MESSA DELLA PURIFICAZIONE DELLA VERGINE (2021)

MESSA della PURIFICAZIONE DELLA VERGINE (2021)

Doppio di 2″ classe. – Paramenti bianchi.

La festa delia Purificazione chiude il Ciclo santoriale del Tempo dopo l’Epifania. È una delle più antiche solennità della Vergine, ed occupava a Roma, nel VII secolo, il secondo posto dopo l’Assunta. Questa festa si celebra il 2 febbraio, poiché, volendo sottomettersi alla legge mosaica, Maria doveva andare a Gerusalemme, 40 giorni dopo la nascita di Gesù (25 dicembre – 2 febbraio) per offrirvi il sacrificio prescritto. Le madri dovevano offrire un agnello, o, se i loro mezzi non lo permettevano, « due tortorelle o due piccioni ». La Santa Vergine portò con sé a Gerusalemme il Bambino Gesù; e la processione della Candelora, ricorda il viaggio di Maria e di Giuseppe da Betlemme al Tempio, alfine di presentarvi « l’Angelo dell’alleanza » (Ep., Intr.), come aveva predetto Malachia. Le Messe dell’Annunciazione, dell’Assunta, della Natività di Maria, dell’Esaltazione della Santa Croce e della Candelora erano accompagnate una volta dalla processione. Questa ultima sola resta. La Purificazione, alla quale la Madre del Salvatore non era obbligata, perché ella partorì in modo straordinario, passa in secondo piano nella liturgia ed è la Presentazione di Gesù che forma l’oggetto principale di questa festa. Rileggiamo la 1° orazione della benedizione delle candele, per comprendere il simbolo della lampada del santuario e dei ceri benedetti in questo giorno, e per ben. conoscere l’uso che bisogna farne al letto del morenti, nelle tempeste e nei pericoli che può incorrere il «nostro corpo e la nostra anima sulla terra e sulle acque ». Se la Purificazione cade in una domenica privilegiata, la festa si celebra il giorno dopo; tuttavia la benedizione delle candele si fa prima della Messa della Domenica.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

BENEDIZIONE DELLE CANDELE

Il celebrante, terminata l’ora di Terza, rivestito di stola e piviale violaceo, con i Ministri, procede alla benedizione delle Candele, poste dal lato dell’Epistola, e stando in piedi dice:

V.: Dóminus vobiscum

R.. Et cum spiritu tuo.

Oratio. –

Domine sancte, Pater omnipotens, ætérne Deus, qui omnia ex nihilo creasti, et jussu tuo per opera apum, hunc liquórem ad perfectiónem cèrei venire fecisti: et qui hodierna die petitiónem justi Simeónis implésti: te humiliter deprecàmur: ut has candélas ad usus hóminum et sanitàtem córporarm, et animàrum, sive in terra, sive in aquis, per inocatiónem tui sanctissimi nóminis, et per intercessiónem beàtæ Mariæ semper Virginis, cujus hodie festa devòte celebrantur, et per preces omnium sanctórum tuórum, benedicere, et sanctificàre dignéris: et hujus plebis tuæ, quæ illas honorifice in manibus desiderat portare, teque cantando laudare, exaudias voces de cœlo sancto tuo, et de sede majestatis tuæ: et propitius sis òmnibus clamàntibus ad te, quos redemisti pretioso sanguine Filli tui, Qui tecum vivit ….

[Orazione. – O  Signor santo, Padre onnipotente, eterno Dio, te che tutto creasti dal nulla e mediante l’opera delle api, per comando tuo, facesti si che d’una molle sostanza si potessero formare dei ceri; te che oggi compisti i voti del giusto Simeone, noi ti supplichiamo di benedire e santificare queste candele, destinate ad uso degli uomini, a salute dei corpi e delle anime, sia in terra che sulle acque, mediante l’invocazione del tuo santissimo nome, l’intercessione della beata Maria sempre Vergine, di cui oggi si celebra devotamente la festa, e le preghiere di tutti i tuoi Santi. Di questo popolo tuo, che brama portare queste candele in mano in tuo onore e lodarti coi suoi canti, esaudisci le preghiere dai cielo e sii propizio a tutti quelli che t’invocano e che hai redento col sangue prezioso del Figlio tuo: Il quale teco vive e regna… – Cosi sia.]

Oratio –

Omnipotens sempitèrne Deus, qui hodiérna die Unigénitum ulnis sancti Simeónis in tempio sancto tuo suscipiéndum presentasti: tuam sùpplices deprecàmur cleméntiam; ut has candélas, quas nos fàmuli tui, in tui nóminis magnificéntiam suscipiéntes, gestàre cùpimus luce accénsas, benedicere, et sanctificàre, atque lùmine supérnæ benedictiónis accèndere dignéris: quàtenus  eas tibi Domino Deo nostro offerendo, digni et sancto igne dulcissimse caritàtis tuæ succénsi, in tempio sancto gióriæ tuæ repræsentàri mereàmur.

Per eùmdem Dóminum nostrum. – Amen.

[Orazione. – Onnipotente ed eterno Dio, che oggi presentasti il tuo Unigenito nel tempio santo tuo per essere ricevuto tra le braccia del santo Simeone, noi preghiamo supplichevoli la tua clemenza affinché queste candele, che noi tuoi servii ricevendole al gloria del tuo santo nome bramiamo portare accese, benedica e santifichi. Degnati di accenderle con il fuoco della benedizione celeste, di modo che, con l’offrirle a te, Signore e Dio nostro, degni e accesi dal santo fuoco  della dolcissima carità, meritiamo di essere presentati nel tempio della tua gloria! – Per il medesimo Signor nostro. – Cosi sia.]

Oratio. –

Dòmine, Jesu Christe, lux vera, quæ illùminas omnem hominem veniéntem in hunc mundum: effùnde benedictiónem tuam super céreos, et sanctifica eos lùmine gràtiæ tuæ, et concede propitius; ut, sicut hæc luminària igne visibili accénsa noctùrnas depéllunt ténebras; ita corda nostra invisibili igne, id est, Sancti Spiritus splendóre illustrata, omnium vitiórum cæcitàte càreant: ut, purgato mentis óculo, ea cernere possimus, quæ tibi sunt plàcita, et nostræ saluti utilia; quàtenus post discrimina, ad lucem indeficéntem pervenire mereàur. Per te, Christe Jesu, Salvator mundi, qui in Trinitate perfécta vivis et regnas Deus, per omnia sæcula sæculórum. Amen.

[O Signore Gesù Cristo, luce vera, che illumini ogni uomo che viene in questo mondo, benedici questi ceri e santificali con il lume della tua grazia. Concedi propizio che, come questi lumi accesi da un fuoco visibile fugano le tenebre, cosi i nostri cuori, rischiarati da un fuoco invisibile, cioè dalla luce dello Spirito Santo, siano liberi della cecità di ogni vizio, onde, purificato l’occhio della nostra mente, possiamo discernere quelle cose che sono gradite ed utili alla nostra salvezza, di modo che dopo le caliginose vicende di questo secolo, meritiamo di pervenire alla luce indefettibile. – Per te, Gesù Cristo, Salvatore del mondo, che nella Trinità perfetta vivi e regni Dio nei secoli dei secoli. – Cosi sia.]

Oratio. –

Omnipotens sempiterne  Deus, qui per Moysen fàmulum tuum purissimum ólei liquórem ad luminaria ante conspectum tuum jùgiter concinnànda præparàri jussisti: benedictiónis tuæ gratiam super hos céreos benignus infùnde: quàtenus sic administrent lumen exterius, ut, te donante, lumen Spiritus tui nostris non desit méntibus intérius.

Per Dóminum… in unitàte ejùsdem Spiritus Sancti.  Amen.

[Orazione. – Onnipotente eterno Dio, che per mezzo di Mosè tuo servo, comandasti di preparare un purissimo olio per alimentare continuamente lumi davanti alla tua maestà, infondi benigno la grazia della tua benedizione sopra questi ceri, affinché, mentre procurano la luce esterna, per tuo dono non manchi alle nostre menti la luce interiore del tuo Spirito. Per il Signor nostro… in unione dello stesso Spirito Santo. – Cosi sia.]

Oratio. –

Dòmine Jesu Christe, qui hodiérna die in nostræ carnis substàntia inter hómines appàrens, a paréntibus in templo es præsentàtus: quem Simeon veneràbilis senex, lumine Spiritus tui irradiàtus, agnóvit, suscépit, et benedixit: præsta propitius; ut ejùsdem Spiritus Sancti gràtia illuminati atque edócti, te veràcitar agnoscàmus, et fidéliter diligàmus: Qui cum Deo Patre in unitàte ejùsdem Spititus Sancti vivis et regnas Deus, per omnia sæcula sæculórum. Amen

[Orazione. – O Signore Gesù Cristo, che oggi, mostrandoti fra gli uomini nella sostanza della nostra carne, fosti presentato al tempio dai parenti e dal vecchio venerabile Simeone, illuminato dalla luce del tuo Spirito, fosti riconosciuto, preso (fra le sue braccia) e benedetto, concedi propizio che, illuminati ed ammaestrati dalla grazia dello Spirito Santo conosciamo veramente e amiamo fedelmente Te, che con Dio Padre in unità dello stesso Spirito Santo vivi e regni Dio, per tutti i secoli. – Così sia.]

Il Celebrante pone l’incenso nel turibolo, asperge d’acqua benedetta le candele, dicendo l’Antifona: Asperges me senza il Salmo e dopo le incensa. Allora si avvicina all’Altare il più degno del Clero e porge la candela al Celebrante, il quale la riceve stando in piedi e senza baciargli la mano. Poscia il Celebrante distribuisce le candele cominciando dal più degno del Clero, poi ai Ministri sacri, agli altri del Clero e da ultimo ai laici. Tutti ricevono la candela genuflessi e baciano la candela e la mano del Celebrante, eccetto i Prelati.

Antifona: Lumen ad revelatiónem géntium: et glóriam plebis tuæ Israel.

Cant. – ibid., 29, 31.

Nunc dimittis servum tuum, Domine, secùndum verbum tuum in pace.

Ant. – Lumen…

Quia vidérunt óculi mei salutare tuum.

Ant. – Lumen…

Quod parasti ante fàciem omnium populórum.

Ant. – Lumen…

Glòria Patri et Filio et Spiritui Sancto.

Ant. – Lumen…

Sicut erat in principio, et nunc, et semper, et in sæcula sæculórum. Amen.

Ant. – Lumen…

Ant. – Ps. XLIII, 26. Exsurge, Dòmine, àdjuva nos: et libera nos propter nomen tuum

Ps. – Ibid., 2. Deus, àuribus nostris audivimus: patres nostri annuntiavérunt nobis. f. Glòria Patri.

– Exsùrge …

[Sorgi, o Signore, aiutaci e liberaci per il tuo nome. Aiutaci e liberaci per il tuo nome. Sai. – O Dio, abbiamo sentito con le nostre orecchie i nostri padri ci raccontarono i prodigi da te operati a nostro favore. – f. Gloria al Padre. Sorgi…]

Oratio. –

Exàudi, quæsumus, Dòmine, plebem tuam: et, quæ extrinsecus annua tribuis devotióne venerari, intérius àssequi gràtiæ tuæ; luce concède. Per Christum Dóminum nostrum. R. Amen.

[Orazione. – Esaudisci, ti preghiamo, o Signore, il tuo popolo: e ciò che gli concedi di venerare esteriormente con annua devozione, concedi pure di conseguire interiormente con la luce della tua grazia. Per Cristo nostro Signore. Cosi sia.

Quindi si fa la Processione: prima, però, il Celebrante pone l’incenso nel turibolo, poi il diacono rivolto al popolo dice:

V. Procedamus in pace.

R. In nomine Christi. Amen.

Precede il turiferario, segue il Suddiacono, che porta la croce fra ceroferari, poi il Clero ed ultimo il Celebrante col Diacono alla sinistra; tutti portano le candele accese e si cantano le seguenti Antifone:

Ant. – Adórna thàlamum tuum, Sion, et sùscipe Regem Christum: amplectere Mariam, quæ est cœlestis porta: ipsa enim portat  Regem gloriæ novi luminis: subsistit Virgo, adducens manibus Filium ante luciferum génitum: quem accipiens Simeon in ulnas suas, prædicàvit pópulis, Dóminum eum esse vitæ et mortis, et Salvatórem mundi.

[Ant. – Adorna il tuo talamo o Sion, e ricevi il Cristo Re: accogli con amore Maria, porta del cielo: Ella infatti reca il Re della gloria, la luce nuova. La Vergine si arresta,

presentando sulle braccia il Figlio, generato prima dell’aurora. Simeone ricevendolo fra le sue braccia, annunzia ai popoli esser Egli il Signore della vita e della morte, il Salvatore del mondo.]

Alia Ant. – Luc. II, 26-29

Respónsum accépit Simeon a Spiritu Sancto, non visùrum se mortem, nisividéret Christum Domini: et cum indùcerent puerum in templum, accepit eum in ulnas suas, et benedixit Deuin, et dixit: Nunc dimittis servum tuum, Dòmine, in pace.

t . Cum indùcerent pùerum Jesum paréntes ejus, ut

fàcerent secùndum consuetùdinem legis prò eo, ipse accépit eum in ulnas suas.

[Altra ant. Altra Ant. – Lo Spirito Santo aveva rivelato a Simeone che non sarebbe morto, prima di vedere l’Unto del Signore: e quando il bambino fu portato al tempio

lo prese fra le sue braccia, benedisse Dio e disse: Ora lascia, o Signore, che se ne vada in pace il tuo servo.

V. Quando i parenti recarono il bambino Gesù, per compiere a suo riguardo le prescrizioni della legge, Simeone lo accolse fra le sue braccia.]

Nel rientrare in chiesa si canta.

Obtulerunt pro eo Dòmino par tùrturum, aut duos pullos columbàrum: * Sicut scriptum est in lege Dòmini.

f. Postquam impléti sunt dies purgatiónis Mariæ, secùndum legem Móysi, tulérunt Jesum in Jerùsalem, ut sisterent eum Domino. * Sicut scriptum est in lege Dòmini, f. Glòria Patri… * Sicut scriptum est in lege Dòmini.

[Offrirono per lui al Signor un paio di tortore o duepiccoli colombi: come è scritto nella legge del Signore.

f. Compiuti i giorni della purificazione di Maria, Gesù secondo la legge di Mosè, fu portato a Gerusalemme, per esser presentato al Signore: come è scritto nella legge Signore. – f. Gloria al Padre …

Come è scritto nella legge del Signore]

Terminata la Processione, Celebrante e Ministri depongono i paramenti violacei ed assumono i paramenti bianchi per la Messa.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XLVII: 10-11.

Suscépimus, Deus, misericórdiam tuam in médio templi tui: secúndum nomen tuum, Deus, ita et laus tua in fines terræ: justítia plena est déxtera tua.

[Abbiamo conseguito, o Dio, la tua misericordia nel tuo tempio: secondo il tuo nome, o Dio, la tua lode andrà fino ai confini della terra: le tue opere sono piene di giustizia.]

Ps XLVII:2.

Magnus Dóminus, et laudábilis nimis: in civitáte Dei nostri, in monte sancto ejus.

Grande è il Signore e sommamente lodevole: nella sua città e nel suo santo monte.

Suscépimus, Deus, misericórdiam tuam in médio templi tui: secúndum nomen tuum, Deus, ita et laus tua in fines terræ: justítia plena est déxtera tua.

 [Abbiamo conseguito, o Dio, la tua misericordia nel tuo tempio: secondo il tuo nome, o Dio, la tua lode andrà fino ai confini della terra: le tue opere sono piene di giustizia.]

Oratio

Orémus.

Omnípotens sempitérne Deus, majestátem tuam súpplices exorámus: ut, sicut unigénitus Fílius tuus hodiérna die cum nostræ carnis substántia in templo est præsentátus; ita nos fácias purificátis tibi méntibus præsentári.

[Onnipotente e sempiterno Iddio, supplichiamo la tua maestà onde, a quel modo che il tuo Figlio Unigenito fu oggi presentato al tempio nella sostanza della nostra carne, cosí possiamo noi esserti presentati con ànimo puro.]

Lectio

Léctio Malachíæ Prophétæ.

Malach III: 1-4.

Hæc dicit Dóminus Deus: Ecce, ego mitto Angelum meum, et præparábit viam ante fáciem meam. Et statim véniet ad templum suum Dominátor, quem vos quæritis, et Angelus testaménti, quem vos vultis. Ecce, venit, dicit Dóminus exercítuum: et quis póterit cogitáre diem advéntus ejus, et quis stabit ad vidéndum eum? Ipse enim quasi ignis conflans et quasi herba fullónum: et sedébit conflans et emúndans argéntum, et purgábit fílios Levi et colábit eos quasi aurum et quasi argéntum: et erunt Dómino offeréntes sacrifícia in justítia. Et placébit Dómino sacrifícium Juda et Jerúsalem, sicut dies sǽculi et sicut anni antíqui: dicit Dóminus omnípotens.

[Questo dice il Signore Iddio: Ecco, io mando il mio Angelo, ed egli preparerà la strada davanti a me. E subito verrà al suo tempio il Dominatore che voi cercate, e l’Angelo del testamento che voi desiderate. Ecco, viene: dice il Signore degli eserciti: e chi potrà pensare al giorno della sua venuta, e chi potrà sostenerne la vista? Perché egli sarà come il fuoco del fonditore, come la lisciva del gualchieraio: si porrà a fondere e purgare l’argento, purificherà i figli di Levi e li affinerà come l’oro e l’argento, ed essi offriranno al Signore sacrifici di giustizia. E piacerà al Signore il sacrificio di Giuda e di Gerusalemme, come nei secoli passati e gli anni antichi: così dice Iddio onnipotente.]

Graduale

Ps XLVII:10-11;9.

Suscépimus, Deus, misericórdiam tuam in médio templi tui: secúndum nomen tuum, Deus, ita et laus tua in fines terræ.

 [Abbiamo conseguito, o Dio, la tua misericordia nel tuo tempio: secondo il tuo nome, o Dio, la tua lode andrà fino ai confini della terra.

V. Sicut audívimus, ita et vídimus in civitáte Dei nostri, in monte sancto ejus.

V. Ciò che sentimmo, ora lo abbiamo visto: nella città del nostro Dio, nel suo monte santo. Alleluia, alleluia.

Allelúja, allelúja.

V. Senex Púerum portábat: Puer autem senem regébat. Allelúja.

V. Il vecchio portava il Bambino: ma il Bambino reggeva il vecchio. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam.

Luc II: 22-32.

In illo témpore: Postquam impleti sunt dies purgatiónis Maríæ, secúndum legem Moysi, tulérunt Jesum in Jerúsalem, ut sísterent eum Dómino, sicut scriptum est in lege Dómini: Quia omne masculínum adapériens vulvam sanctum Dómino vocábitur. Et ut darent hóstiam, secúndum quod dictum est in lege Dómini, par túrturum aut duos pullos columbárum. Et ecce, homo erat in Jerúsalem, cui nomen Símeon, et homo iste justus et timorátus, exspéctans consolatiónem Israël, et Spíritus Sanctus erat in eo. Et respónsum accéperat a Spíritu Sancto, non visúrum se mortem, nisi prius vidéret Christum Dómini. Et venit in spíritu in templum. Et cum indúcerent púerum Jesum parentes ejus, ut fácerent secúndum consuetúdinem legis pro eo: et ipse accépit eum in ulnas suas, et benedíxit Deum, et dixit: Nunc dimíttis servum tuum, Dómine, secúndum verbum tuum in pace: Quia vidérunt óculi mei salutáre tuum: Quod parásti ante fáciem ómnium populórum: Lumen ad revelatiónem géntium et glóriam plebis tuæ Israël.

[In quel tempo: Compiutisi i giorni della purificazione di Maria, secondo la legge di Mosè, portarono Gesù a Gerusalemme per presentarlo al Signore, come è scritto nella legge di Dio: Ogni maschio primogenito sarà consacrato al Signore; e per fare l’offerta, come è scritto nella legge di Dio: un paio di tortore o due piccoli colombi. Vi era allora in Gerusalemme un uomo chiamato Simone, e quest’uomo giusto e timorato aspettava la consolazione di Israele, e lo Spirito Santo era in lui. E lo Spirito Santo gli aveva rivelato che non sarebbe morto prima di vedere l’Unto del Signore. Condotto dallo Spirito andò al tempio. E quando i parenti vi recarono il bambino Gesù per adempiere per lui alla consuetudine della legge: questi lo prese in braccio e benedisse Dio, dicendo: Adesso lascia, o Signore, che il tuo servo se ne vada in pace, secondo la tua parola: Perché gli occhi miei hanno veduta la salvezza che hai preparato per tutti i popoli: Luce per illuminare le nazioni e gloria del popolo tuo Israele.]

OMELIA I

PURIFICAZIONE DELLA VERGINE

(B. Bossuet: LA MADONNA DISCORSI – V. Gatti ed. , Brescia, 1934

N. H: P. Guerrini cens. Eccl. Brescia 19 Maggio 1934

Imprimatur Brixiæ, die 19 Marialis 1934

ÆM. Bongiorni, Vic. Gen.)

Postquam impleti sunt dies purgationis eius secundum legem Moysi, tulerunt illum in Jerusalem ut sisterent eum Domino: sicut scriptum est in lege Domini.

(Luca, II, 22-23).

Teodosio imperatore diceva, che nulla vi è di più maestosamente regale di un principe che si riconosce obbligato alla legge. Il genere umano non potrà mai ammirare spettacolo più grande di quanto contempla la giustizia in trono: né potrà immaginare nulla di più maestoso ed augusto che l’accordo tra potenza e ragione, che felicemente fa concorrere all’osservanza della legge, il comando e l’esempio. Spettacolo meraviglioso un principe ossequiente alla legge come fosse l’ultimo dei sudditi: ma certo più ammirabile il contemplare un Dio sottomettersi alle leggi ch’Egli stesso dettò alle sue creature! Ci sarebbe possibile comprendere di più l’obbligo che ci lega alla legge, che considerando il mistero d’oggi, in cui un Dio si sottomette alla legge per dare all’umanità un luminoso esempio di obbedienza? Oh Dio quanto sei ammirabile nei tuoi disegni! Cristo Gesù viene a perfezionare la legge mosaica, che sostituirà con una economia di perfezione divina, ma fino a che la legislazione ebraica rimarrà in vigore Egli rispetterà il nome e la persona rivestita dell’autorità legale: la osserverà Egli stesso la legge e vorrà la osservi fedele la sua Madre divina. Ed allora, ditemi, non dovremo noi osservare, con religiosa esattezza, i precetti che il Cristo, apportatore di lieta novella, scrisse più col Sangue suo che colla parola e l’insegnamento? – Nella festa d’oggi non saprei quale omaggio migliore possa render un sacerdote alla sua missione, che mostrare a tutto il suo popolo come tutti ed ognuno abbiamo dovere di dipendenza da Dio e dalla sua legge universale e suprema! Sento di doverlo fare e certo riuscirò a rendervene convinti se la Vergine che oggi a noi mostrasi esempio di obbedienza alle prescrizioni legali, mi verrà in aiuto: invochiamola insieme con una Ave Maria! – Fra le diverse leggi che governano la natura, se vogliamo porre un rapporto troviamo subito che vi è una legge che guida ed una che costringe: una che ci tenta e seduce. Nelle Sacre Scritture, nei comandi del Signore, si vede la legge di giustizia che ci dirige: negli affari che ci premono, nelle vicende che attraversiamo necessariamente ogni giorno, nelle tristi condizioni della nostra povera umanità quotidianamente esperimentiamo la cruda necessità di una legge, vorrei dire fatale, che ci violenta. Anzi in noi stessi, nelle nostre membra e nel nostro spirito, è un imperioso allettamento che ci seduce, più ancora ci trascina o spinge al male: la confessava l’Apostolo questa legge, che egli chiama legge del peccato, che è continua tentazione alla nostra fragile natura d’uomini. Leggi diverse che ci impongono tre diversi modi d’azione: se vogliamo corrispondere fedelmente alla grazia della vocazione alla fede del Cristo, dobbiamo lasciarci guidare docili dai precetti che ci guidano, elevarci al di sopra delle tristi necessità che ci premono, resistere fortemente agli assalti del senso che ci inganna. – Gesù, la Vergine santa, il vecchio Simeone, Anna la profetessa vedova, ci insegnano tutto ciò nella festa di questo giorno: il vangelo della Messa ci riporta le loro parole ed i loro atti per inspirare il nostro modo d’agire verso le leggi che abbiamo constatate. Il Verbo incarnato e la sua santa Madre si sottomettono ai precetti che Dio aveva dato al suo popolo. Simeone, vecchio d’animo forte, che ormai nulla più tien legato alla vita, accettando tranquillo la legge della morte, si strappa alle necessità della vita, imparandoci a considerarle come legge inevitabile a cui dobbiamo adattarci con coraggio. Ed Anna, penitente e mortificata, ci mostra nei suoi sensi domati la vittoria sulla legge del peccato. Esempi memorabili d’una potente efficacia, che mi offrono l’occasione di mostrarvi oggi come dobbiamo noi tutti sottometterci alla legge della verità che ci guida: come dobbiamo sfruttare la legge della necessità che ci incatena, resistere infine alla voce del male che ci tenta ed alla legge del peccato che ci tiranneggia.

1° punto.

La libertà è nome caro, dolce ma insieme nome il più lusinghiero ed ingannatore tra tutti quelli che si usano tra gli uomini. Le rivolte, i tumulti, le sedizioni, il disprezzo e la violazione delle leggi nacquero sempre e crebbero nel nome dell’amore o del diritto alla libertà. Hanno gran quantità di beni gli uomini.. ma di nessuno abusano tanto quanto di questo gran dono: la libertà: e proprio tra tutte le cose che conoscono, la libertà è quella che conoscono meno e svisano di più. Vi faccio subito vedere un’aberrazione, che pare un paradosso: noi non perdiamo mai tanto la nostra libertà, come quando la vogliamo esageratamente estendere: e noi non sappiamo meglio conservarla che imponendole termini fissi entro cui si agiti: come conseguenza vi dirò che la vera libertà sta nella sottomissione alle leggi giuste. Se parlo del dono, e lo dico grande, della libertà, voi capite subito, o Cristiani, che accanto alla vera libertà, ve n’è una falsa: lo possiamo ben capire dalle stesse parole del Salvatore che ci avvisa: « si vos Filius liberaverit, tunc vere liberi eritis ». Sarete veramente liberi se avrete la libertà data dal Figliol dell’Uomo. (Giov., VIII). Nel dire: veramente liberi, parla di vera libertà; dice quindi, che ve n’è una falsa… una maschera di libertà! Egli vuole pertanto che le nostre aspirazioni non siano volte ad ogni forma di emancipazione ed indipendenza, ma alla vera libertà: libertà degna di questo nome sacro: quella cioè che a noi fu data dalla sua grazia e dalla sua dottrina: « tunc vere liberi eritis ». Non ci inganni dunque né il nome né l’aspetto della libertà: bisogna imparar subito a sceverare il vero dal falso. Perché lo possiamo nettamente, o Cristiani, vi descrivo tre sorta di libertà, che possiamo ben trovare nelle creature: la prima è la libertà degli animali; la seconda quella dei ribelli; la terza è la libertà dei sudditi e dei figlioli. – Sembra che gli animali siano completamente liberi perché nessuno detta loro alcuna legge: i ribelli credono di esserlo perché scuotono ogni giogo: i figlioli ed i sottomessi, i figli di Dio sono i veramente liberi, perché umilmente si sottomettono all’autorità della sua legge. Questa è la vera e la sola libertà: non ci sarà difficile il provarlo, quando proveremo che le altre due non sono affatto libertà.

La libertà dei bruti — veramente, fratelli, io mi sento arrossire in viso, chiamandola così — sento che avvilisco questo nome sacro! È vero: gli animali non hanno legge alcuna che reprima e limiti i loro appetiti, o li diriga: ma il perché è questo: Essi essendo privi di intelligenza non sono nemmeno capaci della direzione della legge. Sono guidati da un istinto cieco, e vanno dove questo li spinge, senza direzione né  criterio… Vorreste voi dirlo libertà un istinto cieco e brutalmente irruente che non è neppur suscettibile di norma e di guida, di freno? Oh figli d’Adamo che un Dio fece a sua immagine e somiglianza… non permetta questo Dio, che vi attragga questa libertà e vi adattiate ad amarla una libertà così vergognosa ed umiliante! Eppure… cosa sentiamo noi ogni giorno dalla bocca della gente del mondo? non sono quelli che trovano inutili le leggi, che tutte le vorrebbero abolite, tranne quelle dettate dal loro io a se stessi e dai loro desideri senza freno? Sarebbe molto piccolo il passaggio per costoro ad invidiare la libertà del bruto e dell’animale selvaggio, ormai essi non accettano altra legge che quella dei loro desideri!… Oh povera natura umana quanto vieni prostituita! Sentiamo però, o Cristiani, la parola del dotto Tertulliano: egli: che ben aveva compresa la dignità umana, scriveva nel secondo libro contro Marcione, un vero capolavoro di dottrina e di alto parlare, questa sentenza : « Era necessario che Dio desse all’uomo delle leggi, non per togliergli la libertà data, ma per dargli prova di stima. « Legem… bonitas erogavit, quo Deo adhæreret, ne non tam liber quam abiectus viveretur ». Davvero sarebbe stata atroce offesa alla nostra natura la libertà di vivere senza legge: Dio avrebbe mostrato tutto il suo disprezzo per l’uomo se non si fosse degnato di regolarlo dettandogli norme di vivere. L’avrebbe posto al livello dei bruti, ai quali non dà leggi e li lascia vivere senza freni, non per altro che per il disprezzo che ne ha, dice lo stesso Tertulliano. Ed allora quando gli uomini si lamentan della legge loro data, e braman una vita senza freno né guida, spinta solo dai loro ciechi desideri, bisogna proprio dire col Salmista che hanno perduto l’idea ed il concetto d’onore e della dignità della natura umana, se bramano essere uguagliati ai bruti! « Homo curri in honore esset, non intellexit, comparatus est jumentis insipientibus et similis factus est illis » (Ps., XLVIII). Cieca insipienza, descritta da un amico del paziente Giobbe : — Vir vanus in superbiam erigitur, et tamquam pullum onagri se liberum putat natum.— L’umano sciocco è irragionevole, portato da stolta superbia, crede, come il puledro dell’asino selvatico, d’esser nato in libertà! Osserviamo, fratelli, i sentimenti dei peccatori, (furono tante volte anche i nostri), quando ciechi si tengono a guida il loro capriccio, la loro passione, la collera, il piacere, la sbrigliata fantasia: e mordono il freno e ricalcitrano contro ogni legge e non vogliono sopportar dettami che li guidino o regolino! Si stimano d’esser nati in piena libertà, non come gli uomini però, ma come gli animali…i più indomiti… i figli dell’asino selvatico, che non vogliono né redini né sella né una mano che li guidi!Oh uomini, no, no, non dobbiamo considerarci cosi vergognosamente bassi! È vero: siamo nati liberi: ma la libertà non deve essere abbandonata a se stessa, sotto pena di vederla degenerare nel libertinaggio che è il carnefice della vera libertà. Abbiamo bisogno di legge, perché noi abbiamola ragione e siamo suscettibili di indirizzo, di guida di norme che ci regolino: ed il Salmista Io domanda al Signore quando prega per il popolo eletto: « Manda, o Signore, un legislatore al tuo popolo, perché le genti conoscan ch’essi sono uomini» (Ps., XX) … date loro prima Mosè che guiderà la loro fanciullezza…; darete poi il santo Legislatore, Gesù Cristo che, fatto adulto il popolo, lo ammaestrerà nella vostra legge, lo condurrà per la via della perfezione!… Mostrerete così che voi sapete che il vostro popolo è fatto d’uomini… creature vostre da Voi fatte a vostra immagine e somiglianza e le cui opere e costumi volete modellati su di una legge che è vostra parola, eterna verità. Ma se è necessario assolutamente che Dio, Creatore dell’uomo, gli dia una legge, è necessario insieme però che la volontà umana vi si sottometta pienamente.Ecco allora la Vergine che nel mistero di questo giorno ci dà luminoso esempio di obbedienza perfetta. Pura come il raggio del sole, Ella si sottomette umile alla legge della purificazione. Anzi Ella porta al tempio lo stesso Salvatore, perché la legge lo comanda, ed Egli non disdegna, Egli autore della legge, innocente sottoporsi alle prescrizioni dettate per i sudditi nati nella colpa. Ci insegnino questi esempi che la dobbiamo veramente amare la nostra libertà… ma amarla sottomettendola a Dio, persuasi che le sue leggi non la inceppano ma la fanno più perfetta più sicura. Quando da l’una e dall’altra parte d’un fiume si costruiscono gli argini né si vuol fermare il fiume, né ostacolarlo nel suo corso, anzi, impedendogli di spargersi nelle campagne e sparire, lo si fa scorrere nel suo letto e correre tranquillo al mare!Alla stessa guisa quando le leggi a destra ed a sinistra stringono la nostra libertà, non la distruggono ma la incanalano, e mentre le impediscono di deragliare, le fanno seguir la via giusta che deve battere per riuscire dono benefico alla nostra natura: non la si fa schiava, la si guida…: non la si costringe, la si dirige. La distruggono coloro soltanto che stornandola dal suo corso naturale, il fine cioè per cui Dio ce la donò, l’allontanano dal bene sommo a cui tende.Ecco allora, o fratelli, che la vera libertà ci viene data e conservata da Dio e dalla nostra dipendenza da Lui. Il rifiutare obbedienza, o miei cari, alla legge ed autorità di Dio, non è libertà ma ribellione, non è emancipazione ma insolenza! Apriamo gli occhi, apriamoli con coraggio, o fratelli, e vediamo quale sia la vera libertà nostra: siamo fatti liberi non per scuotere il giogo, ma per portarlo con onore, portandolo volontariamente. Abbiamo la libertà ma essa non deve essere la licenza di fare il male, ma di fare il bene pur potendo abusarne e fare il male, perché facendo noi liberamente il bene, questo ridondi a nostro onore e gloria: liberi non per rifiutare a Dio il nostro servizio, ma per servirlo volontariamente e farcelo, per così esprimerci, riconoscente, debitore come il padrone verso il servo fedele! Senza confronto noi siamo più sottoposti a Dio di quanto un fanciullo può essere sottoposto all’autorità di suo padre. Che se, osserva Tertulliano, Dio donandoci la libertà in un certo modo ci emancipò, non volle certo renderci indipendenti: lo fece perché, volontaria la nostra dipendenza, per libera nostra elezione gli rendessimo quanto per dovere gli dobbiamo e così i nostri servigi fossero meritevoli di ricompensa. Ecco perché siamo liberi, o fratelli. Ma, oh Dio. quale abuso tra gli uomini di questo dono del cielo! Come ha ragione il grande Papa Innocenzo IV, quando lamenta « che l’uomo è stranamente ingannato dalla sua stessa libertà — sua in æternum libertate deceptus! » Altro non vuol dire il Santo Pontefice che l’uomo non volle, non seppe distinguere tra libertà ed indipendenza, e non ricordò che esser libero non voleva dire essere senza padrone: mentre l’uomo è libero come il suddito sotto il legittimo principe, il figlio sotto l’autorità paterna.Egli invece volle esser libero fino a disconoscere la sua condizione e perdere completamente il rispetto: la sua fu la libertà del ribelle mentre doveva essere quella d’un buon figliolo e d’un suddito fedele.

La potenza di Colui contro del quale si alza sfacciato non permette che il ribelle gusti a lungo la sua licenza… È S. Agostino che parla. Sentite: « Altre volte, io volli essere libero a questo modo…e accontentai i miei desideri, seguii le mie folli passioni! Ma ahi triste libertà… facendo quello che volevo ruinavo là dove non avrei voluto » (Conf., VIII, V). Eccovi fedelmente ritratto il domani di tutti i peccatori! Consideriamo questo uomo troppo libero, di cui vi ho parlato fino ad ora, che nulla mai nega né al capriccio né alla passione: sprezza e spezza ogni vincolo di legge: ama ed odia, si vendica a seconda che ve lo spinge il suo umore tetro o lieto lasciando correre il suo cuore dove il piacere l’attira: credere spirare un’aria di piena libertà perché corre a destra ed a sinistra coi suoi desideri incerti e vaghi…e chiama libertà quello che è traviamento, proprio come i fanciulli che fuggiti da casa credono esser liberi e non sanno dove fuggano e vadano. Si stima libero il peccatore, stima questo far quel che vuole, libertà; ma quanto lo tradisce questa maschera di libertà: nel fare a suo modo, fatto cieco, precipita là dove non avrebbe voluto scendere affatto. Perché, o signori miei, in un governo perfetto la legge non può essere senza la forza della sanzione: le sue leggi sono forze armate, e chi le disprezza ne prova subito i colpi. Il folle che contro Dio, nel disprezzo della sua legge, vuole usare la sua libertà, per fare quel che gli garba, s’accumula sul capo le condanne che più dovrebbe temere: la terribile e giusta vendetta dell’Onnipotente disprezzato…la morte eterna. Basta… cessa o temerario ribelle dalla tua insolente libertà che non può salvarti dall’ira del sovrano che offendi, comprendi che con questa libertà tu fai a te stesso pesanti catene, e poni sul. tuo collo un giogo di ferro che non potrai più scuotere: ti condannerai tu stesso ad una umiliante schiavitù mentre credi estender folle la tua indipendenza fino fuori del diritto di Dio.Che ci resta a fare allora, o fratelli? se non vivere sempre ed ogni giorno nella dipendenza del nostro Dio, certi che disprezzando i suoi comandamenti non potremmo mai sfuggire ai suoi castighi? L’Apostolo ci avverte di temere il Principe, perché non per nulla porta la spada: dovremo più ancora temere Iddio che non per nulla è giusto e onnipotente ed inutilmente non fa risuonare le sue minacce. Sto parlando, ed è onore, davanti a Sovrani: impariamo come render il nostro omaggio a Dio, da quanto facciamo verso l’autorità terrena che nell’immagine. Non fa ognuno di noi, nella obbedienza alla legge, sua la volontà del Principe? Non è vero che ci teniamo onorati di potergli prestare i nostri servigi e vorremmo quasi prevenirne i desideri? Più ancora, il suddito fedele non ritiene onore grandissimo dar la sua vita per il suo re?Stimiamo bella ogni occasione per dimostrare questa nostra disposizione d’animo: e questi sentimenti sono giusti e legittimi. Al di sopra del Re, non c’è che Dio; dopo di Dio il principe è la suprema autorità nella società civile, e tiene nelle sue mani la forza per l’esercizio della sua autorità. Non viene da tutto questo, come legittima conseguenza, che sarebbe assurdo vergognoso il ritener il Principe di più di Dio, e si negasse a Dio l’onore e l’obbedienza data al Principe? Il rappresentante sarebbe più onorato del Sovrano assoluto. Impunemente non si offende il principe, poiché tiene la spada in mano e si fa temere… e non gli si resiste. Parlando del Re, Salomone dice che egli scopre ogni segreto complotto… « gli uccelli del cielo tutto gli riferiscono » tanto che si vorrebbe quasi dire che prevede e preannuncia fatti e cose, le indovina, tanto difficilmente gli si può nascondere qualcosa: « Divinatio in labiis regis ». Allunga ed allarga le sue braccia, continua Salomone, e va a scovare i suoi nemici nelle profonde caverne in cui avevan pensato sfuggire alla sua potenza: la sua apparizione li mette in scompiglio e la sua autorità li schiaccia. (Eccles. Prov.). E se tanta forza ammiriamo nella debolezza della persona umana, quanto non dovremo tremare davanti alla Maestà suprema di un Dio vivente ed eterno! La più grande potenza del mondo non può andar più in là, in fin dei conti, di togliere la vita al suddito… Non occorre poi un grande sforzo per far morire un uomo mortale… togliere qualche momento ad una vita che li ha contati, e da sé corre verso l’ultimo suo istante. Che se temiamo tanto chi può toglierci la vita del corpo, e tolta questa non può più nuocerci, quanto più, insiste il Salvatore, quanto più dovrete temere Colui che può, anima e corpo, precipitarvi nella geenna eterna!…Osservate però, fratelli… quale cecità impressionante!…non solo vogliamo resistere a Dio, ma ci troviamo gusto a resistere ed opporci alla sua volontà! Aberrazione e rivolta più laida contro Dio non la si può pensare: la legge ch’Egli pose perché fosse argine e ritegno ai nostri pazzi desideri, li stuzzica e li provoca li fa più forti. Più una cosa è vietata e più ci sentiamo tirati a farla: mentre il dovere, ci si presenta come una tortura: ciò che la ragione dice buono, non ci piace quasi mai, e par quasi che quello che facciamo contro la legge sia più saporito e divertente: i cibi proibiti nel giorno dell’astinenza ci appaiono più appetitosi e saporiti « è il peccato che, ingannandoci con una falsa dolcezza, ci fa riuscire tanto più gradita una cosa quanto più ci è proibita ». Pare quasi che il nostro io, si stizzisca contro la legge perché è contraria ai nostri desideri, e ci troviamo un certo gusto a vendicarci facendole dispetti, anzi il tentare di imporci un freno od un argine, è proprio un provocarci a romperlo con più audacia ed astio! Era questo strano contrasto della nostra anima che faceva dire all’Apostolo che il peccato si serviva proprio della proibizione per sedurlo: « Peccatimi, occasione accepta per mandatimi, seduxit me » (Romani, VIII). Quanto siamo mai ciechi, o Signore, e quanto sista lontana dalle tue leggi sapienti, l’arroganza umana… se lo stesso tuo comandarci ci stimola a disobbedirti!Oh venite Voi, o Maria Vergine cara, venite col vostro Gesù, Gesù e Maria venite e col vostro esempio piegate gli indocili nostri cuori! Chi vorrà pensarsi dispensato dall’obbedienza quando un Dio si fa obbediente alla legge? Quale pretesto cercheremo per sottrarci alla legge, davanti alla Vergine che si presenta per essere purificata, e che sapendosi pura d’una purezza angelica non si crede dispensata da una legge che per lei era proprio inutile? Se la legge dettata da Mosè, ch’era servo come noi, esige obbedienza così esatta ed universale, quale obbedienza piena e perfetta non dovremo noi alla legge dettata e comandata dallo stesso Figlio di Dio? Davanti a queste riflessioni ed a questi esempi, l’infingardaggine nostra non può più aver né scuse né pretesti… giù la testa! Anzi non contenti di fare quanto Dio comanda, mostriamogli la disposizione della nostra volontà in far quanto è suo piacere, sempre. Ciò vi propongo nell’altra parte del mio discorso, in cui per non essere lungo, unirò il secondo ed il terzo punto della mia divisione adducendo per essi lo stesso ragionamento e le medesime prove.

II° e III°  punto.

Fratelli, tra le cose che Dio esige da noi, osserviamo questa differenza: alcune che dobbiamo fare dipendono dalla nostra scelta: altre invece non hanno nessun rapporto colla nostra volontà, è Dio che arbitrariamente agisce per la sua potenza assoluta. Spieghiamoci: Dio vuole, ad es. che noi siamo giusti, retti, moderati nei nostri desideri, sinceri nel nostro parlare, costanti nelle azioni nostre; ci vuole pronti a perdonare le offese e non vuole assolutamente ne facciamo agli altri. In queste ed altre simili cose che vuole da noi, e che non sono che la pratica della sua legge e dei suoi precetti, la nostra volontà è per nulla affatto forzata. Se disobbediamo, Egli ci punisce, è vero, e non possiamo sfuggire al castigo, ma però possiamo disobbedire: ci pone davanti la vita e la morte lasciandoci liberissimi nella scelta. – In questo modo domanda l’obbedienza dell’uomo ai suoi comandamenti; come se essa fosse effetto della sua scelta e della sua propria determinazione. -Vi sono invece, altri eventi, che decidono della nostra fortuna e della nostra vita, e che sono disposti e guidati dalla mano segreta della sua provvidenza. Essi sono fuori dell’ambito del nostro potere e spesso perfino della nostra previsione, cosicché nessuna mano, per quanto potente, può arrestarne o mutarne il corso, secondo la frase di Isaia (LV): « I miei non sono i vostri pensieri: come è distaccato il cielo dalla terra, tanto e di più sono lontani i miei pensieri dai vostri » ed altrove: « Sarà fatto ogni mio volere e raggiungerà il suo sviluppo ogni mio discorso ». « Consìlium meum stahìt et omnis voluntas mea fiet ». Davanti alla causa di questa differenza, io sento che non sarebbe giusto die Dio lasciasse tutto alla mercé della nostra volontà, lasciandoci arbitri di noi e di quanto ci riguarda; mentre è giustissimo che l’uomo senta che vi è una forza superiore alla quale deve sottostare e cedere. È questo il perché di un duplice ordine di cose: quelle che vuole che facciamo noi, scegliendocele; altre che facciamo accettandole dalla necessità che ce le impone. È così che sono disposte le vicende umane: nessuna di esse però, per quanto ben preparata da prudenza, protetta da forza, sarà così sicura da non poter essere turbata da accidenti imprevisti che ne interrompono o deviano l’andamento. La Suprema Potenza dell’universo non vuol permettere vi sia un uomo, per quanto grande e potente, che possa disporre a suo piacimento della sua sorte e delle sue fortune, molto meno della sua salute e della sua vita. Piacque al Signore disporre tutto così, perché  l’uomo esperimenti quotidianamente questa forza superiore di cui vi parlo: forza divina ed inevitabile che talvolta, non lo nascondo, si rallenta e quasi si adatta alla volontà nostra, ma sa anche, quando lo voglia, opporre tale resistenza che contro di essa tutto s’infrange, e, nostro malgrado, ci fa servire ai piani della divina Provvidenza, in ogni pensiero e atto nostro. Arbitro Supremo, Iddio ha diviso le cose nostre così che alcune restano in nostro potere ed altre in cui, senza punto guardare a noi, solo consulta il suo piacere: perché se da un lato possiamo usare della nostra libertà, sentiamo dall’altro che abbiamo un forte dovere di dipendenza. Non ci vuole padroni assoluti: anzi vuole sentiamo che la sua padronanza c’è e s’esercita, tanto e quanto e dove Egli vuole perché ci guardiamo bene dall’abusare di questo dono della libertà. Se dolcemente ci invita, comprendiamolo bene, non è che ove voglia non sappia e non possa costringerci colla forza, no, ma vuole che temiamo sempre questa sua forza anche quando ci fa provare la sua dolcezza. È Lui, proprio Lui, che semina la nostra vita di avvenimenti ed eventi che ci infastidiscono, che contrariano la nostra volontà, che troppo attaccata a se stessa giunge alla licenza. E lo fa, perché  completamente domati, docili, sottomessi a Lui, ci possa innalzare alla vera sapienza. Non v’è prova più evidente di una ragione esercitata e sicura che il saper resistere alle proprie brame. Vedete: l’età in cui meno si ragiona si è anche meno capaci di moderar le proprie brame di vincerci… è l’età del capriccio. Se nei fanciulli la volontà fosse così fissa e costante quanto è ardente non potremmo più arrestarli né calmarli nelle loro voglie. Vogliono quel che vogliono: non stanno a veder se sarà utile o di danno, basta che piaccia ai loro occhi! se siano essi od altri i padroni, non importa nulla, basta che piaccia a loro che lo desiderano, lo vogliono: essi si credono padroni di tutto. Provate ad opporvi… il loro viso si accende ed infiamma, un tremito convulso li agita, pestano i piedi, piangono, anzi non è neppure pianto il loro, è un gemito, un riso, è un grido in cui c’è preghiera stizza, brama e dispetto: esponenti di un ardore di desiderio frutto della loro debolezza ed incapacità di ragionare. Fanno così i fanciulli!… ma se ci guardiamo intorno, dovremo confessare: quanti fanciulli nel mondo… fanciulli bianchi per antico pelo, fanciulli di cent’anni!… sono uomini in cui è violenza nel desiderio debolezza nel ragionare. Perché l’avaro vuole quanto brama senz’altro diritto che il suo interesse? L’adultero, che Dio tante volte maledice, che diritto ha alla moglie del prossimo se non la sua concupiscenza che è cieca? Non sono fanciulli che credono che per avere basti la loro voglia e il loro capriccio? Ma c’è una differenza tra il fanciullo e questi fanciulli: in quello là, natura, lasciando rallentate le redini alla violenta inclinazione, pone un altro freno: essi sono deboli ed incapaci di ottenere quel che vogliono: in questi altri — vecchi fanciulli — i desideri impetuosi non ostacolati dalla debolezza, divampano terribili se la ragione non li imbriglia e guida. – Conchiudiamo, fratelli, che vera scienza e vera sapienza è il saper moderarsi: man mano che si sa domare la violenza del proprio desiderio, si dà prova che si allontana dalla puerizia e fanciullezza e si diventa ragionevoli. « Diremo uomo maturo, vero saggio quello che, dice il dotto Sinasio, non si tiene in dovere di accontentare ogni brama od ogni desiderio… ma tutti guida e domina i suoi desideri secondo i suoi doveri ed i suoi obblighi, e ben conoscendo la fecondità della natura nelle voglie cattive, taglia e di qua e di là, come buon giardiniere, quanto trova, non solo guasto o secco, ma quanto vede superfluo, non lasciando crescere rigoglioso che quanto può dare frutti di vera sapienza ». Dite bene, vorreste oppormi che gli alberi non si lagnano né soffrono di questi tagli dei loro rami inutili o superflui, mentre la nostra volontà strilla e reclama quando si rintuzzano i suoi desideri: quindi, è difficile trovar il coraggio di tagliar sul proprio io. È vero: non tutti hanno il coraggio del Santo Vecchio, o della vedova Anna, di cui ci parla il Vangelo d’oggi, che agivan contro se stessi nella mortificazione e lottavan contro la legge di peccato che è nei nostri sensi: ecco però che il Signore viene in nostro aiuto. Sorgente prima ed universale del disordine in noi è l’attaccamento nostro alla nostra volontà: non possiamo contraddirci, anzi troviamo più facile opporci a Dio che al nostro io. Bisogna allora togliere questa radice guasta, sradicarla questa pianta infetta che dà frutti guasti, e con uno sforzo violento: pensiamo che essa è la causa della nostra sventura ed è tutta colpa nostra… Va bene! ma ed il coraggio? dove andremo a prenderlo questo coraggio di applicare ferro e fuoco ad una parte così delicata e sensibile del nostro cuore? Il malato vede che il suo braccio incancrenito lo porta alla morte, vede che bisogna tagliarlo ma da solo non lo sa fare: alla sua incapacità viene in aiuto il chirurgo, che fa un triste servizio ma pur necessario e salutare. Anch’io vedo che l’attacco al mio volere mi porta a dannarmi, perché fa vivere tutti i miei desideri malvagi: lo so, lo confesso. Ma confesso anche che non ho né coraggio né forza di armar la mia mano del coltello e tagliare… Ecco il Signore: viene e fa Egli il chirurgo che taglia e salva: viene accanto a noi in certi incontri ed avvenimenti dolorosi, inattesi ed inopportuni eventi, contrarietà insopportabili ed ingiuste, diciamo noi… sono i ferri chirurgici disposti dalla sua Provvidenza, e con essi attacca, abbatte e doma la nostra volontà che dalla libertà va alla licenza, risparmiandoci così di esser noi violenti contro noi stessi. Quasi la immobilizza la nostra volontà perché non sfugga al colpo doloroso ma salutare… e taglia, e profondamente penetra dentro alle nostre carni vive finché noi, costretti dalla sua mano, dalle disposizioni della sua volontà, ci stacchiamo dal nostro io… ed allora siamo guariti… dalla morte torniamo alla vita. – Se noi comprendessimo come siamo composti, e quanto ci lasciamo trascinare dai tristi nostri umori, comprenderemmo bene quanto ci è necessaria questa mano chirurgica. Voglio descrivervi con poche parole lo stato deplorevole della natura nostra. V’è una duplice sorta di mali… alcuni ci affliggono, altri, pare impossibile, ci piacciono: è strana ma purtroppo vera, reale distinzione. Dice S. Agostino che alcuni mali li sopportiamo con la nostra pazienza… e sono quelli che ci affliggono: altri invece li frena e domina la nostra temperanza: questi, continua lo stesso Santo, sono mali che ci piacciono: « Alia quæ per patientiam ferimus, alia quæ per temperantiam refrenamus ». A quanti mah sei esposta, sventurata umanità! Siamo preda a mille infermità: ogni nonnulla basta a darci noia, a farci ammalare… un nonnulla basta a farci morire! Diremmo quasi che una potenza avversa sia schierata contro la povera natura nostra, tanto pare ci trovi gusto a martoriare ogni nostra parte! eppure non è questo il nostro male maggiore: l’avarizia nostra, la nostra ambizione le altre passioni cieche insaziate ed insaziabili sono mali e quanto terribili! sono mali che ci seducono ed attraggono. Ma dove ci avete posto, o Dio? che vita è mai la nostra se ci perseguitano e i mali che ci fan soffrire e i mali che ci allettano e ci piacciono!? Ah me infelice chi mai mi strapperà a questo corpo di morte?… Chi? Ascoltami povero mortale… v’è chi ti libererà: sarà la grazia di Dio, per Cristo Gesù nostro Signore: ce lo dice il suo grande Apostolo, che scrutò le profonde ricchezze dell’amore di Dio. È vero: due sorta di mali ti travagliano; ma ecco che nella sua provvidenza Dio dispone che gli uni siano rimedio agli altri: cioè quelli che ci addolorano servano a moderare quelli che ci piacciono. Quelli a cui siamo costretti per frenare quelli in cui siamo troppo liberi: ogni male che ci viene di fuori, viene per abbattere un male che dentro di noi si solleva contro di noi… i cocenti dolori correggono gli eccessi a cui trasporta la passione sbrigliata… le disillusioni, le pene della vita ci fan sentir nausea dei falsi piaceri e attutiscono il senso troppo vivo del piacere. Non lo nego: la nostra natura, trattata così rudemente, soffre e noi ce ne lamentiamo… ma questa stessa pena nostra è medicina e rimedio, la rigidezza, in cui ci si tiene, diventa un regime curativo benefico. – Abbiamo bisogno, noi figli di Dio, che ci si tratti così fino a che non siam giunti a guarigione perfetta, cioè sia completamente abolita la legge del peccato che regna nelle membra nostre. Dobbiamo sopportare tutti questi mali fino a che non ne siamo corretti… ci occorrono questi mali per tener ritto il nostro giudizio fino a che viviamo in mezzo a tanti beni falsi dei quali, troppo facilmente, siamo portati a godere. Ogni contrarietà è un argine provvidenziale alla nostra libertà che disalvea… un freno alle passioni che tentano sopraffarci. Dio, che conosce quel che davvero ci fa bene, viene e contraria i nostri desideri: così dispose, la natura ed il mondo, e che da essi, proprio da essi, nascano ostacoli insuperabili che s’oppongono ai nostri progetti e sogni. nostra natura: di tutte le spine dei nostri affari: delle ingiustizie di tanti uomini, delle ineguaglianze importune, degli imbrogli del mondo e della vanità dei suoi favori. Per questo sono amati i suoi rifiuti e le sue lusinghe più dolci sono stimate pesanti catene di schiavi! Contraddetti a destra ed a sinistra la nostra volontà, sempre troppo libera, deve finalmente imparare a regolarsi: e l’uomo oppresso e travagliato da ogni parte, finalmente si sente spinto a volgersi al Signore, gridandogli sincero dal profondo del cuore: veramente tu sei, o Dio, il mio Signore: è giusto che la tua creatura serva a Te e ti obbedisca! Sottomettendoci invece alla volontà santa del Signore, una grande pace scende nell’anima nostra… accada che vuole nulla può smuoverci né commuoverci. Ecco: Simeone predice a Maria, appena madre, oscuri mali, immensi dolori; « l’anima tua sarà trafitta da acuta spada, e questo tuo Figliolo, ora tuo gaudio tuo amore, sarà bersaglio di contraddizione ». Cioè il Mondo e l’Inferno, raccolte tutte le loro tristi potenze si scaglieranno contro la sua persona e la sua opera, tentandone la rovina!… Predizione crudele, e tanto più crudele perché vaga… Simeone non predice alcun male in particolare, li lascia pensare e pesare tutti sul cuore. Per me non saprei trovare nulla di più angosciosamente crudo che lo stato di un cuore che si sta sotto l’incubo di una minaccia di mali, e non sa quale… impotente quindi a tentar una fuga un rimedio una difesa… quale?… dove?… – Atterrita, inebetita, quest’anima scruta e cerca e teme tutti ed ogni male: li va quasi scovando fino al fondo… il suo pensiero diventa il suo carnefice… poiché terribilmente atterrita non mette limiti né all’intensità né al numero degli strazi che le si minacciano. – S. Agostino dice che sotto la minaccia del male è già grande conforto il poter sapere da quale male saremo colpiti: saper perfino di qual morte moriamo è meno crudo che agonizzare temendole tutte: « Satius est unam perpeti morìendo, quam omnes timere vivendo ». Eppure Maria ascolta tacendo le terribili predizioni… non una parola di lamento, non una domanda al Vegliardo, che le lacera l’anima con le sue profezie, perché le dica quando, quanto, fino a quando questa spada le trafiggerà l’anima: Ella sa che tutto è disposto e guidato dalla mano di Dio… questo le basta e la sua volontà è subito sottomessa: per ciò non la turba il presente non la atterrisce il futuro. Oh se ancor noi sapessimo abbandonare noi e le cose nostre nelle braccia di quella Sapienza eterna che tutto regge e governa, quale costante tranquillità inonderebbe il nostro spirito: nessuna incalzante necessità, nessuna contraddizione lo saprebbe smuovere e turbare. Se fossimo anche noi come il vecchio Simeone, staccati da noi non avrebbe attrattive la vita, né spauracchi la morte, pur tanto odiosa!… viaggiatori, attenderemmo tranquillamente che lo Spirito del Signore ci inviti a fermarci dal nostro viaggio nel tempo, per entrare alla eternità. Fatto ogni giorno della vita il nostro dovere, come Simeone potremmo dire al Signore ad ogni istante: «Lascia, o Dio, che il tuo servo se ne vada ora in pace ». – Non fermiamoci qui però, o fratelli, nell’imitare il vecchio Simeone: non dobbiamo andarcene da questo mondo prima di aver visto, di esserci incontrati con Gesù: bisogna che possiamo aggiungere a quelle parole le altre: « perché i miei occhi contemplarono il Salvatore, che tu preparasti al mondo prima che fosse alcun popolo ». Il Salvatore promesso, atteso per tanti secoli venne finalmente: brillò la sua luce, ne furono illuminate e genti e nazioni: caddero gli idoli, furon liberati gli schiavi, i figli disobbedienti furono riconciliati col padre, i popoli si convertirono al loro Dio. Non basta fratelli! È venuto per noi questo Salvatore? È il nostro capitano, la nostra guida, la luce che illumina ognuno di noi?… no forse… perché noi non camminiamo per la via segnata dalla sua parola nei suoi precetti… non li osserviamo noi i suoi comandamenti. L’apostolo S. Giovanni potrebbe ancora dire davanti a tanti la parola severa del suo Vangelo (V, 37-38): « Neque vocem eius unquam audistis, neque speciem eius vidistis, et verbum eius non habetis in vobis manens » perché, continua: chi dice di conoscerlo e non ne osserva i comandamenti, è bugiardo « mendax est » ed in lui non è la verità « veritas in eo non est » (II, 4). Chi, tra noi, può dire, con verità, io lo conosco il Cristo, il Maestro? Quale contributo di vita abbiamo dato al suo vangelo? quali sono i vizi corretti, le passioni domate in noi? come usammo fino ad oggi dei beni e dei mali della vita?… quando la mano di Dio diminuiva le nostre ricchezze, abbiamo saputo anche noi diminuire le nostre spese, il nostro lusso?… ingannati dalla fortuna incostante, seppimo con coraggio staccar il cuore da’ suoi beni per attaccarlo a quelli che non sono né in sua mano né in suo potere? Ma ahi, che anche di noi si poté scrivere: « dissipati sunt, non compuncti… — fummo addolorati ma non mutati a bene! » Servi ostinati e caparbi, sotto la stessa sferza che ci voleva correggere e far camminare diritto, noi ci siamo impuntati… ci siamo ammutinati… rimproverati, non ci siamo corretti; abbattuti, non fummo umiliati; castigati, non convertiti! E davanti a questo nostro ritratto, diciamo ancora, se ne abbiamo il coraggio, di aver visto il Salvatore promesso, di aver conosciuto Gesù Cristo… lo Spirito Santo, colla mano di Giovanni, ci chiuderà la bocca: « in te non è la verità, tu sei bugiardo ». Temiamo, o Cristiani, temiamo e tremiamo di morire… poiché non abbiamo ancor visto Gesù, ed ancor non abbiamo tenuto sulle nostre braccia il Salvatore… cioè non ne abbiamo abbracciata la parola, la sua verità i suoi comandi! Infelici coloro che muoiono prima di averlo visto il Cristo Salvatore… quanto spaventosa la loro morte… come terribile il suo avvicinarsi… orribili le conseguenze del suo passaggio e del suo trionfo! In quell’ora svanirà la gloria, ruineranno i sogni ed i progetti… « in illa die peribunt omnes cogitationes eorum » mentre comincerà il loro supplizio…un fuoco eterno s’accenderà per essi: il furore e la disperazione più cruda ne lacereranno l’anima… il verme roditore, che non muore, affonderà più vorace il suo dente velenoso e non si staccherà più!Su fratelli, accorriamo al tempio con Simeone,ci porti lo Spirito del Signore, prendiamoci tra le braccia Gesù… baciamolo con amore… stringiamocelo al cuore perché sia tutto suo questo nostro miserocuore.L’uomo dabbene non tremerà al venire della morte, poiché l’anima ormai più non appartiene a questo corpo mortale: ne è già staccata: poiché gli dominò le passioni, soggiogò i sensi e la carne.La penitenza e la mortificazione gli diedero questo dominio, l’emanciparono e dal corpo e dai suoi sensi… libero tenderà le braccia alla morte che viene quasi le additerà dove gli debba menare l’ultimo colpo!Alle minacce egli risponderà: Morte tu non mi spaventi… per me non sei né crudele, né inesorabile… tu non mi puoi spogliare dei beni che io amo… tu solo mi strapperai questo corpo… questo che è corpo di morte… me ne libererai finalmente, coronando gli sforzi costanti della mia vita con cui mirai giorno per giorno a strapparmi alla sua tirannia!… Nunc dimittis… lascia, o morte, che libero me ne vada al mio Signore! Qual cosa ci sembrerà impossibile, fratelli, per aver una simile morte… gioiosa come un trionfo? Potessimo morire della morte del giusto per aver eterno riposo, il vero riposo che non ci seppero né ci potevano dare i beni della vita… su chiudiamo l’occhio nostro ed il cuore nostro ad ogni bene che ci invita e fugge, per aprirlo solo e sempre nella vita a quei beni che durano e saranno nostri eternamente in seno al Padre, al Figlio e dallo Spirito Santo. Amen.

OMELIA II.

[G. PERARDI: LA VERGINE MADRE DI DIO – Libr. del Sacro Cuore, Torino, 1908]

XIII.

Presentazione di Gesù al Tempio e Purificazione di Maria

ESORDIO: Il fatto evangelico. Semplicità e misteri. — I . PURIFICAZIONE: Maria non v’è tenuta. Mistero di umiltà. Siamo umili. — II. OFFERTA DI GESÙ: 1. La legge dell’offerta. — 2. Come Maria l’adempì. Significato. Il sacrifizio di fsacco. — 3. Ragione della legge. Raggiunge lo scopo coll’offerta di Gesù. — 4. Gesù si offre volontariamente.— 5. Maria è l’altare e il sacerdote. — III. SIMEONE: 1. Chi era. —2. Il cantico — 3. Gloria a Gesù e Maria. — IV. CONCLUSIONE: Imitiamo Maria nell’umiltà.

Dopo Betlemme dobbiamo recarci in spirito a Gerusalemme, ove, quaranta giorni dopo la sua nascita, troviamo il Bambino Gesù e la Madre sua. Per l’intelligenza del fatto bisogna ricordare due leggi mosaiche: la prima riguardante la madre, la seconda riguardante il neonato, se primogenito. La madre doveva presentarsi per la cerimonia della purificazione legale; il neonato, se primogenito, doveva venire offerto al tempio, poi riscattato mediante un’offerta. Altrimenti quel fanciullo avrebbe dovuto prestarsi al servizio divino per tutta la vita. – Maria e Giuseppe si portano al tempio per presentare Gesù al Signore e per fare l’offerta. Allora « era in Gerusalemme un uomo, di nome Simeone, persona giusta e pia, che aspettava la consolazione d’Israele; e lo Spirito Santo era in lui: e gli era stato rivelato dallo Spirito Santo che non vedrebbe la morte, prima di vedere il Cristo del Signore. Così per lo spirito andò al tempio. E quando i genitori v’introdussero il bambino Gesù per far di lui secondo il rito della legge, egli pure se lo prese tra le braccia e benedisse Dio, esclamando: Adesso, Signore, rimanda in pace il tuo servo, secondo la tua parola; che gli occhi miei han visto la tua salute, la quale hai disposta al cospetto di tutti i popoli: luce a rivelazione per le nazioni e gloria d’Israele, tuo popolo. E il padre e la madre di Gesù restavano meravigliati delle cose che sì dicevano di lui. E Simeone li benedisse, dicendo però a Maria, sua Madre: Ecco, Egli è posto per rovina e per risurrezione di molti in Israele e per segno di contraddizione; e anche a te una spada trapasserà l’anima affinché restino svelati i pensieri di molti cuori. C’era inoltre una profetessa, Anna, figliuola di Fanuel, della tribù d’Aser; molto avanzata in età, vissuta col suo marito sette anni dalla sua verginità. Rimasta vedova fino agli ottantaquattro anni, non usciva dal tempio, servendo Dio notte e giorno con preghiere e digiuni. Questa dunque sopraggiunse in quell’ora stessa, e dava gloria al Signore, parlando di Lui a quanti aspettavano la redenzione d’Israele » (S. Luca, II, 25-28). Quale semplicità di narrazione è mai questa! Ma quali sublimi misteri offre alla nostra mente. « Misteri venerabili, dice il Bourdaloue, nei quali scopriamo ciò che la nostra Religione ha non solo di più sublime e divino, ma di più edificante e commovente: un Uomo-Dio offerto a Dio, il Santo dei santi consacrato al Signore, il sommo Sacerdote della nuova alleanza in istato di vittima, il Redentore del mondo riscattato; una vergine purificata; e una madre che sacrifica il proprio figliuolo; quali prodigi nell’ordine della grazia » (Sermone II della Purificazione.). No, non vi ha cosa in apparenza più semplice e più sublime in realtà del racconto che il Vangelo ci fa di questi misteri. Consideriamoli brevemente. Ci assista Maria perché possiamo ricavarne frutto di grazia per l’anima nostra.

I. — Il primo fatto su cui dobbiamo raccogliere la nostra considerazione è la Purificazione di Maria. Pronunziando la parola purificazione e applicandola a Maria il nostro cuore prova un senso di ripugnanza, perché sente che la legge della purificazione non era fatta per Maria, la creatura tutta bella, santa, pura, perché sente che le due parole purificazione e Maria contrastano, essendo Maria la Vergine per eccellenza, la Vergine Madre. Ed a Maria perciò si applica con più ragione la parola già indirizzata ad Ester: La legge non è fatta per te. No, la legge della purificazione fatta per le donne ebree, non era per Maria. E perché Maria vi si assoggetta ? Ha Ella forse dimenticato il saluto celeste: Benedetta tu fra le donne? Ha dimenticato d’aver Ella stessa proclamato che tutte le generazioni la chiameranno beata perché in Lei grandi cose aveva operato colui che è potente, Iddio? Non poteva Ella ripetere in questo momento che era beata, che era benedetta, e che era benedetto il frutto del suo seno; che veniva non a cercare la purificazione, ma a recarla al mondo, che veniva non a domandare il riscatto, ma a recarlo? Gl’interessi del suo Figliuolo non parevano forse prescriverle questo, mentre il suo silenzio e la sua condotta parevano derogare alla divinità di Lui e, facendolo passare per figliuolo ordinario, smentivano i tanti prodigi e i tanti oracoli che lo avevano già proclamato Figliuolo di Dio? Così certamente avrebbe pensato ed operato qualunque altra donna: non così pensa Maria. Maria è una creatura al tutto singolare. La sua grandezza è incomprensibile, ha dell’infinito; ma non meno grande è la sua umiltà. Questa virtù che spicca in tutti gli atti della vita di Maria, che abbiamo particolarmente ammirato nel mistero dell’Annunciazione, qui ci si rivela in un nuovo abisso incomprensibile, solo paragonabile alla incomprensibile grandezza di Lei. Ella accordandosi mirabilmente coi disegni di umiliazione e di sacrifizio di suo Figlio, si spoglia di tutte le grandezze, vela le sue glorie per soggettare Sé e Lui alle prescrizioni più umilianti. Scrutate quest’umiltà: Non sono trascorsi ancora undici mesi che Maria riceveva la visita dell’Angelo venuto dal cielo a richiederla del suo consenso alla divina Maternità: Maria tiene in sì alto pregio l’illibatezza verginale che è disposta a sacrificarle pur l’incomparabile grandezza della Maternità divina; e allora soltanto presta il suo consenso. Quando è assicurata che la sua verginità non patirà alcun detrimento, che quello che avverrà sarà dello Spirito Santo, che la potenza dell’Altissimo l’avrebbe adombrata. Ora nella purificazione Maria dimostra un amore, direi, ancor più grande dell’umiltà. Se per amore della verginità era disposta a rinunziare all’onore di Madre di Dio; ora per amore dell’umiltà si spoglia di tutte le grandezze, vela tutte le glorie, sacrifica lo stesso onore esterno della sua verginità. È la Vergine Madre di Dio: si umilia a segno da non comparire né Madre di Dio, né vergine, si umilia a comparire bisognosa di purificazione come un’altra donna qualsiasi. Quant’è ammirabile l’umiltà di Maria! Impariamo da questo fatto il dovere nostro di mortificare la superbia e praticare fedelmente l’umiltà se vogliamo essere veri devoti di Maria, imitandone quelle virtù ch’Essa ha particolarmente amato e praticato. Maria si assoggetta alla cerimonia della purificazione, offre le due piccole colombe pel sacrifizio, le due vittime che, se avessero potuto comprenderlo, si sarebbero stimate felici di essere offerte. Andate, piccoli animali, innocenti vittime, andate a morire per Gesù sinché Egli possa morire per noi.

II . — Il secondo fatto che dobbiamo considerare è la presentazione di Gesù al Tempio, cioè l’offerta di Gesù all’Eterno Padre.

1° Maria, purificata, si avanza nel tempio. « Quale indescrivibile commozione dovette provare Maria, rivedendo quel luogo confidente dei pensieri e dei fervori della sua fanciullezza? Lì Ella aveva passati lunghi giorni nella preghiera, aveva votato la sua verginità al Signore, e aveva accettato la mano di Giuseppe, ornata di gigli, per proteggere i suoi. Quante cose celesti erano passate da un anno appena; e adesso vi ritorna a presentare il Figliuol suo, l’Emanuele » (Lemann, La Vergine Maria, etc.). L’offerta del primogenito che gli Ebrei dovevano fare a Dio, si collegava con la loro liberazione dalla schiavitù d’Egitto e coll’uccisione di tutti i primogeniti degli Egiziani. L’indomani di questo prodigio Dio, per mezzo di Mose promulgava la legge : Consacratemi tutti i primogeniti tra i figli d’Israele, poiché ogni cosa mi appartiene (Es. XIII, 2). Or Gesù, Figlio di Dio, appartiene veramente a Dio, anche come uomo. Sia dunque offerto a Lui. – Quando Iddio dispose che alla tribù di Levi fossero affidate le cure del culto riformò la legge dell’offerta dei primogeniti disponendo che, dopo d’averli offerti, i genitori li potessero riscattare mediante cinque sicli d’argento (circa 15 lire). Giuseppe e Maria offrono Gesù al Padre e lo riscattano coi cinque sicli d’argento. Oh Maria, riscattatelo pure il vostro Gesù! non lo avrete per lungo tempo; lo vedrete rivenduto per trenta denari.

2° Maria, coll’offrire Gesù non ha compiuto soltanto una cerimonia. Essa conosceva la grandezza dell’offerta: era l’offerta vera e reale di Gesù all’eterno Padre pel sacrifizio che il divin Figliuolo avrebbe offerto un giorno, della sua vita, sul Calvario. Quale sacrifizio pel cuor di Maria, pel cuor della Madre! – Un giorno Abramo ed Isacco ascendevano il monte Moria per offrire a Dio un sacrifizio. Isacco, che portava la legna per l’altare, domanda al padre: Dov’è la vittima dell’olocausto? E Abramo, col cuore lacerato da immenso dolore, non ebbe animo di rivelare ad Isacco ch’egli stesso era la vittima designata e si contentò di rispondere: Iddio stesso ci provvedere la vittima per l’olocausto (Gen. XXII). Noi ammiriamo l’eroica ubbidienza di Abramo, la sua perfetta sottomissione al cenno divino. Ma osserviamo pure che Dio domandò il sacrificio di Isacco non alla madre Sara, ma al padre. Una madre meditando questo fatto ebbe a dire che Dio non avrebbe chiesto un simile sacrificio ad una madre. Quello di cui Sara non sarebbe stata capace, compì Maria coll’offerta di Gesù al Tempio. Il sacrificio di Gesù non doveva consumarsi che più tardi sul Calvario: Nel tempio però Maria dà il suo consenso e offrendolo, in certo modo, dispone la vittima sull’altare. Maria aveva certamente coscienza di questo grande mistero nel momento in cui Ella lo compiva: «Se di fatto gli Ebrei illuminati intendevano in un senso spirituale quello che celebravano corporalmente, con ben maggior ragione Maria, la quale aveva il Salvatore tra le braccia e lo offriva con le sue mani all’eterno Padre, doveva eseguire quella cerimonia in ispirito ed unire la sua intenzione a ciò che era rappresentato dalla figura, vale a dire all’oblazione santa del Salvatore per tutto il genere umano. Pertanto nella guisa medesima che nel giorno dell’Annunciazione aveva prestato il suo consenso all’Incarnazione del Messia, che era argomento dell’annunzio angelico: così ratificò, per così esprimerci, in questo giorno il trattato della sua passione, poiché questo giorno n’era figura e come primo apparecchio » (Bossuet, Sermone III sulla festa della Purificazione). Perciò in questo giorno riscatta il Redentore; ma lo riscatta in figura per darlo poi in realtà; lo riscatta temporaneamente e quasi sotto condizione per allevarlo in vista del sacrificio, per essergli in esso compagna e dividerlo con Lui.

3° L’offerta di Gesù va considerata ancora sotto un altro aspetto per intendere tutto il disegno divino. E l’ha fatto con un’insuperabile maestà di vedute un grande oratore francese (Bourdaloue, Serm. II sulla Purificazione di Maria) che scrisse: « Dio voleva che in ogni famiglia il primogenito gli fosse offerto perché gli rispondesse di tutti gli altri e fosse come un ostaggio della dipendenza di quelli de’ quali era il capo. Ma ciascuno di questi primogeniti non era capo che della sua casa e la legge di cui si parla non obbligando che i figliuoli d’Israele, a Dio non ne poteva venire che un onore limitato, circoscritto. Che fa Iddio? Nella pienezza dei tempi elegge un uomo capo di tutti gli uomini, la cui oblazione gli è come un tributo universale per tutte le nazioni e per tutti i popoli: un uomo che ci rappresenta tutti e che sostenendo a nostro riguardo l’ufficio di primogenito risponde a Dio di lui e di noi, a meno che abbiamo l’audacia di sconfessarlo o che siamo così ciechi da separarcene: un uomo, infine, in cui tutti gli esseri riuniti rendano a Dio l’omaggio della loro sottomissione e che, mediante la sua obbedienza, rimetta sotto l’impero di Dio tutto ciò che il peccato ne aveva sottratto: ed anche su questo è fondato il diritto di primogenitura che Gesù Cristo deve avere al di sopra di tutte le creature: Primogenitus omnis creaturæ (Col. I, 15). « Dico di più: Tutte le creature, prese anche insieme, non avendo alcuna proporzione coll’Essere divino, e, come parla Isaia, non essendo tutte le nazioni, che una goccia d’acqua innanzi a Dio, un atomo, un nulla, perciò qualunque sforzo facessero per attestare a Dio la loro dipendenza, Dio non poteva essere pienamente onorato, e nel culto che riceveva restava sempre un vuoto infinito che tutti i sacrifici del mondo non avrebbero potuto riempire. Occorreva un soggetto grande come Dio, e che col più stupendo prodigio possedendo da una parte l’infinità dell’essere, e dall’altra parte mettendosi in istato di venire immolato potesse dire a tutto rigore di parola, che Egli offriva a Dio un sacrificio eccellente quanto Dio stesso, e che nella sua persona sottometteva a Dio non vili creature, non poveri schiavi, ma il Creatore e il Signore istesso ». E questo appunto fa oggi il Figliuolo di Dio coll’offerta sua all’eterno Padre, nel tempio di Gerusalemme.

4° Poiché occorre ricordare che Gesù al Tempio non solo viene offerto, ma Egli stesso volontariamente si offre. Gesù si era fatto bambino, del bambino aveva rivestito la debolezza ma non l’inconsapevolezza. Gesù era bambino e Dio: le umiliazioni a cui si sottometteva, gli atti che compiva non erano umiliazioni od atti di cui fosse inconscio; erano umiliazioni ed atti volontari. Gesù volontariamente si era sottomesso, otto giorni dopo la nascita, alla circoncisione; volontariamente aveva sofferto i primi dolori, sparse le prime lagrime, versate le prime stille di sangue; volontariamente si offrì nel Tempio, costituendosi fin da quell’istante vero e proprio mediatore nostro presso l’eterno Padre. Gesù aprendo gli occhi alla vita, già sapeva la sua missione, sapeva a qual sacrificio si sottoponeva. A nostro modo di esprimerci questo sacrificio ha nuovamente accettato col lasciarsi offrire, anzi col voler essere offerto da Maria all’Eterno Padre. E quindi in quell’ora ha, a dir così, accettato ufficialmente di essere, innanzi al Padre, nostro Redentore; ha accettato di essere a noi Maestro con la parola e con l’esempio, ha accettato la morte, la croce, i flagelli. Perciò dobbiamo oggi un pensiero ed un affetto specialissimo a Gesù. Figuratevi il figlio d’un Re che redime uno schiavo a prezzo di un grande sacrificio. Lo schiavo redento ricorderà un giorno tutti gli atti della sua liberazione; la determinazione, i preparativi, l’opera del suo liberatore. Ricorderà quell’istante in cui il Principe Reale, fatti gli apparecchi, rinnova l’accettazione della sua missione ricordando e quasi passando in rassegna le disposizioni prese e date, e confermando il suo proposito. E appunto nella sua presentazione al tempio, nel porsi tra Dio Padre e noi, Gesù ha confermato la determinazione presa da tutta l’eternità, i preparativi già fatti pel nostro riscatto, l’accettazione di quel genere di morte, ch’era secondo il beneplacito di Dio, accompagnata da tutti quei dolori che erano o necessari o convenienti al nostro maggior bene. Quindi riguardo a Gesù noi ricordiamo oggi l’atto suo di porsi tra Dio Padre e noi, quasi dicesse: Questi infelici prendo io sotto la mia tutela; sono peccatori: soddisferò io quello che non possono essi. In quest’offerta di sé, Gesù fu mosso da un doppio sentimento: amor del Padre per soddisfare all’eterna di Lui giustizia; amore di noi per salvarci. Vedete quindi come un affetto specialissimo meriti da noi oggi Gesù: sia un affetto di fervido amore e di sincera riconoscenza.

5° Un pensiero ancora all’offerta di Gesù la quale viene fatta per mano di Maria. Gloria incomparabile per Maria, e fondamento certo della nostra fiducia nella mediazione di Lei. Riflettete: Nell’Incarnazione il Figliuolo di Dio, mercé la cooperazione e la sostanza di Lei ha avuto un corpo come il nostro. Nella redenzione sarà immolato in unione a Maria che starà presso la croce. Nella presentazione vuole essere portato da Lei al Tempio, e da Lei medesima offerto. Le braccia ed il cuore di Maria sono come l’altare del sacrificio; Maria il Sacerdote; Gesù il Sacerdote e la vittima. « In quest’attitudine sublime le braccia della Madre di Dio offrivano; il suo cuore ardeva, e Gesù era nelle sue braccia e in mezzo al suo fuoco: non è questo l’altare del sacrificio? Come l’altare è inseparabile dalla vittima, la porta, la sostiene e sembra dirle: Sono una cosa sola con te, così la carità di Maria era pronta ad accompagnare ovunque la carità del Figliuolo di Dio pel mondo » (LÉMANN, op. cit.). Quanto ci si rivela grande la cooperazione di Maria alla nostra redenzione, e come basterebbe questo fatto a meritarle il titolo di corredentrice. – « Così questo mistero ci unisce alla santa Vergine in modo particolare. Essa vi rappresenta la Chiesa, offrendo Gesù Cristo a Dio in nome di tutta la società cristiana; ma tutta la società cristiana deve altresì congiungersi a Lei ed unirsi al suo sacrificio, come a quello del principale dei suoi membri operante in nome di tutto il corpo, e ciascuno deve procurare di entrare nelle sue disposizioni e pregarla di ottenerne qualche partecipazione » ( NICOLE, Saggi di morale, tomo XIII, pag. 318).

III. — Il terzo fatto dell’odierno mistero è costituito dalla parte che vi prende il vecchio Simeone.

1° Il Vangelo ci dice che questo vecchio era giusto e timorato di Dio e aspettava la consolazione d’Israele. Era giusto: la quale parola non esprime solo una virtù; ma le virtù nel loro complesso. Era timorato di Dio, di quel santo e figliale timore che è il principio dell’amore. Era giusto e timorato ed aspettava la consolazione d’Israele. Certamente non era solo ad aspettare; tutta la nazione, anzi tutto il mondo aspettava il Salvatore. I patriarchi, i profeti, i giusti l’avevano aspettato. L’avevano aspettato la terra, il cielo, il limbo. Di questa universale aspettazione il vecchio Simeone era come la personificazione veneranda; lo spirito dei giusti dell’antica legge era passato nel santo vecchio. Da questo giudicate le elette disposizioni dell’anima di lui. E ne riceve il premio: lo Spirito Santo dimorava in lui con singolare compiacenza, e gli aveva apertamente rivelato « che non vedrebbe la morte prima di vedere il Cristo del Signore ».

2° Il santo vecchio vive in quest’ansiosa aspettazione. Un giorno, mosso da presentimento divino, si reca al tempio quando appunto vi entrava la Sacra famiglia. Riconosce nel fanciullo il Salvatore del mondo, lo riconosce a nome di Gerusalemme che, atterrita da Erode non aveva ardito aggiungere alcun rappresentante al corteo dei Magi, lo riconosce, e con un movimento ardente e rapido come l’amore lo prende tra le sue braccia e stringendolo al cuore, erompe nel cantico: Adesso, o Signore, rimanda in pace il tuo servo… che gli occhi miei hanno visto la tua salute. E allora una chiara visione dell’avvenire si manifesta a Simeone: l’universalità del regno di quel bambino: Al cospetto di tutti i popoli, porterà la luce della fede non ai soli Giudei, ma altresì alle nazioni pagane: Luce e rivelazione per le nazioni; ma questa luce viene dal popolo d’Israele eletto, come a prepararla, e perciò il bambino è gloria d’Israele.

3° Questa profetica manifestazione della grandezza di Gesù ci rivela la costante economia di Dio a riguardo di Gesù e di Maria, la quale usa pure riguardo a tutti i Cristiani. Maria e Gesù nel mistero della Purificazione e della Presentazione cercano l’oscurità e l’umiliazione, e trovano lo splendore e la gloria. Come Vergine, Maria sacrifica la sua riputazione di verginità; come Madre, sacrifica il suo Figliuolo. E tosto per disposizione provvidenziale questo figlio, raccolto nelle braccia del vecchio Simeone, è proclamato Salvatore del mondo e Maria ristabilita nella gloria della sua maternità divina che aveva voluto nascondere sotto il velo della più umiliante condizione. – Ammiriamo le vie della Provvidenza; affidiamoci ad essa, sicuri che le vie da Essa disposte a nostro riguardo saranno le più salutari per noi.

IV. — Riserbandoci di considerar altra volta il seguito della profezia di Simeone raccogliamo il frutto dell’odierna considerazione, e raccogliamolo in una ferma risoluzione di praticar con singolare predilezione l’umiltà, col sacrificio volenteroso del nostro amor proprio. Se vi ha virtù di cui nel mondo si parla con disprezzo, perché ignorata, è appunto la umiltà! Oh, che non si dice contro tale virtù? Comprendete bene, o devoti Cristiani, che la vera umiltà è fondata sulla verità. Per l’umiltà dobbiamo sottometterci a Dio riconoscendo il suo pieno e perfetto dominio su noi. Non siamo nostri, siamo di Dio, a Dio apparteniamo noi e le cose nostre. Per l’umiltà dobbiamo riconoscere che se abbiamo qualche cosa di bene, essa non è nostra, ma di Dio da cui l’abbiamo avuta. Tutto quello che’ abbiamo, l’abbiamo avuto da Dio, e perciò dobbiamo usarne secondo la volontà di Dio, ricordando che perciò appunto a Dio un giorno dovremo renderne rigorosissimo conto. Per l’umiltà dobbiamo riconoscere il bisogno costante che abbiamo della divina grazia, perché se per un istante solo ci abbandona, che sarà di noi? Questo il pensiero che ci obbliga a non anteporci ad alcuno, neppure al più grande peccatore, perché tra breve possono essere cambiate completamente le cose: noi possiamo cadere e pervertirci, mentre il peccatore può rialzarsi e convertirsi. Per l’umiltà dobbiamo seriamente riflettere: Se Iddio avesse ad altri concesse le grazie che accordò a noi, qual maggior frutto avrebbero saputo ritrarne! E poi: quanti si trovano all’inferno, ed hanno peccato meno di noi! E perciò se avviene che il prossimo ci manchi di riguardo o di attenzione, se anche ci avviene di essere offesi, ricordiamo che innanzi a Dio abbiamo meritato ben peggio. Sappiamo elevarci a Dio, e rimirare in quello che quaggiù avviene, una permissione di Dio: e nelle persone, lo strumento di cui Iddio si serve. – Cerchiamo pertanto di conoscere seriamente il nostro nulla, la debolezza che portiamo con noi onde diffidare di noi e delle nostre forze. Imitiamo Maria: cerchiamo di essere buoni, virtuosi, pii innanzi a Dio, e non curiamoci del giudizio del mondo, non cerchiamone la stima, od il plauso. Nascondiamo volentieri agli occhi del mondo quel poco di bene, che con la grazia di Dio abbiamo potuto fare; da Dio solo attendiamone la ricompensa e sia nostra regola la sentenza di Gesù che vedemmo avverata nell’odierno mistero: Chi si innalza, sarà umiliato ; e chi si umilia, sarà esaltato (S. Luca, XIV, 11). Evitiamo ogni innalzamento di superbia per non essere eternamente umiliati; umiliamoci quaggiù per essere eternamente esaltati nella gloria del cielo.

Credo

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Ps XLIV:3.

Diffúsa est grátia in lábiis tuis: proptérea benedíxit te Deus in ætérnum, et in sǽculum sǽculi.

[La grazia è diffusa sulle tue labbra: perciò Iddio ti benedisse in eterno e nei secoli dei secoli]

Secreta

Exáudi, Dómine, preces nostras: et, ut digna sint múnera, quæ óculis tuæ majestátis offérimus, subsídium nobis tuæ pietátis impénde.

[Esaudisci, o Signore, le nostre preghiere: e, affinché siano degni i doni che offriamo alla tua maestà, accordaci l’aiuto della tua misericordia.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Luc II:26.

Respónsum accépit Símeon a Spíritu Sancto, non visúrum se mortem, nisi vidéret Christum Dómini.

[Lo Spirito Santo aveva rivelato a Simone che non sarebbe morto prima di vedere l’Unto del Signore]

Postcommunio

Orémus.

Quǽsumus, Dómine, Deus noster: ut sacrosáncta mystéria, quæ pro reparatiónis nostræ munímine contulísti, intercedénte beáta María semper Vírgine, et præsens nobis remédium esse fácias et futúrum.

[Ti preghiamo, o Signore Dio nostro: affinché questi sacrosanti misteri, che ci procurasti a presidio della nostra redenzione, intercedente la beata sempre Vergine Maria, ci siano rimedio per la vita presente e futura].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

2 FEBBRAIO – FESTA DELLA PURIFICAZIONE DELLA VERGINE

FESTA DELLA PURIFICAZIONE DELLA VERGINE

(B. Bossuet: LA MADONNA DISCORSI – V. Gatti ed. , Brescia, 1934

N. H: P. Guerrini cens. Eccl. Brescia 19 Maggio 1934

Imprimatur Brixiæ, die 19 Marialis 1934

ÆM. Bongiorni, Vic. Gen.)

Postquam impleti sunt dies purgationis eius secundum legem Moysi, tulerunt illum in Jerusalem ut sisterent eum Domino: sicut scriptum est in lege Domini.

(Luca, II, 22-23).

Teodosio imperatore diceva, che nulla vi è di più maestosamente regale di un principe che si riconosce obbligato alla legge. Il genere umano non potrà mai ammirare spettacolo più grande di quanto contempla la giustizia in trono: né potrà immaginare nulla di più maestoso ed augusto che l’accordo tra potenza e ragione, che felicemente fa concorrere all’osservanza della legge, il comando e l’esempio. Spettacolo meraviglioso un principe ossequiente alla legge come fosse l’ultimo dei sudditi: ma certo più ammirabile il contemplare un Dio sottomettersi alle leggi ch’Egli stesso dettò alle sue creature! Ci sarebbe possibile comprendere di più l’obbligo che ci lega alla legge, che considerando il mistero d’oggi, in cui un Dio si sottomette alla legge per dare all’umanità un luminoso esempio di obbedienza? Oh Dio quanto sei ammirabile nei tuoi disegni! Cristo Gesù viene a perfezionare la legge mosaica, che sostituirà con una economia di perfezione divina, ma fino a che la legislazione ebraica rimarrà in vigore Egli rispetterà il nome e la persona rivestita dell’autorità legale: la osserverà Egli stesso la legge e vorrà la osservi fedele la sua Madre divina. Ed allora, ditemi, non dovremo noi osservare, con religiosa esattezza, i precetti che il Cristo, apportatore di lieta novella, scrisse più col Sangue suo che colla parola e l’insegnamento? – Nella festa d’oggi non saprei quale omaggio migliore possa render un sacerdote alla sua missione, che mostrare a tutto il suo popolo come tutti ed ognuno abbiamo dovere di dipendenza da Dio e dalla sua legge universale e suprema! Sento di doverlo fare e certo riuscirò a rendervene convinti se la Vergine che oggi a noi mostrasi esempio di obbedienza alle prescrizioni legali, mi verrà in aiuto: invochiamola insieme con una Ave Maria! – Fra le diverse leggi che governano la natura, se vogliamo porre un rapporto troviamo subito che vi è una legge che guida ed una che costringe: una che ci tenta e seduce. Nelle Sacre Scritture, nei comandi del Signore, si vede la legge di giustizia che ci dirige: negli affari che ci premono, nelle vicende che attraversiamo necessariamente ogni giorno, nelle tristi condizioni della nostra povera umanità quotidianamente esperimentiamo la cruda necessità di una legge, vorrei dire fatale, che ci violenta. Anzi in noi stessi, nelle nostre membra e nel nostro spirito, è un imperioso allettamento che ci seduce, più ancora ci trascina o spinge al male: la confessava l’Apostolo questa legge, che egli chiama legge del peccato, che è continua tentazione alla nostra fragile natura d’uomini. Leggi diverse che ci impongono tre diversi modi d’azione: se vogliamo corrispondere fedelmente alla grazia della vocazione alla fede del Cristo, dobbiamo lasciarci guidare docili dai precetti che ci guidano, elevarci al di sopra delle tristi necessità che ci premono, resistere fortemente agli assalti del senso che ci inganna. – Gesù, la Vergine santa, il vecchio Simeone, Anna la profetessa vedova, ci insegnano tutto ciò nella festa di questo giorno: il vangelo della Messa ci riporta le loro parole ed i loro atti per inspirare il nostro modo d’agire verso le leggi che abbiamo constatate. Il Verbo incarnato e la sua santa Madre si sottomettono ai precetti che Dio aveva dato al suo popolo. Simeone, vecchio d’animo forte, che ormai nulla più tien legato alla vita, accettando tranquillo la legge della morte, si strappa alle necessità della vita, imparandoci a considerarle come legge inevitabile a cui dobbiamo adattarci con coraggio. Ed Anna, penitente e mortificata, ci mostra nei suoi sensi domati la vittoria sulla legge del peccato. Esempi memorabili d’una potente efficacia, che mi offrono l’occasione di mostrarvi oggi come dobbiamo noi tutti sottometterci alla legge della verità che ci guida: come dobbiamo sfruttare la legge della necessità che ci incatena, resistere infine alla voce del male che ci tenta ed alla legge del peccato che ci tiranneggia.

1° punto.

La libertà è nome caro, dolce ma insieme nome il più lusinghiero ed ingannatore tra tutti quelli che si usano tra gli uomini. Le rivolte, i tumulti, le sedizioni, il disprezzo e la violazione delle leggi nacquero sempre e crebbero nel nome dell’amore o del diritto alla libertà. Hanno gran quantità di beni gli uomini.. ma di nessuno abusano tanto quanto di questo gran dono: la libertà: e proprio tra tutte le cose che conoscono, la libertà è quella che conoscono meno e svisano di più. Vi faccio subito vedere un’aberrazione, che pare un paradosso: noi non perdiamo mai tanto la nostra libertà, come quando la vogliamo esageratamente estendere: e noi non sappiamo meglio conservarla che imponendole termini fissi entro cui si agiti: come conseguenza vi dirò che la vera libertà sta nella sottomissione alle leggi giuste. Se parlo del dono, e lo dico grande, della libertà, voi capite subito, o Cristiani, che accanto alla vera libertà, ve n’è una falsa: lo possiamo ben capire dalle stesse parole del Salvatore che ci avvisa: « si vos Filius liberaverit, tunc vere liberi eritis ». Sarete veramente liberi se avrete la libertà data dal Figliol dell’Uomo. (Giov., VIII). Nel dire: veramente liberi, parla di vera libertà; dice quindi, che ve n’è una falsa… una maschera di libertà! Egli vuole pertanto che le nostre aspirazioni non siano volte ad ogni forma di emancipazione ed indipendenza, ma alla vera libertà: libertà degna di questo nome sacro: quella cioè che a noi fu data dalla sua grazia e dalla sua dottrina: « tunc vere liberi eritis ». Non ci inganni dunque né il nome né l’aspetto della libertà: bisogna imparar subito a sceverare il vero dal falso. Perché lo possiamo nettamente, o Cristiani, vi descrivo tre sorta di libertà, che possiamo ben trovare nelle creature: la prima è la libertà degli animali; la seconda quella dei ribelli; la terza è la libertà dei sudditi e dei figlioli. – Sembra che gli animali siano completamente liberi perché nessuno detta loro alcuna legge: i ribelli credono di esserlo perché scuotono ogni giogo: i figlioli ed i sottomessi, i figli di Dio sono i veramente liberi, perché umilmente si sottomettono all’autorità della sua legge. Questa è la vera e la sola libertà: non ci sarà difficile il provarlo, quando proveremo che le altre due non sono affatto libertà.

La libertà dei bruti — veramente, fratelli, io mi sento arrossire in viso, chiamandola così — sento che avvilisco questo nome sacro! È vero: gli animali non hanno legge alcuna che reprima e limiti i loro appetiti, o li diriga: ma il perché è questo: Essi essendo privi di intelligenza non sono nemmeno capaci della direzione della legge. Sono guidati da un istinto cieco, e vanno dove questo li spinge, senza direzione né  criterio… Vorreste voi dirlo libertà un istinto cieco e brutalmente irruente che non è neppur suscettibile di norma e di guida, di freno? Oh figli d’Adamo che un Dio fece a sua immagine e somiglianza… non permetta questo Dio, che vi attragga questa libertà e vi adattiate ad amarla una libertà così vergognosa ed umiliante! Eppure… cosa sentiamo noi ogni giorno dalla bocca della gente del mondo? non sono quelli che trovano inutili le leggi, che tutte le vorrebbero abolite, tranne quelle dettate dal loro io a se stessi e dai loro desideri senza freno? Sarebbe molto piccolo il passaggio per costoro ad invidiare la libertà del bruto e dell’animale selvaggio, ormai essi non accettano altra legge che quella dei loro desideri!… Oh povera natura umana quanto vieni prostituita! Sentiamo però, o Cristiani, la parola del dotto Tertulliano: egli: che ben aveva compresa la dignità umana, scriveva nel secondo libro contro Marcione, un vero capolavoro di dottrina e di alto parlare, questa sentenza : « Era necessario che Dio desse all’uomo delle leggi, non per togliergli la libertà data, ma per dargli prova di stima. « Legem… bonitas erogavit, quo Deo adhæreret, ne non tam liber quam abiectus viveretur ». Davvero sarebbe stata atroce offesa alla nostra natura la libertà di vivere senza legge: Dio avrebbe mostrato tutto il suo disprezzo per l’uomo se non si fosse degnato di regolarlo dettandogli norme di vivere. L’avrebbe posto al livello dei bruti, ai quali non dà leggi e li lascia vivere senza freni, non per altro che per il disprezzo che ne ha, dice lo stesso Tertulliano. Ed allora quando gli uomini si lamentan della legge loro data, e braman una vita senza freno né guida, spinta solo dai loro ciechi desideri, bisogna proprio dire col Salmista che hanno perduto l’idea ed il concetto d’onore e della dignità della natura umana, se bramano essere uguagliati ai bruti! « Homo curri in honore esset, non intellexit, comparatus est jumentis insipientibus et similis factus est illis » (Ps., XLVIII).Cieca insipienza, descritta da un amico del pazienteGiobbe : — Vir vanus in superbiam erigitur, et tamquam pullum onagri se liberum putat natum.— L’umano sciocco è irragionevole, portatoda stolta superbia, crede, come il puledro dell’asinoselvatico, d’esser nato in libertà!Osserviamo, fratelli, i sentimenti dei peccatori, (furono tante volte anche i nostri), quando ciechisi tengono a guida il loro capriccio, la loro passione, la collera, il piacere, la sbrigliata fantasia: emordono il freno e ricalcitrano contro ogni leggee non vogliono sopportar dettami che li guidinoo regolino! Si stimano d’esser nati in piena libertà,non come gli uomini però, ma come gli animali…i più indomiti… i figli dell’asino selvatico, chenon vogliono né redini né sella né una mano cheli guidi!Oh uomini, no, no, non dobbiamo considerarcicosi vergognosamente bassi!È vero: siamo nati liberi: ma la libertà nondeve essere abbandonata a se stessa, sotto pena divederla degenerare nel libertinaggio che è il carneficedella vera libertà.Abbiamo bisogno di legge, perché noi abbiamola ragione e siamo suscettibili di indirizzo, diguida di norme che ci regolino: ed il Salmista Iodomanda al Signore quando prega per il popoloeletto: « Manda, o Signore, un legislatore al tuopopolo, perché le genti conoscan ch’essi sono uomini» (Ps., XX) …date loro prima Mosè che guideràla loro fanciullezza…; darete poi il santo Legislatore, Gesù Cristo che, fatto adulto il popolo, lo ammaestrerà nella vostra legge, lo condurrà per la via della perfezione!… Mostrerete così che voi sapete che il vostro popolo è fatto d’uomini… creature vostre da Voi fatte a vostra immagine e somiglianza e le cui opere e costumi volete modellati su di una legge che è vostra parola, eterna verità. Ma se è necessario assolutamente che Dio, Creatore dell’uomo, gli dia una legge, è necessario insieme però che la volontà umana vi si sottometta pienamente.Ecco allora la Vergine che nel mistero di questo giorno ci dà luminoso esempio di obbedienza perfetta. Pura come il raggio del sole, Ella si sottomette umile alla legge della purificazione. Anzi Ella porta al tempio lo stesso Salvatore, perché la legge lo comanda, ed Egli non disdegna, Egli autoredella legge, innocente sottoporsi alle prescrizioni dettate per i sudditi nati nella colpa. Ci insegnino questi esempi che la dobbiamo veramente amare la nostra libertà… ma amarla sottomettendola a Dio, persuasi che le sue leggi non la inceppano ma la fanno più perfetta, più sicura. Quando da l’una e dall’altra parte d’un fiume si costruiscono gli argini né si vuol fermare il fiume, né ostacolarlo nel suo corso, anzi, impedendogli di spargersi nelle campagne e sparire, lo si fa scorrere nel suo letto e correre tranquillo al mare!Alla stessa guisa quando le leggi a destra ed a sinistra stringono la nostra libertà, non la distruggono ma la incanalano, e mentre le impediscono di deragliare, le fanno seguir la via giusta che deve battere per riuscire dono benefico alla nostra natura: non la si fa schiava, la si guida…: non la sicostringe, la si dirige.La distruggono coloro soltanto che stornandola dal suo corso naturale, il fine cioè per cui Dio ce la donò, l’allontanano dal bene sommo a cui tende.Ecco allora, o fratelli, che la vera libertà ci viene data e conservata da Dio e dalla nostra dipendenza da Lui. Il rifiutare obbedienza, o miei cari, alla legge ed autorità di Dio, non è libertà ma ribellione, non è emancipazione ma insolenza! Apriamo gli occhi, apriamoli con coraggio, o fratelli, e vediamo quale sia la vera libertà nostra: siamo fatti liberi non per scuotere il giogo, ma per portarlo con onore, portandolo volontariamente. Abbiamo la libertà ma essa non deve essere la licenza di fare il male, ma di fare il bene pur potendo abusarne e fare il male, perché facendo noi liberamente il bene, questo ridondi a nostro onore e gloria: liberi non per rifiutare a Dio il nostro servizio, ma per servirlo volontariamente e farcelo, per così esprimerci, riconoscente, debitore come il padrone verso il servo fedele! Senza confronto noi siamo più sottoposti a Dio di quanto un fanciullo può essere sottoposto all’autorità di suo padre. Che se, osserva Tertulliano, Dio donandoci la libertà in un certo modo ci emancipò, non volle certo renderci indipendenti: lo fece perché, volontaria la nostra dipendenza, per libera nostra elezione gli rendessimo quanto per dovere gli dobbiamo e così i nostri servigi fossero meritevoli di ricompensa. Ecco perché siamo liberi, o fratelli. Ma, oh Dio. quale abuso tra gli uomini di questo dono del cielo! Come ha ragione il grande Papa Innocenzo IV, quando lamenta « che l’uomo è stranamente ingannato dalla sua stessa libertà — sua in æternum libertate deceptus! » Altro non vuol dire il Santo Pontefice che l’uomo non volle, non seppe distinguere tra libertà ed indipendenza, e non ricordò che esser libero non voleva dire essere senza padrone: mentre l’uomo è libero come il suddito sotto il legittimo principe, il figlio sotto l’autorità paterna.Egli invece volle esser libero fino a disconoscere la sua condizione e perdere completamente il rispetto: la sua fu la libertà del ribelle mentre doveva essere quella d’un buon figliolo e d’un suddito fedele.

La potenza di Colui contro del quale si alza sfacciato non permette che il ribelle gusti a lungo la sua licenza… È S. Agostino che parla. Sentite:« Altre volte, io volli essere libero a questo modo…e accontenta i i miei desideri, seguii le mie folli passioni! Ma ahi triste libertà… facendo quello che volevo ruinavo là dove non avrei voluto » (Conf.,VIII, V).Eccovi fedelmente ritratto il domani di tutti ipeccatori! Consideriamo questo uomo troppo libero, di cuivi ho parlato fino ad ora, che nulla mai nega né al capriccio né alla passione: sprezza e spezza ogni vincolo di legge: ama ed odia, si vendica a seconda che ve lo spinge il suo umore tetro o lieto lasciando correre il suo cuore dove il piacere l’attira: credere spirare un’aria di piena libertà perché correa destra ed a sinistra coi suoi desideri incerti e vaghi… e chiama libertà quello che è traviamento, proprio come i fanciulli che fuggiti da casa credono esser liberi e non sanno dove fuggano e vadano. Si stima libero il peccatore, stima questo far quel che vuole, libertà; ma quanto lo tradisce questa maschera di libertà: nel fare a suo modo, fatto cieco, precipita là dove non avrebbe voluto scendere affatto. Perché, o signori miei, in un governo perfetto la legge non può essere senza la forza della sanzione: le sue leggi sono forze armate, e chi le disprezza ne prova subito i colpi. Il folle che contro Dio, nel disprezzo della sua legge, vuole usare la sua libertà, per fare quel che gli garba, s’accumula sul capo le condanne che più dovrebbe temere: la terribile e giusta vendetta dell’Onnipotente disprezzato…la morte eterna. Basta… cessa o temerario ribelle dalla tua insolente libertà che non può salvarti dall’ira del sovrano che offendi, comprendi che con questa libertà tu fai a te stesso pesanti catene, e poni sul tuo collo un giogo di ferro che non potrai più scuotere: ti condannerai tu stesso ad una umiliante schiavitù mentre credi estender folle la tua indipendenza fino fuori del diritto di Dio.Che ci resta a fare allora, o fratelli? se non vivere sempre ed ogni giorno nella dipendenza del nostro Dio, certi che disprezzando i suoi comandamenti non potremmo mai sfuggire ai suoi castighi? L’Apostolo ci avverte di temere il Principe, perché non per nulla porta la spada: dovremo più ancora temere Iddio che non per nulla è giusto e onnipotente ed inutilmente non fa risuonare le sue minacce. Sto parlando, ed è onore, davanti a Sovrani: impariamo come render il nostro omaggio a Dio, da quanto facciamo verso l’autorità terrena che nell’immagine. Non fa ognuno di noi, nella obbedienza alla legge, sua la volontà del Principe? Non è vero che ci teniamo onorati di potergli prestare i nostri servigi e vorremmo quasi prevenirne i desideri? Più ancora, il suddito fedele non ritiene onore grandissimo dar la sua vita per il suo re? Stimiamo bella ogni occasione per dimostrare questa nostra disposizione d’animo: e questi sentimenti sono giusti e legittimi. Al di sopra del Re, non c’è che Dio; dopo di Dio il principe è la suprema autorità nella società civile, e tiene nelle sue mani la forza per l’esercizio della sua autorità. Non viene da tutto questo, come legittima conseguenza, che sarebbe assurdo vergognoso il ritener il Principe di più di Dio, e si negasse a Dio l’onore e l’obbedienza data al Principe? Il rappresentante sarebbe più onorato del Sovrano assoluto. Impunemente non si offende il principe, poiché tiene la spada in mano e si fa temere… e non gli si resiste. Parlando del Re, Salomone dice che egli scopre ogni segreto complotto… « gli uccelli del cielo tutto gli riferiscono » tanto che si vorrebbe quasi dire che prevede e preannuncia fatti e cose, le indovina, tanto difficilmente gli si può nascondere qualcosa: « Divinatio in labiis regis ». Allunga ed allarga le sue braccia, continua Salomone, e va a scovare i suoi nemici nelle profonde caverne in cui avevan pensato sfuggire alla sua potenza: la sua apparizione li mette in scompiglio e la sua autorità li schiaccia. (Eccles. Prov.). E se tanta forza ammiriamo nella debolezza della persona umana, quanto non dovremo tremare davanti alla Maestà suprema di un Dio vivente ed eterno! La più grande potenza del mondo non può andar più in là, in fin dei conti, di togliere la vita al suddito… Non occorre poi un grande sforzo per far morire un uomo mortale… togliere qualche momento ad una vita che li ha contati, e da sé corre verso l’ultimo suo istante. Che se temiamo tanto chi può toglierci la vita del corpo, e tolta questa non può più nuocerci, quanto più, insiste il Salvatore, quanto più dovrete temere Colui che può, anima e corpo, precipitarvi nella geenna eterna!…Osservate però, fratelli… quale cecità impressionante!… non solo vogliamo resistere a Dio, maci troviamo gusto a resistere ed opporci alla sua volontà! Aberrazione e rivolta più laida contro Dio non la si può pensare: la legge ch’Egli pose perché fosse argine e ritegno ai nostri pazzi desideri, li stuzzica e li provoca li fa più forti. Più una cosa è vietata e più ci sentiamo tirati a farla: mentre il dovere, ci si presenta come una tortura: ciò che la ragione dice buono, non ci piace quasi mai, e par quasi che quello che facciamo contro la legge sia più saporito e divertente: i cibi proibiti nel giorno dell’astinenza ci appaiono più appetitosi e saporiti « è il peccato che, ingannandoci con una falsa dolcezza, ci fa riuscire tanto più gradita una cosa quanto più ci è proibita ». Pare quasi che il nostro io, si stizzisca contro la legge perché è contraria ai nostri desideri, e ci troviamo un certo gusto a vendicarci facendole dispetti, anzi il tentare di imporci un freno od un argine, è proprio un provocarci a romperlo con più audacia ed astio! Era questo strano contrasto della nostra anima che faceva dire all’Apostolo che il peccato si serviva proprio della proibizione per sedurlo: « Peccatimi, occasione accepta per mandatimi, seduxit me » (Romani, VIII).Quanto siamo mai ciechi, o Signore, e quanto si sta lontana dalle tue leggi sapienti, l’arroganza umana… se lo stesso tuo comandarci ci stimola a disobbedirti!Oh venite Voi, o Maria Vergine cara, venite col vostro Gesù, Gesù e Maria venite e col vostro esempio piegate gli indocili nostri cuori! Chi vorrà pensarsi dispensato dall’obbedienza quando un Dio si fa obbediente alla legge? Quale pretesto cercheremo per sottrarci alla legge, davanti alla Vergine che si presenta per essere purificata, e che sapendo si pura d’una purezza angelica non si crede dispensata da una legge che per lei era proprio inutile? Se la legge dettata da Mosè, ch’era servo come noi, esige obbedienza così esatta ed universale,quale obbedienza piena e perfetta non dovremo noi alla legge dettata e comandata dallo stesso Figlio di Dio?Davanti a queste riflessioni ed a questi esempi, l’infingardaggine nostra non può più aver né scuse né pretesti… giù la testa! Anzi non contenti di fare quanto Dio comanda, mostriamogli la disposizione della nostra volontà in far quanto è suo piacere, sempre. Ciò vi propongo nell’altra parte del mio discorso, in cui per non essere lungo, unirò il secondo ed il terzo punto della mia divisione adducendo per essi lo stesso ragionamento e le medesime prove.

II° e III°  punto.

Fratelli, tra le cose che Dio esige da noi, osserviamo questa differenza: alcune che dobbiamo fare dipendono dalla nostra scelta: altre invece non hanno nessun rapporto colla nostra volontà, è Dio che arbitrariamente agisce per la sua potenza assoluta. Spieghiamoci: Dio vuole, ad es. che noi siamo giusti, retti, moderati nei nostri desideri, sinceri nel nostro parlare, costanti nelle azioni nostre; ci vuole pronti a perdonare le offese e non vuole assolutamente ne facciamo agli altri. In queste ed altre simili cose che vuole da noi, e che non sono che la pratica della sua legge e dei suoi precetti, la nostra volontà è per nulla affatto forzata. Se disobbediamo, Egli ci punisce, è vero, e non possiamo sfuggire al castigo, ma però possiamo disobbedire: ci pone davanti la vita e la morte lasciandoci liberissimi nella scelta. – In questo modo domanda l’obbedienza dell’uomo ai suoi comandamenti; come se essa fosse effetto della sua scelta e della sua propria determinazione. -Vi sono invece, altri eventi, che decidono della nostra fortuna e della nostra vita, e che sono disposti e guidati dalla mano segreta della sua provvidenza. Essi sono fuori dell’ambito del nostro potere e spesso perfino della nostra previsione, cosicché nessuna mano, per quanto potente, può arrestarne o mutarne il corso, secondo la frase di Isaia (LV): « I miei non sono i vostri pensieri: come è distaccato il cielo dalla terra, tanto e di più sono lontani i miei pensieri dai vostri » ed altrove: « Sarà fatto ogni mio volere e raggiungerà il suo sviluppo ogni mio discorso ». « Consìlium meum stahìt et omnis voluntas mea fiet ». Davanti alla causa di questa differenza, io sento che non sarebbe giusto die Dio lasciasse tutto alla mercé della nostra volontà, lasciandoci arbitri di noi e di quanto ci riguarda; mentre è giustissimo che l’uomo senta che vi è una forza superiore alla quale deve sottostare e cedere. È questo il perché di un duplice ordine di cose: quelle che vuole che facciamo noi, scegliendocele; altre che facciamo accettandole dalla necessità che ce le impone. È così che sono disposte le vicende umane: nessuna di esse però, per quanto ben preparata da prudenza, protetta da forza, sarà così sicura da non poter essere turbata da accidenti imprevisti che ne interrompono o deviano l’andamento. La Suprema Potenza dell’universo non vuol permettere vi sia un uomo, per quanto grande e potente, che possa disporre a suo piacimento della sua sorte e delle sue fortune, molto meno della sua salute e della sua vita. Piacque al Signore disporre tutto così, perché  l’uomo esperimenti quotidianamente questa forza superiore di cui vi parlo: forza divina ed inevitabile che talvolta, non lo nascondo, si rallenta e quasi si adatta alla volontà nostra, ma sa anche, quando lo voglia, opporre tale resistenza che contro di essa tutto s’infrange, e, nostro malgrado, ci fa servire ai piani della divina Provvidenza, in ogni pensiero e atto nostro. Arbitro Supremo, Iddio ha diviso le cose nostre così che alcune restano in nostro potere ed altre in cui, senza punto guardare a noi, solo consulta il suo piacere: perché se da un lato possiamo usare della nostra libertà, sentiamo dall’altro che abbiamo un forte dovere di dipendenza. Non ci vuole padroni assoluti: anzi vuole sentiamo che la sua padronanza c’è e s’esercita, tanto e quanto e dove Egli vuole perché ci guardiamo bene dall’abusare di questo dono della libertà. Se dolcemente ci invita, comprendiamolo bene, non è che ove voglia non sappia e non possa costringerci colla forza, no, ma vuole che temiamo sempre questa sua forza anche quando ci fa provare la sua dolcezza. È Lui, proprio Lui, che semina la nostra vita di avvenimenti ed eventi che ci infastidiscono, che contrariano la nostra volontà, che troppo attaccata a se stessa giunge alla licenza. E lo fa, perché  completamente domati, docili, sottomessi a Lui, ci possa innalzare alla vera sapienza. Non v’è prova più evidente di una ragione esercitata e sicura che il saper resistere alle proprie brame. Vedete: l’età in cui meno si ragiona si è anche meno capaci di moderar le proprie brame di vincerci… è l’età del capriccio. Se nei fanciulli la volontà fosse così fissa e costante quanto è ardente non potremmo più arrestarli né calmarli nelle loro voglie. Vogliono quel che vogliono: non stanno a veder se sarà utile o di danno, basta che piaccia ai loro occhi! se siano essi od altri i padroni, non importa nulla, basta che piaccia a loro che lo desiderano, lo vogliono: essi si credono padroni di tutto. Provate ad opporvi… il loro viso si accende ed infiamma, un tremito convulso li agita, pestano i piedi, piangono, anzi non è neppure pianto il loro, è un gemito, un riso, è un grido in cui c’è preghiera stizza, brama e dispetto: esponenti di un ardore di desiderio frutto della loro debolezza ed incapacità di ragionare. Fanno così i fanciulli!… ma se ci guardiamo intorno, dovremo confessare: quanti fanciulli nel mondo… fanciulli bianchi per antico pelo, fanciulli di cent’anni!… sono uomini in cui è violenza nel desiderio debolezza nel ragionare. Perché l’avaro vuole quanto brama senz’altro diritto che il suo interesse? L’adultero, che Dio tante volte maledice, che diritto ha alla moglie del prossimo se non la sua concupiscenza che è cieca? Non sono fanciulli che credono che per avere basti la loro voglia e il loro capriccio? Ma c’è una differenza tra il fanciullo e questi fanciulli: in quello là, natura, lasciando rallentate le redini alla violenta inclinazione, pone un altro freno: essi sono deboli ed incapaci di ottenere quel che vogliono: in questi altri — vecchi fanciulli — i desideri impetuosi non ostacolati dalla debolezza, divampano terribili se la ragione non li imbriglia e guida. – Conchiudiamo, fratelli, che vera scienza e vera sapienza è il saper moderarsi: man mano che si sa domare la violenza del proprio desiderio, si dà prova che si allontana dalla puerizia e fanciullezza e si diventa ragionevoli. « Diremo uomo maturo, vero saggio quello che, dice il dotto Sinasio, non si tiene in dovere di accontentare ogni brama od ogni desiderio… ma tutti guida e domina i suoi desideri secondo i suoi doveri ed i suoi obblighi, e ben conoscendo la fecondità della natura nelle voglie cattive, taglia e di qua e di là, come buon giardiniere, quanto trova, non solo guasto o secco, ma quanto vede superfluo, non lasciando crescere rigoglioso che quanto può dare frutti di vera sapienza ». Dite bene, vorreste oppormi che gli alberi non si lagnano né soffrono di questi tagli dei loro rami inutili o superflui, mentre la nostra volontà strilla e reclama quando si rintuzzano i suoi desideri: quindi, è difficile trovar il coraggio di tagliar sul proprio io. È vero: non tutti hanno il coraggio del Santo Vecchio, o della vedova Anna, di cui ci parla il Vangelo d’oggi, che agivan contro se stessi nella mortificazione e lottavan contro la legge di peccato che è nei nostri sensi: ecco però che il Signore viene in nostro aiuto. Sorgente prima ed universale del disordine in noi è l’attaccamento nostro alla nostra volontà: non possiamo contraddirci, anzi troviamo più facile opporci a Dio che al nostro io. Bisogna allora togliere questa radice guasta, sradicarla questa pianta infetta che dà frutti guasti, e con uno sforzo violento: pensiamo che essa è la causa della nostra sventura ed è tutta colpa nostra… Va bene! ma ed il coraggio? dove andremo a prenderlo questo coraggio di applicare ferro e fuoco ad una parte così delicata e sensibile del nostro cuore? Il malato vede che il suo braccio incancrenito lo porta alla morte, vede che bisogna tagliarlo ma da solo non lo sa fare: alla sua incapacità viene in aiuto il chirurgo, che fa un triste servizio ma pur necessario e salutare. Anch’io vedo che l’attacco al mio volere mi porta a dannarmi, perché fa vivere tutti i miei desideri malvagi: lo so, lo confesso. Ma confesso anche che non ho né coraggio né forza di armar la mia mano del coltello e tagliare… Ecco il Signore: viene e fa Egli il chirurgo che taglia e salva: viene accanto a noi in certi incontri ed avvenimenti dolorosi, inattesi ed inopportuni eventi, contrarietà insopportabili ed ingiuste, diciamo noi… sono i ferri chirurgici disposti dalla sua Provvidenza, e con essi attacca, abbatte e doma la nostra volontà che dalla libertà va alla licenza, risparmiandoci così di esser noi violenti contro noi stessi. Quasi la immobilizza la nostra volontà perché non sfugga al colpo doloroso ma salutare… e taglia, e profondamente penetra dentro alle nostre carni vive finché noi, costretti dalla sua mano, dalle disposizioni della sua volontà, ci stacchiamo dal nostro io… ed allora siamo guariti… dalla morte torniamo alla vita. – Se noi comprendessimo come siamo composti, e quanto ci lasciamo trascinare dai tristi nostri umori, comprenderemmo bene quanto ci è necessaria questa mano chirurgica. Voglio descrivervi con poche parole lo stato deplorevole della natura nostra. V’è una duplice sorta di mali… alcuni ci affliggono, altri, pare impossibile, ci piacciono: è strana ma purtroppo vera, reale distinzione. Dice S. Agostino che alcuni mali li sopportiamo con la nostra pazienza… e sono quelli che ci affliggono: altri invece li frena e domina la nostra temperanza: questi, continua lo stesso Santo, sono mali che ci piacciono: « Alia quæ per patientiam ferimus, alia quæ per temperantiam refrenamus ». A quanti mah sei esposta, sventurata umanità! Siamo preda a mille infermità: ogni nonnulla basta a darci noia, a farci ammalare… un nonnulla basta a farci morire! Diremmo quasi che una potenza avversa sia schierata contro la povera natura nostra, tanto pare ci trovi gusto a martoriare ogni nostra parte! eppure non è questo il nostro male maggiore: l’avarizia nostra, la nostra ambizione le altre passioni cieche insaziate ed insaziabili sono mali e quanto terribili! sono mali che ci seducono ed attraggono. Ma dove ci avete posto, o Dio? che vita è mai la nostra se ci perseguitano e i mali che ci fan soffrire e i mali che ci allettano e ci piacciono!? Ah me infelice chi mai mi strapperà a questo corpo di morte?… Chi? Ascoltami povero mortale… v’è chi ti libererà: sarà la grazia di Dio, per Cristo Gesù nostro Signore: ce lo dice il suo grande Apostolo, che scrutò le profonde ricchezze dell’amore di Dio. È vero: due sorta di mali ti travagliano; ma ecco che nella sua provvidenza Dio dispone che gli uni siano rimedio agli altri: cioè quelli che ci addolorano servano a moderare quelli che ci piacciono. Quelli a cui siamo costretti per frenare quelli in cui siamo troppo liberi: ogni male che ci viene di fuori, viene per abbattere un male che dentro di noi si solleva contro di noi… i cocenti dolori correggono gli eccessi a cui trasporta la passione sbrigliata… le disillusioni, le pene della vita ci fan sentir nausea dei falsi piaceri e attutiscono il senso troppo vivo del piacere. Non lo nego: la nostra natura, trattata così rudemente, soffre e noi ce ne lamentiamo… ma questa stessa pena nostra è medicina e rimedio, la rigidezza, in cui ci si tiene, diventa un regime curativo benefico. – Abbiamo bisogno, noi figli di Dio, che ci si tratti così fino a che non siam giunti a guarigione perfetta, cioè sia completamente abolita la legge del peccato che regna nelle membra nostre. Dobbiamo sopportare tutti questi mali fino a che non ne siamo corretti… ci occorrono questi mali per tener ritto il nostro giudizio fino a che viviamo in mezzo a tanti beni falsi dei quali, troppo facilmente, siamo portati a godere. Ogni contrarietà è un argine provvidenziale alla nostra libertà che disalvea… un freno alle passioni che tentano sopraffarci. Dio, che conosce quel che davvero ci fa bene, viene e contraria i nostri desideri: così dispose, la natura ed il mondo, e che da essi, proprio da essi, nascano ostacoli insuperabili che s’oppongono ai nostri progetti e sogni. nostra natura: di tutte le spine dei nostri affari: delle ingiustizie di tanti uomini, delle ineguaglianze importune, degli imbrogli del mondo e della vanità dei suoi favori. Per questo sono amati i suoi rifiuti e le sue lusinghe più dolci sono stimate pesanti catene di schiavi! Contraddetti a destra ed a sinistra la nostra volontà, sempre troppo libera, deve finalmente imparare a regolarsi: e l’uomo oppresso e travagliato da ogni parte, finalmente si sente spinto a volgersi al Signore, gridandogli sincero dal profondo del cuore: veramente tu sei, o Dio, il mio Signore: è giusto che la tua creatura serva a Te e ti obbedisca! Sottomettendoci invece alla volontà santa del Signore, una grande pace scende nell’anima nostra… accada che vuole nulla può smuoverci né commuoverci. Ecco: Simeone predice a Maria, appena madre, oscuri mali, immensi dolori; « l’anima tua sarà trafitta da acuta spada, e questo tuo Figliolo, ora tuo gaudio tuo amore, sarà bersaglio di contraddizione ». Cioè il Mondo e l’Inferno, raccolte tutte le loro tristi potenze si scaglieranno contro la sua persona e la sua opera, tentandone la rovina!… Predizione crudele, e tanto più crudele perché vaga… Simeone non predice alcun male in particolare, li lascia pensare e pesare tutti sul cuore. Per me non saprei trovare nulla di più angosciosamente crudo che lo stato di un cuore che si sta sotto l’incubo di una minaccia di mali, e non sa quale… impotente quindi a tentar una fuga un rimedio una difesa… quale?… dove?… – Atterrita, inebetita, quest’anima scruta e cerca e teme tutti ed ogni male: li va quasi scovando fino al fondo… il suo pensiero diventa il suo carnefice… poiché terribilmente atterrita non mette limiti né all’intensità né al numero degli strazi che le si minacciano. – S. Agostino dice che sotto la minaccia del male è già grande conforto il poter sapere da quale male saremo colpiti: saper perfino di qual morte moriamo è meno crudo che agonizzare temendole tutte: « Satius est unam perpeti morìendo, quam omnes timere vivendo ». Eppure Maria ascolta tacendo le terribili predizioni… non una parola di lamento, non una domanda al Vegliardo, che le lacera l’anima con le sue profezie, perché le dica quando, quanto, fino a quando questa spada le trafiggerà l’anima: Ella sa che tutto è disposto e guidato dalla mano di Dio… questo le basta e la sua volontà è subito sottomessa: per ciò non la turba il presente non la atterrisce il futuro. Oh se ancor noi sapessimo abbandonare noi e le cose nostre nelle braccia di quella Sapienza eterna che tutto regge e governa, quale costante tranquillità inonderebbe il nostro spirito: nessuna incalzante necessità, nessuna contraddizione lo saprebbe smuovere e turbare. Se fossimo anche noi come il vecchio Simeone, staccati da noi non avrebbe attrattive la vita, né spauracchi la morte, pur tanto odiosa!… viaggiatori, attenderemmo tranquillamente che lo Spirito del Signore ci inviti a fermarci dal nostro viaggio nel tempo, per entrare alla eternità. Fatto ogni giorno della vita il nostro dovere, come Simeone potremmo dire al Signore ad ogni istante: «Lascia, o Dio, che il tuo servo se ne vada ora in pace ». – Non fermiamoci qui però, o fratelli, nell’imitare il vecchio Simeone: non dobbiamo andarcene da questo mondo prima di aver visto, di esserci incontrati con Gesù: bisogna che possiamo aggiungere a quelle parole le altre: « perché i miei occhi contemplarono il Salvatore, che tu preparasti al mondo prima che fosse alcun popolo ». Il Salvatore promesso, atteso per tanti secoli venne finalmente: brillò la sua luce, ne furono illuminate e genti e nazioni: caddero gli idoli, furon liberati gli schiavi, i figli disobbedienti furono riconciliati col padre, i popoli si convertirono al loro Dio. Non basta fratelli! È venuto per noi questo Salvatore? È il nostro capitano, la nostra guida, la luce che illumina ognuno di noi?… no forse… perché noi non camminiamo per la via segnata dalla sua parola nei suoi precetti… non li osserviamo noi i suoi comandamenti. L’apostolo S. Giovanni potrebbe ancora dire davanti a tanti la parola severa del suo Vangelo (V, 37-38): « Neque vocem eius unquam audistis, neque speciem eius vidistis, et verbum eius non habetis in vobis manens » perché, continua: chi dice di conoscerlo e non ne osserva i comandamenti, è bugiardo « mendax est » ed in lui non è la verità « veritas in eo non est » (II, 4). Chi, tra noi, può dire, con verità, io lo conosco il Cristo, il Maestro? Quale contributo di vita abbiamo dato al suo vangelo? quali sono i vizi corretti, le passioni domate in noi? come usammo fino ad oggi dei beni e dei mali della vita?… quando la mano di Dio diminuiva le nostre ricchezze, abbiamo saputo anche noi diminuire le nostre spese, il nostro lusso?… ingannati dalla fortuna incostante, seppimo con coraggio staccar il cuore da’ suoi beni per attaccarlo a quelli che non sono né in sua mano né in suo potere? Ma ahi, che anche di noi si poté scrivere: « dissipati sunt, non compuncti… — fummo addolorati ma non mutati a bene! » Servi ostinati e caparbi, sotto la stessa sferza che ci voleva correggere e far camminare diritto, noi ci siamo impuntati… ci siamo ammutinati… rimproverati, non ci siamo corretti; abbattuti, non fummo umiliati; castigati, non convertiti! E davanti a questo nostro ritratto, diciamo ancora, se ne abbiamo il coraggio, di aver visto il Salvatore promesso, di aver conosciuto Gesù Cristo… lo Spirito Santo, colla mano di Giovanni, ci chiuderà la bocca: « in te non è la verità, tu sei bugiardo ». Temiamo, o Cristiani, temiamo e tremiamo di morire… poiché non abbiamo ancor visto Gesù, ed ancor non abbiamo tenuto sulle nostre braccia il Salvatore… cioè non ne abbiamo abbracciata la parola, la sua verità i suoi comandi! Infelici coloro che muoiono prima di averlo visto il Cristo Salvatore… quanto spaventosa la loro morte… come terribile il suo avvicinarsi… orribili le conseguenze del suo passaggio e del suo trionfo! In quell’ora svanirà la gloria, ruineranno i sogni ed i progetti… « in illa die peribunt omnes cogitationes eorum » mentre comincerà il loro supplizio…un fuoco eterno s’accenderà per essi: il furore e la disperazione più cruda ne lacereranno l’anima… il verme roditore, che non muore, affonderà più vorace il suo dente velenoso e non si staccherà più!Su fratelli, accorriamo al tempio con Simeone, ci porti lo Spirito del Signore, prendiamoci tra le braccia Gesù… baciamolo con amore… stringiamocelo al cuore perché sia tutto suo questo nostro misero. cuore. L’uomo dabbene non tremerà al venire della morte, poiché l’anima ormai più non appartiene aquesto corpo mortale: ne è già staccata: poiché. egli dominò le passioni, soggiogò i sensi e la carne.La penitenza e la mortificazione gli diedero questo dominio, l’emanciparono e dal corpo e dai suoi sensi… libero tenderà le braccia alla morte che viene quasi le additerà dove gli debba menare l’ultimo colpo!Alle minacce egli risponderà: Morte tu non mi spaventi… per me non sei né crudele, né inesorabile…tu non mi puoi spogliare dei beni che io amo… tu solo mi strapperai questo corpo… questo che è corpo di morte… me ne libererai finalmente, coronando gli sforzi costanti della mia vita con cui mirai giorno per giorno a strapparmi alla sua tirannia!… Nunc dimittis… lascia, o morte, che libero me ne vada al mio Signore!Qual cosa ci sembrerà impossibile, fratelli, per aver una simile morte… gioiosa come un trionfo?Potessimo morire della morte del giusto per aver eterno riposo, il vero riposo che non ci seppero né ci potevano dare i beni della vita… suchiudiamo l’occhio nostro ed il cuore nostro ad ogni bene che ci invita e fugge, per aprirlo solo e sempre nella vita a quei beni che durano e saranno nostri eternamente in seno al Padre, al Figlio e dallo Spirito Santo. Amen.

FESTA DELLA CANDELORA (2020)

LA RICOSTRUZIONE DELLA VITA SOCIALE (1)

GREGORIO XVII: IL MAGISTERO IMPEDITO

GIUSEPPE SIRI

LA RICOSTRUZIONE DELLA VITA SOCIALE (1)

2. Edizione

EDITRICE A. V. E. ROMA

Nulla osta alla stampa

Genova 31 dicembre 1943

N. H. Sac. F . COSTA, revisore delegato

Imprimatur

Genaæ. 4 Ianuarii 1944

F. CANESSA, Vic. Gen.

Società Ligure « IMPRESE TIPOGRAFICHE » – Costigliole d’Asti

Alla grande e santa memoria del Card. Carlo Dalmazio Minorelli

Arcivescovo di Genova

INTRODUZIONE

Il Messaggio natalizio 1942 di Pio XII ha il suo posto in uno sviluppo logico che parte dagli analoghi Messaggi e dall’Enciclica “Summi Pontificatus”. A sua volta ha il suo vero complemento nell’Enciclica ” Corporis Christi Mystici” del 29 giugno 1943. Questa può considerarsi come il grande suggerimento costruttivo opposto alla inanità di sforzi umani. – Alle vicende di questo mondo — questioni, tentativi, soluzioni, mete — manca un anima. E l’anima si trova sempre andando in alto. La soluzione ultima sta nella pienezza di Cristo, anche per le cose terrene; questo è il significato dell’ Enciclica ” Corporis Christi Mystici “, che pertanto non può venir dimenticata in uno studio coscienzioso del Messaggio. Alcuni hanno voluto dare al discorso papale del Natale 1942 un significato polemico; l’intenzione prima e movente sarebbe stata: colpire qualcuno. Ciò è falso. Anzitutto perché il messaggio si svolge in una pacata precisa e concreta enunciazione di principi che valgono per tutti i tempi. Naturalmente affermare un principio è emettere in modo implicito una condanna su chi lo lede, ciò però accade per la forza stessa della verità, che dispiegandosi stabilisce un confronto incisivo e severo. E ciò basta a togliere il carattere polemico. Neppur si può negare che circostanze presenti abbiano spinto il Papa ad annunciare proprio ora quegli immutabili principi; ma è proprio l’esser rimasto in quella serena eppur concreta altezza, che l’ha tolto ai riferìmenti, ai ripicchi, alla terminologia di cui si sostanzia la polemica. Il tono del messaggio suggerisce come costruire, come sanare, come riformare e come possibilmente convertire. – Queste considerazioni fanno intendere che, se risponde ad esigenze contingenti, il messaggio non ha un valore contingente. Cioè del massimo rilievo, poiché anche le mutazioni indotte nella situazione italiana ed europea non ne sminuiscono la tempestività. I princìpi affermati, per la forza del contrasto, mettono a nudo errori e colpe; non si creda che questi errori e queste colpe scompaiano con l’ecclissarsi di uomini o col cadere di certe impalcature esterne di regime, essi costituiscono il « male del nostro tempo », essi hanno troppo profondamente inciso il modo di pensare ed il costume pubblico, perché quasi nella subcoscienza non se ne abbia a risentire il dettame, la suggestione, il fascino. L’oblio del diritto di natura, dello spirito, dei valori giuridici che gli sono legati, l’esaltazione materialistica, il predominio della forza e della boria sono — ognuno lo vede — un “male del tempo “, il quale tenterà ogni via per sorgere sotto mentite spoglie. Non ci si illuda: si può far relativamente presto a sanare il mondo da uomini e istituzioni superate, ma non altrettanto si fa presto a sanarlo dalle idee. L’intontimento per cui certi effati sono divenuti parte dell’abito mentale attraverso una metodica insufflazione lascia tracce durature. Ciò che vedremo meglio in seguito.

I. – I PRINCIPI GENERALI DEL MESSAGGIO PAPALE

La ricchezza della parola del Papa non la si cava solo da una minuta esegesi del messaggio che lo divida, anzi lo frantumi. Certe affermazioni emergono da tutto lo stile, dal tono, dalla forza di ritorni su alcuni punti, dalle sfumature, dal loro obbedire ad una architettura sovrastante la parola stessa, dall’imponderabile che si intuisce accostando i testi e indagandone il pensiero universale profondo. La disposizione stessa, la misura, il volume obbedisce ad una logica, che non sempre è detta, ma che fa ugualmente parte del pensiero contenuto. Se pertanto alle esplicite affermazioni si affianca quello che con tale criterio si rileva si giunge agevolmente a vedere come nel messaggio del Santo Padre dominino alcune idee profonde, cui è in un modo o nell’altro rapportato il resto. È necessario studiarle a parte per non sminuirle nella loro forza di « verità subordinanti tutto il resto e per non privarci di una visione architettonica.

1. – Il supremo principio

« Dalla vita individuale e sociale conviene ascendere a Dio, Prima causa e ultimo fondamento, come Creatore della prima società coniugale, fonte della società famigliare, della società dei popoli e delle nazioni. Rispecchiando pur imperfettamente il suo Esemplare, Dio Uno e Trino, che col mistero della Incarnazione redense ed innalzò la natura umana, la vita consociata, nel suo ideale e nel suo fine, possiede al lume della ragione e della rivelazione, un’autorità morale ed una assolutezza travalicante ogni mutar di tempi…». Dunque: Dio è Prima Causa, fondamento di tutte le istituzioni umane e della società che da Lui mutuano ed in Lui hanno una autorità, una assolutezza, ossia una consistenza reale; sicché senza di Lui rimangono spoglie di valore giuridico, di rapporti subordinanti, di ordine interiore; sicché nessuna questione umana può sciogliersi obbiettivamente prescindendo da Dio.

Dio è il principio

Lo sguardo si raccoglie su Dio, distinto dal mondo, Creatore, ordinatore Sapiente e Provvidente. La forza poi dell’affermazione sta in questo: senza Dio non esiste né logicamente, né ontologicamente, ossia né quanto a ragionevolezza evidente ed intrinseca, né quanto a struttura, un vero ordine umano e sociale. Senza Dio gli elementi ordinatori sono delle chimere o, tutt’al più, degli artifici. Osserviamo come e quanto sia vero tutto questo.

 Solo con Dio è l’ordine

Solo con Dio, trascendente e Creatore esiste la distinzione e la subordinazione tra gli uomini. Infatti poiché tutti creati, tutti sono dipendenti totalmente, e dipendenti nel modo che il Creatore ha concepito in sé ed espresso cogli elementi strutturali della natura. I quali pongono rapporti diversi, uffici diversi, quindi subordinazioni diverse, non solo rispetto a Dio ma rispetto agli uomini tra loro. L’intelletto divino, capace di obbligare, stabilire così connessioni e dipendenze di valore obbiettivo; per esse gli uomini non sono una massa disorganizzata, non un cumulo di pietre, ma un corpo vivente in struttura gerarchica. Sì, gli istinti porterebbero ugualmente ad una compagine organica, ma senza Dio ne mancherebbe il principio logico ed obbligante. Tutti sanno che tra uomini liberi, la cui organizzazione si basa anzitutto su intelletto e volontà, ossia su fattori morali, l’elemento « obbligante » è base assoluta. Dunque è per Dio che esiste la gerarchia e la reale organizzazione tra gli uomini. Solo se esiste Dio Sapiente e Provvidente esiste l’« ordine ». Esso è l’armonica disposizione dei più, pari e dispari. Esso non risulta solo dalla gerarchia sociale tra gli uomini, ma dal rispetto di tutti i rapporti che natura pone tra uomo e uomo, tra uomini e cose, tra individuo e collettività, tra libertà e fissità di leggi. Orbene è ancor ben vero che questi rapporti sono in modo sufficiente rivelati dalla natura istintiva, ma non è meno giusto che essi hanno una logica interna, una verità, un valore, un senso ed una capacità di imporsi moralmente come legge, solo se c’è una Suprema Sapienza ordinatrice. Questo « ordine » crea e definisce la persona, la famiglia, le società e la società, ossia tutto quanto ognuno di tali elementi vale, esige, impone, trae dall’« ordine » e per esso da Dio.

Solo con Dio è l’obbligazione morale

Solo con Dio « Signore » si ha l’obbligazione morale di coscienza: quella per cui gli uomini debbono agire rettamente anche senza il controllo e la sanzione umana. Tale obbligazione è senz’altro l’anima dell’ordine umano. Poiché tra gli uomini liberi e capaci di sottrarre il più di se stessi ad ogni effettivo controllo dei propri simili, l’armonia è affidata in ultima analisi alla buona volontà, questa alla persuasione e questa, a sua volta, ad un principio intimo che è l’obbligazione di coscienza. Essa, come meglio vedremo in seguito, o è posta e valorizzata da Dio, o è una suggestione della quale gli uomini dovrebbero liberarsi, quanto tentato immunizzarsi dalle malattie.

Solo con Dio è la perfezione dell’ordine

Solo con Dio Creatore, Legislatore e fine ultimo, esiste la sanzione, la piena e perfetta retribuzione tanto al bene che al male. L’ufficio della sanzione è insostituibile: per essa solo si raggiunge il pareggio e la giustizia obbiettiva. A qualcuno potrebbe venire in mente che la sanzione non è poi necessaria. S’inganna, poiché se nulla rimane spareggiato nell’ordine materiale (ad azione corrisponde sempre reazione uguale e contraria), non così accade nell’ordine morale, ove gioca intelletto e volontà libera. Qui, proprio in ragione della libertà, molto rimane privo dell’immediato saldo. Verso il quale tende la coscienza, la ragione e l’istinto, ossia tutta la psicologia umana al punto di crearsi l’anarchia tra gli uomini là ove difetta la sanzione. – Ora tutti sanno che la sola sanzione veramente efficace è quella completa: come questa poi non stia negli uomini e solo, a complemento dell’ordine, possa ammettersi se c’è Dio, tutti facilmente vedono. Solo con Dio si ha un fondamento assoluto Solo nell’idea di Dio immutabile si ha un punto di riferimento assoluto e irremovibile. Ciò significa che i valori fondamentali, le obbligazioni-base, le leggi morali allora non cambiano. Chi potrebbe pensare ad una stabilità sociale senza fissità delle leggi e dei valori? Come sussisterebbe un ordine sociale Se oggi potesse venir giudicato bene quello che ieri era male? Tutto si ritroverebbe sconnesso. Un tale relativismo fa paura. Da quasi mezzo secolo l’istinto fu spesso elevato a regola suprema dell’arte, oggi è, nei più dei nostri simili, criterio ultimo dell’ordinamento sociale e della politica, la quale vi si contamina di amoralità, impulsività, sentimentalismo e pazzia. Ma il male di questo relativismo in cui ogni cosa oscilla, in cui tutto è come piace e come comoda, in cui le affermazioni possono valere le negazioni, non lo si cura che con Dio.

Con Dio è la vera realtà umana

Con Dio solo resiste lo spirituale. Ogni realtà umana, appunto perché tale, ha caratteristiche inconfondibili dall’elemento spirituale. Ogni atto dell’uomo, ogni sua tendenza, ogni sua esigenza ha il più della propria fisionomia dallo spirito. Per quanto le attività psichiche possano essere intessute di fatti istintivi, di pesantezze materiali, di vibrazioni della fantasia e del sentimento, il tono è sempre dato dall’anima. Analizziamo pure l’uomo quando ama e quando odia, quando è puro e quando è animale, quando gusta il suo cibo e quando contempla, quando fa l’affarista e quando l’amico, noi non sfuggiremo a tale ferrea conclusione. Allora dimenticare il fattore spirituale e, peggio, agire come se non esistesse è travisare tutta la realtà, compresa quella sociale, è contaminare, sfasare, adulterare, nonché isterilirsi in impossibili mete, soggette alle indeclinabili nemesi della natura. Ma quando si tiene il broncio a Dio è necessario odiare il mondo dello spirito.

Con Dio il monito

Dio è l’Esemplare. In Lui solo sta l’autorevole modello della Provvidenza e del governo. Paternità, sollecitudine e dono sono caratteristiche di quella Provvidenza che regge. E in Lui il reggere è attuazione dell’ordine, è criterio pratico con cui tutte le cose vengono ordinate e proporzionate al proprio fine sapientemente e puntualmente. Il governo in Dio ha volto benefico. Perché al mondo ci si stia bene occorrono governanti che si ispirino all’altissimo esemplare divino. Ne risulta il governo più buono, ma anche il più furbo.

Con Dio il limite all’arbitrio

Con Dio solo s’erge una maestà eterna, dinanzi alla quale è facile e dolce ritrovare il senso dei propri limiti, la umiltà per comandare e obbedire, la docilità per assecondare e durare, la coscienza per resistere e iniziare, il cuore per servire e beneficare. Che di tutte queste cose si fa lo spirito e il senso sociale al quale sono tenuti governanti e sudditi, anzi più i governanti che i sudditi. Ecco allineati gli elementi su cui poggia l’ordine sociale. Al di là si trovano le istituzioni contingenti, che tanto valgono quanto fedelmente ed opportunamente traducono quei princìpi; al di là stanno gli accorgimenti tecnici del diritto, dell’economia. Da soli non hanno un’anima; è inutile illudersi. Il nerbo della società è legato a Dio: gerarchia, ordine, legame di coscienza, sanzione, stabilità delle leggi, ecco il nerbo. – La coscienza dell’ordine nel popolo la si corrobora mediante l’insegnamento e la convinzione di queste verità. Qui convinzione è possibile, perché è evidente la struttura logica, fermamente conclusiva. Non dimentichiamo che nella libertà si tengono a posto solo i popoli convinti; quando una convinzione manca è giocoforza cambiare il mondo in una caserma se non lo si vuol lasciar precipitare nell’anarchia. C’è un dilemma terribile. I sobillatori occulti dei nostri giorni, se hanno ancora un po’ di coscienza, dovrebbero tenerlo presente. E il popolo avido di libertà, facile credulone, dovrebbe meditare che il pericolo di quando abbonisce, gli è assai più vicino di quanto non creda.

2. – Il senso del concreto

Si tratta di un particolar modo di considerare le questioni e i loro oggetti. A questo proposito il Messaggio non formula una teoria, ma piuttosto, coi richiami fatti, colle precisazioni, colle conclusioni, colla preoccupazione di certi dettagli, svolge in pratica uno stile, è materiato da una abitudine mentale che diviene insieme monito, esempio, condanna. Infatti.

Il richiamo del Papa al « concreto »

Leggendo ci si accorge che mentre passano i diversi argomenti (rapporti internazionali, ordine interno, convivenza, collaborazione: persona, ordine giuridico, lavoro, Stato) il Papa riconduce il pensiero e la preoccupazione costruttiva ad elementi precisi, definitivi, palpabili, che è quanto dire concreti. Il confine tra il concreto e l’astratto è visibile e sta tutto qui; sfumare o non sfumare particolari reali, averli presenti tutti o sospingerne qualcuno nell’ombra, veder le cose in funzione di un’idea, ossia sotto un aspetto ed una finalità o piuttosto considerarle individue tali e quali sono, sentire una nota sola e semplificare uccidendo qualcosa, oppure cogliere la sinfonia e salvare tutto. Scendiamo dalla teoria al linguaggio più accessibile. – Il Papa parla di collaborazione, ma questo non è una cosa aerea e neppure una giustapposizione di uomini per parate; è far confluire tutte le positive doti della persona (mente, cuore, cultura, ecc.) all’ordinato benesseresociale. Egli ci riconduce alla « persona » che non è una goccia perduta nel gran mare, un numero buono solo a formare la « massa »; è bensì l’uomo con diritti e doveri col bisogno di mangiare, vincolato, se operaio, al suo salario, con esigenze al rispetto su tutti i piani, intellettuale, morale, religioso, economico, culturale e sociale. Per il Papa l’ordine sociale non è una rigidità chimerica, è fatto invece di armonica distribuzione delle parti, di rispetto dei reciproci diritti. Si passa dall’espressione idealizzata a quella reale. La legge, l’ordine giuridico non è l’espressione di chi sa quale astruseria, senza basi logiche umane e convincenti; è invece una norma concreta obbligante tutti, sia pure in modo diverso, con costanza e senza arbitrio. Il consorzio civile organizzato ha linee fisionomiche che non si perdono nell’aereo tutto panteistico senza volto, senza responsabilità, senza coscienza e senza legge; sono invece definite dalla sua finalità, dai suoi doveri, dalla sua funzione di completamento benefico rispetto agli individui ed alle istituzioni minori.

Che è il « concreto »

Se io tratto gli uomini in astratto, mi dimentico che hanno fame, che sono una collezione di dolori e di tentativi, che sono la loro famiglia, le loro umili ma inseparabili preoccupazioni, che sono il loro giorno lavorativo e il loro giorno di festa, che sono le piccole e quasi puerili varietà della loro esperienza. Se li guardo in astratto, io, di un plotone che va all’assalto non vedo se non la carne da cannone, ma se li guardo in concreto io sento la loro vita, il loro valore, le loro famiglie, la loro fecondità, il loro diritto a vivere. – Il « concreto » indica la realtà come è in sé e per sé fuori di quelle riduzioni, semplificazioni, aggiustature e gonfiature che ne può fare la mente. Le cose in esso non sono l’oggetto d’una tesi, d’un interesse o d’un particolare punto di vista. Esso non ama le nubi e le idee vaghe, inafferrabili, oscure, simili alle nubi; ama la terra solida senza forme evanescenti e cangianti. L’uomo in concreto è di carne e d’ossa. L’economia in concreto è quale la determinano la natura dell’uomo sociale, gli elementi, la capacità e la fungibilità della ricchezza, l’equilibrio tra gli uomini e i reciproci rapporti, nonché dati costanti della psicologia e della tradizione storica. Le teorie astratte potranno disputare sul modo col quale convengono fra loro e si addomesticano questi elementi, ma non ne possono prescindere, né li possono sostituire. Il « concreto » sono le linee fisse della natura materiale e delle sue leggi; sono gli orientamenti di fatto dello spirito, il quale, pur essendo perfettamente libero, rimane spesso docile ad un suo istinto interiore, sì da ricalcare in alcuni suoi moti grandi e inderogabili leggi morali della storia. – Tutto ciò può sembrare spoetizzante, può essere accolto come molesto stroncatore d’un estro poetico. Non credo. Il « Concreto » ha il suo volto che piace all’uomo forte onesto e veritiero. – Il gesto del Papa che àncora le questioni al « concreto » è ispirato da una necessità assoluta ed è il contravveleno ad una malattia profonda, forse la più profonda del mondo moderno che pensa e costruisce. Vediamolo. Ecco la necessità assoluta. Il corso delle cose, lo sviluppo dell’economia e degli avvenimenti, segue impassibile il « concreto »; questo decide della vita e della morte delle iniziative. Se vi aderisco, vivo; se me ne distacco per inforcare il cavallo di Astolfo, finisco nelle nubi. Il povero uomo della strada chiama il « concreto » con nomi che gli sono ora cari ora fastidiosi, ne ragiona con aforismi apposti dal buon senso e vagliati da un’esperienza di amore e di pena; quando non si gonfia di ignoranza e di pretese ne ha l’intuito preciso e potente. Questo intuito, se il viver fosse genuino, dovrebbe costituire il fondo più solido e sicuro della cosiddetta « opinione pubblica ». – L’importanza del metodo cui il Papa riconduce col suo esempio non è valutabile se non ci si rende conto della dilagante malattia contraria: l’astrattismo.

Gli astrattismi

In antagonismo al « concreto » si leva l’« astratto ». Il messaggio pontificio è un grave monito contro le seduzioni dell’« astratto ». Esso consiste nel considerare qualcosa separatamente dal quadro obbiettivo in cui di fatto si trova, oppure nel rappresentare una realtà secondo una forma soggettiva della mente. Nella prima maniera l’« astratto » vien bene al procedimento d’indagine scientifica, in quanto « dividendo » facilita il graduale possesso della materia. Ma quando s’esce di lì c’è il pericolo formidabile dell’unilateralità. Guai a vedere p. es. il mondo sotto il puro aspetto matematico! Nella seconda forma l’astrazione vien bene all’arte. Organizzare il mondo non è pura indagine scientifica e non è pura opera d’arte. L’arte ha altre mansioni. L’astrazione nell’ordinamento degli uomini taglia, deforma, sostituisce e, soprattutto, lascia da parte proprio quello che vuole ordinare; finisce col farsi un mondo che non esiste, parla una lingua che gli uomini non intendono. Le cose intanto proseguono la loro via. Trovar che una caserma, un collegio sono esemplari d’ordine e pensare di ridurre il mondo ad un collegio, ove tutto sia allineato, manovrato, automatico e simmetrico è cadere in una astrazione, poiché gli uomini sono irrimediabilmente diversi dal come li postulerebbe un simile specioso ideale: hanno libertà e non solo ordinabilità, di quella libertà vogliono assolutamente usare, subiscono per lo più il collegio quando sono fanciulli e lo odiano quando sono adulti. Non c’è rimedio. Come non c’è rimedio che certe forme magari seducenti, finiscano col far del mondo, colla scusa di accentrare o di livellare, un abominevole collegio, anzi una laida caserma. Esse sono tutte astrazioni dalla realtà degli uomini. –

Le origini dell’ « astrattismo » moderno

Il mondo moderno ha ereditato dai suoi immediati predecessori il brutto vezzo di far delle astrazioni, ossia di considerar le cose per l’aria. È umiliante, ma è così. Vediamo anzitutto la genesi di una simile brutta abitudine mentale, che ammazza il buon senso. I filosofi non parlano invano, anche quando non meriterebbero d’esser presi in alcuna considerazione. I loro elucubrati finiscono col filtrare anche senza esser capiti e diventano a poco a poco angolo di visuale, modo di pensare congenito della cultura. Tre correnti portano la colpa dell’astrattismo moderno: il naturalismo, il soggettivismo, l’evoluzionismo.

… Il naturalismo

Il naturalismo si fece valido dalla rinascenza in poi. Prima, cristianamente, si guardava come a fonte della verità e del benessere alla natura e al soprannaturale insieme. La reazione paganeggiante cercò di dimenticare prima e poi osteggiò il secondo elemento: disse a se stesso: la natura mi dà tutto. La natura ci guadagnò un prestigio esagerato che le miserie umane potevano facilmente dimostrare falso. Il prestigio crebbe, i confini si dilatarono, tanto da non vedersi più; coi confini sparvero i lineamenti e la natura cominciò ad esser scritta con la N maiuscola, diventò una cosa senza linee precise, enorme, solenne come un incubo, impersonale, anonima — qualcuno dice — panteistica. Telesio, Campanella, Giordano Bruno ne sanno qualcosa. Sicché la natura non fu più propriamente la terra, gli alberi, i fiori e gli uomini in carne ed ossa tra essi. La fecero anche dio, viceversa era solo una astrazione ed educò alle astrazioni, cioè a considerar le cose diverse dalla realtà, per l’aria. A quel modo dopo la natura si videro così, per l’abitudine, molte altre cose: il proletariato, il popolo, le masse… Il risultato? Il risultato fu, anzi è questo, tutti lo possono vedere. Il proletariato non combaciò più con quelle membra vive, forse doloranti, talvolta martoriate, poveri individui dell’oggi, simbolo d’un chimerico e mai afferrato domani. Fu una cosa astrusa, indigesta; fu una etichetta di appetiti, voglie e pretese; fu una espressione numerica di forza per attuare sogni misticoidi; fu in tutti i casi ben distinto dagli uomini detti proletari. Infatti — prova della astrazione — il proletariato diventò sovrano e i proletari si ridussero ad essere dei pezzi di macchina, senza respiro, senza anima e senza avvenire. – Il popolo non fu più una somma di uomini di cui bisognava curare gli interessi comuni e particolari, amministrare il patrimonio pubblico, regolando nell’insieme quanto occorreva perché i singoli stessero bene; di esso fu visto un aspetto solo: la massa di manovra, il campo sperimentale di personalissime idee, l’elemento da parata e da clamori, lo sgabello delle ascese, l’ispiratore di una gran retorica magniloquente, buona ad intontirlo. Per gli intellettualoidi il popolo fu una base di statistiche e di ricerche inerenti a quelle, al fine di cavar con dei soli numeri conclusioni congelate al par dei numeri. Astrazioni! – La « massa » fu una espressione industriale o militare, la cui definizione degna di riguardo fu nella voce « profitti » dei bilanci segreti, oppure nel computo matematico di piani strategici. Ancora: astrazioni. La patria stessa, mirabil cosa, il cui volto dolcissimo si compone col volto dei genitori, degli amici, degli altri che parlano la stessa lingua e vivono la stessa comunità civile sullo sfondo di una terra amata e di ricordi storici inobliabili, non fu per molti che un nome pauroso senza volto, un moloch terribile capace solo di chiedere si tacesse, ci si inabissasse, si sparisse, si sopportasse, ci si uccidesse. Un’astrazione colpevole di spingere ad odiare anche quanto era sacrosanto. – L a vacillante teoria continua: scuola, gioventù, diritto… tutto universalizzato, ridotto ad una teoria, ad una formula, ad una aridità facilona di cui si parla e che si tratta come sotto non vi si nascondesse una umanità ben definita, ben concreta, dalle inderogabili leggi, dagli inevitabili dolori, dalle improrogabili necessità. Le cose ridotte tanto facili, formule e nomi, sono gioco della lingua senza bisogno c’entri la testa e il cuore: sono il campo dell’insipienza bovina, dell’improvvisazione ignorante, dell’arrivismo criminale, degli esperimenti pazzoidi. A tutto questo con usurpazione indegna fu dato il nome di mistica. Ma era astrattismo, tara della nostra età. Nient’altro.

… Il soggettivismo

Il soggettivismo educò all’astrazione in modo diverso, ma con ugual risultato di filtrare e corrompere tutta la mentalità moderna. Non vale che taluno discorrendone prenda l’atteggiamento serio. Esso è una cosa buffa. Qui si dovrebbe chiamare in causa Hegel coi suoi precursori e coi suoi epigoni. Il soggettivismo idealistico consiste nel far il mondo con l’idea, ossia — per parlare comprensibilmente — nella moda di dire esser vero quello che piace, e di credere sul serio esser reale quello che si pensa, nel modo con cui si pensa. L’idealismo s’accodò al naturalismo, fece con quello alleanze oscure e, dopo aver detto parole difficili e pertanto venerate, finì coll’insegnare agli uomini una cosa molto comica: che cioè essi col pensiero potevano fare e rifare il mondo a piacimento e le cose su misura della propria testa o giù di lì. Veramente noi avevamo imparato che solo Dio crea e che solo Dio ha la prerogativa di far sì che le cose siano tali e quali Egli le pensa, di piegare la realtà all’idea. Da allora il mondo s’è riempito di una cavalcata di astrazioni. La filosofia rimase nelle scuole, il costume morale, suo figlio senza stato civile, gironzolò per le strade, cantò canzoni ermetiche ed abbaiò alla luna. Veramente così. Alcuni vollero fare il mondo rosso, altri verde, altri in camicia e puerilmente credettero e credono che il mondo possa, docile al loro pensiero, assumere un colore diverso da quello che ha dato Dio. Tutto ciò perché hanno in corpo il veleno soggettivista. Sono sempre astrazioni. La differenza tra costoro e Cristo, che pure intende dare un colore al mondo, sta in questo elemento semplice e radicale: quelli sono uomini, non hanno creato e non creeranno mai, saranno buffi a tentarlo. Questi ha creato e può creare ancora perché è Dio! – La politica è rimasta profondamente viziata da questa infamia; invece di pensare ad amministrare ragionevolmente la « polis » come sarebbe stato suo mestiere, s’è cambiata in un torneo permanente di gente che pretende far il mondo sulla propria misura e, talvolta, proprio ci crede; fa programmi su programmi, riforme a getto continuo, bandi e sogni a tutte le stagioni. L’umanità stanca ricorda a tutti questi signori che pei bambini c’è l’asilo materno, pei pazzi il manicomio e pei delinquenti la galera; ma, tant’è essa stessa non riesce a capir bene, perché il male ce l’ha nel sangue.

… L’evoluzionismo

Un terzo incantesimo spinse gli uomini e le questioni più in su sulle nubi: l’evoluzionismo. Del quale mi interessa qui solo questo: l’ingenuità dell’ottimismo esagerato. Vide tutto in cammino verso una ineluttabile perfezione e così creò il « mito del domani », altra astrazione. Il « mito del domani » consiste nel dire ai presenti che la felicità verrà (su questa terra beninteso, che certa gente non prende in alcuna considerazione il Cielo), ma sarà futura. È quanto dire che loro, i presenti, non l’avranno mai. I futuri a lor turno diventeranno presenti e ricomincerà da capo. Si tratta di un inganno crudele che chiede agli “uomini sacrifici supremi per un perpetuo domani, del quale non beneficeranno mai. Così al popolo si dice: domani! Il povero popolo pensa che il domani è un alibi spaventoso per i tentativi pazzi e non sempre in buona fede.

L’estensione del male

Abbiamo dette le cause dell’astrattismo moderno, ma tra le righe il lettore avrà letto chiaro e si sarà dolorosamente accorto fino a che punto la peste sia dilagata, quante cose ne siano tocche, come il più delle concezioni ne siano infette, al punto da doversi augurare un rifacimento ab imis della mentalità moderna. Che tutti vogliano creare, o almeno colorare, anche senza aver studiato e sperimentato, che la verità si plasmi anziché moralmente cercarla, che tutti intendano cambiare, forgiar mondi e ordini nuovi, che la faciloneria imperi e l’improvvisazione pontifichi sono sintomi impressionanti di un male del mondo. Vorrei pregare il lettore — non per malignità — di divertirsi, su quanto è stato detto, a portare dovunque la sua analisi: nelle istituzioni, nelle scuole, sulle cattedre universitarie, nella stampa, nei discorsi che intende al caffè. Avrà di che pensare. E ciò non sarà inutile a lui e agli altri. – A tutto questo occorre pensare per intendere il valore dell’esempio di Pio XII quando col suo modo di presentare le questioni ci obbliga a scender dall’astratto al concreto e dalle nubi alla terra, su cui dolorano uomini in carne ed ossa, in lotta con una questione i cui termini sono: insoddisfazione, fame, dolore, morte.

3. – Dipendenza dell’ordine esterno da quello interno

L’impostazione fondamentale e generale del messaggio 1943 nel quadro dei messaggi precedenti e nella sua finalità è espressa da Pio XII colle seguenti parole: « L’ultimo Nostro messaggio natalizio esponeva i princìpi suggeriti dal pensiero cristiano, per stabilire un ordine di convivenza e collaborazione internazionale, conforme alle norme divine. Oggi vogliamo soffermarci, sicuri del consenso e dell’interessamento di tutti gli onesti, con cura particolare ed uguale imparzialità, sulle norme fondamentali dell’ordine interno degli Stati e dei popoli. Rapporti internazionali e ordine interno sono intimamente connessi, essendo l’equilibrio e l’armonia tra le Nazioni dipendenti dall’interno equilibrio e dalla interna maturità dei singoli Stati, nel campo materiale, sociale ed intellettuale. Ne un solido ed imperturbato fronte di pace verso l’esterno risulta possibile di fatto ad attuarsi senza un fronte di pace nell’interno che ispiri fiducia ».

Ecco l’impostazione generale: l’ordine internazionale dipende dall’ordine interno dei singoli Stati.

Perché?

La connessione affermata dal Papa tra i due piani — internazionale e nazionale — è evidente. Il pensiero con le passioni, gli ideali, i miraggi che convoglia o solletica non è più contenuto da confini politici. La tecnica moderna gli ha donata una dilatabilità immediata ed indefinita con innumeri mezzi di suggestione. Così il male ideologico, le credute chimere di un popolo o di una fazione possono in breve diventare, se non sempre il male, per lo meno il pericolo, la tentazione, l’inquietudine, la febbre d’un altro popolo, di tutto il mondo. La tecnica ha creato un sistema di trasmissioni che centuplica le vibrazioni e le comunica a tutte le zone prima insensibili ed inerti. – Tutti gli elementi dei quali si costituisce la civiltà e che sono il piano in cui si concretano vita, discussioni, tentativi e ideali, tendono a diventare comuni, attraverso la forza di imitazione, l’emulazione, la concorrenza. Essi polarizzano enormi interessi, sulle cui travature corrono molti fatti della storia, ma nascono e prendono fisionomia all’interno dei singoli Stati. Le economie — nessuno ne può dubitare, quando si voglia assicurare agli uomini un genere di vita moderno e non barbarico — sono complementari. Ossia: nessun stato può fare da sé e deve, almeno indirettamente, dipendere; perché, se anche è fornito di tutto (p. es. l’America), se vuol valorizzare i suoi prodotti, li deve portare al mercato: ciò significa che ha bisogno del secondo in causa, l’acquirente. Sicché il disordine o l’anemia delle economie singole diventa fatale all’economia generale. Del resto l’ordine internazionale o è fatto d’un gioco di equilibri, o da un pacifico impero del diritto (il che sarebbe l’ideale), o dal fattore militare, almeno in potenza. Ma l’equilibrio dipende dal dinamismo, dalle maggiori o minori irrequietezze e pretese, dai sogni dei singoli stati; ciò che a più ragione si deve dire d’un auspicato impero del diritto, il quale esiste quanta ne è viva la coscienza nelle diverse pubbliche opinioni. Il fattore militare è legato alla prestanza industriale anzitutto e poi demografica dei singoli. Tutti questi motivi sono acuiti dal fatto che, per ogni singolo stato, tutti gli altri sono, più o meno ed almeno in potenza, dei fornitori, dei clienti, dei concorrenti, dei piloni d’appoggio, delle pedine necessarie nel proprio gioco. Ciò diminuirebbe molto, ma rimarrebbe ancora vero per le immanenti e naturali connessioni tra i membri della comunità umana, anche se i singoli stati diventassero una buona volta onesti, capissero di starsene in casa propria a lavorare per il bene dei propri sudditi nelle vie proporzionate ai mezzi disponibili, senza riguardar chicchessia a questo mondo come sgabello dei propri piedi o strumento del proprio comodo. Il che è evidentemente immorale.

… l’ordine internazionale dipende dall’equilibrio interno

Il Santo Padre ha nettamente indicato i due punti in cui si ha la connessione o la saldatura tra l’ordine internazionale e quello nazionale. Il primo dipende dall’equilibrio e dalla maturità interni; entrambi si attuano nel piano materiale, sociale, intellettuale.» Che è « equilibrio interno »? – L’equilibrio si ha quando tra più elementi, o parti, o aspetti, o individui, vige una proporzione razionale e cioè adeguata alle esigenze della finalità cui cospirano le cose coadunate in equilibrio; il tutto non solo nell’essere, ma nell’agire. La proporzione (appunto poiché è « razionale ») non è livellamento. Le membra del corpo sono in equilibrio non quando sono tutte della stessa grossezza — il che farebbe un mostro — ma quando le singole sono tali quali le postula la finalità, la fisiologia e l’architettura estetica del corpo stesso. – Dunque l’idea d’equilibrio comincia dal tener in conto gli elementi da equilibrare; li tratta alla luce d’una proporzione; razionalizza questa mirando alla obbiettiva finalità della nazione e della società umana. Tanto abbiam detto per la precisione teorica: ora veniamo al concreto.

… equilibrio nel campo materiale

L’equilibrio deve portarsi negli elementi materiali di una nazione. Elementi materiali sono i costitutivi della ricchezza colle loro sorgenti, organi di rotazione e di distribuzione. Sicché in pratica l’equilibrio deve farsi tra il lavoro e il capitale, tra le diverse classi, le quali beneficiano della ricchezza, tra le possibilità e il tenore di vita delle classi più abbienti e meno abbienti. Ma soprattutto — ci fermiamo qui all’aspetto materiale — l’equilibrio deve essere tra le entrate e le uscite, la industrializzazione e l’effettiva possibilità di vendita, tra l’attrezzatura economica e la fisionomia parimenti economica di uno stato. Un governo il quale spende più di quanto non introiti, salvo il caso eccezionale con fondata speranza di risarcimenti futuri, è semplicemente pazzo e condanna il suo povero gregge a scossoni ed emorragie senza fine. Un paese che vuol far l’industria per l’industria e non ha ove esitarla, fa un mestiere che non è il suo. Un paese che ha determinate sorgenti di ricchezza e — per spirito di imitazione — vuol farsi una economia la quale ne suppone altre inesistenti, diviene spostato, è fuori dell’equilibrio. La Spagna deve fare la Spagna e non la Svezia; la Finlandia deve far fa Finlandia e non l’Egitto. Che cosa significhi fare la Spagna, fare la Finlandia, lo indicano le effettive possibilità e il temperamento, le une e l’altro interpretate alla luce sovrana della storia. Col che non si nega dover tutti tendere ad un miglioramento in ogni settore dell’economia.

… equilibrio sul piano sociale

Sul piano sociale l’equilibrio risulta da una giusta, legale ed efficace ripartizione della ricchezza, del benessere, dei diritti, dei doveri e dell’autorità. Ma a tutto questo occorrono delle premesse. Eccole. Necessita un equilibrio, ossia una proporzione tra possibilità ed ideali; è sempre atto sovversivo dell’ordine e insipiente lo sbandierare e l’accreditare ideali smisurati e troppo eccedenti le vere possibilità di una nazione: è spingerla a fare delle pazzie rovinose. Eppure l’insipienza giunge a tal segno: da far credere in buona fede che per essere patrioti occorra cullare proprio simili irraggiungibili ideali. Altra necessaria premessa è l’equilibrio o la proporzione tra i vari settori della vita nazionale: tra il progresso materiale e quello culturale, tra lo sviluppo della tecnica e dell’arte; qui infatti si vien componendo quell’equilibrio spirituale che condiziona il rimanente benessere. L’equilibrio va mantenuto soprattutto, se si vuol lavorare ad un vero assetto sociale, tra l’economia e la politica. Esistono tra esse delle connessioni e delle interdipendenze, ma guai a voler subordinare dispoticamente la prima alla seconda. L’economia ha sue norme ed esigenze fondamentali, che il calcolo politico non può i n alcun modo sopraffare o ciecamente asservire. Ancora: l’equilibrio va mantenuto nella stessa politica. Qui ci si sente impegnati in considerazioni ben gravi. Che è dunque la politica? Essa dovrebbe essere semplicemente il complesso di azioni e provvidenze per amministrare bene il patrimonio comune, ordinare e reggere gli elementi della comunità in modo da procurare a tutti il massimo di benessere terreno. Siccome i patrimoni e le loro esigenze, le leggi fondamentali della psicologia, i bisogni e il benessere dell’uomo non sono opinioni, ma realtà ben individuate dall’immutabile senso comune e non plasmabili da diverse ideologie, la vera politica appare così ancorata ai fatti certi, che non la si può concepire come discussione, lotta e antagonismo. La sana politica è — colle debite proporzioni — fare il buon padre di famiglia. La politica invece è divenuta assalto al potere, gioco per far prevalere persone e loro idee più o meno peregrine nel suo godimento, armeggio, camarille e fazioni per sostenere il tutto slealmente ai danni della comunità. È doveroso confessare che della politica si è perduta anche la definizione. I giovani vi guardano come ad un campo fascinoso di competizione e di affermazione, dimenticando che le gloriose corse dei cavalli non si fanno sulla schiena degli uomini. I partiti hanno un senso quando, accettando il mondo come è e non secondo peregrine concezioni, convenendo sulle fondamentali necessità e norme obbiettive, si differenziano nella scelta dei mezzi e nelle particolarità di amministrazione. In questo ambito possono fare della sana politica, concorrendo colla onesta discussione a individuare il meglio: rimangono in fondo dei partiti amministrativi. Ma quando cominciano a concepire mondo, uomo e domani diverso da quello che realmente sono e vogliono fare un mondo che non esiste, vagolano sulla fantasia diventando, più che partiti, delle sette filosofiche di azione, la politica ne è rovinata in quanto si fa torneo su innaturali ed irraggiungibili mete, non cura ragionevole e paterna del bene comune. La politica risente troppo il male filosofico del tempo che sta nel credere di poter forgiare il mondo rosso, verde, nero, quando invece il mondo è già fatto e gli uomini sono quelli che sono e le norme base non tocca darle agli uomini, ma le dona universali e chiare la stessa natura, che, non seguita, inderogabilmente si vendica. È, se si vuole, il male del relativismo e contingentismo della verità portato in politica. Urge rieducare il senso e la coscienza politica: se non si giunge ad un equilibrio di concezione e di pratica in questa, ogni assetto sociale ne sarà sempre convulsionato, dato che ogni mala politica, di tutti i decantati assetti sociali, farà sempre una pedina del proprio gioco. Non abbiamo forse noi assistito a costituzioni politiche, che si son vantate d’essere custodi della sovranità — nientemeno — dei nullatenenti (proletari) e che son diventate delle grandi autocrazie personali, odiose e tiranniche nei momenti in cui il dispotismo serviva ai loro fini? La storia è maestra ed insegna qualcosa di più: fintantoché perdura un adulterato concetto della politica, i movimenti sociali sono strumenti prestigiosi per dar la scalata a quella da parte dei più ‘furbi e degli avventurieri. I poveri crederanno che tutto sia per amor del popolo. È chiaro: equilibrio sociale presuppone equilibrio in campo politico e qui l’equilibrio vero non è propriamente una risultante sufficientemente statica nel gioco dei partiti. Lavoro di Sisifo. Noi siamo malati di anemia nelle chiare idee fondamentali, colla stessa facilità con cui un beone non capisce più che il vino gli fa male. Supponiamo che un sindaco dica di voler fare il socialista o piuttosto il liberale. Tutto ciò non ha senso. Faccia così: amministri bene, rimpingui le casse, diminuisca le tasse, curi i servizi, le comodità, l’estetica, l’ordine: cioè sia onesto e devoto del suo dovere; in questo il mondo rosso o verde non c’entra. Queste — dicevamo — sono delle premesse all’equilibrio in campo sociale. Qui l’equilibrio impone proporzioni ragionevoli tra i profitti del capitale e dell’operaio, delle alte classi e delle classi medie. Vedremo a suo tempo che pensare dei « mezzi » per raggiungere quelle proporzioni. Tuttavia qui si pronuncia una parola importante, capitale, che ne richiama un’altra compromettente: capitalismo.  Su queste due parole polarizzano le sudate fatiche quanti cercano, in buona o mala fede, di assestare il mondo. Osserviamole semplicemente. Capitale, dice solo « riserva ». Tutti sanno che le riserve sono necessarie come nelle case occorrono i recipienti d’acqua, tanto più per la gigantesca macchina degli scambi e dell’industria creata dal mondo moderno. Il capitale non lo si può ragionevolmente abolire. Quello che può urtare è che il capitale sia in poche mani. Nessuno vorrà negare che accentramenti esagerati siano guai. Occorre limitare, arginare, decongestionare, regolarizzare il flusso. I modi possono essere diversi, né per il momento li discutiamo. Ma modo certamente errato sarebbe quello di radunare tutto nelle mani di uno (proletariato, soviet, stato). Infatti ciò libererebbe gli occhi invidiosi dalla visione di altri uomini ricchi (ma sarebbe poi vero? che dice l’esperienza?…) nulla più. L’unico capitalista, poiché lo stato ecc. sì concreta in uomini, diventerebbe uno o pochi uomini beneficiari della grande ricchezza perderebbe per l’enorme accentramento di elasticità e per l’impersonalità il senso della responsabilità. Viceversa, poiché il danaro è forza, ingigantirebbe il potere, l’autorità e le persone investite di essa; sicché gli uomini si troverebbero ad esser governati da gente che può ciò che vuole, anche ai loro danni, ben più che in regime capitalistico. Questo l’Europa l’ha sperimentato. Parrebbe che chi mira alla abolizione del capitale privato, miri alla libertà più completa: in realtà i difensori di questo punto di vista s’empiono la bocca di libertà. Stanno freschi! È il totalitarismo puro, con l’aggravante che, allorché marxisticamente si crede solo all’uomo-materia, la libertà neppure esiste a qualsiasi effetto, poiché è per definizione, dote dell’anima spirituale. Si comprende perfettamente perché chi agogna molto a comandare, a sadicamente comandare, prediliga un regime comunista o socialista. Ha ragione: in quel regime chi comanda ha in mano molto di più, dispone della somma di beni e di diritti,, che in regimi umani sono invece divisi fra i molti. È l’obesità della dominazione; e per chi ha appetito val la pena di aspirarvi. Il povero popolo crederà… – C’è di peggio. Quando l’unico capitalista (stato o l’equivalente) ha In mano l’enorme somma di disponibilità, che ne fa? Comincerà a sentire — poiché si concreta in uomini — le passioni degli uomini. Ai quali, allorché hanno il ventre pieno, rimane d’ascendere pei campi della gloria (imperialismi, internazionali, messianismi). Ecco allora che cosa farà l’unico capitalista: preparerà la guerra. Questa sarà l’ultimo amaro ed ineluttabile frutto di teorie che pur sono sbandierate sotto l’insegna della pace. L’analisi di alcuni regimi europei dell’ultimo ventennio Conferma quella che non è davvero una insinuazione maligna. – Ma continuiamo ad osservare quello che nel frattempo fa, mentre la guerra non è ancor giunta, l’unico capitalista. Può tutto e del suo potere si serve, legifera, applica, condanna. Può troppo e se ne serve troppo: è ineluttabile non sia diverso; se gli verrà qualche scrupolo per rimanenze ancestrali di coscienza, dirà a se stesso: ma lo faccio per il « Domani », per il sol dell’avvenire; questi sacrifici si « debbono » chiedere per il desiderato sogno. Ma ecco: servirsi troppo del potere è restringere troppo la libertà dei singoli, i quali cominciano nel dormiveglia a star male e a darne qualche segno. Sotto sotto cova l’insoddisfazione. Questa non va, deve essere inibita e prevenuta: ecco la polizia, ecco lo Stato fortezza, trabocchetto, ghigliottina. È un ciclo storico necessario, quando se ne son poste le premesse.

Che pensare del capitalismo? – Male, senza dubbio. Esso è una malattia che va curata con rimedi che non siano peggiori del male. Qui interessa vedere il perché profondo del male. – Il capitalismo — esagerazione del capitale e del suo impero — non sta tanto nel fatto che alcuni pochi uomini o gruppi abbiano, pel moltiplicato denaro, una esagerata, capacità d’acquisto, quanto in due indebite conseguenze della stessa capacità. Eccole. Anzitutto si cumula colla capacità di acquisto, una capacità assolutamente e giuridicamente eterogenea ad essa: la capacità di dominio politico, sociale, culturale, ideologico, che non è affatto contenuta nel danaro e per la quale l’impero del danaro diviene impero d’ogni cosa, persino della verità. L’azione sana legislativa dell’avvenire dovrà tendere a separare, quanto è onesto, queste due capacità. – Secondariamente, posto che oggi il danaro è di per sé fruttifero e lo si considera in funzione della sua moltiplicabilità, la sua abbondanza in poche mani, tende irresistibilmente a procurare onde diventar fruttifero. Di qui l’indefinito stimolo alla crescita commerciale ed industriale, che non vien più regolata e contenuta dalla naturale esigenza dei prodotti e dal progressivo miglioramento. S’arriva così alla formula il commercio per il commercio, l’industria per l’industria. La formula è una voragine, poiché si traduce così: l’uomo per l’industria, non l’industria per l’uomo, il consumo, anzi lo spreco per la produzione, e non la produzione per il consumo. S’arriva ad una corsa pazza di crear stimoli e bisogni per soddisfarli, di distruggere per creare: è l’artificio è il ciclo dell’anti-natura, è l’ingorgo, è il gran male del dell’economia con tutti i suoi drastici riflessi sociali. È il capovolgimento delle cose, puro e semplice.

… equilibrio sul piano intellettuale

Questo, per quanto non sembri, è in realtà il più difficile a raggiungere. Una nazione ha il suo intelletto — praticamente — nella mentalità pubblica, nell’opinione, nella tradizione. L’equilibrio poi sta nel fatto per cui non trovano campo di cultura le idee strane, eccessive, sovversive, strampalate, epilettiche, ossessive, false. L’equilibrio intellettuale domanda una composta serenità, una consapevolezza morale, una coscienza in tutti i mezzi di cui si forgia l’opinione pubblica: letteratura corrente, stampa, radio, spettacolo. Lo si misura dal quanto c’è di adesione alla verità obbiettiva, che è una. È per questo che il relativismo sulla verità ne è il peggiore nemico. Se per equilibrio intellettuale noi intendiamo poi quello che investe tutta la vita spirituale di una nazione, l’orizzonte si allarga, investe la civiltà, il progresso. Domanderà allora che lo sviluppo della religione, della morale, della cultura, del gusto vero, dell’arte, sia proporzionato e non inferiore a quello della tecnica e del benessere materiale; che la cura dell’educazione spirituale sia non inferiore, anzi sia maggior dell’educazione fisica; che le preoccupazioni si raccolgano non meno dei plausi sulla onestà, sul valore, sulla virtù. La rottura di questo equilibrio favorisce l’uomo-bestia con tutti i suoi istinti, che sono egoistici, sensuali e finalmente sanguinosi.

L’ordine internazionale dipende dalla maturità interna

Il secondo elemento riassuntivo d’un ordine interno negli stati è per il Papa la « maturità ». Maturità e sviluppo completo, equilibrio raggiunto, capacità ed efficienza

relativamente perfetta; proporzione stabile. Nell’uomo e, per riflesso, nella comunità umana, il concetto di maturità aggiunge : sodezza di giudizio, ponderazione di movimenti, riflessivo sfruttamento di esperienza, continuità di stile, coerenza; non compatisce i soprusi della sensibilità improvvisa, dell’estro puerile, dell’imprudenza, dell’irrazionalità; non ama le avventure. Teniamoci lontani dalle utopie. Nessun stato raggiungerà mai la maturità perfetta: il dramma della libertà comprometterà sempre l’ultimo fastigio di questo beato equilibrio. Però esistono delle realizzazioni umane possibili, alle quali si deve pur aspirare.

Maturità materiale

È lo sviluppo economico raggiunto attraverso tutti i suoi elementi, sì da garantire benessere a tutte le classi e possibilità di ulteriore sviluppo; sì da permettere nell’economia e nella pace l’ascesa dei beni spirituali. Segni di questa maturità materiale sono: l’elevato tenore di vita delle classi umili, in rapporto, s’intende, alle possibilità della nazione; la sostenuta capacità di acquisto, la relativa facilità per tutti del risparmio e della piccola proprietà, la stabilità degli elementi dell’economia, la pacifica coesistenza delle classi. Una maturità materiale non può per sé conoscere il pauperismo, come non dovrebbe conoscere le esagerazioni del capitalismo: essa infatti suppone ordinato ed assestato — quanto è possibile alle cose umane — il circolo della ricchezza. – L’idea di maturità materiale è relativa alla fisionomia, alla capacità ed alle risorse di una nazione; sicché sarebbe chimerico concepirla identica per tutti. Le diversità sono inevitabili: non tutti hanno le stesse risorse del suolo, lo stesso ingegno e la stessa tradizione culturale per sfruttarle, lo stesso temperamento e la stessa posizione geografica. Quanto più crescerà la comprensione tra i popoli — quale solo lo spirito della carità cristiana è in grado di promuovere — si imporrà un retto ordinamento giuridico, cadranno barriere economiche, i popoli meno abbienti potranno trarre dal flusso e riflusso nelle correnti della vita quanto non ottengono dalla loro povera terra. Giacché è proprio e solo su quelle basi che potrà risollevarsi la tremenda questione delle materie prime. È però utopia pensare ad una maturità materiale senza maturità là dove essa si genera e si assicura.

Maturità sociale

Sta nelle istituzioni e nella coscienza pubblica. Il termine istituzioni, non indica solamente gli organi (p. es. tribunali, parlamento, corporazione, sindacato, costituzione, federazione), ma altresì le leggi, la tradizione, il costume pubblico. La loro maturità sta nella raggiunta adeguazione ai bisogni a riprova compiuta, nella forza intrinseca di mantenersi pure da inquinamenti personalistici troppo spinti, e nella ragionevole stabilità. Istituzioni aperte in permanenza agli esperimenti e all’avventura, continuamente create dalle riforme, tarlate dal broglio, dal peculato, dal protezionismo e dai personalismi non sono indice di maturità d’uno stato. Nei fanciulli si possono scusare mutazioni continue e imprese contro il buon senso, nelle persone mature no. La logica sospinge a vedere che la maturità alle istituzioni sale da una maturità di coscienza pubblica. Che porta dunque con sé questa magica parola? La coscienza pubblica si attua attraverso il sentimento, il giudizio e l’atteggiamento comune. È matura socialmente parlando, quando ha buona formazione politica, cioè quando né concepisce, né sostiene la politica, né se ne fa zimbello, quasi fosse un gioco; la sente bensì come cosa seria, obbiettiva, lontana dalle filosofiche chimere di rifare il mondo è ancorata alle pratiche esigenze del bene comune. È coscienza matura quando ha la capacità di reagire ai sogni, agli ideali fallaci, alle esperienze rischiose, alle avventure romantiche, ai chiacchieroni, agli ipnotizzatori, quando è capace di opporre il suo infrangibile disprezzo ai conati dissolvitori della letteratura e di qualunque propaganda; quando ha il robusto senso critico delle opinioni e delle novità. La coscienza pubblica è allora il più grande stabilizzatore della politica, ne è la valvola, la remora, il controllo impersonale e terribile; là sono pure le avventure del pensiero. – I filosofi tentano spesso— ne hanno le più gravi tentazioni — di imporre la loro dittatura. Un popolo maturo non patisce neppur allora di suggestioni collettive. In fondo la maturità lo fa aderire all’umanità, al buon senso umano, obbiettivo, universale e costante. Ha la risorsa in sé per salvarsi dalle parziali deviazioni che possono incoglierlo e rasserenarsi in un composto equilibrio. Se la raggiunge, possono presentarsi in coreografie fascinose le idee esagerate, malsane, ammalate, frenetiche, pazze: sa reagire. – La maturità di coscienza pubblica è il più gran dono che possa avere un popolo. La storia ci dice che essa è stata talvolta relativamente raggiunta. Non è dunque follia sperar! Ma donde questa maturità? Qui c’è un problema rovente, che porta a scavare nelle anime. Finiamola coll’ipocrisia di scindere, per rispetto umano, l’ordine sociale dalla pienezza e — perché no? — dalla ascesi cristiana. Ma questo si vedrà meglio.

4. – Il diritto di natura

Il Papa afferma. Ma non afferma soltanto e gratuitamente: ha un continuo richiamo ad elementi giustificativi e probatori antecedenti, evidenti e valevoli per tutti. Egli appella a « norme fondamentali dell’ordine » a « fondamenti genuini di ogni vita sociale ». Dove sono tali fondamenti? È facile accorgersene: nella fisionomia naturale degli elementi che esamina, negli elementi « realizzanti fondati e sanzionati dalla volontà del Creatore » della natura quindi « non meramente forzati e fittizi » ma spontanei e congeniti alle cose. Ciò equivale a dire che il Papa appella per giustificare i suoi asserti, alle linee che sono espresse dalla natura stessa dell’uomo, delle cose e dei loro rapporti. Sa però il Papa che questa natura esprime pensiero e volontà di un altro, Dio; sicché le istituzioni e le norme promananti dalla natura, hanno origine divina, tanto che può parlare de « la convinzione dell’origine vera, divina e spirituale della vita sociale ». Per questa via logica ed obbiettiva, giungendo al vertice, Egli contempla: « Dio prima causa ed ultimo fondamento come Creatore della prima società coniugale, della società famigliare, della società dei popoli e delle nazioni ».

Il Papa si appella

Fonte delle affermazioni è dunque la natura plasmata da Dio, e le norme che all’analisi essa rivela; è, cioè, il diritto di natura. Qui cadono due osservazioni. L’una è sul punto di vista logico: il Papa sa che gli uomini vogliono essere convinti, che per essere convinti vogliono vedere le affermazioni provate dai fatti o dai princìpi più semplici, più visibili, più indiscutibili. Egli non dice: è così perché ve lo dico io »; accoglie invece il postulato della logica e dona la dimostrazione in princìpi semplici, anzi nel più semplice, più sincero e più visibile di tutti, la natura. Non ipostatizza come fanno i più, né  abbaglia con la magniloquenza fulminante e categorica, ragiona e per questo fa ragionare. – L’altra osservazione verte sulla sostanza: il Papa, appellandosi Lui stesso, richiama gli uomini alla esistenza di un diritto naturale, come a fondamento necessario e inderogabile di ogni convivenza umana. Abbiamo quindi un poderoso richiamo alla logica ed alla natura. Poiché questo richiamo è in tutto il messaggio, sia per l’esempio di coerenza razionale tanto raro, sia per l’affermazione sull’esistenza del diritto di natura, noi ci troviamo certamente dinanzi ad un elemento fondamentale che va accuratamente studiato.

Solo al diritto naturale?

Il richiamo non è fatto solamente al diritto naturale. Qua e là si hanno accenni al soprannaturale ed alla dottrina rivelata, specialmente ove si parla del lavoro e dello stato cristianamente ordinato. Tuttavia si può vedere come la trattazione sia prevalentemente ancorata al diritto di natura. Non senza ragione. Il Papa infatti si è rivolto non solo ai Cristiani, ma al mondo intero: era logico si ponesse su una base che è comune a Cristiani e ai non Cristiani, perché possibile sempre ed ovunque alla onesta metodica e volenterosa indagine di qualsiasi uomo che sappia rettamente ragionare.

Che è il diritto di natura?

È ovvio ci interessi ora sapere che cosa sia questo diritto di natura, anche per renderci conto del come esso sia sostegno legittimo di molte affermazioni del Messaggio papale. È il complesso delle norme o leggi che vengono manifestate agli uomini dalla stessa natura, la quale, creatura di Dio, non altro manifesta se non la volontà di Dio, capace di porre l’obbligazione morale di coscienza. Gli occhi s’appuntano sulla natura e tutti trovano facile comprendere che la voce della natura è ben grave, è anteriore alla nostra scarsa conoscenza, al nostro relativo accorgimento, fa parte di quell’ordine mirabile nel cui concetto sta pure la inviolabile vendetta per i violatori dei suoi assoluti dettami. Colla natura non si scherza, come non si scherza col mare, col fulmine e colle potenti arcane serve della sua fecondità. Ma è poi vero che esiste il diritto di natura? Non è esso una chimera? Per rispondere è necessaria un’indagine preliminare.

Come sorge il diritto di natura

Ciò equivale a chiedere come faccia poi la natura (uomo ed ogni suo elemento, cose e loro rapporti) a manifestare certe norme. Ecco. Ogni elemento naturale (p. es. la mia mano), ha delle linee strutturali. Più si studia e più queste diventano chiare. – Queste linee indicano un orientamento, anzi una finalità. Guardando le linee della mia mano io capisco che essa debba servire ragionevolmente. Orientamento e finalità tracciano una linea direttiva e questa è la natura. Chiunque per timore, per neghittosità o per pregiudizio volesse fermarsi a questo punto, dovrebbe pur riconoscere che andare contro questa norma sarebbe irragionevole, disordinato e, soprattutto, dannoso. – Ma è falso fermarsi qui. Come la natura indicativa espressa dagli elementi naturali individui e comparati diventa legge? Chi ha steso quelle linee strutturali, quegli orientamenti, quelle chiare finalità? L’autore della natura, Dio. Esse dunque rivelano veramente non una qualunque norma, ma la norma proposta dall’Intelligenza e imposta dalla Volontà del Creatore. Sicché avendosene generata l’obbligazione morale di coscienza, si ha la legge nel pieno senso della parola.

Il diritto di natura esiste

Ora è possibile rispondere alla domanda già prima formulata. Il diritto di natura esiste tanto quanto esiste la natura, le sue linee indicatrici, tanto quanto esiste Dio autore della natura. Queste linee le ritrovo non solo nella mano o negli occhi, ma nei sentimenti, negli istinti, nelle comparazioni fra essi, nelle facoltà spirituali e fisiche, nei rapporti naturali tra ogni individuo umano e tutti gli altri esseri, ossia in tutta la creazione, accessibile alla mia percezione ed alla mia intelligenza. Che, in un certo senso, « natura » è precisamente « l’opera del creato ». Così la natura ci parla di Dio, che è la prima legge limitativa dell’arbitrio umano; ci parla della dipendenza di ogni cosa da Lui; mostra in Lui il tutore ed il vindice degli impegni liberamente assunti, dei contratti, donando in tal modo le sole basi ad ogni altro diritto conseguente. Che varrebbe infatti il contratto se non esistesse l’anteriore legge di fedeltà? Che varrebbe la legge umana se l’autorità, sua sorgente, non fosse avallata da princìpi antecedenti e cioè dal diritto di natura?

Conseguenze

Le conseguenze dell’affermazione sull’esistenza del diritto naturale sono talmente gravi e severe da farci comprendere perché abbiano acquistato un carattere ben ostico presso i difensori della sfrenata indipendenza da Dio. Eccone alcune:

1) Il diritto di natura è immutabile quanto la natura.

Acquista pertanto un carattere assoluto. È la condanna del relativismo nei supremi princìpi della convivenza umana. È un richiamo alla fissità delle leggi-base sotto ogni civiltà ed ogni clima. Ecco perché le grandi leggi dell’economia non si creano e non si deformano d’arbitrio; ecco perché il trattamento dell’ « uomo » ha canoni ai quali è necessario sottostare.

2) Il diritto di natura è anteriore all’individuo, alla famiglia ed alla società; ecco perché è ugualmente ed inderogabilmente obbligatorio per tutte queste istituzioni, che da esso traggono fisionomia e potere.

3) Il diritto naturale è legge divina: per questo è la base di qualsivoglia programma sociale e politico, il quale si fa immorale per il solo fatto di calpestarlo. I programmi non possono essere compilati sotto la pura pressione di ragioni contingenti, né col criterio di far concorrenza alle mode più fortunate e più demagogiche, né coll’intento di presentare offe all’appetito della folla male informata e minacciosa, ma anzitutto chiamando ad ispiratrice la legge e la giustizia di Dio! Salvi i princìpi, salva con tale coraggio la legge e mai contro di essi, si potrà fare della « tattica » ispirata alle contingenze.

4) Il diritto naturale costituisce un « precedente » per cui è definito l’uomo, nonché l’interpretazione fondamentale delle questioni che lo riguardano. Spieghiamoci: l’uomo è, per esso, quello che è; io non lo posso più creare rosso o verde, più risibile di quel che non sia, o più scemo e maneggevole di quel che l’abbian pensato certi statisti, figurina da salotto, soldatino di piombo, arena di spiaggia. Il grande « precedente » che ci attende come una nemesi, qualora lo dimenticassimo, ci impedisce di creare nel regime dei popoli, ci obbliga invece a umilmente cercare, a diligentemente e magari originalmente interpretare quanto sta nella obbiettiva realtà delle cose. È il limite alla fantasia estrosa, sola risorsa degli intelligenti ignoranti e dei dotti imbroglioni. I fatti della storia danzeranno a loro piacimento, magari nello stile della danza macabra dei nostri giorni, ma finiranno coll’essere sempre implacabilmente discriminati da questo « diritto » che è nella fisionomia della natura e che costituisce il « peso » orientatore delle stesse grandi leggi morali dell’umanità. Appellare ad esso è ancorarsi a qualcosa di obbiettivo, di granitico, di provato, di estremamente concreto. – Le questioni umane bisogna staccarle dagli orientamenti impressi dalle mire egoistiche, dalle concezioni astratte, dalle stranezze degli uomini anormali. – Il diritto di natura è parte del buon senso umano, sicché un uomo è di buon senso quando ne segue le norme. Ora il buon senso è il taciuto articolo di tutte le leggi, il fondamentale comma di tutte le costituzioni. Tutti, quando non son presi da eclissi di intelligenza, se lo augurano, e soprattutto, lo augurano agli altri. Ritornare a questa cognizione, tradurla nella semplicità più accogliente, dedurla alle conseguenze, rifarci pazientemente una coscienza, è apostolato dei nostri giorni.

LA RICOSTRUZIONE DELLA VITA SOCIALE (2)

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. LEONE XIII – SPECTATA FIDE

In questa breve lettera enciclica, S. S. Leone XIII, si compiace per l’opera della Gerarchia cattolica inglese a favore dell’educazione cattolica dei fanciulli, sottolineando come essa sia garanzia, oltre che di progresso spirituale per il popolo, di stabilità e pace sociale per la Nazione intera. Questo è uno dei punti più importanti sui quali le “sette di perdizione” dei giorni nostri agiscono per destabilizzare tutto l’ordine sociale degli Stati cristiani le cui fondamenta morali sono già in via di demolizione avanzata, avendo messo in moto la ruspa pseudo liberista e panteista per abbattere se possibile l’intero Cristianesimo. Ciò che il Santo Padre deprecava in questo documento, è quanto oggi si è invece stabilito e consolidato, a partire dalle aberranti ideologie naturaliste della moderna pedagogia che istilla il sadico veleno della non educazione dei giovani lasciandoli inermi in balia di una presunta libertà dell’errore che tutto giustifica e tutto concede senza la benché minima osservanza di regole o di autorità, come da precetti satanico-gnostico-massonici e teologico-modernisti, idolatranti la libertà-libertinaggio assoluta, l’indipendenza selvaggia e violenta da chicchessia, ed il rifiuto di ogni tradizione culturale pregressa di ispirazione cristiana, per cui  « … il pernicioso errore di coloro i quali preferiscono che i fanciulli crescano senza alcuna educazione religiosa distrugge infatti tutta l’antica saggezza e reca danno allo stesso fondamento del vivere felice. » Quello che maggiormente oggi atterrisce è l’atteggiamento dei falsi pastori della sinagoga di satana infiltrata nelle logge vaticane, ove Simon Mago usurpa Simon Pietro, basta vedere i frutti delle scuole un tempo cattoliche, ricettacolo di perverse ideologie moderniste condannate da sempre dal Magistero Pontificio e Conciliare. Ma stiano attenti i servi della « Bestia che sembrava uccisa e rivive », gli adepti del dragone, che affettando santità siedono nelle tenebre e nell’ombre di morte coinvolgendo e dannando un’infinità di anime. Cosa pensate di ottenere dal vostro padrone che servite con tante solerzia. Il vostro premio sarà la morte eterna dell’anima, la morte, non la sparizione, ma il fuoco dello stagno eterno vi divorerà senza consumarvi. Pentitevi e tornate al vero Dio, lasciate perdere il baphomet-signore dell’universo, il corona-lucifero che vi ha sedotto ed al quale giurate eterna fedeltà … il serpente è omicida e falsario … 

Leone XIII

Spectata fides

Lettera Enciclica

La vostra provata fede e la vostra singolare devozione verso questa Sede Apostolica mirabilmente risplendono nella lettera comune che di recente abbiamo ricevuto da voi. Essa giunge a Noi molto più gradita in quanto conferma chiaramente ciò che già sapevamo: che cioè gran parte della vostra solerzia e dei vostri pensieri è rivolta ad un’attività per la quale nessun impegno può essere tanto grande, da ritenere che nessun altro possa essere considerato di maggiore importanza. Ci riferiamo alla educazione cristiana dei vostri adolescenti, su cui di recente, ascoltati i consigli, avete preso utili provvedimenti che decideste di riferire a Noi. – Davvero è per Noi motivo di letizia che in un’impresa tanto importante voi, Venerabili Fratelli, non operiate da soli. Infatti non ignoriamo quanto sia dovuto, in proposito, all’intero ordine dei vostri Presbiteri, i quali ebbero cura di aprire scuole per i fanciulli, con somma carità e con animo indomito di fronte alle difficoltà; essi poi, assunto il compito di educare, con impegno e assiduità mirabile dedicano la loro attività ad indirizzare i giovani alla morale cristiana e ai primi studi letterari. Perciò, per quanto può la Nostra voce incoraggiare ancor più o contribuire a una meritata lode, continuino i vostri sacerdoti a rendersi benemeriti nei riguardi dei fanciulli e godano dell’approvazione e del particolare Nostro affetto, in attesa di ben altra consolazione da Dio Signore, per la cui causa essi si prodigano. Né riteniamo degna di minore considerazione la generosità dei Cattolici a tal riguardo. Sappiamo per certo che essi con alacre impegno sono soliti provvedere a tutto il necessario per la tutela delle scuole; che ciò non è opera soltanto dei più dotati di censo ma anche dei meno abbienti e dei poveri; è atto nobile e magnanimo trovare spesso nella stessa povertà i mezzi da offrire lietamente per l’educazione dei fanciulli. Invero, in tempi come questi, in cui tanti e diversi pericoli incombono ovunque sulla ingenua e tenera età dei fanciulli, a malapena si potrebbe escogitare alcunché di più opportuno che congiungere l’educazione letteraria con l’insegnamento della dottrina della fede e della morale. Più di una volta abbiamo detto che approviamo cordialmente siffatte scuole, che chiamano libere, in Francia, in Belgio, in America, nelle colonie dell’Impero Britannico, istituite per generoso intervento di privati, e desideriamo che, per quanto è possibile, esse si diffondano e crescano per frequenza di alunni. Noi stessi, considerata la condizione della città, non desistemmo dal curare col massimo impegno e con grandi spese che un buon numero di queste scuole fosse a disposizione dei fanciulli romani. In esse e per mezzo di esse, infatti, si tramanda quella suprema e ottima eredità che ricevemmo dai nostri maggiori, cioè l’integrità della fede Cattolica; inoltre, in esse si provvede alla libertà dei genitori e si educa per lo Stato una buona generazione di cittadini, ciò che in tanta licenza di opinioni e di comportamenti è quanto mai necessario: nessuno, infatti, può far meglio di chi fin dalla fanciullezza ha accolto la fede cristiana nel pensiero e nei costumi. I principi e, per così dire, i semi di tutta la civiltà che Gesù Cristo divinamente trasmise al genere umano consistono nella educazione cristiana dei fanciulli: perciò le città non saranno in futuro diverse da quanto la prima educazione ha infuso nei fanciulli. Il pernicioso errore di coloro i quali preferiscono che i fanciulli crescano senza alcuna educazione religiosa distrugge infatti tutta l’antica saggezza e reca danno allo stesso fondamento del vivere felice. Perciò comprendete, Venerabili Fratelli, con quanta preveggenza i padri di famiglia debbano evitare che i loro figli siano affidati a quelle dispute letterarie in cui non possono trovar posto i precetti religiosi. Per quanto riguarda la vostra Inghilterra, ci risulta che non solo voi ma in generale molti dei vostri seguaci sono non poco solleciti nell’educare i fanciulli alla religione. – Sebbene essi non concordino con Noi in ogni parte, comprendono tuttavia quanto importi, sia al privato, sia alla collettività, la sopravvivenza del patrimonio della sapienza cristiana che i vostri proavi ricevettero dal Predecessore Nostro Gregorio Magno tramite Sant’Agostino e che le fiere tempeste scatenate in seguito non distrussero completamente. Sappiamo che oggi vi sono molte persone che con eccellente disposizione d’animo si preoccupano di conservare, con tutto lo zelo possibile, la fede avita e spargono non pochi né esigui frutti di carità. Ogni volta che riflettiamo su questo fatto, Ci sentiamo commossi: seguiamo infatti con amore paterno codesta Isola che meritatamente è stata definita nutrice di santi: e in tale disposizione d’animo, cui accennammo, scorgiamo la più viva speranza e quasi un pegno sicuro della salute e della prosperità degli Inglesi. Quindi perseverate, Venerabili Fratelli, a curare soprattutto gli adolescenti; estendete ovunque la vostra missione episcopale, e con alacrità e fiducia coltivate la buona semente ovunque pensiate che sia: Dio poi darà un ricco accrescimento di misericordia. – Come auspicio di celesti doni e come testimonianza della Nostra benevolenza, a voi, al clero e al popolo a ciascuno di voi affidato, con grande affetto, nel nome del Signore impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 27 novembre 1885, nell’anno ottavo del Nostro Pontificato.

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA – FEBBRAIO 2021

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: FEBBRAIO 2021

FEBBRAIO è il mese che la CHIESA DEDICA alla SANTISSIMA TRINITA’

All’inizio di questo mese è bene rinnovare l’atto di fede Cattolico – autentico e solo – recitando il Credo Atanasiano, le cui affermazioni, tenute e tenacemente professate contro tutte le insidie della falsa chiesa dell’uomo vaticano-secondista e della gnosi modernista, protestante, massonica, pagana, atea, comunisto-liberista, noachide-mondialista, permettono la salvezza dell’anima per giungere all’eterna felicità. 

 IL CREDO Atanasiano

 (Canticum Quicumque * Symbolum Athanasium)

“Quicúmque vult salvus esse, * ante ómnia opus est, ut téneat cathólicam fidem: Quam nisi quisque íntegram inviolatámque serváverit, * absque dúbio in ætérnum períbit. Fides autem cathólica hæc est: * ut unum Deum in Trinitáte, et Trinitátem in unitáte venerémur. Neque confundéntes persónas, * neque substántiam separántes. Alia est enim persóna Patris, ália Fílii, * ália Spíritus Sancti: Sed Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti una est divínitas, * æquális glória, coætérna majéstas. Qualis Pater, talis Fílius, * talis Spíritus Sanctus. Increátus Pater, increátus Fílius, * increátus Spíritus Sanctus. Imménsus Pater, imménsus Fílius, * imménsus Spíritus Sanctus. Ætérnus Pater, ætérnus Fílius, * ætérnus Spíritus Sanctus. Et tamen non tres ætérni, * sed unus ætérnus. Sicut non tres increáti, nec tres imménsi, * sed unus increátus, et unus imménsus. Simíliter omnípotens Pater, omnípotens Fílius, * omnípotens Spíritus Sanctus. Et tamen non tres omnipoténtes, * sed unus omnípotens. Ita Deus Pater, Deus Fílius, * Deus Spíritus Sanctus. Ut tamen non tres Dii, * sed unus est Deus. Ita Dóminus Pater, Dóminus Fílius, * Dóminus Spíritus Sanctus. Et tamen non tres Dómini, * sed unus est Dóminus. Quia, sicut singillátim unamquámque persónam Deum ac Dóminum confitéri christiána veritáte compéllimur: * ita tres Deos aut Dóminos dícere cathólica religióne prohibémur. Pater a nullo est factus: * nec creátus, nec génitus. Fílius a Patre solo est: * non factus, nec creátus, sed génitus. Spíritus Sanctus a Patre et Fílio: * non factus, nec creátus, nec génitus, sed procédens. Unus ergo Pater, non tres Patres: unus Fílius, non tres Fílii: * unus Spíritus Sanctus, non tres Spíritus Sancti. Et in hac Trinitáte nihil prius aut postérius, nihil majus aut minus: * sed totæ tres persónæ coætérnæ sibi sunt et coæquáles. Ita ut per ómnia, sicut jam supra dictum est, * et únitas in Trinitáte, et Trínitas in unitáte veneránda sit. Qui vult ergo salvus esse, * ita de Trinitáte séntiat. Sed necessárium est ad ætérnam salútem, * ut Incarnatiónem quoque Dómini nostri Jesu Christi fidéliter credat. Est ergo fides recta ut credámus et confiteámur, * quia Dóminus noster Jesus Christus, Dei Fílius, Deus et homo est. Deus est ex substántia Patris ante sǽcula génitus: * et homo est ex substántia matris in sǽculo natus. Perféctus Deus, perféctus homo: * ex ánima rationáli et humána carne subsístens. Æquális Patri secúndum divinitátem: * minor Patre secúndum humanitátem. Qui licet Deus sit et homo, * non duo tamen, sed unus est Christus. Unus autem non conversióne divinitátis in carnem, * sed assumptióne humanitátis in Deum. Unus omníno, non confusióne substántiæ, * sed unitáte persónæ. Nam sicut ánima rationális et caro unus est homo: * ita Deus et homo unus est Christus. Qui passus est pro salúte nostra: descéndit ad ínferos: * tértia die resurréxit a mórtuis. Ascéndit ad cælos, sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis: * inde ventúrus est judicáre vivos et mórtuos. Ad cujus advéntum omnes hómines resúrgere habent cum corpóribus suis; * et redditúri sunt de factis própriis ratiónem. Et qui bona egérunt, ibunt in vitam ætérnam: * qui vero mala, in ignem ætérnum. Hæc est fides cathólica, * quam nisi quisque fidéliter firmitérque credíderit, salvus esse non póterit.”

L’adorazione della Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, con il mistero dell’Incarnazione e la Redenzione di Gesù-Cristo, costituiscono il fondamento della vera fede insegnata dalla Maestra dei popoli, la Chiesa di Cristo, Sposa verità unica ed infallibile, via di salvezza, fuori dalla quale c’è dannazione eterna.  … O uomini, intendetelo quanto questo dogma vi nobiliti. Creati a similitudine dell’augusta Trinità, voi dovete formarvi sul di lei modello, ed è questo un dover sacro per voi. Voi adorate una Trinità il cui carattere essenziale è la santità, e non vi ha santità sì eminente, alla quale voi non possiate giungere per la grazia dello Spirito santificatore, amore sostanziale del Padre e del Figlio. Per adorare degnamente l’augusta Trinità voi dovete dunque, per quanto è possibile a deboli creature umane, esser santi al pari di lei. Dio è santo in se stesso, vale a dire che non è in lui né peccato, né ombra di peccato; siate santi in voi stessi. Dio è santo nelle sue creature: vale a dire che a tutto imprime il suggello della propria santità, né tollera in veruna il male o il peccato, che perseguita con zelo immanchevole, a vicenda severo e dolce, sempre però in modo paterno. Noi dunque dobbiamo essere santi nelle opere nostre e santi nelle persone altrui evitando cioè di scandalizzare i nostri fratelli, sforzandoci pel contrario a preservarli o liberarli dal peccato. Siate santi, Egli dice, perché Io sono santo. E altrove: Siate perfetti come il Padre celeste è perfetto; fate del bene a tutti, come ne fa a tutti Egli stesso, facendo che il sole splenda sopra i buoni e i malvagi, e facendo che la pioggia cada sul campo del giusto, come su quello del peccatore. Modello di santità, cioè dei nostri doveri – verso Dio, L’augusta Trinità è anche il modello della nostra carità, cioè dei nostri doveri verso i nostri fratelli. Noi dobbiamo amarci gli uni gli altri come si amano le tre Persone divine. Gesù Cristo medesimo ce lo comanda, e questa mirabile unione fu lo scopo degli ultimi voti che ei rivolse al Padre suo, dopo l’istituzione della santa Eucarestia. Egli chiede che siamo uno tra noi, come Egli stesso è uno col Padre suo. A questa santa unione, frutto della grazia, ei vuole che sia riconosciuto suo Padre che lo ha inviato sopra la terra, e che si distinguono quelli che gli appartengono. Siano essi uno, Egli prega, affinché il mondo sappia che Tu mi hai inviato. Si conoscerà che voi siete miei discepoli, se vi amate gli uni gli altri. « Che cosa domandate da noi, o divino Maestro, esclama sant’Agostino, se non che siamo perfettamente uniti di cuore e di volontà? Voi volete che diveniamo per grazia e per imitazione ciò che le tre Persone divine sono per la necessità dell’esser loro, e che come tutto è comune tra esse, così la carità del Cristianesimo ci spogli di ogni interesse personale ». – Come esprimere l’efficacia onnipotente di questo mistero? In virtù di esso, in mezzo alla società pagana, società di odio e di egoismo, si videro i primi Cristiani con gli occhi fissi sopra questo divino esemplare non formare che un cuore ed un’anima, e si udirono i pagani stupefatti esclamare: « Vedete come i Cristiani si amano, come son pronti a morire gli uni per gli altri! » Se scorre tuttavia qualche goccia di sangue cristiano per le nostre vene, imitiamo gli avi nostri, siamo uniti per mezzo della carità, abbiamo una medesima fede, uno stesso Battesimo, un medesimo Padre. I nostri cuori, le nostre sostanze siano comuni per la carità: e in tal guisa la santa società, che abbiamo con Dio e in Dio con i nostri fratelli, si perfezionerà su la terra fino a che venga a consumarsi in cielo. – Noi troviamo nella santa Trinità anche il modello dei nostri doveri verso noi stessi. Tutti questi doveri hanno per scopo di ristabilire fra noi l’ordine distrutto dal peccato con sottomettere la carne allo spirito e lo spirito a Dio; in altri termini, di far rivivere in noi l’armonia e la santità che caratterizzano le tre auguste persone, e ciascuno di noi deve dire a sé  stesso: Io sono l’immagine di un Dio tre volte santo! Chi dunque sarà più nobile di me! Qual rispetto debbo io aver per me stesso! Qual timore di sfigurare in me o in altri questa immagine augusta! Qual premura a ripararla, a perfezionarla ognor più! Sì, questa sola parola, io sono l’immagine di Dio, ha inspirato maggiori virtù, impedito maggiori delitti, che non tutte le pompose massime dei filosofi.

3

Te Deum Patrem ingenitum, te Filium unigenitum, te Spiritum Sanctum Paraclitum, sanctam et individuam Trinitatem, toto corde et ore confitemur, laudamus atque benedicimus. (ex Missali Rom.).

Indulgentia quingentorum dierum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotìdie per integrum mensem precatiuncula devote reperita fuerit

(S. C. Ind., 2 iul. 1816; S. Pæn. Ap., 28 sept. 1936).

12

a) O sanctissima Trinitas, adoro te habitantem per gratiam tuam in anima mea.

b) O sanctissima Trinitas, habitans per gratiam tuam in anima mea, fac ut magis ac magis amem te.

c) O sanctissima Trinitas, habitans per gratiam tuam in anima mea, magis magisque sanctifica me.

d) Mane mecum, Domine, sis verum meum gaudium.

Indulgentia trecentorum dierum prò singulis iaculatoriis precibus etiam separatim (S. Pæn. Ap., 26 apr. 1921 et 23 oct. 1928).

16

a) Sanctus Deus, Sanctus fortis, Sanctus immortalis, miserere nobis.

b) Tibi laus, tibi gloria, tibi gratiarum actio in sæcula sempiterna, o beata Trinitas (ex Missali Rom.).

Indulgentia quingentorum dierum prò singulis invocationibus etiam separatim.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotìdie per integrum mensem alterutra prex iaculatoria devote recitata fuerit (Breve Ap., 13 febr. 1924; S. Pæn. Ap., 9 dec. 1932).

40

In te credo, in te spero, te amo, te adoro,

beata Trinitas unus Deus, miserere mei nunc et

in hora mortis meæ et salva me.

Indulgentia trecentorum dierum (S. Pæn. Ap., 2 iun.)

43

CREDO IN DEUM,

Patrem omnipotentem, Creatorem cœli et terræ. Et in Iesum Christum, Filium eius unicum, Dominum nostrum: qui conceptus est de Spiritu Sancto, natus ex Maria Virgine, passus sub Pontio Pilato, crucifixus, mortuus et sepultus; descendit ad inferos; tertia die resurrexit a mortuis ; ascendit ad cœlos; sedet ad dexteram Dei Patris omnipotentis; inde venturus est iudicare vivos et mortuos. Credo in Spiritum Sanctum, sanctam Ecclesiam catholicam, Sanctorum communionem, remissionem peccatorum, carnis resurrectionem, vitam æternam, Amen.

Indulgentia quinque annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotìdie per integrum mensem praefatum Apostolorum Symbolum pia mente recitatum fuerit (S. Pæn. Ap., 12 apr. 1940).

ACTUS ADORATIONIS ET GRATIARUM ACTIO PROPTER BENEFICIA, QUÆ HUMANO GENERI EX DIVINI VERBI INCARNATIONE ORIUNTUR.

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Santissima Trinità, Padre, Figliuolo e Spirito Santo, eccoci prostrati alla vostra divina presenza. Noi ci umiliamo profondamente e vi domandiamo perdono delle nostre colpe.

I . Vi adoriamo, o Padre onnipotente, e con tutta l’effusione del cuore vi ringraziamo di averci dato il vostro divin Figliuolo Gesù per nostro Redentore, che si è lasciato con noi nell’augustissima Eucaristia sino alla consumazione dei secoli, rivelandoci le meraviglie della carità del suo Cuore in questo mistero di fede e di amore.

Gloria Patri.

II. O divin Verbo, amabile Gesù Redentore nostro, noi vi adoriamo, e con tutta l’effusione del cuore vi ringraziamo di aver preso umana carne e di esservi fatto, per la nostra redenzione, sacerdote e vittima del sacrificio della Croce: sacrificio che, per eccesso di carità del vostro Cuore adorabile, Voi rinnovate sui nostri altari ad ogni istante. 0 sommo Sacerdote, o divina Vittima, concedeteci di onorare il vostro santo sacrificio nell’augustissima Eucaristia con gli omaggi di Maria santissima e di tutta la vostra Chiesa trionfante, purgante e militante. Noi ci offriamo tutti a voi; e nella vostra infinita bontà e misericordia accettate la nostra offerta, unitela alla vostra e benediteci.

Gloria Patri.

III. O divino Spirito Paraclito, noi vi adoriamo, e con tutta l’effusione del cuore vi ringraziamo di avere con tanto amore per noi operato l’ineffabile beneficio dell’Incarnazione del divin Verbo, beneficio che nell’augustissima Eucaristia  si estende e amplifica continuamente. Deh! per questo adorabile mistero della carità del sacro Cuore di Gesù, concedete a noi ed a tutti i peccatori la vostra santa grazia. Diffondete i vostri santi doni sopra di noi e sopra tutte le anime redente, ma in modo speciale sopra il Capo visibile della Chiesa, il Sommo Pontefice Romano [Gregorio XVIII], sopra tutti i Cardinali, i Vescovi e Pastori delle anime, sopra i sacerdoti e tutti gli altri ministri del santuario. Così sia.

Gloria Patri.

Indulgentia trium annorum (S. C. Indulg. 22 mart. 1905; S. Pæn. Ap., 9 dec. 1932).

Queste sono le feste del mese di

FEBBRAIO 2021

1 Febbraio S. Ignatii Episcopi et Martyris  –  Duplex      

2 Febbraio  –  In Purificatione Beatæ Mariæ Virginis  –  Duplex II. Classis

3 Febbraio S. Blasii Episcopi  –  Feria

4 Febbraio S. Andreæ Corsini Episcopi et Confessoris  – Duplex

5 Febbraio S. Agathæ Virginis et Martyris –  Duplex

                  1° Venerdì

6 Febbraio  S. Titi Episc. et Confessoris  –  Duplex

                  1° Sabato

7 Febbraio Dominica in Sexagesima    Semiduplex II. classis

S. Romualdi Abbatis  – Duplex

8 Febbraio S. Joannis de Matha Confessoris – Duplex

9 Febbraio S. Cyrilli Episc. Alexandrini Confessoris Ecclesiæ Doctoris    Duplex

10 Febbraio S. Scholasticæ Virginis  –  Duplex

11 Febbraio In Apparitione Beatæ Mariæ Virginis    Duplex majus

12 Febbraio Ss. Septem Fundat. Ord. Servorum B. M. V.    Duplex

14 Febbraio Dominica in Quinquagesima    Semiduplex II. classis

                    S. Valentini

15 Febbraio SS. Faustini et Jovitæ  –  Feria

17 Febbraio Feria IV Cinerum    Simplex

Inizio della Quaresima

18 Febbraio S. Simeonis Faustini Episcopi et Martyris    Feria

21 Dominica I in Quadr. – Semiduplex I. classis

22 Febbraio – In Cathedra S. Petri Ap. –   Duplex II. classis

23 Febbraio S. Petri Damiani    Duplex

24 Febbraio S. Matthiæ Apostoli  – Duplex II. Classis

                   Feria Quarta Quattuor Temporum Quadragesimæ    Simplex

26 Febbraio – Feria Sexta Quattuor Temporum Quadragesimæ    Simplex

27 FebbraioSabbato Quattuor Temporum Quadragesimæ    Simplex

28 Febbraio Dominica II in Quadr    Semiduplex I. classis

             S. Gabrielis a Virgine Perdolente Confessoris    Duplex

DOMENICA DI SETTUAGESIMA (2021)

DOMENICA DI SETTUAGESIMA (2021)

 [Stazione a S. Lorenzo fuori le mura].

Semidoppio. – Dom. Privil. di 2a cl. – Paramenti violacei.

Per comprendere pienamente il senso dei testi della Messa di questo giorno, bisogna, studiarli in corrispondenza delle lezioni del Breviario, perché, nel pensiero della Chiesa, la Messa e l’Ufficio sono una cosa sola. Le lezioni e i responsori dell’Ufficio della notte durante tutta questa settimana sono tratti dal libro della Genesi e narrano la creazione del mondo e quella dell’uomo; la caduta dei nostri primi genitori e la promessa di un Redentore; di più l’uccisione di Abele e le generazioni di Adamo fino a Noè. — « In principio, – dice il Libro Santo, – Dio creò il cielo e la terra e formò l’uomo su la terra e lo pose in un giardino di delizie perché Lo coltivasse» (3° e 4° resp.). Tutto ciò è una figura. – Il regno dei Cieli – spiega S. Gerolamo – è detto simile ad un padre di famiglia che prende degli operai per coltivare la sua vigna. Ora, chi più opportunamente può essere rappresentato nel padre di famiglia se non il nostro Creatore, il quale regge con la sua provvidenza ciò che ha creato e che governa i suoi eletti in questo mondo, così come il padrone ha i servi in sua casa? E la vigna che Egli possiede è la Chiesa Universale, dal giusto Abele fino all’ultimo eletto che nascerà alla fine del mondo. E tutti quelli che, con fede retta si sono applicati e hanno esortato a fare il bene, sono gli operai di questa vigna. Quelli della prima ora, come quelli della terza, della sesta e della nona, designano l’antico popolo ebreo, il quale, dopo l’inizio del mondo, sforzandosi nella persona dei suoi santi, di servire Dio con fede sincera, non hanno cessato, per così dire, di lavorare nella coltivazione della vigna. Ma all’undecima ora sono chiamati i Gentili e a loro sono Indirizzate queste parole: « Perché state qui tutto il giorno senza far nulla? » (3° Notturno). Dunque, tutti gli uomini sono chiamati a lavorare nella vigna del Signore, cioè a santificarsi e a santificare il prossimo glorificando con questo mezzo Dio, poiché la santificazione consiste a non cercare il nostro bene supremo che in Lui. Ma Adamo venne meno al suo compito. « Poiché tu hai mangiato il frutto che io ti avevo proibito di mangiare, – gli disse il Signore – la terrà sarà maledetta e ne trarrai il nutrimento con gran fatica. Essa non produrrà che spine e rovi. Tu mangerai il tuo pane, prodotto dal sudore della tua fronte fino a che non sarai tornato alla terra donde fosti tratto». «Esiliato dall’Eden dopo la sua colpa, – spiega S. Agostino, – Il primo uomo trascinò alla pena di morte e alla riprovazione tutti i suoi discendenti, guasti nella sua persona come nella loro sorgente. Tutta la massa del genere umano condannato cadde In disgrazia, o piuttosto si vide trascinata e precipitata di male in male (2° Notturno). « I dolori della morte m’hanno circondato, dice l’Introito; e la Stazione ha luogo nella Basilica di S. Lorenzo fuori le mura, contigua al Cimitero di Roma. « È assai giusto, aggiunge l’Orazione, che noi siamo afflitti per i nostri peccati ». Cosi la vita cristiana è rappresentata da S. Paolo nell’Epistola come una arena dove bisogna lottare per riportare la corona. La mercede della vita eterna, dice anche il Vangelo, viene concessa solo a quelli che lavorano nella vigna di Dio e, dopo il peccato, questo lavoro è penoso e duro. « O Dio, domanda la Chiesa, accorda ai tuoi popoli che sono designati da te sotto il nome di vigne e di messi, che dopo aver sradicato i rovi e le spine, sono atti a produrre frutti in abbondanza, con l’aiuto del nostro Signore » (or. del Sabato Santo – Or. Dopo l’8° profezia). « Nella sua sapienza, – dice S. Agostino, – Dio preferì ricavar il bene dal male anziché permettere che non accadesse nessun male » (6° lezione). Dio ebbe difatti pietà degli uomini e promise loro un secondo Adamo che ristabilisse l’ordine turbato dal primo. Grazie a questo novello Adamo essi potranno riconquistare il cielo sul quale Adamo aveva perduto ogni diritto essendo stato cacciato dall’Eden, che era l’ombra d’una vita (migliore) » (4° lezione). « Tu sei, Signore, il nostro soccorso nel tempo del bisogno e dell’afflizione » (Graduale); « presso di te è la misericordia » (Tratto); « fa che risplenda la tua faccia sopra il tuo servo e salvami nella tua misericordia » (Com.). Infatti, « Dio che creò l’uomo in una maniera meravigliosa, lo redense in modo più meraviglioso ancora (Oraz. dopo la 1° prof. del Sab. Santo), poiché l’atto della creazione del mondo al principio non sorpassa in eccellenza l’immolazione del Cristo, nostra Pasqua, nella pienezza dei Tempi ». Questa Messa, studiata in relazione alla caduta di Adamo, ci mette nella disposizione voluta per cominciare il tempo di Settuagesima e per farci comprendere la grandezza del mistero pasquale al quale questo Tempo ha per scopo di preparare le anime nostre. – Per corrispondere all’appello del Maestro che viene a cercarci fin nell’abisso dove ci ha sprofondati il peccato del nostro primo padre (Tratto), andiamo a lavorare nella vigna del Signore, scendiamo nell’arena e incominciamo con coraggio la lotta la quale si intensificherà sempre più nel tempo della Quaresima.

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XVII: 5; 6; 7
Circumdedérunt me gémitus mortis, dolóres inférni circumdedérunt me: et in tribulatióne mea invocávi Dóminum, et exaudívit de templo sancto suo vocem meam.  

[Mi circondavano i gemiti della morte, e i dolori dell’inferno mi circondavano: nella mia tribolazione invocai il Signore, ed Egli dal suo santo tempio esaudì la mia preghiera.]

Ps XVII: 2-3
Díligam te, Dómine, fortitúdo mea: Dóminus firmaméntum meum, et refúgium meum, et liberátor meus.

[Ti amerò, o Signore, mia forza: Signore, mio firmamento, mio rifugio e mio liberatore.]

Circumdedérunt me gémitus mortis, dolóres inférni circumdedérunt me: et in tribulatióne mea invocávi Dóminum, et exaudívit de templo sancto suo vocem meam.

[Mi circondavano i gemiti della morte, e i dolori dell’inferno mi circondavano: nella mia tribolazione invocai il Signore, ed Egli dal suo santo tempio esaudì la mia preghiera.]

Oratio

Orémus.
Preces pópuli tui, quǽsumus, Dómine, cleménter exáudi: ut, qui juste pro peccátis nostris afflígimur, pro tui nóminis glória misericórditer liberémur.

[O Signore, Te ne preghiamo, esaudisci clemente le preghiere del tuo popolo: affinché, da quei peccati di cui giustamente siamo afflitti, per la gloria del tuo nome siamo misericordiosamente liberati.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.

1 Cor IX: 24-27; X: 1-5

Fratres: Nescítis, quod ii, qui in stádio currunt, omnes quidem currunt, sed unus áccipit bravíum? Sic cúrrite, ut comprehendátis. Omnis autem, qui in agóne conténdit, ab ómnibus se ábstinet: et illi quidem, ut corruptíbilem corónam accípiant; nos autem incorrúptam. Ego ígitur sic curro, non quasi in incértum: sic pugno, non quasi áërem vérberans: sed castígo corpus meum, et in servitútem rédigo: ne forte, cum áliis prædicáverim, ipse réprobus effíciar. Nolo enim vos ignoráre, fratres, quóniam patres nostri omnes sub nube fuérunt, et omnes mare transiérunt, et omnes in Móyse baptizáti sunt in nube et in mari: et omnes eándem escam spiritálem manducavérunt, et omnes eúndem potum spiritálem bibérunt bibébant autem de spiritáli, consequénte eos, petra: petra autem erat Christus: sed non in plúribus eórum beneplácitum est Deo.

[“Fratelli: Non sapete che quelli che corrono nello stadio corrono bensì tutti, ma uno solo riceve il premio? Correte anche voi così da riportarlo. Ognuno che lotti nell’arena si sottopone ad astinenza in tutto: e quelli per ottenere una corona corruttibile; noi, invece, una incorruttibile. Io corro, appunto, così, non già come a caso; così lotto, non come uno che batte l’aria; ma maltratto il mio corpo e la riduco in servitù: perché non avvenga che, dopo aver predicato agli altri, io stesso sia riprovato. Non voglio, infatti che ignoriate, o fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, e tutti passarono a traverso il mare, e tutti furono battezzati in Mosè nella nube e nel mare; e tutti mangiarono dello stessa cibo spirituale; e tutti bevettero la stessa bevanda spirituale; (bevevano infatti della pietra spirituale che li seguiva; e quella pietra era Cristo): pure della maggior parte di loro Dio non fu contento”.]

 [A. Castellazzi: La Scuola degli Apostoli. S. Tip. Artig. – Pavia, 1929]

S. Paolo, volendo incoraggiare i Corinti a sostenere qualunque sacrificio per conseguire l’eterna salvezza, porta l’esempio di se stesso. Come un corridore, perché  vinca, non basta che sia sceso nello stadio, ma deve correre in modo da superare gli altri; così egli corre, nell’aringo della vita, senza sbandarsi qua e là, con la mente fissa al fine da conseguire. Come il lottatore, abbattuto il nemico, se lo conduce schiavo attorno per l’arena, così egli, con le privazioni e le mortificazioni, abbatte il suo corpo, e se lo rende schiavo. È vero che i Corinti avevano ricevuto molti favori da Dio. Anche gli Ebrei, sotto la guida di Mosè, ricevettero tutti da Dio favori segnalatissimi; ma pei loro peccati furono puniti nel deserto; e ben pochi di loro poterono entrare nella terra promessa. La conseguenza da tirare da questo passo della prima lettera ai Corinti è chiara. Quello che avvenne agli Ebrei poteva venire anche ai Corinti, potrà avvenire anche a noi, se non saremo perseveranti.

Graduale

Ps IX: 10-11; IX: 19-20

Adjútor in opportunitátibus, in tribulatióne: sperent in te, qui novérunt te: quóniam non derelínquis quæréntes te, Dómine.

[Tu sei l’aiuto opportuno nel tempo della tribolazione: abbiano fiducia in Te tutti quelli che Ti conoscono, perché non abbandoni quelli che Ti cercano, o Signore]

Quóniam non in finem oblívio erit páuperis: patiéntia páuperum non períbit in ætérnum: exsúrge, Dómine, non præváleat homo.

[Poiché non sarà dimenticato per sempre il povero: la pazienza dei miseri non sarà vana in eterno: lévati, o Signore, non prevalga l’uomo.]

Tractus

Ps CXXIX:1-4

De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi vocem meam.

[Dal profondo ti invoco, o Signore: Signore, esaudisci la mia voce.]

Fiant aures tuæ intendéntes in oratiónem servi tui.

[Siano intente le tue orecchie alla preghiera del tuo servo.]

Si iniquitátes observáveris, Dómine: Dómine, quis sustinébit?

[Se baderai alle iniquità, o Signore: o Signore chi potrà sostenersi?]

Quia apud te propitiátio est, et propter legem tuam sustínui te, Dómine.

[Ma in Te è clemenza, e per la tua legge ho confidato in Te, o Signore.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthæum.

[Matt XX: 1-16]

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis parábolam hanc: Simile est regnum coelórum hómini patrifamílias, qui éxiit primo mane condúcere operários in víneam suam. Conventióne autem facta cum operáriis ex denário diúrno, misit eos in víneam suam. Et egréssus circa horam tértiam, vidit álios stantes in foro otiósos, et dixit illis: Ite et vos in víneam meam, et quod justum fúerit, dabo vobis. Illi autem abiérunt. Iterum autem éxiit circa sextam et nonam horam: et fecit simíliter. Circa undécimam vero éxiit, et invénit álios stantes, et dicit illis: Quid hic statis tota die otiósi? Dicunt ei: Quia nemo nos condúxit. Dicit illis: Ite et vos in víneam meam. Cum sero autem factum esset, dicit dóminus víneæ procuratóri suo: Voca operários, et redde illis mercédem, incípiens a novíssimis usque ad primos. Cum veníssent ergo qui circa undécimam horam vénerant, accepérunt síngulos denários. Veniéntes autem et primi, arbitráti sunt, quod plus essent acceptúri: accepérunt autem et ipsi síngulos denários. Et accipiéntes murmurábant advérsus patremfamílias, dicéntes: Hi novíssimi una hora fecérunt et pares illos nobis fecísti, qui portávimus pondus diéi et æstus. At ille respóndens uni eórum, dixit: Amíce, non facio tibi injúriam: nonne ex denário convenísti mecum? Tolle quod tuum est, et vade: volo autem et huic novíssimo dare sicut et tibi. Aut non licet mihi, quod volo, fácere? an óculus tuus nequam est, quia ego bonus sum? Sic erunt novíssimi primi, et primi novíssimi. Multi enim sunt vocáti, pauci vero elécti.”

[In quel tempo: Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: Il regno dei cieli è simile a un padre di famiglia, il quale andò di gran mattino a fissare degli operai per la sua vigna. Avendo convenuto con gli operai un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. E uscito fuori circa all’ora terza, ne vide altri che se ne stavano in piazza oziosi, e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna, e vi darò quel che sarà giusto. E anche quelli andarono. Uscì di nuovo circa all’ora sesta e all’ora nona e fece lo stesso. Circa all’ora undicesima uscì ancora, e ne trovò altri, e disse loro: Perché state qui tutto il giorno in ozio? Quelli risposero: Perché nessuno ci ha presi. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. Venuta la sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e paga ad essi la mercede, cominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti dunque quelli che erano andati circa all’undicesima ora, ricevettero un denaro per ciascuno. Venuti poi i primi, pensarono di ricevere di più: ma ebbero anch’essi un denaro per uno. E ricevutolo, mormoravano contro il padre di famiglia, dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un’ora e li hai eguagliati a noi che abbiamo portato il peso della giornata e del caldo. Ma egli rispose ad uno di loro, e disse: Amico, non ti faccio ingiustizia, non ti sei accordato con me per un denaro? Prendi quel che ti spetta e vattene: voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te. Non posso dunque fare come voglio? o è cattivo il tuo occhio perché io son buono? Così saranno, ultimi i primi, e primi gli ultimi. Molti infatti saranno i chiamati, ma pochi gli eletti.]

OMELIA

[Mons. J. Billot; Discorsi Parrocchiali – Cioffi ed. Napoli, 1840]

Sopra i mezzi della salute.

Quid hic statis tota die otiosi? (Matth. XX)

A quanti Cristiani, fratelli miei, si potrebbe fare lo stesso rimprovero che il padre di famiglia fa nel nostro Vangelo a quegli operai che trovò sfaccendati? Quid hic statis? Sono questi quei Cristiani pigri ed indolenti che passano tutta la loro vita nell’inazione sul più importante affare che abbiano al mondo, la loro salute. Del resto non è già che non siano occupatissimi in mille affari che riempiono tutto il loro tempo. No, non sono oziosi per le cose del mondo, e la vita inutile non è il vizio più comune che si può loro rimproverare. Si travagliano dalla mattina sino alla sera, gli uni per ammassar beni, gli altri per sollevarsi agli onori o procurarsi dei piaceri: ma la salute non ha luogo alcuno nelle loro occupazioni; dimenticano, trascurano questo affare, come se fosse di niuna conseguenza o non li riguardasse. Laonde si può loro dire ciò che il padre di famiglia diceva a quegli operai oziosi: Quid hic statis tota die otiosi? Ma donde viene, fratelli miei, questa biasimevole trascuratezza dei Cristiani a riguardo della loro salute? Due cagioni ordinarie io ne osservo: la pusillanimità e la presunzione. I timidi, che si rappresentano la salute più difficile che non è in realtà, sono disanimati dalle difficoltà che convien superare e nulla vogliono intraprendere per assicurarne la riuscita. I presuntuosi all’opposto, che riguardano la salute come un affare facile ed agevole, non fanno gli sforzi necessari per riuscirvi, e per mancanza di quella santa violenza che fare ci dobbiamo per arrivare al regno de’ cieli, non vi pervengono. Si tratta di disingannare gli uni e gli altri: ma a Dio non piaccia che, per incoraggiare i primi ed intimorire i secondi, noi rappresentiamo la strada della salute più larga o più stretta di quel che lo sia in realtà. Noi diremo dunque ai timidi che la salute non è sì difficile come se l’immaginano; e ai presuntuosi, che vi sono più difficoltà che non credono. Da questo tiro due proposizioni, che divideranno questa istruzione. Bisogna faticare alla salute con confidenza: primo punto. Bisogna faticarvi con timore: secondo punto.

I. Punto. Una delle più pericolose illusioni di cui si serve il demonio per distogliere gli uomini dalla strada della salute, è rappresentar loro questa strada per impraticabile. Troppo costa per salvarsi, dicono essi; non è possibile fare tutto ciò che il Vangelo prescrive per guadagnare il cielo, bisogna per questo vivere in un continuo fastidio, bisogna interdirsi ogni piacere, ogni società col mondo; gli affari in cui uno è occupato, le sollecitudini di uno stato in cui uno è impegnato, le compagnie che è obbligato di vedere, le occasioni continue di peccato cui è esposto, tutto ciò è incompatibile con l’idea di una vita regolata, che convien seguire per giungere al regno di Dio. Tali sono gli speciosi pretesti di cui si servono gli uomini per scusare la loro indolenza sull’affare della salute. Simili agli Israeliti, che temevano di entrare nella terra premessa, perché ivi si rappresentavano dei mostri che divoravano i suoi abitatori, questi vili Cristiani si figurano che la strada della salute sia ripiena d’ostacoli insuperabili: così disanimati non fanno alcuno sforzo, e non vogliono combattere per fare la conquista di questa terra promessa; sono spaventati dalla prima vista del sentiero che ve li deve condurre, o se fanno qualche passo, la minima difficoltà li fa ritornare indietro. Chiunque voi siate che risolver non vi potete a sormontare la colpevole indolenza che avete per la vostra salute, mentre d’altra parte siete sì attivi per i beni della terra, sappiate che la strada che conduce a quel felice soggiorno non è sì difficile a trovare né sì penosa a calcare, come v’immaginate; che al contrario ella è molto piana e vi si trova grande facilità, sia dal canto di Dio che vi dà tutte le grazie necessarie alla salute, sia dal canto di voi medesimi che non avete che a cooperare alla grazia di salute che Dio vi dà. Tali sono i motivi che indurre vi debbono ad attendere alla vostra salute con confidenza. – Dio vuol salvare tutti gli uomini: Deus vult omnes homines salvos fieri. (1 Tim. 2), e non vuole la perdita di alcuno. Gesù Cristo è morto per la salute di tutti, dice l’apostolo s. Paolo: sono queste, fratelli miei, verità di fede sì chiaramente espresse nelle sante Scritture, sì conformi alla retta ragione che metterle in dubbio si è aver perduto la fede. Imperciocché il dire, come gli eretici hanno osato con orribile bestemmia, che Dio non vuol salvare che una parte degli uomini, da Lui scelti per la sua gloria, mentre destina gli altri ad una dannazione eterna senz’alcun demerito dal canto loro, qual idea potrebbe mai darne di un Dio infinitamente buono, infinitamente giusto, come quello che noi adoriamo? Non sarebbe forse farne piuttosto un tiranno crudele che punirebbe degli uomini senza averlo meritato? Lungi da noi, fratelli miei, sentimenti sì ingiuriosi alla divina bontà: sentite de Domino in bonitate (Sap. XXI). Egli nostro Padre comune, noi siamo tutti suoi figliuoli; non avvi alcuno sulla terra che non possa e non debba invocarlo sotto quest’amabile qualità e dirgli mille volte il giorno: Padre nostro che siete nei cieli, Pater noster qui es in cœlis. Or se Dio è nostro Padre, Egli ci ama come suoi figliuoli, e perciò non ci ha creati per perderci, ma per salvarci. Perché dunque avrebbe Egli inviato il suo Figliuolo sulla terra? Perché l’avrebbe abbandonato ai supplizi e alla morte della croce? Perché questo Figliuolo adorabile si sarebbe sacrificato Egli stesso sino a spargere l’ultima goccia del suo sangue, se non avesse voluto salvare tutti gli uomini? Questo Salvatore tutto bontà avrebbe egli inviato i suoi Apostoli a predicare il Vangelo a tutte le nazioni della terra, docete omnes gentes (Matth. XXVIII), se non avesse voluto applicare a tutti il frutto dei suoi meriti? – Non ragioniamo di più su d’una verità sì chiaramente rivelata dalla parte di un Dio, ma tiriamone le conseguenze capaci d’inspirarci confidenza per la salute. Se Dio vuol salvare tutti gli uomini, se Gesù Cristo è morto per la salute di tutti, bisogna dunque convenire che tutti gli uomini hanno le grazie necessarie per la salute, senza di che la volontà di Dio sarebbe una volontà sterile, la morte di Gesù Cristo sarebbe loro inutile. Non v’è alcun uomo, di qualunque nazione egli sia, che non possa sperare la salute; non v’è peccatore alcuno sì accecato, sì indurito che debba disperarne. In qualunque stato voi siate dunque, fratelli miei, qualunque motivo abbiate di temere per la vostra salute, non dipende che da voi l’assicurarne la riuscita: voi avete tutte le grazie necessarie per questo; voi le avete accora in più grande abbondanza che il restante degli uomini, che non hanno avuto, come voi, la sorte di nascere nel seno della Chiesa, dove trovate la sorgente delle grazie nei Sacramenti che Gesù Cristo ha istituiti per vostra santificazione, dove trovate molti aiuti, sia nelle istruzioni che ascoltate, sia nei buoni esempi che vedete, sia nelle sante società cui siete aggregati. Quanti vivi lumi che rischiarano la vostra mente! Quanti buoni impulsi che toccano ed infiammano i vostri cuori, sia per allontanarvi dal male, sia per portarvi al bene! Tali sono gli aiuti di salute che Dio vi dà in tutte le occasioni in cui ne avete bisogno; a voi tocca di corrispondervi. Dio ha fatto dal canto suo tutto ciò che necessario era per salvarvi; e salvi sareste sicuramente, se la vostra salute non dipendesse che da Lui solo, ma voi tocca di fare dal canto vostro ciò ch’Egli vi domanda; se voi non lo fate, a voi soli attribuire dovete la vostra perdizione. Ma finalmente che cosa convien fare per giungere al porto della salute? E forse un’opera superiore alle vostre forze? No, fratelli miei; Dio è troppo buono e troppo giusto per comandarvi qualche cosa d’impossibile. Egli vuole che voi siate salvi, ed in conseguenza vi ordina di adoperarvi a questo scopo. L’affare è dunque in vostro potere: è anche più facile riuscire in questo affare che in mille altri che si presentano nel mondo. Non è necessario di fare lunghi viaggi, di attraversar mari, di esporre la vita, come si fa spesso per una caduca fortuna: quantunque le ricompense che Dio vi promette siano infinitamente superiori a tutte le fortune della terra, quelle però costano molto meno che queste: si tratta principalmente di una buona volontà; per esser salvi, basta volerlo e volerlo sinceramente. Il regno di Dio è dentro di noi, come dice Gesù Cristo; noi ne siamo in qualche modo i padroni. Se Dio avesse confidato questo affare a qualchedun altro, noi avremmo potuto dolerci del cattivo successo; ma non potremmo lamentarci che di noi medesimi, se non vi riusciamo; perché il successo dipende da noi, e non vi sarà alcun reprobo nell’inferno che non conosca essere per colpa sua se è infelice. Ci possono rapire i nostri beni con ingiustizie, il nostro onore con calunnie, la nostra vita con attentati; ma nessuno può rapirci il bene più prezioso, che è la salute. Tutto il mondo, tutto l’inferno ancora collegato contro di noi non potrebbe venir a capo di perderci, se noi non lo vogliamo; la nostra anima è sempre nelle nostre mani: Anima mea in manibus meis semper (Psal. CXVIII). Laonde, fratelli miei, noi possiamo salvarci, se sincerissimamente lo vogliamo. – Ma che cosa è voler efficacemente questa salute, questa felicità eterna? È, in due parole, evitare gli ostacoli che possono impedircene l’entrata; è prendere tutti i mezzi che possono assicurarcene il possesso. Il peccato è il solo ostacolo alla salute; e l’osservanza dei comandamenti, dice Gesù Cristo, è la via sicura per entrare nella gloria. Fuggite dunque il peccato, osservate i comandamenti di Dio, e voi sarete sicuramente salvi. Or tutto questo non dipende forse dalla vostra volontà? Voi potete senza dubbio evitare ogni peccato che vi dannerebbe; poiché non può esservi peccato in cui la vostra volontà non abbia parte; nessun ostacolo dunque alla salute, fuorché quelli che vi mettete voi medesimi. Infatti che cosa mai potrebbe impedire quest’opera? forse i cattivi esempi che vedete, le occasioni che trovate nel mondo corrotto? Ma non dipende da voi l’evitarle? Sarebbero forse gl’imbarazzi dello stato in cui siete impegnati? Ma voi non avete che a compiere fedelmente gli obblighi, e, senza lasciar il vostro stato, farete la vostra salute. Perciocché Dio, che vuol salvare tutti gli uomini, ha stabilito tutti sii stati della vita; vuole per conseguenza che ci salviamo in tutti, che ciascuno ne trovi i mezzi nel suo stato e certamente non vi sono stati dei santi in tutte gli stati? Fate quel che han fatto essi, e come essi vi santificherete. – Tutti gli uomini non possono coprire gli stessi impieghi, avere la medesima occupazione: la diversità di condizione è un effetto della sapienza di Dio, che ha voluto mantenere la società e la subordinazione sua fra gli uomini. Non è dunque necessario, per esser salvo, di lasciar il genere di vita, la professione in cui uno si trova impegnato, purché ella non sia un ostacolo alla salute per le occasioni di peccato cui sarebbe esposto. Non è già necessario ad un magistrato, per operare la sua salute, di lasciare il suo impiego, ad un mercante il suo negozio, ad un artigiano il suo lavoro, ad un padre, ad una madre di famiglia la cura dei figliuoli; ma bisogna che ciascheduno adempia i doveri del suo stato. Perciò, magistrati, voi vi santificherete, se vi servite della vostra autorità per reprimere il vizio e difendere la virtù; voi, artigiani, se cercate piuttosto la rugiada del cielo che il frutto della terra; voi mercanti, se negoziate piuttosto per l’eternità che pel tempo; voi, padri e madri di famiglia, se allevate i vostri figliuoli nel timore di Dio e se per stabilirli non usate che mezzi conformi alla sua volontà; voi, ricchi, se fate un santo uso delle vostre ricchezze dando il superfluo ai poveri: voi, poveri, se sopportate pazientemente la miseria cui siete ridotti: tutti finalmente che mi ascoltate, vi santificherete, voi vi salverete nella vostra condizione, se cercate primieramente il regno di Dio e la sua giustizia, camminando nella strada de suoi comandamenti. Ora è forse molto difficile il camminare in questa strada? Domandatelo al re Profeta, che vi correva nell’allegrezza del suo cuore: Viam mandatoram tuorum cucurri. Dimandatelo a tanti virtuosi Cristiani, i cui esempi esser debbono per voi una prova incontrastabile che l’osservanza dei divini comandamenti non è una cosa sì difficile come v’immaginate; vi diranno al contrario che il giogo del Signore è leggero, e non sembra pesante se non a coloro che non l’hanno portato. Non dipende che da voi farne la prova. Perché non farete voi ciò che fanno tanti altri della stessa professione che voi soggetti alle medesime debolezze che voi, e che non hanno più d’interesse che voi a salvarsi? Perché le strade della salute sarebbero più impraticabili per voi che non lo sono per essi? Oimè! per camminare in questa strada non sarebbe in voi necessaria che la buona volontà di coloro che vi entrano e che vi perseverano, perché in conseguenza di questa buona volontà voi vi fareste violenza per reprimere le vostre passioni ed astenervi dalle cose vietate dalle leggi di Dio; voi vi assoggettereste agli esercizi della vita cristiana, all’orazione, alla frequenza dei Sacramenti e alle altre pratiche di pietà che contribuir possono alla vostra santificazione. Ah! fratelli miei, se l’arricchirvi, l’innalzarvi nel mondo non vi costasse più di quel che vi si chiede per la vostra salute, non vi sarebbe tra gli uomini alcun mendico. Non vi esponete forse a più grandi pericoli, non soffrite maggiori travagli e fatiche per li beni del mondo che non vi si domanda per li beni del cielo? Le vostre assiduità presso di un grande, di cui vi procurate la protezione, presso di una creatura di cui cercate l’ingannatrice amicizia, non vi costano forse più di quelle che avreste presso di Gesù Cristo per avere la sua amicizia? Per arrivare agli onori del mondo, per conservare la vostra sanità, non fate voi molti sforzi, che far potreste egualmente per la vostra salute? Per conservare il vostr’onore e la vostra sanità, voi evitate certi eccessi che potrebbero nuocervi, voi rinunciate alle più dolci società, voi vi private delle cose più aggradevoli al gusto, voi tenete una regola di vita la più austera: perché non sarete voi così temperanti per la vostr’anima coma lo siete pel vostro corpo? Qualunque digiuno, qualunque mortificazione sono forse più difficili che la regola di vita che serbate? Convenite dunque che voi non volete cotanto efficacemente la vostra eterna salute come la vostra sanità. Se vi fosse qualche profitto temporale a fare, osservando alcune pratiche di pietà, come frequentar Sacramenti, visitar chiese, non è egli vero che la vostra premura pel bene vi renderebbe in ciò assidui? E beni eterni vi muovono meno che un bene caduco e transitorio! Non è egli vero, al contrario, che se quel peccato che commettete fosse seguito da qualche perdita di bene, voi cessereste ben presto dal commetterlo, e il vostro interesse la vincerebbe sulla vostra passione? E mali infiniti che saranno la pena del vostro peccato non sono capaci di ritenervi! Bisogna che voi manchiate di fede o di ragione; se si deve riuscir in un affare, contentar una passione, voi prendete tante misure che ne venite a capo, perché lo volete efficacemente. Se voi non operate la vostra salute, non dite dunque che vi è impossibile, ma che non volete, poiché il successo dipende da voi più che quello di tutti gli affari. Strano accecamento! Nulla si trova di difficile per le cose del mondo e tutto sembra impossibile quando si tratta della salute. Diciamo meglio, tutto costa per salvarsi e niente costa per dannarsi. Ah! fratelli miei, se voi perdete l’anima, ciò sarà per colpa vostra; questa disgrazia non verrà dalla salute, ma da difetto di volontà dal canto vostro che vi renderà inescusabili avanti a Dio. Voi avete tutti gli aiuti e tutti i mezzi necessari per assicurare la vostra predestinazione, non dipende che da voi il profittarne. Dio vuol salvarvi; vogliatelo quanto Egli ed infallibilmente lo sarete. Abbiam detto abbastanza per ispirare confidenza ai timidi; egli è tempo d’ispirare del timore ai presuntuosi.

II. Punto. Ogni uomo temer deve di non riuscire in un affare che è per sé stesso difficile, in cui vi sono molti rischi ed il cui successo è incerto. Tale è l’affare della salute; la sua difficoltà, i suoi rischi, la sua incertezza sono grandi motivi di timore ad ogni uomo che vuole seriamente pensarvi. E perciò l’apostolo s. Paolo esortava sì fortemente i fedeli a travagliarsi intorno alla loro salute non solo con timore ma ancora con tremore: Cum metu et tremore salutem vestram operaminì (Phil. II). Questo timore, del resto, non deve abbattere il coraggio ai timidi, egli deve soltanto risvegliar l’attenzione dei presuntuosi: mentre se la salute è difficile, convien dunque farsi violenza per riuscirvi; se la salute ha i suoi rischi, è d’uopo di vigilanza per evitarli; se la salute è incerta, convien prendere i mezzi i più efficaci per assicurarne la riuscita. Ecco ciò che chiamasi operare la sua salute con timore: cum metu et tremore etc. No, fratelli miei, non convien dissimularlo; la salute è un affare difficile, costa molto il salvarsi; Gesù Cristo, la stessa verità, ce lo insegna nel suo Vangelo: non ci dice Egli forse che il regno del cielo non si acquista se non con la violenza? che solamente quelli che se la fanno possono arrivarvi? Che la strada la quale vi conduce è stretta? che la porta per cui vi si entra è molta angusta? che bisogna fare grandi sforzi per avervi l’accesso? Contendite intrare per angustam portam (Luc. XIII). – La ricompensa dei santi, dice il grande Apostolo, è una corona che non sarà data se non a coloro che avranno ben combattuto: Non coronabitur nìsi qui legitime certaverit (2 Tim. II). Ed in vero, che cosa convien fare per guadagnar il cielo, e quale strada ci prescrive il Vangelo per arrivarvi? Bisogna vivere in un intero distacco dai beni e dagli onori; dai piaceri del mondo, rinunziar a se stesso, portar la sua croce, perdonar le ingiurie, amar i propri nemici, adempiere fino alla morte tutti i doveri riguardo a Dio, al prossimo e se stesso. Or quanto non costa per far tutto questo? E quanti ostacoli non troviamo noi dentro di noi medesimi all’adempimento di tutti questi obblighi? Convien domare le nostre passioni, combattere le nostre inclinazioni più naturali, ridurre i nostri sensi in schiavitù, sacrificar l’amor proprio, studiarne le astuzie, reprimere i movimenti. Oimè! quante vittorie a riportare! quante violenze a farsi! Sempre vegliare sopra se stesso, sempre resistere a se stesso, odiare se stesso, trattarsi con rigore; che cosa più contraria alle inclinazioni d’una natura che non ama se non i suoi agi e i suoi comodi? Umiliarsi, amar il disprezzo e l’abbiezione; che cosa più opposta al desiderio che abbiamo di comparire, di essere onorati, stimati dagli uomini? Tutto ciò costa, convien confessarlo, e tutti i santi han provato le difficoltà che s’incontrano nella strada del cielo. Ma da questo, fratelli miei, qual conclusione dedurre? Bisogna forse, come i timidi, disanimarsi dall’impresa e perdersi di coraggio, come quel giovane del Vangelo, il quale dopo aver inteso parlare Gesù Cristo sulla via stretta della salute, se ne parte tristo ed abbattuto: abiit tristis (Matth. XIX)? Ci diportiamo forse così negli affari del mondo? Perché un affare è difficile, ci perdiamo forse di coraggio per questo? Non si pongono forse in un uso tutti i mezzi possibili per venirne a capo? La difficoltà somministra l’industria ai più ignoranti, l’attività ai più codardi. Abbiamo una lite considerabile a finire? consultiamo persone esperte, sollecitiamo giudici, facciamo viaggi, spese per avere un felice successo. Se dunque l’affare della salute è difficile ed il più importante di tutti, la difficoltà, ben lungi dall’abbatterci, deve indurci a prendere tutte le precauzioni possibili per terminarlo felicemente. Se fosse un affare indifferente, come molti altri, di cui possiamo far senza, potremmo abbandonarlo; ma la salute è di una conseguenza infinita per noi, perché dal suo buono o cattivo esito dipende la nostra felicità o miseria eterna. Bisogna dunque, a qualunque costo intraprender tutto per riuscirvi. Non bisogna dunque, come i presuntuosi, dimorar tranquilli sull’evento, contentarsi di semplici desideri che non producono alcun effetto; bisogna al contrario far grandi sforzi, contendite. Perciocché, se, per esser salvi, bastasse semplicemente il volerlo, non vi sarebbe alcun reprobo; poiché non v’è altresì empio veruno che con piena avvertenza si determini alla riprovazione. – Voi avete un bel pensare alla vostra salute, fratelli miei, avete un bel volere esser salvi; invano anche temerete di non esserlo, voi non lo sarete giammai, se i vostri desideri e i vostri timori vi lasciano nella inazione; questi desideri, questi timori non serviranno che a condurvi alla morte eterna: Desideria occidunt pigrum (Prov. XIX). L’inferno è tutto ripieno di buoni desideri, di persone che han temuto di cadervi; voi avrete la stessa sorte; se i vostri desideri sono inefficaci, e se il timore di essere riprovati non v’induce a quella santa violenza che bisogna farsi per arrivare al cielo; mentre, fratelli miei, il cielo non si dà che a titolo di conquista, bisogna combattere per possederlo; non si dà, che a titolo di mercede, bisogna faticare per ottenerlo; non si dà che a titolo di ricompensa, bisogna meritarlo con le buone opere per un giorno regnarvi. Non v’ingannate perciò: la salute domanda grandi sforzi; ella è una vigna dove bisogna portare il peso del freddo e del caldo; ella è una Terra promessa, dove non si può entrare che dopo molti combattimenti; non v’immaginate dunque di arrivarvi senza soffrir molte pene, senza darvi ad una continua guerra e senza fare tutti i sacrifici che Dio esige da voi. Sebben doveste fare, per entrar nella gloria, ciò che vi dice il Salvatore, strapparvi un occhio, tagliarvi un piede, una mano, voi dovete farlo, se questa mano, questo piede, quest’occhio, vi sono motivo di caduta e di perdizione; vale a dire, fratelli miei, che se volete esser salvi, dovete rinunciare a quell’amicizia pericolosa, abbandonar quella casa, che sono per voi occasioni di peccato, quand’anche esse vi fossero tanto care, quanto il vostro occhio, il vostro piede e la vostra mano: vale a dire; che bisogna disfarsi di quell’impiego, lasciare quella professione, benché possa essere per voi lucrosa, se non ne siete capaci e se è per voi occasione di peccato; vale a dire, che dovete rendere la roba che non vi appartiene, qualunque vantaggio troviate nel possederla, per vivere a vostro comodo; vale a dire, che dovete domare quell’orgoglio che vi signoreggia, soffocare quel risentimento che v’inasprisce, staccarvi da quei beni ancora che vi sono propri, rinunciare a quella vita molle e sensuale che vi perde, reprimere, in una parola, le vostre passioni, trattar aspramente il vostro corpo e rimuovere i vostri occhi dagli oggetti pericolosi, e ritenere la vostra lingua sì libera nelle parole, chiudere le vostre orecchie ai discorsi degli empi e dei maldicenti, finalmente rinunziare a voi medesimi con una continua mortificazione. Ecco i sacrifici che la salute domanda; mentre tutto ciò che è incompatibile con la salute, benché d’altra parte vi sia dilettevole e vantaggioso, deve esserle sacrificato. Sebbene duri all’opposto siano i mezzi che possono contribuirvi, bisogna con allegrezza abbracciarli: tale è la santa violenza che deve in voi produrre la difficoltà della salute, e i rischi a cui è ella esposta, eccitar debbono la vostra vigilanza. Ed in vero, o fratelli miei, da qualunque parte si volga lo sguardo nel mondo, non vi si scorgono che pericoli; vi si vedono oggetti che tentano, esempi che strascinano, precipizi da cui è ben difficile di preservarsi. Si respira nel mondo un’aria contagiosa che infetta la maggior parte dei suoi abitatori. Ad ogni passo si trovano pietre d’inciampo. Non v’è quasi stato in cui non si trovino scogli che fanno perir tante anime; scogli nella prosperità, che acceca e rende quasi sempre colpevoli coloro che ne godono; scogli nell’avversità, che fa soccombere la pazienza di coloro che la soffrono; e quante volte non si cerca di uscirne a spese della giustizia e dell’onestà? Scogli nei negozi, dove altri s’allontana spesso dalle regole della buona fede e dell’equità; dove si rende colpevole di tante usure palliate sino al segno di servirsi dei flagelli e delle miserie con cui Dio affligge il suo popolo, per accrescere il proprio profitto; scogli nelle penose fatiche, dove altri si abbandonano ai lamenti, all’impazienza, e dove non si osservano sempre le regole della giustizia. Quanti rischi non si trovano nelle compagnie che si frequentano, nei cattivi discorsi che vi si ascoltano, negli oggetti seducenti che vi si vedono, nei piaceri del giuoco e della mensa cui taluno sovente si abbandona senza moderazione. – Se a tutti questi rischi che si trovano nel mondo per la salute, aggiungiamo quegli assalti che ci dà il nemico comune della salute, il quale gira incessantemente d’intorno a noi come un leone che ruggisce, per portarci al male; e se a tutto questo aggiungete ancora la malvagia propensione che ci strascina, qual motivo di timore non dobbiamo noi avere di perire e far naufragio? Noi camminiamo in mezzo ad insidie e precipizi; le saette volano da tutte le parti: come preservarsi da cadute e da mortali ferite? Ad evitare questi pericoli, tante anime generose prendono il partito del ritiro per non occuparsi che della cura della loro salute: e si vedranno dei Cristiani tranquilli in mezzo di cotali pericoli, dei presuntuosi che vivono senza timore, e come se fossero sicuri di giungere felicemente al porto? Ah! quanta vigilanza è necessaria per non essere sorpreso! Quante precauzioni per non cadere nei lacci da cui noi siamo attorniati! Ohimè! fratelli miei, se noi temessimo veramente per la nostra salute, noi prenderemmo queste precauzioni, noi fuggiremmo questi pericoli e queste occasioni che ci espongono a perire: e se fossimo obbligati per cagione del nostro stato di dimorar nel mondo, procureremmo di costruirci dentro di noi medesimi un ritiro che ci metta al coperto d’una disgrazia che ci minaccia. Tale è il frutto che deve produrre il timore di non riuscire nell’affare della salute: Cum metu et tremore vestram salutem operamini. Finalmente, miei fratelli, ciò che accresce a dismisura questo timore, si è l’incertezza dell’evento. – La salute è incerta, sia che si rimiri dalla parte del passato, sia dalla parte dell’avvenire. Incertezza della salute dalla parte del passato. Noi abbiamo peccato, ne siamo certi; ma abbiamo noi fatta una penitenza salutare che abbia cancellati i nostri peccati? Nulla ne sappiamo e questa incertezza ci accompagnerà sino al sepolcro. Voi vi siete accostati al sacro tribunale della Penitenza; ma vi avete voi portate le disposizioni che si richiedono per ricevere il perdono? Avete voi accusati i vostri peccati con semplicità? Ne avete avuto un dolore sincero nel suo principio, un dolore soprannaturale nel suo motivo, efficace nel suo proponimento? Chi può saperlo? Le vostre ricadute nel peccato non vi danno forse al contrario ragion di credere che la vostra penitenza è stata vana? Dovete per lo meno dubitarne. Niuno dunque può sapere se egli sia degno d’odio o di amore: nemo scit an amore aut odio dignus sit. Quantunque con una sincera penitenza noi avessimo ottenuto il perdono dei nostri peccati, il che metterebbe la nostra salute in sicuro dalla parte del passato, ciò sarebbe ancora incerto dalla parte dell’avvenire, perciocché per esser salvo, bisogna morire in istato di grazia: ora chi può essere sicuro di questa perseveranza che richiede due cose, una volontà costante nel bene ed una grazia speciale che coroni le nostre virtù alla morte? Qual è l’uomo che contar può sulla sua volontà? Questa volontà si fiacca, sì incostante, che si perde di coraggio sì facilmente per le difficoltà che convien superare, che soccombe ai primi assalti del nemico, che passa ben tosto dal più gran fervore alla tiepidezza più rilassata. – Nulla dico, fratelli miei, di cui io non abbia veduto e non veda ancora dei funesti esempi, dei quali voi medesimi non abbiate fatto trista esperienza. Quanti santi personaggi, che avevano ben cominciato, che avevano battuto durante lungo tempo una santa e felice carriera, han fatto infelicemente naufragio al porto? Quante volte non vi siete voi medesimi rilassati? Quante volte non avete abbandonato i santi proponimenti che avevate formati, la regola di vita che vi eravate prescritta? Ah! che non v’è troppo a contare sull’uomo. Più debole che una fragile canna che piega ad ogni vento, più leggiero che una foglia che il minimo soffio agita, non ha alcuna fermezza: la salute dunque non può essere in sicuro dalla parte della volontà. Il suo più grande appoggio si è la grazia di Dio; essa non gli manca, ma chi può esser certo d’aver questa grazia finale che corona tutte le altre, che noi possiamo bensì ottenere, ma che Dio non deve ad alcuno, che anche i più gran santi non hanno meritata in vigor di giustizia? I più ferventi solitari, gli Apostoli più zelanti han temuto, han tremato di non aver questa grazia. E come mai anime imperfette, peccatrici non temeranno sul loro eterno destino? Tremiamo, fratelli miei, tremiamo su questa terribile incertezza della salute. Saremo noi del numero dei predestinati ovvero dei reprobi? Nulla ne sappiamo. Quanto vi ho detto fin adesso su ciò ve lo prova abbastanza; qual motivo urgente d’operare la nostra salute con timore e tremore! Cum metu et tremore vestram salutem operamini.

Pratiche. Or a che deve indurci questo timore? A usar tutte le precauzioni possibili, i mezzi più efficaci per mettere in sicuro la nostra salute a seguire l’avviso del principe degli Apostoli allorchè ci esorta a fare delle buone opere per assicurare la nostra predestinazione: Satagite ut per bona opera certam vestram vocationem et electionem faciatis (2 Pet. I). Nulla dunque convien risparmiare, nulla omettere di ciò che crederemo acconcio a perfezionare questa grand’opera: preghiere, limosine, digiuni, mortificazioni; frequenza dei Sacramenti, visite delle chiese e dei poveri, pratiche di tutte le virtù cristiane, fedeltà a compier tutti i doveri del nostro stato: Satagite etc. Non contiamo sulle nostre penitenze passate né sul bene che abbiamo fatto; non cessiamo di far penitenza, ed applichiamoci sempre alle buone opere, per assicurare vieppiù il nostro perdono e la nostra perseveranza: non si possono usar troppe precauzioni ove si tratta della eternità. – Ascoltiamo ancora su questo soggetto l’istruzione che ci fa il grande Apostolo nell’epistola di questo giorno. Ci propone egli l’esempio di quelli che corrono nella lizza, che combattono per aver il premio: quali misure non prendono essi per riportar la vittoria? Si astengono da tutto ciò che può sminuire la loro forza o renderli meno agili; serbano un modo di vivere proprio ad indurire e fortificar il corpo: Omnis qui agone contendit ab omnibus se abstinet (1 Cor. IX). Si assuefanno alla fatica, agl’incomodi delle stagioni. Perché tutto ciò? Per avere una fragile corona: Ut corriptibilem coronam accipiant. E noi, che aspettiamo una gloria immortale, non faremo sforzo alcuno per meritarla? Nos autem incorruptam. Corriamo dunque a questa corona, conchiude l’Apostolo, non già inconsideratamente percotendo l’aria, cioè contentandoci di qualche buon desiderio, combattendo alcune passioni, ponendo in opera alcuni mezzi per esser salvi; ma reprimiamo tutte le nostre passioni, mortifichiamo tutti i nostri sensi, sottomettiamoci a tutto ciò che la legge di Dio ha di malagevole, abbracciamo le croci, le austerità, sopportiamo pazientemente tutte le afflizioni della vita, mentre così faceva il grande Apostolo: io castigo il mio corpo, lo tratto aspramente, castigo corpus meum, per tema che, dopo aver predicato agli altri, io stesso non sia nel numero dei riprovati. Tali sono gli effetti che il timore produceva nel suo cuore che deve per anco in noi produrre. – Questo timore, facendoci in tal modo operare, ci darà confidenza pel buon successo della salute; e perciò convien preferire la salute a tutto, riferir tutto alla salute, e che tutto ceda alla salute. Preferir la salute a tutto, di modo che ella sia il primo oggetto delle nostre mire e dei nostri desideri, sia lo scopo delle nostre imprese, tenga il primo posto nelle nostre occupazioni. Riportar tutto alla salute, cioè non far cosa alcuna che con questa mira. Fratelli miei, se voi pertanto pensate, se voi desiderate, se parlate, se operate, se vi riposate, bisogna che i vostri pensieri, i vostri desideri, le vostre parole, le vostre azioni, il vostro riposo medesimo non servano che ad unirvi più strettamente a Dio; ed in questa guisa tutto entrerà nell’economia della vostra salute. Sul punto d’intraprendere qualche affare, bisogna domandar a se stesso: qual rapporto ha ciò con l’eternità? Quid hæc ad æternitatem? E se egli è incompatibile con la salute, abbandonarlo, perché tutto deve cedere a questo grand’affare, in cui si tratta di tutto perdere o di tutto guadagnare A qualunque costo bisogna venirne a capo. Se noi siamo disaminati dalle difficoltà che si trovano nella salute, pensiamo che ci costerà infinitamente più l’essere dannati. È dunque molto meglio farsi violenza, soffrire qualche tempo in questa vita per regnare eternamente nel soggiorno della gloria. Così sia.

Credo …

IL CREDO

Offertorium

Orémus


Ps XCI: 2

Bonum est confitéri Dómino, et psállere nómini tuo, Altíssime.

[È bello lodare il Signore, e inneggiare al tuo nome, o Altissimo.]

Secreta

Munéribus nostris, quæsumus, Dómine, precibúsque suscéptis: et coeléstibus nos munda mystériis, et cleménter exáudi.

[O Signore, Te ne preghiamo, ricevuti i nostri doni e le nostre preghiere, purificaci coi celesti misteri e benevolmente esaudiscici.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XXX: 17-18

Illúmina fáciem tuam super servum tuum, et salvum me fac in tua misericórdia: Dómine, non confúndar, quóniam invocávi te.

[Rivolgi al tuo servo la luce del tuo volto, salvami con la tua misericordia: che non abbia a vergognarmi, o Signore, di averti invocato.]

Postcommunio

Fidéles tui, Deus, per tua dona firméntur: ut eadem et percipiéndo requírant, et quæréndo sine fine percípiant.

[I tuoi fedeli, o Dio, siano confermati mediante i tuoi doni: affinché, ricevendoli ne diventino bramosi, e bramandoli li conseguano senza fine.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (145)

P. F. GHERUBINO DA SERRAVEZZA

Cappuccino Missionario Apostolico

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (13)

FIRENZE – DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA 1861

DISCUSSIONE XIV – 1

La Bibbia: — Se sia di privata interpretazione, e l’unica regola del Cristiano.

73. Prot. Si ceda pertanto intera vittoria alla Cattolica Chiesa anche sulla questione dei libri Divini. Essa esige si abbian per tali quanti da lei annoverati sono nel sacro suo Canone: ha ragione, e sta bene. Ma perché impedire ai fedeli di servirsi dei Libri Santi con quella libertà che loro è data da Dio? Essa non vuole che li abbiano per le mani, se non a condizione che non siano intesi, o interpretati che in quell’unico senso, che da lei medesima è inteso, o non è almeno disapprovato! Quindi in ogni caso di discorde parere, di controversia, ne riserba assolutamente ed esclusivamente a se stessa la dogmatica decisione, quasi essa sola ne sia il vero giudice competente! Tutto ciò vuole e pretende sotto il bugiardo pretesto che la Santa Scrittura è in moltissimi luoghi. inintelligibile a segno tale che anche i più dotti possono errare circa il vero suo senso. Ma evidentemente mentisce, si oppone a Dio, e fa ingiustizia ai fedeli; imperocché è fuor di dubbio:

l.° Che la Scrittura è per se stessa certissima, facilissima, apertissima interprete di sé medesima, la quale prova il tutto a tutti, giudica e illumina; » (Lutero, Præf. Assert. art. a Leone Pontifice damnat.) poiché: «E una luce spirituale di lunga più chiara del sole. » (Il medes. De servo arb. Opp. T. 3. fol. 152)  2.° Che Dio ha dato a’ fedeli la Santa Scrittura, onde la seguano qual unica suprema regola e giudice della fede e dei costumi, nel senso in cui da ciascuno è intesa, secondo la propria privata interpretazione; cosicché « Nelle cose riguardanti la fede, ogni cristiano è Papa e Chiesa a se stesso » (Il medes. T. 2. fol. 135)

Bibbia. Le confessioni da te già fatte circa la supremazia del Papa, l’infallibilità nella Chiesa, l’esistenza e necessità della Tradizione, etc. etc., ti convincono anche sù questo punto di manifesta contradizione, e sono più che bastanti a condannarti. Pure non lascerò di trattenermi su questi tuoi reclami e asserzioni, onde farti anche meglio conoscere la verità.

PUNTO 1.

La Bibbia è in molti luoghi oscura, e di difficilissima intelligenza anche pei dotti.

74. « Gesù rispose loro (a’ Sadducei): Voi errate non intendendo la Scrittura» (Matt. XXII, 29) «E Gesù disse: (a due discepoli): o stolti e tardi di cuore a credere a tutte le cose che i Profeti hanno dette:… e cominciando da Mosè e da tutti i Profeti, spiegava loro in tutte le Scritture quello che lui riguardava. » (Luc. XXIV, 25, 27). – « Molte cose ho ancora da dirvi, ma non ne siete capaci adesso » (Giov. XVI, 12.) — « Filippo lo sentì (l’eunuco) che leggeva il Profeta Isaia, e disse: Intendi tu quello che leggi? E quegli disse: Come lo posso io, se qualcheduno non mi insegna? » (Act. VIII, 27 e seg.). – « La magnanimità del Signor nostro tenete in luogo di salute…. conforme anche il carissimo nostro fratello Paolo per la sapienza a lui data vi scrisse, come anche in tutte le sue Epistole. .. nelle quali sono alcune cose difficili a capirsi, le quali gli ignoranti e i poco stabili stravolgono, come anche tutte le altre Scritture, per loro perdizione. » gli ignoranti e i poco stabili stravolgono, come anche tutte le altre Scritture, per loro perdizione. » (II di Piet. III, 15, 16). Non avevano peranco (gli Apostoli) compreso dalla Scrittura che Egli doveva risuscitare da morte. » (Giov. XX, 9) — « Non tutti capiscono questa parola, ma quelli a’ quali è stato conceduto. » (Matt. XIX, 11). –  « E (Gesù) aprì loro l’intelletto, affinché capissero la Scrittura. » ( gli Apostoli ). Ecco dunque dichiarato che non solo la S. Scrittura è oscura, inintelligibile anche pei dotti, ma che non può capirsi che da quelli a’quali dal Signore per grazia speciale è concesso.

75. Prof. Dice il Salmista: « Il comandamento del Signore è lucente, e illumina gli occhi. » (Psal. XVIII, 9) — «Lucerna a’ miei passi è la tua parola, e luce a’ miei sentieri.» (Psal. CXVIII, 103) Dunque è chiara per tutti la parola di Dio.

Bibbia. Dice ancora lo stesso Salmista: « Togli (o Signore) il velo ai miei occhi e considererò le meraviglie della tua legge…. Dammi intelletto, e attentamente studierò la tua legge…. Insegnami le tue giustificazioni…. fa’ risplendere sopra il tuo servo la luce della tua faccia, e insegnami le tue giustificazioni. » (ivi, 18, 34, 68, 135). Òr dimmi, come può intendersi tanta chiarezza con tanta oscurità ed ignoranza della Scrittura in uno stesso individuo, e sopra lo stesso soggetto? Se non lo sai, te lo spiega lo stesso Salmista nelle seguenti parole. « l’esposizione delle tue parole illumina, e dà intelletto a’ piccoli. » (ivi, 130). Hai capito? La Scrittura è luce che illumina, etc, quando vi è chi la espone, la spiega nel suo vero senso.

Prot. Non pochi dei miei seguaci si fanno forti su questi due passi:

l. ° « Questo comandamento che oggi ti annunzio non è sopra di te, né lungi da te. » (Deut. XXX, 11)

2.° « Abbiamo più fermo il parlare de” Profeti, a cui ben fate in prestarvi attenzione come ad una lucerna che in luogo oscuro risplende. » (II Piet. I, 19)  Ma inutilmente; perché il primo altro non significa se non che l’osservanza della legge divina non è superiore alle nostre forze dalla grazia aiutata. (Knapp, nella sua Diatriba, sopra questo passo). –  Il secondo vuol dire « che i vaticinii, le dottrine de’ Profeti del Vecchio Testamento sono simili ad una lucerna, la quale mostra bensì la via della salute, ma oscuramente soltanto. » (Rosenmuller, Comment. in hunc loc.).

Veggo che mi va male. Veniamo ad un accomodamento.

« Pertanto, io tengo che quanto vi ha (nella Scrittura) da rettamente credersi, e piamente praticarsi, è di facile intelligenza per ogni uomo dotato di ragione, ed esperto nelle lettere. » (Il Mosemio, Hist. Eccl. sæc. XIV, Sect. Part. 2 § 2). Possiamo cosi accomodarci?

Bibbia. Ciò ti accorderò quando potrai provare che il Salmista, il quale si dichiara ignorante nell’intelligenza della Scrittura, non fosse dotato di ragione, ed esperto nelle lettere. Che se ciò ti riuscisse, non avresti ancor vinto; perché ti resterebbe pur da provare che quei Sadducei mandati a tentare il Redentore (che però esser dovettero de’ più dotti di quella setta), ai quali egli disse: « Voi errate non intendendo la Scrittura » non fossero dotati di ragione, né esperti nelle lettere. E quand’anche in questo tu riuscissi, nulla avresti concluso, poiché oltre a ciò è scritto: « Il Signore non darà posa all’ira sua, all’indignazione sino a tanto che abbia eseguiti e compiuti i disegni del cuor suo. VOI LI  CAPIRETE ALLA FINE DEI GIORNI. » (Isa. XXX, 24). – « Ed io, o fratelli, non potei parlare a voi come a spirituali, ma come a carnali: come a pargoletti in Cristo :… imperocché NON NE ERAVATE PERANCO CAPACI, ANZI NON LO SIETE NEPPURE ADESSO.  » (I, Cor. III, 1, 2) Le parole del primo testo dirette sono a tutta la nazione Ebrea, e riguardano cose già precedentemente e ripetutamente annunziate. Quelle del secondo dirette sono ai Corinti. Or credi tu che tra questi due popoli non vi fossero uomini dotati dì ragione, ed esperti nelle lettere? Vi erano certamente, e non pochi: eppure non si vedono eccettuati nella comune ignoranza del vero senso della parola di Dio.

76. Prot. Troppo avete ragione, ed io pure sono con voi del medesimo sentimento. « Trovo nella Scrittura dei misteri, i quali per quanto siano ben espressi, non sono punto facili a capirsi, ed i quali saranno sempre oscuri e inintelligibili al nostro limitato intendimento. Finalmente i mezzi ordinari per interpretare le Scritture, come sono l’esame degli originali, il ravvicinamento dei passi diversi, la parità dì ragione, l’analogia della fede, sono tutti dubbiosi, incerti, debolissimi. Da tutto ciò ne segue che i più saggi, e per conseguenza coloro che parrebbe scuoprir dovessero più probabilmente il vero senso, meritano ciononostante poca fiducia. Queste cause di errori sono come altrettante ragioni di dubitare che in mezzo di tanti ostacoli e difficoltà abbiamo colpito nel segno? » (Gerem. Taylor, nell’Op. Della libertà di profetare: Sez..4. — 2). – «Chiunque abbia, qualche fior d’ingegno, o sia fornito di buon senso comune, non può in alcun modo negare che la Scrittura Divina non tenga ravvolte come in un manto di oscurità, non dirò solo le verità religiose (di minor conto), ma sì anche quelle che più sostanziali sono a conoscersi.- » (Heilman, Compend., theolog. dogmat. 1701, p. 38.). – « Non di rado accade che anche gli uomini non preoccupati e scevri sì da pregiudizii come da passioni, dubitano molto del senso che a caso gli Apostoli Santi, ed i Profeti avessero avuto in animo di palesare altrui; tanta difficoltà hanno le Sacre Scritture nell’essere spiegate? » (Grabe, Ep. ad regem Borussiæ, unte Opera S. Irenei). Per esempio: Il Contenuto dell’Epistola agli Ebrei è compiutamente inintelligibile senza una estesa cognizione di tutte le parti del Vecchio Testamento. » (S Oster, Le droit de tout l’homme: p. 31). – « Approfondirò i sensi delle Divine Scritture è cosa impossibile. Non possiamo che sfiorare la superficie. Comprenderne il senso sarebbe una meraviglia. Appena ci è dato conoscere l’ALFABETO. Che i Teologi dicano e facciano tutto ciò che vorranno: accertare il mistero della parola divina sarà sempre un’impresa superiore alla nostra intelligenza. Le sue parole sono il soffio dello Spirito di Dio; dunque elleno sfidano l’intelligenza dell’uomo? » (Lutero: Colloqui mensali: Ved. Audin. Sist. de la vie de Luther, p. 339). – « Volli alcune volte meditare il DECALOGO, e quando m’incontrai in quelle parole – Io SONO IL SIGNORE DIO TUO, cominciai ad esitare in quel pronome – Io – e questo – Io – non posso ancora intenderlo rettamente » (Il medes. in Symphoriacis: cap. 1. fol. 3). – « Nessuno può comprendere le Buccoliche di Virgilio, se non ha fatto cinque anni il guardiano di pecore; né le Georgiche, chi non abbia per altrettanti anni faticato all’aratro; né le Epistole di Cicerone, se non è stato almeno venti anni agli affari; nessuno può intender la Scrittura, il quale non abbia governato per cento anni la Chiesa co’ Profeti Elia ed Eliseo, con Giovanni Battista, con Gesù Cristo e con gli Apostoli. » (Lutero, Vedi Audin, Op.cit. T. 1. p. 443).

LO SCUDO DELLA FEDE (146)

GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (64) – LA CITTÀ ANTICRISTIANA (4)

LA CITTÀ ANTICRISTIANA (4)

DI P. BENOIT

DOTTORE IN FILOSOFIA E TEOLOGIA

DIRETTORE EMERITO DEL SEMINARIO DI PARIGI

SOCIÉTÉ GÉNÉRALE DE LIBRAIRIE CATHOLIQUE VICTOR PALMÉ, DIRECTEUR GÉNÉRAL

76, rue des Saints-Pères, 76

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12, rue des Paroissiens,

GENEVE HENRI THEMBLEY, ÉDITEUR’

4, rue Corraterîe, -1886 –

II

LA FRANCO-MASSONERIA O LA SOCIETÀ SECRETA

ТОМO PRIMO

SEZIONE PRIMA

PIANO IDEALE DEL TEMPIO MASSONICO O SCOPO SUPREMO DELLE SOCIETÀ SEGRETE

IV — L’ARTE REALE — LA FILANTROPIA

36. La massoneria (La franco-massoneria designa sia l’insieme delle sette massoniche, sia l’insieme delle instituzioni, delle osservazioni e delle pratiche massoniche. Nel primo senso, essa s’oppone alla Chiesa cattolica, e nel secondo, alla Religione Cattolica. Noi impiegheremo di volta in volta il termine nei due sensi. Qui lo prendiamo nel secondo senso, cioè per indicare il sistema massonico.) è spesso chiamata nelle logge l’arte reale. Qual è il significato di questa espressione? Un’arte è un insieme di regole usate per dirigere l’attività umana nel lavoro esterno (Ars est recta ratio faclibilium; prudentia, recta ratio agibilium. S. Th. et Schol.). L’arte regale è quella che primeggia su tutte le altre, come il re sui suoi sudditi; o quella che porta al trono ed insegna a regnare, in altre parole, quella che fa i re. La vera arte regale è la religione di Gesù Cristo; perché, destinata a realizzare il fine soprannaturale, essa presiede, come una regina, a tutte le istituzioni umane, affinché tutte, da essa diretta, collaborino a procurare la salvezza delle anime. In secondo luogo, incorporando gli uomini a Gesù Cristo, li innalza al trono dove Egli siede con suo Padre. (Ap. III, 21) – Ora invece, secondo i settari, la massoneria è la vera arte reale. È, sostengono, l’istituzione perfetta, che ha la precedenza su tutte le altre, che nessuno ha il diritto di combattere, che tutti hanno anzi il dovere di promuovere e di aiutare, perché rende gli uomini liberi e padroni di se stessi. « La prima idea che fa nascere l’aspetto da saggio, è quella di un uomo libero e padrone di sé; la Massoneria, che tende a fare uomini saggi, è dunque un’arte di libertà e di regalità. » (Ragon, Orthodossia mass.). « La Massoneria porta nei suoi fianchi la salvezza del genere umano. Le sue osservanze e le sue pratiche esercitano il senso della dignità primaria dell’uomo; esse liberano la natura dai pregiudizi e dai vizi che la oscurano e la contaminano, e restaurano la sua purezza originale; esse restaurano la sovranità individuale distruggendo ogni dispotismo, cioè ogni autorità; « per mezzo di esse gli uomini diventano re » non riconoscendo più « né Dio né padrone. »

37. Oppure ancora. L’arte reale è l’arte di trovare l’oro, detto il re dei metalli; l’arte di scoprire la pietra filosofale, o il segreto di trasformare tutto in oro. « Noi offriamo ai nostri seguaci, dice la Massoneria, la conoscenza dell’arte sublime che conduce alla scoperta della vera Pietra Filosofale. Alcuni uomini, nel profondo errore e nel delirio della più vile cupidigia, vogliono ottenere un metallo degno dei loro desideri, e consumano la loro fortuna e la loro vita nella sua ricerca infruttuosa. Lungi da noi coloro che una sì vile passione, la sete dell’oro, o che una indiscreta curiosità induce alla ricerca dei nostri segreti. » (Discorso d’iniziazione al recependario Novizio nella setta dei filosofi sconosciuti.) « La vera pietra filosofale, infatti, non è il mezzo per trovare miniere d’oro, ma per recuperare l’età dell’oro, cioè lo stato di natura perduto, lo stato di libertà ed uguaglianza originaria. »

38. I culti si vantano spesso di essere « istituzioni filantropiche », di praticare « la filantropia più sublime”, « la più pura filantropia ». – Cos’è la filantropia? È, come indica l’etimologia della parola, l’amore per gli uomini o l’amore per l’umanità. Ora il vero franco-massone non riconosce più il padre né il figlio, il principe né i sudditi, i proprietari né  i proletari, ma in tutti i suoi simili non vede che degli uomini. Disprezza, condanna e desidera eliminare le differenze di Religione, di Patria, di condizioni, e non ama in ogni uomo che solo la natura umana: ha dunque il amore puro per la natura umana o per l’umanità: egli è un filantropo. – Di conseguenza egli lavora per restituire alla natura umana un’indipendenza assoluta. E, secondo lui, la perfezione dell’uomo è nel possesso di questa pura libertà. Pertanto, non è massone che solo per dedicarsi alla felicità degli uomini: è un filantropo  solo in questo secondo senso. Anche così, come diremo, non ha « un amore volgare per l’umanità », ma « un amore sublime », ma « un culto », perché adora l’uomo. Inoltre, agli occhi degli alti iniziati, gli adoratori del Dio vivente sono i nemici della natura umana: “il solo franco-massone è filantropo. »

39. Per alcuni iniziati, il termine filantropia ha un senso abominevole, come quello di fraternità. – Essendo, la filantropia che caratterizza i franco-massoni, la prima virtù richiesta in un sofisiano, nessuno è ricevuto come un aspirante se non conosce l’acacia, e se non ha lavorato nella stanza di mezzo (Regolamento degli aspiranti nell’ordine dei Sofisiani, art. 18.). »

V – RELIGIONE

40. La massoneria è una religione? I settari spesso rispondono negativamente. « La Massoneria non impone alcun giogo religioso ai suoi iniziati; lascia ad ogni fratello il suo culto; non pretende di esserne una, perché un massone non può avere due culti » (Ragon, Ortod. mass. Introd.). « Anteriore alle religioni conosciute, la Massoneria continua la sua marcia pacifica ed incessante, perché il suo obiettivo inalterabile è il miglioramento degli uomini senza distinzione di classi, climi, opinioni filosofiche, politiche o religiose. » (Ragon, Ortod. mass., p. 203.). E infatti, come può essere una religione un’istituzione che non ha né Dio né dogma né morale, e che combatte Dio, dogma e morale?

41. Spesso, tuttavia, i settari sostengono che la Massoneria è una religione e addirittura è l’unica religione o addirittura la religione per eccellenza. È « la vera fede, la buona religione »,  il « Vangelo eterno », la « grande Bibbia ». La Massoneria « è consacrata alla fondazione di una religione universale e rigenerata » (Massoneria pratica, Rituale di cavaliere Kadosch. t. I, p. 314).  « La nostra religione è la religione stessa. Non ha un nome e non può averne uno. Un giorno sarà la religione dell’umanità. Fino ad allora dovrà accontentarsi di chiamarsi la religione. » – « La massoneria è una religione troppo poco conosciuta, troppo poco apprezzata, troppo spesso calunniata, ma che tuttavia, nonostante tutti gli ostacoli, è trionfante e quasi universale » (Notizie storiche dell’ordine della franco-massoneria, t. II, p. 307.). Questo perché è chiaro, da tutta l’esposizione precedente, che la Massoneria ha un tempio, che è l’uomo o la umanità libera; in questo tempio c’è un adoratore, è l’uomo o la libera umanità; c’è un adorato, è l’uomo o la libera umanità. La massoneria è la religione del futuro. » Infatti, « in passato, l’uomo ha costruito templi a Dio; in futuro, l’uomo costruirà templi all’uomo. Non si prostituirà più col suo incenso ad un tiranno fiabesco che domina la razza umana con terrori immaginari; è l’umanità stessa che sarà oggetto del suo culto. » – « Tutte le religioni precedenti sono state anti-umanitarie; la franco-Massoneria rivela al mondo una religione umanitaria. Tutte quelle hanno curvato l’uomo davanti ad un essere estraneo; la nuova religione gli insegna a raddrizzare la testa nel senso della sublime dignità della sua natura, perché essa gli insegna che egli è re, sacerdote e dio. » – « Non veniamo a predicare un nuovo Dio, ma a mostrare a tutti che non c’è altro Dio se non la Ragione stessa. » – « Abbiamo proclamato e proclamiamo la regalità, la “divinità” dell’io umano. » – « La nostra religione”, cioè il dio della nostra religione, è l’umanità (Indirizzo dei socialisti di Madrid a tutti gli operai del mondo, 1869.). *

VI – RIASSUNTO

42. Ora comprendiamo ora il piano ideale del tempio che la franco-massoneria innalza. Nel linguaggio degli adepti, è chiamato il tempio della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità, il tempio della ragione e della natura, il tempio della verità e della virtù, il tempio innalzato dall’arte reale, dove si pratica la religione dell’umanità. Nel vero linguaggio, deve essere chiamato il tempio della rivolta totale, il tempio della pura anarchia, una rovina universale. Rivolta contro l’autorità di Dio e l’autorità che emana da Dio, o libertà; rivolta contro ogni gerarchia, contro la superiorità stessa di Dio e tutte le ineguaglianze da lui stabilite tra gli uomini, o uguaglianza; rivolta contro la paternità di Dio ed ogni paternità che da essa deriva, o fratellanza; Rivolta contro la Religione soprannaturale di Gesù Cristo, ancor più contro lo stato sociale e tutte le istituzioni sociali, o il regno della natura; Rivolta contro qualsiasi verità che superi la ragione individuale o che non emani da essa, rivolta contro qualsiasi legge che causi cupidigia, o illuminazione e santificazione massonica; Rivolta contro la famiglia, perché nella famiglia la libertà o l’uguaglianza non può essere perfetta; contro lo Stato, perché “i diritti dei principi sono attentati ai diritti umani”; contro la Chiesa, perché la Chiesa esercita la più orribile tirannia sull’intelligenza attraverso i suoi misteri e sulla volontà attraverso il decalogo; rivolta contro la proprietà, perché è « il principio di tutte le disuguaglianze sociali »; contro il matrimonio, perché genera « la libera espansione delle simpatie »; contro la religione, perché pone i diritti dei padri, degli sposi, dei proprietari e dei re sotto la protezione di un Essere supremo, e rafforza tutte le tirannie con il sostegno di terrori religiosi; Rivolta contro Dio e contro l’uomo; contro il diritto divino ed il diritto umano; contro le leggi naturali e positive; contro ogni autorità, ogni gerarchia, ogni tradizione, ogni legge, ogni diritto, ogni dovere: « Rompendo le sue catene e rovesciando i suoi idoli, l’umanità, grazie alla franco-massoneria, sta facendo passi da gigante verso un futuro di perfetta uguaglianza e libertà assoluta, dove non conoscerà più né padroni né schiavi. » «No, né Dio né padrone! »; in una parola:

rivolta universale;

Questa è la massoneria.

CATECHISMO DELLA DOTTRINA CRISTIANA (3)

CATECHISMO DELLA DOTTRINA CRISTIANA

PUBBLICATO PER ORDINE DI SUA SANTITÀ PAPA PIO X

La testimonianza del Signore è fedele,

ai piccoli dà sapienza. Salmo XVIII, 7

ROMA -TIPOGRAFIA POLIGLOTTA VATICANA 1920

Soltanto agli Ordinari per le loro diocesi, si permetterà di riprodurre il presente Catechismo. Qualunque altra riproduzione è proibita, e non potrà adottarsi nell’insegnamento catechistico. – Per la necessaria autorizzazione rivolgersi alla “Commissione per il Catechismo„ presso la Tipografia Poliglotta Vaticana.

Roma, 25 novembre 1912.

AL SIGNOR CARDINALE PIETRO RESPIGHI NOSTRO VICARIO GENERALE

Signor Cardinale,

Fin dai primordi del Nostro Pontificato rivolgemmo la massima cura all’istruzione religiosa del popolo cristiano e in particolare dei fanciulli, persuasi che gran parte dei mali che affliggono la Chiesa provengono dall’ignoranza della sua dottrina e delle sue leggi. I nemici di essa le condannano bestemmiando ciò che ignorano, e molti de’ suoi figli, mal conoscendole, vivono come se tali non fossero. Perciò insistemmo spesso sulla somma necessità dell’ insegnamento catechistico, e lo promovemmo da per tutto, secondo il nostro potere, sia con le Lettere Encicliche Acerbo nimis e con le disposizioni riguardanti i catechismi nelle parrocchie, sia con le approvazioni e con gl’incoraggiamenti ai Congressi catechistici e alle scuole di Religione, sia con l’introdurre qui in Roma il testo del Catechismo usato da tempo in alcune grandi Province ecclesiastiche d’Italia. – Tuttavia col volgere degli anni, tanto a cagione delle nuove difficoltà insidiosamente frapposte a un qualsiasi insegnamento della dottrina cristiana nelle scuole, dove s’impartiva da secoli, quanto anche per la provvida anticipazione, da Noi voluta, della prima Comunione dei fanciulli, e per altri motivi, essendoci stato espresso il desiderio di un Catechismo sufficiente, che fosse molto più breve, e più adatto alle esigenze odierne, Noi acconsentimmo che si riducesse l’antico Catechismo in uno nuovo, molto ristretto, che Noi stessi esaminammo e volemmo fosse pure esaminato da molti nostri Confratelli Vescovi d’Italia, affinché Ci esprimessero il loro parere in generale, e indicassero in particolare, secondo la loro scienza ed esperienza, le modificazioni da introdurre. – Avuto da essi un favorevole apprezzamento quasi unanime, con non poche preziose osservazioni che ordinammo fossero tenute nel debito conto, Ci sembra di non dover ritardare più oltre una sostituzione di testo, per vari motivi riconosciuta opportuna, fiduciosi che esso, con la benedizione del Signore, tornerà molto più comodo e altrettanto, se non più vantaggioso dell’antico, sia perché il volume del libro e delle cose da apprendersi, assai diminuito, non disaminerà i giovanetti, già molto aggravati dai programmi scolastici, e permetterà ai maestri e catechisti di farlo imparare per intero; sia perché vi si trovano, nonostante la brevità, più spiegate e accentuate quelle verità che oggidì, con immenso danno delle anime e della società, sono più combattute, o fraintese, o dimenticate. – Anzi confidiamo che anche gli aduti, i quali vogliano, come talora dovrebbero per viver meglio e per educar la famiglia, ravvivare nell’animo le cognizioni fondamentali su cui poggia la vita spirituale e morale cristiana, siano per trovare utile in ciò e gradita questa breve somma, assai accurata anche nella forma, dove incontreranno esposte con molta semplicità le capitali verità divine e le più efficaci riflessioni cristiane.

   Questo Catechismo, pertanto, e i primi elementi che da esso, per comodità dei fanciuletti abbiamo disposto si ricavino senza mutazione di parola, Noi, con l’autorità della prsente, approviamo e prescriviamo alla diocesi e provincia ecclesiastica di Roma, vietando che d’ora innanzi nell’insegnamento catechistico si segua altro testo.  – Quanto alle altre diocesi d’Italia, Ci basta esprimere il voto che il medesimo testo, da Noi e da molti Ordinari giudicato sufficiente, venga pure in esse adottato, anche perché cessi la funesta confusione e il disagio che oggidì moltissimi provano nelle frequenti mutazioni di domicilio, trovando nelle nuove residenze formole e testi notevolmente diversi che essi difficilmente imparano, mentre per desuetudine confondono e infine dimenticano anche quanto già sapevano. E peggio è per i fanciulli, perché nulla è sì fatale alla buona riuscita d’un insegnamento quanto il proseguirlo con un testo diverso da quello a cui il giovanetto è già, più o meno, assuefatto. – E poiché per l’introduzione del testo presente qualche difficoltà potranno incontrare gli adulti, perché si scosta dal precedente anche in talune formole; così, a togliere gl’inconvenienti, ordiniamo che a tutte le messe principali festive, come pure in tutte le classi della dottrina cristiana, siano recitate in principio, ad alta voce, chiaramente, posatamente, le prime preghiere e le principali altre formole. In tal maniera, dopo qualche tempo, senza sforzo, tutti le avranno imparate; e s’introdurrà un’ottima e cara consuetudine di comune preghiera e d’istruzione, che da tempo è in vigore in molte diocesi italiane, con non poca edificazione e profitto. – Esortiamo vivamente nel Signore tutti i catechisti, ora che la brevità stessa del testo ne agevola il lavoro, a volere con tanto maggior cura spiegare e far penetrare nelle anime dei giovani la dottrina cristiana, quanto maggiore è il bisogno oggidì d’una soda istruzione religiosa, per il dilagare dell’empietà e dell’immoralità. Ricordino sempre che il frutto del Catechismo dipende qui totalmente dal loro zelo e dalla loro intelligenza e maestria nel renderne l’insegnamento più lieve e gradito agli alunni. Preghiamo Dio che, come oggi i nemici della Fede, ognora crescenti per numero e per potenza, con ogni mezzo vanno propagando l’errore, così sorgano numerosissime le anime volonterose a coadiuvare con grande zelo i parroci, i maestri e i genitori cristiani nell’insegnamento quanto necessario altrettanto nobile e fecondo del Catechismo. – Con questo augurio impartiamo di cuore a Lei, Signor Cardinale, e a quanti avrà cooperatori in così santo ministero, l’Apostolica Benedizione.

Dal Vaticano, 18 ottobre 1912.

PIUS PP. X.

INDULGENZE PER COLORO CHE INSEGNANO O STUDIANO LA DOTTRINA CRISTIANA.

Ai genitori: cento giorni, ogni volta che nelle loro case insegnano la Dottrina cristiana ai figli e ai domestici (Paolo V, Breve 6 ottobre 1607).

Al maestri: sette anni, ogni volta che nelle feste conducono i discepoli alla Dottrina cristiana e gliela insegnano (Paolo V, Breve id.).

Cento giorni ogni volta che nei dì feriali la insegnano nelle scuole (Paolo V, Breve id.).

A tutti i fedeli: cento giorni, ogni volta che per mezz’ora studiano il Catechismo sia per insegnarlo sia per apprenderlo (Paolo V, Breve id.).

Sette anni ed altrettante quarantene, ogni volta che, confessati e comunicati, intervengano al Catechismo, quando è insegnato ai fanciulli nelle chiese ed oratori (Clemente XII, Breve 16 maggio 1736).

Indulgenza plenaria nei giorni di Natale, di Pasqua e dei santi Pietro e Paolo, se intervengono assiduamente al Catechismo per insegnarlo o per apprenderlo, purché, confessati e comunicati, preghino secondo le intenzioni del Sommo Pontefice (Clemente XII, Breve id.).

Tre anni, in ciascuna festa della Santissima Vergine, se sono soliti adunarsi nelle scuole o nelle chiese per imparare la Dottrina cristiana, purché in dette feste si confessino (Pio IX, Rescritto della S. C delle indulgenze, 18 luglio 1877).

Sette anni, se anche si comunicheranno (Pio IX, Rescritto id.).

AVVERTENZA.

L’asterisco (*) davanti alle «Prime preghiere e formole, alle prime nozioni. e a parecchie domande indica che esse si trovano anche nei Primi clementi della Dottrina cristiana, senza cambiamento: solo alcune risposte vi sono abbreviate, la 113* ha una lieve trasposizione, e la 328a l’aggiunta delle parole nella Messa.

* PRIME PREGHIERE E FORMOLE DA SAPERSI A MEMORIA.

Queste cose medita, in queste sta’ fisso,

affinché sta manifesto a tutti il tuo avanzamento.

1a Timot., IV, 15.

1. – Segno della Croce.

In nòmine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

[In nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Così sia.]

2. – Credo, o Simbolo apostolico.

1 Credo in Deum Patrem omnipoténtem, Creatórem cæli et terrae; 2 et in lesum

Christum, Fllium eius unicum, Dóminum nostrum, 3 qui concéptus est de Spiritu

Sancto, natus ex Maria Virgine, 4 passus sub Póntio Pilato, crucifixus, mórtuus et sepùltus: 5 descéndit ad inferos: tértia die resurréxit a mórtuis: 6 ascéndit ad cælos, sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis: 7 inde venturus est iudicàre vivos et mortuos. 8 Credo in Spiritum Sanctum, 9 sanctam Ecclésiam cathólicam, sanctórum communiónem, 10 remissiónem peccatórum, 11 carnis resurrectiónem, 12 vitam ætérnam. Amen.

[1 Io credo in Dio Padre onnipotente. Creatore del cielo e della terra; 2 e in Gesù Cristo, suo unico Figliuolo, Nostro Signore, 3 il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, 4 patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morto e seppellito, 5 discese all’inferno, il terzo giorno risuscitò da morte, 6 salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente, 7 di là ha da venire a giudicare i vivi e i morti. 8 Credo nello Spirito Santo, 9 la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, 10 la remissione dei peccati, 11 la risurrezione della carne, 12 la vita eterna. Amen.]

3. – Pater noster, o Orazione domenicale.

Pater noster qui es in caelis, 1 sanctificétur nomen tuum: 2 advéniat regnum tuum: 3 fiat volùntas tua, sicut in cælo et in terra. 4 Panem nostrum quotidiànum da nobis hódie, 5 et dimitte nobis débita nostra, sicut et nos dimittimus debitóribus nostris; 6 et ne nos inducas in tentatiónem, 7 sed libera nos a malo. Amen.

[Padre nostro che sei ne’ cieli, 1 sia santificato il tuo nome: 2 venga il tuo regno: 3 sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. 4 Dacci oggi il nostro pane quotidiano; 5 e rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori; 6 e non c’indurre in tentazione, 7 ma liberaci dal male. Così sia.]

4. – Gloria Patri.

Glòria Patri et Filio et Spirititi Sancto, sicut erat. in principio, et nunc, et semper, et in sæcula sæculórum. Amen.

[Gloria al Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, come era nel principio, e ora, e sempre, e nei secoli dei secoli. Così sia]

5. – Ave Maria, o Salutazione angelica.

Ave, Maria, gràtia plena: Dóminus tecum: benedicta tu in muliéribus, et benedictus fructus ventris tui, Iesus. Sancta Maria, Mater Dei, ora prò nobis peccatóribus, nunc et in hora mortis nostræ. Amen.

[Ave, o Maria, piena di grazia: il Signore è teco: tu sei benedetta fra le donne, e benedetto è il frutto del ventre tuo, Gesù. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Così sia.]

6. – Salve Regina.

Salve, Regina, mater misericórdiæ; vita, dulcédo et spes nostra, salve. Ad te clamàmus, éxsules filii Hevæ. Ad te suspiràmus geméntes et flentes in hac lacrimàrum valle. Eia ergo, advocàta nostra, illos tuos misericórdes óculos ad nos converte. Et Iesum, benedictum fructum ventris tui, nobis post hoc exsilium osténde. O clemens, o pia, o dulcis Virgo Maria.

I[Salve, o Regina, madre di misericordia, vita, dolcezza e speranza nostra, salve. A te ricorriamo esuli figli di Eva: gementi e piangenti in questa valle di lacrime a te sospiriamo. Orsù dunque, avvocata nos, rivolgi a noi quegli occhi tuoi misericordiosi. E mostraci dopo questo esilio Gesù, il frutto benedetto del ventre tuo, o clemente, o pietosa, o dolce Vergine Maria.]

7. – Angele Dei.

Angele Dei, qui custos es mei, me tibi  commissum pietate superna illumina, custudi, rege et gubérna. Amen.

[Angelo di Dio, che sei il mio custode, illumina, custodisci, reggi e governa me, che ti fui affidato dalla pietà celeste. Così sia.]

8. – Requiem æternam, per i fedeli defunti.

Rèquiem æternam dona eis, Domine, et lux perpètua luceat eis. Requiéscant in pace. Amen.

[L’eterno riposo dona loro, o Signore, e splenda ad essi la luce perpetua. Riposino in pace. Così sia.]

9. – Atto di fede.

Mio Dio, credo fermamente quanto voi, infallibile Verità, avete rivelato e la santa Chiesa ci propone a credere. Ed espressamente credo in voi, unico vero Dio in tre Persone uguali e distinte, Padre, Figliuolo e Spirito Santo; e nel Figliuolo incarnato e morto per noi, Gesù Cristo, il quale darà a ciascuno, secondo i meriti, il premio o la pena eterna. Conforme a questa Fede voglio sempre vivere. – Signore, accrescete la mia fede.

10. – Atto di speranza.

Mio Dio, spero dalla bontà vostra, per le vostre promesse e per i meriti di Gesù Cristo, nostro Salvatore, la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla con le buone opere, che io debbo e voglio fare. – Signore, che io non resti confuso in eterno.

11. – Atto di carità.

Mio Dio, amo con tutto il cuore sopra ogni cosa voi, Bene infinito e nostra eterna felicità; e per amor vostro amo il prossimo mio come me stesso, e perdóno le offese ricevute. – Signore, fate ch’io vi ami sempre più.

12. – Atto di dolore.

Mio Dio, mi pento con tutto il cuore de’ miei peccati, e li odio e detesto, come offesa della vostra Maestà infinita, cagione della morte del vostro divin Figliuolo Gesù, e mia spituale rovina. Non voglio più commetterne in avvenire, e proponga di fuggirne le occasioni. – Signore, misericordia, perdonatemi.

13. – I due misteri principali della Fede.

1 Unità e Trinità di Dio;

2 Incarnazione, Passione e Morte del Nostro Signor Gesù Cristo.

14. – I due comandamenti della carità.

1° Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.

2° Amerai il prossimo tuo come te stesso.

15. – I dieci comandamenti di Dio, o Decàlogo.

Io sono il Signore Dio tuo:

1° Non avrai altro Dio fuori che me.

2° Non nominare il nome di Dio invano.

3° Ricordati di santificare le feste.

4° Onora il padre e la madre.

5° Non ammazzare.

6° Non commettere atti impuri.

7° Non rubare.

8° Non dire falsa testimonianza.

9° Non desiderare la donna d’altri.

10° Non desiderare la roba d’altri.

16. – I cinque precetti generali della Chiesa.

1° Udir la Messa la domenica e le altre feste comandate.

2° Non mangiar carne nel venerdì e negli altri giorni proibiti, e digiunare nei giorni prescritti.

3° Confessarsi almeno una volta l’anno, e comunicarsi almeno a Pasqua.

4° .Sovvenire alle necessità della Chiesa, contribuendo secondo le leggi o le usanze. da sapersi a memoria

5° Non celebrar solennemente le nozze nei tempi proibiti.

17. – I sette sacramenti.

1 Battesimo, 2 Cresima, 3 Eucaristia, 4 Penitenza, 5. Estrema Unzione, 6 Ordine, 7. Matrimonio.

18. – I sette doni dello Spirito Santo

1 Sapienza, 2 intelletto, 3 consiglio, 4 fortezza, 5 scienza, 6 pietà, 7 timor di Dio.

19. – Le tre virtù teologali.

1 Fede, 2 speranza, 3 carità.

20. – Le quattro virtù cardinali.

1 Prudenza, 2 giustizia, 3 fortezza, 4 temperanza..

21. – Le sette opere di misericordia corporale,

1 Dar da mangiare agli affamati; 2 dar da bere agli assetati; 3 vestire gl’ignudi; 4 alloggiare i pellegrini; 5 visitare gl’infermi; 6 visitare i carcerati; 7 seppellire i morti.

22. – Le sette opere di misericordia spirituale.

1 Consigliare i dubbiosi; 2 insegnare agli ignoranti; 3 ammonire i peccatori; 4 consolare gli afflitti; 5 perdonare le offese ; 6 sopportare pazientemente le persone moleste; 7 pregare Dio per i vivi e per i morti.

23. – I sette vizi capitali.

1 Superbia, 2 avarizia, 3 lussuria, 4 ira, 5 gola, 6 invidia, 7 accidia.

24. – I sei peccati contro lo Spirito Santo.

1 Disperazione della salute ; 2 presunzione di salvarsi senza merito; 3 impugnare la verità conosciuta; 4 invidia della grazia altrui; 6 ostinazione nei peccati; 6 impenitenza finale.

25. – I quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio.

1 Omicidio volontario; 2 peccato impuro contro natura; 3 oppressione dei poveri; 4 defraudare la mercede agli operai.

26. – I quattro Novissimi.

1 Morte, 2 giudizio, 3 inferno, 4 paradiso.

PRIME NOZIONI DELLA FEDE CRISTIANA.

Chi si accosta a Dio deve credere che Egli è e che premia quelli che lo cercano.

Agli Ebrei, XI, 6

Questa è l’eterna vita, che conoscano te, l’unico vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo.

S. Giov.. XVII, 3

1. Chi ci ha creato?

Ci ha creato Dio.

2. Chi è Dio?

Dio è l’Essere perfettissimo, Creatore e Signore del cielo e della terra.

3. Che significa perfettissimo?

Perfettissimo significa che in Dio è ogni perfezione, senza difetto e senza limiti, ossia che È potenza, sapienza e bontà infinita.

4. Che significa Creatore?

Creatore significa che Dio ha fatto dal nulla, tutte le cose.

5. Che significa Signore?

Signore significa che Dio è padrone assoluto di tutte le cose.

6. Dio ha corpo come noi?

Dio non ha corpo, ma è purissimo spirito.

7. Dov’è Dio?

Dio è in cielo, in terra ed in ogni luogo: Egli è l’Immenso.

8. Dio è sempre stato?

Dio è sempre stato e sempre sarà: Egli è l’Eterno.

9. Dio sa tutto?

Dio sa tutto, anche i nostri pensieri: Egli è l’Onnisciente.

10. Dio può far tutto?

Dio può far tutto ciò che vuole: Egli è l’Onnipotente.

11. Dio può fare anche il male?

Dio non può fare il male; perché non può volerlo essendo bontà infinita; ma lo tollera per lasciar libere le creature sapendo poi ricavare il bene anche dal male.

12. Dio ha cura delle cose create?

Dio ha cura e provvidenza delle cose create, e le conserva e dirige tutte al proprio fine, con sapienza, bontà e giustizia infinita.

13. Per qual fine Dio ci ha creati?

Dio ci ha creati per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e per goderlo poi nell’altra, in paradiso.

14. Che cos’è il paradiso?

Il paradiso è il godimento eterno di Dio, nostra felicità, e, in Lui, di ogni altro bene, senza alcun male.

15. Chi merita il paradiso?

Merita il paradiso chi è buono, ossia chi ama e serve fedelmente Dio, e muore nella sua grazia.

16. I cattivi che non servono Dio e muoiono in peccato mortale, che cosa meritano?

I cattivi che non servono Dio e muoiono in peccato mortale, meritano l’inferno.

17. Che cos’è l’inferno?

L’inferno è il patimento eterno della privazione di Dio, nostra felicità, e del fuoco, con ogni altro male senza alcun bene.

18. Perché Dio premia i buoni e castiga i cattivi?

Dio premia i buoni e castiga i cattivi, perché  è la giustizia infinita.

19. Dio è uno solo?

Dio è uno solo, ma in tre Persone uguali e distinte, che sono la santissima Trinità.

20. Come si chiamano le tre Persone della santissima Trinità?

Le tre Persone della santissima Trinità si chiamano Padre, Figliuolo e Spirito Santo.

21. Delle tre Persone della santissima Trinità si è incarnata e fatta uomo alcuna?

Delle tre Persone della santissima Trinità si è incarnata e fatta uomo la seconda, cioè il Figliuolo.

22. Come si chiama il Figliuolo di Dio fatto uomo?

Il Figliuolo di Dio fatto uomo si chiama Gesù Cristo.

23. Chi è Gesù Cristo?

Gesù Cristo è la seconda Persona della santissima Trinità, cioè il Figliuolo di Dio fatto uomo.

24. Gesù Cristo è Dio e uomo?

Sì, Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo.

25. Perché il Figliuolo di Dio si fece uomo?

Il Figliuolo di Dio si fece uomo per salvarci, cioè per redimerci dal peccato e riacquistarci il paradiso.

26. Che fece Gesù Cristo per salvarci?

Gesù Cristo per salvarci soddisfece per i nostri peccati patendo e sacrificando se stesso sulla Croce, e c’insegnò a vivere secondo Dio.

27. Per vivere secondo Dio, che cosa dobbiamo fare?

Per vivere secondo Dio, dobbiamo CREDERE LE VERITÀ RIVELATE da Lui e OSSERVARE I SUOI COMANDAMENTI, con l’aiuto della sua GRAZIA, che si ottiene mediante i SACRAMENTI e L’ORAZIONE.

PREGHIAMO.

O Dio, concedici la grazia di pensare e di fare ciò che è retto, sì che noi, i quali senza di te non possiamo esistere, riusciamo a vivere secondo te. (Orazione Dom. VIII dopo la Pentecoste)Te ne supplichiamo per il tuo Figliuolo Gesù Cristo, Nostro Signore. Così sia.

PARTE I.

« CREDO »

OSSIA PRINCIPALI VERITÀ DELLA FEDE CRISTIANA.

Senza la fede è impossibile piacere a Dio. Agli Ebrei, XI, 6

CAPO I.

Misteri principali. – Segno della santa Croce.

Credo

*28. Quali sono le verità rivelate da Dio?

Le verità rivelate da Dio sono principalmente quelle compendiate nel Credo o Simbolo apostolico, e si chiamano verità di fede, perché dobbiamo crederle con piena fede come insegnate da Dio, il quale né s’inganna né può ingannare.

*29. Che cos’è il Credo o Simbolo apostolico?

Il Credo o Simbolo apostolico è una professione dei misteri principali e di altre verità rivelate da Dio per mezzo di Gesù Cristo e degli Apostoli, e insegnate dalla Chiesa.

30. Che cos’è mistero?

Mistero è una verità del tutto superiore ma non contraria alla ragione, che crediamo perché Dio l’ha rivelata.

*31. Quali sono i misteri principali della Fede professati nel Credo?

I misteri principali della Fede professati nel Credo sono due: l’Unità e Trinità di Dio; l’Incarnazione, Passione e Morte del Nostro Signor Gesù Cristo.

*32. I due misteri principali della Fede li professiamo ed esprimiamo anche in altra maniera?

Professiamo ed esprimiamo i due misteri principali della Fede anche col segno della Croce, che perciò è il segno del Cristiano.

*33. Come si fa il segno della Croce?

Il segno della Croce si fa portando la mano destra alla fronte, e dicendo: In nome del Padre, poi al petto, dicendo: e del Figliuolo; quindi alla spalla sinistra e alla destra, dicendo: e dello Spirito Santo; e si termina con le parole Così sia.

*34. Nel segno della Croce, come esprimiamo noi i due misteri principali della Fede?

Nel segno della Croce, con le parole esprimiamo l’Unità e Trinità di Dio, e con la figura della croce la Passione e la Morte del Nostro Signor Gesù Cristo.

35. È utile fare il segno della Croce?

È utilissimo fare il segno della Croce spesso e devotamente, perché è atto esterno di fede, che ravviva in noi questa virtù, vince il rispetto umano e le tentazioni, e ci ottiene grazie da Dio.

36. Quando è bene fare il segno della Croce?

È sempre bene fare il segno della Croce, ma specialmente prima e dopo ogni atto di religione, prima e dopo il cibo e il riposo, e nei pericoli dell’anima e del corpo.

CAPO II.

Unità e Trinità di Dio.

Credo in Dio Padre onnipotente … in Gesù Cristo, suo unico Figliuolo, Nostro Signore …. nello Spirito Santo.

37. Che significa Unità di Dio?

Unità di Dio significa che c’è un Dio solo.

38. Che significa Trinità di Dio?

Trinità di Dio significa che in Dio sono tre Persone uguali, realmente distinte: Padre, Figliuolo e Spirito Santo.

39. Che significa tre Persone realmente distinte?

Tre Persone realmente distinte significa che in Dio una Persona non è l’altra, pur essendo tutte e tre un Dio solo.

40. Comprendiamo noi come le tre Persone divine, benché realmente distinte, sono un Dio solo?

Noi non comprendiamo né possiamo comprendere come le tre Persone divine, benché realmente distinte, sono un Dio solo: è un mistero.

*41. Qual è la prima Persona della santissima Trinità?

La prima Persona della santissima Trinità è il Padre.

*42. Qual è la seconda Persona della santissima Trinità?

La seconda Persona della santissima Trinità è il Figliuolo.

*43. Qual è la tersa Persona della santissima Trinità?

La terza Persona della santissima Trinità è lo Spirito Santo.

44. Perché il Padre è la prima Persona della santissima Trinità?

Il Padre è la prima Persona della santissima Trinità, perché non procede da altra Persona, e da Lui procedono le altre due, cioè il Figliuolo e lo Spirito Santo.

45. Perché il Figliuolo è la seconda Persona della santissima Trinità?

Il Figliuolo è la seconda Persona della santissima Trinità, perché è generato dal Padre, ed è, insieme col Padre, principio dello Spirito Santo.

46. Perché lo Spirito Santo è la tersa Persona della santissima Trinità?

Lo Spirito Santo è la terza Persona della santissima Trinità, perché procede dal Padre e dal Figliuolo.

*47. Ogni Persona della santissima Trinità è Dio?

Sì, ogni Persona della santissima Trinità è Dio.

48. Se ogni Persona divina è Dio, le tre Persone divine sono dunque tre Dei?

Le tre Persone divine non sono tre Dei, ma un Dio solo, perché hanno la stessa unica natura o sostanza divina,

49. Le tre Persone divine sono uguali, o ce n’è una maggiore, più potente e più sapiente?

Le tre Persone divine essendo un solo Dio sono uguali in tutto, e hanno egualmente comune ogni perfezione e ogni operazione; sebbene certe perfezioni e le opere corrispondenti si attribuiscano più all’una Persona che all’altra, come la potenza e la creazione al Padre.

50. Il Padre almeno, fu prima del Figliuolo e dello Spirito Santo?

Il Padre non fu prima del Figliuolo e dello Spirito Santo, perché le tre Persone divine, avendo comune l’unica natura divina che è eterna, sono egualmente eterne.

CAPO III.

Creazione del mondo. Origine e caduta dell’uomo.

Credo in Dio… Creatore del cielo e della terra.

51. Dio perché è detto Creatore del cielo e della terra?

Dio è detto Creatore del cielo e della terra, ossia del mondo, perché lo fece dal nulla, e fare dal nulla è creare.

52. Il mondo è tutto opera di Dio?

Il mondo è tutto opera di Dio; e nella grandezza, bellezza e ordine suo meraviglioso, ci mostra la potenza, la sapienza e la bontà infinita di Lui.

*53. Dio creò soltanto ciò che è materiale nel mondo?

Dio non creò soltanto ciò che è materiale nel mondo, ma anche i puri spiriti; e crea l’anima di ogni uomo.

*54. Chi sono i puri spiriti?

I puri spiriti sono esseri intelligenti senza corpo.

55. Come sappiamo che esistono puri spiriti creati?

Che esistono puri spiriti creati lo sappiamo dalla Fede.

56. Quali puri spiriti creati ci fa conoscere la Fede?

La Fede ci fa conoscere i puri spiriti buoni, ossia gli Angeli, e i cattivi, ossia i demoni.

* 57. Chi sono gli Angeli?

Gli Angeli sono i ministri invisibili di Dio, ed anche nostri Custodi, avendo Dio affidato ciascun uomo ad uno di essi.

58. Abbiamo dei doveri verso gli Angeli?

Verso gli Angeli abbiamo il dovere della venerazione; e verso l’Angelo Custode abbiamo anche quello di essergli grati, di ascoltarne le ispirazionie di non offenderne mai la presenza col peccato.

* 59. I demòni chi sono?

I demoni sono angeli ribellatisi a Dio per superbia e precipitati nell’inferno, i quali, per odio contro Dio, tentano l’uomo al male.

*60. Chi è l’uomo?

L’uomo è un essere ragionevole, composto d’anima e di corpo.

*61. Che cos’è l’anima?

L’anima è la parte spirituale dell’uomo, per cui egli vive, intende ed è libero, e perciò capace di conoscere, amare e servire Dio.

* 62. L’anima dell’uomo muore col corpo?

L’anima dell’uomo non muore col corpo, ma vive in eterno, essendo spirituale.

*63. Qual cura dobbiamo avere dell’anima?

Dell’anima dobbiamo avere la massima cura, perché essa è in noi la parte migliore e immortale, e solo salvando l’anima saremo eternamente felici.

64. Com’è libero l’uomo?

L’uomo è libero, in quanto che può fare una cosa e non farla, o farne una piuttosto che un’altra come sentiamo bene in noi stessi.

65. Se l’uomo è libero, può fare anche il male

L’uomo può, ossia è capace di fare anche il male; ma non lo deve fare, appunto perché è male, la libertà deve usarsi solo per il bene.

66. Chi furono i primi uomini?

I primi uomini furono Adamo ed Eva, creati immediatamente da Dio: tutti gli altri discendono da essi, che perciò son chiamati i progenitori degli uomini.

67. L’uomo fu creato debole e misero come ora\ siamo noi?

L’uomo non fu creato debole e misero come ora siamo noi, ma in uno stato felice, con destino e con doni superiori alla natura umana.

68. L’uomo, qual destino ebbe da Dio?

L’uomo ebbe da Dio l’altissimo destino di vedere e godere eternamente Lui, Bene infinito; e perché questo è del tutto superiore alla capacità della natura, egli ebbe insieme, per raggiungerlo, una potenza soprannaturale che si chiama grazia.

69. Oltre la grazia, che altro aveva dato Dio all’uomo?

Oltre la grazia, Dio aveva dato all’uomo l’esenzione dalle debolezze e miserie della vita e dalla necessità di morire, purché non avesse peccato, come purtroppo fece Adamo, il capo dell’umanità, gustando del frutto proibito.

70. Che peccato fu quello di Adamo?

Il peccato di Adamo ili un peccato grave di superbia e di disubbidienza.

71. Quali danni cagionò il peccato di Adamo?

Il peccato di Adamo spogliò lui e tutti gli uomini della grazia e d’ogni altro dono soprannaturale, rendendoli soggetti al peccato, al demonio, alla morte, all’ignoranza, alle cattive inclinazioni e ad ogni altra miseria, ed escludendoli dal paradiso.

72. Come si chiama il peccato a cui Adamo assoggettò gli uomini con la sua colpa?

Il peccato a cui Adamo assoggettò gli uomini con la sua colpa, si chiama originale, perché commesso al principio dell’umanità, si trasmette con la natura agli uomini tutti nella loro origine.

73. In che consiste il peccato originale?

Il peccato originale consiste nella privazione della grazia originale, che secondo la disposizione di Dio dovremmo avere ma non abbiamo, perché il capo dell’umanità con la sua disubbidienza ne privò sé e noi tutti, suoi discendenti.

74. Come mai il peccato originale è volontario, e quindi colpa per noi?

Il peccato originale è volontario e quindi colpa per noi, solo perché volontariamente lo commise Adamo quale capo dell’umanità; e perciò Dio non premia col paradiso, ma neppure castiga con tormenti chi abbia solo il peccato originale.

75. L’uomo, a causa del peccato originale, doveva rimaner escluso per sempre dal paradiso?

L’uomo, a causa del peccato originale, doveva rimaner escluso per sempre dal paradiso, se Dio, per salvarlo, non avesse promesso e mandato dal cielo il proprio Figliuolo, cioè Gesù Cristo.

CAPO IV.

 Incarnazione, Passione e Morte del Figliuolo di Dio.

Credo… in Gesù Cristo, suo unico Figliuolo, Nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morto e seppellito, discese all’inferno, il terso giorno risuscitò da morte, salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente.

*76. In che modo il Figliuolo di Dio si è fatto uomo?

Il Figliuolo di Dio si è fatto uomo, prendendo un corpo e un’anima, come abbiamo noi, nel seno purissimo di Maria Vergine, per opera dello Spirito Santo.

*77. Il Figliuolo di Dio, facendosi uomo, cessò di esser Dio?

Il Figliuolo di Dio, facendosi uomo, non cessò di esser Dio, ma, restando vero Dio, cominciò ad essere anche vero uomo.

78. In Gesù Cristo sono due nature?

In Gesù Cristo sono due nature: la natura divina e la natura umana.

79. In Gesù Cristo con le due nature sono anche due persone?

In Gesù Cristo con le due nature non sono due persone, ma una sola, quella divina del Figliuolo di Dio.

80. Gesù Cristo come fu conosciuto per Figliuolo di Dio?

Gesù Cristo fu conosciuto per Figliuolo di Dio, perché tale lo proclamò Dio Padre nel Battesimo e nella Trasfigurazione, dicendo: « Questo è il mio Figliuolo diletto, nel quale mi sono compiaciuto»; * e perché tale si dichiarò Gesù stesso nella sua vita terrena. (s. MATT., III, 17; s. LUCA, IX, 35.)

81. Gesù Cristo è stato sempre?

Gesù Cristo come Dio è stato sempre; come uomo cominciò ad essere dal momento dell’Incarnazione.

*82. Da chi nacque Gesù Cristo?

Gesù Cristo nacque da Maria sempre Vergine, la quale perciò si chiama ed è vera Madre di Dio.

* 83. San Giuseppe non fu padre di Gesù Cristo?

San Giuseppe non fu padre vero di Gesù Cristo, ma padre putativo; cioè, come sposo di Maria e custode di Lui, fu creduto suo padre senza esser tale.

*84. Dove nacque Gesù Cristo?

Gesù Cristo nacque a Betlemme, in una stalla, e fu posto in una mangiatoia.

*85. Perché Gesù Cristo volle esser povero?

Gesù Cristo volle esser povero, per insegnarci ad essere umili e a non riporre la felicità nelle ricchezze, negli onori e nei piaceri del mondo.

86. Che fece Gesù Cristo nella sua vita terrena?

Gesù Cristo, nella sua vita terrena, c’insegnò con l’esempio e con la parola a vivere secondo Dio, e confermò coi miracoli la sua dottrina; finalmente, per cancellare il peccato, riconciliarci con Dio e riaprirci il paradiso, si sacrificò sulla Croce, « unico Mediatore tra Dio e gli uomini ». (1a Timot., II, 5)

87. Che cos’è miracolo?

Miracolo è un fatto sensibile, superiore a tutte le forze e leggi della natura, e perciò tale che può venire solo da Dio, Padrone della natura.

88. Con quali miracoli specialmente, Gesù Cristo confermò la sua dottrina e dimostrò di esser vero Dio?

Gesù Cristo confermò la sua dottrina e dimostrò di esser vero Dio, specialmente col rendere in un attimo la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, la parola ai muti, la salute a ogni sorta d’infermi, la vita ai morti; con l’imperar da padrone ai demoni e alle forze della natura, e soprattutto con la sua risurrezione dalla morte.

*89. Gesù Cristo morì come Dio 0ocome uomo?

Gesù Cristo mori come uomo, perchè come Dio non poteva né patire né morire.

*90. Dopo la morte, che fu di Gesù Cristo?

Dopo la morte, Costi Cristo discese con l’anima al Limbo, dalle anime dei giusti morti fino allora, per condurle seco in paradiso; poi risuscitò, ripigliando il suo corpo che era stato sepolto.

91. Quanto tempo restò sepolto il corpo di Gesù Cristo?

Il corpo di Gesù Cristo restò sepolto tre giorni non interi, dalla sera del venerdì fino all’alba del giorno che ora si dice domenica di Pasqua.

*92. Che fece Gesù Cristo dopo la sua risurresione?

Gesù Cristo, dopo la sua risurrezione, rimase in terra quaranta giorni; poi salì al cielo, dove siede alla destra di Dio Padre onnipotente.

93, Perché Gesù Cristo, dopo la sua risurrezione, rimase in terra quaranta giorni?

Gesù Cristo, dopo la sua risurrezione, rimase in terra quaranta giorni per mostrare che era veramente risuscitato, per confermare i discepoli nella fede in Lui e istruirli più profondamente nella sua dottrina.

*94. Ora Gesù Cristo è solamente in cielo?

Ora Gesù Cristo non è solamente in cielo, ma come Dio è in ogni luogo, e come Dio e uomo è in cielo e nel santissimo Sacramento dell’altare.

CAPO V .

Venuta di Gesù Cristo alla fine del mondo. I due giudizi, particolare e universale.

… Di là ha da venire a giudicare i vivi e i morti.

*95. Gesù Cristo tornerà mai più visibilmente su questa terra?

Gesù Cristo tornerà visibilmente su questa terra alla line del mondo per giudicare i vivi e i morti, ossia tutti gli uomini, buoni e cattivi.

*96. Gesù Cristo per giudicarci aspetterà sino alla fine del mondo?

Gesù Cristo per giudicarci non aspetterà sino alla fine del mondo, ma. giudicherà ciascuno subito dopo la morte.

97. Ci sono due giudizi?

Ci sono due giudizi: l’uno particolare, di ciascun’anima, subito dopo morte; l’altro universale, di tutti gli uomini, alla line del mondo.

*98. Di die cosa ci giudicherà Gesù Cristo?

Gesù Cristo ci giudicherà del bene e del male operato in vita, anche dei pensieri e delle omissioni.

99. Dopo il giudizio particolare, che avviene dell’anima?

Dopo il giudizio particolare, l’anima, se è senza peccato e senza debito di pena, va in paradiso; se ha qualche peccato veniale o qualche debito di pena, va in purgatorio finche abbia soddisfatto; se è in peccato mortale, qual ribelle inconvertibile a Dio va all’inferno.

100. I bambini morti senza Battesimo dove vanno?

I bambini morti senza Battesimo vanno al Limbo, dove non godono Dio, ma nemmeno soffrono, perché, avendo il peccato originale, e quello solo, non meritano il paradiso, ma neppure l’inferno e il purgatorio.

* 101. Che cos’è il purgatorio?

II purgatorio è il patimento temporaneo della privazione di Dio, e di altre pene che tolgono dall’anima ogni resto di peccato per renderla degna di veder Dio.

102. Possiamo noi soccorrere e anche liberare le anime dalle pene del purgatorio?

Possiamo occorrere e anche liberare le anime dalle pene del purgatorio con i suffragi, ossia, con preghiere, indulgenze, elemosine e altre opere buone, sopra tutto con la santa Messa.

103. E certo che esistono il paradiso e l’inferno?

E certo che esistono il paradiso e l’inferno, loha rivelato Dio spesse volte promettendo ai buoni l’eterna vita e il suo stesso gaudio, e minacciando ai cattivi la perdizione e il fuoco eterno.

104. Quanto dureranno il paradiso e l’inferno?

Il paradiso e l’inferno dureranno eternamente.

CAPO VI.

Chiesa cattolica. – Comunione dei santi.

Credo… la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi.

*105. Che cos’è la Chiesa?

La Chiesa e la società dei veri Cristiani, cioè dei battezzati che professano la fede e dottrina di Gesù Cristo, partecipano a’ suoi sacramenti e ubbidiscono ai Pastori stabiliti da Lui.

*106. Da chi fu fondata la Chiesa?

La Chiesa fu fondata da Gesù Cristo, il quale raccolse i suoi fedeli in una società, la sottopose agli Apostoli con san Pietro per capo, e le diede il sacrificio, i sacramenti e lo Spirito Santo che la vivifica.

* 107. Qual è la Chiesa di Gesù Cristo?

.La Chiesa di Gesù Cristo è la Chiesa Cattolica Romana, perché essa sola è una, santa, cattolica e apostolica, quale Egli la volle.

108. La Chiesa perché è una?

La Chiesa è una, perché tutti i suoi membri ebbero, hanno ed avranno sempre unica la fede, il sacrificio, i sacramenti e il capo visibile, il Romano Pontefice, successore di san Pietro, formando così tutti un solo corpo, il Corpo mistico di Gesù Cristo.

109. La Chiesa perché è santa?

La Chiesa è santa, perché sono santi Gesù Cristo suo capo invisibile, e lo Spirito che la vivifica; perché in lei sono santi la dottrina, il sacrificio e i sacramenti, e tutti son chiamati a santificarsi; e perché molti realmente furono santi, e sono e saranno!

110. La Chiesa perché è cattolica?

La Chiesa è cattolica, cioè universale, perché è istituita e adatta per tutti gli uomini e sparsa in tutta la terra.

111. La Chiesa perché è apostolica?

La Chiesa è apostolica, perché è fondata sugli Apostoli e sulla loro predicazione, e governata dai loro successori, i Pastori legittimi, i quali, senza interruzione e senza alterazione, seguitano a trasmetterne e la dottrina e il potere.

* 112. Chi sono i legittimi pastori della Chiesa?

I legittimi Pastori della Chiesa sono il Papa, oSommo Pontefice e i Vescovi uniti con lui.

*113. Chi è il Papa?

II Papa è il successore di san Pietro ni sede di Roma e nel primato, ossia nell’apostolato ed episcopato universale; quindi il capo visibile, Vicario di Gesù Cristo capo invisibile, di tutta la Chiesa, la quale perciò si dice Cattolica-Romana.

* 114. Il Papa e i Vescovi uniti con lui che costituiscono?

Il Papa e i Vescovi uniti con lui costituiscono la Chiesa docente, chiamata cosi perché ha da Gesù Cristo la missione d’insegnare le verità e le leggi divine a tutti gli uomini, i quali solo da lei ne ricevono la piena e sicura cognizione che è necessaria per vivere cristianamente.

*115. La Chiesa docente può errare nell’insegnarci le verità rivelate da Dio?

La Chiesa docente non può errare nell’insegnarci le verità rivelate da Dio: essa è infallibile, perché, come promise Gesù Cristo, « lo Spirito di verità » l’assiste continuamente. *(s. Giov., XV, 26.)

*116. Il Papa, da solo, può errare nell’insegnarci le verità rivelate da Dio?

Il Papa, da solo, non può errare nell’insegnarci le verità rivelate da Dio, ossia è infallibile come la Chiesa, quando, da Pastore e Maestro di tutti i Cristiani, definisce dottrine circa la fede e i costumi.

117. Può altra Chiesa, fuori della Cattolica-Romana, essere la Chiesa di Gesù Cristo, o almeno parte di essa?

Nessuna Chiesa, fuori della Cattolica-Romana, può essere la Chiesa di Gesù Cristo e nemmeno parte di essa, perché non può averne insieme con quella le singolari distintive qualità, una, santa, cattolica e apostolica; come difatti non le ha nessuna delle altre Chiese che si dicono cristiane.

118. Perché Gesù Cristo istituì la Chiesa?

Gesù Cristo istituì la Chiesa, perché gli uomini trovassero in essa la guida sicura e i mezzi di santità e di salute eterna,

119. Quali sono i mezzi di santità e di salute eterna che si trovano nella Chiesa?

I mezzi di santità e di salute eterna che si trovano nella Chiesa, sono la vera fede, il sacrificio e i sacramenti, e gli aiuti spirituali scambievoli. come la preghiera, il consiglio, l’esempio.

*120. I mezzi di santità e di salute eterna sono comuni a tutti gli uomini?

I mezzi di santità e di salute eterna sonocomuni a tutti gli uomini che appartengono alla Chiesa, cioè ai fedeli, i quali negli scritti apostolici son detti santi: perciò l’unione e partecipazione loro a quei mezzi è comunione di santi in cose sante.

121. Perché sono detti santi i fedeli che si trovano nella Chiesa?

I fedeli che si trovano nella Chiesa sono detti santi, perché consacrati a Dio, giustificati o santificati dai sacramenti, e obbligati a vivere da santi!

122. Che significa comunione dei santi?

Comunione dei santi significa che tutti i fedeli formando un solo corpo in Gesù Cristo, profittano di tutto il bene che si fa nel corpo stesso, ossia nella Chiesa universale.

123. I beati del paradiso e le anime del purgatorio sono nella comunione dei santi?

I beati del paradiso e le anime del purgatorio sono anch’essi nella comunione dei santi, che, congiunti tra loro e con noi dalla carità, ricevono gli uni le nostre preghiere e le altre i nostri suffragi, e tutti ci ricambiano con la loro intercessione presso Dio.

124. Chi è fuori della comunione dei santi?

È fuori della comunione dei santi chi è fuori della Chiesa, ossia i dannati, gl’infedeli, gli ebrei, gli eretici, gli apostati, gli scismatici e gli scomunicati.

125. Chi sono gl’infedeli?

Gl’infedeli sono i non battezzati che non credono in alcun modo nel Salvatore promesso, cioè nel Messia o Cristo, come gl’idolatri e i maomettani.

126. Chi sono gli ebrei?

Gli ebrei sono i non battezzati che professano la legge di Mosè e non credono che Gesù è il Messia o Cristo promesso.

127. Chi sono gli eretici?

Gli eretici sono i battezzati che si ostinano a non credere qualche verità rivelata da Dio e insegnata dalla Chiesa, per esempio, i protestanti.

128. Chi sono gli apostati?

Gli apostati sono i battezzati che rinnegano, con atto esterno, la fede cattolica già professata.

129. Chi sono gli scismatici?

Gli scismatici sono i battezzati che ricusano ostinatamente di sottostare ai legittimi Pastori, e perciò sono separati dalla Chiesa, anche se non neghino alcuna verità di fede.

130. Chi sono gli scomunicati?

Gli scomunicati sono i battezzati esclusi per colpe gravissime dalla comunione della Chiesa, affinché non pervertano gli altri e siano puniti e corretti con questo estremo rimedio.

131. È grave danno esser fuori della Chiesa?

Esser fuori della Chiesa è danno gravissimo, perché fuori non si hanno né i mezzi stabiliti né la guida sicura alla salute eterna, la quale per l’uomo è l’unica cosa veramente necessaria.

132. Chi è fuori della Chiesa, si salva?

Chi è fuori della Chiesa per propria colpa e muore senza dolore perfetto, non si salva; ma chi ci si trovi senza propria colpa e viva bene, può salvarsi con l’amor di carità, che unisce a Dio, e, in spirito, anche alla Chiesa, cioè all’anima di lei.

CAPO VII.

Remissione dei peccati. – Peccato.

Credo … la remissione dei peccati.

133. Che significa remissione dei peccati?

Remissione dei peccati significa che Gesù Cristo ha dato agli Apostoli e ai loro successori la potestà di rimettere nella Chiesa ogni peccato.

134. Nella Chiesa come si rimettono i peccati?

Nella Chiesa i peccati si rimettono principalmente coi sacramenti del Battesimo e della Penitenza, istituiti da Gesù Cristo a questo fine.

*135. Che cos’è il peccato?

Il peccato è un’offesa fatta a Dio, disobbedendo alla sua legge.

*136. Di quante specie è il peccato?

Il peccato è di due specie: originale e attuale.

* 137. Qual è il peccato originale?

Il peccato originale è il peccato che l’umanità commise in Adamo suo capo, e che da Adamo ogni uomo contrae per naturai discendenza.

*138. Tra i figli di Adamo fu preservato mai nessuno dal peccato originale?

Tra i figli di Adamo fu preservata dal peccato originale solo Maria santissima; la quale, perché eletta Madre di Dio, fu « piena di grazia », e quindi senza peccato fin dal primo istante; perciò la Chiesa ne celebra l’immacolata Concezione. (s. LUCA, I, 28).

*139. Come si cancella il peccato originale?

Il peccato originale si cancella col santo Battesimo.

*140. Qual è il peccato attuale?

Il peccato attuale è quello che si commette volontariamente da chi ha l’uso di ragione.

* 141. In quanti modi si commette il peccato attuale?

Il peccato attuale si commette in quattro modi,

cioè in pensieri, in parole, in opere e in omissioni.

*142. Di quante specie è il peccato attuale?

Il peccato attuale è di due specie: mortale e veniale.

*143. Che cos’è il peccato mortale?

Il peccato mortale è una disubbidienza alla legge di Dio in cosa grave, fatta con piena avvertenza e deliberato consenso.

144. Perché il peccato grave si chiama mortale?

Il peccato grave si chiama mortale, perché  priva l’anima della grazia divina che è la sua vita, le toglie i meriti e la capacità di farsene de’ nuovi, e la rende degna di pena o morte eterna nell’inferno.

145. Se il peccato mortale rende l’uomo incapace di meritare, è dunque inutile che il peccatore faccia opere buone?

Non è inutile che il peccatore faccia opere buone, anzi deve farne, sia per non divenir peggiore omettendole e cadendo in nuovi peccati, sia per disporsi con esse, in qualche modo, alla conversione e al riacquisto della grazia di Dio.

146. Come si riacquista la grazia di Dio, perduta per il peccato mortale?

La grazia di Dio, perduta per il peccato mortale, si riacquista con una buona confessione sacramentale, o col dolore perfetto che libera dai peccati, sebbene resti l’obbligo di confessarli.

147. Insieme con la grazia, si riacquistano anche i meriti perduti per il peccato mortale?

Insieme con la grazia, per somma misericordia di Dio, si riacquistano anche i meriti perduti per il peccato mortale.

*148. Che cos’è il peccato veniale?

Il peccato veniale è una disubbidienza alla legge di Dio in cosa leggera, o anche in cosa di per sé grave, ma senza tutta l’avvertenza e il consenso.

149. Perché il peccato non grave si chiama veniale?

Il peccato non grave si chiama veniale, cioè perdonabile, perché non toglie la grazia, e può aversene il perdono col pentimento e con buone opere, anche senza la confessione sacramentale.

150. Il peccato veniale è dannoso all’anima?

Il peccato veniale è dannoso all’anima, perché la raffredda nell’amore di Dio, la dispone al peccato mortale, e la rende degna di pene temporanee in questa vita e nell’altra.

151. I peccati sono tutti uguali?

I peccati non sono tutti uguali; come alcuni peccati veniali sono meno leggeri di altri, così alcuni peccati mortali sono più gravi e funesti.

152. Tra i peccati mortali, quali sono più gravi e funesti?

Tra i peccati mortali sono più gravi e funesti i peccati contro lo Spirito Santo e quelli che gridano vendetta al cospetto di Dio, [Formole 24, 25].

153. Perché i peccati contro lo Spirito Santo sono dei più gravi e funesti?

I peccati contro lo Spirito Santo sono dei più gravi e funesti, perché con essi l’uomo si oppone ai doni spirituali della verità e della grazia, e perciò, anche potendolo, difficilmente si converte.

154. I peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio, perché sono dei più gravi e funesti?

I peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio, sono dei più gravi e funesti, perché direttamente contrari al bene dell’umanità e odiosissimi, tanto che provocano, più degli altri, i castighi di Dio.

155. Che cosa particolarmente giova a tenerci lontani dal peccato?

A tenerci lontani dal peccato giova particolarmente il pensiero che Dio è da per tutto e vede il segreto dei cuori, e la considerazione dei Novissimi, * ossia di quanto ci attende alla fine di questa vita e alla fine del mondo. *[Formoia26].

CAPO VIII*

Risurrezione della carne. – Vita eterna. – Amen.

Credo… la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen.

*156. Che cosa ci attende alla fine di questa vita?

Alla fine di questa vita ci attendono i dolori e lo sfacelo della morte e il giudizio particolare.

*157. Che cosa ci attende alla fine del mondo?

Alla fine del mondo ci attende la risurrezione della carne e il giudizio universale.

*158. Che significa risurrezione della carne?

Risurrezione della carne significa che il nostro corpo, per virtù di Dio, si ricomporrà e si riunirà all’anima per partecipare, nella vita eterna, al premio o al castigo da essa meritato.

*159. Che significa vita eterna?

Vita eterna significa che il premio, come la pena, durerà in eterno, e che la vista di Dio sia la vera vita e felicità dell’anima, mentre la privazione di Lui sarà la massima infelicità e come una morte eterna.

160. Che significa la parola Amen?

La parola Amen significa in verità, così è e così sia; e con essa confermiamo esser vero tutto quello che confessiamo nel Credo, e ci auguriamo la remissione dei peccati, la risurrezione alla gloria e la vita eterna in Dio.

PREGHIAMO.

Dà, o Signore, a’ tuoi credenti la costanza e la sincerità della fede in te, sì che fermi nel divino amore, non siano mai divelti per nessuna tentazione dalla integrità in essa. [Postcom. 34 fra le Orazioni diverse del Messale] Te ne supplichiamo per il tuo Figliuolo Gesù Cristo, ecc.

PARTE II.

COMANDAMENTI DI DIO PRECETTI DELLA CHIESA – VIRTÙ

Ossia MORALE CRISTIANA.

Se vuoi entrare alla vita, osserva i comandamenti. S. MATT., XIX, 17.

Se mi amate, osservate i miei comandamenti. S. Giov., XIV, 15.

CAPO I.

Comandamenti di Dio.

§ 1. – Comandamenti di Dio in generale.

161. Che cosa sono i comandamenti di Dio?

I comandamenti di Dio o Decalogo sono le leggi morali che Dio nel Vecchio Testamento diede a Mosè sul monte Sinai, e Gesù Cristo perfezionò nel Nuovo.

162. Che cosa c’impone il Decalogo?

Il Decalogo c’impone i più stretti doveri di natura verso Dio, noi stessi e il prossimo, come pure gli altri doveri che ne derivano, per esempio, quelli del proprio stato.

163. 1 nostri doveri verso Dio e verso il prossimo a che si riducono?

I nostri doveri verso Dio e verso il prossimo si riducono alla carità, cioè al « massimo e primo comandamento » dell’amor di Dio, e a quello « simile » dell’amor del prossimo: «da questi due comandamenti, disse Gesù Cristo, dipende tutta la Legge e i Profeti ». – * * S. MATT., XXII, 38-40; Formola 14.

164. Perché il comandamento dell’amor di Dio è il massimo comandamento?

Il comandamento dell’amor di Dio è il massimo comandamento, perché chi l’osserva amando Dio con tutta l’anima, osserva certamente tutti gli altri comandamenti.

165. I comandamenti di Dio si possono osservare?

I comandamenti di Dio si possono osservare tutti e sempre, anche nelle più forti tentazioni, con la grazia che Dio non nega mai a chi lo invoca di cuore.

**166. Siamo obbligati a osservare i comandamenti di Dio?

Siamo obbligati a osservare i comandamenti di Dio, perché sono imposti da Lui, nostro Padrone supremo, e dettati dalla natura e dalla sana ragione.

167. Chi trasgredisce i comandamenti di Dio, pecca gravemente?

Chi deliberatamente trasgredisce anche un solo comandamento di Dio in materia grave, pecca gravemente contro Dio, e perciò merita l’inferno!

168. Nei comandamenti che cosa si deve notare?

Nei comandamenti si deve notare ciò che ordinato e ciò che è proibito.

§ 2. – Comandamenti di Dio in particolare.

PRIMO COMANDAMENTO

*169. Che ci ordina il primo comandamento Io sono il Signore Dio tuo: non avrai altro Dio fuori che me?

Il primo comandamento lo sono il Signore Dio tuo: non avrai altro Dio fuori che me ci ordina di essere religiosi, cioè di credere in Dio e di amarlo, adorarlo e servirlo come l’unico vero Dio, Creatore e Signore di tutto.

*170. Che ci proibisce il primo comandamento?

Il primo comandamento ci proibisce l’empietà, la superstizione, l’irreligiosità; inoltre l’apostasia, l’eresia, il dubbio volontario e l’ignoranza colpevole delle verità della Fede.

171. Che cos’è empietà?

Empietà è il rifiuto a Dio d’ogni culto.

172. Che cos’è superstizione?

Superstizione è il culto divino o di latria reso a chi non è Dio, o anche a Dio ma in modo non conveniente: perciò l’idolatria o il culto di false divinità e di creature; il ricorso al demonio, agli spiriti e ad ogni mezzo sospetto per ottener cose umanamente impossibili; l’uso di riti sconvenienti, vani o proibiti dalla Chiesa

173. Che cos’è irreligiosità?

Irreligiosità è l’irriverenza a Dio e alle cose divine, come la tentazione di Dio, il sacrilegio o profanazione di persona o di cosa sacra, la simonia o compra e vendita di cose spirituali o connesse con le spirituali.

174. Sé il culto delle creature è superstizione, come non è superstizione il culto cattolico degli Angeli e dei Santi?

Il culto cattolico degli Angeli e dei Santi non è superstizione, perché non è culto divino o di adorazione dovuta a Dio solo: noi non li adoriamo come Dio, ma li veneriamo come amici di Dio e per i doni che hanno da Lui, quindi per onor di Dio stesso che negli Angeli e nei Santi opera meraviglie.

175. Chi sono i Santi?

I Santi sono coloro che, praticando eroicamente le virtù secondo gl’insegnamenti e gli esempi di Gesù Cristo, meritarono special gloria in cielo e anche in terra, dove, per autorità della Chiesa, sono pubblicamente onorati e invocati.

176. Perché veneriamo noi anche il corpo dei Santi?

Noi veneriamo anche il corpo dei Santi, perché servì loro a esercitare virtù eroiche, fu certamente tempio dello Spirito Santo, e risorgerà glorioso alla vita eterna.

177. Perché veneriamo anche le minime reliquie e le immagini dei Santi?

Veneriamo anche le minime reliquie e le immagini dei Santi per loro memoria e onore, riferendo ad essi tutta la venerazione, affatto diversamente dagl’idolatri, che rendono alle immagini o idoli un culto divino.

178. Dio nel Vecchio Testamento non proibì severamente le immagini?

Dio nel Vecchio Testamento proibì severamente le immagini da adorare, anzi quasi tutte le immagini, come occasione prossima d’idolatria per gli Ebrei, i quali vivevano fra gli idolatri ed erano molto inclinati alla superstizione

SECONDO COMANDAMENTO.

*179. Che ci proibisce il secondo comandamento non nominare il nome di Dio invano?

Il secondo comandamento: non nominare il nome di Dio invano ci proibisce di disonorare il Nome di Dio: perciò di nominarlo senza rispetto; di bestemmiare Dio, la santissima Vergine, i Santi e le cose sante; di far giuramenti falsi, non necessari o in qualunque modo illeciti.

180. Che cos’è il giuramento?

Il giuramento è chiamar Dio in testimonio di ciò che si afferma o che si promette; perciò chi giura il male e chi spergiura, offende sommamente Dio che è la Santità e la Verità.

181. È grande peccato la bestemmia?

La bestemmia è grande peccato, perché  ingiuria e scherno di Dio o de’ suoi Santi, e spesso anche orribile eresia.

*188. Che ci ordina il secondo comandamento?

Il secondo comandamento ci ordina di avere sempre riverenza per il nome santo di Dio, e di adempiere i voti e le promesse giurate.

183. Che cos’è il voto?

Il voto è la promessa fatta a Dio di qualche bene a Lui gradito, al quale ci obblighiamo per religione.

TERZO COMANDAMENTO.

*184.- Che ci ordina il terso comandamento ricordati di santificare le feste?

Il terzo comandamento ricordali di santificare le feste ci ordina di onorare Dio nei giorni di festa, con atti di culto esterno, dei quali per i Cristiani l’essenziale è la santa Messa.

185.- Perché dobbiamo fare atti di culto esterno? non basta adorar Dio, che è Spirito, internamente nel cuore?

Non basta adorar Dio internamente nel cuore, ma dobbiamo anche rendergli il culto esterno comandato, perché siamo soggetti a Dio in tutto l’essere, anima e corpo, e dobbiamo dare buon esempio; ed anche perché altrimenti si perde lo spirito religioso.

* 186. Che ci proibisce il terso comandamento?

Il terzo comandamento ci proibisce nei giorni di festa le opere servili.

*187. Quali opere si dicono servili?

Si dicono opere servili i lavori manuali propri degli artigiani e degli operai.

188. Sono tutte proibite nei giorni di festa le opere  servili?

Nei giorni di festa sono proibite tutte le opere servili non necessarie alla vita e al servizio di Dio, e non giustificate dalla pietà o da altro grave motivo.

189. Come conviene occupare i giorni di festa?

Conviene occupare i giorni di festa a bene dell’anima, frequentando la predica e il catechismo, e compiendo qualche opera buona; e anche a riposo del corpo, lontani da ogni vizio e dissipazione.

QUARTO COMANDAMENTO.

*190. Che ci ordina il quarto comandamento onora il padre e la madre?

Il quarto comandamento onora il padre e la madre ci ordina di amare, rispettare e ubbidire, i genitori e chiunque ha potestà sopra di noi, cioè i nostri superiori in autorità.

*191. Che ci proibisce il quarto, comandamento?

Il quarto comandamento ci proibisce di offendere i genitori e i superiori in autorità e di disubbidirli.

192. Perché dobbiamo ubbidire ai superiori in autorità?

Dobbiamo ubbidire ai superiori in autorità perché  « non c’è potestà se non da Dio; … pertanto chi resiste alla potestà resiste all’ordinamento di Dio ». *

* Ai Rom., XIII, 1, 2.

QUINTO COMANDAMENTO

* 193. Che ci proibisce il quinto comandamento non ammazzare?

Il quinto comandamento non ammazzare ci proibisce di recar danno alla vita sì naturale che spirituale del prossimo e nostra; perciò ci proibisce l’omicidio, il suicidio, il duello, i ferimenti, le percosse, le ingiurie, le imprecazioni e lo scandalo.

194. Perché è peccato il suicidio?

Il suicidio è peccato, come l’omicidio, perché Dio solo è padrone della nostra vita, come di quella del prossimo: inoltre è peccato di disperazione che, di più, toglie con la vita la possibilità di pentirsi e di salvarsi.

195. La Chiesa ha stabilito pene contro il suicida?

La Chiesa ha stabilito la privazione della sepoltura ecclesiastica contro il suicida responsabile dell’atto compiuto.

196. Perché è peccato il duello?

Il duello è peccato, perché è sempre un attentato di omicidio, e, anche, quasi di suicidio, fatto per vendetta privata, in disprezzo della legge e della giustizia pubblica; inoltre perché con esso stoltamente si rimette la decisione del diritto e del torto alla forza, alla destrezza e al caso.

197. La Chiesa ha stabilito pene contro i duellanti?

La Chiesa ha stabilito la scomunica contro duellanti e contro chiunque volontariamente assiste al duello.

198. Che cos’è scandalo?

Scandalo è dare al prossimo, con qualunque atto cattivo, occasione di peccare.

199. Lo scandalo è peccato grave?

Lo scandalo è peccato gravissimo, e Dio domanderà conto del male che si fa commettere ad altri con perfidi eccitamenti e con cattivi esempi: « guai all’uomo per colpa del quale viene lo scandalo ». *

*S. MATT., XVIII, 7.

*200. Che ci ordina il quinto comandamento?

Il quinto comandamento ci ordina di voler bene a tutti, anche ai nemici, e di riparare il male corporale e spirituale fatto al prossimo.

SESTO COMANDAMENTO.

*201. Che ci proibisce il sesto comandamento non commettere atti impuri?

Il sesto comandamento non commettere atti impuri ci proibisce ogni impurità: perciò le azioni, le parole, gli sguardi, i libri, le immagini, gli spettacoli immorali.

*202. Che ci ordina il sesto comandamento?

Il sesto comandamento ci ordina di essere « santi nel corpo », portando il massimo rispetto alla propria e all’altrui persona, come opere di Dio e tempi dove Egli abita con la presenza e con la grazia.

SETTIMO COMANDAMENTO.

* 203. Che ci proibisce il settimo comandamento non rubare?

Il settimo comandamento non rubare ci proibisce di danneggiare il prossimo nella roba: perciò proibisce i furti, i guasti, le usure, le frodi nei contrattie nei servizi, e il prestar mano a questi danni.

*204. Che ci ordina il settimo comandamento?

Il settimo comandamento ci ordina di restituire la roba degli altri, di riparare i danni colpevolmente arrecati, di pagare i debiti e la giusta mercede agli operai.

205. Chi, potendo, non restituisce o non ripara, otterrà perdono?

Chi, potendo, non restituisce o non ripara, non otterrà perdono, anche se a parole si dichiari pentito.

OTTAVO COMANDAMENTO.

*206. Che ci proibisce l’ottavo comandamento non dir falsa testimonianza?

L’ottavo comandamento non dir falsa testimonianza ci proibisce ogni falsità e il danno ingiusto dell’altrui fama: perciò, oltre la falsa testimonianza, la calunnia, la bugia, la detrazione o mormorazione, l’adulazione, il giudizio e il sospetto temerario.

*207. Che ci ordina l’ottavo comandamento?

L’ottavo comandamento ci ordina di dire a tempo e luogo la verità, e d’interpretare in bene possibilmente, le azioni del prossimo.

*208. Chi ha danneggiato il prossimo nel buon nome accusandolo falsamente o sparlandone, a che cosa è obbligato?

Chi ha danneggiato il prossimo nel buon nome accusandolo falsamente o sparlandone, deve riparare, per quanto può, il danno arrecato.

NONO COMANDAMENTO.

*209. Che ci proibisce il nono comandamento non desiderare la donna d’altri?

Il nono comandamento non desiderare la donna d’altri ci proibisce i pensieri e i desidèri cattivi.

*210. Che ci ordina il nono comandamento?

Il nono comandamento ci ordina la perfetta purezza dell’anima e il massimo rispetto, anche nell’intimo del cuore, per il santuario della famiglia!

DECIMO COMANDAMENTO.

*211. Che ci proibisce il decimo comandamento nel desiderare la roba d’altri?

Il decimo comandamento non desiderare la roba d’altri ci proibisce l’avidità sfrenata delle ricchezze, senza riguardo ai diritti e al bene del prossimo.

*212. Che ci ordina il decimo comandamento?

Il decimo comandamento ci ordina di essere giusti e moderati nel desiderio di migliorare la propria condizione, e di soffrire con pazienza le strettezze e le altre miserie permesse dal Signore a nostro merito, poiché « al regno di Dio dobbiamo arrivare per via di molte tribolazioni ». *

*Atti XIV, 21

CAPO II.

Precetti generali della Chiesa.

213. Che cosa sono i precetti generali della Chiesa?

I precetti generali della Chiesa sono leggi con le quali essa, applicando i comandamenti di Dio, prescrive ai fedeli alcuni atti di religione e determinate astinenze.

214. Come ha la Chiesa autorità di far leggi e precetti?

La Chiesa ha autorità di far leggi e precetti, perché l’ha ricevuta nella persona degli Apostoli da Gesù Cristo, l’Uomo-Dio; e perciò chi disubbidisce alla Chiesa, disubbidisce a Dio medesimo.

215. Nella Chiesa chi può far leggi e precetti?

Nella Chiesa possono far leggi e precetti il Papa e i Vescovi come successori degli Apostoli, ai quali Gesù Cristo disse: « Chi ascolta voi, ascolta me; e chi disprezza voi, disprezza me ». *

*s. LUCA, X, 16.

PRIMO PRECETTO.

216. Che ci ordina il primo precetto udir la Messa la domenica e le altre feste comandate?

Il primo precetto udir la Messa la domenica e le altre feste comandate ci ordina di assistere devotamente in tali giorni alla santa Messa.

217. Chi non ascolta la Messa nei giorni di precetto, fa peccato grave?

Chi, senza vero impedimento, non ascolta la Messa nei giorni di precetto, e chi non dà modo a’ suoi dipendenti di ascoltarla, fa peccato grave e non adempie il comandamento divino di santificare le feste.

SECONDO PRECETTO.

218. Che ci proibisce il secondo precetto con le parole non mangiar carne nel venerdì e negli altri giorni proibiti?

Il secondo precetto con le parole non mangiar carne nel venerdì e negli altri giorni proibiti, ci proibisce di mangiar carne nel venerdì, giorno della Passione e Morte di Gesù Cristo, e in alcuni giorni di digiuno. *

* Vedi Append. II in fine.

219. Che cosa ordina il secondo precetto con le parole digiunare nei giorni prescritti?

Il secondo precetto con le parole digiunare nei giorni prescritti ordina di osservare il digiuno ecclesiastico nella Quaresima, nelle quattro Tempora e in alcune vigilie.

220. A che obbliga il digiuno ecclesiastico?

Il digiuno ecclesiastico obbliga all’astinenza da determinati cibi, e da altri pasti oltre il pranzo: è consentita però mia seconda refezione leggera.

221. Chi è obbligato al digiuno ecclesiastico?

Al digiuno ecclesiastico è obbligato ogni fedele dai ventun anni compiuti ai sessanta incominciati se non ne sia scusato per infermità, per lavori gravosi o per altra giusta ragione.

222. Perché la Chiesa c’impone astinenze e digiuni?

La Chiesa c’impone in conformità dell’esempio e della dottrina di Gesù Cristo, astinenze e digiuni, per penitenza dei peccati, per mortificazione della gola e delle passioni, e per altre necessità particolari.

TERZO PRECETTO.

223. Che ci ordina il terso precetto confessarsi almeno una volta l’anno e comunicarsi almeno a Pasqua?

Il terzo precetto confessarsi almeno una volta l’anno e comunicarsi almeno a Pasqua ci ordina di accostarci alla Penitenza almeno una volta l’anno, e all’Eucaristia almeno nel tempo di Pasqua.

224. Perché la Chiesa, imponendo di confessarci e comunicarci una volta l’anno, aggiunge la parola almeno?

La Chiesa, imponendo di confessarci e comunicarci una volta l’anno, aggiunge la parola almeno per ricordarci l’utilità, anzi il bisogno di ricevere spesso, come è suo desiderio, questi sacramenti.

QUARTO PRECETTO.

225. Che ci ordina il quarto precetto: sovvenire alle necessità della Chiesa, contribuendo secondo le leggi o le usanze?

Il quarto precetto sovvenire alle necessità della Chiesa, contribuendo secondo le leggi o le usanze ci ordina di fare le offerte stabilite dall’autorità o dall’uso, per il conveniente esercizio del culto e per l’onesto sostentamento dei ministri di Dio.

QUINTO PRECETTO.

226. Che proibisce il quinto precetto: non celebrare solennemente le nozze nei tempi proibiti?

Il quinto precetto non celebrar solennemente le nozze nei tempi proibiti proibisce la Messa e la benedizione speciale degli sposi, dall’Avvento a tutto il giorno di Natale, e dal primo giorno della Quaresima a tutto il giorno di Pasqua.

CAPO III.

Virtù.

§ 1. – Virtù in generale – Virtù teologali.

227. Che cos’ è la virtù?

La virtù è una costante disposizione dell’anima a fare il bene.

228. Quante specie di virtù ci sono?

Ci sono due specie di virtù: le virtù naturali, che acquistiamo ripetendo atti buoni, come quelle che si dicono morali; e le virtù soprannaturali che non possiamo acquistare e nemmeno esercitare con le sole nostre forze, ma ci vengon date da Dio, e sono le virtù proprie del Cristiano.

*229. Quali sono le virtù proprie dei Cristiano?

Le virtù proprie del Cristiano sono le virtù soprannaturali e specialmente la fede, la speranza e la carità, che si chiamano teologali o divine, perché hanno Dio stesso per oggetto e per motivo.

230. Come riceviamo ed esercitiamo noi le virtù soprannaturali?

Noi riceviamo le virtù soprannaturali insieme con la grazia santificante, per mezzo dei sacramenti o per l’amore di carità, e le esercitiamo con le grazie attuali dei buoni pensieri e delle ispirazioni con cui Dio ci muove e ci aiuta in ogni atto buono.

231. Tra le virtù soprannaturali qual è la più eccellente?

Tra le virtù soprannaturali la più eccellente è la carità, perché è inseparabile dalla grazia santificante, ci unisce intimamente a Dio e al prossimo, ci muove alla perfetta osservanza della Legge e a ogni opera buona, e non cesserà mai: in essa sta la perfezione cristiana.

FEDE.

*232. Che cos’è la fede?

La fede è quella virtù soprannaturale per cui crediamo, sull’autorità di Dio, ciò che Egli ha rivelato e ci propone a credere per mezzo della Chiesa.

233. Ciò che Dio ha rivelato e ci propone a credere per messo della Chiesa, dove si conserva?

Ciò che Dio ha rivelato e ci propone a credere per mezzo della Chiesa, si conserva nella Sacra Scrittura e nella Tradizione.

234. Che cos’è la Sacra Scrittura?

La Sacra Scrittura è la raccolta dei libri scritti per ispirazione di Dio nel Vecchio e nel Nuovo Testamento, e ricevuti dalla Chiesa come opera di Dio stesso.

235. Che cos’è la Tradizione?

La Tradizione è l’insegnamento di Gesù Cristo e degli Apostoli, fatto a viva voce, e dalla Chiesa trasmesso fino a noi senza alterazione.

236. Chi può con autorità farci conoscere internamente e nel vero senso le verità contenute nella Scrittura e nella Tradizione?

La Chiesa sola può con autorità farci conoscere interamente e nel vero senso le verità contenute nella Scrittura e nella Tradizione, perché a lei sola Dio affidò il deposito della Fede e mandò lo Spirito Santo che continuamente l’assiste, affinché non erri.

237. Basta credere in generale le verità rivelate da Dio?

Non basta credere in generale le verità rivelate da Dio, ma alcune, cioè l’esistenza di Dio rimuneratore e i due misteri principali, si debbono credere anche con espresso atto di fede.

SPERANZA.

*238. Che cos’è la speranza?

La speranza è quella virtù soprannaturale per cui confidiamo in Dio e da Lui aspettiamo la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla quaggiù con le buone opere.

239. Per qual motivo speriamo da Dio la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla?

Speriamo da Dio la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla; perché Egli, infinitamente buono e fedele, ce le ha promesse per i meriti di Gesù Cristo; perciò chi diffida o dispera, l’offende sommamente.

CARITÀ.

*240. Che cos’è la carità?

L a carità è quella virtù soprannaturale per cui amiamo Dio per se stesso sopra ogni cosa, e il prossimo come noi medesimi per amor di Dio.

241. Perché dobbiamo amare Dio?

Dobbiamo amare Dio per se stesso, come il sommo Bene, fonte d’ogni nostro bene; e perciò dobbiamo anche amarlo sopra ogni cosa « con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutte le forze ». *

* s. MARCO, XII, 30.

242. Perché dobbiamo amare il prossimo?

Dobbiamo amare il prossimo per amor di Dio che ce lo comanda, e perché ogni uomo è creato ad immagine di Dio, come noi, ed è nostro fratello.

243. Siamo obbligati ad amare anche i nemici?

Siamo obbligati ad amare anche i nemici, perdonando le offese, perché sono anch’essi nostro prossimo, e perché Gesù Cristo ce ne ha fatto espresso comando.

§ 2. – Esercizio degli atti di fede, di speranza e di carità – Consigli evangelici.

244. Quando dobbiamo fare atti di fede, di speranza e di carità?

Dobbiamo fare atti di fede, di speranza e di carità molte volte nella vita, e, in particolare, quando abbiamo tentazioni da vincere o importanti doveri cristiani da compiere, e nei pericoli di morte.

245. È bene fare spesso atti di fede, di speranza e di carità?

È bene fare spesso atti di fede, di speranza e di carità, per conservare, accrescere e rafforzare virtù tanto necessarie, che sono come le parti vitali dell’«uomo spirituale».

248. Come dobbiamo fare atti di fede, di speranza e di carità?

Dobbiamo fare atti di fede, di speranza e carità col cuore, con la bocca e con l’opera, dandone prova nella nostra condotta.

247. Come si dà prova della fede?

Si dà prova della fede confessandola e difendendola, quando occorra, senza timore e senza rispetto umano, e vivendo secondo le sue massime: «la fede senza le opere è morta».*

*s. GIAC., II, 26

248. Come si dà prova della speranza?

Si dà prova della speranza non turbandosi per le miserie e contrarietà della vita, e nemmeno per le persecuzioni; ma vivendo rassegnati, sicuri delle promesse di Dio.

249. Come si dà prova della carità?

Si dà prova della carità osservando i comandamenti ed esercitando lo opere di misericordia*, e se Dio chiama, seguendo i consigli evangelici.

*Form. 21, 22

250. Che cosa sono i consigli evangelici?

I consigli evangelici sono esortazioni che Gesù Cristo fece nel Vangelo ad una vita più perfetta, mediante la pratica di virtù non comandate.

251. Quali sono i principali consigli evangeli

I principali consigli evangelici sono: la povertà volontaria, la castità perpetua e l’obbedienza perfetta.

§ 3. – Virtù morale e vizio – Beatitudini evangeliche

252. Che cos’è la virtù morale?

La, virtù morale è l’abito di fare il bene, acquistato ripetendo atti buoni.

*253. Quali sono le principali virtù morali?

Le principali virtù morali sono: la religione che ci fa rendere a Dio il culto dovuto, e le quattro virtù cardinali, prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, che ci fanno onesti nel vivere.

254. Perché le virtù cardinali son così chiamate?

Le virtù cardinali son così chiamate, perché  sono il cardine, cioè il sostegno delle altre virtù morali.

255. Che cos’è la prudenza?

La prudenza è la virtù che dirige gli atti al debito fine, e fa discernere e usare i mezzi buoni.

256. Che cos’è la giustizia?

La giustizia è la virtù che fa dare a ciascuno ciò che gli è dovuto.

257. Che cos’è la fortezza?

La fortezza è la virtù che fa affrontare senza temerità e senza timidezza qualunque difficoltà o pericolo, e anche la morte, per il servizio di Dio e per il bene del prossimo.

258. Che cos’è la temperanza?

La temperanza è la virtù che frena le passioni e i desidèri, specialmente sensuali, e modera l’uso dei beni sensibili.

259. Che cosa sono le Passioni?

Le passioni sono commozioni o moti violenti dell’anima che, se non sono moderati dalla ragione, trascinano al vizio, e, spesso, anche al delitto.

260. Che cos’è il vizio?

Il vizio è l’abitudine di fare il male, acquistata ripetendo atti cattivi.

261. Quali sono i vizi principali?

I vizi principali sono i sette vizi capitali, * chiamati così perché sono capo e origine degli altri* Vizi e peccati.

*Formula 23

262. Quali sono le virtù opposte ai vizi capitali?

Le virtù opposte ai vizi capitali sono: l’umiltà, la liberalità, la castità, la pazienza, la sobrietà, la fraternità e la diligenza nel servizio di Dio.

263. Gesù Cristo ha raccomandato in particolare qualche virtù morale?

Gesù Cristo ha raccomandato in particolare alcune virtù morali, chiamando, nelle otto Beatitudini evangeliche, beato chi le esercita.*

264. Dite le Beatitudini evangeliche.

1 « Beati i poveri in spirito, perché di questi è il regno de’ cieli.

2 Beati i mansueti, perché questi erediteranno la terra.

3 Beati quelli che piangono, perché saranno consolati.

4 Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.

5 Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

6 Beati i mondi di cuore, perché vedranno Dio “

7 Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio.

8 Reati i perseguitati per amor della giustizia, perché di questi è il regno de’ cieli ». *

* S. MATT., V, 3-10.

265. Perché Gesù Cristo, nelle Beatitudini evangeliche, disse beate, contrariamente all’opinione del inondo, le persone umili e tribolate?

Gesù Cristo, nelle Beatitudini evangeliche, disse beate, contrariamente all’opinione del mondo, le persone umili e tribolate, perché avranno premio speciale da Dio; e c’insegnò così ad imitarle, senza curare le fallaci massime del mondo.

266. Possono essere veramente felici quelli che seguono le massime del mondo?

Quelli che seguono le massime del mondo non possono essere veramente felici, perché non cercano Dio, loro Signore e loro vera felicità; e così non hanno la pace della coscienza, e camminano verso la perdizione.

PREGHIAMO.

Dio onnipotente ed eterno, accresci in noi la fede, la speranza e la carità, e perché possiamo meritare quello che ci promettesti, fa’ che amiamo quanto comandi. * Fa’, o Dio onnipotente, che noi sempre pensiamo cose ragionevoli, e nel parlare e nell’operare eseguiamo quelle che a te piacciono. * Te ne supplichiamo per il tuo Figliuolo Gesù Cristo, ecc.

* Orazione della Domenica XIII dopo la Pentecoste.

* Orazione della Domenica VI dopo l’Epifania.

* PARTE III.

MEZZI DELLA GRAZIA.

SEZIONE I.

SACRAMENTI O MEZZI PRODUTTIVI!

Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo. [S. MARCO XVI, 16]

Se non mangerete la carne del Figliuolo dell’uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita. [S. Giov. VI, 54

Saran rimessi i peccati a chi lì rimetterete; e saran ritenuti a chi li riterrete. [S. Giov. XX, 23]

CAPO I.

Sacramenti in generale.

*267. che cosa sono i sacramenti?

I sacramenti sono segni efficaci della grazia, istituiti da Gesù Cristo per santificarci.

268. Perché i sacramenti sono segni efficaci della grazia?

I sacramenti sono segni della grazia, perché con le loro parti, che sono sensibili, significano o indicano quella grazia invisibile che conferiscono; e  sono segni efficaci, perché significando la grazia, realmente la conferiscono.

269. Quale grazia conferiscono i sacramenti?

I sacramenti conferiscono la grazia santificante e la grazia sacramentale.

270. Che cos’è la grazia santificante?

La grazia santificante è quel dono soprannaturale, inerente all’anima nostra e perciò abituale che ci rende santi, cioè giusti, amici e figli adottivi di Dio, fratelli di Gesù Cristo ed eredi del paradiso.

271. Che cos’è la grazia sacramentale?

La grazia sacramentale è il diritto alle grazie speciali necessarie per conseguire il fine proprio di ciascun sacramento.

272. Chi ha dato ai sacramenti la virtù di conferire la grazia?

Gesù Cristo, l’Uomo-Dio, ha dato ai sacramenti la virtù di conferire la grazia, che Egli stesso ci ha meritato con la sua Passione e Morte.

*273. Come ci santificano i sacramenti?

I sacramenti ci santificano, o col darci la prima grazia santificante che cancella il peccato, o coll’accrescerci quella grazia che già possediamo.

* 274. Quali sacramenti ci danno la prima grazia?

Ci danno la prima grazia il Battesimo e la Penitenza, che si chiamano sacramenti dei morti, perché donano la vita della grazia alle anime morte per il peccato.

*275. Quali sacramenti ci accrescono la grazia?

Ci accrescono la grazia la Cresima, l’Eucaristia, l’Estrema Unzione, l’Ordine e il Matrimonio, che si chiamano sacramenti dei vivi, perché chi li riceve, deve già vivere spiritualmente per la grazia di Dio.

*276. Chi riceve un sacramento dei vivi sapendo di non essere in grazia di Dio, commette peccato?

Chi riceve un sacramento dei vivi sapendo di non essere in grazia di Dio, commette peccato gravissimo di sacrilegio, perché riceve indegnamente una cosa sacra.

*277. Che dobbiamo fare per conservar la grazia dei sacramenti?

Per conservare la grazia dei sacramenti dobbiamo corrispondere con l’azione propria, operando il bene e fuggendo il male.

278. Quali sono i sacramenti più necessari per salvarsi?

I sacramenti più necessari per salvarsi sono i sacramenti dei morti, cioè il Battesimo e la Penitenza, perché danno la prima grazia o la vita spirituale.

279. Il Battesimo e la Penitenza sono egualmente necessari?

Il Battesimo e la Penitenza non sono egualmente necessari, perché il Battesimo è necessario a tutti, nascendo tutti col peccato originale; la Penitenza, invece, è necessaria a quelli che, dopo il Battesimo, han perduto la grazia peccando mortalmente.

280. Se il Battesimo è necessario a tutti, può salvarsi nessuno senza Battesimo?

Senza Battesimo nessuno può salvarsi; quando però non si possa ricevere il Battesimo di acqua, basta il Battesimo di sangue, cioè il martirio sofferto per Gesù Cristo, oppure il Battesimo di desiderio che è l’amor di carità, desideroso dei mezzi di salute istituiti da Dio.

*281. Quante volte si possono ricevere i sacramenti?

I sacramenti si possono ricevere alcuni più volte, altri una volta sola.

*282. Quali sacramenti si ricevono una volta sola?

Si ricevono una volta sola il Battesimo, la Cresima e l’Ordine.

*283. Perché il Battesimo, la Cresima e l’Ordine si ricevono una volta sola?

Il Battesimo, la Cresima e l’Ordine si ricevono una volta sola, perché imprimono nell’anima un carattere permanente, operando una consacrazione perpetua dell’uomo a Gesù Cristo, la quale lo distingue da chi non l’abbia.

*284. Che cos’è il carattere?

Il carattere è un segno distintivo spirituale che non si cancella mai.

*285. Qual carattere imprimono nell’anima il Battesimo, la Cresima e l’Ordine?

Il Battesimo imprime nell’anima il carattere di Cristiano; la Cresima quello di soldato di Gesù Cristo; l’Ordine quello di suo ministro.

*286. Quante cose si richiedono per fare un sacramento?

Per fare un sacramento si richiedono tre cose: la materia, la forma, e il ministro, il quale abbia l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa.

*287. Che cos’è la materia del sacramento?

Materia del sacramento è l’elemento sensibile che si richiede per farlo, come l’acqua nel Battesimo.

*288. Che cos’è la forma del sacramento?

Forma del sacramento sono le parole che il ministro deve proferire nell’atto stesso di applicare la materia.

*289. Chi è il ministro del sacramento?

Ministro del sacramento è la persona capace che lo fa o conferisce, in nome e per autorità di Gesù Cristo.

CAPO II.

Battesimo.

*290. Che cos’è il Battesimo?

Il Battesimo è il sacramento che ci fa Cristiani. cioè seguaci di Gesù Cristo, figli di Dio e membri della Chiesa.

291. Qual è la materia del Battesimo?

Materia del Battesimo è l’acqua naturale.

*292. Qual è la forma del Battesimo?

Forma del Battesimo sono le parole Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo.

*293. Chi è ministro del Battesimo?

Ministro del Battesimo è, d’ordinario, il sacerdote, ma, in caso di necessità, può essere chiunque, anche un eretico o infedele, purché abbia l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa.

*294. Come si dà il Battesimo?

Il Battesimo si dà versando l’acqua sul capo del battezzando e dicendo nello stesso tempo le parole della forma.

295. Quali effetti produce il Battesimo?

Il Battesimo conferisce la prima grazia santificante e le virtù soprannaturali, togliendo il peccato originale e gli attuali, se v i sono, con ogni debito di pena per essi dovuta; imprime il carattere di Cristiano e rende capace di ricevere gli altri sacramenti.

296. Il Battesimo trasforma l’uomo?

Il Battesimo trasforma l’uomo nello spirito e lo fa come rinascere rendendolo un uomo nuovo; perciò allora gli si dà un nome conveniente, quello di un Santo che gli sia esempio e protettore nella vita di Cristiano.

297. Chi riceve il Battesimo a che cosa si obbliga?

Chi riceve il Battesimo, diventando Cristiano, si obbliga a professar la Fede e ad osservar la Legge di Gesù Cristo; e perciò rinunzia a quanto vi si oppone.

298. A che si rinunzia nel ricevere il Battesimo?

Nel ricevere il Battesimo si rinunzia al demonio, alle sue opere e alle sue pompe.

299. Che s’intende per opere e pompe del demonio?

Per opere e pompe del demonio s’intendono i peccati, le vanità del mondo e le sue massime perverse, contrarie al Vangelo.

300. I bambini nel Battesimo come rinunziano al demonio?

I bambini nel Battesimo rinunziano al demonio per mezzo dei padrini.

301. Chi sono i padrini nel Battesimo?

I padrini nel Battesimo son quelli che presentano alla Chiesa il battezzando, rispondono in suo nome se è bambino, assumendosi, quali padri spirituali, la cura della sua educazione cristiana, se vi mancassero i genitori, e perciò debbono essere buoni Cristiani.

302. Siamo noi obbligati a mantener le promesse e le rinunzie fatte dai padrini a nome nostro nel Battesimo?

Siamo obbligati a mantener le promesse e le rinunzie fatte dai padrini a nome nostro nel Battesimo, perché esse c’impongono solo quello che Dio impone a tutti, e che dovremmo noi stessi promettere per salvarci.

303. I genitori o chi ne tiene il luogo, quando debbono mandare il bambino al Battesimo?

I genitori o chi ne tiene il luogo, debbono mandare il bambino al Battesimo non più tardi di otto dieci giorni; anzi conviene assicurargli subito la grazia e la felicità eterna, potendo egli molto, facilmente morire.

CAPO III.

Cresima o Confermazione.

*304. Che cos’è la Cresima o Confermazione?

L a Cresima o Confermazione è il sacramento che ci fa perfetti Cristiani e soldati di Gesù Cristo, e ce ne imprime il carattere.

305. Qual è la materia della Cresima?

Materia della Cresima è il sacro crisma, cioè l’olio misto con balsamo, consacrato dal Vescovo il giovedì santo.

306. Qual è la forma della Cresima?

Forma della Cresima sono le parole Ti segno col segno della Croce, e ti confermo col crisma della salute, nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo.

*307. Chi è ministro della Cresima?

Ministro della Cresima è il Vescovo, e, straordinariamente, il sacerdote che ne abbia facoltà dal Papa,

308. Il Vescovo come amministra la Cresima?

Il Vescovo, stese le mani sopra i cresimandi, invoca lo Spirito Santo, poi col sacro crisma unge in forma di croce la fronte di ciascuno, pronunziando le parole della forma, quindi gli dà un leggero schiaffo dicendo: La pace sia con te; e alla fine benedice solennemente tutti i cresimati.

*309. In che modo la Cresima ci fa perfetti Cristiani e soldati di Gesù Cristo?

La Cresima ci fa perfetti Cristiani e soldati di Gesù Cristo dandoci l’abbondanza dello Spirito Santo, cioè della sua grazia e de’ suoi doni, i quali ci confermano o rafforzano nella fede e nelle altre virtù contro i nemici spirituali.

310. A qual età è bene ricevere la Cresima?

È bene ricevere la Cresima all’età di sette anni circa, perché allora sogliono cominciare le tentazioni, e si può abbastanza conoscere la santità e la grazia di questo sacramento.

*311. Chi riceve la Cresima, quali disposizioni deve avere?

Chi riceve la Cresima deve essere in grazia di Dio, e, se ha l’uso di ragione, deve conoscere i misteri principali della Fede, e accostarsi al sacramento con divozione, profondamente compreso di ciò che il rito significa.

312. Che significa il sacro crisma?

Il sacro crisma, con l’olio che si espande e dà forza, significa la grazia abbondante della Confermazione; e col balsamo che è odoroso e preserva dalla corruzione, significa il buon odore delle virtù che il cresimato dovrà possedere, fuggendo la corruzione dei vizi.

313. Che significa l’unzione che si fa sulla fronte in forma di croce?

L’unzione che si fa sulla fronte in forme di croce, significa che il cresimato, da forte soldato di Gesù Cristo, dovrà portar alta la fronte senza arrossire della Croce e senza aver paura dei nemici della Fede.

314. Che significa il leggero schiaffo che il Vescovo dà al cresimato?

Il leggero schiaffo che il Vescovo dà al cresimato, significa che questi deve soffrire per la Fedi ogni affronto ed ogni pena.

315. Nella Cresima ci sono i padrini?

Nella Cresima ci sono per gli uomini i padrini, e per le donne le madrine, che debbono essere buoni Cristiani per edificare e assistere spiritualmente i cresimati.

CAPO IV.

Eucaristia.

§ 1. – Sacramento: istituzione, fine.

*316. Che cos’è l’Eucaristia?

L’Eucaristia è il sacramento che, sotto apparenze del pane e del vino, contiene realmente il Corpo, Sangue, Anima e Divinità del Nostro Signore Gesù Cristo per nutrimento delle anime.

317. Qual è la materia dell’Eucaristia?

Materia dell’Eucaristia è il pane di frumenti e il vino di uva.

318. Qual è la forma dell’Eucaristia?

Forma dell’Eucaristia sono le parole di Gesù Cristo: Questo è il Corpo mio; questo è il Calice del Sangue mio … sparso per voi e per molti a remissione dei peccati.*

*Orazioni, II, Canone.

319. Chi è ministro dell’Eucaristia?

Ministro dell’Eucaristia è il sacerdote il quale, pronunziando nella Messa le parole di Gesù Cristo, cambia il pane nel Corpo e il vino nel Sangue di Lui.

320. Gesù Cristo quando istituì l’Eucaristia?

Gesù Cristo istituì l’Eucaristia nell’ultima Cena, prima della sua Passione, quando consacrò il pane e il vino, e li distribuì, mutati in Corpo e Sangue suo, agli Apostoli, comandando che poi facessero altrettanto in sua memoria.

321. Perché Gesù Cristo istituì l’Eucaristia?

Gesù Cristo istituì l’Eucaristia, perché fosse nella Messa il sacrificio permanente del Nuovo Testamento e nella Comunione il cibo delle, anime, a perpetuo ricordo del suo amore e della sua Passione e Morte.

§ 2. – Presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucaristia.

*322. Nell’Eucaristia c’è lo stesso Gesù Cristo che è in cielo, e che nacque in terra da Maria Vergine?

Nell’Eucaristia c’è lo stesso Gesù Cristo che è in cielo, e che nacque in terra da Maria Vergine.

323. Perché credete voi che Gesù Cristo è veramente nell’Eucaristia?

Credo che Gesù Cristo è veramente nell’Eucaristia, perché Egli stesso disse Corpo e Sangue suo il pane e il vino consacrato, e perché così c’insegna la Chiesa; ma è un mistero, e grande mistero.

324. Che cos’è l’ostia prima della consacrazione?

L’ostia prima della consacrazione è pane.

325. Dopo la consacrazione che cos’è l’ostia?

Dopo la consacrazione l’ostia è il vero Corpo di Nostro Signor Gesù Cristo sotto le apparenze del pane.

326. Nel calice prima della consacrazione che cosa si contiene?

Nel calice prima della consacrazione si contiene vino con alcune gocce d’acqua.

327. Dopo la consacrazione che cosa c’è nel calice?

Nel calice dopo la consacrazione c’è il Sangue del Nostro Signor Gesù Cristo sotto 1e apparenze del vino.

*328. Quando diventano Corpo e Sangue di Gesù il pane e il vino?

Il pane e il vino diventano Corpo e Sangue di Gesù al momento della consacrazione.

*329. Dopo la consacrazione non c’è più niente del pane e del vino?

Dopo la consacrazione non c’è più nè pane né vino, ma ne restano solamente le specie o apparenze, senza la sostanza.

330. Che cosa sono le specie o apparenze?

Le specie o apparenze sono tutto ciò che cade sotto i sensi, come la figura, il colore, l’odore, il sapore del pane e del vino.

331. Sotto le apparenze del pane c’è solo il Corpo di Gesù Cristo, e sotto quelle del vino c’è solo il suo Sangue?

No, sotto le apparenze del pane c’è Gesù Cristo, in Corpo, Sangue, Anima e Divinità così sotto quelle del vino.

*332. Quando si rompe l’ostia in più parti, si rompe il Corpo di Gesù Cristo?

Quando si rompe l’ostia in più parti, non si rompe il Corpo di Gesù Cristo, ma solamente le specie del pane; e il Corpo del Signore rimane intero in ciascuna parte.

333.  Gesù Cristo si trova in tutte le ostie consasacrate?

Gesù Cristo si trova in tutte le ostie consacrate del mondo.

334. Perché si conserva nelle chiese la santissima Eucaristia?

La santissima Eucaristia si conserva nelle chiese, perché i fedeli l’adorino, perché la ricevano nella comunione, e perché sentano in essa la perpetua assistenza e presenza di Gesù Cristo nella Chiesa.

§ 3. – Santa comunione: disposizioni, obbligo, effetti.

*335. Quante cose sono necessarie per fare una buona comunione?

Per fare una buona comunione sono necessarie tre cose: 1° essere in grazia di Dio; 2° sapere e pensare chi si va a ricevere; 3° essere digiuno dalla mezzanotte.

*336. Che significa essere in grazia di Dio?

Essere in grazia di Dio significa avere la coscienza monda da ogni peccato mortale.

337. Chi si comunica sapendo d’essere in peccato mortale, riceve Gesù Cristo?

Chi si comunica sapendo d’essere in peccato mortale, riceve Gesù Cristo, ma non la sua grazia anzi, commettendo un orribile sacrilegio, si rende meritevole di dannazione.

338. Che significa sapere e pensare chi si va a ricevere?

Sapere e pensare chi si va a ricevere significa accostarsi a Nostro Signor Gesù Cristo nell’Eucaristia con fede viva, con ardente desiderio e con profonda umiltà e modestia.

*339. Qual digiuno si richiede prima della comunione?

Prima della comunione si richiede il digiuno naturale ossia totale, che si rompe con qualunque cosa presa a modo di cibo o di bevanda.

340. È  permessa mai la comunione a chi non è digiuno?

La comunione a chi non è digiuno, è permessa in pericolo di morte, e durante le lunghe malattie, nelle condizioni determinate dalla Chiesa.

341. C’è obbligo di ricevere la comunione?

C’è obbligo di ricevere la comunione ogni anno a Pasqua, e in pericolo di morte, come viatico che sostenti l’anima nel viaggio all’eternità.

*342. A qual età comincia l’obbligo della comunione pasquale?

L’obbligo della comunione pasquale comincia all’età in cui si è capaci di farla con sufficienti disposizioni, cioè, d’ordinario, circa i sette anni.

*343. È cosa buona e utile comunicarsi spesso?

È cosa ottima e utilissima comunicarsi spesso, anche tutti i giorni, purché si faccia sempre con le dovute disposizioni.

344. Dopo la comunione, quanto tempo resta in noi Gesù Cristo?

Dopo la comunione Gesù Cristo resta in noi finché durano le specie eucaristiche.

345. Quali effetti produce l’Eucaristia in chi la riceve degnamente?

L’Eucaristia, in chi la riceve degnamente, conserva e accresce la grazia, che è la vita dell’anima, come fa il cibo per la vita del corpo; rimette i peccati veniali e preserva dai mortali; dà spirituale consolazione e conforto, accrescendo la carità e la speranza della vita eterna di cui è pegno.

§ 4. – Santo sacrificio della Messa.

* 346. L’Eucaristia è solo un sacramento?

L’Eucaristia non è solo un sacramento, ma è anche il sacrificio permanente del Nuovo Testamento, e come tale si chiama la santa Messa.

347. Che cos’è il sacrificio?

Il sacrificio è la pubblica offerta a Dio d’una cosa che si distrugge per professare che Egli è il Creatore e Padrone supremo, al quale tutto interamente è dovuto.

*348. Che cos’è la santa Messa?

L a santa Messa è il sacrificio del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo che, sotto le specie del pane e del vino, si offre dal sacerdote a Dio sull’altare, in memoria e rinnovazione del sacrificio della Croce.

349. Il sacrificio della Messa è il sacrificio stesso della croce?

Il sacrificio della Messa è il sacrificio stesso della Croce; solo c’è differenza nel modo di compierlo.

350. Che differenza c’è tra il sacrificio della Croce e quello della Messa?

Tra il sacrificio della Croce e quello della  Messa c’è questa differenza, che Gesù Cristo sulla Croce si sacrificò dando volontariamente il proprio Sangue, e meritò ogni grazia per noi; invece sull’altare Egli, senza spargere sangue, si sacrifica e si annienta misticamente pel ministero del sacerdote, e ci applica i meriti del sacrificio della Croce.

351. Per quali fini si offre a Dio la Messa?

La Messa si offre a Dio per rendergli il culto supremo di latria o adorazione, per ringraziarlo de’ suoi benefizi, per placarlo e dargli soddisfazione dei nostri peccati, e per ottener grazie, a vantaggio dei fedeli vivi e defunti.

352. La Messa non si offre anche ai Santi?

La Messa non si offre ai Santi, ma a Dio solo, anche quando si celebri in onor dei Santi: il sacrificio spetta solo al Creatore e Padrone supremo.

*353. Siamo obbligati ad ascoltare la Messa?

Siamo obbligati ad ascoltare la Messa la domenica e le altre feste comandate; giova però assistervi spesso, per partecipare al più grande atto della Religione, sommamente grato a Dio e meritorio.

354. Qual è il modo più conveniente di assistere alla Messa?

Il modo più conveniente di assistere alla Messa è di offrirla a Dio in unione col sacerdote, ripensando al sacrificio della Croce, cioè alla Passione e Morte del Signore, e comunicandosi: la comunione è unione reale alla Vittima immolata, ed è perciò la maggior partecipazione al santo Sacrificio.

CAPO V.

Penitenza.

§ 1. – Sacramento e sue parti – Esame di coscienza.

*355. Che cos’è la Penitenza?

L a Penitenza o Confessione è il sacramento istituito da Gesù Cristo per rimettere i peccati commessi dopo il Battesimo.

356. Il sacramento della Penitenza quando fu istituito da Gesù Cristo?

Il sacramento della Penitenza fu istituito da Gesù Cristo quando disse agli Apostoli, e in essi ai loro successori: «Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno loro rimessi; e saranno ritenuti a chi li riterrete » . *

*s. Giov., XX, 22-23.

357. Chi è ministro della Penitenza?

Ministro della Penitenza è il sacerdote approvato dal Vescovo.

*358. Quante e quali cose si richiedono per fare una buona confessione?

Per fare una buona confessione si richiedono cinque cose: 1° l’esame di coscienza; 2° il dolore dei peccati; 3 ° il proponimento di non commetterne più; 4° la confessione; 5° la soddisfazione o penitenza.

*359. Come si fa l’esame di coscienza?

L’esame di coscienza si fa richiamando alla mente i peccati commessi in pensieri, parole, opere ed omissioni, contro i comandamenti di Dio, i precetti della Chiesa e gli obblighi del proprio stato, a cominciare dall’ultima confessione ben fatta.

360. Neil’ esame dobbiamo ricercare il numero dei peccati?

Nell’esame dobbiamo ricercare con diligenza anche il numero dei peccati mortali.

§ 2. – Dolore e proponimento.

*361. Che cos’è il dolore?

Il dolore o pentimento è quel dispiacere dei peccati commessi, che ci fa proporre di non più peccare.

362. Di quante specie è il dolore?

Il dolore è di due specie: perfetto o contrizione, e imperfetto o attrizione.

363. Che cos’è il dolore perfetto o contrizione?

Il dolore perfetto o contrizione è il dispiacere dei peccati commessi, perché sono offesa a Dio nostro Padre, infinitamente buono e amabile, e cagione della Passione e Morte del Nostro Redentore Gesù Cristo, Figliuolo di Dio.

364. Perché la contrizione è dolore perfetto?

La contrizione è dolore perfetto, perché nasce da un motivo perfetto, cioè dall’amore filiale di Dio o carità, e perché ci ottiene subito il perdono dei peccati, sebbene resti l’obbligo di confessarli.

365. Che cos’è il dolore imperfetto o attrizione?

Il dolore imperfetto o attrizione è il dispiacere dei peccati commessi, per il timore dei castighi eterni e temporali, o anche per la bruttezza del peccato.

366. Perché l’attrizione è dolore imperfetto?

L’attrizione è dolore imperfetto, perché nasce da motivi meno perfetti e propri di sèrvi anziché di figli, e perché non ci ottiene il perdono dei peccati se non mediante il sacramento.

*367. E necessario aver dolore di tutti i peccati commessi?

È necessario aver dolore di tutti i peccati mortali commessi, senza eccezione; e conviene averlo anche dei veniali.

368. Perché è necessario aver dolore di tutti i peccati mortali?

È necessario aver dolore di tutti i peccati mortali, perché con qualunque di essi si è gravemente offeso Dio, se ne è perduta la grazia, e si merita di restare separati da Lui in eterno.

*369. Che cos’è il proponimento?

Il proponimento è la volontà risoluta di non commettere mai più peccati e di fuggirne le occasioni.

370. Che cos’è l’occasione del peccato?

L’occasione del peccato è ciò che ci mette in pericolo di peccare, sia persona sia cosa.

371. Siamo obbligati a fuggire le occasioni dei peccati?

Siamo obbligati a fuggire le occasioni dei peccati, perché siamo obbligati a fuggire il peccato: chi non le fugge, finisce per cadere, poiché « chi ama il pericolo perirà in esso».*

* ECCLI.,III,27.

§ 3. – Confessione dei peccati;

*372. Che cos’è la confessione?

La confessione è l’accusa dei peccati fatta al sacerdote confessore, per averne l’assoluzione.

*373. Di quali peccati siamo obbligati a confessarci?

Siamo obbligati a. confessarci di tutti i peccati mortali non ancora confessati o confessati male; giova però confessare anche i veniali.

374. Come dobbiamo accusare peccati mortali?.

Dobbiamo accusare i peccati mortali pienamente, senza farci vincere da una falsa vergogna a tacerne alcuno, dichiarandone la specie, il numero e anche le circostanze che aggiungessero una nuova grave malizia.

375. Chi non ricorda il numero preciso dei peccati mortali, che deve fare?

Chi non ricorda il numero preciso dei peccati mortali, deve far capire il numero che gli sembra più vicino alla verità.

376. Perché non dobbiamo farci vincere dalla vergogna a tacere qualche peccato mortale?

Non dobbiamo farci vincere dalla vergogna a tacere qualche peccato mortale, perché  ci confessiamo a Gesù Cristo nella persona del confessore, e questi non può rivelar nessun peccato, a costo anche della vita; e perché, altrimenti, non ottenendo il perdono saremo svergognati dinanzi a tutti, nel giudizio universale.

*377. Chi per vergogna o per altro motivo tacesse un peccato mortale, farebbe una buona confessione?

Chi per vergogna o per altro motivo non giusto tacesse un peccato mortale, non farebbe una buona confessione, ma commetterebbe un sacrilegio.

*378. Che deve fare chi sa di non essersi confessato bene?

Chi sa di non essersi confessato bene, deve rifare le confessioni mal fatte e accusarsi dei sacrilègi commessi.

379. Chi senza colpa tralasciò o dimenticò un peccato mortale, ha fatto una buona confessione?

Chi senza colpa tralasciò o dimenticò un peccato mortale, ha fatto una buona confessione; ma gli resta l’obbligo di accusarsene in seguito.

§ 4. – Assoluzione – Soddisfazione – Indulgenze,

*380. Che cos’è l’assoluzione?

L’assoluzione è la sentenza con cui il sacerdote, in nome di Gesù Cristo, rimette i peccati al penitente dicendo: Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Così sia.

381. Rimessi con l’assoluzione i peccati, è anche rimessa ogni pena meritata?

Rimessi con l’assoluzione i peccati, è rimessa la pena eterna meritata col peccato mortale, ma se non si abbia una contrizione perfettissima, rimane ordinariamente da scontare, in questa vita o nell’altra, una pena temporanea.

*382. Che cos’è la soddisfazione o penitenza sacramentale?

L a soddisfazione o penitenza sacramentale è l’opera buona imposta dal confessore a castigo e a correzione del peccatore, e a sconto della pena temporanea meritata peccando.

383. Quando conviene fare la penitenza sacramentale?

Conviene fare la penitenza sacramentale presto, se il confessore non ne ha assegnato il tempo.

384. La penitenza sacramentale basta a liberarci da tutta la pena temporanea meritata col peccato?

La penitenza sacramentale non basta, d’ordinario a liberarci da tutta la pena meritata col peccato, e perciò conviene supplire con altre opere di penitenza e di pietà e con indulgenze.

385. Quali sono le opere di penitenza e di pietà?

Le opere di penitenza e di pietà sono: i digiuni, le mortificazioni, gli atti di misericordia spirituale e corporale, * le preghiere, e l’uso pio di quelle cose benedette e di quelle cerimonie sacre che si chiamano sacramentali, come l’acqua santa e le varie benedizioni. •* Formule 21, 22

386. Che cos’è l’indulgenza? L’indulgenza è una remissione di pena temporanea dovuta per i peccati, che la Chiesa concede sotto certe condizioni a ehi è in grazia, applicandogli i meriti e le soddisfazioni sovrabbondanti di Gesù Cristo, della Madonna e dei Santi, le quali costituiscono il tesoro della Chiesa.

*387. Di quante specie è l’indulgenza?

L’indulgenza è di due specie: plenaria e  parziale.

3S8. Qual è l’indulgenza plenaria?

L’indulgenza plenaria è quella che rimette tutta la pena temporanea dovuta per i peccati.

389. Qual è l’indulgenza parziale?

L’indulgenza parziale è quella che rimette soltanto una parte della pena temporanea dovuta per i peccati.

390. Che s’intende per indulgenza di quaranta o cento giorni, di sette anni e simili?

Per indulgenza di quaranta o cento giorni, di sette anni e simili,* s’intende la remissione di tanta pena temporanea, quanta se ne sarebbe scontata con quaranta, cento giorni o sette anni della penitenza anticamente stabilita dalla Chiesa.

*391. Che si richiede per acquistare le indulgenze?

Per acquistare le indulgenze si richiede di essere in stato di grazia e di eseguire bene le opere prescritte.

CAPO VI.

Estrema Unzione.

*392. Che cos’è l’Estrema Unzione?

L’Estrema Unzione, detta pure Olio santo, è il sacramento istituito a sollievo spirituale e anche corporale dei Cristiani gravemente infermi.

393. Chi è ministro dell’Estrema Unzione?

Ministro dell’Estrema Unzione è il sacerdote parroco, o altro sacerdote che ne abbia il permesso.

394. Il sacerdote come amministra l’Estrema Unzione?

Il sacerdote amministra l’Estrema Unzione ungendo in forma di croce, con l’olio benedetto dal Vescovo, gli organi dei sensi dell’infermo e dicendo: Per questa unzione santa e per la sua pietosissima misericordia, il Signore ti perdoni ogni culpa commessa con la vista, con l’udito, ecc. Così sia.

395. Che effetti produce l’Estrema Unzione?

L’Estrema Unzione accresce la grazia santificante; cancella i peccati veniali, e anche i mortali che l’infermo, attrito, non potesse confessare; dà forza per sopportare pazientemente il male, resistere alle tentazioni e morire santamente, e aiuta anche a ricuperare la sanità, se è bene per l’anima.

396. Quando si può dare l’Olio santo?

L’Olio santo si può dare quando la malattia è pericolosa; ed è bene darlo subito dopo la confessione e il Viatico, mentre il malato conserva la conoscenza.

CAPO VII.

Ordine.

*397. Che cos’è l’Ordine?

L’Ordine è il sacramento che dà la potestà di compiere le azioni sacre riguardanti l’Eucaristia e la salute delle anime, e imprime il carattere di ministri di Dio.

398. Chi è ministro dell’Ordine? »

Ministro dell’Ordine è il Vescovo, che dà lo Spirito Santo e la potestà sacra col l’imporre le mani e consegnare gli oggetti sacri propri dell’Ordine, dicendo le parole della forma prescritta.

399. Perché il sacramento che fa i ministri di Dio si chiama Ordine?

Il sacramento che fa i ministri di Dio si chiama Ordine, perché comprende vari gradi di ministri l’uno subordinato all’altro, dai quali risulta la sacra Gerarchia.

400. Quali sono i gradi della sacra Gerarchia?

I gradi della sacra Gerarchia sono: gli Ordini minori, il Suddiaconato e il Diaconato, che sono preparatori; il Presbiterato o Sacerdozio che dà la potestà di consacrar l’Eucaristia e di rimettere i peccati; e l’Episcopato, pienezza del Sacerdozio, che dà quella di conferir gli Ordini, e di ammaestrare e governare i fedeli.

401. È grande la dignità del Sacerdozio?

La dignità del Sacerdozio è grandissima per la sua potestà sul Corpo reale di Gesù Cristo che rende presente nell’Eucaristia, e sul corpo mistico di Lui, la Chiesa, che governa, con la missione sublime di condurre gli uomini alla santità e alla vita beata.

402. Qual fine deve avere chi entra negli Ordini?

Chi entra negli Ordini deve aver per fine soltanto la gloria di Dio e la salute delle anime.

403. Può entrare ciascuno a suo arbitrio negli Ordini?

Nessuno può entrare a suo arbitrio negli Ordini, ma deve essere chiamato da Dio per mezzo del proprio Vescovo, cioè deve avere la vocazione, con le virtù e con le attitudini al sacro ministero, da essa richieste.

404. Chi entrasse nel Sacerdozio senza vocazione farebbe male?

Chi entrasse nel Sacerdozio senza vocazione farebbe malissimo, perché difficilmente potrebbe osservarne gli altissimi doveri, con evidente pericolo di scandali pubblici e di perdizione eterna.

405. Quali doveri hanno i fedeli verso i chiamati agli Ordini?

I fedeli hanno il dovere di lasciare ai figli e dipendenti piena libertà di seguir la vocazione; inoltre di chiedere a Dio buoni pastori e ministri, e digiunare a tal fine nelle quattro Tempora; finalmente di venerare gli ordinati come persone sacre a Dio.

CAPO VIII.

Matrimonio.

406. Che cos’è il Matrimonio?

II Matrimonio è il sacramento che unisce l’uomo e la donna indissolubilmente, come sono uniti Gesù Cristo e la Chiesa sua sposa, e dà loro la grazia di di santamente convivere e di educare eristianamente i figliuoli.

407. Chi è ministro del Matrimonio?

Ministri del Matrimonio sono gli sposi che lo contraggono.

408. Come si contrae il Matrimonio?

Il Matrimonio si contrae esprimendo il mutuo consenso davanti al parroco, o a un suo delegato, e a due testimoni, nel territorio della parrocchia.

* 409. Gli sposi nel contrarre il Matrimonio debono essere in grazia di Dio?

Gli sposi nel contrarre il Matrimonio debbono essere in grazia di Dio, altrimenti fanno un sacrilegio.

* 410. Che cos’è l’atto che si chiama matrimonio civile?

L’atto che si chiama matrimonio civile è la formalità prescritta dallo Stato perché il contratto matrimoniale abbia effetti civili.

411. Per i Cristiani basta far solamente l’atto civile?

Per i Cristiani non basta far solamente l’atto civile, perché questo non è sacramento: per essi, solo quello che è sacramento è matrimonio avanti a Dio.

412. Gli sposi debbono fare anche l’atto civile?

Gli sposi debbono fare anche l’atto civile, sebbene non sia sacramento, per assicurare a sé e ai figliuoli gli effetti civili della società coniugale; perciò la Chiesa non permette, d’ordinario, il matrimonio religioso se non si compiano anche gli atti prescritti dallo Stato.

413. Che doveri hanno gli sposi?

Gli sposi hanno il dovere di convivere santamente, di aiutarsi con affetto costante nelle necessità spirituali e temporali, e di educar bene i figliuoli, curandone l’anima non meno del corpo, e formandoli anzitutto alla religione e alla virtù con la parola e con l’esempio.

PREGHIAMO.

Questi sacramenti, o Signore, ci mondino con la loro potente virtù e ci facciano giungere puri a te che ne sei l’autore.(1)

Signore, la partecipazione a tuoi sacramenti ci salvi e ci confermi nella luce della tua verità. (2) Te ne supplichiamo per il tuo Figliuolo Gesù Cristo, ecc.

(1) Dalla Segreta della Domenica I dell’Avvento.

(2) Dal Postcomm. della Messa dei Ss. Ippolito e Cassiano (12 agosto).

PARTE III.

MEZZI DELLA GRAZIA

SEZIONE II.

ORAZIONE O MEZZO IMPETRATIVO.

Chiedete, e vi sarà dato; cercate e troverete; picchiate, e vi si aprirà. – (S. Luca XI, 9)

In verità, in verità vi dico: quanto domanderete al Padre in nome mio, ve lo concederà.      – (S. Giov., XVI, 23)

CAPO UNICO.

* 414. Che cos’è l’ orazione?

L’orazione è una pia elevazione dell’anima a Dio per ben conoscerlo, adorarlo, ringraziarlo e domandargli quanto ci bisogna.

*415. Di quante specie è l’orazione?

L’orazione è di due specie: mentale e vocali,

*416. Qual è l’orazione mentale?

L’orazione mentale è quella che si fa con la sola mente e col cuore: tali sono la meditazione delle verità cristiane e la contemplazione.

* 417. Qual è l’orazione vocale?

L’orazione vocale, detta più comunemente preghiera, è quella che si fa con le parole accompagnate dalla mente e dal cuore.

*418. Come si deve pregare?

Si deve pregare riflettendo che stiamo alla presenza dell’infinita maestà di Dio e abbiamo bisogno della sua misericordia; perciò dobbiamo esser umili, attenti e devoti.

*419. È necessario pregare?

È necessario pregare e pregare spesso, perché Dio lo comanda, e, ordinariamente, solo se si prega, Egli concede le grazie spirituali e temporali.

420. Perché Dio concede le grazie che domandiamo?

Dio concede le grazie che domandiamo, perché Egli, che è fedelissimo, ha promesso di esaudirci se lo preghiamo con fiducia e perseveranza nel nome di Gesù Cristo.

421. Perché dobbiamo pregar Dio nel nome di Gesù Cristo?

Dobbiamo pregar Dio nel nome di Gesù Cristo, perché solo da Lui, suo Figliuolo e unico Mediatore tra Dio e gli uomini, hanno valore le nostre preghiere e opere buone; perciò la Chiesa suol terminare le orazioni con queste o equivalenti parole … per il tuo Figliuolo Gesù Cristo, Nostro Signore.

422. Perché non siamo sempre esauditi nelle nostre preghiere?

Non siamo sempre esauditi nelle nostre preghiere, o perché preghiamo male, o perché domandiamo cose non utili al nostro vero bene, cioè al bene spirituale.

*423. Quali cose dobbiamo chiedere a Dio?

Dobbiamo chiedere a Dio la gloria sua, e per noi la vita eterna e le grazie anche temporali, come ci ha insegnato Gesù Cristo nel Pater noster.

*424. Che cos’è il Pater noster?

Il Pater noster è la preghiera insegnata e raccomandata da Gesù Cristo, la quale perciò si dice Orazione domenicale o del Signore, ed è la più eccellente di tutte.

425. Perché il Pater noster è la preghiera più eccellente?

Il Pater noster è la preghiera più eccellente perché è uscita dalla mente e dal Cuore di Gesti, racchiude in sette brevi domande ciò che dobbiamo chiedere a Dio come suoi figliuoli e come fratelli tra noi.

426. Che cosa dobbiamo chiedere come buoni figliuoli di Dio?

Come buoni figliuoli di Dio dobbiamo chiedere che in tutto il mondo si conosca e si onori il suo Nome e si propaghi il suo regno, la Chiesa, e che da tutti si compia la sua santissima volontà: e questo si chiede nelle prime tre domande del Pater noster.

427. Come fratelli tra noi che cosa dobbiamo chiedere?

Come fratelli tra noi dobbiamo chiedere il nutrimento corporale e spirituale, il perdono dei peccati, la difesa dalle tentazioni e la liberazione dal male: e questo si chiede, per noi e per tutti gli uomini, nelle ultime quattro domande del Pater noster.

428. Gesù Cristo perché ci fa invocar Dio come Padre nostro?

Gesù Cristo ci fa invocar Dio come Padre nostro per ricordarci che Dio è veramente padre di tutti, specialmente di noi Cristiani che, nel Battesimo, fummo adottati da Lui come figli suoi; e per ispirarci verso di Lui grande amore e fiduacia

429. Se Dio ascolta chi prega bene, perché invochiamo anche la Madonna, gli Angeli e i Santi?

Invochiamo anche la Madonna, gli Angeli e i Santi perché, essendo cari al Signore e pietosi verso di noi, ci aiutino nelle nostre domande con la loro potente intercessione.

430. Gli Angeli, i Santi e la Madonna, perché sono potenti intercessori presso Dio?

Gli Angeli e i Santi sono potenti intercessori presso Dio, perché suoi servi fedeli, anzi amici prediletti; la Madonna è potentissima, perché Madre di Dio e piena di grazia; perciò la invochiamo così spesso, tanto più che da Gesù Cristo ci fu lasciata per Madre.

*431. Con qual preghiera specialmente, invochiamo noi la Madonna?

Noi invochiamo la Madonna specialmente con l’Ave Maria o Salutazione angelica, detta così, perché comincia col saluto che le fece l’Arcangelo Gabriele annunziandole che era eletta Madre di Dio.

*432. Che cosa domandiamo alla Madonna, con l’Ave Maria?

Con l’Ave Maria domandiamo alla Madonna la sua materna intercessione per noi in vita e in morte.

433. L’invocare la Madonna e i Santi non dimostra forse sfiducia in Gesù Cristo, l’unico Mediatore, quasi non bastino i meriti di Lui ad ottenerci le grazie?

L’invocare la Madonna e i Santi non dimostra nessuna sfiducia in Gesù Cristo, l’unico Mediatore; al contrario una fede maggiore nei meriti di Lui, tanto grandi ed efficaci, che per essi, e solo per essi, la Madonna e i Santi hanno da Dio la grazia, i meriti e la potenza d’intercessione.

PREGHIAMO.

Signore, insegnaci a pregare. (1)

La tua misericordia, o Signore, sia aperta alle nostre preghiere, e, perché tu ci conceda quanto domandiamo, facci sempre chiedere ciò che a te piace. (2)

O Signore Gesù Cristo, che nel Getsemani, con la parola e con l’esempio, c’insegnasti a pregare per vincere i pericoli delle tentazioni, pietosamente concedi che noi, stando sempre intenti alla orazione, meritiamo di conseguirne i frutti abbondanti. Così sia. (3)

(1) S. LUCA, XI, 1.

(2) Dall’Orazione della Domenica IX dopo la Pentecoste

(3) Or. per il martedì della Settuagesima nell’Append. del Messale.

SANTO SANTO SANTO

IL SIGNORE

IL DIO ONNIPOTENTE

IL QUALE ERA

IL QUALE È E IL QUALE VERRÀ

A  LUI GLORIA PER I SECOLI

COSI SIA.

ORAZIONI QUOTIDIANE

A Dio

AL MATTINO.

In nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Così sia (1).

Vi adoro, mio Dio, e vi amo con tutto il cuore. Vi ringrazio di avermi creato, fatto cristiano e conservato in questa notte. Vi offro le azioni della giornata: fate che siano tutte secondo la vostra santa volontà per la maggior gloria vostra. Preservatemi dal peccato e da ogni male. La grazia vostra sia sempre con me e con tutti i miei cari Così sia.

Pater, Ave, Gloria, Credo, Atti di fede, di speranza e di carità, Salve Regina, Angele Dei.

(1) Indulgenza di 50 giorni, e di 100 segnandosi con l’acqua santa.

ALLA SERA.

Vi adoro, mio Dio, e vi amo con tutto il cuore. Vi ringrazio d’avermi creato, fatto Cristiano e conservato in questo giorno. Perdonatemi il male oggi commesso, e se qualche bene ho compiuto, accettatelo. Custoditemi nel riposo e liberatemi dai pericoli. La grazia vostra sia sempre con me e con tutti i miei cari. Così sia.

Pater, Ave, Gloria, Credo, Atti di fede, di speranza. e di carità; poi un breve esame di coscienza e l’Atto di dolore.

Per le anime del Purgatorio.

SALMO 129

De profundis clamavi ad te, Domine: * Domine, exaudi vocem meam.

Fiant aurea tuae intendentes * in vocem deprecationis meæ.

Si iniquitates observeris, Domine,* Domine, quis sustinebit?

Quia apud te propitiatio est,* et propter legem tuam sostinui te, Domine.

Sustinuit anima mea in verbo eius,* speravit anima mea in Domino.

A custodia matutina usque ad noctem* speret Israel in Domino.

Quia apud Dominum misericordia,* et copiosa apud eum redemptio.

Et ipse redimet Israel* ex omnibus iniquitatibus eius

Requiem aeternam* dona eis, Domine, Et lux perpetua* luceat eis

Requiescant in pace. Amen.

[Dal profondo alzai le mie grida a te, o Signore: * esaudisci, o Signore, la mia voce.

Siano intente le tue orecchie * alla voce di mia preghiera.

Se tu baderai, o Signore, alle iniquità, * chi, o Signore, potrà sostenersi?

Ma in te è clemenza, * e a causa della tua legge io ho confidato in te, o Signore.

L’anima mia si è affidata alla sua parola, * l’anima mia ha sperato nel Signore.

Dalla vigilia del mattino fino alla notte * speri Israele nel Signore.

Perché nel Signore è misericordia, * e redenzione copiosa presso di lui.

Ed Egli redimerà Israele * da tutte le sue iniquità.]

L’eterno riposo dona loro, o Signore E splenda ad essi la luce perpetua Riposino in pace. Amen.

Gesù, Giuseppe e Maria; vi dono il cuore e l’anima mia.

Gesù, Giuseppe e Maria assistetemi nell’ultima agonia.

Gesù, Giuseppe e Maria; spiri in pace con voi l’anima mia

ORAZIONI QUOTIDIANE

In onore di Maria Santissima

AL SUONO DELL’«ANGELUS»

LA MATTINA, AL MEZZODI’ E LA SERA

Angelus Domini nuntiavit Mariæ; et concept de Spiritu Sancto.

Ave, etc.

Ecce ancilla Domini; fiat mihi secundum verbum tuum..

Ave, etc

Et Verbum caro factum est, et habitavit in nobis.

Ave, etc.

S. Ora pro nobis, sancta Dei Genitrix,

C. Ut digni efficiamur promissionibus Christi.

OREMUS

Gratiam tuam, quaesumus Domine, mentibus

nostris infonde, ut qui, Angelo nuntiante, Christi

Filii tui Incarnationem cognovimus,

per Passionem eius et Crucem ad resurrectionis gloriam perducamur.

Per eundem Christum Dominum. nostrum.

Amen.

[L’Angelo del Signore annunziò a Maria, ed ella concepì di Spirito Santo.

Ave etc. …

Ecco l’ancella del Signore; si faccia a me secondo la tua parola.

Ave, ecc.

E il Verbo si fece carne, e abitò fra noi. Ave, etc.

S Prega per noi, o santa Madre di Dio

C. Affinché ci rendiamo degni delle promesse di Cristo.

PREGHIAMO.

Infondi, o Signore, nelle anime nostre la tua

grazia, affinché noi, che per l’annuncio

dell’Angelo abbiam conosciuto l’Incarnazione di

Cristo tuo Figliuolo, siamo condotti per i meriti

della sua Passione e della sua Croce alla gloria

della risurrezione. Per lo stesso Cristo Nostro

Signore. Così sia.]

MISTERI DEL SANTO ROSARIO

GAUDIOSI (lunedì e giovedì).

1. L’annunciazione dell’Angelo a Maria Vergine.

2. La visita di Maria Vergine a santa Elisabetta.

3. La nascita di Gesù Cristo nella capanna di Betlemme.

4. La presentazione di Gesù Bambino al tempio.

5. Il ritrovamento di Gesù fra i dottori nel tempio.

DOLOROSI (martedì e venerdì).

1. L’orazione di Gesù Cristo nell’orto.

2. La flagellazione di Gesù Cristo alla colonna.

3. La coronazione di spine.

4. Il viaggio al Calvario di Gesù carico della croce.

5. La crocifissione e morte di Gesù Cristo.

GLORIOSI (mercoledì, sabato e domenica).

1 La risurrezione di Gesù Cristo.

2. L’ascensione di Gesù Cristo al cielo.

3. La discesa dello Spirito Santo sopra Maria Vergine e gli Apostoli.

4 L’assunzione di Maria Vergine al cielo.

5. L’incoronazione di Maria Vergine e la gloria degli Angeli e dei Santi.

Sub tuum præsidium confugimus, sancta Dei Genitrix: nostras deprecationes ne despicias in necessitatibus; sed a periculis cunctis libera nos semper, Virgo gloriosa et benedicta.

[Sotto la tua protezione ci rifugiamo, o santa Madre di Dio: non disdegnare le preci che t’innalziamo nelle necessità, ma salvaci sempre da tutti i pericoli, o Vergine gloriosa e benedetta.]

LITANIE DELLA BEATA VERGINE

Kyrie, eleison,

Christe, eleison.

Kyrie, eleison.

Christe, audi nos.

Christe, exaudi nos.

Pater de cælis Deus, misexere nobis.

Fili Redemptor mundi Deus, miserere nobis.

Spiritus Sancte Deus, miserere nobis.

Sancta Trinitas, unus Deus, miserere nobis.

Sancta Maria ora pro nobis.

Sancta Dei Genitrix, ora …

Sancta Virgo virginum, ora …

Mater Christi, ora …

Mater divinæ gratiæ, ora.

Mater purissima, ora.

Mater castissima, ora.

Mater inviolata, ora.

Mater intemerata, ora.

Mater amabilis, ora.

Mater admirabilis, ora.

Mater boni consilii, ora.

Mater Creatoris, ora.

Mater Salvatoris, ora.

Virgo prudentissima, ora.

Virgo veneranda, ora.

Virgo prædicanda, ora.

Virgo potens, ora.

Virgo clemens, ora.

Virgo fidelis, ora.

Speculum iustitiæ, ora.

Sedes sapientiæ, ora.

Causa nostræ laetitiæ, ora.

Vas spirituale, ora.

Vas honorabile, ora.

Vas insigne devotionis, ora.

Rosa mystica, ora.

Turris davidica, ora.

Turris eburnea, ora.

Domus aurea, ora.

Fœderis arca, ora.

Ianua cæli, ora.

Stella matutina, ora.

Salus infirmorum, ora.

Refugium peccatorum, ora

Consolatrix afflictorum, ora.

Auxilium christianorum, ora.

Regina Angelorum, ora.

Regina Patriarcharum, ora.

Regina Prophetarum, ora.

Regina Apostolorum, ora.

Regina Martyrurn, ora.

Regina Confessorum, ora.

Regina Virginum, ora.

Regina Sanctorum omnium, ora.

Regina sine labe originali concepta, ora.

Regina sacratissimi Rosarii, ora.

Regina pacis, ora.

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, parce nobis, Domine.

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, exaudi nos, Domine.

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserere nobis:

Sancta Maria, succurre miseris, iuva pusillanimes, refove flebiles, ora pro populo, interveni pro clero, intercede pro devoto femineo sexu: sentiant omnes tuum iuvamen, quicumque celebrant tuum sanctum patrocinium.

Ora pro nobis, sancta Dei Genitrix, Ut digni efficiamur promissionibus Christi.

OREMUS.

Concede nos famulos tuos, quæsumus Dómine Deus, perpetua mentis et corporis sanitate

gaudere, et gloriosa beatæ Mariæ semper

Virginis intercessione a præsenti liberari

tristitia et aeterna perfrui lætitia. Per Christum

Dominum nostrum. Amen:

[O Santa Maria, soccorri i miseri, rendi forti i

pusillanimi, consola gli afflitti, prega per il

popolo, intervieni per il clero, intercedi per il

devoto sesso femminile: sentano il tuo aiuto tutti

quelli che celebrano e invocano il tuo santo

patrocinio.

Prega per noi, o santa Madre di Dio,

Affinché ci rendiamo degni delle promesse di

Cristo.

PREGHIAMO.

Signore Iddio, deh; concedi a noi, tuoi servi, di avere sempre sani spirito e corpo, e, mediante la intercessione gloriosa della beata sempre Vergine Maria, di essere liberati dalla presente tristezza e godere l’allegrezza eterna. Per Cristo Nostro Signore. Così sia.

II. PER IL SANTO SACRIFICIO DELLA MESSA

Al Principio

Sacerdote: In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti.

Amen. Introibo ad altarem Dei.

Chierico: Ad Deum, qui lætificat iuventutem meam.

[S. In nome del Padre e del Figliuolo e dello

Spirito Santo. Così sia. Mi accosterò all’altare di Dio

C. A Dio il quale dà letizia alla mia giovinezza.]

Salmo 42

[Si omette nelle messe dei morti].

S. ludica me, Deus, et discerne causam meam de gente non sancta,

ab homine iniquo et doloso erue me.

C. Quia tu es, Deus, fortitúdo mea; quare me repulisti?

et quare tristis incedo, dum afflígit me inimícus?

S. Emitte lucem tuam et veritatem tuam: ipsa

me deduxerunt et adduxerunt in montem

sanctum tuum et in tabernacula tua.

C. Et introibo ad altare Dei; ad Deum, qui

lætíficat iuventútem meam.

S. Confitebor tibi in cithara, Deus, Deus meus;

quare tristis es anima mea? et quare conturbas me?

C. Spera in Deo, quóniam adhuc confitébor illi,

salutàre vultus mei et Deus meus.

S. Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto.

C. Sicut erat in principio, et nunc, et semper,

et in sæcula sæculórum. Amen.

S. Introibo ad altare Dei.

C. Ad Deum, qui lætíficat iuventútem meam.

[S. Fammi ragione, o Dio, e prendi in mano la causa mia; liberami da una nazione non santa, dall’uomo iniquo e ingannatore.

C. Perocchè tu sei, o Dio, la mia fortezza; perché m’hai tu respinto? e perché son io triste, mentre mi affigge il nemico?

S. Fa’ spuntare la tua luce e la tua verità: esse m’istradino e mi conducano al tuo monte santo e a’ tuoi tabernacoli.

C. E mi accosterò all’altare di Dio; a Dio il quale dà letizia alla mia giovinezza.

S. Te io loderò sulla cetra, Dio, Dio mio; e perché, o anima mia, sei tu nella tristezza? E perché mi conturbi?

C. Spera in Dio, imperocchè ancora canterò le lodi di Lui, salute della mia faccia e Dio mio.

S. Gloria al Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo.

C. Come era nel principio, e ora, e sempre, e nei secoli dei secoli. Così sia.

S. Mi accosterò all’altare di Dio.

C. A Dio il quale dà letizia alla mia giovinezza.]

Al Confiteor

S. Adiutorium nostrum in nomine Domini.

C. Qui fecit cælum et terram.

S. Confiteor… ad Dominum Deum nostrum.

C. Misereàtur tui omnípótens Deus, et,

dimíssis peccátis tuis, perdúcat te ad vitam ætérnam.

S. Amen.

C. Confiteor Deo omnipotenti, beatae Maríæ

semper Vírgini, beàto Michaéli Archángelo,

beàto Ioánni Baptistæ, sanctis Apóstolis Petro

et Páulo, omnibus Sanctis et tibi, pater, quia

peccàvi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea

culpa, mea culpa, mea máxima culpa.

Ideo precor beatam Maríam semper Virginem,

beàtum Michaélem Archàngelum, beátum

Ioánnem Baptistam, sanctos Apóstolos Petrum

et Pàulum, omnes Sanctos et te, pater, oráre

pro me ad Dóminum Deum nostrum

S. Misereatur vestri omnipotens Deus, et,

dimissis peccatis vestris, perducat vos ad

vitam æternam.

C. Amen.

S. Indulgentiam, absolutionem, et remissionem

peccatorum nostrorum tribuat nobis

omnipotens et misericors Dominus.

C. Amen.

S. Deus, tu conversus vivificabis nos.

C. Et plebs tua laetbitur in te.

S. Ostende nobis, Domine, misericordiam

tuam.

C. Et salutare tuum da nobis.

S Domine, exaudi orationem meam

C. Et clamor meus ad te véniat.

S Dominus vobiscum.

C. Et cum spiritu tuo.

S. Oremus

[S. Il nostro soccorso è nel nome del Signore.

C. Che ha fatto il cielo e la terra.

S. Confesso… al Signore Dio nostro.

C. Dio onnipotente abbia misericordia di te, e, rimessi i tuoi peccati, ti conduca alla vita eterna.

S. Così sia.

C. Confesso a Dio onnipotente, alla beata Vergine Maria, a san Michele Arcangelo, a san Giovanni Battista, ai santi Apostoli Pietro e Paolo, a tutti i Santi e a te, o padre, che ho molto peccato in pensieri, in parole e in opere, per mia colpa, per mia colpa, per mia grandissima colpa: Perciò supplico la beata Vergine Maria, san Michele Arcangelo, san Giovanni Battista, i santi Apostoli Pietro e Paolo, tutti i Santi e te, o padre, di pregare per me il Signore Dio nostro.

S. Dio onnipotente abbia misericordia di voi,

e, rimessi i vostri peccati, vi conduca alla vita eterna.

C. Così sia.

S. L’onnipotente e misericordioso Signore ci conceda il perdono, l’assoluzione e la remissione dei nostri peccati.

C. Così sia.

S. O Dio, rivolgendoti a noi, tu ci renderai la vita.

C. E il tuo popolo in te si rallegrerà.

S. Fa’ vedere a noi, o Signore, la tua misericordia.

C. E dà a noi la tua salute.

S. Signore, esaudisci la mia preghiera.

C. E a te giunga il mio grido.

S. Il Signore sia con voi.

C. E anche col tuo spirito.

S. Preghiamo.

S. Toglici, o Signore, le nostre iniquità , affinchè con anima pura meritiamo d’entrare nel Santo dei Santi (all’Altare). Per Cristo Nostro Signore. Così sia.

Signore, per i meriti dei Santi dei quali son qui le reliquie, e di tutti i tuoi Santi, degnati, te ne preghiamo, di perdonarmi tutti i peccati.

Così sia. ]

KYRIE

S. Kyrie, eleison.

C. Kyrie, eléison.

S. Kyrie, eleison.

C. Christe, eléison.

S. Christe, eleison.

C. Christe, eléison.

S. Kyrie, eleison.

C. Kyrie, eléison.

S. Kyrie, eleison.

[S. Signore, abbi pietà di noi.

C. Signore, abbi pietà di noi.

S. Signore, abbi pietà di noi.

C. Cristo, abbi pietà di noi.

S. Cristo, abbi pietà di noi.

C. Cristo, abbi pietà di noi.

S. Signore, abbi pietà di noi.

C. Signore, abbi pietà di noi.

S. Signore, abbi pietà di noi.]

GLORIA IN EXCELSIS DEO

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax hominibus bonae voluntàtis.

Laudamus te. Benedicimus te. Adoramus te.

Glorificàmus te.

Gràtias agimus tibi propter magnam glóriam tuam.

Dómine Deus, Rex cælestis, Deus Pater omnípotens.

Domine Fili unigénite Iesu Christe.

Dómine Deus, Agnus Dei, Filius Patrís.

Qui tollis pecccata mundi, miserére nobis.

Qui tollis peccata mundi,

súscipe deprecatiónem nostram.

Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis.

Quóniam tu solus sanctus. Tu solus Dóminus.

Tu solus Altissimus, Iesu Christe.

Cum Sancto Spiritu in glória Dei Patris. Amen.

S. Dominus vobiscum.

C. Et cum spirito tuo.

[S. Sia gloria a Dio nel più alto de’ cieli e pace

sulla terra agli uomini di buona volontà.

Noi ti lodiamo; ti benediciamo;

ti adoriamo; ti glorifichiamo;

ti rendiamo grazie a cagione della tua gloria

infinita, o Signore Iddio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente;

o Signore Gesù Cristo, Figliuolo unigenito.

Signore Dio, Agnello di Dio, Figliuolo del

Padre, tu che togli i peccati del mondo, abbi

pietà di noi. Tu che togli i peccati del mondo,

accogli la nostra preghiera. Tu che siedi alla

destra del Padre, abbi pietà di noi. Perchè tu

solo, o Gesù Cristo, sei il Santo, tu solo il

Signore, tu solo l’Altissimo,

insieme con lo Spirito Santo, nella gloria di

Dio Padre. Così sia.]

S. 11 Signore sia con voi.

C. E anche col tuo spirito.

ALLA FINE DEGLI «OREMUS»

C. Amen C. Così sia.

FINITA L’EPISTOLA

C. Deo grátias. C. Siano grazie a Dio.

PRIMA DEL VANGELO.

S. Mondami il cuore e le labbra, o Dio onnipotente, che mondasti con acceso carbone le labbra del profeta Isaia: con la tua benigna misericordia degnati di mondarmi in modo che io possa annunziare degnamente il tuo santo Vangelo. Per Cristo Nostro Signore. Così sia.

Il Signore mi sia nel cuore e sulle labbra, affinché io in modo degno e conveniente annunzi il suo Vangelo. Così sia.

S. Dominus vobiscum.

C. Et cum spíritu tuo.

S. Initium o Sequentia sancti Evangelii secundum N.

C. Glória tibi, Dómine.

[S. Il Signore sia con voi.

C. E anche col tuo spirito.

S. Principio o Seguito del santo Vangelo secondo N.

C. Gloria a te, o Signore.

FINITO IL VANGELO

C. Laus tibi, Christe. C. Lode a te, o Cristo.

CREDO O SIMBOLO NICENO-COSTANTINOPOLITANO.

S. Credo in unum Deum, Patrem omnipoténtem,

factórem caeli et terrae, visibílium ómnium, et invisibilium.

Et in unum Dóminum lesum Christum, Fílium Dei unigénitum.

Et ex Patre, natum ante ómnia saécula. Deum de Deo, lumen de lúmine,

Deum verum de Deo vero.

Génitum, non factum, consubstantiálem Patri:

per quem ómniaa facta sunt.

Qui propter nos hómines, et propter nostram

salútem descendit de cælis.

Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria

Virgine: et homo factus est. Crucifixus étiam

pro nobis: sub Póntio Piláto passus, et sepúltus est.

Et resurréxit tértia die, secúndum Scriptúras. Et

ascéndit in caelum: sedet ad déxteram Patris.

Et iterum ventúrus est cum glória iudicáre vivos

et mórtuos: cuius regni non erit finis.

Et in Spíritum Sanctum, Dóminum, et

vivificàntem: qui ex Patre Filióque procédit.

Qui cum Patre, et Filio simul adorátur, et

conglorificátur: qui locútus est per Prophétas.

Et unam, sanctam, cathólicam et apostólicam Ecclésiam.

Confiteor unum baptisma in remissiónem peccatórum.

Et exspécto resurrectiónem mortuórum. Et

vitam ventúri saéculi. Amen.

S. Dominus vobiscum.

C. Et cum spíritu tuo.

[S. Io credo in un solo Dio Padre onnipotente,

creatore del cielo e della terra, di tutte le cose

visibili e delle invisibili;

e in un solo Signore Gesù Cristo, Figliuolo

unigenito di Dio, nato dal Padre prima di tutti i

secoli, Dio da Dio, lume da lume, vero Dio dal vero Dio,

che fu generato e non fatto, ed è consostanziale

al Padre; per mezzo del quale tutte le cose furono fatte.

Il quale per noi uomini e per la nostra salvezza

discese dai cieli (genuflessione), e s’incarnò da

Maria Vergine per opera dello Spirito Santo, e si fece uomo;

per noi fu anche crocifisso, patì sotto Ponzio

Pilato e fu seppellito;

e risuscitò il terzo giorno conforme alle

Scritture, e salì al cielo, siede alla destra del Padre,

e tornerà di nuovo con gloria a giudicare i vivi

e i morti, il regno del quale non avrà fine.

E nello Spirito Santo, Signore e vivificante, che

procede dal Padre e dal Figliuolo;

che è adorato e glorificato insieme col Padre e

col Figliuolo; che parlò per mezzo dei Profeti.

E la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.

Confesso un solo battesimo per la remissione dei peccati.

E aspetto la risurrezione dei morti e la vita del secolo avvenire. Così è.

S. Il Signore sia con voi.

C. E anche col tuo spirito.]

OFFERTORIO

S. Accetta, o Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, questa Ostia immacolata che io indegno tuo servo offro a te, Dio mio vivo e vero, per le innumerevoli colpe, offese e negligenze mie, e per tutti i circostanti, come pure per tutti i fedeli cristiana vivi e defunti, affinché a me e ad essi giovi a salvezza nella vita eterna. Così sia.

Dio, che in modo meraviglioso creasti la nobile natura dell’uomo, e più meravigliosamente ancora l’hai riformata, concedici di diventare, mediante il mistero di quest’acqua e di questo vino, consorti della divinità di Colui che si degnò farsi partecipe della nostra umanità, Gesù Cristo tuo Figliuolo, Nostro Signore, il quale vive e regna Dio con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Così sia.

Ti offriamo, o Signore, questo Calice di salute, e scongiuriamo la tua clemenza perché esso salga con odore soavissimo al cospetto della tua maestà divina per salvezza nostra e del mondo intero. Così sia.

E noi con lo spirito umile e con l’anima contrita, deh, siamo accolti da te, o Signore, e il nostro sacrificio si compia oggi alla tua presenza in modo tale che esso ti piaccia, o Signore Dio. Vieni, Dio eterno, onnipotente, santificatore, e benedici questo sacrificio preparato al nome tuo santo.

[Qui il sacerdote si lava le mani recitando il salmo « Lavabo»].

Accetta, o santissima Trinità, questa offerta che ti facciamo in memoria della passione, risurrezione e ascensione del Nostro Signor Gesù Cristo, e in onore della beata sempre Vergine Maria; di san Giovanni Battista, dei santi Apostoli Pietro e Paolo e di tutti i Santi; affinchè ad essi sia d’onore e a noi di salvezza, e si degnino d’intercedere per noi in cielo, mentre noi facciamo memoria di loro in terra. Per il medesimo Cristo Nostro Signore.

S. Orate, fratres, [poi segretamente] ut meum ac

vestrum sacrificium acceptabile fiat apud Deum

Patrem omnipotentem.

C. Súscipiat Dóminus sacrificium de mánibus

tuis ad láudem et glóriam nóminis sui, ad

utilitatem quoque nostram, totiúsqueEcclésiae

suae sanctæ.

[S. Pregate, o fratelli, che questo sacrificio mio e

vostro torni accetto a Dio Padre onnipotente.

C. Il Signore accetti dalle tue mani questo

sacrificio a lode e gloria del suo nome, e anche a

vantaggio nostro e di tutta la sua santa Chiesa.]

SEGRETA

S. Signore, questo sacrificio d’espiazione e di lode ci renda degni della tua protezione. Per il Nostro Signor Gesù Cristo tuo Figliuolo, il quale vive e regna Dio con te nell’unita dello Spirito Santo.

PREFAZIO

S. Per omnia sæcula sæculorum.

C. Amen.

S. Dominus vobiscum.

C. Et cum spiritu tuo.

S. Sursum corda.

C. Habémus ad Dóminum.

S. Gratias agamus Domino Deo nostro.

C. Dignum et iustum est.

[S. Per tutti i secoli dei secoli.

C. Così sia.

S. Il Signore sia con voi.

C. E anche col tuo spirito.

S. In alto i cuori.

C. Li abbiamo al Signore.

S. Rendiamo grazie al Signore Dio nostro.

C. E’ cosa degna e giusta.

S. Veramente degna, giusta, equa e salutevole cosa è che noi sempre e da per tutto rendiamo grazie a te, o Signore santo, Padre onnipotente, Dio eterno, per mezzo di Cristo Nostro Signore, per il quale gli Angeli lodano la tua maestà, le Dominazioni l’adorano, ne tremano le Potestà, i Cieli e le Virtù dei Cieli e i beati Serafini la celebrano in comune esultanza. Con le loro voci, te ne preghiamo, fa’ che siano ammesse anche le nostre, mentre con umile professione diciamo:]

SANCTUS

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus Deus

Sabaoth.

Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in

excélsis.

Benedictus qui venit in nómine Dómini.

Hosanna in excelsis

[Santo, Santo, Santo è il Signore Dio degli eserciti.

Della tua gloria sono pieni cieli e terra.

Osanna nel più alto dè cieli.

Benedetto colui che viene nel nome del Signore.

Osanna nel più alto dè cieli.]

CANONE

Te dunque, o Padre clementissimo, noi supplichevoli preghiamo per Gesù Cristo tuo Figliuolo Nostro Signore, e ti domandiamo di avere per accetti e di benedire questi doni, questi presenti, questi santi ed illibati sacrifici, i quali noi ti offriamo primieramente per la tua santa Chiesa cattolica, acciocchè ti degni di pacificarla, custodirla, adunarla e governarla in tutto il mondo, insieme col tuo servo N., nostro Papa, e col nostro Vescovo N., e con tutti i [tuoi] adoratori ortodossi e di fede cattolica e apostolica.

“MEMENTO” DEI VIVI

Ricordati, o Signore, dei tuoi servi e delle tue serve N. N., e di tutti i circostanti di cui conosci la fede e la devozione, pei quali noi ti offriamo, e ti offrono anch’essi questo sacrificio di lode per sé e per tutti i loro, a redenzione delle anime proprie, con la speranza della propria salute e incolumità, e rendono i loro voti a te eterno Dio vivo e vero, in comunione, celebrando la memoria primieramente della gloriosa sempre Vergine Maria , Madre del nostro Dio e Signore Gesù Cristo, e anche de’ tuoi santi Apostoli e Martiri Pietro, Paolo, Andrea, Giacomo, Giovanni, Tommaso, Giacomo, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Simone e Taddeo; Lino, Cleto, Clemente, Sisto, Cornelio, Cipriano, Lorenzo, Crisogono, Giovanni e Paolo, Cosma e Damiano e di tutti i tuoi Sanati; per i meriti e per le preghiere dei quali tu concedine che siamo in tutte le cose muniti dell’aiuto della tua protezione, per il medesimo Cristo Nostro Signore. Così sia.

Laonde ti prrghiamo, o Signore, di accettare placato questa offerta di noi tuoi servi e di tutta la tua famiglia, e di disporre i nostri giorni nella tua pace, e di comandare che noi veniamo liberati dall’eterna dannazione e annoverati nel gregge dei tuoi eletti, per Cristo Nostro signore. Così sia.

ALLA CONSACRAZIONE

E tu, o Dio, degnati, te ne supplichiamo, di rendere questa offerta in tutto e per tutto benedetta, ascritta alle cose celesti, grata, ragionevole ed accettevole, affinché ella diventi per noi il Corpo e il Sangue del Nostro Signor Gesù Cristo, tuo dilettissimo Figliuolo. Il quale, il giorno prima di patire, prese il pane nelle sue sante e venerabili mani, e sollevati gli occhi in cielo a te Dio, suo Padre onnipotente, rendendoti grazie, lo benedisse, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo:

« Prendete e mangiatene tutta: CHE QUESTO E’ IL CORPO MIO». [Si eleva l’Ostia consacrata e si adora].

E in simigliante maniera, dopo aver cenato, prendendo nelle sue sante e venerabili mani anche questo Calice glorioso, di nuovo rendendoti grazie, lo benedisse e lo diede ai suoi discepoli dicendo:

« Prendete e bevetene tutti: chè QUESTO E’ IL CALICE DEL SANGUE MIO del nuovo ed eterno Testamento (mistero di fede!), il quale per voi e per molti sarà sparso a remissione dei peccati. Ogni qual volta farete questo, lo farete in memoria di me ». [Si eleva il Calice e si adora].

DOPO LA CONSACRAZIONE

Laonde, o Signore, anche noi tuoi servi, come altresì il tuo popolo santo, ricordando la beata passione del medesimo Cristo tuo Figliuolo, nostro Signore, la sua risurrezione dagli inferi, e la sua gloriosa ascensione in cielo, offriamo all’eccelsa tua maestà, delle cose che ci hai donate e date, l’Ostia pura, l’Ostia santa, l’Ostia immacolata, il Pane santo della vita eterna e il Calice della perpetua salute.

Sopra di essi, o Signore, degnati di riguardare con volto propizio e sereno, e di averli accetti, come ti sei degnato accettare i doni del tuo servo Abele il giusto, e il sacrificio di Abramo nostro patriarca, e quello che, ti offrì il tuo sommo sacerdoti Melchisedecco, in sacrificio santo ed ostia immacolata (che pur non erano se non figure del sacrificio e dell’Ostia del tuo divin Figliuolo).

Comanda, o Dio onnipotente, supplichevoli te ne preghiamo, che essi vengano, per mano dell’Angelo tuo santo, portati sul tuo sublime altare, al cospetto della tua divina maestà, affinché quanti, partecipando di questo altare, riceveremo il sacrosanto Corpo e Sangue del tuo Figliuolo, veniamo ricolmi di ogni celeste benedizione e grazia, per il medesimo Cristo Nostro Signore. Così sia.

“MEMENTO” DEI MORTI

Ricordati anche, o Signore, dei tuoi servi e delle tue serve che ci hanno preceduto col segno della Fede e dormono il sonno di pace [qui si raccomandano in particolare i defunti]. Ad essi, o Signore, e a tutti quelli che riposano in Cristo, noi ti supplichiamo di voler per tua misericordia concedere il luogo del refrigerio, della luce e della pace, per il medesimo Cristo Nostro Signore. Così sia.

E a noi pure tuoi servi peccatori, che speriamo nella moltitudine delle tue misericordie, degnati di dar qualche parte e società coi tuoi santi Apostoli e Martiri, Giovanni, Stefano, Mattia, Barnaba, Ignazio, Alessandro, Marcellino, Pietro, Felicita, Perpetua, Agata, Lucia, Agnese, Cecilia, Anastasia e con tutti i tuoi Santi; nel consorzio dei quali tu ci colloca non riguardando al merito, ma facendoci grazia, te ne preghiamo, per Cristo Nostro Signore; per il quale, o Signore, sempre tu le crei buone tutte queste cose, le santifichi, le, vivifichi, le benedici e a noi le somministri. – Per Lui e con Lui e in Lui viene a te Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria.

AL “PATER NOSTER”

S. Per omnia saecula saecudorúm.

C Amen

S. Oremus.

Præceptis salutaribus moniti et divina institutione formati audemus dicere: Pater noster… Et ne nos inducas in tentationem.

C. Sed libera nos a malo.

S. Amen.

[S. Per tutti i secoli dei secoli.

C. Amen.

S. Preghiamo.

Esortati da un comando salutare e ammaestrati da un’istruzione divina, osiamo dire: Padre nostro… E non c’indurre in tentazione.

C. Ma liberaci dal male.

S. Così sia.]

Da tutti i mali passati, presenti e futuri liberaci, te ne preghiamo, o Signore, e per l’intercessione della beata e gloriosa sempre Verme Maria, Madre di Dio, insieme con i tuoi beati Apostoli Pietro, Paolo e Andrea e con tutti i Santi, donaci propizio la pace nei nostri giorni, sicché, aiutati dal soccorso della tua misericordia, sempre siamo liberi dal peccato e sicuri da ogni turbamento, per il medesimo Nostro Signor Gesù Cristo, tuo Figliuolo, il quale teco vive e regna Dio nell’unità dello Spirito Santo.

S. Per omnia sæcula sæculorum.

C. Amen.

S. Pax Domini sit semper vobiscum.

C Et cum spiritu tuo.

[S. Per tutti i secoli dei secoli.

C. Così sia.

S. La pace del Signore sia sempre con voi

C. E anche col tuo spirito.]

S. Questa mescolanza e consacrazione del Corpo e del Sangue del Nostro Signor Gesù Cristo giovi per la vita eterna a noi che di riceviamo. Così sia.

AGNUS DEI

Agnus Dei, qui tollis peccàta mundi, miserére nobis

[due volte. Per i morti: dona eis réquiem].

Agnus Dei, qui tollîs pecccata mundi, dona

nobis pacem

[per i . morti: dona eis réquiem sempitérnam].

[Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo,

abbi pietà di noi

(due volte. Per i morti: dona loro il riposo].

Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo,

donaci da pace

(per i morti: dona loro il riposo eterno).]

ALLA COMUNIONE

Signore Gesù Cristo, che hai detto a’ tuoi Apostoli: « Vi lascio la pace, vi dò la mia pace», non riguardare ai miei peccati, ma alla fede della tua Chiesa, e degnati di pacificarla e riunirla secondo la tua volontà, o tu che vivi e regni Dio per tutti i secoli dei secoli. Così sia.

[Quest’orazione si omette nelle messe dei morti].

Signore Gesù Cristo, Figliuolo di Dio vivo, che per volere del Padre, con la cooperazione dello Spirito Santo, hai ravvivato il mondo con la tua morte, liberami, per questo tuo Corpo e Sangue, da tutte le mie iniquità e da tutti i mali; e fà ch’io sia sempre fedele a’ tuoi comandamenti, e non permettere che io mi separi giammai da te che col medesimo Dio Padre e con lo Spirito Santo vivi e regni Dio nei secoli dei secoli. Così sia.

La comunione del tuo Corpo, che io indegno ardisco ricevere, non mi si volga a delitto e a condanna, ma per la tua misericordia mi giovi a rimedio e a difesa dell’anima e del corpo, o Signore Gesù Cristo, il quale con Dio Padre nell’unità dello Spirito Santo vivi e regni Dio per tutti i secoli dei secoli. Cosa sia.

Riceverò il pane del cielo e invocherò il nome del Signore. Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ solamente una parola e l’anima mia sarà guarita [tre volte. – Comunione con la S. Ostia].

Che renderò io al Signore per tutte le cose che Egli ha date a me ? Prenderò il Calice di salute e invocherò il nome del Signore. Loderò e invocherò il Signore, e sarò liberato da’ miei nemici [Comunione col Calice].

DOPO LA COMUNIONE

Ciò che abbiamo ricevuto con la bocca, o Signore, accogliamo con anima pura, e, di temporaneo dono ci diventi rimedio sempiterno.

O Signore, il tuo Corpo che ho preso e il tuo Sangue che ho bevuto aderiscano all’intimo dell’anima mia, e fa’ che non rimanga macchia alcuna di peccato in me, che questi puri e santi sacramenti hanno rinnovato, o tu che vivi e regni nei secolo dei secoli. Così sia.

S. Dominus vobiscum

C. Et cum spiritu tuo.

[S. Il Signore sia con voi.

C. E anche col tuo spirito.]

ALLA FINE DEGLI “OREMUS”

S. Per omnia sæcula sæculorum.

[S. Per tutti i secoli dei secoli.]

C. Amen.

S. Dominus vobiscum.

C. Et cum spiritu tuo.

S. Ite, messa est.

C. Déo gratias.

Nelle messe dei morti:

S. Requiescant in pace.

C. Amen.

[C. Così sia.

S. Il Signore sia con voi.

C. E anche col tuo spirito.

S. Andate, la Messa è compita.

C. Siano grazie a Dio.

Nelle messe dei morti:

S. Riposino in pace.

C. Così sia. ]

S. O santa Trinità, ti piaccia l’omaggio della mia servitù, e concedi che questo sacrificio, offerto da me indegno agli occhi della tua maestà, a te sia accetto, ed a me e a quelli per i quali l’ho offerto, torni, per tua misericordia, giovevole. Per Cristo Nostro Signore. Così sia.

BENEDIZIONE

S. Benedicat vos amnipotens Deus, Pater et Filius et Spiritus Sanctus.

C. Amen.

[S. Vi benedica l’onnipotente Dio, Padre e Figliuolo e Spirito Santo.

C. Così sia].

ALL’ULTIMO VANGELO

S. Dominus vobiscum.

C. Et cum spiritu tuo.

S. Initium o Sequentia sancti Evangelii secundum N.

C. Gloria tibi, Dómine.

[S. Il Signore sia con voi.

C. E anche col tuo spirito.

S. Principio o Seguito del santo Vangelo secondo N.

C. Gloria a te, o Signore.]

FINITO IL VANGELO

C. Deo gratias.

[C. Siano grazie a Dio].

DOPO LA MESSA

Ave Maria [tre volte], Salve Regina.

S. Ora pro nobis, sancta Dei Genitrix.

C. Ut digni efficiàmur promissiónibus Christi.

S. Oremus… Per Christum Daminum nostrum.

C. Amen. (1)

S: Sancte Michaél Archangele… in infernum detrude.

C. Arnen

S. Cor Iesu sacratissimum. [tre volte].

C. Miserére nobis (2).

(1) Indulgenza di 300 giorni

(2) Indulgenza di 7 anni e 7 quarantene

III Per i sacramenti della Penitenza e della Eucaristia

I. – PRIMA DELLA CONFESSIONE.

Misericordiosissimo mio Salvatore, ho peccato e molto peccato contro di voi per mia

colpa, per mia grandissima colpa, ribellandomi alla vostra santa legge, e preferendo a

voi, mio Dio e mio Padre celeste, misere creature e i miei capricci. Sebbene io non meriti che castighi, deh, non negatemi la grazia di ben conoscere, detestare e confessare sinceramente tutti i miei peccati, sì che possa ottenere il vostro perdono ed emendarmi davvero.

Vergine Santa, intercedete per me. Pater, Ave.

1. Si faccia con diligenza l’esame dei peccati commessi in pensieri, in parole, in opere ed omissioni, contro i comandamenti di Dio, i precetti della Chiesa e i doveri del proprio stato.

2. Si consideri il gran male commesso offendendo gravemente Dio, nostro Signore e Padre, il quale ci ha fatto tanti benefizi, ci ama tanto e merita infinitamente di essere amato sopra ogni cosa e servito con ogni fedeltà. Si ripensi che la Passione del Nostro Signor Gesù Cristo fu cagionata dai nostri peccati. Si rifletta alla perdita della grazia e del paradiso e al castigo meritato dell’inferno. Poi si reciti con molta compunzione l’Atto di dolore.

3. Presentandosi al confessore, il penitente s’inginocchi, faccia il segno della Croce e chieda la benedizione; poi si confessi umilmente.

4. Dopo, ascolti docilmente gli avvisi del confessare, accetti la penitenza, e, al momento dell’assoluzione, rinnovi d’Atto di dolore.

DOPO LA CONFESSIONE

Subito dopo la Confessione, se non fu altrimenti prescritto dal confessore, si reciti, potendo, la preghiera imposta per penitenza; poi si richiamino e si scolpiscano bene in mente i consigli avuti e si rinnovino i buoni propositi: da ultimo si ringrazi il Signore.

Quanto siete stato buono con me, o Signore! Non ho parole per ringraziarvi; perché, invece di punirmi per tanti beccati che ho commesso, me li avete tutti perdonati con infinita misericordia in questa santa Confessione. Di nuovo me ne pento con tutto il cuore, e prometto, con l’aiuto della vostra grazia, di non offendervi mai più e di compensare con molto amore e con buone opere le innumerevoli offese che vi ho fatte nella mia vita.

Vergine santissima, Angeli e Santi del cielo, vi ringrazio della vostra assistenza: voi pure rendete per me grazie al Signore della sua misericordia e ottenetemi costanza e avanzamento nel bene.

Nelle tentazioni non si dimentichi d’invocare l’aiuto divino dicendo, per es.: Gesù mio, aiutatemi e datemi grazia di non mai offendervi.

2. – PRIMA DELLA SANTA COMUNIONE.

Atto di fede e di adorazione. – Signor mio Gesù Cristo, io credo con tutta l’anima che voi siete realmente nel santissimo Sacramento dell’altare in Corpo, Sangue, Anima e Divinità. Quindi vi adoro in esso e vi riconosco per il mio Creatore, Signore, Redentore e per il mio sommo, unico bene.

Atto di speranza. – Signore, io spero che donandovi tutto a me in questo divin Sacramento, mi userete misericordia e mi concederete tutte le grazie che sono necessarie per la mia eterna salute.

Atto di carità. – Signore, io vi amo con tutto il nuore sopra ogni cosa, perché siete il mio Padre, il .mio Redentore, il mio Dio infinitamente amabile; e, per amor vostro, amo i1 mio prossimo coma me stesso, e perdono di cuore a quelli che mi hanno offeso.

Atto di contrizione. Signore, io detesto tutti i miei peccati, perchè sono vostra offesa e mi rendono indegno di ricevervi nel mio cuore; e propongo con la vostra grazia di non commetterne più per l’avvenire, di fuggirne le occasioni, e di far penitenza.

Atto di desiderio – Signore, io desidero ardentemente che veniate nell’anima mia, affinché la santifichiate e la facciate tutta vostra per amore, tanto che non si separi più da voi, ma viva sempre nella vostra grazia.

Atto di umiltà. – Signore, io non son degno che voi veniate dentro di me; ma dite una sola parola, e l’anima mia sarà salva.

DOPO LA SANTA COMUNIONE.

Atto di fede e di adorazione. – Signor mio Gesù Cristo, io credo che voi siete veramente in me col vostro Corpo, Sangue, Anima e Divinità, e, umiliato nel mio nulla, vi adoro profondamente come mio Dio e Signore.

Atto di speranza. Signore, poichè siete venuto nell’anima mia, fate che io non ve ne discacci mai più col peccato, ma rimanetevi sempre voi con la grazia: lo spero per la vostra bontà e misericordia.

Atto di carità. -: Signore, mio Dio, vi amo quanto so e posso, e desidero di amarvi sempre più: fate che vi ami sopra ogni cosa adesso e sempre nei secoli dei secoli.

Atto di offerta. – Signore, poichè vi siete donato tutto a me, io mi dono tutto a voi; vi offro il cuore e l’anima mia, vi consacro tutta la mia vita, e voglio essere vostro per tutta l’eternità.

Alto di domanda. – Signore, datemi tutte le grazie spirituali e temporali che conoscete utili all’anima mia; soccorrete i miei parenti, i benefattori, gli amici, i superiori, e liberate le anime sante del purgatorio.

A Gesù Crocifisso. – Eccomi, o mio amato e buon Gesti, che alla santissima vostra presenza prostrato, vi prego col fervore più vivo a stampare nel mio cuore sentimenti di fede, di speranza, di carità, di dolore dei miei peccati, e di proponimento di non più offendervi, mentre io con tutto l’amore e con tutta la compassione vado considerando le vostre cinque piaghe, cominciando da ciò che disse di voi, o mio Dio, il santo profeta Davide: «Trapassarono le mie mani e i miei piedi, contarono tutte le mie ossa»

PER LA BENEDIZIONE DEL SANTISSIMO SACRAMENTO:

O salutaris hostia,

Quae caeli pandis ostium,

Bella premunt hostilia,

Da robur, fer auxilium.

Uni trinoque Domino

Sit sempiterna gloria,

Qui vitam sine termino

Nobis donet in patria. Amen.

Tantum ergo Sacramentum

Veneremur, cernui:

Et antíquum documentum

Novo cedat ritui;

Praestet fides supplementum

Sensuum defectui.

Genitori, Genitoque

Laus et iubilatio,

Salus, honor, virtus quoque

Sit et benedictio:

Procedenti ab utroque

Compar sit laudatio. Amen.

C Panem de caelo praestitisti eis,

R Omne delectamentum in se habentem.

OREMUS

Deus, qui nobis sub Sacramento

mirabili Passionis tuae memoriam,

reliquisti : tribue, quaesumus, ita

O Ostia della salvezza,

che ci apri la porta del cielo,

i nemici ci stringono;

danne forza, recaci soccorso.

Al Signore uno e trino

sia gloria sempiterna;

ci dia Egli nella patria

la vita senza termine. Così sia.

Così grande Sacramento

veneriamo adunque prostrati:

e l’antico insegnamento

ceda al nuovo rito;

supplisca, la fede

al difetto dei sensi.

Al Padre e al Figliuolo

sia lode e giubilo,

salute, onore, potenza

e benedizione;

e pari lode sia a Colui

che da entrambi procede. Così sia.

C Dal cielo hai dato loro un pane,

R Che ha in sè ogni dolcezza.

PREGHIAMO.

Dio che sotto mirabile Sacramento

ci lasciasti memoria della tua Passione, concedici, ti

nos Corporis et Sanguinis tui

sacra mysteria venerari, ut

redemptionis tuae fructum in nobis iugiter

sentiamus. Qui vivis et regnas in saecula

saeculorum. Amen.

preghiamo,

di venerare i sacri misteri

del Corpo e Sangue tuo in modo da sentire

continuamente in noi il frutto della tua redenzione.

Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Così sia.

APPENDICI

Appendice I

Brevissimi cenni di storia della Rivelazione divina

I. CREAZIONE DEL MONDO E DELL’UOMO.

1. A1 principio Dio solo era, e niente esisteva fuori di Lui. Infinitamente perfetto e felice in se stesso,, Egli non aveva bisogno d’alcuno, ma per pura bontà volle creare, cioè fare dal nulla. Volle, e furono il cielo e la terra, le cose tutte visibili e le invisibili.

2. Con ordine maraviglioso le creature furon prodotte una dopo l’altra: luce, firmamento ed astri, terra e mare, vegetali e animali; e ultimo, quasi corona della creazione, l’uomo; il quale fu fatto ad immagine e somiglianza di Dio, perché nel corpo formato di terra, il Creatore infuse lo spirito immortale, e l’innalzò con la grazia allo stato soprannaturale e al fine di goder Dio stesso nell’eternità.

3. A1 primo uomo, che chiamò Adamo, Dio diede per compagna, traendola con alta ragione dal fianco di lui, Eva, la prima donna; e da essi è venuta l’intera famiglia umana.

II. CADUTA DELL’UOMO E PROMESSA DEL SALVATORE.

4. L’uomo era stato fatto re della natura e messo in un delizioso giardino, il paradiso terrestre, dove poteva goder di tutto; ma affinché riconoscesse il pieno dominio del Creatore, Dio gli aveva proibito di gustare il frutto dell’albero detto della scienza del bene e del male: il bene era l’ubbidienza e la grazia di Dio, il male la disubbidienza e la perdita dei doni non dovuti all’uomo, dei quali Dio l’aveva arricchito.

5. L’uomo osò ribellarsi. Eva, credula al serpente-demonio, anzichè a Dio, e Adamo, compiacente ad Eva, disobbedirono; e per la loro colpa, secondo le minacce avute, essi e i loro discendenti furono spogliati della grazia e della felicità eterna in Dio, e degli altri doni che toglievano le imperfezioni e le debolezze della natura. Così, stoltamente, si resero servi del demonio, delle passioni, delle miserie, della morte, e ci esposero tutti alla perdizione eterna.

6. Dio però, condannandoli dalle delizie del paradiso terrestre al lavoro, al dolore e alla morte corporale, non tolse loro la speranza della salvezza dell’anima, anzi predisse che avrebbe distrutto la potenza tirannica del demonio per mezzo del Messia o Cristo, che sarebbe venuto nella pienezza dei tempi. In questa speranza e in questa fede l’uomo rivivrebbe, osservando la legge morale scolpitagli nel cuore.

III. CORRUZIONE E DILUVIO. IL POPOLO ELETTO.

7. Ma, invece, a cominciar da Caino che per invidia uccise suo fratello Abele, si moltiplicarono i peccati col moltiplicarsi del genere umano, il quale tutto si pervertì.

Onde Dio mandò il diluvio sulla terra, e tutti perirono nel castigo, eccetto il giusto Noè e la sua famiglia, che Dio salvò in un’Arca o grande nave, fattagli appositamente costruire. Noè, scampato, offrì a Dio un sacrificio in ringraziamento.

8. Anche le varie nazioni, venute da Sem, Cani e Jafet, figli di Noè, si corruppero, e col tempo dimenticarono l’unico vero Dio, e invece di Lui, con peccato gravissimo, adorarono false divinità e creature. Perciò Dio scelse, tra i pochissimi della stirpe di Sem rimasti fedeli, Abramo Caldeo; lo chiamò fuori della sua patria e gli promise che se egli e i suoi posteri si conservassero credenti e religiosi, sarebbe stato il loro DIO, li avrebbe moltiplicati immensamente e fatti padroni della terra di Canaan o Palestina, e nella sua posterità sarebbero benedette tutte le genti. La promessa medesima rinnovò Dio ad Isacco, figlio di Abramo, e a Giacobbe detto pure Israele, secondogenito d’Isacco.

9. Così la progenie di Abramo e d’Israele, cioè gli Ebrei, divennero il popolo eletto da Dio perché custodisse la fede e la religione vera, e tramandasse la promessa del Salvatore.

IV. SCHIAVITÚ D’EGITTO. LIBERAZIONE PER MEZZO DI MOSÉ.

10. Giacobbe mori in Egitto, dove in tempo d’una gran carestia era andato con i suoi dal prediletto figlio Giuseppe, che i fratelli invidiosi avevano venduto schiavo e che il Faraone, o Re, aveva innalzato alla più alta dignità del regno in grazia del suo spirito profetico e della sua fedeltà e previdenza. Colà gli Ebrei crebbero di numero e prosperarono grandemente, tanto che, dopo secoli, un Faraone crudele, ingelosito della loro potenza, tentò sterminarli, sottoponendoli a durissima schiavitù e comandando di gettare i loro nati maschi nelle acque del Nilo.

11. Ma Dio intervenne, per il popolo suo. Mosè, il futuro liberatore, veniva salvato dalle acque e allevato in corte dalla figlia stessa del Faraone; e Dio per mezzo di lui intimava poi al Faraone di lasciar partire il popolo ebreo. Avendo il re ricusato, percossero successivamente il regno dieci flagelli terribili detti piaghe d’Egitto, ultima delle quali lo sterminio di tutti i primogeniti egiziani, compiuto in una notte dall’Angelo, che risparmiò le sole case degli Ebrei, segnate, secondo l’ordine di Dio, col sangue dell’agnello immolato.

12. Allora il re si piegò, e Mosé parti subito col popolo, e attraversò il Mar Rosso che mirabilmente si divise avanti agli Ebrei per lasciarli passare. Vollero entrarvi anche gli Egiziani, i quali, pentiti d’aver concesso agli Ebrei la partenza, si erano messi ad inseguirli; ma le acque si riunirono e tutti furono sommersi.

Il grande passaggio o Pasqua era compiuto, e la memoria della prodigiosa liberazione sarà poi celebrata ogni anno dagli Ebrei con la festa più solenne, finché avvenga la Pasqua di Cristo, e l’umanità intera sia per Lui liberata dalla schiavitù, infinitamente più funesta, del peccato.

V. GLI EBREI NEL DESERTO. LA LEGGE. GIÓSUE’.

LA TERRA PROMESSA.

13. Agli Ebrei condotti nel deserto, Dio, con grande maestà, fra lampi e tuoni, diede, per mezzo di Mosé, sul monte Sinai, la legge morale del Decalogo o dei dieci comandamenti, incisi su due tavole di pietra; e diede poi ancora altre leggi rituali e sociali con cui il popolo doveva governarsi fino alla venuta del Messia, se voleva conseguire le divine promesse ed essere vittorioso e felice.

14. Fu questo il Vecchio Testamento o patto di Dio col popolo eletto, questa la Legge, ossia la legge antica, mosaica, tutta involta, nella sua minuziosa gravezza, a mantener viva la fede e il culto dell’unico vero Dio, misconosciuto da per tutto, e a preparare il Nuovo Testamento, ossia la Nuova Legge di Cristo, infinitamente superiore: questa la base e la costituzione della nazione ebrea, fondata da Mosé.

15. Però gli Ebrei, sebbene degnati di tal patto da Dio e da Lui prodigiosamente sostentati nel deserto per tanti anni con manna cadente quale rugiada e con acque cavate dalla roccia dalla verga di Mosé, si ritardarono per 1e proprie colpe l’entrata nella terra promessa, e Mosé morì sui confini di questa, lasciando per successore Giosuè, il quale finalmente, dopo quarant’anni di peregrinazioni, conquistò la Palestina e la divise tra le dodici tribù, discendenti da dodici figli di Giacobbe.

VI. I GIUDICI. I RE. DAVID. SALOMONE. IL TEMPIO.

REGNO DI GIUDA.

16. Dopo Giosuè, ressero il popolo i Giudici, suscitati da Dio quando sorgeva qualche più grave necessità; quindi i Re, il primo dei quali, Saulle, fu poi rigettato da Dio e sostituito col valoroso e fedele David della tribù di Giuda, nella cui famiglia resterà ereditario il regno e nascerà in ultimo il Messia, che avrà regno senza fine.

17. Salomone, figlio di David, sapientissimo e felicissimo, edifica in Gerusalemme un magnifico tempio al Signore, ma vecchio cade nella lussuria e nell’idolatria. Per questo delitto e per la stolta durezza del figlio e successore, Roboamo, furono tolte alla casa di Davide dieci tribù, che costituirono sotto Geroboamo, capo della ribellione, il regno d’Israele; regno presto caduto nell’idolatria, riprovato da Dio e distrutto per sempre dagli Assiri.

18. Frattanto anche le tribù di Giuda e di Beniamino, rimaste ai discendenti di David, ossia il regno di Giuda, prevaricarono spesso, nonostante i rimproveri dei Profeti, specialmente sotto alcuni re empi, come Acaz e Manasse. Onde sopravvenne Nabucodonosor, re di Babilonia, che assediò e distrusse Gerusalemme col tempio e menò schiavi re e popolo.

VII. CATTIVITA DI BABILONIA. IL RITORNO. IL NUOVO TEMPIO.

I PROFETI. LE PROFEZIE AVVERATE.

19. Nelle angustie della cattività di Babilonia, alle parole ammonitrici e consolanti dei Profeti, il popolo s’emendò e ravvivò la sua fede in Dio e nella risurrezione d’Israele per mezzo del Messia.

20. E quando, dopo settant’anni, Ciro, re dei Persiani; impadronitosi di Babilonia, concesse, secondo la predizione d’Isaia, il ritorno in patria, fu, con grande zelo, sotto Zorobabele e Neemia, riedificata Gerusalemme, cominciando dal tempio, il quale, sebbene non così splendido come l’antico, doveva essere onorato dalla presenza del Dominatore » ricercato e dell’Angelo del Testamento » nuovo. Fu ristabilito il pubblico culto di Dio e, per cura di Esdra, l’osservanza della Legge, il libro della quale venne letto al popolo e interpretato.

21. Nei secoli seguenti, al progressivo decadere della potenza e libertà nazionale, non decadde, ma si accrebbe, nonostante il pervertimento di molti, lo zelo per la Legge e l’aspettazione del Redentore annunziato con tratti sempre più particolari e distinti. Perchè i Profeti successivamente ne avevano predette nelle più minute circostanze la venuta e la vita, la predicazione, i patimenti, la gloria e il regno perpetuo; sì che parecchi, vanamente cercando di applicare a sè le predizioni, osarono presentarsi per Messia, finché apparve Gesù di Nazaret, nel quale tutte insieme si veríficarono e compirono le profezie divine.

VIII. GESÚ CRISTO: SUA VITA E PREDICAZIONE; SUA MORTE, RISURREZIONE E ASCENSIONE AL CIELO.

22. Gesù nacque in Betlemme da Maria Vergine, sposa a Giuseppe della famiglia di David. Come l’Angelo Gabriele le aveva annunziato, lo Spirito Santo era disceso sopra di Lei, ed Ella, rimanendo Vergine, era divenuta madre del Verbo divino incarnatosi da Lei.

23. Circonciso, secondo la Legge, e chiamato Gesù o Salvatore, dopo la fuga in Egitto per sottrarsi alle insidie di Erode, visse a Nazaret in umile ubbidienza a Maria e a Giuseppe, avanzando in sapienza, in età e in grazia innanzi a Dio e agli uomini ». A trent’anni circa, ricevuto il battesimo di penitenza nel fiume Giordano da Giovanni il Battista (Battezzatore), cominciò a predicare nella Giudea e nella Galilea il Vangelo, ossia la buona novella della remissione dei peccati e della vita eterna per quelli che credessero in Lui e ne osservassero gl’insegnamenti: e confermava coi più stupendi prodigi la sua divina missione e la sua dottrina.

24. Molti credettero, e tra i primi quei dodici chiamati Apostoli o messi, che Egli scelse per fondare la sua Chiesa, di cui volle capo e fondamento Pietro. Ma gli si scatenò contro implacabile l’odio dei pontefici, dei farisei e dei dottori della Legge, invidiosi del suo potere e offesi dai suoi rimproveri agli errori e alle ipocrisie loro, e quest’odio finì per farlo condannare, Lui, l’aspettato Redentore, dal Sinedrio o supremo tribunale della nazione, e posporre al ladrone Barabba, quando il pauroso Pilato, preside romano, tentò di graziarlo per la Pasqua e salvarlo da morte.

25. Dopo gli strazi più acerbi, crocifisso sul Calvario, non lungi da Gerusalemme, tra due malfattori, Egli compì in Croce la redenzione dell’umanità peccatrice, soddisfacendo per essa all’Eterno Padre col sacrificio di se stesso; e morì perdonando e pregando per i nemici che non cessavano d’insultarlo. Fu sciolto allora il Vecchio Testamento o patto con la nazione ingrata che aveva ripudiato e ucciso Dio Redentore, il quale, nel suo stesso sangue divino, dedicò il Nuovo ed eterno Testamento.

26. Sepolto il corpo, Egli coll’anima santissima discese al Limbo per liberar le anime dei giusti ivi trattenute in attesa della redenzione. Il terzo giorno risuscitò da morte, come più volte aveva annunziato, e quindi apparve alle pie donne, a Pietro, a due discepoli sulla via di Emmaus e agli altri Apostoli ancora increduli, che alla vista delle sue piaghe gloriose più non dubitarono della risurrezione. Finalmente, dopo averli ammaestrati sul regno di Dio e mandati ad evangelizzare tutte le genti e a battezzare, con potestà di sciogliere e di ritenere i peccati, e con la promessa dello Spirito Santo e dell’assistenza propria fino alla consumazione dei secoli, nel quarantesimo giorno, in loro presenza, salì al cielo, dove siede alla destra di Dio Padre, investito d’ogni potere sul cielo e sulla terra.

IX. DISCESA DELLO SPIRITO SANTO. CHIESA CATTOLICA.

27. Dieci giorni dopo, nella Pentecoste, lo Spirito Santo, promesso da Cristo, scendeva visibilmente sugli Apostoli e sulla Chiesa nascente, dalla quale non doveva dipartirsi, mai più. Il regno di Dio, con gli Apostoli suoi propagatori e reggitori e con le potenze spirituali della parola divina predicata e poi anche scritta, dei sacramenti (tra cui principale l’Eucaristia, per la, quale Gesù rimane sempre co’ suoi) e dei doni dello Spirito Santo, era ormai confermato e perfetto, e cominciava la propria vita indipendente dalla Sinagoga e la propria missione di salute fra i pagani, cui a poco a poco, nonostante te sanguinose persecuzioni del potentissimo impero romano, trasse dal profondo dell’idolatria e della corruzione, convertendone moltissimi in fiori di fede e di virtù.

28. Cadde poco dopo, per sempre, con la sua capitale e col suo tempio, la nazione giudaica, e gli ebrei furono dispersi sulla terra: cadde poi con le sue glorie di letteratura, di arte e di scienza il mondo antico, consumato dai vizi; caddero altre genti ed imperi, e la Chiesa, con la civiltà cristiana, perdura e s’estenderà sempre per il bene dell’umanità, malgrado le cadute di figli degeneri, malgrado le più funeste dissensioni che trassero fuori del regno di Dio, nello scisma e nell’eresia, nazioni potenti, malgrado la più insidiosa guerra dei nemici della rivelazione soprannaturale, della morale cristiana e dell’idea stessa di Dio. « Le porte dell’inferno non prevarranno contro di lei. Il buon cristiano, tranquillo su questa promessa divina, non si turba, ma con la sua madre, la Chiesa, prega, lavora e soffre, aspettando la risurrezione finale e il ritorno glorioso di Gesù Cristo giudice, che ci preannunziò gli odi, le persecuzioni, le apostasie, ma, insieme ci rincuorò dicendo: « Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me… Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi …pur fate cuore: io ho vinto il mondo. (Giov.,XV,18-20; XVI,33).

Appendice II

1 – Brevissimi cenni sulle feste cristiane

2 – Anno ecclesiastico

I. – BREVISSIMI CENNI SULLE FESTE CRISTIANE

1. La santa Chiesa non solo nella Dottrina cristiana e nella Storia sacra, ma anche con le feste, praticamente ci ricorda e ci inculca le verità della Fede e i migliori esempi delle virtù cristiane.

2. Le feste furono propriamente istituite per rendere a Dio in comune, nei sacri templi, il culto supremo di adorazione, di lode, di ringraziamento, di riparazione; ma in esse tutto fu così ben disposto e alle singole circostanze adattato, cerimonie, parole, canto e ogni altra esteriorità, da far penetrare profondamente nell’animo i misteri e le verità, o i fatti celebrati, e da muoverlo ad affetti e ad azioni corrispondenti. Se i fedeli fossero ben istruiti in proposito e celebrassero le feste con lo spirito voluto dalla Chiesa nell’istituirle, si otterrebbe una rinnovazione e un accrescimento notevole di, fede, di pietà e d’istruzione religiosa, e, per conseguenza, l’intera vita dei cristiani ne uscirebbe rinvigorita e migliorata.

3. A Dio è consacrato l’anno intero, nè passa giorno senza che la Chiesa ci legga, nella Messa e nell’Officio, qualche tratto delle Scritture sacre, che sono opera di Lui, e ci suggerisca con mirabile varietà formole appropriatissime di lode e di preghiera al Signore, nostro primo principio ed ultimo fine, nelle quali ci si ricordano le perfezioni infinite, i benefizi immensi e la Legge santissima di Lui.

Parimenti, durante l’anno ci ricorda ogni giorno, nel santo Vangelo della Messa, qualche prodigio o qualche insegnamento del Nostro Signor Gesù CRISTO, il quale è la Via, la Verità e la Vita, e, solo, Ha « parole di vita eterna».

Ma essendo i fedeli obbligati ad assistere al Santo Sacrificio, d’ordinario solo nelle domeniche, la santa Chiesa sapientemente distribuì tra queste il santo Santo Vangelo e gli Scritti apostolici, in modo che la vita intera e la dottrina de Salvatore venissero lette e spiegate ai fedeli durante l’anno, formando così un vero corso d’istruzione religiosa cristiana.

4. Oltre a ciò, con feste proprie maggiori, com’è venerato il mistero fondamentale del Cristianesimo, la santissima TRINITÀ, alla quale perpetuamente si rende dalla Chiesa onore, gloria e sacrificio (I° domenica dopo la Pentecoste), così si ricordano e si celebrano i fatti principali della vita dei Signore, che più luminosamente dimostrano l’infinita sua misericordia per noi, come il S. Natale, la Circoncisione, l’Epifania o manifestazione di Lui, la sua Passione, Morte e Risurrezione gloriosa (Pasqua), la meravigliosa Ascensione, il, dono ineffabile del suo Corpo e Sangue nella santissima Eucaristia (Corpus Domini) e l’effusione dello SPIRITO SANTO sulla Chiesa (Pentecoste).

Quasi tutte queste feste hanno un seguito o continuazione (Ottava; quella di Natale, poi, anche una preparazione di preghiere (Avvento); infine quella di Pasqua, la principale di tutte, ha la lunga preparazione della Quaresima, istituita in memoria dei quaranta giorni di digiuno del Salvatore e dedicata in modo speciale alla penitenza, all’istruzione e alla predicazione, e ha pure un lungo seguito di letizia, il tempo pasquale, in memoria dei quaranta giorni passati in terra da Gesù glorioso dopo la sua risurrezione.

5. Della santissima Vergine Madre di Dio, MARIA, si celebrano con la maggior solennità e festa i privilegi singolarissimi propri di Lei sola come Madre del Signore, i privilegi cioè dell’esenzione dal peccato originale (Immacolata Concezíone) e dell’immediata elevazione del suo corpo verginale, insieme con l’anima, alla gloria celeste (Assunzione). Si celebrano inoltre, con molto trasporto, dal popolo cristiano le date più memorabili della sua vita (Natività, 8 settembre; Annunziazione, 25 marzo; Purificazione, 2 febbraio), benchè tali feste ora non siano di precetto; e così alcune commemorazioni delle sue virtù e de’ suoi Dolori (3a domenica di settembre) o di alcune sue grazie insigni (S. Rosario, lunedì dopo la 1° domenica di ottobre), per non accennare ad altre feste particolari, che alimentano la pietà dei fedeli verso la Madre celeste.

6. La gloria di tutti gli ANGELI e SANTI della Chiesa trionfante ci è presentata insieme nella festa d’Ognissanti, perchè noi, godendo dei loro trionfi, rimaniamo accesi dal loro esempio; poi subito, quasi per naturale successione, ci si ricordano tutti i cari morti della Chiesa purgante (Commemorazione dei fedeli defunti, 2 novembre), affinchè li aiutiamo coi nostri suffragi, e noi stessi al pensiero delle loro pene ci sentiamo stimolati a far penitenza dei nostri peccati e altre opere buone.

In particolare si festeggiano di precetto soltanto S. Giuseppe sposo purissimo di Maria Vergine, padre putativo di Gesù Cristo e patrono della Chiesa universale (19 marzo), e i Ss. Pietro e Paolo, principi degli Apostoli (29 giugno).

Però ogni giorno la Chiesa, oltre ad onorare specialmente qualche Santo, fa rileggere nel Martirologio anche il nome degli altri Santi e Beati che si celebrano nelle varie chiese particolari, mostrando così che li vorrebbe ricordati, venerati e invocati tutti dai fedeli per loro edificazione, sostegno e conforto.

7. Finalmente meritano particolare attenzione ed osservanza anche i giorni feriali consacrati al digiuno e alla penitenza (Quaresima), quelli stabiliti in preparazione alle feste maggiori (Vigilie) o per impetrare la grazia di buoni ministri del Signore e la conservazione del frutti della terra (Quattro Tempora, Litanie maggiori di S. Marco e delle Rogazioni); ma specialmente gli ultime giorni della Settimana Santa, tutta rivolta a rappresentarci nella forma più viva gli atroci patimenti e la morte ignominiosa che l’Uomo-Dio sostenne per redimere noi, peccatori indegnissimi, dalla schiavitù di satana e dalla morte.

8. Ogni buon Cristiano, pertanto, con l’aiuto della predicazione e di qualche libro opportuno, si studi di comprendere e far suo lo spirito di ogni festa, riconoscendone l’oggetto e il fine speciale, meditando la verità, la virtù, il prodigio, il beneficio particolarmente in esse ricordato, e cercando dl trarne il proprio miglioramento. Così egli conoscerà meglio e amerà più ferventemente Dio, Nostro Signor Gesù Cristo, la msantissima Vergine e i Santi, e sarà tratto a praticarne gli .esempi e gl’insegnamenti; si affezionerà pure alla sacra Liturgia, alla predicazione, alla Chiesa e procurerà di affezionarvi anche gli altri. E così la festa sarà per lui veramente giorno di Dio, vera festa o ristoro e gaudio dell’anima, la quale in essa si ritemprerà e rinvigorirà per i travagli e le lotte quotidiane durante la settimana.

PREGHIAMO

O Dio, concedi propizio che, mediante le feste periodiche da noi celebrate quaggiù, meritiamo di giungere ai godimenti eterni (1).

Signore, dà sempre, te ne preghiamo, ai popoli credenti e di fare liete feste in venerazione de’ tuoi Santi, e di essere protetti da loro con una intercessione continua

(2). Te ne supplichiamo per il Nostro Signore Gesù Cristo, ecc.

1) Dall’Orazione del mercoledì di Pasqua

2) Postcom. della Messa di S. Damaso (11 dicembre)

II. – ANNO ECCLESIASTICO

A) PARTI DELL’ANNO LITURGICO.

1. Avvento: quattro settimane avanti il 25 dicembre.

II. Tempo di Natale e dell’Epifania, con alcune settimane dopo, da una a sei; secondo gli anni.

III. Domeniche di Settuagesima, Sessagesima e Quinquagesima fino al mercoledì delle ceneri.

IV. Quaresima, dal mercoledì delle ceneri fino al sabato santo sei settimane e quattro giorni.

V. Tempo pasquale, dalla domenica di Pasqua fino al sabato dopo la Pentecoste: otto settimane.

VI. Dopo la Pentecoste, dalla festa della santissima Trinità all’Avvento: da ventitré a ventotto settimane, secondo gli anni.

B) GIORNI FESTIVI DI PRECETTO.

a) Tutte le domestiche. – In esse cadono alcune delle maggiori solennità: Pasqua di Risurrezione, Pentecoste, santissima Trinità.

b) Le seguenti dieci feste:

1. Circoncisione (1° gennaio)

2. Epifania (6 gennaio).

3. S. Giuseppe (19 marzo).

4. Ascensione (giovedì dopo la 5° domenica di Pasqua).

5. Corpus Domini (giovedì dopo la 1° domenica di Pentecoste).

6. Ss. Pietro e Paolo (29 giugno).

7. Assunzione (I5 agosto).

8. Ognissanti (1° novembre).

9. Immacolata (8 dicembre).

10. Natale (25 dicembre).

C) GIORNI DI ASTINENZA E. DI DIGIUNO.

I – Di sola astinenza dalle carni.

Tutti, i venerdì (tranne quelli nei quali cade una festa di precetto).

II – Di astinenza e di digiuno.

I. Il mercoledì delle Ceneri.

II. Ogni venerdì e sabato di Quaresima.

III. Il mercoledì, venerdì e sabato delle Quattro Tempora o stagioni, cioè:

1. della primavera nella 1° settimana di Quaresima;

2. dell’estate nella settimana di Pentecoste;

3. dell’autunno nella 3° settimana di settembre;

4. dell’inverno nella 3° settimana dell’Avvento.

IV. Le vigilie:

1. di Natale (24 dicembre);

2. di Pentecoste;

3. dell’Assunzione di Maria Vergine (14. agosto);

4.. di Ognissanti (31 ottobre).

III. – Di solo digiuno.

Tutti gli altri giorni feriali di Quaresima.

NB. – 1. La domenica é sempre esente dalla legge dell’astinenza e del digiuno. Le altre feste di precetto sono pure esenti, tranne quelle che cadono in Quaresima.

2. L’astinenza e il digiuno delle vigilie, quando queste cadono in giorni festivi di precetto, non si anticipano.

3. Il Sabato Santo l’obbligo dell’astinenza e del digiuno cessa a mezzogiorno.

Appendice III

Avvertenze ai genitori e agli educatori cristiani

1. Fare il catechismo è istruire nella fede e nella morale di Gesù Cristo; è dare ai figli di Dio la coscienza della propria origine, dignità e destino, e dei propri doveri; è deporre e svolgere nei loro intelletti i principi e i motivi della religione, della virtù e della santità in terra, e perciò delta felicità in cielo

2. L’insegnamento del catechismo, è quindi il più necessario e benefico per gl’individui, per la Chiesa e per la società civile; è l’insegnamento fondamentale che sta alla base della vita cristiana, la quale, ov’esso manchi o sia stato male impartito, è debole, vacillante e facilmente vien meno.

3. I genitori cristiani come sono i primi e principali educatori dei loro figli, così debbono esserne i primi e principali catechisti: i primi perchè debbono loro istillare quasi col latte la dottrina ricevuta dalla Chiesa; i principali, perchè spetta ad essi far imparare a memoria in famiglia le cose principali della Fede, cominciando dalle Prime preghiere, e farle ripetere ogni giorno in modo che a poco a poco penetrino profondamente nell’animo dei figliuoli. Che se essi, come più volte avviene, sono costretti a farsi supplire da altri nell’educazione, ricordino l’obbligo sacrosanto di scegliere tali istituti e tali persone che sappiano e vogliano coscienziosamente compiere per loro un così grave dovere. L’indifferenza in questa materia é stata la perdita irreparabile di tanti figli. Qual conto se ne dovrà rendere a Dio!

4. Per insegnar con frutto bisogna ben sapere la dottrina cristiana, bisogna esporla e spiegarla in maniera adatta alla capacità degli alunni e soprattutto, trattandosi di dottrina pratica, bisogna Viverla.

5. Ben sapere la dottrina cristiana; perchè come si può istruire non essendo istruiti? Onde il dovere dei genitori e degli educatori di ripassare il catechismo e di penetrarne a fondo le verità, frequentando le spiegazioni più ampie dei parrochi agli adulti, interrogando persone competenti e leggendo, se possono, libri opportuni.

6. Esporre in maniera adatta la dottrina cristiana, cioè con intelligenza e amore, in modo che i fanciulli non siano disgustati e annoiati del maestro e della dottrina. Perciò conviene mettersi alla loro portata, usar le parole più note e più semplici, svegliare l’intelligenza con opportune similitudini ed esempi e muovere i sentimenti del cuore; aver somma discrezione e misura per non stancare; progredire a poco a poco, non tediandosi di ripetere, e con pazienza ed affetto compatendo l’irrequietezza, le distrazioni, le impertinenze e gli altri difetti dell’età. Si schivi soprattutto quella maniera meccanica d’insegnare, che opprime e lascia ottusi, mettendo in giuoco la sola memoria, senza impegnare l’intelligenza e il cuore.

7. Finalmente vivere la fede e la morale che s’insegna; altrimenti, come si avrà il coraggio d’insegnare ai figli la religione che non si pratica, i comandamenti e i precetti che si trascurano sotto i loro occhi medesimi? E qual frutto, nel caso, se ne può sperare? Al contrario, i genitori facilmente esautoreranno se stessi e avvezzeranno i figli all’indifferenza e al disprezzo dei principi più necessari e dei doveri più sacrosanti della vita.

8. E poichè oggi si è creata un’atmosfera d’incredulità funestissima alla vita spirituale, colla guerra ad ogni idea di autorità superiore, di Dio, di rivelazione, di vita futura, di mortificazione, inculchino i genitori e gli educatori, con la maggior cura, le verità fondamentali delle prime nozioni del catechismo; ispirino il concetto cristiano della vita, il senso della responsabilità di ogni atto presso il Giudice supremo, che è da per tutto, tutto sa e tutto vede, e infondano, col santo timore di Dio, l’amor di Cristo e della Chiesa, il gusto della carità e della soda pietà, e la stima delle virtù e pratiche. cristiane. Solo così l’educazione dei figli sarà fondata non sull’arena di mutevoli idee e di rispetti umani, ma sulla roccia di convinzioni soprannaturali, che non saranno scosse nella vita intera, malgrado ogni tempesta.

9. A tutto ciò occorre viva fede, profonda stima del valore delle anime e dei beni spirituali, e quell’amore saggio, che si studia di assicurare anzitutto la felicità eterna alle anime dei propri cari. Occorre anche una grazia speciale per capire l’indole dei figliuoli e trovare le vie della mente e del cuore. I genitori cristiani, in virtù del sacramento del Matrimonio ben ricevuto, hanno diritto alle grazie del proprio stato, e quindi a quelle necessarie per educare cristianamente la prole. Inoltre essi possono con l’umile preghiera ottener più abbondante grazia a questo medesimo scopo, essendo opera particolarmente grata a Dio che gli si educhino adoratori e figli ubbidienti e devoti. Lo facciano dunque, a costo di ogni sacrifizio: si tratta della salute eterna delle anime dei figli e della propria. Dio benedirà la loro fede e il loro amore in quest’opera di capitale importanza, e li ricompenserà col premio più desiderabile, di una figliuolanza santa, eternamente beata con loro in cielo.

PREGHIAMO

Signore, lo [Spirito] Consolatore che da te procede, illumini le nostre menti e le conduca in tutta la verità, come promise il tuo Figliuolo (1) Gesù Cristo Nostro

Signore, che vive e regna con te nell’unità del medesimo Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Così sia.

(1) Orazione per il mercoledì di Pentecoste.

Appendice IV

Modo di servire la santa Messa

Il ministro, ossia colui che si presenta per servire al S. Sacrificio della Messa, dev’essere decentemente vestito ed essersi lavate le mani.

In Sacrestia: aiuta il Celebrante a vestirsi, prende il Messale, fa inchino al Croceifisso, va all’Altare e fa tutte le cose con gravità, attenzione e divozione.

Giunto all’Altare: se vi è il SS. Sacramento nel Tabernacolo fa genuflessione semplice col Celebrante; se non vi è il SS., fa pure genuflessione semplice mentre il Celebrante fa inchino. – Ricevendo la berretta bacia prima la mano dei Celebrante e poi la berretta. Riceve questa colla mano destra e non sul Messale. – Va a deporre il Messale sul leggio e la berretta sulla credenza. Quindi va ad inginocchiarsi in piano dal lato del Vangelo (se è solo) facendo la genuflessione sul gradino inferiore, mentre passa in mezzo. (Tutte le volte che passerà in mezzo farà genuflessione). – Fattosi il segno della Croce col Sacerdote, giunge le mani e risponde adagio e distintamente come segue:

Sacerdote. In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen. Introibo ad altare Dei.

R. Ad Deum, qui laetificat iuventutem meam.

Sac. Iudica me, Deus, et discerne causam meam de gente non sancta: ab homine iniquo et doloso erue me.

R. Quia tu es, Deus, fortitudo mea: quare me repulisti? et quare tristis incedo dum affligit me inimicus?

Sac. Emitte lucem tuam et veritatem tuam: ipsa me deduxerunt et adduxerunt in montem sanctum tuum, et in tabernacula tua.

R. Et íntroibo ad altare Dei; ad Deum, qui laetificat iuventutem mea.

Sac. Confitebor tibi in cithara, Deus, Deus meus: quare tristis es, anima mea, et quare conturbas me?

R. Spera in Deo, quoniam, adhuc confitebor illi, salutare vultus nei et Deus meus.

Sac. Gloria Patri, et Filio et Spiritui Sancto.

R. Sicut erat in principio et nunc et semper et in saecula saeculorum. Amen.

Sac. Introibo ad altare Dei.

R. Ad Deum, qui laetificat inventutem meam.

Sac. Adiutorium nostrum in nomine Domini.

R. Qui fecit caelum et terram.

Sac. Dice il Confiteor.

R. Alquanto inclinato e rivolto verso il Sacerdote: Misereatur tui onnipotens Deus, et, dimissis peccatis tuis, perducat te ad vitam aeternam.

Sac. Amen.

Profondamente inchinato fino all’Indulgentiam; a tibi, Pater e a te, Pater, si volge un poco verso il Sacerdote e si batte tre volte il petto a mea culpa, ecc.

R. Confiteor Deo onnipotenti, beatae Mariae semper Virgini, beato Michaeli

Archangelo, beato Ioanni Baptistae, sanctis apostolis Petro et Paulo, omnibus Sanctis, et tibi, pater, quia peccavi nimis cogitatione, verbo et opere: mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa.

Ideo precor beatam Mariam semper Virginem, beatum Michaélem Archangelum, beatum Ioannem Baptistam, sanctos apostolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos et te, pater, orare pro me ad Dominum Deum nostrtun.

Sac. Misereatur vestri omnipotens Deus, et dimissis peccatis vestris, perducat vos ad vitam aeternam.

R. Amen.

Sac. Indulgentiam, absolutionem et remissionem peccatorum nostrorum tribuat nobis omnipotens et misericors Dominus.

R. Amen.

S’inchina di nuovo un poco sino al Dominus vobiscum.

Sac. Deus, tu conversus vivificabis nos.

R. Et plebs tua laetabitur in te.

Sac. Ostende nobis, Domine, misericordiam tuam

R. Et salutare tuum da nobis.

Sac. Domine, exaudi orationem meam.

R. Et clamor meus ad te veniat.

Sac. Dominus vobiscum.

R. Et cum spiritu tuo.

Si alza, solleva un pochetto il camice del Sacerdote mentre ascende i gradini, poi s’inginocchia sul gradino inferiore e fa il segno di cince al principio dell’introito. .

Sac. Kyrie, eleison. R. Kyrie, eleison

Sac. Kyrie, eleison. R. Christe, eleison

Sac. Christe, eleison. R. Christe, eleison

Sac. Kyrie, eleison. R. Kyrie, eleison

Sac. Kyrie, eleison.

Alla fine delle Orazioni

Sac. Per omnia secula saeculorum.

R. Amen.

Terminata l’Epistola.

R. Deo gratias.

Risposto Deo gratias, si alza, ascende, trasporta il Messale senza chiuderlo, senza voltar le spalle all’Altare e facendo genuflessione nel passare in mezzo.

– Depone il Messale sull’Altare dalla parte del Vangelo. Scende lateralmente sul secondo gradino e si ferma ivi. Risponde e si fa le tre piccole croci col pollice destro sulla fronte, sulla bocca e sul petto. Scende in mezzo, genuflette, va dalla parte dell’Epistola e sta in piedi fino alla fine del Vangelo. Risposto Laus tibi, Christe, si inginocchia.

Al Vangelo.

Sac. Dominus vobiscum.

R. Et cum spirito tuo.

Sac. Sequentia Sancti Evangeli, etc.

R. Gloria tibi, Domine.

Dopo il Vangelo.

R. Laus tibi, Christe.

Se si dice il Credo, s’inchina profondamente alle parole Et incarnatus, est etc … factus est. Al fine si fa il segno di croce come anche alla fine del Gloria in excelsis.

Sac. Dominus vobiscum.

R. Et cum spiritu tuo.

Sac. Oremus.

Quando il Celebrante scopre il calice, il serviente si alza e senza alcuna genuflessione, va alla credenza, prende il piattello colle ampolline, tenendo ferme,queste col pollice ed indice delle due mani. Ascende e presenta prima l’ampollina del vino, poi quella dell’acqua, baciandole mentre le dà e mentre le riceve.

Porta poi quella del vino alla credenza e ritorna col tovagliolo fra le dita della mano, destra pel Lavabo. Se sono due, quello che trasportò il Messale sta alla destra col tovagliolo e l’altro alla sinistra coll’acqua.

Dopo il Lavabo.

Sac. Orate, fratres.

Dopo che il Sacerdote è rivolto all’altare, il ministro stando in ginocchio, senza inchinarsi dice:

Suscipiat Dominus sacrificium de manibus tuis ad laudem et gloriam nominis sui, ad utilitatem quoque nostram, totiusque Ecclesiae sule sanctae.

Sac. Amen.

Al Prefazio.

Sac. Per omnia saecula saeculorum.

R. Amen.

Sac. Dominus vobiscum.

R. Et cum spiritu tuo.

Sac. Sursum corda.

R. Habemus ad Dominum.

Sac. Gratias agamus Domino Deo nostro

R. Dignum et iustum est.

Sac. Vere dignum et iustum est, etc. (Recita il Prefazio.)

Al Sanctus si dànno tre colpi doppi di campanello e si fa il segno di croce.

Alle due Elevazioni anche tre tocchi, sollevando alquanto il lembo della pianeta, nel tempo che il Sacerdote alza le braccia; ed alle 4 genuflessioni del medesimo si fan dal ministro 4 inchini; dopo, senza far genuflessioni, si ritorna a posto senza segnarsi.

Si batte tre volte il petto all’Agnus Dei; al Domine non sum dignus sta alquanto inclinato.

Alla fine del a Pater

R. Sed libera nos a malo.

Sac. Pax Domini sit semper vobiscum.

R. Et cum spiritu tuo.

Dopo che il Sacerdote ha fatto la Santa Comunione colla Santa Ostia e scopre il calice, il ministro si alza, fa genuflessione sul gradino al posto ove si trova (mentre la fa pure il Celebrante. Va a prendere le ampolline col piattello e le porta all’Altare facendo genuflessione lateralmente sul gradino inferiore prima di salire (perchè c’è ancora il Preziosissimo Sangue sull’altare). – Mesce nel calice un po’ di vino, poi vino ed acqua. -Discende e senza più genuflettere porta piattello e ampolline alla credenza.

– Va subito a prendere il Messale e lo trasporta di nuovo dalla parte dell’Epistola, senza chiuderlo e facendole debite genuflessioni nel passare in mezzo.

Alla fine della messa.

Sac. Ite, missa est, ovvero Benedicamus Dominus.

R. Deo gratias.

Nella Messa da morto: Sac. Requiescant in pace. R. Amen).

Nell’ottava di Pasqua si dice: Deo gratias, alleluia, alleluia.

Se il Sacerdote lascia il Messale aperto, si trasporta dall’altra parte dell’Altare.

Alla benedizione s’inchina profondamente, e segnatosi, va a prendere la berretta: e fatta la genuflessione in piano al Verbum caro, ascende, prende il Messale, discende, genuflette col Sacerdote (o mentre questi fa l’inchino). Consegna la berretta baciando prima questa e poi la mano del Celebrante, e,ritorna in Sacrestia, ove ripete la riverenza al Crocifisso.

Sac. Benedicat vos omnipotens Deus, Pater et Filius et Spiritus Sanctus.

R. Amen.

All’ultimo Vangelo.

Sac. Initium o Sequentia Sancti Evangelii, etc.

R. Gloria tibi, Domine.

Finito il Vangelo.

R. Deo gratias.

Se vi sono persone da comunicare, dopo che il Sacerdote avrà recitate ai piedi dell’Altare le preghiere prescritte (tre Ave Maria, Salve Regina, ecc.) il ministro recita il Confiteor profondamente inchinato e colla torcia accesa in mano risponde Amen al Misereatur ed all’Indulgentiam; accompagna il SS. Sacramento stando alla sinistra del Sacerdote e tenendo la torcia colla sinistra.

Sac. Panem de caélo pràestitisti eis (in tempo pasquale: Alleluia);

R. Omne delectamentum in se habentem (in tempo pasquale: Alleluia).

Sac. Domine, exaudi orationem meam.

R. Et clamor meus ad te veniat.

Sac. Dominus vobiscum.

R. Et cum spiritu tuo.

Sac. Oremus… Per omnia saecula saeculorum.

R. Amen.

Sac. Benedictio Dei omnipotentis, Patris, etc., descendat super vos et maneat semper.

R. Amen.

Chiuso di nuovo il tabernacolo si smorza la torcia; si prende la berretta del Sacerdote, si fa il segno della Croce, inchinandosi alla benedizione; quindi si prende il Messale come si dice sopra.

Se la Comunione si desse durante la Messa. si direbbe il Confiteor quando il Sacerdote assume il preziosissimo Sangue e dopo la Comunione si porterebbero subito le ampolline sulla Mensa per l’abluzione.

OSSERVAZIONI

1. Alle Messe da morto si tralascia il Salmo Iudica me, Deus, il segno di croce all’Introito; non ai bacia la mano nè la berretta al Sacerdote, non si batte il petto all’Agnus Dei, non si dà la benedizione in fine.

2. Se la Messa si celebra all’Altare ove è esposto il SS. Sacramento: si fanno doppie la prima e l’ultima genuflessione; tutte le altre semplici ma in piano. – Si fa la genuflessione non solo in mezzo, ma anche lateralmente (in piano) ogni qualvolta si deve salire all’Altare o discenderne, allontanarsene per andare alla credenza o ritornare dalla medesima all’infimo gradino. – Non si bacia la mano al Celebrante. –

Non si suona il campanello nè al Sanctus nè all’Elevazione.

3. Se nell’andare dalla Sacrestia all’Altare o viceversa si passa dinanzi ad un altro Altare dove:

a) si conserva il SS. Sacramento nel Tabernacolo, si fa genuflessione semplice;

b) sta esposto il SS., oppure in quel tempo ti distribuisce la S. Comunione, si fa genuflessione doppia;

c) si fa l’Elevazione, si genuflette, si adora e si aspetta ad alzarsi che l’Elevazione sia compiuta.

INDULGENZE PER COLORO CHE INSEGNANO O IMPARANO LA DOTTRINA CRISTIANA

(Pio XI, 12 marzo 1930).

Indulgenza Plenaria, due volte al mese, in giorni a propria scelta, alle solite condizioni

(Confessione, Comunione, visita a qualche chiesa o pubblico oratorio, ivi pregando secondo le intenzioni del R. Pontefice), se si dedicano almeno due volte al mese ad insegnare o ad imparare la Dottrina Cristiana per circa mezz’ora o per non meno di venti minuti.

Indulgenza dì cento giorni, ogni qualvolta per il suaccennato spazio di tempo si applicano ad insegnare o ad imparare la Dottrina Cristiana.

SPIRITUALI E MISTICI DEI PRIMI TEMPI (10)

F. CAYRÉ:

SPIRITUALI E MISTICI DEI PRIMI TEMPI (10)

Trad. M. T. Garutti Ed. Paoline – Catania

Nulla osta per la stampa

Catania, 7 Marzo 1957 P. Ambrogio Gullo O. P. Rev. Eccl.

Imprimatur

Catanæ die 11 Martii 1957 Can. Nicolaus Ciancio Vic. Gen.

CAPITOLO X

L’ATTUALITÀ DEGLI ANTICHI MAESTRI DELLO SPIRITO CRISTIANO

II vero metodo dottrinale degli antichi

In ogni tempo l’autorità dei Padri è stata riconosciuta nella Chiesa come quella di guide spirituali e mistiche — così come di maestri delle scienze sacre; il valore dottrinale dei loro scritti oltrepassa i quadri dottrinali in cui molto spesso, ai giorni nostri, si tende a rinchiuderli. Occorre essere sull’avviso per i possibili abusi in questo campo. Limitiamoci a rilevare i più stridenti nella storia della Chiesa degli ultimi secoli. Il Protestantesimo, del XVI secolo, sotto tutte le sue forme, fece appello agli antichi testimoni della tradizione per introdurre le sue innovazioni nella Chiesa, disprezzando la Chiesa stessa; il suo torto maggiore fu quello di dimenticare la regola fondamentale posta da Sant’Ireneo nel II secolo: unione alla Sede Apostolica per eccellenza, quella di Roma. Questo grossolano errore di partenza era d’altronde accompagnato da numerose altre deviazioni, dottrinali e pratiche, che fecero della riforma protestante un’impresa rivoluzionaria, sul piano religioso anzitutto, e poi anche sul piano sociale. Riforme indiscutibili s’imponevano e la Chiesa le ha fatte; ha tardato, ma è rimasta fedele alla tradizione, cioè alla dottrina dei Padri e alle regole che essi avevano elaborato sulla traccia dei principi posti dal Cristo stesso. – Il giansenismo, formulato nel XVII secolo, si mostrò all’inizio molto meno radicale del protestantesimo, specialmente nei confronti della Chiesa, di cui ammetteva l’autorità in teoria, salvo a rifiutarla, di fatto, quando le direttive ricevute non coincidevano con l’unica regola ammessa dai suoi dottori, l’autorità di Sant’Agostino, con esclusione di ogni altra. La fede in tale autorità si riduceva in definitiva a una cieca adesione, per quanto riguarda il dogma, alla dottrina dell’Augustinus, erudito lavoro del futuro vescovo di Ypres, Cornelius Janssen, detto Giansenio, allora professore a Lovanio, e per la morale, alle austere direttive date da Saint-Cyran (Jean Duvergier de Hauranne) e dal grande Arnauld (Antoine), dottore alla Sorbona, il più giovane della famiglia, che fece di Port-Royal il bastione del giansenismo, dottrinale e pratico. A parte il fatto che Sant’Agostino non è, come si pretendeva, la sola autorità religiosa nell’antichità cristiana, la sua dottrina veniva appunto ricercata, nel clan giansenista, in modo molto ristretto, isolata dal suo vero ambiente spirituale, a profitto di quadri intellettuali nuovi. L’essenza del Cristianesimo non sta in un quadro giuridico e sociale, per quanto necessario questo possa essere; non sta neanche in un codice dottrinale, per quanta importanza abbiano per esso il dogma e la morale; è nella vita spirituale che si afferma e si espande in queste quadro e in queste dottrine, cioè, di fatto, in una carità viva e vissuta. Il giansenismo si legò ai quadri a scapito della vita profonda, che ne era l’anima. Un madornale errore di prospettiva che produsse conseguenze disastrose. – Lutero ne aveva avuto l’esatto sentimento, quando faceva appello all’ispirazione divina per rinnovare lo spirito cristiano; ma, come in ogni campo, anche qui mancò di misura e la sua rivolta contro la Chiesa finì col viziare ciò che pareva accettabile, nel suo piano di riforma. Il misticismo luterano, fondato sull’ispirazione individuale posta alla base di tutto, conduceva all’illuminismo e aggravò pesantemente le tendenze pseudo-mistiche di cui soffriva l’Occidente al tempo della Riforma. Qui le esagerazioni furono arginate da una ferma azione dei servizi dell’Inquisizione, Pontefici e reali, ma più ancora dall’azione provvidenziale dei grandi mistici carmelitani, Santa Teresa e San Giovanni della Croce, la cui influenza si estese ben lontano. Queste opere non impedirono al quietismo di imperversare, soprattutto in Francia, e la sua necessaria condanna nocque allo sviluppo del vero misticismo la forza delle chiese antiche, in quanto era l’anima delle prime cristianità. Ciò è già stato esposto largamente, da diversi punti di vista, e basta accennarvi brevemente. Il metodo dottrinale dei Padri è ben diverso da quello dei moderni, anche in teologia. La scolastica aristotelica ha molto utilmente messo l’accento sulle basi filosofiche delle dottrine esposte, anche sulle più alte, nell’ordine soprannaturale. Il Rinascimento ha accusato ancora questa tendenza insistendo sull’organizzazione naturale delle scienze. I metodi positivi si sono imposti in ogni campo e le specializzazioni si sono moltiplicate, con gran vantaggio della ricerca e delle scoperte, ma non senza inconvenienti sul piano della sintesi, specialmente nel campo della vita. Qui la fede non è che una base, un punto di appoggio, essenziale senza dubbio, poiché nulla può esser fatto senza di lei, ma insufficiente, poiché nulla viene compiuto senza la speranza e la carità. In un certo senso, si può persino dire che nulla è veramente iniziato senza queste due virtù. La fede non è che una guida e un punto di partenza nella ricerca dello spirito cristiano, che rappresenta la vita soprannaturale nella sua maturità, se non nella sua perfezione. Ecco precisamente il punto su cui gli antichi hanno insistito maggiormente e in cui restano per noi maestri incomparabili. – Abbiamo esposto gli elementi della loro dottrina in tutti i capitoli di quest’opera. Limitiamoci qui a cercarne le fonti, alla scuola dei due più grandi dottori dell’antichità: S. Giovanni Crisostomo in Oriente e S. Agostino in Occidente. Due maestri dello spirito cristiano. S. Giovanni Crisostomo è soprattutto un direttore di coscienze ed è da questo punto di vista che bisogna porsi per giudicare dell’influenza che esercitò durante la sua vita e più ancora forse a partire dal suo esilio e dopo la sua morte. Non aveva nessun gusto per la speculazione che attirava tanto gli orientali, specialmente quelli che erano stati conquistati dallo spirito neo-platonico. Considerava la filosofia come un vano tessuto di parole e di sottigliezze. Non ha ignorato il lato razionale dei dati cristiani, ma lo ha ricercato con la preoccupazione dominante di mostrare come questa fede risponde ai bisogni del cuore e li soddisfa. La filosofia è anzitutto per lui una forma superiore della pietà. A differenza di altri grandi dottori, che furono eminenti da molti punti di vista, egli lo fu soprattutto come maestro spirituale, apostolo ardente di zelo, di un totale disinteresse, difensore zelante dei diritti della verità e della morale. A leggere S. Giovanni Crisostomo, si sente che egli ha un altissimo concetto di Dio: i suoi attributi gli sono familiari, ma egli cerca meno di analizzarli che di viverne e di farne vivere. Egli era stato preparato alla sua missione da una vita interiore delle più intense e, prima di darsi alla vita attiva, era stato, in tutta la forza del termine, un contemplativo. Questo alto ideale, che egli aveva intravisto nella solitudine, si applicò a farlo rivivere nella famiglia cristiana per mezzo dello spirito di preghiera. Voleva, egli diceva, trasformare la casa del Cristiano in un « ginnasio di filosofia », poiché la donna che vi vive nel raccoglimento può applicarsi alla preghiera, alla lettura e ad ogni altra « filosofia », indicando con questo termine un esercizio di pietà. Non esige, per praticarla, che ci si ritiri nelle montagne e nei deserti; vuole ricondurla dalle solitudini nel vortice della città attraverso la pratica della virtù e l’esercizio della vita interiore. Questo ideale verrà ripreso da San Francesco di Sales e realizzato, di fatto, da S. Vincenzo de’ Paoli. Le opere di questi maestri non devono far dimenticare le intuizioni del loro grande precursore.Molto più filosofo, nel senso speculativo della parola, S. Agostino fu, in tutta la forza del termine, un pensatore, ma alla maniera dei Padri, che non Isola vano mai il pensiero dalla vita, soprattutto sul piano soprannaturale. Difatti la parola che rende meglio la sua fisionomia spirituale è quella di sapienza, intesa a proposito della ricerca e della scoperta di Dio.Essa si presenta su due piani ben diversi, l’uno puramente naturale, l’altro soprannaturale. S. Agostino li associa senza confonderli, ma insistendo soprattutto. sul secondo piano, su cui la sua anima si mantiene costantemente a partire dalla sua conversione, anche quando tratta di verità razionali.La sapienza naturale per S. Agostino è un semplice sostegno razionale della sapienza cristiana; è d’altronde ben reale e conduce l’uomo a una certa conoscenza di Dio, sulla quale riposano la religione e la vita. È, in sostanza, una filosofia fondamentale,che può elaborarsi in sistema, su piani abbastanza diversi. Dio ne è il centro. La sua filosofia è ordinariamente più implicita che formulata; egli ne ha tuttavia resi espliciti i principi basilari, attribuendoli a Platone, nella frase della Città di Dio già ricordata (l. VIII, c. IV sgg): Dio, secondo quel filosofo, egli dice, è «causadella sussistenza » degli esseri, « e principio di intellezione» degli spiriti, « e regola di vita » delle volontàcreate. Tutta una dottrina è in queste parole,e i nove dialoghi filosofici, per non citare che questi,ne esplicitano molte applicazioni. Ma, per quanto ricca, questa filosofia resta subordinata, di fatto, alla sapienza soprannaturale, la cui caratteristica specifica,’in S. Agostino, è da ricercarsi nella fede, nella speranza e nella carità. La sapienza agostiniana è essenzialmente una sapienza teologale. La fede gli serve di base, ma è essa stessa unita alla speranza e alla carità, e questa unione non è soltanto dottrinale: è vivente e di conseguenza progressiva.In questo mondo, una vera cooperazione dell’uomo con Dio si impone per valorizzare i doni divini. Le virtù teologali devono essere mantenute in esercizio ed è nella progressione di questo sforzo che si realizza più sicuramente la vera sapienza cristiana.In questa ascesa le tappe sono infinite e S. Agostino le ha segnate in varie maniere. Tre possono servire di base a un serio raggruppamento, valido per tutti i tempi e oggi ancora più necessario che mai. La vera sapienza teologale sarà prima dottrinale e orante: il primo sforzo del cristiano sarà di aderire alla fede nella preghiera, per trovarvi i primi appoggi essenziali necessari per lottare contro il male osservando i comandamenti. Ci si orienta così francamente verso le altezze cui tutti i Cristiani sono chiamati a. tendere.Dopo questo slancio, la saggezza diverrà effettiva e agente, poiché le prime forze acquisite facilitano un più grande sforzo, e l’amore di Dio porta con sé l’anima verso un dono più totale di sé, al servizio del Cristo e delle anime. Un vero spirito di conquista ne è il seguito normale nelle anime generose, e la storia dei santi ne mostra ovunque le alte realizzazioni apostoliche.Senza detrimento per questo spirito di preghiera e di azione, la sapienza, arrivando alla perfezione, diventa sempre unificante e pacificante. Lungi dallo ostacolare l’azione, essa spesso la sostiene e la alimenta. In molte opere di S. Agostino — soprattutto nelle Confessioni — si troveranno tracce di questi gradi,soprattutto del terzo, frutto dell’unione con Dio. È là che il Cristiano degli antichi tempi trovò l’espressione più netta e più calda dell’unione con Dio. Ed è ancor là che si può, ai giorni nostri, entrare meglio in contatto con quest’anima profonda e trovare quello spirito cristiano meglio rispondente all’anima contemporanea, poiché è attinto alle più pure fonti, le più vicine al Vangelo.

Vere fonti dello spinto cristiano

Guardiamoci anzitutto da uno scoglio in cui inciampano molti pensatori moderni, anche i più Cristiani: esagerare l’importanza della filosofia. Essa si impone, certo, e particolarmente Sant’Agostino ha spesso fatto appello alle sue risorse; ma non è, per il Cristiano, che un aiuto. Anche la più alta e più pura speculazione filosofica, è soltanto una guida verso la trascendenza divina. Sant’Agostino ha afferrato il valore dello spirito e della sua attività, ma non al modo di certa « Filosofia dello Spirito » del giorno d’oggi. La vera filosofia dello spirito è la base più diretta e forse più sicura dell’ascesa verso l’infinito. Ma non è che una base e non può vantarsi di attingere Dio; Egli resta nella sua trascendenza, ed è per una vera condiscendenza da parte sua che l’uomo può unirsi a Lui, nella grazia, Dio è Spirito, puro spirito, situato per essenza nell’al di là. Ogni spirito contingente, inferiore a Lui per natura, dipende da Lui in tutte le sue attività soprannaturali. Dio è il solo essere Puro Spirito, Spirito perfetto, unico e tuttavia sussistente in Tre Persone, come ci insegna la fede cristiana. In tutto questo, la filosofia è completata dalla Rivelazione. – L’unione dell’uomo, spirito imperfetto, con Dio Puro Spirito, si compie da un lato nella grazia santificante, che è una grazia di adozione filiale da parte di Dio, e dall’altra nell’attività delle virtù teologali, fede, speranza e carità, grazie alle quali l’uomo agisce fin da quaggiù come figlio di Dio. Questo è in sostanza, lo spirito cristiano, che esiste già nel bambino battezzato, ma che si sviluppa solo con la cooperazione dell’adulto. Essa si annuncia fin dal risveglio della ragione, ma non si affina e non si completa se non all’età veramente adulta, in proporzione della generosità e della docilità di ciascuno. I gradi sono molteplici e i mezzi per progredirvi infiniti. Abbiamo visto, nel corso di quest’opera, in qual modo i Padri abbiano considerato questa azione divina nell’umanità e come questa, grazie al Cristo e allo Spirito Santo, abbia corrisposto ai suoi appelli. Queste modalità sono molto varie. Vorremmo qui non riprenderle nei particolari, ma ricondurle all’unità, insistendo specialmente sullo spirito cristiano. Questo suppone la « ragione umana », ma la supera per mezzo della cooperazione divina. Non si confonde neanche con « lo Spirito Santo », che è una Persona divina e trascendente come il Padre e il Figlio, anche se assume nell’umanità rinnovata dal Cristo un’alta missione ispiratrice e direttiva. Lo spirito cristiano suppone questi due elementi e li mostra associati nel battezzato, fedele alla grazia e generoso nel servizio di Dio. I mezzi per affermare e sviluppare questo spirito, hanno potuto variare nel corso dei secoli. Importa osservare bene quelli che rispondono nel modo migliore ai bisogni delle anime, a seconda dei tempi. La presente opera ha particolarmente messo in luce quelli che sono raccomandati fin dall’antichità cristiana, ed essa fu un’epoca di alta vita spirituale. La cultura scientifica del Medio Evo, del Rinascimento o dei tempi moderni, non ha in nulla contraddetto, su questo punto, il valore dei tempi pastristici, e se lo ha fatto dimenticare, bisogna, con una sana reazione, ritornare a quelle vere fonti della vita spirituale integrale. Due mezzi soprattutto, fra molti altri, sembrano oggi imporsi ai Cristiani colti, specialmente ai giovani, preoccupati della vita cristiana in profondità: la preghiera personale e la propedeutica cristiana dello spirito. – La preghiera personale è presa qui nel senso letterale della parola. Ogni preghiera cristiana suppone una certa partecipazione della persona che vi prende parte. Una semplice presenza fisica non basta. L’assistere ad un atto di culto, anche il più santo e il più solenne, è una preghiera solo se colui che vi assiste vi prende parte intenzionalmente, spiritualmente, affettivamente. I riti e le formule non sono che elementi preparatori o condizioni esteriori: la preghiera risiede in un certo dono del cuore, per quanto elementare esso sia. Questo dono interiore può, del resto, essere molto intenso ed efficace, e assicura alla frequenza ai riti un profondo valore. Questo dono interiore garantisce allora anche la preghiera pubblica e comune: respirazione sincrona e profonda di un corpo animato dallo spirito. Ma al suo fianco vi è posto per una preghiera personale propriamente detta: è ciò che comunemente si chiama « orazione », dalla parola latina oratio, che significa discorso. Ciò che domina nella preghiera, non è il rito esterno, né la recitazione delle formule, per quanto pia essa sia; è il dono personale dello spirito e del cuore a Dio, presente nell’anima per mezzo della grazia, dono rinnovato in seguito o in occasione di una lettura fatta o di un ricordo evocato. S. Agostino ne fu un maestro eccellente, il più popolare di tutta l’antichità cristiana, per mezzo delle Confessioni. – Quest’opera è, infatti, un’orazione prolungata, sotto forma di conversazione con Dio ed ha giovato più di tutte le teorie più scientifiche alla diffusione di questo esercizio. Di qui l’importanza capitale di Sant’Agostino in questo campo della preghiera interiore personale. Egli la presenta non soltanto nella sua forma corrente, ma, in molte pagine, sotto forme superiori, in cui l’azione divina è predominante e in cui la preghiera diventa contemplazione. Questa, a sua volta, intensifica le forze interiori in vista dell’azione, e spiega bene l’efficacia prodigiosa e la durevole fecondità dell’agostinismo preso nelle sue linee essenziali, troppo dimenticate durante i secoli. Essa riprende ai giorni nostri il posto che le spetta e che non esclude, del resto, nessuna delle altre modalità di apostolato dottrinale imposte dagli errori moderni. Essa può vivificarle tutte, aiutandole a ritornare, con i Padri, al meglio della loro vitalità profonda. Le élites cristiane attuali si formano, in parte, nelle Università; sorge qui un nuovo pericolo, fin dall’entrata: la specializzazione. È un metodo che si impone davanti all’abbondanza delle scienze nuove, le cui branche si sono moltiplicate all’infinito. La specializzazione è la garanzia di un certo valore tecnico e di un serio approfondimento. Bisogna però conservare la misura e osservare specialmente che alcuni elementi di alta cultura si impongono ovunque, e che se vi è specializzazione, anche in tal caso, essa contiene elementi di base universali e che bisogna mettere in luce fin dagli inizi. Questo è precisamente il caso di dati sullo « spirito », condensati nelle pagine che precedono riguardanti lo spirito cristiano, dati che suppongono qualche nozione sullo spirito in generale, e principi precisi sul solo Essere Puro Spirito che è Dio. Questi temi che sembrano elementari, sono di fatto punti di partenza in tutti gli orientamenti del pensiero, non soltanto umano, ma cristiano. Di qui la necessità di una vera Propedeutica cristiana dello spirito. Nulla è più importante forse, ai giorni nostri, al momento di iniziare gli studi universitari. Questa specializzazione superiore mira precisamente a lottare contro gli effetti delle specializzazioni correnti, mettendo in luce, fin dalla partenza, l’importanza delle verità della fede e delle loro esigenze. Per questo insistiamo tanto sulla funzione capitale dei Padri, che furono meno degli scienziati propriamente detti che degli «spirituali e mistici». I Padri, come gli stessi scrittori ispirati, dovrebbero tenere un posto importante in una vera iniziazione cristiana all’alta cultura dello spirito, sia pure la più specializzata.

F I N E