dell’umanità. Così, lavorando sotto la direzione suprema della Sede Apostolica per attuare l’ideale perfezione additata da Nostro Signore, vivendo con regole niente affatto in contrasto con qualsiasi forma di governo civile, gli Istituti religiosi contribuiscono assai alla missione della Chiesa, riposta essenzialmente nel santificar le anime e beneficare l’umanità. Perciò dovunque fu rispettato il diritto naturale d’ogni cittadino di scegliere il genere di vita ch’egli crede più conforme al suo genio e al suo perfezionamento morale, anche gli Ordini religiosi sbocciarono come un prodotto spontaneo del suolo cattolico e i Vescovi li considerarono ben a ragione preziosi ausiliarii del santo ministero e della carità cristiana » .

(Acta Leonis XIII, XX, 340-41).

Pio XI, Lett. Unigenitus Dei Filius, 19 marzo 1924 :

« Il Figlio Unigenito di Dio, venuto nel mondo per redimere l’uman genere, dopo aver dato norme di vita spirituale per guida di tutti al raggiungimento del fine stabilito, insegnò di più che a chi vuol seguire più dappresso le sue vestigia, conviene abbracciare e osservare i consigli evangelici. Ora chiunque, fatto voto a Dio, promette di osservare siffatti consigli, non soltanto si libera da tutti gli ostacoli, che di solito ritardano gli uomini dal santificarsi, per es. i beni di fortuna, le cure e le brighe del matrimonio, la smodata libertà in tutte le cose; ma anche cammina alla vita perfetta per una via così diritta e spedita da sembrar che abbia gettato l’ancora ormai nel porto di salvezza ».

(Acta Apost. Sedis, XVI, 133).

DOMANDA 280a.

Concilio di Trento, sess. VI, De justificatione, can. 11:

« Sia scomunicato chi afferma che l’uomo è giustificato unicamente coll’accreditamento della santità di Cristo, o colla sola remissione de’ peccati, senza la grazia e la carità diffusa dallo Spirito Santo ne’ lor cuori e ad essi inerente; ovvero che la grazia, per cui siamo giustificati, è soltanto un favore di Dio ».

S. Cirillo d’Alessandria, In Joann., I , 9:

« Divenuti partecipi di lui (Dio) per virtù dello Spirito, ci è stato impresso il sigillo della sua somiglianza, e ci siamo elevati alla forma esemplare della sua immagine, per la quale la divina Scrittura afferma che noi siamo stati creati. E così, ricuperata finalmente l’antica bellezza di natura e rinnovellati sul modello di quella divina natura, supereremo i danni che ci toccarono in conseguenza della prevaricazione. Per merito dunque di Cristo siamo saliti alla dignità soprannaturale; anche noi, (non però come lui, senz’alcuna differenza) diventeremo figli di Dio, ma a somiglianza di lui, vale a dire in virtù della grazia, per la quale, a lui conformandoci, lo riproduciamo. Difatti egli è il vero Figlio di Dio, generato dal Padre, mentre noi siamo per sua benignità figli adottivi, per via della grazia che ce ne fa degni: Io ho detto: siete dei e figli tutti dell’Eccelso (Salm. LXXXI, 6). Perchè appunto la natura creata e schiava è chiamata all’ordine soprannaturale soltanto al cenno e per volontà del Padre; invece il Figlio, Dio e Signore, è Dio non per cenno di Dio e del Padre, nè per sola volontà di lui, ma, per esser lo splendore della sostanza stessa del Padre, rivendica a sè il bene proprio di lui, secondo natura ».

(P. G., 13, 154).

DOMANDA 282a.

Concilio II d’Orange, (529), can. 18:

« Per le buone opere compiute è dovuta ricompensa senza che alcun merito prevenga la grazia; ma, per essere compiute, precede una grazia, che non è dovuta ».

(Mansi, VIII, 715).

Concilio di Trento, Sess. VI, Decretum de justificatione, can. 32:

« Sia scomunicato chi afferma che le buone opere dell’uomo giustificato sono soltanto dono di Dio, e non anche meriti buoni dell’uomo stesso giustificato, oppure che l’uomo giustificato non merita veramente colle buone opere, da lui compiute per grazia di Dio e per merito di Gesù Cristo, di cui è membro vivo, l’aumento della grazia, la vita eterna e il raggiungimento della stessa vita eterna (se muore in grazia) e inoltre l’aumento della gloria ».

DOMANDA 283a

Concilio di Trento, Sess. V I , Decretum de justificatione, can. 27:

« Chi sostiene che non v’è peccato mortale se non quello di mancanza di fede, oppure che la grazia, una volta ricevuta, non si perde per altro peccato, sia pur grave ed enorme, tranne che pel peccato di mancanza di fede, sia scomunicato ».

S. Basilio: Vedi D. 66.

DOMANDA 285a.

Concilio di Trento, Sess. VI, Decretum de justificatione:

« Vengono poi disposti alla stessa giustificazione, mentre mossi ed aiutati dalla grazia divina e acquistando la fede dalla predicazione, sono mossi liberamente verso Iddio, credendo vere le cose che furono da Dio rivelate e promesse; e anzitutto, che l’empio è da Dio giustificato per la grazia di Lui, in virtù della redenzione che è in Cristo Gesù; inoltre coll’elevarsi alla speranza, volgendosi dal timore della divina giustizia, onde sono utilmente scossi nella consapevolezza d’esser peccatori, a considerare la misericordia di Dio, nella fiducia che Dio sarà loro propizio per amor di Cristo; col cominciare ad amarlo come fonte d’ogni giustificazione; col ribellarsi quindi contro i peccati per una specie di odio e per detestazione, cioè per quel pentimento che dev’esser concepito prima del Battesimo; finalmente col proposito di ricevere il Battesimo, d’incominciare una nuova vita e di osservare i divini comandamenti. Di questa disposizione sta scritto: Chi a Dio s’accosta deve credere che c’è e ch’è rimuneratore di chi lo cerca (Agli Ebr., XI, 6) e : O figlio, abbi fiducia, ti son rimessi i tuoi peccati (Marc, II, 5; Matt., I X , 2) e; il timore del Signore scaccia il peccato (Eccli., I, 27) e: Fate penitenza e ognuno di voi sia battezzato in nome di Gesù Cristo per la remissione de vostri peccati e riceverete il dono dello Spirito Santo (Atti, II, 38) e: Andate dunque e ammaestrate tutte le genti battezzandole nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare i miei comandamenti (Matt., XXVIII, 19, 20). Finalmente: Preparate i vostri cuori al Signore ». (I Re, VII, 3).

S. Agostino, De spiritu et littera, 48:

« Se però quelli che vivendo secondo natura adempiono la legge (Ai Rom,, II, 14) non ancora si devono considerare nel numero dei giustificati dalla grazia di Cristo, ma piuttosto di coloro, di cui, benché infedeli e lontani dall’adorare il vero Dio in verità e giustizia, leggiamo tuttavia o conosciamo, o sentiamo dire fatti che a norma di giustizia non solo non possiamo biasimare, ma anzi dobbiamo meritatamente e legittimamente lodare; tuttavia, se si esaminan bene per qual fine siano compiute, a stento se ne troverà che meritino la dovuta lode di giustizia o l’apologia. Però, siccome nell’anima umana l’imagine di Dio non fu proprio distrutta dalla contaminazione degli affetti terreni sicché non vi sieno rimaste le fattezze fondamentali, per cui meritamente si può dire che nello stesso stato d’infedeltà compia o sappia in parte la legge; se, ciò ch’è stato detto, è fermo, vale a dire che le genti, le quali non hanno legge, cioè la legge di Dio, compiono naturalmente i precetti della legge…. non n’è turbata la differenza, per cui il Nuovo Testamento si differenzia dal Vecchio…. Infatti come certi peccati veniali non tolgono al giusto la vita eterna, peccati senza cui non trascorre la vita, così per la eterna salvezza niente giovano all’empio alcune buone opere, senza le quali è ben difficile che trascorra la vita di qualsiasi anche pessimo uomo ».

(P. L., 44, 229 s.).

DOMANDA 286a.

S. Efrem, De Epiphania, X, 14:

« Il buon Signore mira a questi due fini: non vuol costringere la nostra libertà, nè permette che siamo rilassati. Se infatti usa la costrizione, toglie il libero arbitrio; se invece usa indulgenza, priva l’anima dell’aiuto suo. Sapendo il Signore che, se costringe, ci toglie la libertà; se ci toglie l’aiuto, ci rovina; se insegna, ci acquista: non ci costringe, nè toglie l’aiuto, come fa il maligno, ma insegna, ammaestra e conquista, perchè è buono ».

(Lamy, 1. c., I , 102).

S. Cirillo d’Alessandria, De adoratione in spiritu et veritate, I:

« Poiché la natura dell’uomo non è molto salda, nè abbastanza robusta per svincolarsi dai vizi, Dio le viene in aiuto. Pertanto conferisce duplice grazia; come infatti persuade cogli ammonimenti, così trova i modi d’aiutare e li rende più efficaci di fronte al male presente che vuol farci violenza ».

(P. G., 68, 174).

DOMANDA 287a.

Concilio II d’Orange (529) contro i Semipelagiani:

« Can. 3. Chi afferma che la grazia di Dio può essere conferita Conferita alla preghiera dell’uomo, ma non che la grazia stessa opera in modo che sia da nói invocata, contraddice al Profeta Isaia, o all’Apostolo che dice lo stesso: Fui ritrovato da chi non mi cercava, apparvi palesemente a chi non mi domandava (Ai Rom., X, 20; Isaia LXV, 1) ».

« Can. 4. Chi sostiene che, per purificarci dal peccato, Iddio aspetta la nostra volontà, ma non ammette che per infusione e operazione in noi dello Spirito Santo avviene che anche vogliamo esser purificati, resiste proprio allo Spirito Santo, che dice per bocca di Salomone: La volontà è preparata dal Signore (Prov., VIII, 36) e all’Apostolo che salutarmente proclama: ionm. È Dio che opera in voi e il volere e il fare secondo la buona volontà (Ai Fil., II, 13) ».

« Can. 5. Chi afferma che, tanto l’aumento, come pure il principio della fede e persino il desiderio del credere, grazie al quale crediamo in colui, che giustifica l’empio, e giungiamo alla (ri)generazione del sacro Battesimo, nasce in noi non per un dono della grazia, cioè per ispirazione dello Spirito Santo, che volge la nostra volontà dallo stato d’infedeltà alla fede, dall’empietà alla pietà, ma per via naturale, si dimostra contrario alla dottrina degli Apostoli, perchè dice il beato Paolo: Noi confidiamo perchè chi ha incominciato in noi l’opera buona la condurrà a termine pel giorno del Signor nostro Gesù Cristo (Ai Fil., I, 6); e ancora: Per merito di Cristo a voi fu concesso non soltanto di credere in lui, ma anche di patire per lui (Ai Fil., I, 29) e: Gratuitamente siete stati fatti salvi per la fede e non da voi; perocché essa è dono di Dio (Agli Efes., II, 8). Infatti coloro, che affermano cosa naturale la fede, per la quale crediamo in Dio, vengono in certo senso a concludere che sono fedeli tutti coloro, i quali sono estranei alla Chiesa di Cristo ». « Can. 6. Si oppone all’Apostolo, che dice : Che cos’hai, che non hai ricevuto? (I ai Cor., IV, X) e: Per la grazia di Dio son ciò che sono (I ai Cor., XV, 10) chi afferma che la misericordia è da Dio conferita alla nostra fede, volontà, desiderio, sforzo, attività, vigilanza, diligenza, richiesta, preghiera, insistenza, ma non ammette che avvenga in noi per infusione ed ispirazione dello Spirito Santo il fatto che crediamo, vogliamo e siamo in grado di far tutte queste cose, come si conviene; e all’umiltà, o all’obbedienza umana vuol sì congiunto l’aiuto della grazia, ma non consente che della grazia stessa è dono se noi siamo obbedienti e umili ».

(Mansi, VIII, 713 s.).

Concilio di Trento, Sess. VI, Sulla giustificazione:

« Can. 1. Chi sostiene che l’uomo colle opere sue, che sono compiute colle forze della natura umana, oppure con la conoscenza della legge, senza la grazia divina derivante da Gesù Cristo, possa giustificarsi al cospetto di Dio, sia scomunicato ».

« Can. 2. Chi sostiene che la grazia divina è data per mezzo di Gesù Cristo a questo scopo soltanto che l’uomo possa più falcilmente vivere da giusto e meritarsi la vita eterna, quasiché per mezzo del libero arbitrio, senza la grazia, possa in qualsiasi modo vivere e meritare, a stento però e con difficoltà, sia scomunicato ».

« Can. 3. Chi sostiene che l’uomo possa credere, sperare, amare o pentirsi senza l’ispirazione proveniente dallo Spirito Santo e senza il suo aiuto, com’è necessario affinchè gli sia conferita la grazia della giustificazione, sia scomunicato ».

S. Gregorio di Nazianzo, Oratio, 37, 13:

« Poiché infatti ci sono taluni i quali per le buone azioni insuperbiscono talmente che l’attribuiscono in tutto a se stessi, nè riconoscono d’aver ricevuto affatto qualche cosa dal Creatore e dall’autore della loro sapienza e datore d’ogni bene, li ammaestra la parola (Non è di chi vuole, nè di chi corre, ma di Dio che ha compassione) che persino lo stesso retto volere ha bisogno dell’aiuto divino; anzi per parlare più giustamente, anche la volontà stessa e la scelta delle azioni rette e congiunte col dovere è un beneficio divino e un dono che deriva dalla benignità di Dio. Se infatti ci salviamo, dipende e da noi e da Dio. Perciò dice: Non di chi vuole, cioè non soltanto di chi vuole, nè di chi corre soltanto, ma anche di Dio che ha pietà. Così, siccome lo stesso volere è da Dio, ben a ragione attribuì tutto a Dio. Per quanto tu corra, per quanto tu lotti, tu hai bisogno di chi dà la corona ».

(P. G., 36, 298 s.).

S. Giovanni Crisostomo, In Genesim, XXV, 7:

« E difatti non è possibile che noi compiamo qualche cosa di buono se non siamo aiutati dalla grazia superna ».

(P. G., 53, 228).

DOMANDA 288a.

Concilio di Trento, Vedi D. 289.

Innocenzo X, Costit. Cum occasione, 31 mag. 1653, contro di errori di Giansenio, prop. I tra le condannate:

« Taluni precetti di Dio sono impossibili per gli uomini giusti, anche se vogliono e si sforzano, in proporzione delle forze che possiedono presentemente; a essi manca pure l a grazia, per mezzo della quale si rendano possibili » .

(Du Plessis, 1. c., III, II, 261).

S. Giovanni Crisostomo, In Epist. ad Hebraeos, XVI, 4:

« Non è lecito affermare: Non posso; sarebbe un accusar il Creatore. Difatti se ci avesse fatto incapaci e comandasse, contro di lui sarebbe l’accusa. Come dunque, disse, molti non possono? Perchè non vogliono. Come mai non vogliono? Per indolenza; difatti se vorranno potranno benissimo…. Infatti abbiamo Dio che dà l’aiuto e la forza; resta che facciamo la scelta, che ci disponiamo agli atti da compiere come a un dovere, che abbiamo premura, che facciamo attenzione; e tutto verrà da sè ».

(P. G., 63, 127 s.).

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (24)

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: DOVERI DEI GENITORI VERSO I FIGLI

Doveri dei genitori verso i figli.

Credidit ipse, et domus ejus tota.

(JOAN. IV, 53).

Possiamo noi trovare, Fratelli miei, un esempio più adatto per far intendere a tutti i capi di famiglia che essi non possono efficacemente lavorare alla loro salvezza se nel medesimo tempo non lavorano a quella dei loro figli? Invano i padri e le madri passerebbero la loro vita nel far penitenza, nel piangere i loro peccati, nel distribuire le ricchezze ai poveri; se essi hanno la disgrazia di trascurare la salute dei loro figli, tutto è perduto per essi. Ne dubitate, F. M.? Aprite le Scritture, e vi vedrete che se i genitori furono santi, lo furono del pari i loro figli, ed anche i dipendenti. Quando il Signore loda quei padri e quelle madri che si sono distinti per fede e pietà, non dimentica di dirci che i loro figli ed i loro servi hanno camminato sulle loro tracce. Lo Spirito Santo vuol farci l’elogio di Abramo e di Sara? Non tralascia nel medesimo tempo di ricordarci l’innocenza di Isacco e il fervoroso e fedele lor servo Eliezero (Gen XXIV). E se ci mette davanti le rare virtù della madre di Samuele, fa rilevare subito le belle qualità di questo degno figliuolo (I Reg. I e II). Se ci manifesta l’innocenza di Zaccaria e di Elisabetta ci parla subito di Giovanni Battista, il santo precursore del Salvatore (Luc. I). Quando il Signore vuol presentarci la madre dei Maccabei come una madre degna dei suoi figliuoli, ci mostra nel medesimo tempo il coraggio e la generosità di questi, che danno la vita con tanta gioia per il Signore (II Macc. VII). Se S. Pietro ci parla del centurione Cornelio come d’un modello di virtù, ci dice anche che tutta la sua famiglia serviva con lui il Signore (Act. X, 2) . Se il Vangelo ci parla di quell’ufficiale che venne a domandare a Gesù la guarigione di suo figlio, ci dice che dopo averla ottenuta non si diede più pace finché tutta la famiglia non credette con lui nel Signore (Joan. IV, 58). Quali esempi per i padri e le madri! Dio mio! se i padri e le madri dei nostri giorni avessero la fortuna di esser santi, quanti figli di più pel cielo! quanti figli di meno per l’inferno! Ma, forse mi direte, che cosa dobbiamo fare per adempiere i nostri doveri, poiché sono sì grandi e sì terribili? — Ahimè! io non oso dirvelo, tanto sono gravi per un Cristiano che desidera adempirli come vuole il buon Dio. Ma giacché sono obbligato a mostrarveli, eccoli: istruire i vostri figli, cioè insegnar loro a conoscere il buon Dio ed i propri doveri; correggerli cristianamente, dar loro buon esempio, guidarli per la giusta via che conduce al cielo, camminandovi per primi voi stessi. Ahimè ! F. M., io temo che questa istruzione vi sia, come tante altre, nuovo argomento di condanna. Il voler mostrarvi la grandezza dei vostri doveri, è volere discendere in un abisso senza fondo, e volere spiegare una verità che l’uomo non può mettere i n tutta la sua luce. – Per questo, F. M. bisognerebbe potervi far comprendere ciò che valgono le anime dei vostri figli, quanto ha sofferto Gesù Cristo per ridonar loro il cielo, il conto spaventoso che un giorno dovrete renderne a Dio, la felicità che fate loro perdere per tutta l’eternità, i tormenti che preparate loro per l’altra vita; converrete con me, F. M., che nessun uomo è capace di tutto questo. Ah! disgraziati genitori, se li stimaste quanto li stima il demonio! Quando pure egli impiegasse tre mila anni per tentarli, se finalmente riuscisse ad averli, conterebbe per nulla tutte le sue fatiche. Piangiamo, F. M., la perdita di tante anime che i genitori stessi ogni giorno gettano nell’inferno. Diamo uno sguardo superficiale ai vostri doveri, e frattanto, se non avete perduta interamente la fede, vedrete che non avete fatto nulla di quanto il buon Dio vuol che facciate per i vostri figli, o piuttosto che avete fatto tutto quanto occorreva per perderli. Ah! quante persone maritate non andranno in cielo! — E perché? mi direte voi. — Ecco. Perché vi sono molti che entrano nello stato del matrimonio senza le necessarie disposizioni, e profanano così da principio questo sacramento. Sì, dove sono quelli che ricevono questo Sacramento con la dovuta preparazione? gli uni vi sono condotti dal pensiero di accontentare i loro impuri desiderii; gli altri sono attirati da viste d’interesse, o dalle seduzioni della beltà; ma quasi nessuno ha per oggetto Dio solo. Ahimè! quanti matrimoni profanati, e come sono poche le unioni dove regnano la pace e la virtù! Dio mio! Quante persone maritate si danneranno. Ma, no, F. M., non entriamo in questi particolari, vi ritorneremo un’altra volta; parliamo solo dei doveri dei genitori verso i figli; sono abbastanza estesi per servirci da soggetto di trattenimento. Per oggi, F . M., non dirò nulla di quei padri e di quelle madri, del cui delitto non potrei dipingere a colori abbastanza vivi e forti la enormità e l’orrore. Essi fissano, prima di Dio stesso, il numero dei loro figli, mettono dei limiti ai disegni della Provvidenza s’oppongono alle sue adorabili volontà. Copriamo, F. M., tutte queste turpitudini con un velo, che nel grande giorno delle vendette, Colui, che ha tutto visto, contato e. ponderato saprà strappare. I tuoi delitti, amico, sono ancora nascosti, ma fra qualche giorno  Dio saprà manifestarli davanti a tutto l’universo. Sì, F. M., nel giorno del giudizio vedremo tutti gli orrori commessi nel matrimonio e che avrebbero fatto fremere gli stessi pagani. Non dico neppur nulla di quelle madri delinquenti, che vedrebbero senza dolore, ahimè! forse anche con piacere, perire i loro poveri figli prima di averli dati alla luce, e di aver loro procurato la grazia del Battesimo; le une, per timore dei fastidi che proverebbero nell’allevarli; le altre per timore del disprezzo e del rifiuto che proverebbero da un marito brutale ed irragionevole; non dico, senza religione, perché i pagani non farebbero di più, Dio mio! e possono tali delitti trovarsi fra i Cristiani? Eppure. F. M., quanto ne è grande il numero! Ancora una volta, quante Persone maritate sono dannate! Ecchè, amico mio, il buon Dio vi ha forse dato cognizioni superiori alle bestie, solo perché poteste offenderlo meglio? Gli uccelletti e gli stessi animali più feroci dovranno servirvi d’esempio? Vedetele,  queste povere bestie, quanto si rallegrano al vedersi moltiplicare i loro nati: di giorno si affaticano a cercar loro il nutrimento, e di notte li coprono colle loro ali per difenderli dalle ingiurie del tempo. Se una mano rapace porta via loro i piccoli, le sentirete lamentarsi; sembra che esse non possano più abbandonare i loro nidi, sempre nella speranza di ritrovarli. Quale vergogna, non dico per i pagani, ma per i Cristiani, che gli animali siano più fedeli nell’adempimento dei disegni della Provvidenza, che non gli stessi figli di Dio; cioè i padri e le madri che Dio ha scelto solo per popolare il cielo! No, no, F. M., non continuiamo, abbandoniamo un argomento così ributtante; entriamo nei particolari che riguardano un maggior numero di persone. Io vi parlerò più semplicemente che mi sarà dato, affinché possiate ben comprendere i vostri doveri ed adempirli.

1° Dico anzitutto che quando una madre è incinta deve pregare o fare qualche elemosina; meglio ancora, se può, far celebrare una Messa, per domandare alla santa Vergine di riceverla sotto la sua protezione, affinché ottenga da Dio che il povero infante non muoia senza aver ricevuto il santo Battesimo. Se una madre avesse veramente il sentimento religioso, direbbe a se stessa: “Ah! se avessi la fortuna di veder questo bambino diventare un santo, e contemplarlo per tutta l’eternità al mio fianco, cantando le lodi del buon Dio, quale gioia per me!„ Ma no, no, F. M., non è questo il pensiero che occupa una madre incinta: essa proverà invece un affannoso dispiacere nel vedersi in questo stato, e forse penserà di distruggere il frutto del suo seno. Dio mio, il cuore di una madre cristiana, può concepire un tale delitto? Eppure, quante ne vedremo, in quel giorno, che avranno nutrito in sé tali pensieri d’omicidio!

2° Dico inoltre che una madre incinta che vuol conservare il figliuolo pel cielo, deve evitare due cose: il portare carichi troppo pesanti e l’alzare le braccia troppo con isforzo per prendere qualche cosa, il che potrebbe nuocere al povero figliuolo e farlo perire. La seconda cosa da evitare, è il prendere rimedi che possano far patire il figliuolo, o dare in iscatti di collera, ciò che potrebbe spesso soffocarlo. I mariti devono tollerare molte cose che in un altro tempo non tollererebbero; se non vogliono farlo per riguardo alla madre, lo facciano almeno per riguardo al bambino; poiché potrebbe perdere la grazia del santo Battesimo; il che sarebbe la più grande di tutte le disgrazie!

3° Quando una madre vede avvicinarsi il tempo del parto, deve andarsi a confessare, e per più ragioni. La prima, perché molte durante il parto muoiono e, se per isventura ella avesse la disgrazia d’essere in peccato, si dannerebbe. La seconda, perché essendo in istato di grazia, tutte le pene e dolori che soffrirà saranno ricompensati in cielo. La terza, perché il buon Dio non mancherà di accordarle tutte le grazie che essa augurerà al suo figliuolo. Una madre, durante il parto, deve conservare il pudore e la modestia, per quanto nel suo stato le sia possibile, e non mai dimenticarsi di essere alla presenza di Dio, ed in compagnia del suo buon angelo custode. Non deve mangiare mai di grasso nei giorni proibiti, senza permesso, perché attirerebbe la maledizione su di sé e sul figlio.

4° Non lasciate mai passare più di ventiquattro ore senza far battezzare i vostri figli; se non lo fate, vi rendete colpevoli, eccetto però che non abbiate serie ragioni. Per padrini e madrine scegliete persone buone per quanto lo potete; eccone la ragione: tutte le preghiere, le buone opere che faranno i padrini e le madrine, in virtù della parentela spirituale coi vostri figli otterranno a questi una quantità di grazie dal cielo. Sì, F. M., stiamo certi che nel giorno del giudizio vedremo molti figli riconoscersi debitori della loro salute alle preghiere, ai buoni consigli ed ai buoni esempi dei padrini e delle madrine. Un’altra ragione vi obbliga: se voi venite a mancare, essi dovranno tenere il vostro posto. Dunque, se aveste la disgrazia di scegliere padrini e madrine senza religione, questi non potrebbero che condurre i vostri figli all’inferno. Padri e madri, non dovete mai lasciar perdere il frutto del Battesimo ai vostri figli: come sareste ciechi e crudeli! La Chiesa vuol salvarli col santo Battesimo, e voi, per negligenza, li rimettete in potere del demonio! Poveri bambini; in quali mani avete la disgrazia di cadere! Ma quanto ai padrini ed alle madrine non bisogna dimenticare che per farsi mallevadori di un fanciullo è necessario essere sufficientemente istruiti, di poter istruire essi il fanciullo, se il padre e la madre avessero a mancargli. Inoltre bisogna che siano buoni Cristiani ed anche perfetti Cristiani; poiché devono servir d’esempio ai loro figli spirituali. Perciò una persona che non fa Pasqua non deve tener a battesimo un bambino, e neppure una persona che ha una cattiva abitudine e non vuole rinunciarvi, o che va ai balli, o che frequenta abitualmente le bettole; perché ad ogni interrogazione del sacerdote, fa un giuramento falso: cosa grave, come ben vedete, in presenza di Gesù Cristo stesso, e ai piedi del sacro fonte battesimale. Quando non avete le necessarie condizioni per essere padrini cristiani, dovete rifiutare; e, se tutto questo vi è già capitato, dovete confessarvene, e non cadere più in simile peccato.

5° Non dovete far dormire i vostri figli con voi prima dell’età di due anni; se lo fate, commettete peccato. La Chiesa ha fatto questa legge non senza ragione: voi siete obbligati ad osservarla. — Ma, mi direte, alle volte fa molto freddo, o si è molto stanchi. — Questo non è una ragione che possa scusarvi davanti a Dio. Del resto, quando vi siete maritati, sapevate che sareste stati obbligati a portare il peso e ad adempiere i doveri inerenti a questo stato. Vi sono anche, F. M., dei padri e delle madri così poco istruiti in materia di religione, o così noncuranti dei loro doveri, che fanno dormire con sé figliuoli dai quindici ai diciotto anni, e spesso anche fratelli e sorelle assieme. Dio mio in quale stato d’ignoranza sono questi padri e queste madri! — Ma, mi direte, non abbiamo letti. — Voi non avete letti: ma è meglio farli dormire su di una seggiola, o in casa del vostro vicino. Dio mio! quanti genitori e figli dannati! Ma ritorno ancora al mio punto, dicendo che tutte le volte che fate dormire con voi i figliuoli prima che abbiano due anni, offendete il buon Dio. Ahimè! quanti poveri bambini alla mattina sono trovati soffocati dalla madre, ed a quante madri, qui presenti, è toccata questa disgrazia! E quand’anche Iddio ve ne avesse preservate, non siete meno colpevoli che se lì aveste trovati soffocati ogniqualvolta hanno dormito con voi. Voi non volete convenirne, cioè non ve ne correggete: aspettiamo il giorno del giudizio, ed allora sarete obbligate di ammettere quanto ora non volete riconoscere. — Ma, mi direte, quando sono battezzati non vanno perduti, anzi vanno in cielo. — Senza dubbio, F. M., non andranno perduti, ma siete voi che vi perderete; del resto sapete voi a che cosa destinava Iddio quei figliuoli? Forse quel bambino sarebbe stato un buon sacerdote. Avrebbe condotto una quantità di anime a Dio; ogni giorno, celebrando la S. Messa, avrebbe reso più gloria a Dio che tutti gli angeli ed i santi riuniti insieme in cielo. Avrebbe tratto più anime dal purgatorio che non le lagrime e lo penitenze dei solitari offerte al trono di Dio. Comprendete ora, il male di lasciar morire un fanciullo, anche battezzato? Se la madre di S. Francesco Saverio, che fu un gran santo che ha convertito tanti idolatri, l’avesse lasciato perire; ahimè! quante anime nell’inferno, al giorno del giudizio, la rimprovererebbero di essere stata la causa della loro dannazione, perché quel fanciullo era mandato da Dio por convertirli! Voi lasciate perire quella bambina che forse si sarebbe data a Dio; colle sue preghiere e co’ suoi buoni esempi avrebbe condotto un gran numero di anime al cielo. Forse madre di famiglia, avrebbe ben allevato i suoi figli che, a loro volta, ne avrebbero allevati altri, e così la religione si sarebbe mantenuta e conservata per numerose generazioni. Voi contate poco, F. M., la perdita di un fanciullo, col pretesto che è battezzato; ma aspettate il giorno del giudizio, e vedrete e riconoscerete ciò che non comprenderete mai in questo mondo. Ahimè! se i padri e le madri facessero di tanto in tanto questa riflessione, quante anime di più vi sarebbero in cielo.

6° Io dico che i genitori sono colpevoli assai quando accarezzano i loro figli in un modo troppo sconveniente. — Ma, mi direte, non facciamo alcun male, è soltanto per carezzarli; — ed io invece vi dirò che offendete il buon Dio, e che attirate la maledizione su questi poveri bambini. Sapete che cosa ne avviene? Ecco: Vi sono dei fanciulli che hanno presa questa abitudine dai genitori, e l’hanno conservata fino alla loro prima comunione. Ma, mio Dio! si può credere che questo avvenga da parte di genitori cristiani?

7° Vi sono delle madri, che hanno sì poca religione, o se volete, sono così ignoranti, che per mostrare alle vicine la robustezza dei loro figli li scoprono nudi; altre per lavarli, li lasciano per lungo tempo scoperti davanti a tutti. Ebbene non dovreste farlo, neppure se niuno vi fosse presente. Forse non dovete rispettare la presenza dei loro Angeli custodi? Lo stesso dicasi quando li allattate. Deve forse una madre cristiana lasciare il seno scoperto? e quantunque ben coperta, non deve forse voltarsi dove non vi sia alcuno? Altre, sotto pretesto che sono nutrici, non si coprono che per metà; quale abbominazione! Non c’è da far arrossire persino i pagani? Si è obbligati, per non esporsi a sguardi impuri, di fuggire la loro compagnia. Che orrore! — Ma, mi direte, quantunque vi sia presente alcuno, bisogna pur allattare i figli e fasciarli quando piangono. — Ed io vi dirò che quando piangono, dovete fare tutto il possibile per acquietarli; ma è meglio lasciarli piangere un poco che offendere Iddio. Ahimè! quante madri sono causa di sguardi impuri, di cattivi pensieri, di toccamenti disonesti! Ditemi, sono quelle le madri cristiane che dovrebbero essere così riservate? Dio mio! quale giudizio dovranno subire? Altre sono così maleducate che d’estate lasciano correre per tutta la mattina i loro figli mezzo nudi. Ditemi, o miserabili, non stareste forse meglio tra le bestie selvagge? Dove è la vostra religione e il pensiero dei vostri doveri? Ahimè! della religione non ne avete, e quanto ai vostri doveri, non li avete mai conosciuti. Voi stesse ne date la prova ogni giorno. Ah! poveri figli, quanto siete disgraziati d’aver tali genitori!

8° Dico, che dovete ancora sorvegliare i vostri figli quando li mandate nei campi; là, lontani da voi, si abbandonano a tutto ciò che il demonio ispira loro. Se l’osassi, vi direi che essi commettono ogni sorta di disonestà; che passano delle mezze giornate nel far cose abbominevoli. So che la maggior parte non conoscono il male che fanno; ma aspettate quando ne avranno la conoscenza. Il demonio non mancherà di ricordar loro quello che han fatto in questi momenti, per farli peccare. Sapete, F. M., ciò che produce la vostra negligenza o la vostra ignoranza? Eccolo: ricordatevelo bene. Una buona parte dei figliuoli che mandate nei campi, alla loro prima comunione commettono dei sacrilegi; essi hanno contratto delle abitudini vergognose: e non osano manifestarle, ovvero non se ne sono corretti. In seguito, se un sacerdote che non vuol dannarli, non li ammette, lo si rimprovererà, dicendo: Fa così perché è il mio … “Via, miserabili, vegliate un po’ meglio sui vostri figli, e saranno ammessi. Sì, dirò che la maggior parte dei vostri figli hanno cominciato la lor riprovazione da quando cominciarono ad andare nei campi. — Ma, mi direte, noi non possiamo seguirli sempre, avremmo ben da fare. — Per questo, F. M., non vi dico nulla; ma tutto quello che so è che voi risponderete delle anime loro come della vostra. — Ma noi facciamo quello che possiamo. — Io non so se voi fate quello che potete; ma quello che so è questo, che se i vostri figli presso di voi si dannano, vi dannerete voi pure; ecco quello che so, e niente altro. Avrete un bel dir di no, che io vado troppo avanti; se non avete del tutto perduta la fede, ne converrete; ciò solo basterebbe a gettarvi in una disperazione dalla quale non potreste più uscirne. Ma io so che voi non farete un passo di più per meglio osservare i vostri figli; voi non vi inquietate di questo; ed avete quasi ragione, perché avrete il tempo di tormentarvi durante tutta l’eternità. Andiamo avanti.

9. Non dovete far dormire le vostre domestiche o le vostre figlie, in appartamenti, dove alla mattina vanno i servi a cercare le rape o le patate. Bisogna dirlo, a confusione dei padri e delle madri, dei padroni e delle padrone; povere fanciulle e povere domestiche, avranno la confusione di alzarsi, di vestirsi davanti a gente che ha tanta religione quanta ne avrebbe se non avesse mai sentito parlare del vero Dio. Spesso poi i letti di queste povere fanciulle non avranno cortine. — Ma, mi direte, se bisognasse fare tutto ciò che voi dite, quanto lavoro ci sarebbe. — Amico mio, è questo appunto ciò che dovete fare, e se non lo fate ne sarete giudicati e puniti: certamente. Voi non dovete far dormire i vostri figli che hanno già sette od otto anni, nella vostra stessa camera. Ricordatevi, F. M., non conoscerete il male che fate se non al giudizio di Dio. So bene che non farete nulla o quasi nulla di ciò che vi insegno; non importa; io vi dirò sempre tutto ciò che vi devo dire; dopo, tutto il male sarà vostro e non mio, perché vi faccio conoscere ciò che dovete fare per adempire i vostri doveri verso i figli. Quando il buon Dio vi giudicherà, non potrete dire che non sapevate ciò che bisognava fare; io allora vi ricorderò ciò che oggi vi ho detto. – Avete adunque visto, F. M., che i vostri figli, benché piccoli, vi fanno commettere molte mancanze; ora vedrete che quando saranno alti ve ne faranno commettere di più grandi e di più funeste per voi e per essi. Converrete tutti con me, F. M., che più i vostri figli avanzano in età più dovete raddoppiare le preghiere e le cure, perché i pericoli sono maggiori, e le tentazioni più frequenti. Ditemi ora, fate voi tutto questo? No, senza dubbio; quando i vostri figli erano piccoli voi avevate la cura di parlar loro del buon Dio, di far loro recitare le preghiere; vegliavate un po’ sulla loro condotta, domandavate loro se si erano confessati, se avevano assistito alla santa Messa; avevate la precauzione di ricordar loro d’andare alla dottrina. Ma da quando hanno raggiunto i diciotto o i venti anni, non ispirate più loro in cuore l’amore ed il timor di Dio, non ricordate loro la felicità di chi lo serve in questa vita, il rimorso che si ha morendo, di andare perduti: ahimè! quei poveri figli sono pieni di vizi; ed hanno già mille volte trasgredito, senza conoscerli, i comandamenti della legge di Dio: il loro spirito è ripieno delle cose terrene, e vuoto di quelle di Dio. Voi parlate loro del mondo. Una madre comincerà a dire alla figliuola che la tale si è unita col tale, e che è stato un buon partito; bisognerebbe che anch’essa trovasse simile fortuna. Questa madre non avrà in mente che la figlia, cioè, farà tutto ciò che potrà per farla comparire agli occhi del mondo. Essa la coprirà di vanità, fors’anche a costo di far dei debiti; le insegnerà a camminare diritta, dicendole che cammina tutta curva, o non si sa che a cosa somigli. Certo vi stupisce che vi siano madri così cieche. Ahimè! come è grande il numero di queste povere cieche che cercano la perdita delle loro figlie! Altra volta, vedendole uscire la mattina, si daranno maggior premura di guardare so hanno la cuffia ben accomodata, il viso e le mani ben pulite, che di chiedere se hanno offerto il loro cuore a Dio, se hanno fatto le loro preghiere e offerta a Dio la loro giornata; di questo non parlano mai. Altre volte diranno alle figliuole che non bisogna essere troppo rustiche, che bisogna far buon viso a tutti; che bisogna farsi delle conoscenze per potersi collocare. Quante madri o poveri padri accecati dicono al figlio: Se ti porterai gentilmente o se farai bene quella cosa, ti lascerò andare alla fiera di Montmerle o alla Sagra (Vedi la nota a pag. 313, vol. II); cioè, se farai sempre quello che io vorrò, ti trascinerò nell’inferno! Dio mio, è questo il linguaggio di genitori cristiani che dovrebbero pregare giorno e notte per i loro propri figli, affinché il buon Dio ispiri loro un grande orrore per i piaceri, un grande amore per Lui e per la salute della loro anima? Quello che addolora ancor di più, è vedere che vi sono figliuole le quali non sono affatto portate ad uscir di casa; ed i genitori le pregano, le sollecitano dicendo loro: Se stai sempre in casa non troverai da collocarti, fuori non sarai conosciuta. Volete voi, madre mia, che la vostra figlia faccia delle conoscenze? Non inquietatevi troppo, ne farà senza che voi abbiate a tormentarvi tanto; aspettate ancora un po’ e, vedrete, se le avrà fatte. La figlia, che non avrà forse il cuore guasto come quello della madre, soggiungerà: Farei volentieri come voi volete; ma il signor Parroco non vuole; ci dice che tutto ciò non fa che attirare la maledizione del buon Dio nei matrimoni. Io non mi sento voglia di andar a ballare, che ve ne pare, mamma? — Eh! Buon Dio, quanto sei ingenua, figlia mia, ad ascoltare il signor Parroco; bisogna bene che egli dica qualche cosa; è il suo mestiere; noi si prende quello che si vuole e si lascia il resto agli altri. — Ma, allora, non faremo Pasqua? — Ah! povera bambina; se lui non ci assolverà, andremo da un altro; ciò che rifiuta l’uno, un altro l’accetta sempre. Figlia mia, sii prudente, ritorna presto, ma va pure; quando non sarai più giovane avrai finito di divertirti. „ Un’altra volta sarà una vicina che le dirà: “Voi lasciate troppo libera vostra figlia, essa finirà col darvi dei dispiaceri. — Mia figlia! le risponderà; non temo proprio di nulla. E poi le ho raccomandato di essere prudente ed essa me l’ha promesso; sono sicura che frequenta solo persone dabbene.„ — Madre mia, aspettate ancora un po’ e vedrete il frutto della sua assennatezza. Quando la colpa sarà palese, vostra figlia diventerà argomento di scandalo per tutta la parrocchia, coprirà di obbrobrio e di disonore la famiglia; e se nulla se ne scorgerà, cioè se nessuno lo saprà, tuttavia essa porterà sotto il velo del sacramento del matrimonio un cuore ed un’anima guasti da impurità, alle quali s’era data prima del matrimonio, fonte di maledizioni per tutta la sua vita. — Ma, dirà una madre, quando vedrò mia figlia andar troppo oltre, allora saprò ben io fermarla; non la lascerò più uscire, oppure adoprerò il bastone. — Voi, o madre, non le darete più il permesso; non inquietatevi, essa saprà prenderselo senza che voi vi affatichiate a darglielo, e se mostrerete anche solo di volerglielo rifiutare, ella saprà ben minacciarvi, burlarsi di voi, e partire. Siete stata voi ad eccitarla la prima volta, ed ora non potrete più trattenerla. Forse piangerete, ma a che serviranno le vostre lagrime? a nulla, se non a farvi ricordare che vi siete ingannata, che dovevate essere più prudente e guidar meglio i vostri figli. Se ne dubitate, ascoltatemi un momento e, malgrado la durezza del vostro cuore, per l’anima dei vostri poveri figli, vedrete che è solo il primo passo quello che costa; una volta che li avete lasciati uscir di strada non ne siete più padrone, e spesso fanno una fine miserabile. – Si racconta nella storia, che un padre aveva un figlio il quale gli dava ogni sorta di consolazioni; era buono, obbediente, riservato nelle sue parole, ed era nel medesimo tempo l’edificazione di tutta la parrocchia. Un giorno che vi fu un divertimento nel vicinato, il padre gli disse: “Figlio mio, tu non esci mai; va a divertirti un po’ coi tuoi amici, sono giovani dabbene, e non sarai in cattiva compagnia.„ Il figlio gli rispose: “Padre, per me non v’ha piacere più grande, e miglior divertimento che il restare in vostra compagnia.„ Ecco una bella risposta da parte di un figlio, che preferisce la compagnia di suo padre a tutti gli altri piaceri ed a tutte le altre compagnie. “Ah! figlio mio, gli rispose il povero padre accecato, verrò anch’io con te.„ Il padre parte col figlio. La seconda volta, il giovane non ha più bisogno di farsi tanto pregare; la terza va da solo, non ha bisogno di suo padre; al contrario, il padre comincia a dargli fastidio; egli conosce già molto bene la strada. Il suo spirito non è più preoccupato che dal suono degli strumenti che ha sentito, delle persone che ha viste. E finisce coll’abbandonare quelle piccole pratiche di pietà che si era prescritte quand’era tutto di Dio; finalmente si lega con una giovane ben più cattiva di lui. I vicini cominciano già a parlare di lui, come di un nuovo libertino. Quando il padre se n’accorge, vuol opporsi, gli proibisce di andare in qualsiasi luogo senza il suo permesso; ma non trova più nel figlio l’antica sottomissione Nulla può più fermarlo; si burla del padre, dicendogli che, non potendo ora divertirsi lui, vuol impedirlo anche agli altri. Il padre disperato, non vede più rimedio, si strappa i capelli, vuol castigarlo. La madre che capiva meglio del marito i pericoli di quelle compagnie, gli aveva spesso ripetuto che faceva molto male, che avrebbe avuto dei dispiaceri; ma era troppo tardi. Un giorno il padre, vistolo tornare da quei divertimenti, lo castigò. Il figlio, vedendosi contrariato dai genitori, si arruolò soldato; e qualche tempo dopo il padre ricevette una lettera che gli annunciava che il figliuol suo era rimasto schiacciato sotto i piedi dei cavalli. Ahimè! dove andò questo povero figlio? Dio non voglia che sia andato all’inferno. Intanto se egli si è dannato, come tutto fa credere, il padre fu la vera causa della sua perdizione. Quand’anche il padre facesse penitenza, la sua penitenza e le sue lagrime non riusciranno mai a strappare quel povero figlio dall’inferno. Ah! disgraziati genitori che gettate i vostri figli nelle fiamme eterne! Voi trovate questo alquanto esagerato; ma se esaminiamo davvicino la condotta dei genitori, vediamo che questo è quello appunto che essi fanno tutti i giorni. Se ne dubitate solo un po’ tocchiamo più da vicino questo punto. Non è vero che vi lamentate ogni giorno dei vostri figli? che non potete più comandar loro? purtroppo è vero. Voi forse avete dimenticato quel giorno in cui avete detto a vostro figlio o a vostra figlia: Se vuoi andare alla fiera di Montmerle, o alla Sagra, va pure, non ritornare però troppo tardi. Vostra figlia vi ha risposto che avrebbe fatto ciò che volevate. — Va pure, non esci mai, bisogna che ti pigli un momento di svago. — Non potete dir di no. Ma dopo qualche tempo, non avrete più bisogno di sollecitarla, né di darle il permesso. Allora, vi affliggerete, perché esce di casa senza dirvelo. Guardatevi indietro, o madre, e vi ricorderete che le avete dato il permesso una volta per tutte. Di più: vedete che cosa accadrà quando le avrete permesso di andare ovunque la conduca la sua testa senza cervello. Voi volete ch’essa faccia delle conoscenze per potersi collocare. State certa, che continuando a correre per le strade, ne farà tante, e moltiplicherà le sue colpe. Sarà questo cumulo di peccati che impedirà alla benedizione di Dio di spandersi su questi poveri figli al momento del loro matrimonio. Ahimè! questi poveretti sono già maledetti da Dio! Mentre il sacerdote alza la mano per benedirli, Dio dall’alto de’ cieli lancia le sue maledizioni. E di qui comincerà una spaventosa sorgente di disgrazie per essi. Questo nuovo sacrilegio, aggiunto a tanti altri, fa perder loro la fede per sempre. Allora, nel matrimonio, dove si crede tutto permesso, la vita non è più che un abisso di corruzione che farebbe fremere l’inferno stesso se ne fosse testimonio. Ma tutto questo dura poco. Ben presto cominceranno a non essere rari i dispiaceri, gli odi, gli alterchi ed i cattivi trattamenti dall’una e dall’altra parte. — Dopo cinque o sei mesi di matrimonio il padre vedrà suo figlio infuriato e quasi disperato, maledire i genitori, la moglie e fors’anche quelli che hanno combinato il matrimonio. Suo padre, stupito, gli domanderà che cosa è successo: “Ah! quanto sono disgraziato; ah! se quando son nato mi aveste ucciso, o se prima del mio matrimonio qualcheduno m’avesse avvelenato! — Ma, figlio mio, gli dirà il padre tutto affannato, bisogna aver pazienza. Che cosa vuoi! forse non sarà sempre così. — Non mi dite nulla, se mi sentissi il coraggio, mi tirerei una fucilata, o mi getterei nel fiume: con costei bisogna ad ogni momento altercare e battersi.„ — Non è questo, o buon padre, il frutto di quelle parole: Lasciamo che il Parroco dica, bisogna far delle conoscenze, altrimenti non si troverà da collocarsi. Va pure, figlio mio, sii prudente, torna di buon’ora e sta tranquillo? Sì, senza dubbio, amico mio, se foste stato assennato ed aveste consultato Iddio, non vi sareste collocato come avete fatto; Dio non l’avrebbe permesso; ma avrebbe fatto con voi come col giovane Tobia; vi avrebbe scelto Lui stesso una sposa che, venendo in casa, vi avrebbe apportato la pace, la virtù, ogni sorta di benedizioni. Ecco, amico mio, ciò che avete perduto non volendo ascoltare il vostro pastore ed avendo seguito il consiglio dei vostri ciechi genitori. – Un’altra volta sarà una povera figliuola che verrà, forse tutta ammaccata di battiture, a deporre nel seno della madre le sue lagrime ed i suoi dispiaceri. Esse mescoleranno assieme le loro lagrime: “Ah! madre mia, quanto sono stata disgraziata d’aver preso un marito come quello! così malvagio e brutale! Io credo che un giorno si dirà ch’egli mi ha uccisa.„ — “Ma, le dirà la madre: devi fare tutto ciò che ti comanda.„ — “Io lo faccio sempre; ma nulla lo accontenta, è sempre in collera.„ — “Povera figliuola, le dirà la madre, se avesti sposato un tale che t’ha domandata, saresti stata ben più felice… „ Voi v’ingannate, madre, non è questo che dovete dirle. “Ah! povera figlia, se t’avessi insegnato il timore e l’amor di Dio, non t’avrei mai lasciata correre ai divertimenti: Dio non avrebbe permesso che tu fossi così disgraziata…„ Non ricordate, buona madre, quelle vostre parole: lascia dire il signor Parroco, va pure; sii prudente, ritorna di buon’ora e sta tranquilla. Va benissimo, madre mia, ma ascoltate. Un giorno, passai vicino ad un gran fuoco; presi una manata di paglia e ve la gettai dentro, dicendole di non bruciare. Quelli che furono testimoni del mio atto, mi dissero, burlandosi di me: “Avete un bel dirle di non bruciare; non l’impedirete certo. — E come, risposi, se io le dico di non bruciare?„ Che no pensate, madre mia? vi riconoscete? Non è questa la vostra condotta, o quella della vostra vicina? Non è vero che avete detto a vostra figlia prima di concederle che partisse, di essere assennata? — Sì, senza dubbio… — Andate, buona madre, voi foste cieca, voi siete stata il carnefice dei vostri figli. Se essi sono disgraziati nel loro matrimonio, voi sola ne siete la causa. Ditemi, buona madre, se aveste avuto un po’ di religione e di amore per i vostri figli, non dovevate fare tutto il possibile per evitar loro il male che avete commesso voi, quando eravate nella medesima condizione? Parlerò più chiaro. Non siete abbastanza contenta di esser disgraziata voi; volete che lo siano anche i vostri figli. E voi, figlia mia, siete sfortunata nella vostra famiglia? Me ne dispiace assai; ma ne sono meno stupito che se mi diceste che siete felice, dopo le disposizioni che avete portato al vostro matrimonio. – Sì, F. M., la corruzione oggi è salita tant’alto tra i giovani, che sarebbe quasi impossibile trovare chi riceva santamente questo Sacramento, come è impossibile vedere un dannato salire al cielo. — Ma, mi direte, ve ne sono ancora alcuni. — Ahimè! amico mio, dove sono?… Ah! sì, un padre od una madre non mettono alcuna difficoltà di lasciare per tre o quattro ore, alla sera od anche durante i vespri, la loro figlia con un giovane. — Ma, mi direte, sono buoni. — Sì, senza dubbio, sono buoni; la carità deve farcelo credere. Ma ditemi, madre mia, eravate voi buona quando eravate nel medesimo caso di vostra figlia? – Finisco, F. M., dicendo che se i figli sono disgraziati in questo mondo e nell’altro, è colpa dei genitori che non hanno usato tutti i mezzi possibili per condurli santamente per la via della salute, dove il buon Dio li avrebbe certo benedetti. Ahimè! al giorno d’oggi, quando un giovane od una giovane vogliono collocarsi, bisogna assolutamente che abbandonino il buon Dio No, non entriamo in questi particolari; vi tornerò su un’altra volta. Poveri padri e povere madri, quanti tormenti vi aspettano nell’altra vita! Fin che la vostra discendenza durerà, voi parteciperete a tutti i suoi peccati, sarete puniti come se li aveste commessi voi, e per di più renderete conto di tutte le anime della vostra discendenza che si danneranno. Tutte queste povere anime vi accuseranno di averle fatte perdere. Questo è facilissimo da comprendersi. Se aveste ben allevato i vostri figli, essi avrebbero allevato bene i loro: si sarebbero salvati gli uni e gli altri. Ciò non basta ancora; voi sarete responsabili davanti a Dio di tutte le buone opere che la vostra discendenza avrebbe fatte sino alla fine del mondo, e che non avrà fatto per causa vostra. Che ne pensate, padri e madri? Se non avete ancor perduta la fede, non avete motivo di piangere sul male che avete fatto, e sull’impossibilità di rimediarvi? Non avevo io ragione di dirvi, in principio, che è quasi impossibile mostrarvi in tutta la sua luce la grandezza dei vostri doveri? Eppure quello che vi ho detto oggi non è che un piccolo sguardo Ritornate domenica, padri e madri, lasciate la casa in custodia ai vostri figli, ed io continuerò, senza però potervi far comprenderò tutto. Ahimè! quanti genitori trascinano i loro poveri figli nell’inferno, e insieme vi cadono essi stessi. Dio mio! si può pensare a tanta sciagura senza fremere? Felici quelli che il buon Dio non chiama al matrimonio! Quale conto di meno avranno da rendere! — Ma, mi direte: “Noi facciamo quello che possiamo.„ Voi fate ciò che potete, sì, senza dubbio; ma per perderli, non per salvarli. Finendo vi voglio mostrare che non fate quello che potete. Dove sono le lagrime versate, le penitenze e le elemosine fatte per domandare a Dio la loro conversione? Poveri figli, quanto siete disgraziati d’appartenere a genitori, i quali non lavorano che a rendervi infelici in questo mondo, ed ancor più nell’altro! Come vostro padre spirituale, ecco il consiglio che vi do: Quando vedete i vostri genitori che mancano alle funzioni, lavorano alla domenica, mangiano di grasso nei giorni proibiti, non frequentano più i Sacramenti, non s’istruiscono, fate tutto il contrario; affinché i vostri buoni esempi li salvino, e se otterrete questa felicità, avrete tutto guadagnato. E ciò che vi auguro.

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (22)

CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (22)

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR

+ AEM. BONGIORNI, Vic. Gen

TESTIMONIANZE DEI CONCILI ECUMENICI DEI ROMANI PONTEFICI, DEI SANTI PADRI E DELLE SACRE CONGREGAZIONI ROMANE CHE SI CITANO NEL CATECHISMO

DOMANDA 85a.

Pio XI, Encicl. Quas primas, 11 dic. 1925:

« Orbene, su qual base riposi questa dignità e potere del Signor nostro, ce n’avverte opportunamente S. Cirillo Alessandrino: « Per dirla in breve, possiede di tutte le creature il dominio, non usurpato, né con altro mezzo procurato, ma per sua essenza e natura » (S. Luca, X). Ossia la sua regalità poggia su quell’unione mirabile, che denominano ipostatica. Ne segue che non soltanto Cristo dev’essere adorato come Dio dagli angeli e dagli uomini, ma pure che al suo dominio come Uomo obbediscano e stiano soggetti angeli e uomini, vale a dire che Cristo ha dominio di tutte quante le creature anche solo a titolo dell’unione ipostatica. Però niente di più gradito, niente di più dolce per noi a pensare che Cristo è nostro Signore non soltanto per diritto di natura, ma anche di conquista, cioè di redenzione. Voglia il Cielo che gli uomini tutti, facili a dimenticare, rammentino quanto siamo costati al nostro Salvatore: Siete stati redenti non a prezzo d’oro o d’argento, cose corruttibili;…. ma col sangue prezioso di Cristo, come di agnello immacolato e incontaminato (I di Pietro, 1, 18-19). Ormai non apparteniamo più a noi stessi, poiché Cristo ci ha comperati a gran prezzo (I ai Cor., VI, 20); i nostri stessi corpi son membra di Cristo » (ib., 15).

(Acta Apostolicae Sedis, XVII, 598).

DOMANDA 89°

S. Efrem, In Hebdom. sanctam, VI, 9 :

« Ebbene, Cristo, unico Verbo di Dio, nel corpo assunto nacque e crebbe, prese forma visibile e nutrimento e, pel fatto della generazione, fu soggetto al tempo e ai limiti. Egli, Figlio di Dio, che s’è fatto uomo, rimane unico e individuo nella divinità e umanità ipostaticamente congiunte, nell’umanità di cui si servì divinamente e umanamente, nel dominio e nella obbedienza, negli atti e nei fatti » .

(Lamy, 1. c., I , 476-8).

DOMANDA 90°

Concilio di Calcedonia (451) contro i Monofisiti, Definizione delle due nature di Cristo:

« Insegniamo unanimi, sulla guida de’ Santi Padri, a professare l’unico e identico Figlio e Signor nostro Gesù Cristo, perfetto nella divinità, perfetto nell’umanità, come Dio vero e vero uomo, in corpo ed anima razionale, consostanziale al Padre secondo la divinità, consostanziale a noi, secondo l’umanità, in tutto simile a noi, tranne il peccato (Agli Ebr., IV, 15); generato dal Padre avanti ogni tempo secondo la divinità, e, generato ne’ tempi recentissimi da Maria vergine Madre di Dio secondo l’umanità, per amor nostro e della nostra salvezza: l’unico e identico Cristo Figlio Signore unigenito, da riconoscersi senza confusione, mutazione, divisione, separazione nelle due nature, senza venir mai meno, per il fatto dell’unione, la differenza delle nature e anzi salva la proprietà dell’una e dell’altra natura nell’unica persona e sussistenza; non ripartito o diviso in due persone, ma unico e identico Figlio e unigenito Dio Verbo Signore Gesù Cristo: come già i Profeti e Gesù Cristo in persona c’insegnarono e ci trasmise il Simbolo de’ Padri ».

(Mansi, VII, 115).

Concilio III di Costantinopoli (680-681) contro i Monoteliti: Definizione circa le due volontà di Cristo:

« Similmente proclamiamo in lui due volontà naturali e due operazioni naturali, senza divisione, o commutazione, o separazione, o confusione, giusta l’insegnamento de’ santi Padri; e le due volontà integrali non opposte, ohibò! come sostennero certi empii eretici, ma docile la sua umana volontà e non resistente o ribelle, anzi sottomessa alla divina e onnipotente volontà di lui. Difatti, dice il sapientissimo Atanasio, bisognava che fosse attiva la volontà umana, ma soggetta alla divina. Poiché alla stessa stregua che la sua carne si dice ed è carne del Verbo di Dio, così la natural volontà della sua carne si dice ed è propria volontà del Verbo di Dio come egli stesso disse: Perché son disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma quella di colui che mi ha mandato, cioè del Padre (Gio., VI, 38): ossia indica come volontà sua propria quella che era l a volontà della sua carne. Difatti anche la carne divenne propria di lui. Orbene, come non andò perduta, divenendo divina, la sua umanità santissima e immacolata, ma perseverò nella sua individua costituzione e ragione, così anche l’umana volontà di lui, fatta divina, non andò perduta, ma piuttosto fu salvata, come dice il teologo Gregorio: « Difatti la volontà di lui, quale s’intende nel Salvatore, non è a Dio contraria, fatta com’è tutta divina ».

(Mansi, XI, 638).

IV Concilio di Laterano (1215), Cap. I , De fide catholica:

« E finalmente l’unigenito Figlio di Dio, Gesù Cristo, incarnato, per concorso di tutta la Trinità; concepito da Maria sempre Vergine, cooperando lo Spirito Santo, divenuto vero uomo, composto d’anima razionale e d’umana carne, unica persona in due nature, additò più apertamente la via della vita. Egli difatti ch’era immortale e impassibile secondo la divinità divenne, secondo l’umanità, mortale e soggetto a soffrire; Egli ancora patì e morì sul legno della croce per la salvezza del genere umano, discese all’inferno, risuscitò dai morti e salì al cielo…. per venire alla fine del tempo a giudicare i vivi e i morti e rendere a ciascuno secondo le proprie azioni, tanto ai reprobi quanto agli eletti; i quali tutti risorgeranno coi loro propri corpi, che ora hanno, per ricevere secondo le proprie opere, buone o cattive, gli uni l’eterno castigo col diavolo, gli altri l’eterna gloria con Cristo ».

(Mansi, XXII, 982).

S. Leone IX (1049-1054), Symbolum fidei:

« Credo anche nello stesso Figlio di Dio Padre, Verbo di Dio nato nella eternità prima d’ogni tempo dal Padre, pari al Padre di sostanza, di onnipotenza e in ogni attributo della divinità; nato nel tempo, per opera dello Spirito Santo, da Maria sempre vergine, con un’anima razionale; che ha due natività: l’una dal Padre, eterna, l’altra dalla madre, temporale; che ha due volontà e due operazioni; Dio vero e vero uomo; proprio e perfetto nell’una e nell’altra natura; non soggetto né a mescolanza né a divisione, non adottivo né fantasma; unico e solo Dio, Figlio di Dio in due nature, ma in unicità di persona; impassibile e immortale in grazia della divinità, ma assoggettatosi nell’umanità a vera sofferenza e seppellito per noi e per la nostra salvezza; e credo ch’è risorto dai morti al terzo giorno di vera risurrezione della carne; e per darne ai discepoli conferma mangiò non per un qualsiasi bisogno di cibo, ma per sua volontà e potestà; che quaranta giorni dopo la risurrezione salì al cielo colla carne, nella quale risuscitò, e coll’anima; che siede alla destra del Padre; che dieci giorni dopo mandò lo Spirito Santo e che di là è per venire, come vi salì, a giudicare vivi e morti e per rendere a ciascuno secondo le opere sue ».

(Mansi, XIX, 662).

DOMANDA 91a

Concilio di Trento : V. D. 74.

S. Epifanio, Ancoratus, 93:

« Difatti la speranza della nostra salvezza non è riposta in un uomo, dal momento che nessuno di tutti gli uomini, discendenti da Adamo, avrebbe potuto recarci la salvezza, ma

Dio soltanto e il Verbo incarnato…. Perciò il Signore prese carne dalla nostra carne e volle esser uomo come noi —. Egli Dio e Verbo — per liberare dal patire col patire e distrugger la morte colla morte ».

(P. G., 43, 186 s.).

DOMANDA 94a.

Leone XIII, Encicl. Divinimi illud munus, maggio 1897:

« Assai bene la Chiesa suol attribuire al Padre quelle opere divine ove rifulge la potenza, al Figlio quelle ove rifulge la sapienza, allo Spirito Santo quelle ove rifulge l’amore…. E anzitutto occorre rivolger lo sguardo a Cristo, fondatore della Chiesa e Redentore del genere umano. Davvero che tra le opere ad extra di Dio primeggia il mistero del Verbo incarnato, perché in esso talmente risplende la luce delle divine perfezioni che non si può pensare qualche cosa di più grande e nient’altro più di esso avrebbe potuto giovare alla salvezza dell’umana natura. Ebbene questa sublime opera fu sì opera di tutta la Trinità, ma come propria è ascritta allo Spirito Santo; sicché i Vangeli proclamano della Vergine: Fu trovata incinta di Spirito Santo e: Il nato di essa è dallo Spirito Santo (Matt., I , 18-20). E giustamente s’attribuisce a colui ch’è l’amore del Padre e del Figlio, perché questo gran sacramento d’amore (I Tim., III, 16) provenne dalla suprema carità di Dio verso gli uomini, come avverte Giovanni: Dio amò il mondo al punto da sacrificare il suo Figlio unigenito (Gio., III,  16)».

 (Acta Leonis XIII, XVII, 130-32).

DOMANDA 95a.

Concilio d’Efeso (431), Anatemi di Cirillo, can. I :

« Chi non professa che Dio è davvero l’Emanuele e perciò la Santa Vergine Madre di Dio — generò infatti, secondo la carne, il Verbo di Dio fatto carne — sia scomunicato.

(Mansi, IX, 327).

Concilio II di Costantinopoli (553) I tre Capitoli can. 6:

« Chiunque dichiara la santa gloriosa sempre Vergine Maria impropriamente e non veramente Madre di Dio, oppure in senso relativo, cioè nel senso che da lei sia nato un puro uomo e non incarnatosi e nato il Verbo di Dio, quindi, come dicono gli eretici, da mettersi in relazione la nascita dell’uomo al Dio Verbo perché questi era coll’uomo all’atto del nascere; e chiunque con calunnia fa dire al santo Sinodo di Calcedonia che la Vergine fu madre di Dio in questo empio senso, inventato dal miserabile Teodoro; o chiunque la dichiara madre d’un uomo, o Cristotoca, vale a dire madre di Cristo, come se

Cristo non fosse Dio e quindi non la confessa vera e propria Madre di Dio perché recentemente s’incarnò e nacque da essa il Dio Verbo che prima d’ogni tempo era nato dal Padre; negando che così devotamente l’abbia confessata e proclamata anche il santo Sinodo di Calcedonia: sia scomunicato».

(Mansi, IX, 379).

III. Concilio di Costantinopoli (680-81) contro i Monoteliti

Definizione delle due volontà di Cristo :

« Inoltre anche secondo le lettere sinodali, scritte contro l’empio Nestorio e ai vescovi orientali dal beato Cirillo; anche sulle orme dei santi cinque Concilii universali e de’ santi e autorevoli Padri, determinando unanimi di affermare il Signor nostro Gesù Cristo vero Dio nostro, uno della Trinità santa e consostanziale e fonte di vita, perfetto nella divinità e parimenti nella umanità, veramente Dio e veramente uomo, fornito di anima razionale e di corpo; consostanziale al Padre secondo la divinità e consostanziale a noi secondo l’umanità, a noi simile in tutto, salvo il peccato (Agli Ebr., IV, 15) e, come generato dal Padre, secondo la divinità, prima del tempo, così generato nella pienezza de’ giorni per amor nostro e della nostra salvezza dallo Spirito Santo e da Maria Vergine propriamente e veracemente Madre di Dio secondo l’umanità, unico e identico Cristo Figlio unigenito di Dio da riconoscersi nelle due nature senza confusione, né commutazione, né separazione, né divisione, non venendo meno in nessun punto per il fatto dell’unione la differenza di queste nature e anzi salva la proprietà dell’una e dell’altra natura nell’unica persona e sussistenza; non ripartito o diviso in due persone, ma unico e identico unigenito Figlio di Dio Verbo Signore Gesù Cristo: come già i Profeti e Gesù Cristo in persona c’insegnarono e il Simbolo de’ Padri ci trasmise » .

(Mansi, XI, 635).

S. Gregorio Nazianzeno, Epist. 101:

« Fuori della divina verità è chiunque non crede madre di Dio santa Maria. Ateo del pari chiunque dica che (Cristo) passo per la Vergine come acqua per un canale, ma non fu rinato in essa in modo divino insieme ed umano, divino perché non vi concorse l’uomo; umano perché concepito umanamente. È soggetto a dannazione chiunque afferma che, formato l’uomo, subentrò poi Dio ».

P. G., 37, 178 ss.).

S. Giovanni Damasceno, Orario prima de Virg. Mariæ nativitate, 4:

« Si vergogni Nestorio e si turi la bocca. Questo fanciullo è Dio. Come dunque non sarebbe Madre di Dio quella che generò? Si allontana da Dio chiunque non confessa la madre di Dio. Non sono parole mie; sebbene, sono anche mie: ricevetti questa eredità divinissima dal teologo Padre Gregorio ».

( P . G., 96, 667).

DOMANDA 96a.

Leone XIII, Encicl. Quamquam pluries, 15 ag. 1889:

« Ecco le cause e le ragioni singolari per cui il beato Giuseppe va nominatamente salutato patrono della Chiesa e, dal canto suo, la Chiesa moltissimo si ripromette dalla sua valida protezione: egli fu sposo di Maria e padre putativo di Gesù Cristo. Di qui tutta la sua dignità, grazia, santità, gloria. Certamente la dignità della madre di Dio è tanto in alto che nulla può darsi di più grande. Tuttavia, per quel vincolo coniugale stretto fra Giuseppe e la beatissima Vergine, non c’è dubbio che s’avvicinò egli più d’ogni altro a quell’eccellente dignità, in grazia della quale la Madre di Dio supera di gran lunga tutte le nature create…. Perciò se Dio diede come sposo alla Vergine Giuseppe, certamente glielo diede non soltanto per compagno della vita, testimonio della verginità, custode dell’onore, ma pure come partecipe dell’altissima dignità di Lei, per virtù del contratto matrimoniale. Parimenti unico si distingue per augustissima dignità fra tutti, perché fu custode del Figlio di Dio per divina disposizione, creduto padre nell’opinione degli uomini ».

(Acta Leonis XIII, IX, 177-78).

DOMANDA 97a.

S. Leone Magno, Lettera a Flaviano, Vescovo di Costantinopoli:

« Il medesimo eterno unigenito dell’eterno Padre nacque dallo Spirito Santo e da Maria Vergine…. Infatti fu concepito di Spirito Santo nell’utero della madre vergine, la quale come lo concepì, salva la verginità, così pure, salva la verginità, lo partorì ».

(P. L., 54, 759).

S. Efrem, Preghiera alla Ss. Madre di Dio:

« Ma, o Vergine Signora, immacolata Madre di Dio, Signora mia gloriosissima, mia gran benefattrice, più eccelsa dei cieli, molto più pura degli splendori, de’ raggi, de’ fulgori

solari…. verga germogliarne d’Aronne; tu davvero apparisti verga e fiore fu il Figlio tuo vero Cristo nostro, Dio e mio Creatore; tu generasti, secondo la carne, Dio e il Verbo, conservando la verginità prima del parto, vergine dopo il parto; e siamo stati riconciliati con Dio Cristo tuo figlio ».

(Opera omnia, ed. Romana, III – greco e latino – 545).

Didimo Alessandrino, De Trinitate, III, 4:

« Riguardo alle denominazioni di primogenito e di unigenito, ci viene in testimonio l’Evangelista che narra come Maria rimase vergine finche partorì il suo figliuolo primogenito (Matt., I, 25); difatti, quella sovrana Vergine degna d’onore e gloriosa sopra tutti, a nessuno si sposò né di altri divenne poi madre; ma, dopo il parto, rimase sempre e in ogni tempo vergine immacolata ».

(P. G., 39, 831).

S. Epifanio: Adversus hæreses, Hær. 78, 6:

« In qual tempo ci fu mai uno, il quale osasse fare il nome di Maria Santissima e non aggiungere subito, interrogato, l’epiteto di Vergine?

« In tali collocazioni di vocaboli splendono indizi di virtù…. Maria Santissima è chiamata Vergine e questo appellativo non sarà mai cambiato : Ella rimase infatti perpetuamente incorrotta ».

(P. G., 42, 706 s.).

S. Girolamo, Della perpetua verginità della Beata Maria, contro Elvidio, 19:

« Crediamo che Dio nacque dalla Vergine, perché sta scritto; non crediamo che Maria abbia sposato dopo il parto, perché non sta scritto. E non diciamo questo quasi per condannare il matrimonio, dacché un frutto delle nozze è appunto la verginità…. Tu affermi che Maria non continuò a esser vergine: io invece affermo di più che anche Giuseppe fu vergine in grazia di Maria, affinché dal verginale matrimonio nascesse vergine il figlio ».

(P. L., 23, 213).

DOMANDA 100.

S. Atanasio, Epist. ad Epitteto, 6:

« Colei stessa, che portava il corpo umano del Verbo, rivendicava a sé il Verbo, ch’era congiunto al corpo, perché noi potessimo diventar partecipi della divinità del Verbo. Cosa davvero meravigliosa che il medesimo individuo fosse insieme sofferente e non sofferente: sofferente in quanto sopportava il suo proprio corpo e in quanto nel corpo sofferente esisteva; ma non sofferente, perché il Verbo, essendo Dio per sua natura, non può patire. E proprio l’incorporeo esisteva nel corpo passibile; e il corpo a sua volta possedette l’impassibile Verbo, destinato appunto a distruggere le deficienze del corpo ».

(P. G., 26, 1059 ss.).

DOMANDA 102a.

Innocenzo X, Costit. Cum occasione, del 31 maggio 1653, dove condannò la 5a proposizione di Giansenio:

« È da semipelagiani il dire che Cristo sia morto oppure abbia sparso il sangue proprio per tutti quanti gli uomini ».

(Bullarium Romanum, ed. Torin., XV, 721).

S. Ambrogio, Epist. 41, 7:

« (Il diavolo) aveva ridotto l’uman genere in una perpetua schiavitù col grave carico d’una disastrosa eredità, perché, divenuto debitore, il primo uomo fece trasmissione a’ posteri d’una onerosa successione. Venne il Signore Gesù, offrì la sua morte in luogo della morte di tutti, versò in luogo del sangue di tutti il suo sangue ».

(P. L., 16, 1162).

DOMANDA 103a.

Concilio di Trento, sess. V I , Decretum de justifìcatione,

« Però, benché sia morto egli per tutti, non tutti ricevono il beneficio della sua morte, ma solamente quelli, ai quali è comunicato il merito della di lui passione ».

DOMANDA 104a.

Concilio di Trento, sess. VI, Decretum de fustificatione, cap. 7:

« Meritoria (causa della giustificazione è) il dilettissimo Unigenito suo, Signor nostro, Gesù Cristo, il quale, per l’eccesso del suo amore verso di noi, meritò a noi, che gli eravamo nemici, la giustificazione per mezzo del suo patire sul legno della croce e diede soddisfazione per noi a Dio Padre ».

Leone XIII, Encicl. Tametsi futura, 1 Novembre 1900:

« Davvero, maturato il consiglio divino, l’unigenito Figlio di Dio, fatto uomo, diede soddisfazione sovrabbondante per gli uomini all’offesa maestà del Padre col proprio sangue e fece suo a così gran prezzo il redento genere umano…. Siete stati ricomperati non a prezzo di vile oro od argento, ma col prezioso sangue di Cristo, agnello immacolato e incontaminato

(Ia di Piet., I, 18-19). E così fece suoi una seconda volta, colla redenzione vera e propria, tutti gli uomini già universalmente soggetti alla sua suprema sovranità, perché di tutti quanti Egli è il Creatore e il Conservatore. Non appartenete a voi; poiché a caro prezzo siete stati comprati (I Cor., VI, 19- 20) ».

(Acta Leonis XIII, XX, 298).

S. Ignazio martire, Epist. ad Smyrnæos, 2:

« E patì tutto questo per noi, affinché avessimo salute; e patì realmente come realmente risuscitò; non che abbia patito in apparenza, come affermano certi infedeli che vivono appunto secondo apparenza; e, secondo la bontà o meno della loro dottrina, così saranno premiati o puniti perché seguono le apparenze e le suggestioni diaboliche ».

(P. G., 5, 710).

S. Giovanni Crisostomo, In Epist. ad Hebræos, XVII, 2:

« Così anche Cristo una volta fu offerto in olocausto. Offerto da chi? da se stesso. Qui l’Apostolo lo dice non soltanto sacerdote, ma anche vittima e sacrificio. Poi passa a dire della causa per cui f u offerto: Una volta offerto per distruggere i peccati di molti. Perché di molti e non di tutti? Perché non tutti hanno creduto. Di fatto egli morì per tutti, per salvar tutti, quanto a sé; quella sua morte equivaleva bene alla morte di tutti: ma non distrusse nè tolse i peccati di tutti, perché gli uomini stessi non vollero…. Tolse agli uomini i peccati e fece offerta al Padre non per stabilire contro essi una condanna, ma anzi per rimetterli » .

(P. G., 63, 129).

DOMANDA 106a.

S. Cirillo di Gerusalemme, Catecheses, IV, 11:

« Fu deposto davvero in un sepolcro di roccia come un uomo (Matt., XVII, 60), ma proprio per terrore di lui le pietre si spaccarono (ibid., 51). Discese agl’inferi per cavarne i giusti redenti. Forseché tu vorresti ora, di grazia, che di tal grazia godano sì i viventi, anche se i più tra essi non sono santi; ma coloro, che fin da Adamo per sì lungo tempo erano stati relegati, non ottengano finalmente la libertà? Il profeta Isaia con voce sublime annunziò di Lui moltissime cose: e tu vorresti che il Re, scendendo, non liberasse l’araldo suo? Là erano Davide e Samuele e tutti i profeti; Giovanni stesso, che chiedeva per mezzo de’ suoi messi: Sei tu il Messia, o aspettiamo un altro? (Matt., XI, 3). E tu non vorresti che, scendendo, liberasse que’ santi uomini?

DOMANDA 110a.

IV Concilio di Laterano e S. Leone IX: Vedi D. 90.

S. Leone Magno, Sermo, 73, 4:

« E davvero qual grande e indicibile motivo di gioia quando in vista della sacra turba saliva la natura del genere umano, al di sopra di tutte le gloriose creature celesti, più in alto de’ cori angelici, per essere esaltata più degli arcangeli, con una elevazione senza limiti fino a quando, accolta per sedere alla destra dell’eterno Padre, fu associata in trono alla gloria di Lui, alla natura del quale era congiunta nel Figlio! ».

(P. L., 54, 396).

Il medesimo, Sermo 74, 3-4:

« (Gli Apostoli) avevano infatti rivolta tutta l’attenzione contemplatrice dell’anima alla divinità di Colui che siede a destra del Padre e ormai nessun oggetto di veduta corporea li tratteneva dallo sprofondarsi nella contemplazione di colui che, scendendo, non s’era allontanato dal Padre, né s’era allontanato da’ discepoli ascendendo. Dunque, o carissimi, il Figliuol dell’uomo, Figlio di Dio, apparve in modo eccelso e più sacro quando si raccolse nella gloria della maestà paterna e in misura misteriosa cominciò ad esser tanto più presente nella divinità quanto più lontano si fece nell’umanità ».

(P. L., 54, 398).

S. Ireneo, Adv. hæreses, I , 10, 1 :

« Difatti la Chiesa propagata per tutto il mondo sino ai confini della terra, ricevette sia dagli Apostoli sia dai loro discepoli la fede nella passione e risurrezione dai morti e nella corporea ascensione al Cielo del diletto Gesù Cristo Signor nostro… ».

(P. G., 7, 550).

DOMANDA l l l a .

S. Gregorio di Nazianzo, Oratio, 45:

« Credi…. che tornerà glorioso e luminoso a giudicare i vivi e i morti, non però corporeo e nemmeno scevro di corpo, ma con un corpo più augusto e divino, ch’ei solo sa ».

(P. G., 36, 423).

DOMANDA 112a.

Concilio IV di Laterano e Leone IX: Vedi D . 90;

Benedetto XII: D . 62.

S. Giovanni Crisostomo: In Epist. I ad Corinthios, XLII, 3:

« Perciò vi prego e scongiuro e supplico di tutto cuore che ci lasciamo compungere da quant’ho detto e convertire e render migliori, finché vivremo questa breve vita affinché quando moriremo, non ci accada come a quel ricco, di lamentarci e piangere; che il pianto non ci gioverà. Difatti, anche se avrai un padre, o un figlio, o qualsiasi altra persona in grazia di Dio, nessuno ti salverà, dacché t’accuseranno le tue proprie opere. Tal’è infatti quel giudizio: prende norma solo dalle opere e in nessun altro modo si può allora esser salvi. E dico questo non per sospingere alla disperazione, ma perché non trascuriamo la nostra santificazione, nutrendo vana e insulsa speranza, o fidando in questo e quello. Infatti, se saremo infingardi e negligenti, nessuno né giusto né profeta né apostolo, ci difenderà ».

(P. G., 6 1 , 367 s.).

DOMANDA 116a.

Pio XI, Encicl. Quas primas, lì Dicembre 1925:

« Gesù stesso poi rivendica a sé, come attribuitagli dal Padre, la podestà giudiziaria, contro i Giudei che lo accusavano d’aver violato colla guarigione del paralitico il riposo del sabato: E difatti il Padre non giudica alcuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figliuolo (Gio., V, 22). E in ciò è pur compreso — perché il fatto non può disgiungersi dal giudizio — ch’Egli assegni agli uomini ancor viventi il premio e la pena, di sua autorità. E s’ha pure da aggiudicare a Cristo quel potere ch’è detto esecutivo, perché al suo dominio bisogna che tutti obbediscano; sotto minaccia d’infliggere ai contumaci quelle pene, che nessuno può sfuggire ».

(Acta Apostol. Sedis, XVII, 599).

DOMANDA 119a.

II Concilio di Lione: Vedi D. 39; Leone XIII: D. 94.

S. Agostino, De civitate Dei, XI, 24:

« Essendo spirito tanto il Padre quanto il Figlio e santo il Padre quanto il Figlio, non meno in senso proprio, Egli è detto Spirito Santo, come santità sostanziale e consostanziale d’ambedue ».

(P. L., 41, 338).

DOMANDA 121a.

S. Basilio, Epist. 38, 4:

« Dallo Spirito Santo scaturisce ogni largizione di beni nel creato ».

(P. G., 32, 330).

DOMANDA 122a.

Leone XIII, Encicl. Divinum illud munus, 9 Maggio 1897:

« E basti l’affermazione che, come Cristo è capo della Chiesa, lo Spirito Santo n’è l’anima: Quel ch’è l’anima nel corpo nostro, è lo Spirito Santo nel Corpo di Cristo, che è la Chiesa » (S. Agostino, Sermo, 187, De temp.).

(Acta Leonis XIII, XVII, 135).

DOMANDA 125a.

Concilio Vaticano, Costit. Pastor Æternus, a principio :

« L’eterno pastore e vescovo delle anime nostre, a perpetuare l’opera salutare della redenzione, decretò di edificare la santa Chiesa, per raccogliervi, come nella casa di Dio vivente, i fedeli tutti stretti da un’unica fede e dalla carità. Perciò, prima di esser glorificato, pregò il Padre non per gli Apostoli soltanto, ma pure per quelli che in virtù della loro parola Gli avrebbero creduto, affinché tutti fossero una cosa sola, come lo stesso Figlio e il Padre sono una cosa sola. (Gio., XVII, 20). E come mandò, al modo stesso ch’Egli era stato mandato dal Padre, gli Apostoli, che si era scelti dal mondo, così volle che fino alla consumazione del mondo vi fossero nella sua Chiesa i pastori e i maestri ».

DOMANDA 126a.

Concilio d’Efeso (431), In actione, III:

« Nessuno dubita, anzi è noto a tutte le generazioni, che il santo e beatissimo Pietro, principe e capo degli Apostoli, colonna della fede e fondamento della Chiesa cattolica, ricevette dal Signor nostro Gesù Cristo, Salvatore e Redentore del genere umano, le chiavi del regno e la podestà di assolvere o di ritenere i peccati: egli vive e giudica fino ad ora e per sempre ne’ suoi successori ».

(Mansi, IV, 1295).

Concilio Vaticano, 1. c., cap. I, De apostolici primatus in beato Petro institutione:

« Pertanto insegniamo e dichiariamo, sulla scorta delle testimonianze evangeliche, che al beato Pietro Apostolo fu promesso e conferito da Cristo Signore il primato immediato e diretto su tutta la Chiesa di Dio. Difatti soltanto a Simone, al quale aveva già detto: Tu sarai chiamato Cefa (Gio., I, 42), dopo la di lui esplicita confessione: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivo, parlò il Signore con queste solenni parole: Felice te, Simone figlio di Giona: perché né sangue né carne li ha rivelato, ma il Padre mio, ch’è nei cieli. E io dico a te che tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell’inferno contro di essa non prevarranno: e darò a te le chiavi del regno de’ cieli. E qualunque cosa

avrai sciolto sulla terra, sarà sciolta anche in cielo (Matt., XVI, 16 ss.). Inoltre soltanto a Simon Pietro Gesù, dopo la sua risurrezione, conferì l’autorità di Sommo Pastore e reggitore su tutto il suo ovile, dicendo: Pasci gli agnelli miei…. pasci le pecore mie (Gio. XXI, 15 s.).

« Chi dunque affermerà che il beato Pietro Apostolo non fu costituito da Cristo Signore principe di tutti gli Apostoli e capo visibile della Chiesa militante; oppure ch’egli ricevette dal medesimo Signor nostro Gesù Cristo direttamente e immediatamente un primato solamente d’onore, ma non di vera e propria giurisdizione: sia scomunicato ».

Innocenzo X , Decretum S. Officii, De primatu Romani Pontifìcis, 24 Gennaio 1647:

« Sua Santità… ha riferito e dichiarato eretica questa proposizione: « S. Pietro e S. Paolo son due capi della Chiesa, che ne formano un solo » oppure « son due corifei e supreme guide della Chiesa cattolica, stretti fra loro di suprema unità » oppure « sono il duplice fastigio della Chiesa universale, che perfettamente si fusero in uno » oppure « sono i due sommi pastori e presidi della Chiesa, che formano un capo solo » , spiegata in modo da porre tra S. Paolo e S. Pietro una perfetta uguaglianza, senza subordinazione e soggezione di S. Paolo a S. Pietro nel supremo potere e governo della Chiesa universale».

(Du Plessy, 1. c, III, 11, 248).

S. Efrem, In Hebdomadam Sanctam, IV, 1:

« Simone, discepolo mio, io t’ho costituito fondamento della santa Chiesa. Già t’ho chiamato pietra, perché tu sosterrai tutti gli edifici; tu sarai soprintendente di coloro, che mi edificheranno in terra la Chiesa: se vorranno edificar qualche cosa riprovevole, tu, fondamento, raffrenali: tu sei polla della fonte, donde s’attinge la mia dottrina, tu sei capo de’ miei discepoli; per mezzo tuo disseterò tutte le genti; tua è quella soavità vivificatrice, di cui fo dono; ti ho eletto a essere, per così dire, il primogenito nella mia istituzione, per farti erede de’ miei tesori; t’ho dato le chiavi del mio regno. Ecco, t’ho costituito principe di tutti i miei tesori ».

(Lamy, 1. c. I, 412).

DOMANDA 127a.

Concilio d’Efeso: Vedi D. 126.

Concilio Vaticano, 1. C., cap. 2, De perpetuitate primatus beati Petri in Romanis Pontificibus:

« Orbene, ciò che Cristo Signore, capo de’ pastori e gran pastore del gregge, istituì nella persona del beato Apostolo Pietro per la salvezza perpetua e a beneficio perenne della Chiesa, deve durar per sempre, grazie al medesimo istitutore, nella Chiesa, che, per esser fondata su ferma pietra, ferma starà sino alla fine de’ secoli. Davvero « nessuno dubita, anzi è noto a tutte le generazioni che il santo e beatissimo Pietro, principe e capo degli Apostoli e colonna della fede e fondamento della Chiesa Cattolica, ricevette dal Signor nostro Gesù Cristo, Salvatore del genere umano e Redentore, le chiavi del regno: ed Egli « vive » ed è a capo e « giudica » fino ad ora e sempre ne’ suoi successori, i Vescovi della santa Romana Sede, fondata da lui stesso e consacrata col sangue (Conc. d’Efeso, an. 431). Perciò qualsiasi successore di Pietro su questa cattedra ottiene, secondo l’istituzione di Cristo in persona, il primato su tutta la Chiesa. « Sta ferma dunque la disposizione di verità e il beato Pietro, persistendo nella ricevuta fortezza di roccia, non abbandona le assunte redini della Chiesa » . (S. Leone Magno, Discorso III). Per questa ragione fu sempre « necessario che ogni Chiesa, vale a dire quelli che sono i fedeli d’ogni parte si raccogliesse « alla Chiesa Romana » in grazia d’una più alta primazia » (S. Ireneo, Adversus hæreses, III, 3), per fondersi, membra unite al capo, come unica compagine di corpo, nella Sede, dalla quale irradiano a tutti « i vincoli legittimi d’una santa comunione » (Concil. d’Aquileja, an. 381).

« Pertanto chi afferma che non è per istituzione di Cristo Signore in persona, ossia di diritto divino, che il beato Pietro abbia perpetui successori nel primato su tutta la Chiesa,

oppure che il Romano Pontefice non sia il successore del beato Pietro nel medesimo primato: sia scomunicato ».

DOMANDA 131a.

II. Concilio di Lione (1274), Professio fidei Michaelis Palæologi:

« La stessa santa Romana Chiesa occupa anche il supremo e pieno primato e principato su tutta quanta la Chiesa cattolica; e con verità e umiltà riconosce di averlo ricevuto colla pienezza del potere dal Signore stesso nella persona del beato Pietro principe ossia capo degli Apostoli, perché  di lui il Pontefice Romano è il successore. E come, più d’ogni altro, ha il dovere di difender la verità, così anche se sorgessero questioni di fede devono esser definite dal suo giudizio. Ad essa può appellarsi chiunque sia chiamato a rispondere dinanzi al foro ecclesiastico: e in tutte le cause, spettanti all’esame ecclesiastico, si può aver ricorso al giudizio di essa; e alla medesima sono soggette tutte le chiese, i capi delle quali le prestano obbedienza e riverenza. Ma tal pienezza di potere va intesa in modo da ammettere a partecipare nel governo tutte l’altre chiese, molte delle quali -— e specie le patriarcali — la medesima Romana Chiesa onorò di parecchi privilegi; salva però sempre la sua prerogativa osservata così ne’ Concili generali come in qualche altro » .

(Mansi, XXIV, 71).

Concilio Fiorentino, Decretum prò Græcis:

« Similmente definiamo che la santa Sede Apostolica e il Romano Pontefice occupano il primato in tutto il mondo e che lo stesso Romano Pontefice è il successore del beato Pietro principe degli Apostoli e vero vicario di Cristo e capo di tutta la Chiesa e padre e maestro di tutti i Cristiani: e che a lui proprio fu comunicata, nella persona del beato Pietro, dal Signor nostro Gesù Cristo piena autorità di pascere, reggere e governare la Chiesa universale; come sta scritto anche negli atti de’ Concilii ecumenici e ne’ sacri canoni ».

(Mansi, XXXI, 1031).

Concilio Vaticano, Costit. Pastor Æternus, cap. 3: De vi et ratione primatus Romani Pontifìcis:

«Perciò, appoggiati alle manifeste testimonianze delle sacre Carte e osservando gli eloquenti ed evidenti decreti tanto de’ nostri predecessori, i Romani Pontefici, quanto de’ Concilii generali, rinnoviamo la definizione del Concilio ecumenico fiorentino, in forza della quale tutti i fedeli di Cristo devono credere l a Santa Apostolica Sede… (Cfr. sopra, Concilio Fiorent., Decretum prò Græcis…) sta scritto ne’ sacri canoni ».

« Perciò insegniamo e dichiariamo che la Chiesa Romana, per disposizione del Signore, possiede sopra tutte l’altre il primato d’ordinaria potestà, e che questa potestà di giurisdizione del Romano Pontefice, davvero episcopale, è immediata; e ad essa i pastori e i fedeli, di qualsiasi rito e dignità, tanto singoli e separatamente quanto insieme tutti, sono stretti per dovere di gerarchica subordinazione e vera obbedienza per quanto riguarda non solamente fede e costumi, ma pure la disciplina e il governo della Chiesa diffusa in tutto il mondo; sicché, serbata l’unità sia di comunione sia di professione della medesima fede col Romano Pontefice, la Chiesa di Cristo sia un unico gregge sotto un unico sommo pastore. Quest’è l’insegnamento della verità cattolica: deviar da esso nessuno può, salva la fede e la salute. – « Tanto poi questa potestà del Sommo Pontefice è lontana dal nuocere all’ordinaria e immediata potestà di giurisdizione episcopale, per cui i Vescovi, che posti dallo Spirito Santo (Atti, XX, 28) succedettero agli Apostoli, pascono e reggono singolarmente i singoli greggi a lor affidati, come veri pastori; che anzi essa è dal supremo e universale Pastore asserita, rafforzata, rivendicata, come dice S. Gregorio Magno: « L’onor mio è l’onore della Chiesa universale. L’onore mio è il saldo vigore de’ fratelli miei. Io son davvero onorato allorché a ognuno non è ricusato il dovuto onore » . (Epist. ad Eulogium; P. L.; 77, 933). – Orbene, da quella suprema autorità del Romano Pontefice gli consegue pure il diritto di comunicare liberamente, in questo suo ufficio, con pastori e greggi di tutta la Chiesa, affinché possano proprio da lui essere ammaestrati e guidati sul cammino della salvezza. Perciò condanniamo e riproviamo la sentenza di chi afferma che può essere lecitamente impedita questa comunicazione tra Capo supremo, pastori e greggi, oppure la dichiarano in balìa del poter secolare; sostenendo che, senza beneplacito e conferma del potere secolare, non hanno forza né valore le disposizioni prese dalla Sede Apostolica di Sua autorità nel governo della Chiesa. « E, poiché il Romano Pontefice presiede a tutta la Chiesa per il divin diritto del primato Apostolico, insegniamo pure e dichiariamo ch’Egli è giudice supremo de’ fedeli e che al giudizio di lui si può ricorrere in ogni causa; e che inoltre il giudizio della Sede Apostolica, il più autorevole su tutti, non deve essere ricusato da nessuno, né ad alcuno esser lecito giudicare di quel giudizio. Perciò erra dal retto sentiero di verità chi afferma che dai giudizi dei Romani Pontefici sia lecito appellarsi al Concilio ecumenico, come ad autorità superiore al Romano Pontefice. « Pertanto chi affermerà che il Romano Pontefice ha soltanto incarico di ispezione o di direzione, ma non piena e suprema potestà di giurisdizione su tutta la Chiesa, né soltanto nelle cose che riguardano la fede e i costumi, ma pure nelle cose di disciplina e di governo della Chiesa sparsa per tutto il mondo: oppure ch’egli ha soltanto le parti più importanti, ma non tutta la pienezza di questo supremo potere; oppure che questo suo potere non è ordinario e immediato, tanto su tutte e singole le Chiese quanto su tutti e singoli i pastori e i fedeli: sia scomunicato».

S. Leone IX, Epist. In terra pax hominibus, 2 Settembre 1053, a Michele Cerulario e a Leone d’Acrida, sul primato del R. Pontefice:

Cap. 7. La Santa Chiesa fu edificata sopra la pietra, cioè Cristo, e sopra Pietro, ossia Cefa, figlio di Giovanni, che prima era detto Simone, perché non doveva in nessun modo essere vinta dalle porte dell’inferno, vale a dire dalle dispute degli eretici, che sospingono a morte la gente vana, così promette la Verità in persona, grazie alla quale è vera ogni cosa che è vera: le porte dell’inferno non prevarranno contro essa (Matt., XVI, 18). Il Figlio medesimo attesta di aver implorato dal Padre l’efficacia di questa promessa, quando dice a Pietro: Simone, ecco satana, ecc. (Luc., XXII, 31). C i sarà dunque qualcuno così fuor di senno da osar di considerare in qualche punto inefficace la preghiera di colui di cui il volere è potere? Forse che dalla Sede del principe degli Apostoli, vale a dire dalla Chiesa Romana, sia per mezzo del medesimo Pietro, sia per mezzo de’ suoi successori, non furon riprovati e messi in causa e confutati gli errori di tutti gli eretici e confermato l’animo de’ fratelli nella fede di Pietro, che fin qui non venne meno, né verrà meno sino alla fine?

Cap. 11. Voi, col cagionare danno alla Sede suprema, della quale a nessun uomo è lecito giudicare, avete meritato l’anatema da tutti quanti i Padri di tutti i Santi Concilii.

Cap. 31. Come il cardine, rimanendo immobile, volge e rivolge la porta, così Pietro e i successori di lui possiedono libera giurisdizione di ogni Chiesa; e nessuno deve attentare alla loro stabilità perché la Sede suprema non è giudicata da alcuno ».

(P. L., 143, 748, 751, 765).

Bonifacio VIII, Bolla Unam sanctam, 18 nov. 1302:

« Mossi dalla fede, siamo tenuti a credere ed esser fedeli alla santa Chiesa Cattolica, e apostolica per di più; e noi con fermezza la crediamo e con semplicità la professiamo, e fuor di essa non c’è né salvezza, né remissione de’ peccati… Unico dunque il corpo della sola e unica Chiesa, unico il Capo, non due come in un mostro, vale a dire Cristo e Pietro, il vicario di Cristo e il successor di Pietro, perché il Signore disse a Pietro in persona: pasci le mie pecore (Giov. XXI, 17). Disse mie in generale, non singolarmente queste o quelle; e s’intende perciò che gliele affidò tutte quante. Dunque se i Greci o altri negano di essere stati affidati a Pietro e a’ suoi successori, conviene confessino di non essere del gregge di Cristo, perché nel Vangelo di Giovanni dice il Signore che uno solo è l’ovile e unico il pastore (Giov. X, 46). « Il Vangelo ci insegna che in questa potestà che è potestà Sua stanno due spade, cioè la spirituale e la temporale…. L’una e l’altra dunque sta in poter della Chiesa, vale a dire la spada spirituale e la materiale. Questa dev’essere adoperata in prò’ della Chiesa, l’altra invece dalla Chiesa; l’una in mano del sacerdote, l’altra dei re e de’ soldati, però secondo il cenno e la discrezione del sacerdote. Inoltre bisogna che spada stia sotto spada e la potestà temporale sia soggetta all’autorità spirituale… È necessario che noi tanto più nettamente riconosciamo che la spirituale autorità è superiore a qualsiasi terrena sia per dignità sia per nobiltà, quanto le cose spirituali sono superiori alle temporali… Difatti, per attestazione della Verità, l’autorità spirituale è incaricata di istruire e giudicare quella terrena, se non sarà buona… Dunque se l’autorità terrena erra, sarà giudicata dall’autorità spirituale; se erra invece un’autorità spirituale inferiore, sarà giudicata da quella superiore; se poi la suprema, potrà essere giudicata da Dio soltanto, non da un uomo, come afferma l’Apostolo: l’uomo spirituale giudica tutto, lui stesso però non è giudicato da nessuno (I. ai Cor., II, 15). Orbene questa autorità, quantunque concessa all’uomo ed esercitata dall’uomo, non è umana, ma piuttosto divina, conferita per bocca di Dio a Pietro e confermata tanto per lui quanto pe’

suoi successori nella persona di colui stesso, che pietra sarà stato proclamato, giusta le parole del Signore a Pietro: tutto ciò che avrai legato ecc. (Matt. XVI, 19). Chiunque perciò resiste a quest’autorità così ordinata da Dio, si oppone alla disposizione di Dio… Inoltre dichiariamo affermiamo definiamo e pronunciamo che per ogni creatura umana lo star soggetta al Romano Pontefice è assolutamente necessario per la salvezza » .

(Extr. comm., I , 8, 1).

DOMANDA 132a.

S. Ignazio d’Antiochia, Epist. ad Smyrnæos, VIII, 1:

« Obbedite tutti al Vescovo, come Gesù Cristo al Padre…. Nessuno osi far nulla di ciò che spetta alla Chiesa separatamente dal Vescovo. Sia ritenuta valida l’Eucaristia, che si fa sotto il Vescovo o sotto chi ne è autorizzato da lui. Dov’è il Vescovo ci sia il popolo, come dov’è Cristo c’è la Chiesa cattolica. Non si può né battezzare né celebrar l’agape senza vescovo; ma tutto ciò che è approvato da lui è approvato anche da Dio, dimodoché tutto ciò che si fa è sicuro e valido ».

(Patres Apostolici, ed. Funck, I , 282).

S. Ireneo, Adv. hæreses, III, 1, 1:

« A chiunque desidera conoscer la verità è dato di osservare in ciascuna chiesa la tradizione apostolica chiara in tutto il mondo; e possiamo contare quelli che furono creati Vescovi dagli Apostoli e loro successori fino a noi; orbene questi niente insegnarono e conobbero di ciò che costoro pazzamente dicono ».

(P. G., 7, 848).

DOMANDA 133a

Pio XI, Encicl. Mortalium animos, 6 genn. 1928:

« Cristo Signore poi costituì la sua Chiesa come una società perfetta, per natura esteriore e sensibile, allo scopo di proseguir nel futuro l’opera di restaurare l’uman genere sotto la guida d’un sol capo (Mtt. XVI, 18 s.; Luc. XXII, 32; Gio. XXI, 15-17) col magistero della parola viva (Marc. XVI, 15) e coll’amministrazione de’ Sacramenti, sorgenti della grazia celeste (Gio. III, 5; VI, 48-59; XX, 22 s.; cfr. Mtt. XVI, 18 etc.); per questo, con paragoni, la disse somigliante a un regno (Mtt. XXIII), a una casa (cfr. Mtt. XVI, 18), a un ovile (Gio. X, 16), a un gregge (Gio. XXI, 15-17). Orbene questa Chiesa, così mirabilmente costituita, non poteva, dopo la morte del suo Fondatore e degli Apostoli, condottieri della sua diffusione, non poteva certamente né cessare né spegnersi, dacché aveva incarico di condurre gli uomini tutti all’eterna salute, senza distinzione di tempo e di spazio: dunque andate e insegnate a tutte le genti, (Mtt. XXVIII, 19) …. Ebbene nessuno vive, nessuno continua a vivere in questa Chiesa unica di Cristo, se non riconosce e accoglie, coll’obbedienza, l’autorità e la potestà di Pietro e de’ suoi legittimi successori ».

(Acta Apost. Sedis, XX, 8, 15).

DOMANDA 136a

Concilio IV. di Laterano (1215) Contra Albigenses, C. I,

De fide catholica:

« Unica invero è la Chiesa universale de’ fedeli; e fuor di essa nessuno affatto può salvarsi ».

(Mansi, XXII, 982).

Concilio di Firenze, Decretum prò Jacobitis, e Bolla Cantate Domino, 4 febbr. 1441 :

« La Santa Chiesa Romana fermamente crede, professa e proclama che nessuno può divenir partecipe della vita eterna, se non vive dentro la Chiesa Cattolica, non solo i pagani, ma neanche i giudei, gli eretici e gli scismatici; anzi cadrà nel fuoco eterno, che è stato preparato pel diavolo e i suoi angeli (Mt. XXV, 41) se non sarà, prima di morire, unito alla medesima; che tanto ha valore l’unità del corpo della Chiesa che i Sacramenti di essa profittano a salute soltanto per chi rimane in essa e solo per lui meritano premio eterno tanto i digiuni quanto le elemosine e gli altri esercizi e compiti della pietà cristiana; e che nessuno può salvarsi, se non rimane in seno e nell’unità della Chiesa cattolica, per quante elemosine faccia e anche se, per gloria di Cristo, versa il suo sangue

».

(Mansi, XXXI, 1739).

Innocenzo III, Epist. Ejus exemplo, 18 dic. 1208 all’Arcivescovo di Tarragona, Professione di fede proposta a Durando di Osea e a’ suoi compagni Valdesi:

« Crediamo col cuore e professiamo colla parola un’unica Chiesa, non l’eretica, ma la santa Romana cattolica e apostolica, fuor della quale crediamo che nessuno si salva ».

( P. L., 215, 1511).

Bonifacio VIII: Vedi D. 131.

Pio IX, Allocuz. Singulari quadam, 9 dic. 1854:

« Sappiamo con dolore che un secondo errore, non meno esiziale, ha invaso talune parti del mondo cattolico e si è insediato generalmente nell’animo de’ cattolici, che pensano d’aver bene a sperare per la salvezza di tutti coloro, i quali non vivono affatto nella vera Chiesa di Cristo. Perciò spesso spesso è loro abitudine insistere a chiedere quale mai sarà dopo morte la sorte e lo stato di coloro, che non appartennero mai alla fede cattolica, aspettando alle loro vanissime pretese una risposta, che a tal sentenza sbagliata porga sostegno. Non osiamo per carità! venerabili Fratelli, metter limiti alla misericordia divina, che è infinita, né scrutare gli arcani disegni e giudizi di Dio, che sono un abisso profondo (Salm. XXXV, 7) e impenetrabile all’umano pensiero. Vogliamo invece, com’è del nostro compito apostolico, destare la vostra episcopale premura e, vigilanza nell’intento che con ogni vostro sforzo scacciate dalla mente degli uomini quell’empia quanto funesta opinione, che si possa cioè in qualsiasi religione trovar la via dell’eterna salute. Con quella sollecitudine e dottrina che vi distingue, istruite i popoli affidati alla vostra cura, mostrando che i dogmi della fede cattolica non sono contrari alla misericordia e alla giustizia divina. « Bisogna credere che nessuno può salvarsi, fuori della Chiesa Apostolica Romana, che questa è l’arca unica di salvezza, che morirà nel diluvio chi non vi entra; ma parimenti bisogna tener per certo che davanti a Dio non hanno colpa di sorta quelli che ignorano la vera religione, se l’ignoranza è davvero invincibile. « Orbene chi presumerà designare i limiti di siffatta ignoranza, secondo le varie differenze di popolo, di regione, di ingegno e di molte altre circostanze? Infatti, quando, sciolti da questi vincoli del corpo, vedremo Dio com’è, capiremo di certo quanto siano strettamente e bellamente intrecciate la misericordia e la giustizia divina; però, fino a che viviamo in questo mondo gravati dal peso mortale che inebetisce l’anima, dobbiamo tener per fermo, secondo la dottrina cattolica, che vi è un solo Dio, una sola fede, un solo battesimo (agli Ef., IV, 5 ); andar più innanzi coll’indagine non è lecito».

(Acta Pii IX, I, 1, 625).

Leone XIII, Encicl. Satis cognitum, 29 giugno 1896:

« Orbene, se si guarda al fatto storico, Gesù Cristo fondò e formò la Chiesa non di natura tale che comprendesse più comunità di genere simili, ma distinte, né tra loro collegate da vincoli tali da formare una Chiesa individua e unica; proprio nel modo che noi professiamo nel Simbolo della fede Credo in una sola…. Chiesa…. Davvero Gesù Cristo, parlando di siffatto edificio mistico, non fa menzione se non di un’unica Chiesa, che chiama la sua: edificherò la mia Chiesa (Matt. XVI, 18). Qualunque altra fuor di questa si pensi, non può essere la vera Chiesa di Cristo, perché non fondata da Gesù Cristo…. Sicché deve la Chiesa profondere largamente su tutti gli uomini e propagare a tutte le generazioni la salvezza conquistata da Gesù Cristo e insieme tutti i benefici che ne provengono. Perciò, secondo la volontà del Fondatore, è necessario che sia unica in tutto il mondo, perennemente… È dunque la Chiesa di Cristo unica e perpetua: chiunque se ne stacca abbandona la volontà e il precetto di Cristo Signore e, lasciato il sentiero di salvezza, scivola verso la morte ».

(Acta Leonis XIII, XVI, 163, 165, 168).

S. Cipriano, De unitate Ecclesiæ, 6:

« La sposa di Cristo non può esser adulterata; è incorrotta e pudica. Conosce una sola casa, custodisce con casto pudore la santità di un sol talamo. Essa ci conserva a Dio, essa destina al regno i figli che ha generato. Chiunque, staccatosi dalla Chiesa, si congiunge all’adultera, si separa pure dalle promesse della Chiesa; e non giungerà alla ricompensa di Cristo chi abbandona la Chiesa di Cristo. È uno straniero, è un profano, è un nemico. Non può più avere per padre Dio, chi non ha per madre la Chiesa. Se poté evadere chiunque rimase fuor dall’Arca di Noè, anche chi rimarrà fuor dalla Chiesa consuma un’evasione ».

(P. L., 4, 518 s.).

S. Girolamo, Epist. 15 (Ad Damasum), 2:

« Io, non seguendo altri per primo se non Cristo, sono intimamente unito in comunione alla tua Beatitudine, cioè alla cattedra di Pietro. So che su quella pietra fu edificata la Chiesa. Chiunque mangerà l’agnello fuor di questa casa è un profano. Chi non sarà nell’arca di Noè andrà perduto nella furia del diluvio ».

(P. L., 22, 355).

S. Agostino, Sermo ad Cæsariensis ecclesiæ populum, 6:

« (Salvezza l’uomo) non può trovare se non nella Chiesa cattolica. Fuor della Cattolica Chiesa può trovar tutto, tranne la salvezza. Può aver onori, può aver Sacramenti, può cantare l’Alleluja, può rispondere l’Amen, può tener il Vangelo, può nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo avere e proclamare la fede, mai però fuori della Chiesa cattolica, potrà trovare la salvezza ».

(P. L. 43, 695).

DOMANDA 137a.

Pio XI, Encicl. Rerum Ecclesiæ, 28 febbr. 1926:

« Quelli, che con attenzione studiano i fasti della Chiesa, non possono non rilevare che, fin dai primi tempi della ricuperata salvezza, le sollecitudini e i pensieri de’ Romani Pontefici furono soprattutto rivolti a spargere, senza mai lasciarsi distogliere da difficoltà e ostacoli, la luce della dottrina evangelica e i benefici della civiltà cristiana tra i popoli che sedevano « nelle tenebre e nell’ombra di morte » . E difatti la Chiesa non è destinata ad altro che a rendere partecipi tutti quanti gli uomini della salutare redenzione, col dilatare il regno di Cristo in tutto il mondo; ma chiunque sia, che, per volere di Dio, fa le veci in terra di Gesù Principe de’ pastori, non può contentarsi solamente di proteggere e salvare il gregge del Signore, che ricevette da governare, ma verrebbe meno al suo principale compito se non cercasse con ogni sforzo di guadagnare e congiungere a Cristo gli stranieri e gli estranei ».

(Acta Apost. Sedis, XVIII, 65).

S. Agostino, Contra Epist. Manichæi, 5:

« Nella Chiesa…. cattolica…. molti motivi mi tengono attaccato al suo grembo con piena ragione: il consenso de’ popoli e delle genti; il prestigio, cominciato co’ miracoli, nutrito di speranza, accresciuto dalla carità, confermato dall’antichità; la successione sacerdotale da Pietro Apostolo stesso, cui dopo la risurrezione il Signore affidò da pascere le sue pecore, fino al presente episcopato; finalmente il nome stesso di Cattolica, non senza una ragione riservato, in mezzo a tante eresie, a questa Chiesa soltanto, sicché, mentre gli eretici pretendono tutti d’esser detti cattolici, nessun eretico oserebbe d’indicare la sua basilica o la sua casa, se un forestiero domandasse dove si trova la Chiesa Cattolica ».

(P. L., 42, 175).

Il medesimo, De Symbolo, sermo ad cathecumenos, 14:

« Essa è la Chiesa santa, la Chiesa unica, la Chiesa vera, la Chiesa cattolica, in lotta contro tutte le eresie; può combattere, ma non esser vinta. Uscirono da essa, come sarmenti vani staccati dalla vite, tutte l’eresie; ma essa rimane nella sua radice, nella sua vite, nella sua carità ».

(P. L., 40, 635).

DOMANDA 138a.

S. Cipriano, Epist. V, 40, 5 :

« C’è un Dio solo e un solo Cristo e una sola Chiesa e una sola cattedra fondata per volere di Dio su Pietro. Oltre l’unico altare e l’unico sacerdozio non se ne può costituire un altro nuovo. Chi raccoglierà altrove, disperde ».

(P. L., 4, 345).

S. Ambrogio, In Psalm., 40, 30:

« È proprio Pietro, al quale disse  Tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa (Mtt. XVI, 18). Dunque ov’è Pietro, ivi non c’è morte, ma vita eterna ».

(P. L., 14, 1134).

DOMANDA 144a.

Adamanzio, Dìalogus de recta in Deum fide, V. 28:

« Proprio della sola verità vive giustamente e santamente e piamente la Chiesa cattolica, e chi ha cambiato strada e s’è allontanato da essa sta lungi dalla verità; e se, a parole, afferma di conoscere la verità, di fatto n’è assai lontano ».

(P. C, 11, 1883).

S. Cipriano, Inter S. Cornelii Epistolas, Epist. 12, 14:

« Osano (gli erètici) venir per mare alla cattedra di Pietro e alla Chiesa principale, dond’ebbe origine l’unità del sacerdozio, e portar lettere da parte degli scismatici e degli estranei; e non riflettono che son Romani quelli, la fede de’ quali fu celebrata dalla parola dell’Apostolo, ai quali non può aver accesso la perfidia? »

(P. L., 3, 844, 3).

S. Pier Crisologo, Epist. ad Eutychen, 2:

« Ti esortiamo con ogni premura, o venerabile fratello, di osservare attentamente le cose che ha scritto il beatissimo Papa di Roma; perché il beato Pietro, che vive e governa nella propria sede, fornisce a chi la cerca la verità della fede. E noi non possiamo, per desiderio di pace e di fede, trattar questioni di fede fuor dal consenso del Vescovo di Roma ».

(P. L., 54, 741 s.).

DOMANDA 147a.

Concilio Vaticano, Costit. Pastor Æternus, cap. 4, De Romani Pontificis infallibili magisterio:

dal principio della fede cristiana, a gloria del Salvatore nostro Dio, per l’esaltazione della religione cattolica e la salvezza de’ popoli cristiani, insegniamo, col consenso del sacro Concilio, e definiamo come rivelato da Dio il dogma che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando definisce, colla suprema sua autorità Apostolica come pastore e maestro di tutti i Cristiani, che una dottrina riguardante la fede o i costumi dev’essere ricevuta da tutta la Chiesa, gode, in virtù dell’assistenza divina promessagli nella persona del beato Pietro, di quell’infallibilità, di cui volle il divin Redentore fornire la sua Chiesa nel determinare l’insegnamento circa la fede o i costumi; e che perciò tali definizioni del Romano Pontefice sono irreformabili di per se stesse, non per consenso della Chiesa.

« Sia scomunicato chiunque (Dio non permetta) presumerà contraddire a questa Nostra definizione ».

DOMANDA 148a.

Concilio Vaticano, Costit. Dei Filius, cap. 3 :

« Orbene bisogna credere con fede divina e cattolica tutto ciò ch’è contenuto nella parola di Dio scritta o tramandata e che viene proposto, come divinamente rivelato, dalla Chiesa, sia con giudizio solenne sia col magistero ordinario e universale ».

DOMANDA 150a.

Concilio Vaticano, Costit. Dei Filius, cap. 4, De fide et ratione :

« Ora la Chiesa, che insieme coll’incarico apostolico di insegnare ricevette il mandato di custodire il deposito della fede, ha da Dio anche il diritto e il dovere di proscrivere la falsa scienza affinché nessuno sia tratto in inganno da una filosofia vana e fallace (Ai Coloss. II, 8). E perciò non soltanto è proibito a tutti i fedeli Cristiani di difendere come legittime conclusioni della scienza le opinioni, che si conoscono contrarie all’insegnamento della fede, specialmente se sono state riprovate dalla Chiesa, ma è fatto obbligo assoluto di considerarle piuttosto come errori, che presentano un’apparenza ingannevole di verità ».

DOMANDA 151a.

Concilio Vaticano: Vedi D. 150.

Alessandro VII, Costit. Regiminis Apostolici, 15 febbr. 1664:

« Io N. mi sottometto alla Costituzione Apostolica del papa Innocenzo X, pubblicata il 31 maggio 1653, e alla Costituzione del papa Alessandro VII, pubblicata il 16 ottobre 1656 e con animo sincero respingo e condanno le cinque proposizioni estratte dal libro, intitolato Augustinus, di Cornelio Giansenio e nel senso inteso dal medesimo autore, come le ha condannate la Sede Apostolica con le predette Costituzioni; e giuro così: m’aiuti Dio e questi Santi vangeli di Dio ».

(Du Plessis, 1. C., III, 11, 315).

Clemente XI, Costit. Vineam Domini Sabaoth, 16 lugl. 1705:

« Affinché in avvenire sia tolta affatto ogni occasion d’errore e tutti i figli della Chiesa cattolica imparino ad ascoltar la Chiesa stessa non solo in silenzio (anche gli empii tacciono nelle tenebre) ma pure con esteriore ossequio, ch’è la vera obbedienza di chi sta nell’ortodossia, decretiamo, dichiariamo, stabiliamo e ordiniamo, per mezzo di questa nostra Costituzione valevole in perpetuo e coll’autorità stessa degli Apostoli, che non si soddisfa per niente affatto con quell’ossequio tacito all’obbedienza ch’è dovuta alle precitate Costituzioni apostoliche; ma che il senso, quale offrono le parole di esse, del libro di Giansenio, condannato nelle cinque predette proposizioni, dev’essere da tutti i fedeli di Cristo rifiutato e condannato come eretico non soltanto colla bocca, ma anche col cuore; e che non si può sottoscrivere lecitamente a detta formola con intenzione, animo o credenza differente, sicché coloro i quali penseranno, riterranno, predicheranno, insegneranno a voce o per iscritto, affermeranno diversamente o contrariamente riguardo a questi punti tutti i singoli, soggiaceranno, come trasgressori delle predette Costituzioni apostoliche, a tutte e singole le censure e pene di esse ».

(Idem, ib. III, 11, 448).

Pio X, Decreto Lamentabili, 3 luglio 1907, 7a delle proposizioni condannate:

« La Chiesa, quando proscrive gli errori, non può esigere dai fedeli assenso interiore di sorta, che accolga i giudizii da essa pronunciati ».

(Acta Apost. Sedis, XL, 471).

DOMANDA 152a.

Pio IX, Epist. Tuas libenter, 22 die. 1863 all’arcivescovo di Monaco e Frisinga :

« Ma quando si tratta della sottomissione, alla quale son obbligati in coscienza tutti quei cattolici, che si dedicano alle scienze speculative per portare coi loro scritti nuovi vantaggi alla Chiesa, in questo caso devono riconoscere i membri della medesima Assemblea che per gli studiosi cattolici non basta che accolgano e rispettino i predetti dogmi della Chiesa, ma occorre anche sottomettersi sia alle decisioni, che in riferimento alla dottrina son pubblicate dalle Congregazioni pontificie, sia a quei punti della dottrina che, per comune e costante consenso de’ Cattolici, son ritenuti come verità teologiche e conclusioni di tal certezza che le opinioni ad essi contrarie, benché non possano dichiararsi eretiche, tuttavia meritino un’altra censura teologica ».

(Acta Pii IX, I, III, 642-43).

Pio X, Decreto Lamentabili, 3 luglio 1907, 8a prop. tra le condannate:

« Son da ritenere esenti da ogni colpa quelli che non tengono alcun conto delle riprovazioni espresse dalla Sacra Congregazione dell’Indice o da altre Sacre Congregazioni Romane ».

(Acta Apost. Sedis, 1. c.).

DOMANDA 158a.

S. Agostino, De fide et Symbolo, 21 :

« Crediamo anche nella santa Chiesa, s’intende, cattolica. Perché anche gli eretici e i scismatici chiaman chiese le loro congregazioni. Ma gli eretici, pensando falsamente di Dio, violano proprio la fede; a lor volta i scismatici con le ingiuste divisioni si staccano dalla carità fraterna, pur credendo a quel che crediamo noi. Perciò né gli eretici appartengono alla Chiesa Cattolica, in quanto essa ama Dio, né i scismatici, in quanto ama il prossimo ».

(P. L., 40, 193).

DOMANDA 162a.

Innocenzo II (1130-1143), Epist. Apostolicam Sedem, al vescovo di Cremona:

« Alla tua domanda rispondiamo così: Affermiamo senza esitazione (sulla scorta de’ santi Padri Agostino e Ambrogio) che il prete, di cui c’informi che morì senza battesimo, fu libero dal peccato originale e raggiunse il gaudio della patria celeste, perché fu perseverante a credere nella Chiesa Cattolica e a professare il nome di Cristo. Leggi l’ottavo libro di Agostino De Civitate Dei, dove tra l’altro si trova: « S’amministra invisibilmente il battesimo, se viene escluso non per disprezzo della religione, ma per forza maggiore ». Sfoglia anche il libro del beato Ambrogio De obitu Valentiniani, che afferma la stessa cosa. Dunque, messe da parte le discussioni, tienti alla sentenza de’ dotti Padri e raccomanda di offrire a Dio nella tua Chiesa perenni preghiere pel nominato prete ».

(P. L., 179, 624).

Pio IX, Encicl. Quanto conficiamur, 10 ag. 1863 ai Vescovi d’Italia:

« E qui, o diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, conviene di nuovo ricordare e riprovare un errore gravissimo, nel quale sono miseramente irretiti taluni cattolici, secondo i quali possono giungere alla vita eterna gli uomini che vivono negli errori e lontani dalla vera fede e dall’unità cattolica. Ciò è affatto contrario alla dottrina cattolica. È noto a Noi e a Voi che chi per disgrazia si trova nell’ignoranza invincibile riguardo alla nostra santissima religione e, osserva diligentemente la legge naturale co’ suoi precetti scolpiti da Dio nel cuore di tutti ed è pronto a obbedire a Dio, conducendo una vita onesta e giusta, può conseguire la vita eterna, in virtù della luce e grazia divina, perché Dio, il quale vede perfettamente, scruta e conosce la mente, l’animo, i pensieri, le abitudini di tutti, non permette, nella sua somma bontà e clemenza, che sia punito colle eterne pene chiunque non abbia commesso colpa volontaria. Ma è notissimo pure il dogma cattolico che nessuno può salvarsi fuor della Chiesa cattolica e che non possono conseguir l’eterna salvezza i ribelli all’autorità e alle definizioni della Chiesa medesima e gli ostinati nella separazione dall’unità della Chiesa stessa e dal successore di Pietro, il Romano Pontefice, al quale fu affidata dal Salvatore la custodia della vigna ».

(Acta Pii IX, I, III, 613).

DOMANDA 163a.

Pio IX: Vedi D. 162.

DOMANDA 166a.

Leone X III, Encicl. Immortale Dei, 1 nov. 1885:

« …. 16. Il Figlio di Dio Unigenito stabilì sopra la terra una società, che si chiama Chiesa, alla quale affidò di proseguire per tutte le generazioni l’alto e divino mandato, che Egli stesso aveva ricevuto dal Padre…. 18. Questa società, benché sia composta di uomini non altrimenti che la società civile, tuttavia per il fine a lei assegnato e per i mezzi di cui si giova al fine, è soprannaturale e spirituale: e perciò si distingue e differenzia dalla società civile : e, ciò che più importa, è una società perfetta per origine e per diritto, dacché possiede in sé e per se stessa, per volontà e benefizio del suo Fondatore, tutti gli ammennicoli necessari alla sua integrità e attività. Come il fine, al quale mira la Chiesa, è di gran lunga il più nobile, così la sua potestà è di tutte la più eccellente, né può ritenersi inferiore al potere civile o ad esso in qualsiasi maniera soggetta. 24 Pertanto Dio divise tra due poteri la cura dell’uman genere, cioè tra l’ecclesiastico e il civile, l’uno preposto alle cose divine, l’altro alle umane. L’uno e l’altro è nel suo genere massimo: l’uno e l’altro ha determinati limiti, entro ai quali è contenuto, e segnati con precisione dalla natura e dalla ragione di ciascuno: sicché si determina per così dire un circolo, dentro al quale con proprio diritto si esercita l’azione di ciascuno. 25 Ma perché il dominio dell’uno e dell’altro è in rapporto ai medesimi sudditi, potendo accadere che una causa unica e medesima, benché per diversi riguardi, ma tuttavia la medesima causa, cada sotto la giurisdizione e il giudizio di entrambi, Dio provvidentissimo deve avere coordinato rettamente il cammino di entrambi, Egli dal quale ambedue furono costituiti. Orbene le cose che son da Dio ordinate (ai Rom. XIII, 1) 26. Pertanto bisogna che tra l’uno e l’altro potere passi un vincolo ordinato, che davvero può essere paragonato giustamente al vincolo, col quale sono uniti nell’uomo anima e corpo. Ma quale e quanto grande sia esso non si può giudicare altrimenti se non riguardando, come abbiam detto, alla natura dell’uno e dell’altro e col tener calcolo della importanza e nobiltà delle cause: difatti all’uno è assegnato più propriamente e soprattutto procurare il vantaggio negli interessi terreni, all’altro procurare i beni celesti ed eterni. Dunque tutto ciò ch’è sacro in qualche modo nel vivere umano, tutto ciò che ha rapporto alla salvezza delle anime e al culto di Dio, tanto se è tale di natura sua, quanto se s’intenda in grazia della causa cui si riferisce, è totalmente in potere ed arbitrio della Chiesa; il resto, che ha carattere civile e politico, è giusto che rimanga soggetto all’autorità civile, secondo il comando di Gesù Cristo che sia dato a Cesare quel ch’è di Cesare e a Dio quel ch’è di Dio. 54 In realtà se la Chiesa giudica illecito che godano dello stesso diritto, di cui gode la vera religione, le varie specie di culto divino, non pertanto condanna que’ capi di Stato, i quali o per conseguire qualche gran bene o scansar qualche gran male, tollerano che in forza dell’abitudine in ciascuno Stato abbiano posto ».

(Acta Leonis XIII, V, 124, 125, 127, 128).

Il medesimo, Encicl. Au milieu, 16 febb. 1892:

« Questo stato di cose nasce…. in certi paesi. Ed è uno stato che cagiona sì parecchi inconvenienti, però anche qualche vantaggio, soprattutto quando il legislatore, per una felice incoerenza, si lascia ispirare dai principii cristiani; e que’ vantaggi, quantunque non valgano a giustificare il falso principio della separazione, né a permetterne la difesa, rendono però meritevole di tolleranza uno stato di cose che, praticamente, non è il peggiore di tutti ».

(Acta Leonis XIII, XII, 39).

Il medesimo, Epist. Longinque Oceani, 6 genn. 1895:

« Da voi, senza opposizione del potere civile, fu concesso alla Chiesa sicura facoltà di vivere e di operare indisturbata, fuor d’ogni vincolo di leggi, difesa contro la violenza dal diritto comune e dalla rettitudine de’ giudizi. È vero: tuttavia bisogna distruggere l’errore che dall’America sia da prendere il modello della miglior situazione della Chiesa: o che, in generale, sia lecito o conveniente che, secondo il costume d’America, siano estranee e staccate le ragioni della vita civile e della vita religiosa ».

(Acta Leonis XIII, XV, 7).

DOMANDA 167a.

Leone XIII, Encicl. Diuturnum illud, 29 giugno 1881 :

« Senza dubbio la Chiesa di Cristo non può essere né sospetta ai principi né invisa ai popoli. Da un lato essa avverte i principi di seguir la giustizia e di non trascurare il loro dovere in nessuna circostanza; ma insieme ne rafforza e conferma con molte ragioni l’autorità. Riconosce e dichiara in loro potere e supremo dominio le mansioni di carattere civile; e nelle questioni che spettano, sia pure per differente rapporto, tanto alla sacra quanto alla civile potestà, vuole che tra le due corra un’intesa, in virtù della quale si evitano contrasti dannosi a entrambe ».

(Acta Leonis XIII, II, 285).

Il medesimo, Encicl. Immortale Dei. Vedi D. 166.

Pio X, Encicl. Vehementer, 11 febb. 1906:

« È certamente falsissima e quanto mai disastrosa sentenza quella che sia conveniente tener separato il vivere civile dal vivere ecclesiastico. Anzitutto fa grave ingiuria a Dio, perché si fonda sul principio che allo Stato non debba star a cuore per niente la religione, e Dio è proprio fondatore e conservatore dell’umana società non meno che de’ singoli uomini, sicché dev’essere onorato non solamente in privato, ma anche ufficialmente. Poi chiaramente afferma che non esiste il soprannaturale. Infatti riduce l’attività civile alla stregua della pura prosperità temporale, ragione particolare questa della civile società; trascura affatto il fine ultimo de’ cittadini, cioè l’eterna felicità assegnata fuor di questa breve vita agli uomini, come estraneo alla vita civile. Al contrario, come quaggiù è in tutto fissato l’ordine delle cose passeggere, così è verissimo che il governo civile, anziché nuocere, deve contribuire al raggiungimento di quel supremo e assoluto bene. Inoltre stravolge l’ordine della vita umana stabilito sapientissimamente da Dio e che senza dubbio esige la concordia delle due società, la religiosa e la civile. Siccome tutt’e due, ciascuna nel suo campo, esercitano sui medesimi sudditi il rispettivo governo, avviene di necessità che si dieno spesse volte questioni, di cui spetta ad entrambe la cognizione e la soluzione. – Ora, se lo Stato non s’accorda colla Chiesa, con facilità nasceranno precisamente da quelle questioni germi di contrasti, perniciosi a entrambe, con rischio di turbare, insieme con gli animi, anche il giudizio della verità. Finalmente cagiona gravissimo danno alla società stessa civile; questa infatti non può fiorire e nemmeno reggersi a lungo, trascurando la religione, suprema guida e maestra per l’uomo nell’osservanza scrupolosa de’ diritti e de’ doveri ».

(Acta Pii X, III, 26 – 27).

DOMANDA 169A.

Pio IX  Epist. Gravissimas inter acerbitates, 11 dic. 1864, all’arcivescovo di Monaco e Frisinga:

« Perciò la Chiesa, in virtù dell’autorità conferitagli dal suo divin Fondatore, ha non soltanto diritto, ma dovere di non tollerare, anzi di proscrivere e condannare tutti gli errori, se ciò lo esige l’integrità della fede e la salvezza dell’anime; e ogni filosofo, che vuol esser figlio della Chiesa, anzi la filosofia è obbligata di non contraddire mai all’insegnamento della Chiesa e di ritrattare tutto quanto la Chiesa ne li avverte. Affermiamo e dichiariamo affatto erronea e quanto mai ingiuriosa alla fede stessa e alla Chiesa e alla sua autorità la sentenza che insegna il contrario ».

(Acta Pii IX, I, III, 554-55).

Leone X III, Encicl. Immortale Dei, 1 nov. 1885:

« Però, se si discute di argomenti puramente politici, della migliore forma di governo, di amministrare uno Stato così o colà, si può onestamente aver pareri differenti. Dunque giustizia non tollera di considerar colpa un parere differente circa gli accennati argomenti in coloro, de’ quali è nota del resto la onestà e la disposizione pronta ad accogliere con obbedienza i decreti della Sede Apostolica e peggiore ingiustizia assai è l’incriminarli, come non una volta sola ci duole che sia accaduto, di guasta o sospetta fede cattolica. E insomma i pubblcisti, specialmente se giornalisti, s’attengano a codesto precetto. In questa discussione su argomenti d’importanza gravissima non s’ha da far posto a liti o parzialità, ma tutti quanti devono accordarsi e contribuire a ciò ch’è bene comune per tutti, vale a dire di conservare la religione e lo Stato. I dissidi passati, se ce ne furono, bisogna volonterosamente dimenticarli; avventatezze o torti fatti, di chiunque ne sia la colpa, vanno compensati con reciproco amore e, per così dire, riscattati con profondo unanime omaggio alla Sede Apostolica. – « Su questa strada i Cattolici conseguiranno un duplice importantissimo vantaggio: di prestar aiuto alla Chiesa nel conservare e propagare la sapienza cristiana e di procurare un eccellente beneficio alla società civile, di cui pericola la salvezza per causa delle malvagie dottrine e ambizioni ».

(Acta Leonis XIII, V, 149-50).

DOMANDA 174a.

Concilio di Trento, sess. XXV, Sull’invocazione, la venerazione e le reliquie de’ Santi e sulle sacre immagini:

« Il santo Sinodo incarica tutti i Vescovi e gli altri, che hanno dovere e cura d’insegnare, affinché istruiscano con ogni premura i fedeli circa l’intercessione de’ Santi, l’invocazione, il culto delle reliquie e l’uso legittimo delle immagini, secondo la consuetudine della Chiesa cattolica e Apostolica, già invalsa fin dai primi tempi della religione cristiana, e l’approvazione de’ santi Padri e i decreti de’ sacri Concilii. E insegnino che i Santi, trionfanti ora insieme con Cristo, offrono le loro preghiere a Dio per gli uomini; ch’è cosa buona e utile invocarli supplichevolmente e ricorrere alle loro preghiere, alla loro potenza, al loro patrocinio per ottenere le grazie da Dio in nome del suo Figliuolo Gesù Cristo Signor nostro, ch’è l’unico nostro Redentore e Salvatore…. che son degni di venerazione da parte de’ fedeli anche i corpi santi de’ santi Martiri e degli altri che vivono in Cristo, già membra vive di Cristo e tempio dello Spirito Santo, destinati ad esser risuscitati da lui stesso a vita eterna e glorificati. Per mezzo di essi appunto Dio largisce agli uomini molti beneficii ».

S. Girolamo, Contra Vigilantium, 6:

« Affermi nel tuo libercolo che, mentre siam vivi, possiamo vicendevolmente pregare per noi, ma che, dopo morti, nessuna preghiera dell’uno per l’altro può esser esaudita, specialmente se nemmeno i martiri han potuto ottenere, pregando, la vendetta del loro sangue. Se gli Apostoli e i martiri possono pregare per tutti gli altri, da vivi, cioè quando ancora devono pensare per sé, tanto più non potranno dopo la corona, la vittoria e il trionfo? »

(P. L., 23, 344).

DOMANDA 175a.

S. Cirillo di Gerusalemme, Catecheses, V, 8:

« Poi ricordiamoci anche di quelli che s’addormentarono nel Signore; anzitutto de’ Patriarchi, Profeti, Apostoli, Martiri, affinché Dio accolga la nostra preghiera per le preghiere e l’intercessione loro; poi anche per i defunti santi Padri e Vescovi e in generale per tutti quelli che vissero tra noi, avendo fede che grandissimo aiuto sarà per quell’anime, per le quali è fatta la preghiera, mentre qui giace la vittima santa e terribile » .

(P. G., 33, 1115).

S. Agostino, De Civitate Dei, XX, 9, 2:

« Infatti non si separano le anime pie de’ morti dalla Chiesa, la quale anche ora è il regno di Cristo. Altrimenti non si farebbe memoria di essi all’altare di Dio nella comunione del corpo di Cristo » .

(P. L., 41, 674).

DOMANDA 177a.

Concilio IV d i Laterano (1215) c. I . , De fide catholica, Contra Albigenses:

« E se, dopo ricevuto il battesimo, uno cadrà in peccato, può riabilitarsi sempre per mezzo di una sincera penitenza » .

(Mansi, XXII, 982).

Concilio di Trento; vedi D. 143.

S. Leone IX, Epist. Congratulamur vehementer, 16 apr. 1053, Symbolum fidei:

« Credo che la vera Chiesa è santa, cattolica e apostolica e unica, nella quale si dà un solo battesimo e la vera remissione di tutti i peccati ».

(P. L., 143, 772).

DOMANDA 179a.

Concilio IV di Laterano (1215), c. I , De fide catholica contra Albigenses :

« E finalmente il figlio di Dio Unigenito Gesù Cristo…. che verrà alla fine del mondo per giudicare i vivi e i morti e retribuire a ciascuno secondo le opere sue, tanto ai reprobi quanto agli eletti: ed essi tutti risorgeranno coi propri corpi che ora possiedono, per ricevere secondo le opere loro, tanto se buone quanto se cattive: quelli la pena perpetua col diavolo e questi la gloria eterna con Cristo ».

(Mansi, 1. c.).

S. Leone IX , Epist. Congratulamur vehementer, 16 apr. 1053, Symbolum fidei:

« Credo anche la vera risurrezione della medesima carne, che ora porto, e la vita eterna ».

(P. L., 143, 772).

Innocenzo III, Epist. Eius exemplo, 18 dic. 1208: Professione di fede stabilita ai Valdesi:

« Crediamo col cuore e confessiamo colle labbra la risurrezione di questa carne, che portiamo, e non d’un’altra » .

(P. L., 215, 1512).

S. Cirillo di Alessandria: In Ioann., VIII, 51:

« Tutti rivivranno e ritorneranno ancora in vita, tanto i fedeli quanto gl’infedeli. Difatti la risurrezione non è personale affatto, ma uguale per tutti, in quanto tutti devono rivivere ».

(P. G., 73, 918).

S. Giovanni Crisostomo, Sermones panegyrici, De resurrectìone mortuorum, 8:

« Poiché dunque la risurrezione è comune a tutti, tanto ai pii che agli empi, tanto ai cattivi che ai buoni, non devi per questo credere che si faccia un giudizio ingiusto, né dire tra te stesso: Come mai? Anche l’empio e l’idolatra e chi non conosce Cristo, anch’esso risorge e gode con me di uguale onore?…. Anche i corpi dei peccatori risorgono incorruttibili e immortali; ma questo onore sarà per loro fomite e viatico di pene e di vendetta; difatti risorgono incorruttibili per bruciare in eterno ».

(P. G., 50, 430).

DOMANDA 180a.

S. Giovanni Crisostomo, De resurrectione mortuorum, 7:

« E non obiettarmi in qual modo possa un corpo risorgere e diventar immune da corruzione. Infatti quando agisce la potenza di Dio, quella parola come non c’entra più…. Di grazia, come ha creato le potenze immense, le schiere degli Angeli e degli Arcangeli e i cori più alti di questi? Dimmi, ti prego, come fece Qui non potrei dire altro se non che bastò la sola volontà. Dunque chi formò tanti eserciti incorporei, non potrà rinnovare il corpo corrotto d’un uomo e innalzarlo a più grande dignità? »

(P. G., 50, 429 s.).

DOMANDA 182a.

S. Cirillo di Gerusalemme, Catecheses, XVIII, 18-19:

« Difatti proprio questo corpo risorgerà, non rimanendo, qual è, infermo, ma risorgerà esso medesimo. E rivestito d’incorruttibilità sarà trasformato, come il ferro messo al fuoco si f a fuoco, o piuttosto come sa il Signore, che lo risuscita. Risorgerà dunque proprio questo corpo, ma non rimarrà come ora, bensì durerà in eterno; non avrà più bisogno di cibi quali mangiamo noi per vivere, né di scale per salire; perché diventerà spirituale, una vera meraviglia, quale non siamo in grado d’esprimere per la sua alta dignità…. Dunque risorgeremo, avendo tutti corpi eterni, ma non tutti simili: perché, se uno è giusto, riceverà un corpo celeste per poter vivere degnamente in compagnia degli angeli; se invece uno è peccatore, riceverà un corpo eterno, adatto a patire la pena de’ peccati, per non essere distrutto nel fuoco, pur bruciando eternamente ».

(P. G., 33, 1039).

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO XI – “MIT BRENNENDER SORGE”

….. Colui quindi che con sacrilego misconoscimento delle diversità essenziali tra Dio e la creatura, tra l’Uomo-Dio e il semplice uomo, osasse di porre accanto a Cristo o, ancora peggio, sopra di Lui o contro di Lui, un semplice mortale, fosse anche il più grande di tutti i tempi, sappia che è un profeta di chimere, a cui si applica spaventosamente la parola della Scrittura: « Colui, che abita nel cielo, ride di loro » …. Questo è uno dei passaggi più significativi di questa lettera enciclica, l’unica della storia della Chiesa scritta in tedesco ed indirizzata ai Vescovi della Germania nazista: è un’espressione che risuona come condanna netta per quel regime infame liberticida ed anticristiano, ma pure per i regimi nostrani occidentali e mondialisti, diretti dai nemici dell’uomo e di Dio, che quel regime lo vogliono imporre a tutto il pianeta, simulando una emergenza sanitaria, alla quale farà seguito un’emergenza sociale, un’emergenza finanziaria, la fame, la miseria ed infine la negazione – in apparenza – di ogni religione, ma in realtà la oppressione dell’unica vera Religione, il Cristianesimo, l’unica che assicuri l’eterna beatitudine. La  lettera è piena di dottrina cattolica nella fermezze di rivendicare i diritti di Dio e della sua unica vera Religione che da Cristo, il Figlio suo unigenito, fu istituita ed affidata ai suoi Apostoli in unione con il suo Vicario, S. Pietro ed i suoi successori. Il monito per gli avversari di Cristo, suona implacabile anche e soprattutto oggi, in cui gli avversari si sono moltiplicati e si sentono dominatori assoluti in unione al corpo mistico della bestia satanica ma… stano attenti, la loro fine è già segnata ed il loro ultimo giorno si avvicina: Dominus irridebit eos, quoniam prospicit quod veniet dies ejus … (Ps. XXXVI). E stiano attenti anche i falsi profeti che fingono di appartenere alla Chiesa essendo invece la parte operante infiltrata come quinta colonna delle forze dell’anticristo. Per essi è pure aperto lo stagno di fuoco che li attende se non si ravvedono in tempo… et IPSA CONTERET CAPUT TUUM…

LETTERA ENCICLICA

MIT BRENNENDER SORGE

DEL SOMMO PONTEFICE

S. S. PIO XI

Ai Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi e agli altri Ordinari di Germania aventi pace e comunione con la Sede Apostolica.

Il Papa Pio XI.

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Con viva ansia e con stupore sempre crescente veniamo osservando da lungo tempo la via dolorosa della Chiesa e il progressivo acuirsi dell’oppressione dei fedeli ad essa rimasti devoti nello spirito e nell’opera; e tutto ciò in quella terra e in mezzo a quel popolo, a cui S. Bonifacio portò un giorno il luminoso e lieto messaggio di Cristo e del Regno di Dio. – Tale Nostra ansia non è stata alleviata dalle relazioni che i Reverendissimi Rappresentanti dell’Episcopato, conforme al loro dovere, Ci fecero secondo verità, visitandoCi durante la Nostra infermità. Accanto a molte notizie, che Ci furono di consolazione e conforto, sulla lotta sostenuta dai loro fedeli a causa della religione, non poterono, nonostante l’amore al loro popolo e alla loro patria e la cura di esprimere un giudizio ben ponderato, passare sotto silenzio innumerevoli altri avvenimenti tristi e riprovevoli. Quando Noi udimmo le loro relazioni, con profonda gratitudine verso Dio potemmo esclamare con l’Apostolo dell’amore: «Non ho gioia più grande di quando sento che i miei figli camminano nella verità » (1). Ma la franchezza che si addice alla grave responsabilità del Nostro ministero Apostolico, e la decisione di presentare davanti a voi e all’intero mondo cristiano la realtà in tutta la sua crudezza esigono anche che aggiungiamo: Non abbiamo maggiore ansia né più crudele afflizione pastorale di quando sentiamo che molti abbandonano il cammino della verità (2).

1. IL CONCORDATO

Quando Noi, Venerabili Fratelli, nell’estate del 1933, a richiesta del governo del Reich, accettammo di riprendere le trattative per un Concordato, in base ad un progetto elaborato già vari anni prima, e addivenimmo così ad un solenne accordo, che riuscì di soddisfazione a voi tutti, fummo mossi dalla doverosa sollecitudine di tutelare la libertà della missione salvifica della Chiesa in Germania e di assicurare la salute delle anime ad essa affidate, e in pari tempo dal sincero desiderio di rendere un servizio d’interesse capitale al pacifico sviluppo e al benessere del popolo tedesco. – Nonostante molte e gravi preoccupazioni, pervenimmo allora, non senza sforzo, alla determinazione di non negare il Nostro consenso. Volevamo risparmiare ai Nostri fedeli, ai Nostri figli e alle Nostre figlie della Germania, secondo le umane possibilità, le tensioni e le tribolazioni che, in caso contrario, si sarebbero dovute con certezza aspettare, date le condizioni dei tempi. E volevamo dimostrare col fatto, a tutti, che Noi, cercando solo Cristo e ciò che appartiene a Cristo, non rifiutiamo ad alcuno, se egli stesso non la respinga, la mano pacifica della Madre Chiesa. – Se l’albero di pace, da Noi piantato in terra tedesca con puro intento, non ha prodotto i frutti, da Noi bramati nell’interesse del vostro popolo, non ci sarà alcuno al mondo intero, che abbia occhi per vedere e orecchi per sentire, il quale potrà dire ancor oggi la colpa essere della Chiesa e del suo Capo Supremo. L’esperienza degli anni trascorsi mette in luce le responsabilità, e svela macchinazioni, che già dal principio non si proposero altro scopo se non una lotta fino all’annientamento. Nei solchi, in cui Ci eravamo sforzati di gettare la semenza della vera pace, altri sparsero — come l’inimicus homo della Sacra Scrittura (3) — la zizzania della sfiducia, della discordia, dell’odio, della diffamazione, di un’avversione profonda, occulta e palese, contro Cristo e la sua Chiesa, scatenando una lotta che si alimentò in mille fonti diverse, e si servì di tutti i mezzi. Su di essi e solamente su di essi, e sui loro protettori, occulti o palesi, ricade la responsabilità se all’orizzonte della Germania apparisce, non l’arcobaleno della pace, ma il nembo minaccioso delle dissolvitrici lotte religiose. – Venerabili Fratelli, Noi non Ci siamo stancati di far presente ai reggitori, responsabili delle sorti della vostra nazione, le conseguenze che sarebbero necessariamente derivate dalla tolleranza, o peggio ancora dal favoreggiamento di quelle correnti. Abbiamo fatto di tutto per difendere la santità della parola solennemente data, la inviolabilità degli obblighi volontariamente contratti, contro teorie e pratiche, le quali, se ufficialmente ammesse, avrebbero dovuto spegnere ogni fiducia e svalutare intrinsecamente ogni parola data, anche per l’avvenire. Se verrà il momento di esporre agli occhi del mondo questi Nostri sforzi, tutti i ben pensanti sapranno dove sono da cercare i tutori della pace e dove i suoi perturbatori. Chiunque abbia conservato nel suo animo un residuo di amore per la verità, e nel suo cuore anche un’ombra del senso di giustizia, dovrà ammettere che negli anni difficili e gravi di vicende, susseguitisi al Concordato, ciascuna delle Nostre parole e delle Nostre azioni ebbe per norma la fedeltà degli accordi sanciti. Ma dovrà anche riconoscere, con stupore e con intima ripulsa, come dall’altra parte si sia eretto a norma ordinaria lo svisare arbitrariamente i patti, l’eluderli, lo svuotarli e finalmente il violarli più o meno apertamente. – La moderazione da Noi finora mostrata, nonostante tutto ciò, non Ci è stata suggerita da calcoli di interessi terreni né tanto meno da debolezza, ma semplicemente dalla volontà di non strappare, insieme con la zizzania, anche qualche buona pianta; dalla decisione di non pronunziare pubblicamente un giudizio, prima che gli animi fossero maturi per riconoscerne l’ineluttabilità; dalla determinazione di non negare definitivamente la fedeltà di altri alla parola data, prima che il duro linguaggio della realtà avesse strappato i veli, con cui si è saputo e si cerca anche adesso mascherare, secondo un piano prestabilito, l’attacco contro la Chiesa. Anche oggi, che la lotta aperta contro le scuole confessionali, tutelate dal Concordato, e l’annientamento della libertà di voto per coloro che hanno diritto all’educazione cattolica, manifestano, in un campo particolarmente vitale per la Chiesa, la tragica serietà della situazione e una non mai vista pressione spirituale dei fedeli, la sollecitudine paterna per il bene delle anime Ci consiglia di non lasciare senza considerazione le prospettive, per quanto scarse, che possano ancora sussistere, di un ritorno alla fedeltà dei patti e ad una intesa permessa dalla Nostra coscienza. – Seguendo le preghiere dei Reverendissimi Membri dell’Episcopato non Ci stancheremo anche nel futuro di difendere il diritto leso presso i reggitori del vostro popolo, incuranti del successo o dell’insuccesso del momento, ubbidienti solo alla Nostra coscienza e al Nostro ministero pastorale, e non cesseremo di opporCi ad una mentalità, che cerca, con aperta od occulta violenza, di soffocare il diritto, autenticato da documenti. – Lo scopo però della presente lettera, Venerabili Fratelli, è un altro. Come voi ci avete visitato amabilmente durante la Nostra infermità, così Noi ci rivolgiamo oggi a voi e, per mezzo vostro, ai fedeli cattolici della Germania, i quali, come tutti i figli sofferenti e perseguitati, stanno molto vicini al cuore del Padre comune. In questa ora, in cui la loro fede viene provata, come vero oro, nel fuoco della tribolazione e della persecuzione, insidiosa o aperta, ed essi sono accerchiati da mille forme di organizzata compressione della libertà religiosa, in cui l’impossibilità di aver informazioni, conformi a verità, e di difendersi con mezzi normali, molto li opprime, hanno un doppio diritto ad una parola di verità e d’incoraggiamento morale da parte di Colui, al cui primo predecessore il Salvatore diresse quella parola densa di significato: « Io ho pregato per te, affinché la tua debolezza non vacilli, e tu a tua volta corrobora i tuoi fratelli » (4).

2. GENUINA FEDE IN DIO

E anzitutto, Venerabili Fratelli, abbiate cura che la fede in Dio, primo e insostituibile fondamento di ogni religione, rimanga pura e integra nelle regioni tedesche. Non si può considerare come credente in Dio colui che usa il nome di Dio retoricamente, ma solo colui che unisce a questa venerata parola una vera e degna nozione di Dio. – Chi, con indeterminatezza panteistica, identifica Dio con l’universo, materializzando Dio nel mondo e deificando il mondo in Dio, non appartiene ai veri credenti. – Né è tale chi, seguendo una sedicente concezione precristiana dell’antico germanesimo, pone in luogo del Dio personale il fato tetro e impersonale, rinnegando la sapienza divina e la sua provvidenza, la quale « con forza e dolcezza domina da un’estremità all’altra del mondo » (5) e tutto dirige a buon fine. Un simile uomo non può pretendere di essere annoverato fra i veri credenti. – Se la razza o il popolo, se lo Stato o una sua determinata forma, se i rappresentanti del potere statale o altri elementi fondamentali della società umana hanno nell’ordine naturale un posto essenziale e degno di rispetto; chi peraltro li distacca da questa scala di valori terreni, elevandoli a suprema norma di tutto, anche dei valori religiosi e, divinizzandoli con culto idolatrico, perverte e falsifica l’ordine, da Dio creato e imposto, è lontano dalla vera fede in Dio e da una concezione della vita ad essa conforme. – Rivolgete, Venerabili Fratelli, l’attenzione all’abuso crescente, che si manifesta in parole e per iscritto, di adoperare il tre volte santo nome di Dio quale etichetta vuota di senso per un prodotto più o meno arbitrario di ricerca o aspirazione umana, e adoperatevi che tale aberrazione incontri tra i vostri fedeli la vigile ripulsa che merita. Il nostro Dio è il Dio personale, trascendente, onnipotente, infinitamente perfetto, uno nella trinità delle persone e trino nell’unità della essenza divina, creatore dell’universo, signore, re e ultimo fine della storia del mondo, il quale non ammette né può ammettere altre divinità accanto a sé. – Questo Dio ha dato i suoi comandamenti in maniera sovrana: comandamenti indipendenti da tempo e spazio, da regione e razza. Come il sole di Dio splende indistintamente su tutto il genere umano, così la sua legge non conosce privilegi né eccezioni. Governanti e governati, coronati e non coronati, grandi e piccoli, ricchi e poveri dipendono ugualmente dalla sua parola. Dalla totalità dei suoi diritti di Creatore promana essenzialmente la sua esigenza ad un’ubbidienza assoluta da parte degli individui e di qualsiasi società. E tale esigenza all’ubbidienza si estende a tutte le sfere della vita, nelle quali le questioni morali richiedono l’accordo con la legge divina e con ciò stesso l’armonizzazione dei mutevoli ordinamenti umani col complesso degli immutabili ordinamenti divini. – Solamente spiriti superficiali possono cadere nell’errore di parlare di un Dio nazionale, di una religione nazionale, e intraprendere il folle tentativo di imprigionare nei limiti di un solo popolo, nella ristrettezza etnica di una sola razza, Dio, Creatore del mondo, re e legislatore dei popoli, davanti alla cui grandezza le nazioni sono piccole come gocce in un catino d’acqua (6). – I Vescovi della Chiesa di Cristo « preposti a quelle cose che riguardano Dio »(7) devono vigilare perché non si affermino tra i fedeli tali perniciosi errori, ai quali sogliono tener dietro pratiche ancora più perniciose. Appartiene al loro sacro ministero di fare tutto il possibile, affinché i comandamenti di Dio siano considerati e praticati quali obbligazioni inconcusse di una vita morale e ordinata, sia privata sia pubblica; i diritti della maestà divina, il nome e la parola di Dio non vengano profanati(8); le bestemmie contro Dio in parole, scritti e immagini, numerose talvolta come l’arena del mare, vengano ridotte al silenzio, e di fronte allo spirito caparbio e insidioso di coloro, che negano, oltraggiano e odiano Dio, non si illanguidisca mai la preghiera espiatrice dei fedeli, la quale sale ad ogni ora come incenso all’Altissimo, trattenendone la mano punitrice. – Noi ringraziamo, Venerabili Fratelli, voi, i vostri sacerdoti e tutti i fedeli che nella difesa dei diritti della divina Maestà contro un provocante neopaganesimo, appoggiato, purtroppo, spesso da personalità influenti, avete adempiuto e adempite il vostro dovere di cristiani. Questo ringraziamento è particolarmente intimo e unito ad una riconoscente ammirazione per coloro i quali, nel compimento di questo loro dovere, si sono resi degni di sopportare per la causa di Dio sacrifici e dolori.

3. GENUINA FEDE IN GESÙ CRISTO

La fede in Dio non si manterrà, a lungo andare, pura e incontaminata, se non si appoggerà nella fede in Gesù Cristo. «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui a cui il Figlio lo vuole rivelare » (9). «Questa è la vita eterna; che essi riconoscano te, unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo » (10). A nessuno dunque è lecito dire: io credo in Dio, e ciò è sufficiente per la mia religione. La parola del Salvatore non lascia posto a scappatoie di simil genere: « Chi rinnega il Figlio non ha neanche il Padre; chi riconosce il Figlio ha anche il Padre » (11).

In Gesù Cristo, incarnato Figlio di Dio, è apparsa la pienezza della rivelazione divina: « In varie maniere e in diverse forme, Dio un giorno parlò ai padri per mezzo dei profeti. Nella pienezza dei tempi ha parlato a noi per mezzo del Figlio » (12). I libri santi dell’Antico Testamento sono tutti parola di Dio, parte organica della sua rivelazione. Conforme allo sviluppo graduale della rivelazione, su di essi si posa il crepuscolo del tempo che doveva preparare il pieno meriggio della redenzione. In alcune parti si narra dell’imperfezione umana, della sua debolezza e del peccato, come non può accadere diversamente, quando si tratta di libri di storia e di legislazione. Oltre a innumerevoli cose alte e nobili, essi parlano della tendenza superficiale e materiale, che appariva a varie riprese nel popolo dell’antico patto, depositario della rivelazione e delle promesse di Dio. Ma per ogni occhio, non accecato dal pregiudizio o dalla passione, non può che risplendere ancora più luminosamente, nonostante la debolezza umana, di cui parla la storia biblica, la luce divina del cammino della salvezza, che trionfa alla fine su tutte le debolezze e i peccati. – E proprio su questo sfondo, spesso cupo, la pedagogia della salute eterna si allarga in prospettive, le quali nello stesso tempo dirigono, ammoniscono, scuotono, sollevano e rendono felici. Solo cecità e caparbietà possono far chiudere gli occhi davanti ai tesori di salutari insegnamenti, nascosti nell’Antico Testamento. Chi quindi vuole banditi dalla Chiesa e dalla scuola la storia biblica e i saggi insegnamenti dell’Antico Testamento, bestemmia la parola di Dio, bestemmia il piano della salute dell’Onnipotente ed erige a giudice dei piani divini un angusto e ristretto pensar umano. Egli rinnega la fede in Gesù Cristo, apparso nella realtà della sua carne, il quale prese natura umana da un popolo, che doveva poi configgerlo in croce. Non comprende nulla del dramma mondiale del Figlio di Dio, il quale oppose al misfatto dei suoi crocifissori, qual sommo sacerdote, l’azione divina della morte redentrice, e fece così trovare all’Antico Testamento il suo compimento, la sua fine e la sua sublimazione nel Nuovo Testamento. – La rivelazione culminata nell’Evangelo di Gesù Cristo è definitiva e obbligatoria per sempre, non ammette appendici di origine umana e, ancora meno, succedanei o sostituzioni di « rivelazioni » arbitrarie, che alcuni banditori moderni vorrebbero far derivare dal così detto mito del sangue e della razza. Da che Cristo, l’Unto del Signore, ha compiuto l’opera di redenzione, infrangendo il dominio del peccato e meritandoci la grazia di diventare figli di Dio, da allora non è stato dato agli uomini alcun altro nome sotto il cielo, per diventare beati, se non il nome di Gesù (13). Anche se un uomo identifichi in sé ogni sapere, ogni potere e tutta la possanza materiale della terra, non può gettare fondamento diverso, da quello che Cristo ha gettato (14). Colui quindi che con sacrilego misconoscimento delle diversità essenziali tra Dio e la creatura, tra l’Uomo-Dio e il semplice uomo, osasse di porre accanto a Cristo o, ancora peggio, sopra di Lui o contro di Lui, un semplice mortale, fosse anche il più grande di tutti i tempi, sappia che è un profeta di chimere, a cui si applica spaventosamente la parola della Scrittura: « Colui, che abita nel cielo, ride di loro » (15).

4. GENUINA FEDE NELLA CHIESA

La fede in Gesù Cristo non resterà pura e incontaminata, se non sarà sostenuta e difesa dalla fede nella Chiesa, colonna e fondamento della verità (16). Cristo stesso, Dio benedetto in eterno, ha innalzato questa colonna della fede; il suo comandamento di ascoltare la Chiesa (17) e di sentire, attraverso le parole e i comandamenti della Chiesa, le sue parole stesse e i suoi stessi comandamenti (18), vale per gli uomini di tutti i tempi e di tutte le regioni. La Chiesa, fondata dal Salvatore, è unica per tutti i popoli e per tutte le nazioni, e sotto la sua volta, la quale si inarca come il firmamento sull’universo intero, trovano posto e asilo tutti i popoli e tutte le lingue, e possono svolgersi tutte le proprietà, qualità, missioni e compiti, che sono stati assegnati da Dio, creatore e salvatore, agli individui e alle società umane. L’amore materno della Chiesa è tanto largo da vedere nello sviluppo, conforme al volere di Dio, di tali peculiarità e compiti particolari, piuttosto la ricchezza delle varietà che il pericolo di scissioni; gode dell’elevato livello spirituale degli individui e dei popoli, scorge con gioia e alterezza materna nelle loro genuine attuazioni frutti di educazione e di progresso, che benedice e promuove, ogni qualvolta lo può secondo verità. Ma sa pure che a questa libertà son segnati limiti dal comandamento della divina maestà, che ha voluto e fondato questa Chiesa come unità inseparabile nelle sue parti essenziali. Chi attenta a questa inscindibile unità toglie alla sposa di Cristo uno dei diademi, con cui Dio stesso l’ha coronata; sottomette l’edificio divino che posa su fondamenta eterne, al riesame e alla trasformazione da parte di architetti, ai quali il Padre Celeste non ha concesso alcun potere. – La divina missione, che la Chiesa compie tra gli uomini e deve compiere per mezzo di uomini, può essere dolorosamente oscurata dall’umano, talvolta troppo umano, che, in certi tempi, ripullula quasi zizzania in mezzo al grano del regno di Dio. Chi conosce la parola del Salvatore sopra gli scandali e coloro che li danno, sa come la Chiesa e ciascun individuo deve giudicare su ciò che fu ed è peccato. Ma chi, fondandosi su questi lamentevoli contrasti tra fede e vita, tra parola e azione, tra il contegno esteriore e l’interno sentire di alcuni — e fossero anche molti — pone in oblio, o coscientemente passa sotto silenzio, l’immenso capitale di genuino sforzo verso la virtù, lo spirito di sacrificio, l’amore fraterno, l’eroismo di santità in tanti membri della Chiesa, manifesta una cecità ingiusta e riprovevole. E quando poi si vede che quella rigida misura, con cui egli giudica la odiata Chiesa, viene messa da canto se si tratta di altre società, a lui vicine per sentimento o interesse, allora riesce evidente che, ostentandosi colpito nel suo presunto senso di purezza, si appalesa simile a coloro i quali, secondo la tagliente parola del Salvatore, osservano la pagliuzza nell’occhio del fratello, ma non scorgono la trave nel proprio. Altrettanto meno pura è l’intenzione di coloro i quali pongono a scopo della loro vocazione proprio quel che vi è di umano nella Chiesa, talvolta facendone persino un losco affare, e sebbene la potestà di colui che è insignito della dignità ecclesiastica, posando in Dio, non sia dipendente dalla sua elevatezza umana e morale, non vi è epoca alcuna, né individuo, né società che non debba esaminarsi onestamente la coscienza, purificarsi inesorabilmente, rinnovarsi profondamente nel sentire e nell’operare. Nella Nostra Enciclica sopra il Sacerdozio, in quella sull’Azione Cattolica, abbiamo con implorante insistenza attirato l’attenzione di tutti gli appartenenti alla Chiesa, e soprattutto degli Ecclesiastici, dei Religiosi e dei laici, i quali collaborano nell’apostolato, al sacro dovere di mettere fede e condotta in quell’armonia richiesta dalla legge di Dio e domandata con instancabile insistenza dalla Chiesa. Anche oggi Noi ripetiamo con gravità profonda: non basta essere annoverati nella Chiesa di Cristo, bisogna essere in spirito e verità membri vivi di questa Chiesa. E tali sono solamente coloro che stanno nella grazia del Signore e continuamente camminano alla sua presenza, sia nell’innocenza sia nella penitenza sincera e operosa. Se l’Apostolo delle genti, « il vaso di elezione », teneva il suo corpo sotto la sferza della mortificazione affinché, dopo aver predicato agli altri, non venisse egli stesso riprovato, può darsi forse per quelli, nelle cui mani è posta la custodia e l’incremento del regno di Dio, via diversa da quella dell’intima unione dell’apostolato e della santificazione propria? Solo così si mostrerà agli uomini di oggi, e in prima linea agli oppositori della Chiesa, che il sale della terra e il lievito del Cristianesimo non sono diventati inefficaci, ma sono potenti e pronti a portare rinnovamento spirituale e ringiovanimento a coloro che sono nel dubbio e nell’errore, nell’indifferenza e nello smarrimento spirituale, nel rilassamento della fede e nella lontananza da Dio, di cui essi — l’ammettano o lo neghino — hanno più bisogno che mai. Una Cristianità, in cui tutti i membri vigilino su se stessi, che espella ogni tendenza a ciò che è puramente esteriore e mondano, si attenga seriamente ai comandamenti di Dio e della Chiesa, e si mantenga quindi nell’amore di Dio e nella solerte carità verso il prossimo, potrà e dovrà essere esempio e guida al mondo profondamente infermo, che cerca sostegno e direzione, se non si vuole che sopravvenga un immane disastro o un indescrivibile decadimento.

Ogni riforma genuina e duratura ha avuto propriamente origine dal santuario, da uomini infiammati e mossi dall’amore di Dio e del prossimo; i quali, per la loro grande generosità nel rispondere ad ogni appello di Dio e nel metterlo in pratica anzitutto in se stessi, cresciuti in umiltà e con la sicurezza di chi è chiamato da Dio, hanno illuminato e rinnovato i loro tempi. Dove lo zelo di riforma non scaturì dalla pura sorgente dell’integrità personale, ma fu effetto dell’esplosione di impulsi passionali, invece di illuminare ottenebrò, invece di costruire distrusse, e fu sovente punto di partenza di errori ancora più funesti dei danni, a cui si volle o si pretese portare rimedio. Certamente lo spirito di Dio spira dove vuole(19), dalle pietre può suscitare gli esecutori dei suoi disegni(20), e sceglie gli strumenti della sua volontà secondo i suoi piani, non secondo quelli degli uomini. Ma Egli, che ha fondato la Chiesa e l’ha chiamata in vita nella Pentecoste, non spezza la struttura fondamentale della salutare istituzione, da Lui stesso voluta. Chi è mosso dallo spirito di Dio ha perciò stesso un contegno esteriore ed interiore rispettoso verso la Chiesa, nobile frutto dell’albero della Croce, dono dello Spirito della Pentecoste al mondo bisognoso di guida.

Nelle vostre contrade, Venerabili Fratelli, si elevano voci in coro sempre più forte, che incitano ad uscire dalla Chiesa, e sorgono banditori, i quali, per la loro posizione ufficiale, cercano di risvegliare l’impressione che tale distacco dalla Chiesa, e conseguentemente l’infedeltà verso Cristo Re, sia una testimonianza particolarmente persuasiva e meritoria della loro fedeltà al regime presente. Con pressioni, occulte e palesi, con intimidazioni, con prospettive di vantaggi economici, professionali, civili o d’altra specie, l’attaccamento alla fede dei cattolici, e specialmente di alcune classi di funzionari cattolici, viene sottoposto ad una violenza tanto illegale quanto inumana. Con commozione paterna Noi sentiamo e soffriamo profondamente con coloro che hanno pagato a sì caro prezzo il loro attaccamento a Cristo e alla Chiesa; ma si è ormai giunti a un tal punto, che è in giuoco il fine ultimo e più alto, la salvezza o la perdizione; e quindi unico cammino di salute per il credente resta la via di un generoso eroismo. Quando il tentatore e l’oppressore gli si accosterà con le insinuazioni traditrici di uscire dalla Chiesa, allora egli non potrà che contrapporgli, anche a prezzo dei più gravi sacrifici terreni, la parola del Salvatore: «Allontànati da me, o Satana, perché sta scritto: adorerai il Signore Dio tuo e a lui solo servirai »(21). Alla Chiesa invece rivolgerà queste parole: O tu, che sei madre mia fin dai giorni della mia fanciullezza, mio conforto in vita, mia avvocata in morte, si attacchi la lingua al mio palato, se io, cedendo a terrene lusinghe o minacce, dovessi tradire il mio voto battesimale. A coloro poi, i quali si lusingassero di potere conciliare con l’esterno abbandono della Chiesa la fedeltà interiore ad essa, sia di monito severo la parola del Salvatore: « Chi mi rinnega davanti agli uomini, lo rinnegherò davanti al Padre mio, che è nei cieli »(22).

5. GENUINA FEDE NEL PRIMATO

La fede nella Chiesa non si manterrà pura e incontaminata, se non sarà appoggiata nella fede al primato del Vescovo di Roma. Nello stesso momento in cui Pietro, prevenendo agli altri apostoli e discepoli, professò la sua fede in Cristo, Figlio del Dio vivente, l’annunzio della fondazione della sua Chiesa, dell’unica Chiesa, su Pietro, la roccia(23), fu la risposta di Cristo, che lo ricompensò della sua fede e di averla professata. La fede in Cristo, nella Chiesa e nel Primato stanno perciò in un sacro legame di interdipendenza. Un’autorità genuina e legale è dappertutto un vincolo di unità e una sorgente di forza, un presidio contro lo sfaldamento e la disgregazione, una garanzia dell’avvenire. E ciò si verifica nel senso più alto e nobile, dove, come nel caso della Chiesa, a tale autorità venne promessa l’assistenza soprannaturale dello Spirito Santo e il suo appoggio invincibile. Se persone, che non sono neanche unite nella fede in Cristo, vi adescano e vi lusingano col fantasma di una « chiesa tedesca nazionale », sappiate ciò non essere altro se non un rinnegamento dell’unica Chiesa di Cristo, un apostasia manifesta dal mandato di Cristo di evangelizzare tutto il mondo, che solo una Chiesa universale può attuare. Lo sviluppo storico di altre chiese nazionali, il loro irrigidimento spirituale, il loro soffocamento e asservimento da parte dei poteri laici mostrano la desolante sterilità, che colpisce con ineluttabile sicurezza il tralcio separatosi dal ceppo vitale della Chiesa. Colui che a questi erronei sviluppi fin da principio oppone il suo vigile e irremovibile no, rende un servizio non solo alla purezza della sua fede ma anche alla sanità e forza vitale del suo popolo.

6. NESSUNA ADULTERAZIONE DI NOZIONI E TERMINI SACRI

Venerabili Fratelli, abbiate un occhio particolarmente vigile, quando nozioni religiose vengono svuotate del loro contenuto genuino e applicate a significati profani.

Rivelazione, in senso cristiano, significa la parola di Dio agli uomini. Usare questo stesso termine per suggestioni provenienti dal sangue e dalla razza, per le irradiazioni della storia di un popolo, è, in ogni caso, causare disorientamento. Tali false monete non meritano di passare nel tesoro linguistico di un fedele cristiano.

La fede consiste nel tener per vero ciò che Dio ha rivelato e mediante la Chiesa impone di credere: è « dimostrazione di cose che non si vedono »(24). La fiducia gioiosa e altera sull’avvenire del proprio popolo, cosa cara ad ognuno, significa ben altra cosa che la fede in senso religioso. L’usare l’una per l’altra, il volere sostituire l’una con l’altra e pretendere con ciò di essere riconosciuto come « credente » da un convinto cristiano, è un vuoto gioco di parole, una consapevole confusione di termini, o anche peggio.

L’immortalità, in senso cristiano, è la sopravvivenza dell’uomo dopo la morte terrena, come individuo personale, per l’eterna ricompensa o per l’eterno castigo. Chi con la parola immortale non vuole indicare altro che una sopravvivenza collettiva nella continuità del proprio popolo, per un avvenire di indeterminata durata in questo mondo, perverte e falsifica una delle verità fondamentali della fede cristiana e scuote le fondamenta di qualsiasi concezione religiosa, la quale richiede un ordinamento morale universale. Chi non vuole essere cristiano dovrebbe almeno rinunziare a volere arricchire il lessico della sua miscredenza col patrimonio linguistico cristiano.

Il peccato originale è la colpa ereditaria, propria, sebbene non personale, di ciascuno dei figli di Adamo, che in lui hanno peccato(25), è perdita della grazia, e conseguentemente della vita eterna, con la concupiscenza che ciascuno deve soffocare e domare per mezzo della grazia, della penitenza, della lotta e dello sforzo morale. La passione e morte del Figlio di Dio hanno redento il mondo dal maledetto retaggio del peccato e della morte. La fede in queste verità, fatte oggi bersaglio del basso scherno dei nemici di Cristo nella vostra patria, appartiene all’inalienabile deposito della religione cristiana.

La croce di Cristo, anche se il suo solo nome sia diventato per molti follia e scandalo(26), resta per il cristiano il segno sacrosanto della redenzione, il vessillo di grandezza e di forza morale. Nella sua ombra viviamo, nel suo bacio moriamo; sul nostro sepolcro starà come annunziatrice della nostra fede, testimonio della nostra speranza, protesa verso la vita eterna.

L’umiltà nello spirito del Vangelo e la implorazione dell’aiuto di Dio si accordano bene con la propria dignità, con la fiducia in sé e coll’eroismo. La Chiesa di Cristo, che in tutti i tempi, fino a quelli a noi vicinissimi, conta più confessori e martiri eroici di qualsiasi altra società morale, non ha certo bisogno di ricevere da tali campi insegnamento sul sentimento e l’azione eroica. Nel rappresentare stoltamente l’umiltà cristiana come avvilimento e meschinità, la ripugnante superbia di questi innovatori rende irrisoria soltanto se stessa.

Grazia, in senso largo, può chiamarsi ciò che proviene alla creatura dal Creatore. Grazia, nel senso proprio cristiano della parola, comprende però le gratificazioni soprannaturali dell’amore divino, la degnazione e l’opera per cui mezzo Dio eleva l’uomo a quella intima comunione della sua vita, che il Nuovo Testamento chiama figliolanza di Dio: «Vedete quale grande amore il Padre ci ha mostrato: noi ci chiamiamo figli di Dio, e siamo realmente tali »(27). Il ripudio di questa elevazione soprannaturale alla grazia, a causa di una pretesa peculiarità del carattere tedesco, è un errore, un’aperta dichiarazione di guerra ad una verità fondamentale del Cristianesimo. L’equiparare la grazia soprannaturale coi doni della natura significa violentare il linguaggio, creato e santificato dalla religione. I pastori e i custodi del popolo di Dio faranno bene a opporsi a questo furto sacrilego e a questo lavoro di traviamento degli spiriti.

7. DOTTRINA E ORDINE MORALE

Sulla fede in Dio genuina e pura si fonda la moralità del genere umano. Tutti i tentativi di staccare la dottrina dell’ordine morale dalla base granitica della fede, per ricostruirla sulla sabbia mobile di norme umane, portano, tosto o tardi, individui e nazioni al decadimento morale. Lo stolto, che dice nel suo cuore: « non c’è Dio », si avvierà alla corruzione morale(28). E questi stolti, che presumono di separare la morale dalla religione, sono oggi divenuti legione. Non si accorgono, o non vogliono accorgersi, che col bandire l’insegnamento confessionale, ossia chiaro e determinato, dalle scuole e dall’educazione, coll’impedirgli di contribuire alla formazione della società e della vita pubblica, si percorrono sentieri di impoverimento e di decadenza morale. Nessun potere coercitivo dello Stato, nessun ideale puramente terreno, per quanto grande e nobile, potrà sostituire a lungo andare i più profondi e decisivi stimoli, che provengono dalla fede in Dio e in Gesù Cristo. Se a chi è chiamato ai più ardui cimenti, al sacrificio del suo piccolo io in bene della comunità, si toglie il sostegno morale che gli viene dall’eterno e dal divino, dalla fede elevante e consolatrice in Colui che premia ogni bene e punisce ogni male, allora il risultato finale per innumerevoli uomini non sarà l’adesione al dovere, ma piuttosto la diserzione. L’osservanza coscienziosa dei dieci comandamenti di Dio e dei precetti della Chiesa, i quali ultimi non sono altro che regolamenti derivati dalle norme del Vangelo, è per ogni individuo una incomparabile scuola di disciplina organica, di rinvigorimento morale e di formazione di carattere. È una scuola che esige molto; ma non oltre le forze. Dio misericordioso, quando ordina come legislatore: « tu devi », dà colla sua grazia la possibilità di eseguire il suo comando. Il lasciare quindi inutilizzate energie morali di così potente efficacia, o sbarrar coscientemente ad esse il cammino nel campo dell’istruzione popolare, è opera da irresponsabili, che tende a produrre deficienza religiosa nel popolo. Il connettere la dottrina morale con opinioni umane, soggettive e mutevoli nel tempo, invece di ancorarle nella santa volontà dell’eterno Dio e nei suoi comandamenti, significa spalancare le porte alle forze dissolvitrici. Perciò il promuovere l’abbandono delle eterne direttive di una dottrina morale per la formazione delle coscienze, per la nobilitazione di tutti i campi della vita e di tutti gli ordinamenti, è attentato peccaminoso contro l’avvenire del popolo, i cui tristi frutti amareggeranno le generazioni future.

8. RICONOSCIMENTO DEL DIRITTO NATURALE

È una caratteristica nefasta del tempo presente il volere distaccare, non solo la dottrina morale, ma anche le fondamenta del diritto e della sua amministrazione dalla vera fede in Dio e dalle norme della rivelazione divina. Il nostro pensiero si rivolge qui a quello che si suole chiamare diritto naturale, che il dito dello stesso Creatore impresse nelle tavole del cuore umano(29), e che la ragione umana sana e non ottenebrata da peccati e passioni può in esse leggere. Alla luce delle norme di questo diritto naturale, ogni diritto positivo, qualunque ne sia il legislatore, può essere valutato nel suo contenuto etico e conseguentemente nella legittimità del comando e nella obbligatorietà dell’adempimento. Quelle leggi umane, che sono in contrasto insolubile col diritto naturale, sono affette da vizio originale, non sanabile né con le costrizioni né con lo spiegamento di forza esterna. Secondo questo criterio va giudicato il principio: « Diritto è ciò che è utile alla nazione ». Certo a questo principio può darsi un senso giusto, se si intende che ciò che è moralmente illecito non può essere mai veramente vantaggioso al popolo. Persino l’antico paganesimo ha riconosciuto che, per essere giusta, questa frase dovrebbe essere capovolta e suonare: «Non vi è mai alcunché di vantaggioso, se in pari tempo non è moralmente buono, e non perché è vantaggioso è moralmente buono, ma perché moralmente buono è anche vantaggioso »(30). Questo principio, staccato dalla legge etica, significherebbe, per quanto riguarda la vita internazionale, un eterno stato di guerra tra le nazioni; nella vita nazionale poi misconosce, nel confondere interesse e diritto, il fatto fondamentale che l’uomo, in quanto persona, possiede diritti dati da Dio, che devono essere tutelati da ogni attentato della comunità, che avesse per scopo di negarli, di abolirli e di impedirne l’esercizio. Disprezzando questa verità, si perde di vista che il vero bene comune, in ultima analisi, viene determinato e conosciuto mediante la natura dell’uomo con il suo armonico equilibrio fra diritto personale e legame sociale, come anche dal fine della società determinato dalla stessa natura umana. La società è voluta dal Creatore come mezzo per il pieno sviluppo delle facoltà individuali e sociali, di cui l’uomo ha da valersi, ora dando ora ricevendo per il bene suo e quello degli altri. Anche quei valori più universali e più alti che possono essere realizzati, non dall’individuo, ma solo dalla società, hanno per volontà del Creatore come ultimo scopo l’uomo e il suo sviluppo e perfezionamento naturale e soprannaturale. Chi si allontana da questo ordine, scuote i pilastri su cui riposa la società, e ne pone in pericolo la tranquillità, la sicurezza e l’esistenza.

Il credente ha un diritto inalienabile di professare la sua fede e di praticarla in quella forma che ad essa conviene. Quelle leggi, che sopprimono o rendono difficile la professione e la pratica di questa fede, sono in contrasto col diritto naturale.

I genitori coscienziosi e consapevoli della loro missione educativa hanno prima di ogni altro il diritto essenziale alla educazione dei figli, loro donati da Dio, secondo lo spirito della vera fede e in accordo con i suoi princìpi e le sue prescrizioni. Leggi, o altre simili disposizioni, le quali non tengono conto nella questione scolastica della volontà dei genitori o la rendono inefficace colle minacce o colla violenza, sono in contraddizione col diritto naturale e nella loro intima essenza immorali.

La Chiesa, la cui missione è di custodire ed interpretare il diritto naturale, non può fare altro che dichiarare essere effetto di violenza, e quindi prive di ogni valore giuridico, le iscrizioni scolastiche avvenute in un recente passato in una atmosfera di notoria mancanza di libertà.

9. ALLA GIOVENTÙ

Rappresentanti di Colui che nell’Evangelo disse ad un giovane: « Se vuoi entrare nella vita eterna, osserva i comandamenti »(31), Noi indirizziamo una parola particolarmente paterna alla gioventù.

Da mille bocche viene oggi ripetuto al vostro orecchio un Evangelo che non è stato rivelato dal Padre celeste; migliaia di penne scrivono a servizio di una larva di cristianesimo, che non è il Cristianesimo di Cristo. Tipografia e radio vi inondano giornalmente con produzioni di contenuto avverso alla fede e alla Chiesa, e, senza alcun riguardo e rispetto, assaltano ciò che per voi deve essere sacro e santo. Sappiamo che moltissimi tra voi, a causa dell’attaccamento alla fede e alla Chiesa e dell’appartenenza ad associazioni religiose, tutelate dal Concordato, hanno dovuto e devono attraversare periodi tenebrosi di misconoscimento, di sospetto, di vituperio, di accusa di antipatriottismo, di molteplici danni nella loro vita professionale e sociale. E ben sappiamo come molti ignoti soldati di Cristo si trovano nelle vostre file, che con cuore affranto, ma a testa alta, sopportano la loro sorte e trovano conforto solo nel pensiero che soffrono contumelie nel nome di Gesù(32).

Ed oggi, che incombono nuovi pericoli e nuove tensioni, Noi diciamo a questa gioventù: « Se alcuno vi volesse annunziare un Evangelo diverso da quello che avete ricevuto sulle ginocchia di una pia madre, dalle labbra di un padre credente, dall’insegnamento di un educatore fedele a Dio e alla sua Chiesa, costui sia anatema »(33). Se lo Stato organizza la gioventù in associazione nazionale obbligatoria per tutti, allora, salvi sempre i diritti delle associazioni religiose, i giovani hanno il diritto ovvio e inalienabile, e con essi i genitori responsabili di loro dinanzi a Dio, di esigere che questa associazione sia mondata da ogni tendenza ostile alla fede cristiana e alla Chiesa, tendenza che sino al recentissimo passato, anzi presentemente, stringe i genitori credenti in un insolubile conflitto di coscienza, poiché essi non possono dare allo Stato ciò che viene loro richiesto in nome dello Stato, senza togliere a Dio ciò che appartiene a Dio.

Nessuno pensa di porre alla gioventù tedesca pietre di inciampo sul cammino, che dovrebbe condurre all’attuazione di una vera unità nazionale e fomentare un nobile amore per la libertà e una incrollabile devozione alla patria. Quello contro cui Noi Ci opponiamo, e Ci dobbiamo opporre, è il contrasto voluto e sistematicamente inasprito, mediante il quale si separano queste finalità educative da quelle religiose. Perciò Noi diciamo a questa gioventù: cantate i vostri inni di libertà, ma non dimenticate che la vera libertà è la libertà dei figli di Dio. Non permettete che la nobiltà di questa insostituibile libertà scompaia nei ceppi servili del peccato e della concupiscenza. A chi canta l’inno della fedeltà alla patria terrena non è lecito divenire transfuga e traditore con l’infedeltà al suo Dio, alla sua Chiesa e alla sua patria eterna. Vi parlano molto di grandezza eroica, contrapponendola volutamente e falsamente all’umiltà e alla pazienza evangelica; ma perché vi nascondono che si dà anche un eroismo nella lotta morale? e che la conservazione della purezza battesimale rappresenta un’azione eroica, che dovrebbe essere apprezzata meritevolmente nel campo sia religioso sia naturale? Vi parlano delle fragilità umane nella storia della Chiesa; ma perché vi nascondono le grandi gesta, che l’accompagnarono attraverso i secoli, i santi che essa ha prodotto, il vantaggio che provenne alla cultura occidentale dall’unione vitale tra questa Chiesa e il vostro popolo? Vi parlano molto di esercizi sportivi, i quali, usati secondo una ben intesa misura, danno una gagliardia fisica, che è un beneficio per la gioventù. Ma ad essi viene assegnata oggi spesso un’estensione, che non tiene conto né della formazione integrale e armonica del corpo e dello spirito, né della conveniente cura della vita di famiglia, né del comandamento di santificare il giorno del Signore. Con un’indifferenza, che confina col disprezzo, si toglie al giorno del Signore il suo carattere sacro e raccolto, che corrisponde alla migliore tradizione tedesca. Attendiamo fiduciosi dai giovani tedeschi cattolici che essi, nel difficile ambiente delle organizzazioni obbligatorie dello Stato, rivendichino esplicitamente il loro diritto a santificare cristianamente il giorno del Signore, che la cura di irrobustire il corpo non faccia loro dimenticare la loro anima immortale, che non si lascino sopraffare dal male e cerchino piuttosto di vincere il male col bene(34), che quale loro altissima e nobilissima meta ritengano quella di conquistare la corona della vittoria nello stadio della vita eterna(35).

10. AI SACERDOTI E AI RELIGIOSI

Una parola di particolare riconoscimento, di incoraggiamento, di esortazione rivolgiamo ai sacerdoti della Germania, ai quali, in sottomissione ai loro Vescovi, spetta il compito, in tempi difficili e circostanze dure, di mostrare al gregge di Cristo i retti sentieri con la dottrina e con l’esempio, con la dedizione quotidiana, con la pazienza apostolica. Non vi stancate, figli diletti e partecipi dei divini misteri, di seguire l’eterno sommo sacerdote Gesù Cristo nel suo amore e nel suo ufficio di buon samaritano. Camminate ognora in condotta immacolata davanti a Dio, in incessante disciplinatezza e perfezionamento, in amore misericordioso verso quanti sono a voi affidati, specialmente i pericolanti, i deboli e i vacillanti. Siate guida ai fedeli, appoggio ai titubanti, maestri ai dubbiosi, consolatori degli afflitti, disinteressati soccorritori e consiglieri per tutti. Le prove e le sofferenze, per cui il vostro popolo è passato nel periodo del dopoguerra, non sono trascorse senza lasciar tracce nella sua anima. Vi hanno lasciato tensione e amarezze, che solo lentamente potranno guarirsi ed essere superate nello spirito di un amore disinteressato e operante. Questo amore, che è l’armatura indispensabile dell’apostolo, specialmente nel mondo presente, agitato e sconvolto, Noi lo desideriamo e lo imploriamo per voi da Dio in misura copiosa. L’amore apostolico, se non vi farà dimenticare, vi farà almeno perdonare molte immeritate amarezze, che sul vostro cammino di sacerdoti e di pastori di anime sono più numerose che in qualsiasi altro tempo. Quest’amore intelligente e misericordioso verso gli erranti e gli stessi oltraggiatori non significa peraltro, né può per nulla significare, rinunzia a proclamare, a far valere e a difendere coraggiosamente la verità e ad applicarla liberamente alla realtà che vi circonda. Il primo e il più ovvio dono di amore del sacerdote al mondo è di servire la verità, tutta intera la verità, smascherare e confutare l’errore, qualunque sia la sua forma o il suo travestimento. La rinunzia a ciò sarebbe non solo un tradimento verso Dio e la vostra santa vocazione, ma un delitto nei riguardi del vero benessere del vostro popolo e della vostra patria. A tutti quelli che hanno mantenuto verso i loro Vescovi la fedeltà promessa nell’ordinazione, a quelli i quali nell’adempimento del loro ufficio pastorale hanno dovuto e devono sopportare dolori e persecuzioni — e alcuni sino ad essere incarcerati e mandati ai campi di concentramento, — vada il ringraziamento e l’encomio del Padre della Cristianità. E il Nostro ringraziamento paterno si estende ugualmente ai religiosi di ambo i sessi: un ringraziamento congiunto ad una partecipazione intima per il fatto che, in seguito a misure contro gli Ordini e le Congregazioni religiose, molti sono stati strappati dal campo di un’attività benedetta e a loro cara. Se alcuni hanno mancato e si sono mostrati indegni della loro vocazione, i loro falli, condannati anche dalla Chiesa, non diminuiscono i meriti della stragrande maggioranza di essi, che con disinteresse e povertà volontaria si sono sforzati di servire con piena dedizione il loro Dio e il loro popolo. Lo zelo, la fedeltà, lo sforzo di perfezionarsi, l’operosa carità verso il prossimo e la prontezza soccorritrice di quei religiosi, la cui attività si svolge nella cura pastorale, negli ospedali e nella scuola, sono e restano un glorioso contributo al benessere privato e pubblico, a cui un tempo futuro più tranquillo renderà giustizia più che il turbolento presente. Noi abbiamo fiducia che i superiori delle comunità religiose piglieranno argomento dalle difficoltà e prove presenti per implorare dall’Onnipotente nuovo rigoglio e nuova fertilità sul loro duro campo di lavoro, per mezzo di uno zelo raddoppiato, di una vita spirituale approfondita, di una santa serietà conforme alla loro vocazione e di una genuina disciplina regolare.

11. AI FEDELI LAICI

Davanti ai Nostri occhi sta l’immensa schiera dei Nostri diletti figli e figlie, a cui le sofferenze della Chiesa in Germania e le proprie nulla hanno tolto della loro dedizione alla causa di Dio, nulla del loro tenero affetto verso il Padre della Cristianità, nulla della loro ubbidienza verso i Vescovi e i sacerdoti, nulla della gioiosa prontezza di rimanere anche in futuro, qualunque cosa avvenga, fedeli a ciò che essi hanno creduto e che hanno ricevuto in prezioso retaggio dagli avi. Con cuore commosso inviamo loro il Nostro paterno saluto.

E in primo luogo ai membri delle associazioni cattoliche, che strenuamente e a prezzo di sacrifici spesso dolorosi si sono mantenuti fedeli a Cristo, e non sono stati mai disposti a cedere quei diritti che una solenne Convenzione aveva autenticamente garantito alla Chiesa e a loro. Un saluto particolarmente cordiale va anche ai genitori cattolici. I loro diritti e i loro doveri nell’educazione dei figli, da Dio loro donati, stanno, al momento presente, nel punto cruciale di una lotta, della quale appena si può immaginarne altra più grave. La Chiesa di Cristo non può cominciare a gemere e a deplorare solo quando gli altari vengono spogliati e mani sacrileghe mandano in fiamme i santuari. Quando si cerca di profanare il tabernacolo dell’anima del fanciullo, santificata dal battesimo, con un’educazione anticristiana, quando viene strappata da questo vivo tempio di Dio la fiaccola della fede e viene posta in suo luogo la falsa luce di un succedaneo della fede, che non ha più nulla in comune con la fede della Croce, allora la profanazione spirituale del tempio è vicina ed è dovere di ogni credente di scindere chiaramente la sua responsabilità da quella della parte contraria e la sua coscienza da qualsiasi peccaminosa collaborazione a tale nefasta distruzione. E quanto più i nemici si sforzano di negare od orpellare i loro tetri disegni, tanto più necessaria è una diffidenza oculata e una vigilanza diffidente, stimolata da un’amara esperienza. La formalistica conservazione di un’istruzione religiosa, e per di più controllata e inceppata da gente incompetente, nell’ambiente di una scuola, la quale in altri rami dell’istruzione lavora sistematicamente e astiosamente contro la stessa religione, non può mai presentare titolo giustificativo al fedele cristiano, perché liberamente acconsenta a una tal sorta di scuola, deleteria per la religione. Sappiamo, diletti genitori cattolici, che non è il caso di parlare, riguardo a voi, di un tale consenso e sappiamo che una libera votazione segreta tra voi equivarrebbe ad uno schiacciante plebiscito in favore della scuola confessionale. E perciò non Ci stancheremo neanche nell’avvenire di rinfacciare francamente alle autorità responsabili l’illegalità delle misure violente prese finora, e il dovere di permettere la libera manifestazione della volontà. Intanto non vi dimenticate di ciò: nessuna potestà terrena può sciogliervi dal vincolo di responsabilità voluto da Dio, che unisce voi con i vostri figli. Nessuno di quelli che oggi opprimono il vostro diritto all’educazione e pretendono sostituirsi a voi nei vostri doveri di educatori, potrà rispondere per voi al Giudice eterno, quando egli vi rivolgerà la domanda: « dove sono coloro che io vi ho dati ? » possa ciascuno di voi essere in grado di rispondere: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dati »(36).

* * *

Venerabili Fratelli! Siamo certi che le parole, che Noi rivolgiamo a voi, e per mezzo vostro ai cattolici del Reich germanico, in quest’ora decisiva troveranno nel cuore e nelle azioni dei Nostri fedeli figlioli un’eco corrispondente alla sollecitudine amorosa del Padre Comune. Se vi è cosa che Noi imploriamo dal Signore con particolare fervore, essa è che le Nostre parole pervengano anche all’orecchio e al cuore di quelli che hanno già cominciato a lasciarsi prendere dalle lusinghe e dalle minacce dei nemici di Cristo e del suo santo Vangelo, e li facciano riflettere.

Abbiamo pesato ogni parola di questa Enciclica sulla bilancia della verità e insieme dell’amore. Non volevamo con silenzio inopportuno esser colpevoli di non aver chiarito la situazione, né con rigore eccessivo di aver indurito il cuore di quelli che, essendo sottoposti alla Nostra responsabilità pastorale, non sono meno oggetto del Nostro amore, perché ora camminano sulle vie dell’errore e si sono allontanati dalla Chiesa. Anche se molti di questi, conformatisi alle abitudini del nuovo ambiente, non hanno se non parole di infedeltà, di ingratitudine, e persino di ingiuria, per la casa paterna abbandonata e per il padre stesso, anche se dimenticano quanto prezioso sia ciò di cui essi hanno fatto getto, verrà il giorno in cui il raccapriccio che essi sentiranno della lontananza da Dio e della loro indigenza spirituale graverà su questi figli oggi perduti, e il rimpianto nostalgico li ricondurrà a Dio, che allietò la loro giovinezza, e alla Chiesa, la cui mano materna loro insegnò il cammino verso il Padre celeste. L’affrettare quest’ora è l’oggetto delle nostre incessanti preghiere. – Come altre epoche della Chiesa, anche questa sarà preannunciatrice di nuovi progressi e di purificazione interiore, quando la fortezza della professione della fede e la prontezza nell’affrontare i sacrifici da parte dei fedeli di Cristo saranno abbastanza grandi da contrapporre alla forza materiale degli oppressori della Chiesa l’adesione incondizionata alla fede, l’inconcussa speranza ancora nell’eterno, la forza travolgente di amore operoso. Il sacro tempo della Quaresima e di Pasqua, che predica raccoglimento e penitenza e fa rivolgere lo sguardo del cristiano più che mai alla Croce, ma insieme anche allo splendore del Risorto, sia per tutti e per ciascuno di voi un’occasione che saluterete con gioia e sfrutterete con ardore, per riempire tutto l’animo dello spirito eroico paziente e vittorioso che si irradia dalla Croce di Cristo. Allora i nemici di Cristo — di ciò siamo sicuri — che vaneggiano sulla scomparsa della Chiesa, riconosceranno che troppo presto hanno giubilato e troppo presto hanno voluto seppellirla. Allora verrà il giorno, in cui, invece dei prematuri inni di trionfo dei nemici di Cristo, si eleverà al cielo dai cuori e dalle labbra dei fedeli il «Te Deum » della liberazione: un «Te Deum » di ringraziamento all’Altissimo, un «Te Deum » di giubilo, perché il popolo tedesco, anche nei suoi membri erranti, avrà ritrovato il cammino del ritorno alla religione, con una fede purificata dal dolore, piegherà di nuovo il ginocchio dinanzi al Re del tempo e dell’eternità, Gesù Cristo, e si accingerà in lotta contro i rinnegati e i distruttori dell’occidente cristiano, in armonia con tutti gli uomini ben pensanti delle altre nazioni, a compiere la missione, che gli hanno assegnato i piani dell’Eterno. – Egli, che scruta i cuori e i reni, Ci è testimonio che Noi non abbiamo aspirazione più intima che quella del ristabilimento di una vera pace tra la Chiesa e lo Stato in Germania. Ma se, senza colpa Nostra, la pace non verrà, la Chiesa di Dio difenderà i suoi diritti e le sue libertà, in nome dell’Onnipotente, il cui braccio anche oggi non si è abbreviato. Pieni di fiducia in Lui « non cessiamo di pregare e di invocare », per voi, figli della Chiesa, affinché i giorni della tribolazione vengano accorciati e voi siate trovati fedeli nel dì della prova; anche ai persecutori e agli oppressori possa il Padre di ogni luce e di ogni misericordia concedere l’ora del ravvedimento per sé e per i molti che insieme con loro hanno errato ed errano. – Con questa implorazione nel cuore e sulle labbra, Noi impartiamo, quale pegno del divino aiuto, quale appoggio nelle vostre decisioni difficili e piene di responsabilità, quale corroboramento nella lotta, quale conforto nel dolore, a Voi vescovi, pastori del vostro fedele popolo, ai sacerdoti, ai religiosi, agli apostoli laici dell’Azione Cattolica e a tutti i vostri diocesani, e non ultimi agli ammalati e ai prigionieri, con amore paterno la Benedizione Apostolica.

Dato in Vaticano, nella Domenica di Passione, 14 marzo 1937.

DOMENICA IV DI AVVENTO (2020)

IV DOMENICA DI AVVENTO. (2020)

Stazione alla Chiesa dei 12 Apostoli.

Dom. privil. Semid. di II cl. Paramenti violacei.

Come tutta la liturgia di questo periodo, la Messa della Quarta Domenica dell’Avvento, ha lo scopo di prepararci al doppio Avvento di Cristo, avvento di misericordia a Natale, nel quale noi commemoriamo la venuta di Gesù, e avvento di giustizia alla fine del mondo. L’Introito, il Vangelo, l’Offertorio e il Communio fanno allusione al primo, l’Epistola si riferisce al secondo, e la Colletta, il Graduale e l’Alleluia possono applicarsi all’uno e all’altro. Le tre grandi figure delle quali si occupa la Chiesa durante l’Avvento ricompaiono in questa Messa. Isaia, Giovanni Battista e la Vergine Maria. Il Profeta Isaia annuncia di S. Giovanni Battista, che egli è: « la voce di colui che grida nel deserto: preparate la via del Signore, appianate tutti i suoi sentieri, perché ogni uomo vedrà la salvezza di Dio ». E la parola del Signore si fece sentire a Giovanni nel deserto: ed egli andò in tutti i paesi intorno al Giordano e predicò il battesimo di penitenza (Vang.). « Giovanni, spiega S. Gregorio, diceva alle turbe che accorrevano per essere battezzati da lui: Razza di vipere, chi vi ha insegnato a fuggire la collera che sta per venire? La collera infatti che sovrasta è il castigo finale, e non potrà fuggirlo il peccatore, se non ricorre al pianto della penitenza. « Fate dunque frutti degni di penitenza. In queste parole è da notare che l’amico dello sposo avverte di offrire non solo frutti di penitenza, ma frutti degni di penitenza. La coscienza di ognuno si convinca di dover acquistare con questo mezzo un tesoro di buone opere tanto più grande quanto egli più si fece del danno con il peccato » (3° Nott.). « Iddio, dice anche S. Leone, ci ammaestra Egli stesso per bocca del Santo Profeta Isaia: Condurrò i ciechi per una via ch’essi ignorano e davanti a loro muterò le tenebre in luce, e non li abbandonerò. L’Apostolo S. Giovanni ci spiega come s’è compiuto questo mistero quando dice: Noi sappiamo che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza perché possiamo conoscere il vero Iddio ed essere nel suo vero Figlio » (2° Nott.). – Per il grande amore che Dio ci porta ha inviato sulla terra il Suo unico Figlio, che è nato dalla Vergine Maria. Proprio questa Vergine benedetta ci ha dato di fatto Gesù; così, nel Communio, la Chiesa ci ricorda la profezia di Isaia: « Ecco che una Vergine concepirà e partorirà l’Emmanuele », e nell’Offertorio Ella unisce in un solo saluto le parole indirizzate a Maria dall’Arcangelo e da Santa Elisabetta, che troviamo nei Vangeli del mercoledì e del venerdì precedenti: « Gabriele, (nome che significa « forza di Dio »), è mandato a Maria — scrive S. Gregorio — perché egli annunziava il Messia che volle venire nell’umiltà e nella povertà per atterrare tutte le potenze del mondo. Bisognava dunque che per mezzo di Gabriele, che è la forza di Dio, fosse annunciato Colui che veniva come il Signore delle Virtù, l’Onnipotente e l’Invincibile nei combattimenti, per atterrare tutte le potenze del mondo » (35° Serm.). La Colletta fa allusione a questa «grande forza» del Signore, che si manifesta nel primo avvento, perché è nella sua umanità debole e mortale che Gesù vinse il demonio, come anche ci parla dell’apparizione della sua«grande potenza» che avverrà al tempo del suo secondo avvento, quando, come Giudice Supremo, verrà nello splendore della sua maestà divina, a rendere a ciascuno secondo le sue opere (Ep.). Pensando che, nell’uno e nell’altro di questi avventi, Gesù, nostro liberatore, è vicino, diciamogli con la Chiesa « Vieni Signore, non tardare ».

Incipit

In nómine Patris,  et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Exod XVI :16; 7
Hódie sciétis, quia véniet Dóminus et salvábit nos: et mane vidébitis glóriam ejus

[Oggi saprete che verrà il Signore e ci salverà: e domattina vedrete la sua gloria.]


Ps XXIII: 1
Dómini est terra, et plenitúdo ejus: orbis terrárum, et univérsi, qui hábitant in eo.

[Del Signore è la terra e quanto essa contiene; il mondo e e tutti quelli che vi abitano.]

Hódie sciétis, quia véniet Dóminus et salvábit nos: et mane vidébitis glóriam ejus.

[Oggi saprete che verrà il Signore e ci salverà: e domattina vedrete la sua gloria.]

Oratio  

Oremus.
Excita, quǽsumus, Dómine, poténtiam tuam, et veni: et magna nobis virtúte succúrre; ut per auxílium grátiæ tuæ, quod nostra peccáta præpédiunt, indulgéntiæ tuæ propitiatiónis accéleret:

[O Signore, Te ne preghiamo, súscita la tua potenza e vieni: soccòrrici con la tua grande virtú: affinché con l’aiuto della tua grazia, ciò che allontanarono i nostri peccati, la tua misericordia lo affretti.]

Lectio

Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Corinthios
1 Cor IV: 1-5
Fratres: Sic nos exístimet homo ut minístros Christi, et dispensatóres mysteriórum Dei. Hic jam quaeritur inter dispensatóres, ut fidélis quis inveniátur. Mihi autem pro mínimo est, ut a vobis júdicer aut ab humano die: sed neque meípsum judico. Nihil enim mihi cónscius sum: sed non in hoc justificátus sum: qui autem júdicat me, Dóminus est. Itaque nolíte ante tempus  judicáre, quoadúsque véniat Dóminus: qui et illuminábit abscóndita tenebrárum, et manifestábit consília córdium: et tunc laus erit unicuique a Deo.

[ “Fratelli mici, così ci consideri ognuno come ministri di Cisto, e dispensatori dei misteri di Dio. Del resto poi ciò che si richiede ne’ dispensatori è che sian trovati fedeli. A me pochissimo importa di esser giudicato da voi, o in giudizio umano; anzi nemmeno io giudico di me stesso. Poiché non ho coscienza di nessun male; ma non per questo sono giustificato; e chi mi giudica, è il Signore. Onde non vogliate giudicare prima del tempo, finché venga il Signore: il quale rischiarerà i nascondigli delle tenebre, e manifesterà i consigli de’ cuori, ed allora ciascuno avrà lode da Dio”.]

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

A qual fine la Chiesa fa leggere oggi questa lettera?

Per avvertire quelli che ieri ricevettero i sacri ordini a distinguersi per la fedeltà ai loro doveri e per la santitàdella vita, quanto sono distinti per l’alta dignità del loro stato; per ispirare il rispetto dovuto ai sacerdoti. che sono i ministri di Gesù Cristo, e i dispensatori dei divini misteri; ed in ultimo per ricordare ai Fedeli questa seconda venuta del Figliuolo dell’uomo; ed invitarli così a giudicarsi da se stessi, a purificare il loro cuore per la festa del Natale, ed a ricevere degnamente Gesù Cristo come Salvatore, sicché non l’abbiamo a temer come Giudice.

In che qualità Gesù Cristo si serve dei Sacerdoti?

Se ne serve in qualità di economi, di dispensatori dei santi misteri, di mediatori e di ambasciatori. Perciò Iddio ordina tanto espressamente di riverirli. I sacerdoti che governano bene siano doppiamente onorati, in particolar modo quelli che si affaticano nella predicazione e nell’istruire. (Lett. prima a Timoteo cap. V. v. 17.).

I Sacerdoti possono amministrare i sacramenti a loro piacere?

No, come gli economi non possono fare a loro volontà.  Essendo gli economi di Gesù Cristo, debbono conformarsi al suo volere, esercitar fedelmente il loro ufficio. e per conseguenza non dare ai cani ciò che è santo, cioè non dar l’assoluzione, o conferire altri Sacramenti ai non degni. Nelle prediche non debbono cercare né di lusingar l’orecchio né di far mostra del loro ingegno, ma predicare la dottrina di Gesù Cristo con tutta la gravità e dignità conveniente, né guardare al giudizio degli uomini, siccome faceva s. Paolo.

Perché i Sacerdoti non debbono guardare al giudizio degli uomini?

Perché spesso avviene che gli uomini giudicano dall’apparenza, e non secondo la verità, per passione, per amor proprio, per spirito di parte, e non secondo giustizia; danno elogio e biasimo senza attendere al merito; sono incostanti nei loro giudizi, approvando ciò che prima censurarono, e censurando quel che approvarono: trovano cattivo ciò che piace a Dio, e buono ciò che gli dispiace; e tutto quanto gli uomini dicono di noi non può togliere né aggiunger niente al nostro merito innanzi a Dio: il giudizio di Dio, sempre conforme alla verità, è il solo al quale debbono riguardare i Sacerdoti e tutti gli altri Cristiani. Qual follia dunque è quella di coloro che seguono le mode scandalose del mondo e si conformano ai suoi corrotti costumi, per non dispiacergli; si uniscono a compagnie pericolose, per non comparir singolari; lasciano le pratiche di religione per umano rispetto, e dimandan sempre: che dirà il mondo? e mai: che dirà Iddio? se faccio questa cosa, se tralascio quest’altra? Se io volessi piacere agli uomini dice s. Paolo – non sarei servo di Gesù Cristo. – Il giudizio degli uomini non ci distolga mai dall’adempimento degli ordini di Dio, che non ricompensa se non la fedeltà. V’è onore e felicità più grande del servire a Dio? Cerchiamo dunque di piacergli in tutto.

Perché S. Paolo non voleva giudicar se stesso?

Perché non sapeva come Dio lo giudicava, sebbene di niente gli rimordesse la coscienza: senza una rivelazione di Dio, nessuno sa se sia degno d’amore o d’odio. Dio scandaglia i cuori e le reni; nulla può sfuggire al suo sguardo, ed i giudizi di Lui sono ben differenti da quelli degli uomini, che accecati dall’amor proprio e dalla passione, spesso non vedono il male che fanno; nascondono sé a se stessi, e si giustificano quando dovrebbero condannarsi. Tale si crede innocente e si riguarda come santo, che al giorno poi del giudizio sarà ricoperto di confusione, quando Dio svelerà in faccia all’universo tutte le azioni di lui e tutti gli interni segreti. Non giudichiamo gli altri; di loro ci è ignoto l’interno; ma giudichiamo noi stessi: esaminiamoci accuratamente, pesiamo tutte le nostre azioni, scendiamo nel fondo della nostra coscienza, frugando tutte le pieghe e i nascondigli del nostro cuore; ed imiteremo s. Paolo che si giudicava così da se stesso; ma imitiamo parimente s. Paolo che in un altro senso non si giudicava da sè, cioè se dopo uu’esatta ricerca, non troviamo nulla di riprensibile in noi, senza troppo fidarci del nostro giudizio, rimettiamo a Dio il giudizio definitivo, ed affatichiamoci per la nostra salvezza con timore e tremito, ponendo la confidenza nella misericordia del Signore.

Aspirazione. Ah! Signore, non entrate in giudizio col vostro servo, poiché nessun uomo vivente sarà giustificato alla vostra presenza. O chiave di David, e scettro della casa d’Israele, che aprite e nessuno chiude, che serrate e nessuno apre, venite a sottrarre il prigioniero dalla carcere, il misero assiso nelle tenebre all’ombra della morte.

Graduale 

Ps CXLIV:18; CXLIV:  21
Prope est Dóminus ómnibus invocántibus eum: ómnibus, qui ínvocant eum in veritáte.

[Il Signore è vicino a quanti lo invocano: a quanti lo invocano sinceramente.]


V. Laudem Dómini loquétur os meum: et benedícat omnis caro nomen sanctum ejus.

[La mia bocca dia lode al Signore: e ogni mortale benedica il suo santo Nome.]

Alleluja

Allelúja, allelúja,
V. Veni, Dómine, et noli tardáre: reláxa facínora plebis tuæ Israël. Allelúja

[Vieni, o Signore, non tardare: perdona le colpe di Israele tuo popolo. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia  sancti Evangélii secundum Lucam.
R. Gloria tibi, Domine!
Luc III:1-6
Anno quintodécimo impérii Tibérii Cæsaris, procuránte Póntio Piláto Judæam, tetrárcha autem Galilaeæ Heróde, Philíppo autem fratre ejus tetrárcha Ituraeæ et Trachonítidis regionis, et Lysánia Abilínæ tetrárcha, sub princípibus sacerdotum Anna et Cáipha: factum est verbum Domini super Joannem, Zacharíæ filium, in deserto. Et venit in omnem regiónem Jordánis, praedicans baptísmum pæniténtiæ in remissiónem peccatórum, sicut scriptum est in libro sermónum Isaíæ Prophétæ: Vox clamántis in desérto: Paráte viam Dómini: rectas fácite sémitas ejus: omnis vallis implébitur: et omnis mons et collis humiliábitur: et erunt prava in dirécta, et áspera in vias planas: et vidébit omnis caro salutáre Dei.”

“L’anno quintodecimo dell’impero di Tiberio Cesare, essendo procuratore della Giudea Ponzio Pilato, e tetrarca della Galilea Erode, e Filippo suo fratello tetrarca della Galilea Erode, e Filippo suo fratello, tetrarca dell’Idurea della Traconitide, e Lisania tetrarca dell’Abilene, sotto i Pontefici Anna e Caifa, il Signore parlò a Giovanni figliuolo di Zaccaria, nel deserto. Ed egli andò per tutto il paese intorno al Giordano, predicando il battesimo di  penitenza per la remissione dei peccati: conforme sta scritto nel libro dei sermoni d’Isaia profeta: Voce di uno cbe grida nel deserto: Preparate la via del Signore; raddrizzate i suoi sentieri: tutte le valli si riempiranno, e tutti i monti e le colline si abbasseranno: e i luoghi tortuosi si raddrizzeranno, e i malagevoli si appianeranno: e vedranno tutti gli uomini la salute di Dio”. (Luc. III, 1-6).

OMELIA

[Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, curato d’Ars – Vol. I, ed. Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]

Sulla SODDISFAZIONE

Facite ergo fructus dignos pœnitentiæ

[Fate dunque degni frutti di penitenza].

(S. Luc., III: 8.)

Tale è, fratelli miei, il linguaggio che il santo Precursore del Salvatore teneva a tutti coloro che venivano a trovarlo nel deserto, alfine di apprendere da lui ciò che bisognava fare per avere la vita eterna. Fate – diceva loro – dei frutti degni di penitenza perché i vostri peccati siano rimessi; vale a dire che chiunque di voi abbia peccato, non ha altro rimedio che la penitenza, anche coloro che dei peccati hanno  già ottenuto il perdono. Infatti i nostri peccati rimessi nel tribunale della penitenza ci lasciano ancora delle pene da subire o in questo mondo, che sono le pene e tutte le miserie della vita, o nelle fiamme del purgatorio. C’è questa differenza, fratelli miei, tra il Sacramento del Battesimo e quello della Penitenza. In quello del Battesimo, Dio non ricorre se non alla sua misericordia, cioè Egli ci perdona senza esigere nulla da noi, a differenza di quello della Penitenza, in cui Dio non ci rimette i nostri peccati e non ci rende la grazia che alla condizione che noi subiremo una pena temporale, o in questo mondo, o nelle fiamme del Purgatorio; è per punire il peccatore del disprezzo e dell’abuso della sua grazia. Se Dio vuole che facciamo penitenza perché i nostri peccati ci siano perdonati, è ancora per preservarci dal ricadere nei medesimi peccati, affinché ricordandoci di ciò che abbiamo patito per quelli già confessati, non abbiamo più il coraggio di ricadervi. Dio vuole che noi uniamo le nostre penitenze alle sue, e che consideriamo bene quanto Egli abbia sofferto per rendere le nostre meritorie. Ahimè! Fratelli miei, non ci inganniamo; senza le sofferenze di Gesù-Cristo, tutto ciò che avremmo potuto fare, non avrebbero potuto mai soddisfare nemmeno il nostro più piccolo peccato. Ah! DIO mio, quanto grati vi siamo di questo grande atto di misericordia verso dei miserabili ingrati! Io voglio dunque mostrarvi, fratelli miei: 1° Che benché i nostri peccati ci siano perdonati, noi non siamo esenti dal fare penitenza. 2° Quali siano le opere con le quali possiamo soddisfare alla giustizia di DIO, o per parlarvi più chiaramente, io vi dimostrerò che cosa sia la soddisfazione, che è la quarta disposizione che dobbiamo offrire per ricevere degnamente il Sacramento della Penitenza.

I. Voi tutti sapete, fratelli miei, che il Sacramento della Penitenza è un Sacramento istituito da Nostro Signore Gesù-Cristo per rimettere i peccati commessi dopo il Battesimo. È principalmente in questo Sacramento che il Salvatore del mondo ci mostra la grandezza della sua misericordia poiché non c’è peccato che questo Sacramento non cancelli, qualunque sia il loro numero e per quanto enorme sia la loro gravezza; di modo che ogni peccatore è sicuro del suo perdono e di riguadagnare l’amicizia del suo DIO se – dalla parte sua – reca le disposizioni che questo Sacramento richiede. La prima disposizione è quella di ben conoscere i propri peccati, il loro numero e le loro circostanze che possono o ingrandirli, o cangiarne la specie: e questa conoscenza non ci sarà conceduta se non dopo averla chiesta allo Spirito Santo. Ogni persona che, nel suo esame, non chiede i lumi dello Spirito Santo, non può che fare una Confessione sacrilega. Se questo vi è successo, tornate sui vostri passi, perché siate sicuri che le vostre Confessioni non sono state che delle cattive Confessioni. – La  seconda condizione è di dichiarare i propri peccati come vi dice il Catechismo, senza artificio o infingimento, vale a dire: tali come li conoscete. Questa accusa non sarà fatta come si deve finché non avrete chiesto la forza al buon DIO: senza questo è impossibile dichiararli come si deve e riceverne il perdono. Voi dovete dunque esaminarvi davanti al buon DIO se tutte le volte che avete voluto confessarvi, gli abbiate domandato questa forza; se avete mancato in questo, tornate sulle vostre confessioni, perché siete sicuri che nulla valgono. – La terza condizione che richiede questo Sacramento, perché vi sia accordato il perdono dei vostri peccati, è la contrizione, in altre parole il rammarico di averli commessi, con la risoluzione sincera di non più commetterli, e con un desiderio vero di fuggire tutto ciò che può farci ricadere. Questa contrizione viene dal cielo e non ci vien data se non dalla preghiera e dalle lacrime: preghiamo dunque e piangiamo pensando che questa mancanza di contrizione è quella che danna il maggior numero. Veramente si accusano i propri peccati; ma spesse volte il cuore non vi ha la sua parte. Si raccontano i peccati come si racconterebbe una storia indifferente; non abbiamo questa contrizione, perché non cambiamo vita. Noi ripetiamo ogni anno, ogni sei mesi, ogni mese o tre settimane, od ogni otto giorni, se volete, gli stessi peccati, le stesse colpe; noi battiamo sempre la stessa via; nessun cambiamento avviene nel nostro modo di vivere. Da dove possono provenire tutti queste sventure che precipitano tante anime nell’inferno, se non dalla mancanza di contrizione? E come possiamo sperare di averla, se spesso non la domandiamo solo a DIO, oppure la chiediamo senza desiderare di averla? Se voi non vedete alcun cambiamento nella vostra condotta, vale a dire, se non siete migliorato dopo tante Confessioni e Comunioni, tornate sui vostri passi, riconoscete la vostra sventura prima che non ammetta più rimedio. Fratelli miei, per avere la speranza che le nostre Confessioni siano fatte con delle buone disposizioni, è necessario, confessandoci, convertirci: senza questo, tutto ciò che noi facciamo non fa che prepararci ogni sorta di sventure per l’altra vita. – Ma dopo aver ben conosciuto i nostri peccati con la grazia dello Spirito Santo, dopo averli ben dichiarati come conviene, avere il dolore dei propri peccati, ci resta ancora una quarta condizione, perché le altre tre portino i frutti, è la soddisfazione che dobbiamo a DIO ed al prossimo. Io dico a DIO, per riparare le ingiurie che il peccato gli ha fatto, ed al prossimo, per riparare il torto che abbiamo fatto alla sua anima ed al suo corpo. – Innanzitutto io vi dirò che dall’inizio del mondo, noi vediamo dappertutto che DIO, perdonando il peccato, ha sempre voluto una soddisfazione temporale, che è un diritto che la sua giustizia domanda. La sua misericordia ci perdona; ma la sua giustizia vuol essere soddisfatta in qualche piccola cosa, di guisa che dopo aver peccato, dopo averne ottenuto il perdono, noi dobbiamo vendicarci su noi medesimi facendo soffrire il nostro corpo che ha peccato. Ma ditemi, fratelli miei, qual tipo di penitenza noi facciamo in confronto a quello che i nostri peccati ci hanno meritato, che è un’eternità di tormenti? O DIO mio, quanto siete buono nel contentarvi di sì poca cosa! – Se le penitenze che vi si impongono vi sembrano dure e penose da fare per il gran numero dei vostri peccati mortali, percorrete la via dei Santi e vedrete le penitenze che essi hanno fatto, benché molti fossero sicuri del loro perdono. Vedete Adamo, al quale il Signore stesso dice che il suo peccato gli era perdonato: e che malgrado ciò, fece penitenza per più di novecento anni, penitenza che fa tremare. Vedete Davide al quale il Profeta Nathan viene a dire, da parte di DIO, che il suo peccato gli viene rimesso e che si sottomette ad una penitenza così rigorosa che non può più reggersi in piedi; egli faceva risuonare il suo palazzo di grida e di singhiozzi, causati dal dolore dei suoi peccati. Egli medesimo dice che sta per scendere nella tomba piangendo: che il suo dolore non lo abbandonerà che con la vita; le sue lacrime fluiscono così copiose che ci dice egli stesso che bagna il suo pane delle sue lacrime e bagna il suo letto col suo pianto. Vedete ancora san Pietro, per un peccato che lo spavento gli ha fatto commettere, il Signore lo perdona. Egli piange il suo peccato per tutta la sua vita con tanta abbondanza che le sue lacrime lasciano traccia sul suo volto. Che fa santa Maddalena dopo la morte del Salvatore? Va a seppellirsi nel deserto ove piange e fa penitenza tutta la sua vita: tuttavia DIO, le aveva certo perdonato, poiché dice ai farisei che molti peccati le erano stati rimessi perché molto aveva amato. Ma senza andare così lontano, fratelli miei, vedete le penitenze che si imponevano nei primi tempi della Chiesa. Vedete se quelle di adesso hanno una qualche proporzione con quelle di quei tempi. Per aver giurato il santo Nome di DIO senza pensarci, ahimè! – ciò che è tanto comune, anche per i  fanciulli che non sanno forse nemmeno una preghiera – lo si condannava a digiunare per sette giorni a pane ed acqua. Per aver consultato un indovino, sette anni di penitenza, per aver lavorato alcun poco la domenica, bisognava far penitenza tre giorni, per aver parlato durante la santa Messa, bisognava digiunare dieci giorni a pane ed acqua. Se nella quaresima si era lasciato di digiunare per un giorno, bisognava digiunare sette giorni. Per aver danzato davanti ad una chiesa in un giorno di Domenica o di festa, si veniva condannati a digiunare quaranta giorni a pane ed acqua. Per essersi presi gioco di un Vescovo e del proprio pastore, volgendo le loro istruzioni in ridicolo, bisognava far penitenza per quaranta giorni. Per aver lasciato morire un bambino senza Battesimo, tre anni di penitenza. Per essersi travestiti nel carnevale, tre anni di penitenza. Per un giovane o una fanciulla che avessero danzato, tre anni di penitenza, e se recidivi, li si minacciava di scomunicarli. Coloro che facevano dei viaggi di domenica o nelle feste senza necessità, sette giorni di penitenza. Una giovane che avesse commesso un peccato contro la purezza con un uomo sposato, dieci anni di penitenza. – Ebbene! Fratelli miei, ditemi, cosa sono le penitenze che ci vengono imposte se le compariamo a quelle di cui abbiamo parlato? Tuttavia la giustizia di DIO è la stessa; i nostri peccati non sono meno terribili agli occhi di DIO, e non meritano meno di esser puniti.

II. – Non dovremmo essere coperti di confusione, nel far quel poco che facciamo, rispetto a quello che facevano i primi Cristiani facendo penitenze così dure e sì lunghe? Ma, mi direte, quali sono dunque le opere con le quali possiamo soddisfare alla giustizia di DIO per i nostri peccati? Se desiderate compierle, nulla di più facile da fare, come vedrete. La prima è la penitenza che il confessore vi impone e che fa parte del Sacramento della Penitenza: se non si ha l’intenzione di compierla con tutto il cuore per qual che si può, la confessione non sarebbe che un sacrilegio; la seconda, è la preghiera; la terza è il digiuno; la quarta è l’elemosina; e la quinta le indulgenze che sono le più facili da compiere e le più efficaci.

Io dico: 1° la penitenza che il confessore ci impone prima di impartirci l’assoluzione, noi dobbiamo riceverla con gioia e riconoscenza, ed adempierla esattamente, per quanto ci è possibile, senza di che, dobbiamo grandemente temere di fare una Confessione sacrilega. Se pensiamo di non poterla fare, bisognerebbe far presente al confessore le nostre ragioni: se egli le trova buone, la cangerà, ma ci sono delle penitenze che il prete non può né deve cambiare. Le penitenze che servono a correggere il peccatore, come ad esempio proibire la bettola ad un ubriacone, la danza alla giovane, o ad un giovane la compagna di una persona che la trascina al male; obbligare a riparare qualche ingiustizia che si è commessa, a confessarsi spesso perché si è vissuto per un certo tempo nella trascuratezza della propria salvezza. Voi converrete con me che un prete non può, né debba cambiare queste penitenze, ma se esistessero delle ragioni per far cambiare la propria penitenza, bisognerebbe che sia il prete a cambiarla, a men che non sia affatto impossibile, perché un altro confessore non conosce per quale ragione sia stata data. Voi troverete le vostre penitenze lunghe e difficili, fratelli miei? Ma lo dite seriamente? Paragonatele dunque a quelle dell’inferno che avete meritato per i vostri peccati. Ah! con qual gioia un povero dannato, non riceverebbe, fino alla fine del mondo, le penitenze che vi si danno ed ancor più rigorose se a questo prezzo, potrebbe mettere termine al suo supplizio! Quale felicità per lui! Ma questo non gli sarà mai concesso. – Orbene! Fratelli miei, ricevendo la nostra penitenza con gioia, con un vivo desiderio di compierla diligentemente per quanto possiamo, noi ci liberiamo dall’inferno, come si il buon DIO accordasse ai dannati quel che vi ho detto. O mio DIO, quanto il peccatore conosce poco la sua felicità!

Io dico: 1° Noi dobbiamo compiere la penitenza che ci impone il confessore, e l’ometterla sarebbe un grave peccato. Non è che a questa condizione che DIO restituisce la sua grazia al peccatore e che il sacerdote, a suo nome, gli rimette i peccati. Ditemi, fratelli miei, non sarebbe un’empietà non fare la penitenza e sperare ancora nel perdono? È un andare contro la ragione: è un volere la ricompensa senza che nulla ci costi. – Che pensare, fratelli miei, di coloro che non fanno la loro penitenza? Per me, ecco quello che ne penso. Se essi non hanno ancora ricevuto l’assoluzione, questi non hanno il desiderio di convertirsi, poiché rifiutano i mezzi per questo necessari, e quando tornano a confessarsi, il prete deve loro rifiutare l’assoluzione una seconda volta. Ma se il penitente ha ricevuto l’assoluzione ed ha omesso la sua penitenza, è un peccato mortale se i peccati confessati erano mortali, e la penitenza imposta sia in sé considerevole; egli deve ben temere che la sua confessione non sia stata sacrilega per la mancanza di una volontà sincera di soddisfare DIO per i suoi peccati. Ma io non parlo qui che di coloro che avrebbero omesso tutta la loro penitenza o una parte considerevole, e nemmeno di coloro che l’avessero dimenticata o che non avessero potuto farla nel momento prescritto. – Di poi, io dico che è necessario compiere la propria penitenza tutta intera nel tempo designato e devotamente. Non bisogna tralasciar nulla di ciò che ci è stato imposto; al contrario, noi dobbiamo aggiungere a quella che il confessore ci ha imposto. San Cipriano ci dice che la penitenza deve eguagliare la colpa, che il rimedio non deve essere da meno del male. Ma, ditemi, fratelli miei, quali sono le penitenze che si dan impongono? Ah! la recita di qualche Rosario, di qualche litania, qualche elemosina, alcune piccole mortificazioni. Ditemi, tutte queste cose hanno qualche proporzione con i nostri peccati che meritano dei tormenti che non finiranno mai? Ci sono quelli che fanno la loro penitenza camminando o seduti, e questo non si deve fare. La vostra penitenza la dovete compiere in ginocchio, a meno che il sacerdote non vi dica che possiate farla camminando o seduti. Se questo vi è capitato, dovete confessarvene e non rifarlo. – In secondo luogo io dico che bisogna farla nel tempo prescritto, altrimenti voi peccherete, a meno che non aveste potuto fare altrimenti, e allora dirlo al vostro confessore quando ritornate. Ad esempio, egli vi avrà ordinato di fare una visita al Santo Sacramento dopo gli uffici, perché egli sa che voi andate con delle compagnie che non vi porteranno al buon DIO. Egli avrà comandato di mortificarvi in qualche cosa ai vostri pasti, perché siete soggetti all’ingordigia; di fare un atto di contrizione se avete la sventura di ricadere nel peccato che avete già confessato. E quando altre volte aspettate, per compiere la vostra penitenza, il momento in cui siete vicini a confessarvi; voi comprendete così bene come me, che in tutti questi casi, siete ben colpevoli, e non dovete mancare di accusarvi e trovarvi più in simili contingenze. – In terzo luogo, io dico che bisogna fare la vostra penitenza devotamente, cioè con pietà, con una disposizione sincera di abbandonare il peccato. Farla con pietà, fratelli miei, vuol dire farla con attenzione dal lato spirituale e con la devozione del cuore. Se farete la vostra penitenza con distrazione volontaria, voi non l’avreste compiuta, e sareste obbligati a rifarla. Farla con pietà, è farla con grande fiducia che il buon DIO perdonerà i vostri peccati per i meriti di Gesù-Cristo che ha soddisfatto per voi con le sue sofferenze e la morte sulla croce. Noi dobbiamo farla con gioia, consci del potere soddisfattorio a DIO che abbiamo offeso, e di trovare mezzi così facili per poter cancellare i nostri peccati che meriterebbero di farci soffrire per tutta l’eternità. Una cosa che non dovete mai dimenticare è che tutte le volte che fate la vostra penitenza dovete dire a DIO: Mio DIO! Io unisco questa leggera penitenza a quella che Gesù-Cristo mio Salvatore vi ha offerto per i miei peccati; ecco quello che renderà la vostra penitenza meritoria e gradita a DIO. – Io dico ancora che noi dobbiamo compiere la nostra penitenza con un vero desiderio di lasciare definitivamente il peccato, qualunque cosa ci costi, fosse anche il soffrire la morte. Se noi non siamo con queste disposizioni, lungi dal soddisfare alla giustizia di DIO, lo oltraggiamo nuovamente, cosa che ci renderebbe ancora più colpevoli. – Io ho detto che non dobbiamo contentarci della penitenza che ci impone il confessore, perché essa non è nulla, o quasi nulla se la compariamo a ciò che meritano i nostri peccati. Se il confessore ci tratta con tanti riguardi, è perché teme di disgustarci dall’operare la nostra salvezza. Se voi avete veramente a cuore la vostra salvezza, voi stessi dovete imporvi delle penitenze. Ecco quelle che meglio vi convengono. Se avete la disgrazia di dare scandalo, bisogna rendervi così vigilanti che il vostro vicino non possa vedere nulla in voi che non lo porti al bene; bisogna che voi mostriate con la vostra condotta che la vostra vita sia veramente cristiana. E se avete la sventura di peccare contro la santa virtù della purezza, bisogna mortificare questo miserabile corpo con dei digiuni, dandogli solo ciò che gli occorre per non togliergli la vita, e perché possa adempiere ai  propri doveri, e di tanto in tanto farlo riposare sul duro. Se voi trovate di aver qualcosa da mangiare che soddisfi la vostra ingordigia, bisogna rifiutarla al vostro corpo e disprezzarla per quanto l’avete amata: egli voleva perdere la vostra anima, bisogna che voi lo puniate. Bisogna che spesso il vostro cuore che ha pensato a cose impure, porti i vostri pensieri nell’inferno, che è il luogo riservato agli impudichi. Se siete attaccato alla terra, bisogna fare delle elemosine quanto più potete per punire la vostra avarizia, privandovi di tutto ciò che non vi è assolutamente necessario per la vita. – Siamo stati negligenti nel servizio di Dio, imponiamoci, per far penitenza, di assistere a tutti gli esercizi di pietà che si fanno nella vostra parrocchia. Io voglio dire, alla Messa, ai Vespri, al Catechismo, alla preghiera, al Rosario, affinché DIO, vedendo la nostra alacrità, voglia perdonarci tutte le nostre negligenze: se abbiamo alcuni momenti liberi tra le funzioni, consacriamoli a qualche lettura di pietà, ciò che nutrirà la nostra anima, soprattutto col leggere qualche vita dei santi nelle quali noi vediamo ciò che essi hanno fatto per santificarsi; questo ci incoraggerà; facciamo qualche piccola visita al Santo Sacramento per chiedergli perdono dei peccati che abbiamo commesso durante la settimana. Se ci sentiamo colpevoli di qualche peccato, andiamocene a liberarci affinché le nostre preghiere e tutte le buone opere siano più gradite a DIO e più vantaggiose per la nostra anima. Abbiamo l’abitudine di giurare, di lasciarci trasportare dalla collera? Mettiamoci in ginocchio per dire questa santa preghiera: Mio DIO, sia benedetto il vostro santo Nome in tutti i secoli dei secoli; DIO mio, purificate il mio cuore, purificate le mie labbra affinché non pronunzi mai parole che vi oltraggino e mi separino da Voi. Tutte le volte che voi ricadrete in questo peccato, bisogna al momento o fare un atto di contrizione, o dare qualche elemosina ai poveri. Avete lavorato di Domenica? Avete venduto o comprate durante questo santo giorno, senza necessità? Date ai poveri un’elemosina che superi il profitto che ne avrete fatto. Avete mangiato o bevuto in eccesso? Occorre che, in tutti vostri pasti, vi priviate di qualche cosa. Ecco fratelli miei, delle penitenze che non solo possono soddisfare alla giustizia di DIO, se unite a quelle di Gesù-Cristo, ma possono ancora preservarci dal ricadere nei nostri peccati. Se volete comportarvi in tal modo, voi siete sicuro di correggervi con la grazia del buon DIO. – Si, fratelli miei, noi dobbiamo castigarci e punirci per aver fatto il male, questo sarà il vero mezzo per evitare le penitenze ed i castighi dell’altra vita. È vero che ciò costa; ma noi non possiamo esimercene, finché siamo ancora in vita e DIO si accontenta di sì poca cosa. Se noi aspettiamo dopo la morte, non ci sarà più tempo, fratelli miei, tutto sarà finito e non ci resterà che il rimpianto per non averlo fatto. Sentiamo qualche ripugnanza per la penitenza, fratelli miei, gettiamo gli occhi sul nostro amabile Salvatore, vediamo ciò che Egli ha fatto, ciò che ha sofferto alfine di soddisfare il Padre suo per i nostri peccati. Prendiamo coraggio con l’esempio di tanti illustri martiri che hanno consegnato i loro corpi ai carnefici con tanta gioia. Animiamoci ancora, fratelli miei, con il pensiero delle fiamme divoranti del purgatorio che soffrono le povere anime condannate per peccati forse minori dei nostri. Se vi costa, fratelli miei, far penitenza, voi otterrete la ricompensa eterna che queste penitenze vi meriteranno. 2° Abbiamo detto che potremo soddisfare alla giustizia di DIO con la preghiera, non solo la preghiera vocale o mentale, ma ancora con l’offerta di tutte le nostre azioni, levando di tanto in tanto il nostro cuore al buon DIO durante la giornata, dicendo: mio DIO, voi sapete che è per Voi che io lavoro; Voi mi ci avete condannato per soddisfare alla vostra giustizia per i miei peccati. Mio DIO, abbiate pietà di me che sono un peccatore così miserabile, che mi sono ribellato tante volte contro di Voi che siete il mio Salvatore ed il mio DIO. Io desidero che tutti i miei pensieri, tutti i miei desideri non abbiano che un oggetto e che tutte le mie azioni non siano fatte se non col proposito di piacervi. Quel che piò essere gradito a DIO, è il pensare spesso ai nostri fini ultimi, cioè alla morte, al giudizio, all’inferno che è fatto per la dimora dei peccatori.

3° Io dico che noi possiamo soddisfare alla giustizia di DIO con il digiuno. Si comprende sotto il nome di digiuno, tutto ciò che può mortificare il corpo e lo spirito, come rinunciare alla propria volontà, cosa che è sì gradita a DIO e ci merita più di trenta giorni di penitenza; di soffrire per amor di DIO le ripugnanze, le ingiurie, i disprezzi, le confusioni che crediamo di non meritare; di privarci di qualche visita, come sarebbe andare a vedere i nostri parenti, i nostri amici, le nostre terre ed altre cose simili che ci procurerebbero qualche piacere; di tenerci in ginocchio un po’ più a lungo, perché il corpo che ha peccato soffra in qualche maniera. Io ho pure detto che noi possiamo soddisfare alla giustizia di DIO con l’elemosina come dice il profeta a Nabucodonosor: « … riscatta i tuoi peccati con l’elemosina » (Dan. IV, 21). Ci sono diversi tipi di elemosine: quelle che riguardano il corpo, come dar da mangiare a coloro che non hanno pane; vestire coloro che non hanno di che vestirsi; andare a visitare gli ammalati; dar loro del danaro, rifare il loro letto; tener loro compagnia; preparare i loro farmaci: ecco ciò che riguarda il corpo. Ma ecco quelle che riguardano l’anima e che sono ancor ben più preziose di quelle che non hanno rapporto se non con il corpo. Ma. voi direte, come facciamo l’elemosina spirituale? Eccolo: è quando voi andate a consolare una persona che ha un dolore, che ha subito una perdita; voi la consolate con parole piene di bontà e di carità, facendole ricordare la grande ricompensa che il buon DIO ha promesso a coloro che soffrono per amor suo; che le pene del mondo non sono che un momento, mentre la ricompensa sarà eterna. L’elemosina spirituale è istruire gli ignoranti, che sono queste povere persone che saranno perdute se qualcuno non avrà compassione di loro. Ah! quante persone non sanno cosa fare per essere salvate; che ignorano i principali Misteri della nostra santa Religione; che malgrado tutte le loro pene e le altre buone opere saranno dannate. – Padri e madri, padroni e padrone, dove sono i vostri doveri? Li conoscete un poco? No, io non credo. Se voi li conosceste un poco, qual non sarebbe la vostra alacrità nel vedere se i vostri figli conoscono bene tutto ciò che è necessario della Religione per non andare perduti? Quanti di voi cercherebbero tutti i mezzi possibili per far loro imparare ciò a cui il vostro dovere di padre e di madre vi obbliga! Mio DIO! Quanti giovani perduti per ignoranza! E questo per colpa dei loro genitori che forse, non potendo istruirli da se stessi, non avuto il cuore di affidarli a coloro che potevano farlo, lasciamoli vivere in questo stato e perire per l’eternità. Padroni e padrone, qual elemosina fate a questi poveri domestici, dei quali la maggior parte non sa nulla della loro Religione? Mio DIO! Quante anime che si perdono delle quali i loro padroni e padrone dovranno nel gran giorno rendere conto! Io gli do la sua paga – mi direte – sta a lui farsi istruire, io non lo prendo che per lavorare; egli guadagna solamente ciò che gli do. Voi vi ingannate. Il buon DIO vi ha affidato questo povero giovane. Non solo per aiutarvi a lavorare, ma ancora perché gli insegniate a salvare la propria anima. Ahimè! un padrone ed una padrone possono ben vivere tranquilli vedendo i loro domestici in uno stato di dannazione certa? Mio DIO! Quanto la perdita di un’anima sta loro così poco a cuore! Ah! quante volte le padrone saranno testimoni dei loro domestici che non fanno le loro preghiere né al mattino, né alla sera; e nulla diranno loro, o si contenteranno di pensare: ecco un domestico che non ha gran Religione! Ma senza andare più oltre, basti che faccia bene la vostra opera, voi siete contento. O mio DIO! Qual accecamento? Chi mai potrà comprenderlo? Io dico che un padrone o una padrona dovrebbero avere tanta cura e prendere tante precauzioni nell’istruire o far istruire sia i loro domestici che i loro garzoni, durante tutto il tempo che saranno a loro servizio. DIO ve ne domanderà conto come dei vostri figli, nulla di meno. Voi avete il compito di essere padre e madre; è a voi che DIO chiederà conto. Ahimè! se tanti poveri domestici non hanno Religione, questa sventura è in gran parte dovuta al fatto che essi non sono istruiti. Se voi aveste la carità di istruirli, e far loro conoscere ciò che devono fare per salvarsi, i doveri che hanno da compiere verso DIO, verso il prossimo e verso se stessi, quali siano le verità della nostra santa Religione che bisogna assolutamente conoscere, voi fareste loro aprire gli occhi sulla loro sventura. Ah! Quali ringraziamenti non vi faranno essi per tutta l’eternità, dicendo che dopo DIO, è a voi che sono debitori della loro felicità eterna. Mio DIO! Si possono lasciar perire delle anime così preziose che tanto sono costate a Gesù-Cristo per essere riscattate? Ma voi mi direte, questo è facile da dirsi. Se si vuol parlare loro di Religione, essi non ascoltano se non per burlarsi di voi. Questo è purtroppo vero; ce n’è tanti che sono tanto disgraziati da non voler aprire gli occhi sulla loro disgrazia; ma non tutti: ce ne sono alcuni che sono ben contenti di farsi istruire. Bisogna prenderli con dolcezza, ricordando che, quando crederete che questo non gli servirà a niente, ne sarete tanto più ricompensati che se ne aveste fatti dei santi. Ma non vi ingannate. Prima o poi si ricorderanno di ciò che voi gli avete insegnato; verrà un giorno che essi ne profitteranno e pregheranno per voi il buon DIO. Voi dovete loro ancora l’elemosina delle vostre preghiere. Un padrone o una padrona che ha dei domestici, non deve lasciar trascorrere un giorno senza pregare il buon DIO per essi. Io sono persuaso che ci sono tanti che forse non hanno mai pregato per i loro domestici. Ma, voi mi direte, ben lungi dall’aver pregato per essi, io non vi ho mai pensato. Ah! Fratelli miei, io non credo a questo. Se voi avete vissuto in sì grande ignoranza verso i vostri doveri, sareste da compiangere e degni di estrema compassione. Se un domestico non deve mancare di pregare per i suoi padroni, un padrone, una padrona gli deve la medesima cosa, ed ancor di più perché il domestico non è incaricato dell’anima del suo padrone, mentre il padrone è incaricato dell’anima dei suoi domestici. Mio DIO! Quante persone non conoscono il loro dovere; e di conseguenza, non lo compiono e saranno perduti per l’eternità. Padri e madri, padroni e padrone, non dimenticate questa elemosina spirituale che dovete ai vostri figli ed ai vostri domestici. Voi dovete ancor loro l’elemosina dei vostri buoni esempi che serviranno di guida a loro per andare in cielo. – Ecco, fratelli miei, ciò che io credo sia maggiormente capace di soddisfare alla giustizia di DIO, per i vostri peccati confessati e perdonati. Voi potete di giunta soddisfare alla giustizia di Dio, sopportando con pazienza tutte le miserie che sarete obbligati a soffrire malgrado voi, come le malattie, le infermità, le afflizioni, la povertà, le fatiche che avrete da sostenere lavorando, il freddo, il caldo, gli accidenti che vi incolgono, la necessità di morire. Vedete la bontà di DIO che ci ha fatto la grazia di rendere tutte le nostre azioni meritorie, e degne di evitare tutte le pene dell’altra vita. ma, disgraziatamente, fratelli miei, non è con questo spirito che noi soffriamo i mali che DIO ci invia, come altrettante grazie che Egli ci fa; ahimè! essendo ciechi, su questo ultimo punto, sul nostro bene, noi giungiamo perfino a mormorare ed a maledire la mano di un Padre sì buono che cambia le pene eterne in altre che non sono che di qualche minuto. E noi, fratelli miei, siamo così ciechi intorno nostra felicità? Mettiamo tutto a profitto: malattie, avversità, afflizioni, tutte queste cose sono dei beni che noi accumuliamo per il cielo, o piuttosto che ci esenteranno dal dover soffrire dei tormenti così rigorosi nell’altra vita. Uniamo tutte le nostre pene a quelle di Gesù-Cristo, alfine di renderle meritorie e degne di soddisfare alla giustizia di DIO. Infine il gran mezzo di soddisfare alla giustizia di DIO, è amarlo, avere un vivo pentimento dei nostri peccati, perché Gesù-Cristo ci ha detto che molto sarà rimesso a colui che ama molto, ed a colui che meno ama, meno peccati gli saranno rimessi. (Luc. VII, 47).

5° Noi abbiamo detto che le indulgenze sono dei mezzi molto efficaci per soddisfare alla giustizia di DIO, vale a dire per farci evitare le pene del purgatorio. Queste indulgenze sono composte dai meriti sovrabbondanti di Gesù-Cristo, della Vergine Santa e dei Santi, ciò che costituisce un tesoro inesauribile al quale il buon DIO ci dà il potere di attingere. Per farvelo meglio comprendere, è come se voi foste debitore di venti o trenta lire verso un uomo ricco che vuole essere pagato; voi non avete niente, o vi sarebbe necessario un tempo infinito per saldare il vostro debito. Un ricco ci dice: « Voi non avete di come saldare i vostri debiti? prendete dal mio scrigno ciò che vi è necessario per pagare ciò che dovete. » Ecco precisamente ciò che DIO  fa. Noi siamo nell’impossibilità di soddisfare alla sua giustizia, Egli ci apre il tesoro delle indulgenze nel quale possiamo prendere tutto ciò che ci serve per soddisfare alla giustizia di DIO. Ci sono delle indulgenze parziali, che non rimettono che una parte delle nostre pene, e non tutte, come sono quelle che si guadagnano recitando le litanie del santo Nome di Gesù, e per le quali ci sono 200 giorni di indulgenza; dicendo quelle della Santa Vergine, ci sono 400 giorni, e così di tante altre. Ci sono delle indulgenze quando si dice l’Ave Maria, l’Angelus, i tre atti di fede, di speranza e carità; andando a visitare un ammalato, istruendo un ignorante. Ma le indulgenze plenarie sono la remissione di tutte le pene che noi dobbiamo soffrire in Purgatorio; di modo tale che, dopo esserci confessati di un gran numero di peccati, benché perdonati, ci resta ancora un numero quasi infinito di anni di Purgatorio. Se guadagniamo queste indulgenze plenarie nella loro interezza, noi saremo esenti dal Purgatorio così come un bambino che muore subito dopo il suo Battesimo, o un Martire che dà la sua vita per DIO. Queste indulgenze possono lucrarsi se si è iscritti nella Confraternita del santo Rosario, tutte le prime domeniche del mese, quando si ha la fortuna di confessarsi e comunicarsi, ed in tutte le feste della Santa Vergine; tutte le terze domeniche, se siamo della Confraternita del Santo-Sacramento. Oh! Fratelli miei, quanto è facile liberarsi delle pene dell’altra vita per un Cristiano che profitti delle grazie che il buon DIO gli presenta. Ma bisogna pur dire che per guadagnare tutti questi beni, bisogna essere in stato di grazia, essersi confessati e comunicati, e fare le preghiere che il Santo Padre prescrive; non c’è che la Via Crucis per la quale non c’è bisogno di confessarsi né comunicarsi. Ma bisogna essere sempre esenti da peccato mortale; aver un grande rammarico di tutti i peccati veniali ed essere in una vera risoluzione di non più commetterli. Se avete queste disposizioni, voi potete lucrarle per voi e per le anime del purgatorio. Niente, fratelli miei, è così facile che il soddisfare alla giustizia di DIO, dato che abbiamo tanti mezzi per questo, di modo tale che se andiamo in Purgatorio sarà per nostra propria colpa. Oh! se un Cristiano fosse istruito e volesse profittare di tutto ciò che il buon DIO presenta, quanti tesori egli cumulerebbe per il cielo! DIO mio! Se noi siamo così poveri, è perché noi non vogliamo arricchirci, ma non è ancora tutto. Dopo aver soddisfatto a DIO, bisogna ancor soddisfare il nostro prossimo per il torto che gli abbiamo fatto, sia al corpo, sia alla sua anima. Io dico che si fa torto al suo corpo, cioè alla sua persona, oltraggiandolo sia con parole ingiuriose o sprezzanti, o con cattivi trattamenti. Se abbiamo avuto la sventura di oltraggiarlo con parole ingiuriose, bisogna fargli le scuse e riconciliarsi con lui. Se gli si è fatto torto battendo le sue bestie, ciò che può capitare quando le si trova a fare qualche danno ai nostri raccolti, voi siete obbligati a dargli tutto ciò di cui avete causato la perdita: voi potreste farvi pagare e non maltrattare queste bestie; se voi avete fatto qualche torto, voi siete obbligato a ripararlo per quanto potete, senza che siate grandemente colpevole. Se avete dimenticato di farlo, avete peccato e dovete accusarvene. Se avete fatto torto al vostro prossimo nel suo onore, come ad esempio per una maldicenza, voi siete obbligato a dare buone informazioni per quante di cattive ne abbiate date, nascondendo i difetti che essi potrebbero avere, che non siete obbligati a svelare. Se l’avete calunniato, dovete andare a trovare le persone alle quali avete detto cose false del vostro prossimo e dire loro che tutto quel che avete loro detto, non era vero: che voi ne siete ben convinto, e che li pregate di non crederle. Ma se gli avete fatto questo torto nell’anima, è ancor più difficile riparare, tuttavia bisogna pur farlo per quanto possibile, senza il che, mai il buon DIO ci perdonerà. Bisogna pure esaminarvi caso mai abbiate dato scandalo ai vostri figli o ai vicini. Quanti padri e madri, padroni e padrone che scandalizzano i loro figli e i loro domestici, non facendo preghiere, né mattino né sera, o che le fanno vestendosi, o sdraiati su una poltrona, che non faranno neanche un segno di croce né prima, né dopo aver mangiato. Quante volte li sentiamo giurare e forse anche bestemmiare. Quante volte vi hanno visto lavorare la Domenica mattina, anche prima della Santa Messa. bisogna ancora esaminare se avete cantato canzoni licenziose, se avete preso libri cattivi, se avete dato cattivi consigli, come dicendo a qualcuno di vendicarsi, di ripagarsi con le proprie mani, o rivolgere ingiurie al prossimo. Voi dovete ancora esaminarvi se non avete preso degli oggetti del vostro vicino che avete dimenticato di restituire; se avete dimenticato di fare qualche elemosina se vi è stata comandata o qualche restituzione da parte dei vostri poveri genitori defunti. Bisogna aver la felicità che i vostri peccati siano perdonato, che non abbiate nulla dei beni del prossimo che voi dovete e potete rendergli; che non abbiate infamato la sua reputazione, bisogna che voi abbiate fatto tutto ciò che potevate per ripararla; bisogna esservi riconciliato con i vostri nemici, parlare loro come se non avessero fatto che del bene nella vostra vita, senza conservare nulla nel vostro cuore se non la carità che un buon Cristiano deve avere per tutti. Bisogna ricevere la vostra penitenza di bon grado, con un vero desiderio di compierla come meglio potete, farla in ginocchio con pietà e riconoscenza, pensando quanto il buon DIO sia buona da contentarsi di così poche cose, e fare in modo che le pene che proviate nel vostro stato, vi servano come penitenza; possiamo lucrare quanto più possiamo indulgenze, affinché dopo la morte abbiamo la sorte di aver soddisfatto a DIO per i nostri peccati, ed al prossimo per i torti che gli abbiamo recati, e che possiamo comparire con fiducia al tribunale di DIO. È la felicità che vi auguro.

Credo …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Luc 1: 28
Ave, María, gratia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus, et benedíctus fructus ventris tui.

Secreta

Sacrifíciis pæséntibus, quǽsumus, Dómine, placátus inténde: ut et devotióni nostræ profíciant et salúti.

[O Signore, Te ne preghiamo, guarda benigno alle presenti offerte: affinché giovino alla nostra devozione e alla nostra salvezza.]

Comunione spirituale: COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Is. VII:14
Ecce, Virgo concípiet et páriet fílium: et vocábitur nomen ejus Emmánuel.

[Ecco la Vergine concepirà e partorirà un figlio: e si chiamerà Emanuele.]

Postocommunio

Orémus.
Sumptis munéribus, quǽsumus, Dómine: ut, cum frequentatióne mystérii, crescat nostræ salútis efféctus.

[Assunti i tuoi doni, o Signore, Ti preghiamo, affinché frequentando questi misteri cresca l’effetto della nostra salvezza.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULLA SODDISFAZIONE

[Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, curato d’Ars – Vol. I, ed. Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]

Sulla SODDISFAZIONE

Facite ergo fructus dignos pœnitentiæ

[Fate dunque degni frutti di penitenza].

(S. Luc., III: 8.)

Tale è, fratelli miei, il linguaggio che il santo Precursore del Salvatore teneva a tutti coloro che venivano a trovarlo nel deserto, alfine di apprendere da lui ciò che bisognava fare per avere la vita eterna. Fate – diceva loro – dei frutti degni di penitenza perché i vostri peccati siano rimessi; vale a dire che chiunque di voi abbia peccato, non ha altro rimedio che la penitenza, anche coloro che dei peccati hanno  già ottenuto il perdono. Infatti i nostri peccati rimessi nel tribunale della penitenza ci lasciano ancora delle pene da subire o in questo mondo, che sono le pene e tutte le miserie della vita, o nelle fiamme del purgatorio. C’è questa differenza, fratelli miei, tra il Sacramento del Battesimo e quello della Penitenza. In quello del Battesimo, Dio non ricorre se non alla sua misericordia, cioè Egli ci perdona senza esigere nulla da noi, a differenza di quello della Penitenza, in cui Dio non ci rimette i nostri peccati e non ci rende la grazia che alla condizione che noi subiremo una pena temporale, o in questo mondo, o nelle fiamme del Purgatorio; è per punire il peccatore del disprezzo e dell’abuso della sua grazia. Se Dio vuole che facciamo penitenza perché i nostri peccati ci siano perdonati, è ancora per preservarci dal ricadere nei medesimi peccati, affinché ricordandoci di ciò che abbiamo patito per quelli già confessati, non abbiamo più il coraggio di ricadervi. Dio vuole che noi uniamo le nostre penitenze alle sue, e che consideriamo bene quanto Egli abbia sofferto per rendere le nostre meritorie. Ahimè! Fratelli miei, non ci inganniamo; senza le sofferenze di Gesù-Cristo, tutto ciò che avremmo potuto fare, non avrebbero potuto mai soddisfare nemmeno il nostro più piccolo peccato. Ah! DIO mio, quanto grati vi siamo di questo grande atto di misericordia verso dei miserabili ingrati! Io voglio dunque mostrarvi, fratelli miei: 1° Che benché i nostri peccati ci siano perdonati, noi non siamo esenti dal fare penitenza. 2° Quali siano le opere con le quali possiamo soddisfare alla giustizia di DIO, o per parlarvi più chiaramente, io vi dimostrerò che cosa sia la soddisfazione, che è la quarta disposizione che dobbiamo offrire per ricevere degnamente il Sacramento della Penitenza.

I. Voi tutti sapete, fratelli miei, che il Sacramento della Penitenza è un Sacramento istituito da Nostro Signore Gesù-Cristo per rimettere i peccati commessi dopo il Battesimo. È principalmente in questo Sacramento che il Salvatore del mondo ci mostra la grandezza della sua misericordia poiché non c’è peccato che questo Sacramento non cancelli, qualunque sia il loro numero e per quanto enorme sia la loro gravezza; di modo che ogni peccatore è sicuro del suo perdono e di riguadagnare l’amicizia del suo DIO se – dalla parte sua – reca le disposizioni che questo Sacramento richiede. La prima disposizione è quella di ben conoscere i propri peccati, il loro numero e le loro circostanze che possono o ingrandirli, o cangiarne la specie: e questa conoscenza non ci sarà conceduta se non dopo averla chiesta allo Spirito Santo. Ogni persona che, nel suo esame, non chiede i lumi dello Spirito Santo, non può che fare una Confessione sacrilega. Se questo vi è successo, tornate sui vostri passi, perché siate sicuri che le vostre Confessioni non sono state che delle cattive Confessioni. – La  seconda condizione è di dichiarare i propri peccati come vi dice il Catechismo, senza artificio o infingimento, vale a dire: tali come li conoscete. Questa accusa non sarà fatta come si deve finché non avrete chiesto la forza al buon DIO: senza questo è impossibile dichiararli come si deve e riceverne il perdono. Voi dovete dunque esaminarvi davanti al buon DIO se tutte le volte che avete voluto confessarvi, gli abbiate domandato questa forza; se avete mancato in questo, tornate sulle vostre confessioni, perché siete sicuri che nulla valgono. – La terza condizione che richiede questo Sacramento, perché vi sia accordato il perdono dei vostri peccati, è la contrizione, in altre parole il rammarico di averli commessi, con la risoluzione sincera di non più commetterli, e con un desiderio vero di fuggire tutto ciò che può farci ricadere. Questa contrizione viene dal cielo e non ci vien data se non dalla preghiera e dalle lacrime: preghiamo dunque e piangiamo pensando che questa mancanza di contrizione è quella che danna il maggior numero. Veramente si accusano i propri peccati; ma spesse volte il cuore non vi ha la sua parte. Si raccontano i peccati come si racconterebbe una storia indifferente; non abbiamo questa contrizione, perché non cambiamo vita. Noi ripetiamo ogni anno, ogni sei mesi, ogni mese o tre settimane, od ogni otto giorni, se volete, gli stessi peccati, le stesse colpe; noi battiamo sempre la stessa via; nessun cambiamento avviene nel nostro modo di vivere. Da dove possono provenire tutte queste sventure che precipitano tante anime nell’inferno, se non dalla mancanza di contrizione? E come possiamo sperare di averla, se spesso non la domandiamo solo a DIO, oppure la chiediamo senza desiderare di averla? Se voi non vedete alcun cambiamento nella vostra condotta, vale a dire, se non siete migliorato dopo tante Confessioni e Comunioni, tornate sui vostri passi, prima che riconosciate la vostra sventura che non ammetta più rimedio. Bisogna, fratelli miei, per avere la speranza che le nostre Confessioni siano fatte con delle buone disposizioni, è necessario, confessandoci, convertirci: senza questo, tutto ciò che noi facciamo non fa che prepararci ogni sorta di sventure per l’altra vita. – Ma dopo aver ben conosciuto i nostri peccati con la grazia dello Spirito Santo, dopo averli ben dichiarati come conviene, avere il dolore dei propri peccati, ci resta ancora una quarta condizione, perché le altre tre portino i frutti, è la soddisfazione che dobbiamo a DIO ed al prossimo. Io dico a DIO, per riparare le ingiurie che il peccato gli ha fatto, ed al prossimo, per riparare il torto che abbiamo fatto alla sua anima ed al suo corpo. – Innanzitutto io vi dirò che dall’inizio del mondo, noi vediamo dappertutto che DIO, perdonando il peccato, ha sempre voluto una soddisfazione temporale, che è un diritto che la sua giustizia domanda. La sua misericordia ci perdona; ma la sua giustizia vuol essere soddisfatta in qualche piccola cosa, di guisa che dopo aver peccato, dopo averne ottenuto il perdono, noi dobbiamo vendicarci su noi medesimi facendo soffrire il nostro corpo che ha peccato. Ma ditemi, fratelli miei, qual tipo di penitenza noi facciamo in confronto a quello che i nostri peccati ci hanno meritato, che è un’eternità di tormenti? O DIO mio, quanto siete buono nel contentarvi di sì poca cosa! – Se le penitenze che vi si impongono vi sembrano dure e penose da fare per il gran numero dei vostri peccati mortali, percorrete la via dei Santi e vedrete le penitenze che essi hanno fatto, benché molti fossero sicuri del loro perdono. Vedete Adamo, al quale il Signore stesso dice che il suo peccato gli era perdonato: e che malgrado ciò, fece penitenza per più di novecento anni, penitenza che fa tremare. Vedete Davide al quale il Profeta Nathan viene a dire, da parte di DIO, che il suo peccato gli viene rimesso e che si sottomette ad una penitenza così rigorosa che non può più reggersi in piedi; egli faceva risuonare il suo palazzo di grida e di singhiozzi, causati dal dolore dei suoi peccati. Egli medesimo dice che sta per scendere nella tomba piangendo: che il suo dolore non lo abbandonerà che con la vita; le sue lacrime fluiscono così copiose che ci dice egli stesso che bagna il suo pane delle sue lacrime e bagna il suo letto col suo pianto. Vedete ancora san Pietro, per un peccato che lo spavento gli ha fatto commettere, il Signore lo perdona. Egli piange il suo peccato per tutta la sua vita con tanta abbondanza che le sue lacrime lasciano traccia sul suo volto. Che fa santa Maddalena dopo la morte del Salvatore? Va a seppellirsi nel deserto ove piange e fa penitenza tutta la sua vita: tuttavia DIO, le aveva certo perdonato, poiché dice ai farisei che molti peccati le erano stati rimessi perché molto aveva amato. Ma senza andare così lontano, fratelli miei, vedete le penitenze che si imponevano nei primi tempi della Chiesa. Vedete se quelle di adesso hanno una qualche proporzione con quelle di quei tempi. Per aver giurato il santo Nome di DIO senza pensarci, ahimè! – ciò che è tanto comune, anche per i  fanciulli che non sanno forse nemmeno una preghiera – lo si condannava a digiunare per sette giorni a pane ed acqua. Per aver consultato un indovino, sette anni di penitenza, per aver lavorato alcun poco la domenica, bisognava far penitenza tre giorni, per aver parlato durante la santa Messa, bisognava digiunare dieci giorni a pane ed acqua. Se nella quaresima si era lasciato di digiunare per un giorno, bisognava digiunare sette giorni. Per aver danzato davanti ad una chiesa in un giorno di Domenica o di festa, si veniva condannati a digiunare quaranta giorni a pane ed acqua. Per essersi presi gioco di un Vescovo e del proprio pastore, volgendo le loro istruzioni in ridicolo, bisognava far penitenza per quaranta giorni. Per aver lasciato morire un bambino senza Battesimo, tre anni di penitenza. Per essersi travestiti nel carnevale, tre anni di penitenza. Per un giovane o una fanciulla che avessero danzato, tre anni di penitenza, e se recidivi, li si minacciava di scomunicarli. Coloro che facevano dei viaggi di domenica o nelle feste senza necessità, sette giorni di penitenza. Una giovane che avesse commesso un peccato contro la purezza con un uomo sposato, dieci anni di penitenza. – Ebbene! Fratelli miei, ditemi, cosa sono le penitenze che ci vengono imposte se le compariamo a quelle di cui abbiamo parlato? Tuttavia la giustizia di DIO è la stessa; i nostri peccati non sono meno terribili agli occhi di DIO, e non meritano meno di esser puniti.

II. – Non dovremmo essere coperti di confusione, nel far quel poco che facciamo, rispetto a quello che facevano i primi Cristiani facendo penitenze così dure e sì lunghe? Ma, mi direte, quali sono dunque le opere con le quali possiamo soddisfare alla giustizia di DIO per i nostri peccati? Se desiderate compierle, nulla di più facile da fare, come vedrete. La prima è la penitenza che il confessore vi impone e che fa parte del Sacramento della Penitenza: se non si ha l’intenzione di compierla con tutto il cuore per quel che si può, la confessione non sarebbe che un sacrilegio; la seconda, è la preghiera; la terza è il digiuno; la quarta è l’elemosina; e la quinta le indulgenze che sono le più facili da compiere e le più efficaci.

Io dico: 1° la penitenza che il confessore ci impone prima di impartirci l’assoluzione, noi dobbiamo riceverla con gioia e riconoscenza, ed adempierla esattamente, per quanto ci è possibile, senza di che, dobbiamo grandemente temere di fare una Confessione sacrilega. Se pensiamo di non poterla fare, bisognerebbe far presente al confessore le nostre ragioni: se egli le trova buone, la cangerà, ma ci sono delle penitenze che il prete non può né deve cambiare. Le penitenze che servono a correggere il peccatore, come ad esempio proibire la bettola ad un ubriacone, la danza alla giovane, o ad un giovane la compagnia di una persona che la trascina al male; obbligare a riparare qualche ingiustizia che si è commessa, a confessarsi spesso perché si è vissuto per un certo tempo nella trascuratezza della propria salvezza. Voi converrete con me che un prete non può, né debba cambiare queste penitenze, ma se esistessero delle ragioni per far cambiare la propria penitenza, bisognerebbe che sia il prete a cambiarla, a men che non sia affatto impossibile, perché un altro confessore non conosce per quale ragione sia stata data. Voi troverete le vostre penitenze lunghe e difficili, fratelli miei? Ma lo dite seriamente? Paragonatele dunque a quelle dell’inferno che avete meritato per i vostri peccati. Ah! con qual gioia un povero dannato, non riceverebbe, fino alla fine del mondo, le penitenze che vi si danno ed ancor più rigorose se a questo prezzo potesse mettere termine al suo supplizio! Quale felicità per lui! Ma questo non gli sarà mai concesso. – Orbene! Fratelli miei, ricevendo la nostra penitenza con gioia, con un vivo desiderio di compierla diligentemente per quanto possiamo, noi ci liberiamo dall’inferno, come se il buon DIO accordasse ai dannati quel che vi ho detto. O mio DIO, quanto il peccatore conosce poco la sua felicità!

Io dico: 1° Noi dobbiamo compiere la penitenza che ci impone il confessore, e l’ometterla sarebbe un grave peccato. Non è che a questa condizione che DIO restituisce la sua grazia al peccatore e che il sacerdote, a suo nome, gli rimette i peccati. Ditemi, fratelli miei, non sarebbe un’empietà non fare la penitenza e sperare ancora nel perdono? È un andare contro la ragione: è un volere la ricompensa senza che nulla ci costi. – Che pensare, fratelli miei, di coloro che non fanno la loro penitenza? Per me, ecco quello che ne penso. Se essi non hanno ancora ricevuto l’assoluzione, questi non hanno il desiderio di convertirsi, poiché rifiutano i mezzi per questo necessari, e quando tornano a confessarsi, il prete deve loro rifiutare l’assoluzione una seconda volta. Ma se il penitente ha ricevuto l’assoluzione ed ha omesso la sua penitenza, è un peccato mortale se i peccati confessati erano mortali, e la penitenza imposta sia in sé considerevole; egli deve ben temere che la sua confessione sia stata sacrilega per la mancanza di una volontà sincera di soddisfare DIO per i suoi peccati. Ma io non parlo qui che di coloro che avrebbero omesso tutta la loro penitenza o una parte considerevole, e nemmeno di coloro che l’avessero dimenticata o che non avessero potuto farla nel momento prescritto. – Di poi, io dico che è necessario compiere la propria penitenza tutta intera nel tempo designato e devotamente. Non bisogna tralasciar nulla di ciò che ci è stato imposto; al contrario, noi dobbiamo aggiungere a quella che il confessore ci ha imposto. San Cipriano ci dice che la penitenza deve eguagliare la colpa, che il rimedio non deve essere da meno del male. Ma, ditemi, fratelli miei, quali sono le penitenze che si impongono? Ah! la recita di qualche Rosario, di qualche litania, qualche elemosina, alcune piccole mortificazioni. Ditemi, tutte queste cose hanno qualche proporzione con i nostri peccati che meritano dei tormenti che non finiranno mai? Ci sono quelli che fanno la loro penitenza camminando o seduti, e questo non si deve fare. La vostra penitenza la dovete compiere in ginocchio, a meno che il sacerdote non vi dica che possiate farla camminando o seduti. Se questo vi è capitato, dovete confessarvene e non rifarlo. – In secondo luogo io dico che bisogna farla nel tempo prescritto, altrimenti voi peccherete, a meno che non aveste potuto fare altrimenti, e allora dirlo al vostro confessore quando ritornate. Ad esempio, egli vi avrà ordinato di fare una visita al Santo Sacramento dopo gli uffici, perché egli sa che voi andate con delle compagnie che non vi porteranno al buon DIO. Egli avrà comandato di mortificarvi in qualche cosa ai vostri pasti, perché siete soggetti all’ingordigia; di fare un atto di contrizione se avete la sventura di ricadere nel peccato che avete già confessato. E quando altre volte aspettate, per compiere la vostra penitenza, il momento in cui siete vicini a confessarvi; voi comprendete così bene come me, che in tutti questi casi, siete ben colpevoli, e non dovete mancare di accusarvi e di non trovarvi più in simili contingenze. – In terzo luogo, io dico che bisogna fare la vostra penitenza devotamente, cioè con pietà, con una disposizione sincera di abbandonare il peccato. Farla con pietà, fratelli miei, vuol dire farla con attenzione dal lato spirituale e con la devozione del cuore. Se farete la vostra penitenza con distrazione volontaria, voi non l’avreste compiuta, e sareste obbligati a rifarla. Farla con pietà, è farla con grande fiducia che il buon DIO perdonerà i vostri peccati per i meriti di Gesù-Cristo che ha soddisfatto per voi con le sue sofferenze e la morte sulla croce. Noi dobbiamo farla con gioia, consci del potere soddisfattorio a DIO che abbiamo offeso, e di trovare mezzi così facili per poter cancellare i nostri peccati che meriterebbero di farci soffrire per tutta l’eternità. Una cosa che non dovete mai dimenticare è che tutte le volte che fate la vostra penitenza dovete dire a DIO: Mio DIO! Io unisco questa leggera penitenza a quella che Gesù-Cristo mio Salvatore vi ha offerto per i miei peccati; ecco quello che renderà la vostra penitenza meritoria e gradita a DIO. – Io dico ancora che noi dobbiamo compiere la nostra penitenza con un vero desiderio di lasciare definitivamente il peccato, qualunque cosa ci costi, fosse anche il soffrire la morte. Se noi non siamo con queste disposizioni, lungi dal soddisfare alla giustizia di DIO, lo oltraggiamo nuovamente, cosa che ci renderebbe ancora più colpevoli. – Io ho detto che non dobbiamo contentarci della penitenza che ci impone il confessore, perché essa non è nulla, o quasi nulla se la compariamo a ciò che meritano i nostri peccati. Se il confessore ci tratta con tanti riguardi, è perché teme di disgustarci dall’operare la nostra salvezza. Se voi avete veramente a cuore la vostra salvezza, voi stessi dovete imporvi delle penitenze. Ecco quelle che meglio vi convengono. Se avete la disgrazia di dare scandalo, bisogna rendervi così vigilanti che il vostro vicino non possa vedere nulla in voi che non lo porti al bene; bisogna che voi mostriate con la vostra condotta che la vostra vita sia veramente cristiana. E se avete la sventura di peccare contro la santa virtù della purezza, bisogna mortificare questo miserabile corpo con dei digiuni, dandogli solo ciò che gli occorre per non togliergli la vita, e perché possa adempiere ai  propri doveri, e di tanto in tanto farlo riposare sul duro. Se voi trovate di aver qualcosa da mangiare che soddisfi la vostra ingordigia, bisogna rifiutarla al vostro corpo e disprezzarla per quanto l’avete amata: egli voleva perdere la vostra anima, bisogna che voi lo puniate. Bisogna che spesso il vostro cuore che ha pensato a cose impure, porti i vostri pensieri nell’inferno, che è il luogo riservato agli impudichi. Se siete attaccato alla terra, bisogna fare delle elemosine quanto più potete per punire la vostra avarizia, privandovi di tutto ciò che non vi è assolutamente necessario per la vita. – Siamo stati negligenti nel servizio di Dio, imponiamoci, per far penitenza, di assistere a tutti gli esercizi di pietà che si fanno nella vostra parrocchia. Io voglio dire, alla Messa, ai Vespri, al Catechismo, alla preghiera, al Rosario, affinché DIO, vedendo la nostra alacrità, voglia perdonarci tutte le nostre negligenze: se abbiamo alcuni momenti liberi tra le funzioni, consacriamoli a qualche lettura di pietà, ciò che nutrirà la nostra anima, soprattutto col leggere qualche vita dei santi nelle quali noi vediamo ciò che essi hanno fatto per santificarsi; questo ci incoraggerà; facciamo qualche piccola visita al Santo Sacramento per chiedergli perdono dei peccati che abbiamo commesso durante la settimana. Se ci sentiamo colpevoli di qualche peccato, andiamocene a liberarci affinché le nostre preghiere e tutte le buone opere siano più gradite a DIO e più vantaggiose per la nostra anima. Abbiamo l’abitudine di giurare, di lasciarci trasportare dalla collera? Mettiamoci in ginocchio per dire questa santa preghiera: Mio DIO, sia benedetto il vostro santo Nome in tutti i secoli dei secoli; DIO mio, purificate il mio cuore, purificate le mie labbra affinché non pronunzi mai parole che vi oltraggino e mi separino da Voi. Tutte le volte che voi ricadrete in questo peccato, bisogna al momento o fare un atto di contrizione, o dare qualche elemosina ai poveri. Avete lavorato di Domenica? Avete venduto o comprate durante questo santo giorno, senza necessità? Date ai poveri un’elemosina che superi il profitto che ne avrete fatto. Avete mangiato o bevuto in eccesso? Occorre che, in tutti i vostri pasti, vi priviate di qualche cosa. Ecco fratelli miei, delle penitenze che non solo possono soddisfare alla giustizia di DIO, se unite a quelle di Gesù-Cristo, ma possono ancora preservarci dal ricadere nei nostri peccati. Se volete comportarvi in tal modo, voi siete sicuro di correggervi con la grazia del buon DIO. – Si, fratelli miei, noi dobbiamo castigarci e punirci per aver fatto il male, questo sarà il vero mezzo per evitare le penitenze ed i castighi dell’altra vita. È vero che ciò costa; ma noi non possiamo esimercene, finché siamo ancora in vita e DIO si accontenta di sì poca cosa. Se noi aspettiamo dopo la morte, non ci sarà più tempo, fratelli miei, tutto sarà finito e non ci resterà che il rimpianto per non averlo fatto. Sentiamo qualche ripugnanza per la penitenza, fratelli miei? Gettiamo gli occhi sul nostro amabile Salvatore, vediamo ciò che Egli ha fatto, ciò che ha sofferto alfine di soddisfare il Padre suo per i nostri peccati. Prendiamo coraggio con l’esempio di tanti illustri martiri che hanno consegnato i loro corpi ai carnefici con tanta gioia. Animiamoci ancora, fratelli miei, con il pensiero delle fiamme divoranti del purgatorio che soffrono le povere anime condannate per peccati forse minori dei nostri. Se vi costa, fratelli miei, far penitenza, voi otterrete la ricompensa eterna che queste penitenze vi meriteranno. 2° Abbiamo detto che potremo soddisfare alla giustizia di DIO con la preghiera, non solo la preghiera vocale o mentale, ma ancora con l’offerta di tutte le nostre azioni, levando di tanto in tanto il nostro cuore al buon DIO durante la giornata, dicendo: mio DIO, voi sapete che è per Voi che io lavoro; Voi mi ci avete condannato per soddisfare alla vostra giustizia per i miei peccati. Mio DIO, abbiate pietà di me che sono un peccatore così miserabile, che mi sono ribellato tante volte contro di Voi che siete il mio Salvatore ed il mio DIO. Io desidero che tutti i miei pensieri, tutti i miei desideri non abbiano che un oggetto e che tutte le mie azioni non siano fatte se non col proposito di piacervi. Quel che piò essere gradito a DIO, è il pensare spesso ai nostri fini ultimi, cioè alla morte, al giudizio, all’inferno che è fatto per la dimora dei peccatori.

3° Io dico che noi possiamo soddisfare alla giustizia di DIO con il digiuno. Si comprende sotto il nome di digiuno, tutto ciò che può mortificare il corpo e lo spirito, come rinunciare alla propria volontà, cosa che è sì gradita a DIO e ci merita più di trenta giorni di penitenza; di soffrire per amor di DIO le ripugnanze, le ingiurie, i disprezzi, le confusioni che crediamo di non meritare; di privarci di qualche visita, come sarebbe andare a vedere i nostri parenti, i nostri amici, le nostre terre ed altre cose simili che ci procurerebbero qualche piacere; di tenerci in ginocchio un po’ più a lungo, perché il corpo che ha peccato soffra in qualche maniera. Io ho pure detto che noi possiamo soddisfare alla giustizia di DIO con l’elemosina come dice il profeta a Nabucodonosor: « … riscatta i tuoi peccati con l’elemosina » (Dan. IV, 21). Ci sono diversi tipi di elemosine: quelle che riguardano il corpo, come dar da mangiare a coloro che non hanno pane; vestire coloro che non hanno di che vestirsi; andare a visitare gli ammalati; dar loro del danaro, rifare il loro letto; tener loro compagnia; preparare i loro farmaci: ecco ciò che riguarda il corpo. Ma ecco quelle che riguardano l’anima e che sono ancor ben più preziose di quelle che non hanno rapporto se non con il corpo. Ma, voi direte, come facciamo l’elemosina spirituale? Eccolo: è quando voi andate a consolare una persona che ha un dolore, che ha subito una perdita; voi la consolate con parole piene di bontà e di carità, facendole ricordare la grande ricompensa che il buon DIO ha promesso a coloro che soffrono per amor suo; che le pene del mondo non sono che un momento, mentre la ricompensa sarà eterna. L’elemosina spirituale è istruire gli ignoranti, che sono queste povere persone che saranno perdute se qualcuno non avrà compassione di loro. Ah! quante persone non sanno cosa fare per essere salvate; che ignorano i principali Misteri della nostra santa Religione; che malgrado tutte le loro pene e le altre buone opere saranno dannate. – Padri e madri, padroni e padrone, dove sono i vostri doveri? Li conoscete un poco? No, io non credo. Se voi li conosceste un poco, qual non sarebbe la vostra alacrità nel vedere se i vostri figli conoscono bene tutto ciò che è necessario della Religione per non andare perduti? Quanti di voi cercherebbero tutti i mezzi possibili per far loro imparare ciò a cui il vostro dovere di padre e di madre vi obbliga! Mio DIO! Quanti giovani perduti per ignoranza! E questo per colpa dei loro genitori che forse, non potendo istruirli da se stessi, non avuto il cuore di affidarli a coloro che potevano farlo, lasciamoli vivere in questo stato e perire per l’eternità. Padroni e padrone, qual elemosina fate a questi poveri domestici, dei quali la maggior parte non sa nulla della loro Religione? Mio DIO! Quante anime che si perdono delle quali i loro padroni e padrone dovranno nel gran giorno rendere conto! Io gli do la sua paga – mi direte – sta a lui farsi istruire, io non lo prendo che per lavorare; egli guadagna solamente ciò che gli do. Voi vi ingannate. Il buon DIO vi ha affidato questo povero giovane. Non solo per aiutarvi a lavorare, ma ancora perché gli insegniate a salvare la propria anima. Ahimè! un padrone ed una padrona possono ben vivere tranquilli vedendo i loro domestici in uno stato di dannazione certa? Mio DIO! Quanto la perdita di un’anima sta loro così poco a cuore! Ah! quante volte le padrone saranno testimoni dei loro domestici che non fanno le loro preghiere né al mattino, né alla sera; e nulla diranno loro, o si contenteranno di pensare: ecco un domestico che non ha gran Religione! Ma senza andare più oltre, basti che faccia bene la vostra opera, voi siete contento. O mio DIO! Qual accecamento? Chi mai potrà comprenderlo? Io dico che un padrone o una padrona dovrebbero avere tanta cura e prendere tante precauzioni nell’istruire o far istruire sia i loro domestici che i loro garzoni, durante tutto il tempo che saranno a loro servizio. DIO ve ne domanderà conto come dei vostri figli, nulla di meno. Voi avete il compito di essere padre e madre; è a voi che DIO chiederà conto. Ahimè! se tanti poveri domestici non hanno Religione, questa sventura è in gran parte dovuta al fatto che essi non sono istruiti. Se voi aveste la carità di istruirli, e far loro conoscere ciò che devono fare per salvarsi, i doveri che hanno da compiere verso DIO, verso il prossimo e verso se stessi, quali siano le verità della nostra santa Religione che bisogna assolutamente conoscere, voi fareste loro aprire gli occhi sulla loro sventura. Ah! Quali ringraziamenti non vi faranno essi per tutta l’eternità, dicendo che dopo DIO, è a voi che sono debitori della loro felicità eterna. Mio DIO! Si possono lasciar perire delle anime così preziose che tanto sono costate a Gesù-Cristo per essere riscattate? Ma voi mi direte, questo è facile da dirsi. Se si vuol parlare loro di Religione, essi non ascoltano se non per burlarsi di voi. Questo è purtroppo vero; ce n’è tanti che sono tanto disgraziati da non voler aprire gli occhi sulla loro disgrazia; ma non tutti: ce ne sono alcuni che sono ben contenti di farsi istruire. Bisogna prenderli con dolcezza, ricordando che, quando crederete che questo non gli servirà a niente, ne sarete tanto più ricompensati che se ne aveste fatti dei santi. Ma non vi ingannate. Prima o poi si ricorderanno di ciò che voi gli avete insegnato; verrà un giorno che essi ne profitteranno e pregheranno per voi il buon DIO. Voi dovete loro ancora l’elemosina delle vostre preghiere. Un padrone o una padrona che ha dei domestici, non deve lasciar trascorrere un giorno senza pregare il buon DIO per essi. Io sono persuaso che ci sono tanti che forse non hanno mai pregato per i loro domestici. Ma, voi mi direte, ben lungi dall’aver pregato per essi, io non vi ho mai pensato. Ah! Fratelli miei, io non credo a questo. Se voi avete vissuto in sì grande ignoranza verso i vostri doveri, sareste da compiangere e degni di estrema compassione. Se un domestico non deve mancare di pregare per i suoi padroni, un padrone, una padrona gli deve la medesima cosa, ed ancor di più perché il domestico non è incaricato dell’anima del suo padrone, mentre il padrone è incaricato dell’anima dei suoi domestici. Mio DIO! Quante persone non conoscono il loro dovere; e di conseguenza, non lo compiono e saranno perduti per l’eternità. Padri e madri, padroni e padrone, non dimenticate questa elemosina spirituale che dovete ai vostri figli ed ai vostri domestici. Voi dovete ancor loro l’elemosina dei vostri buoni esempi che serviranno di guida a loro per andare in cielo. – Ecco, fratelli miei, ciò che io credo sia maggiormente capace di soddisfare alla giustizia di DIO, per i vostri peccati confessati e perdonati. Voi potete di giunta soddisfare alla giustizia di Dio, sopportando con pazienza tutte le miserie che sarete obbligati a soffrire malgrado voi, come le malattie, le infermità, le afflizioni, la povertà, le fatiche che avrete da sostenere lavorando, il freddo, il caldo, gli accidenti che vi incolgono, la necessità di morire. Vedete la bontà di DIO che ci ha fatto la grazia di rendere tutte le nostre azioni meritorie, e degne di evitare tutte le pene dell’altra vita. ma, disgraziatamente, fratelli miei, non è con questo spirito che noi soffriamo i mali che DIO ci invia, come altrettante grazie che Egli ci fa; ahimè! essendo ciechi, su questo ultimo punto, sul nostro bene, noi giungiamo perfino a mormorare ed a maledire la mano di un Padre sì buono che cambia le pene eterne in altre che non sono che di qualche minuto. E noi, fratelli miei, siamo così ciechi intorno nostra felicità? Mettiamo tutto a profitto: malattie, avversità, afflizioni, tutte queste cose sono dei beni che noi accumuliamo per il cielo, o piuttosto che ci esenteranno dal dover soffrire dei tormenti così rigorosi nell’altra vita. Uniamo tutte le nostre pene a quelle di Gesù-Cristo, alfine di renderle meritorie e degne di soddisfare alla giustizia di DIO. Infine il gran mezzo di soddisfare alla giustizia di DIO, è amarlo, avere un vivo pentimento dei nostri peccati, perché Gesù-Cristo ci ha detto che molto sarà rimesso a colui che ama molto, ed a colui che meno ama, meno peccati gli saranno rimessi. (Luc. VII, 47).

5° Noi abbiamo detto che le indulgenze sono dei mezzi molto efficaci per soddisfare alla giustizia di DIO, vale a dire per farci evitare le pene del purgatorio. Queste indulgenze sono composte dai meriti sovrabbondanti di Gesù-Cristo, della Vergine Santa e dei Santi, ciò che costituisce un tesoro inesauribile al quale il buon DIO ci dà il potere di attingere. Per farvelo meglio comprendere, è come se voi foste debitore di venti o trenta lire verso un uomo ricco che vuole essere pagato; voi non avete niente, o vi sarebbe necessario un tempo infinito per saldare il vostro debito. Un ricco ci dice: « Voi non avete di come saldare i vostri debiti? prendete dal mio scrigno ciò che vi è necessario per pagare ciò che dovete. » Ecco precisamente ciò che DIO  fa. Noi siamo nell’impossibilità di soddisfare alla sua giustizia, Egli ci apre il tesoro delle indulgenze nel quale possiamo prendere tutto ciò che ci serve per soddisfare alla giustizia di DIO. Ci sono delle indulgenze parziali, che non rimettono che una parte delle nostre pene, e non tutte, come sono quelle che si guadagnano recitando le litanie del santo Nome di Gesù, e per le quali ci sono 200 giorni di indulgenza; dicendo quelle della Santa Vergine, ci sono 400 giorni, e così di tante altre. Ci sono delle indulgenze quando si dice l’Ave Maria, l’Angelus, i tre atti di fede, di speranza e carità; andando a visitare un ammalato, istruendo un ignorante. Ma le indulgenze plenarie sono la remissione di tutte le pene che noi dobbiamo soffrire in Purgatorio; di modo tale che, dopo esserci confessati di un gran numero di peccati, benché perdonati, ci resta ancora un numero quasi infinito di anni di Purgatorio. Se guadagniamo queste indulgenze plenarie nella loro interezza, noi saremo esenti dal Purgatorio così come un bambino che muore subito dopo il suo Battesimo, o un Martire che dà la sua vita per DIO. Queste indulgenze possono lucrarsi se si è iscritti nella Confraternita del santo Rosario, tutte le prime domeniche del mese, quando si ha la fortuna di confessarsi e comunicarsi, ed in tutte le feste della Santa Vergine; tutte le terze domeniche, se siamo della Confraternita del Santo-Sacramento. Oh! Fratelli miei, quanto è facile liberarsi delle pene dell’altra vita per un Cristiano che profitti delle grazie che il buon DIO gli presenta. Ma bisogna pur dire che per guadagnare tutti questi beni, bisogna essere in stato di grazia, essersi confessati e comunicati, e fare le preghiere che il Santo Padre prescrive; non c’è che la Via Crucis per la quale non c’è bisogno di confessarsi né comunicarsi. Ma bisogna essere sempre esenti da peccato mortale; aver un grande rammarico di tutti i peccati veniali ed essere in una vera risoluzione di non più commetterli. Se avete queste disposizioni, voi potete lucrarle per voi e per le anime del purgatorio. Niente, fratelli miei, è così facile che il soddisfare alla giustizia di DIO, dato che abbiamo tanti mezzi per questo, di modo tale che se andiamo in Purgatorio sarà per nostra propria colpa. Oh! se un Cristiano fosse istruito e volesse profittare di tutto ciò che il buon DIO presenta, quanti tesori egli cumulerebbe per il cielo! DIO mio! Se noi siamo così poveri, è perché noi non vogliamo arricchirci, ma non è ancora tutto. Dopo aver soddisfatto a DIO, bisogna ancor soddisfare il nostro prossimo per il torto che gli abbiamo fatto, sia al corpo, sia alla sua anima. Io dico che si fa torto al suo corpo, cioè alla sua persona, oltraggiandolo sia con parole ingiuriose o sprezzanti, o con cattivi trattamenti. Se abbiamo avuto la sventura di oltraggiarlo con parole ingiuriose, bisogna fargli le scuse e riconciliarsi con lui. Se gli si è fatto torto battendo le sue bestie, ciò che può capitare quando le si trova a fare qualche danno ai nostri raccolti, voi siete obbligati a dargli tutto ciò di cui avete causato la perdita: voi potreste farvi pagare e non maltrattare queste bestie; se voi avete fatto qualche torto, voi siete obbligato a ripararlo per quanto potete, senza che siate grandemente colpevole. Se avete dimenticato di farlo, avete peccato e dovete accusarvene. Se avete fatto torto al vostro prossimo nel suo onore, come ad esempio per una maldicenza, voi siete obbligato a dare buone informazioni per quante di cattive ne abbiate date, nascondendo i difetti che essi potrebbero avere, che non siete obbligati a svelare. Se l’avete calunniato, dovete andare a trovare le persone alle quali avete detto cose false del vostro prossimo e dire loro che tutto quel che avete loro detto, non era vero: che voi ne siete ben convinto, e che li pregate di non crederle. Ma se gli avete fatto questo torto nell’anima, è ancor più difficile riparare, tuttavia bisogna pur farlo per quanto possibile, senza il che, mai il buon DIO ci perdonerà. Bisogna pure esaminarvi caso mai abbiate dato scandalo ai vostri figli o ai vicini. Quanti padri e madri, padroni e padrone che scandalizzano i loro figli e i loro domestici, non facendo preghiere, né mattino né sera, o che le fanno vestendosi, o sdraiati su una poltrona, che non faranno neanche un segno di croce né prima, né dopo aver mangiato. Quante volte li sentiamo giurare e forse anche bestemmiare. Quante volte vi hanno visto lavorare la Domenica mattina, anche prima della Santa Messa. Bisogna ancora esaminare se avete cantato canzoni licenziose, se avete preso libri cattivi, se avete dato cattivi consigli, come dicendo a qualcuno di vendicarsi, di ripagarsi con le proprie mani, o rivolgere ingiurie al prossimo. Voi dovete ancora esaminarvi se non avete preso degli oggetti del vostro vicino che avete dimenticato di restituire; se avete dimenticato di fare qualche elemosina se vi è stata comandata o qualche restituzione da parte dei vostri poveri genitori defunti. Bisogna aver la felicità che i vostri peccati siano perdonati, che non abbiate nulla dei beni del prossimo che voi dovete e potete rendergli; che non abbiate infamato la sua reputazione, bisogna che voi abbiate fatto tutto ciò che potevate per ripararla; bisogna esservi riconciliato con i vostri nemici, parlare loro come se non avessero fatto che del bene nella vostra vita, senza conservare nulla nel vostro cuore se non la carità che un buon Cristiano deve avere per tutti. Bisogna ricevere la vostra penitenza di bon grado, con un vero desiderio di compierla come meglio potete, farla in ginocchio con pietà e riconoscenza, pensando quanto il buon DIO sia buono da contentarsi di così poche cose, e fare in modo che le pene che proviate nel vostro stato, vi servano come penitenza; possiamo lucrare quanto più possiamo indulgenze, affinché dopo la morte abbiamo la sorte di aver soddisfatto a DIO per i nostri peccati, ed al prossimo per i torti che gli abbiamo recati, e che possiamo comparire con fiducia al tribunale di DIO. È la felicità che vi auguro.