LA SITUAZIONE (8)

LA SITUAZIONE (8):

DOLORI, PERICOLI, DOVERI E CONSOLAZIONI DEI CATTOLICI DEI TEMPI PRESENTI

OPERA DI MONSIGNORE G. G. GAUME PROTONOTARIO APOSTOLICO

Custos, quid nocte?

Sentinella: che è della notte?

ROMA – Tipografia Tiberina – 1861

Lettera Ottava

Caro Amico.

Quattro fatti si generano a vicenda, e si concatenano con legamento insolubile di parentela. Dispotismo, spogliamento della Chiesa, scisma, e persecuzione: e questo noi vediamo in tutte le epoche della Storia. Tali fatti a punto sono nella situazione attuale. Non dico già che essi ne verranno (ponetevi ben mente); ma dico solamente che essi vi sono. Or i fatti non sono fratelli, se non perché le idee sono sorelle. Stabilito una volta il dispotismo, regio o popolare che fosse, la prima cosa che egli fa è lo spogliare la Chiesa, immortale sua rivale. Impoverirla, affine di indebolirla; indebolirla, affine di tenerla si soggetta; niente di più logico. Or se lo spogliamento colpisce il capo medesimo della Chiesa, spogliandolo della sua indipendenza territoriale; che n’avverrà? Nella ipotesi più favorevole, la parola del Padre comune diviene sospetta: e bene, o mal fondato, questo sospetto al certo è semenza di scisma. Né io non vo’ insistervi. Attendete a ciò che abbiamo detto della libertà umana, la cui sicurtà si trova egualmente nell’indipendenza pontificia. Che se volete ragionamenti, e voi leggete le riflessioni di Napoleone I, tante volte citate. – Disse un dì il guerriero fatto teologo : « l’instituzione che mantiene il Papa custode dell’unità cattolica è un’instituzione ammirabile. Si rimprovera a questo Capo d’essere un Sovrano straniero; eppure bisogna ringraziarne il Cielo. E che! si ponga in un medesimo paese autorità di tal fatta a fianco del governo dello Stato! Congiunta al governo, quest’autorità diverrebbe dispotismo di sultani; separata, ostile forse, essa sarebbe potenza rivale spaventevole, intollerabile. Il Papa è fuori di Parigi: ciò a punto è un bene. Esso non è né a Madrid, né a Vienna; ed è per questo che noi ne sopportiamo l’autorità spirituale. A Vienna, a Madrid, si ha ragione di dire lo stesso. È cosa ottima dunque che il Papa risegga fuori del nostro Stato, e che avendo sua Sede fuori del nostro Stato, non risegga appresso i suoi rivali. Io non sostengo tali cose per certa caparbietà di bigotto, anzi per ragione ». (Riportato da Thiers nella Storia del Consolato.). – Quante sventure si sarebbe Napoleone risparmiate, se avesse posto le sue parole per regola alla sua condotta! Ma egli è proprio del dispotismo il volere di là da ciò che si deve. Ma qui ci si appresenta la seconda supposizione anche più certa della prima, e molto più grave. Il Papa privato di sua indipendenza, si trova alle prese col Principe, di cui è ospite, o vassallo; tal che senza essere prevaricatore non può accordare quel che gli si domanda: che ne accadrà? A trovare di ciò risposta, non fa mestieri risalire tanto alto nella storia. – Il nostro secolo ha veduto un Papa di santa memoria, agnello per dolcezza, ma felicemente leone per la fermezza. Spogliato del suo dominio temporale, questo Papa diviene prigioniero in mano allo spogliatore. Ed accade che non vi è specie di pressura che Cesare non eserciti sopra il Pontefice, a fin di piegarlo ai suoi ingiusti capricci. Dato in preda alle seduzioni, alle minacce, ai mali trattamenti, il Vicario di Gesù Cristo vuol protestare. – Gli si chiude la bocca. Vuol continuare ad ammaestrare ed a governare la Chiesa: la sua parola non può arrivare alle orecchie del mondo cattolico. Abbeverato di oltraggi, egli è trascinato di prigione in prigione; talmentechè, senza esempio negli annali delle antiche persecuzioni, per più di cinque anni il governo della Chiesa gli è divenuto pienamente impossibile (Arcta custodia… per annos quinque et amplius detentus, viis omnibus peniTus interclusis, ne Dei Ecclesiam regere posset, nullo similis persecutionis in priscis annalibus exemplo. Brev. Rom. 24 maji). – Ma se la voce della verità era tenuta forzatamente muta, al contrario era sciolta quella dell’errore. Intorno alla prigione pontificia, tentativi di scisma s’incalzavano con un ardore e con uno strepito da porre la Chiesa di Francia in su l’orlo della sua rovina. E sì venne tempo che la Providenza intervenisse: e v’ intervenne, come in tutti i casi simili, in maniera diretta e sovrana. Colui che si ride dei consigli degli uomini, e comanda agli elementi, è quel desso che ha detto: « Tu sei Pietro, e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di lei. » Ei si ricordò della sua parola! voi ben sapete del resto. Io v’intendo, caro amico: voi supponete adunque (così pare che mi diciate), che lo scisma stia proprio nello spirito della situazione delle cose? ed anche in tale ipotesi, il credete voi possibile? Alla prima questione già sapete la mia risposta. La situazione in cui versiamo, e della quale parliamo, è il regno della rivoluzione che va di giorno in giorno più ingrandendo. Or la rivoluzione vuole ben più che lo scisma. Lo stesso Pio IX già il disse: essa vuole la totale ruina della religione cattolica, catholicam religiomm funditus evertere. E certo, se mai essa divenisse a padrona assoluta dei suoi atti, allora sì che vedremmo all’aperto tutto il fondo dei suoi pensieri. In quanto ai governi che s’intendono con lei, e presumono dirle come Dio medesimo all’Oceano: tu verrai fin qui; ti proibisco di andare più lungi; non vogliamo prestare loro, anzi ci piace concedere, non aver essi alcuna intenzione scismatica. (È forse non senza un perché, che il governo di Franchi ha tollerato che testé si pubblicasse un opuscolo intitolato: Imperatore e Papa. Quest’opuscolo è un appello per diretto allo scisma! Eccone il sunto: « Soppressione dell’influenza romana, nomina di un Patriarca, concilio ecumenico dell’episcopato francese, volo universale applicato al clero, lo Stato direttore dell’amministrazione religiosa, abolizione dei concordati, costituzione civile del clero. » La tendenza non è ella assai chiara?). – Ma il loro animo per quanto sia buono oggidì, basterà forse a rassicurarcene? Sono forse gli uomini sempre padroni di loro stessi, e degli avvenimenti? S’ignorano forse il trascinamento dell’opinione, e le pretese necessità delle circostanze sì spesso invocate ai tempi di rivoluzione? – Non usciamo fuori dalla storia moderna. La rivoluzione francese al suo primo principiare, in un gran numero dei suoi attori, intendeva essa forse con volontà preconcetta lo scisma della Costituzione civile? N’è dato fortemente dubitarne: ma nulladimeno l’avvenimento si compì. A pie’ dell’atto scismatico, vi è facile vedere sottoscritti quegli uomini stessi, che poco prima avevano giurato rispetto inviolabile alla Religione cattolica. Or rimane la seconda questione: sarebbe oggidì possibile lo scisma? Per metterne i Cattolici in guardia, io potrei tenermi contento a sol rammentare le parole dell’Apostolo: bisogna che vi siano anche le eresie: oportet et hæreses esse: ed a più forte ragione, gli scismi. Questa è senza dubbio una delle mille prove riservate alla Chiesa! E in tale rispetto godrebbe forse la nostra epoca di qualche immunità? Anzi non porta ella forse dentro al suo seno alcuno elemento di questa malattia morale? Che ci vuole dunque per fare scisma? Non più che due cose; cioè una negazione, ed un’affermazione. Negazione di fede e di ubbidienza alla Chiesa; affermazione di ambizione da soddisfare, o d’una falsa postura a conservare. Di certo la negazione non manca ai giorni nostri. Girate lo sguardo intorno a voi; e quindi giudicate dell’albero dai suoi frutti. Ove è la fede de’ molti? Quella fede salda cui niuna forza può rovesciare; quella fede tutta d’un proposito, è, o non è, per la quale ogni concessione riprovata o sospetta è un’apostasia? Un dei caratteri del nostro tempo non è forse l’impazienza del giogo dell’autorità religiosa? Non gli è un fatto sciaguratamente troppo certo, che la più parte delle intelligenze si studiano di sfuggire per una tangente qualunque all’orbita di una fede semplice e piena? E l’indifferenza verso la verità dommatica può andare più avanti? – In quanto espressione autorevole di tali disposizioni degli animi tanto minacciose, che ci eccitano con spavento a metterci in guardia, non abbiamo noi forse al cospetto della legge la eguaglianza del sì e del no in fatto di credenze; fenomeno invero inaudito nel mondo cristiano, che Roma pagana sol vide ai giorni di suo decadimento? Non abbiamo ancora la tranquilla ostinazione di tanti uomini di ogni condizione, di ogni dignità, i quali oggi stesso, rispondono col disprezzo e col sarcasmo ai fulmini della scomunica, coi quali la Chiesa li ha colpiti? – E che diremo dell’affermazione? Un altro carattere distintivo dell’epoca presente non è forse la febbre dei godimenti? Ad una parte troppo numerosa della società, che altro è la vita, se non smania ed affanni per l’oro, per le dignità, pei piaceri? Se l’aumento, o la semplice conservazione di questi beni, dei quali tanti uomini fecero loro dei, avvenga che dipenda da una disubbidienza alla Chiesa; siamo certi che la fede dei martiri si ridesti subito nei cuori a segno che tutti preferiscano la povertà alla fortuna, l’umiliazione agli onori? Che dice la storia dell’Alemagna, dell’Inghilterra, della Francia medesima, e di tutti i paesi, ove dello scisma divennero premio le dignità e le ricchezze? I due elementi dunque dello scisma non mancano. Ora, posto lo scisma come principio, alla minima occasione che si dia, porta senza meno in pratica la persecuzione: altro danno della situazione. Non vogliamo, qui come altrove, accusare in quale che si fosse le intenzioni; che scopo nostro non è affatto di mettere nelle anime inquietudini chimeriche. Ma solamente intendiamo di far rilevare un fatto, che è la connessione esistente tra lo scisma e la persecuzione. Del resto vero èche per quanto, a differenti epoche di scisma, sia stato grande il numero dei fuggitivi da’ sensi della Chiesa, e degli adoratori del fatto compiuto, la Chiesa ed i suoi diritti hanno sempre avuto ed avranno sempre intrepidi difensori. E ‘l potere scismatico è stato sempre sollecito di farne confessori della fede e martiri: chetal fatta di potere pretende di essere ubbidito da tutti, ed a quale che si fosse sacrificio. Per lui è sempre una questione d’amor proprio e di tranquillità, e spesso di vita o di morte. Per le quali condizioni, inerenti alla sua natura, egli è fatalmente forzato, anzi trascinato ad affrontare e sopraffare tutte le resistenze. Ed allora si tagliano teste senza scrupolo, perché si tagliano per principio. La rivoluzione francese anche di ciò porge la prova. Dopo aver decretato solennemente libertà , eguaglianza, fraternità a tutti i cittadini, e ‘l rispetto della Religione, e l’inviolabilità del Re, essa cade nello scisma. E ‘l dì seguente si vede decretare con non minore solennità la proscrizione dei preti e dei Cattolici, i massacri della Vandèa, il regno del terrore, e l’uccisione di Luigi XVI. – Sotto il primo impero non abbiamo noi veduto la persecuzione andare in parallelo coi tentativi scismatici del 1811? Volete anche risalire più alto? Vi ricorda l’Alemagna e l’Inghilterra al XVI secolo. Leggete quel che oggi stesso adopera il clementissimo Imperatore di Russia circa ai suoi sudditi Cattolici. E senza andare sì lungi, guardate alla rivoluzione italiana, che pure non è che al principio, come tratta il clero fedele nei paesi usurpati. Quanti religiosi banditi via de’ loro conventi, e spogliati? Quanti Vescovi fuggitivi, esiliati, o carcerati! – Ma a che aggiungere prove all’evidenza? In tutti i tempi, ed in tutti i paesi, dispotismo, spogliamento della Chiesa, scisma, e persecuzione sono fatti che a vicenda si riferiscono. Colla proscrizione del diritto cristiano ricomincia l’età dei Cesari; e questa è inevitabilmente l’era dei martiri: alla qual legge la storia del passato non porge veruna eccezione. Or la storia del presente sarà ella più felice? Vi risponderà l’avvenire.

Tutto vostro ecc.

LA SITUAZIONE (9)

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA DEL MESE DI APRILE 2021

APRILE È IL MESE CHE LA CHIESA CATTOLICA DEDICA ALLA SANTA PASQUA ED ALLE CELEBRAZIONI PASQUALI

Questa festa, LA PASQUA, la prima e la più augusta di tutte le feste dell’anno, è detta per eccellenza il giorno del Signore. Il nome di Pasqua che le è dato, significa passaggio. I Giudei per ordine di Dio la celebravano tutti gli anni, sotto il medesimo nome, come la più grande delle loro solennità, in memoria della liberazione dalla schiavitùd’Egitto e dei miracoli dell’onnipotenza divina, che per l’Angelo sterminatore aveva colpito di morte tutti i primogeniti egiziani, per costringere il loro re a lasciar partire gli Ebrei, secondo gli ordini del Signore. Così fu adempita la divina volontà; il popolo eletto, carico delle spoglie dei nemici, si pose in viaggio: l’Angelo dell’Altissimo lo conduceva, segnalando quasi tutti i suoi passi con fatti meravigliosi, fino alla terra promessa ad Abramo e alla sua posterità, diventata a quel tempo una nazione numerosa, per sempre celebre. Il suo stato e tutta la sua storia dovevano essere per tutte le nazioni, nella successione de’ secoli, la figura profetica del nuovo popolo di Dio, che sarebbe chiamato in Gesù Cristo, per essere dall’orto all’occaso, il popolo santo, unico oggetto delle divine promesse, ed erede dei beni infiniti di cui il Messia sarebbe, per tutte le generazioni, la cagion meritoria e l’arbitro eterno.La Pasqua de’ Giudei fu infatti il simbolo espressivo della Pasqua dei Cristiani. L’agnello offerto a Dio da quelli, mangiato in famiglia in un pranzo legale, ed il cui sangue doveva contrassegnare l’entrata delle loro case per preservarli dalla morte, figurava chiaramente Gesù Cristo, l’Agnello di Dio, che Giovanni Battista designava sotto questo nome, mostrando ai Giudei sulle rive del Giordano la Persona adorabile dell’Uomo Dio. Perché nulla mancasse all’intero adempimento della figura del Salvatore del mondo, prima di consumare il suo sacrificio sulla croce, diede realmente sé medesimo, sotto il simbolo eucaristico, alla sua Chiesa, come agnello senza macchia e vittima dell’oblazione divina, che essa offrirebbe dall’un polo all’altro, sino alla fine dei tempi, secondo la profezia di Malachia.

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869)

Queste sono le feste che la Chiesa Cattolica celebra nel mese di:

APRILE 2021

1° aprile Feria Quinta in Cena Domini    Duplex I. classis *I*

2 Aprile Feria Sexta in Parasceve    Duplex I. classis

            I VENERDI

3 Aprile Sabbato Sancto  Duplex I. classis

            I SABATO

4 Aprile Dominica Resurrectionis    Duplex I. classis

5 Aprile Die II infra octavam Paschæ    Duplex I. classis

6 Aprile Die III infra octavam Paschæ    Duplex I. classis

7 Aprile Die IV infra octavam Paschæ    Semiduplex

8 Aprile Die V infra octavam Paschæ    Semiduplex

9 Aprile Die VI infra octavam Paschæ    Semiduplex

10 Aprile Sabbato in Albis    Semiduplex

11 Aprile Dominica in Albis in Octava Paschæ    Duplex I. classis

13 Aprile S. Hermenegildi Martyris    Semiduplex

14 Aprile S. Justini Martyris    Duplex *L1*

17 Aprile S. Aniceti Papæ et Martyris    Simplex

18 Aprile Dominica II Post Pascha    Semiduplex Dominica minor

21 Aprile S. Anselmi Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

22 Aprile SS. Soteris et Caji Summorum Pontificum et Martyrum    Semiduplex

23 Aprile S. Georgii Martyris    Semiduplex

24 Aprile S. Fidelis de Sigmaringa Martyris    Duplex

25 Aprile Dominica III Post Pascha    Semiduplex Dominica minor *I*

                S. Marci Evangelistæ    Duplex II. classis

26 Aprile SS. Cleti et Marcellini Paparum et Martyrum    Semiduplex

27 Aprile S. Petri Canisii Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

28 Aprile S. Pauli a Cruce Confessoris    Duplex

29 Aprile S. Petri Martyris    Duplex

30 Aprile S. Catharinæ Senensis Virginis    Duplex

L’ABOMINIO DELLA DESOLAZIONE (2)

L’ABOMINIO DELLA DESOLAZIONE (2)

Lettera ai Vescovi di Francia

[Mgr. J. Fèvre, 

REVUE DU MONDE CATHOLIQUE. 15 DECEMBRE I901]

III. – Il più grande difetto del baccalaureato universitario è che è completato, coronato e sancito da un corso di filosofia. La filosofia è la scienza delle cause prime e dei fini ultimi; o, più esplicitamente, la scienza degli esseri in generale e degli spiriti in particolare, cioè di Dio, dell’uomo e delle loro relazioni, secondo la rivelazione della fede e la luce della ragione. La filosofia, così intesa, è una creazione propria del Cristianesimo.  Gli antichi non erano più di noi estranei a questo bisogno dell’anima che vuole conoscere l’essenza delle cose e la loro ragione d’essere. Ma, con la loro fede incerta e la loro ragione ancora più incerta, sapevano solo creare grandi sistemi ed inquadrare gli errori che li avevano sedotti e gli idoli che avevano eretto nei loro cuori. Nel pieno dei lumi della civiltà greca, Platone diceva che solo un Dio poteva insegnare la filosofia agli uomini. Confucio, il grande saggio della Cina, si rivolgeva all’Occidente per invocare il desiderato delle nazioni. E Cicerone, il segretario generale della filosofia greca, schiacciato dall’evidenza, dopo aver sintetizzato gli insegnamenti dei filosofi, emise questa sentenza: non c’è niente di così assurdo che non sia stato detto da qualche filosofo: Nibil est tam absurdum quod non dictum fuerit ab aliquo philosophante. La filosofia cristiana, figlia del Vangelo e della Chiesa, mirabile creazione di grandi geni, specialmente di Sant’Agostino d’Ippona, Sant’Anselmo di Canterbury e San Tommaso d’Aquino, ha illuminato il mondo dopo la sua conquista da parte di Gesù Cristo. Non ho niente da dire qui sul suo potere e sui suoi benefici. Basta notare che se i filosofi antichi erano condannati a sbagliare dall’assenza di una fede che non conoscevano, i filosofi moderni si sono dedicati alla stessa oscurità, ripudiando la fede della loro culla. Di fronte alla filosofia tradizionale del Cristianesimo, hanno voluto stabilire una filosofia razionale che si isolasse dalla tradizione per limitarsi alla ragione. Con Bacone rifiutarono questa filosofia cristiana che chiamarono scolastica, cioè d’ignoranza; con Cartesio fecero poggiare l’edificio del nostro sapere sulla sola ragione; e con Leibnitz osarono dire che nel letame della Scolastica non c’erano che poche particelle d’oro da raccogliere. Hinc dérivata clades. – Dopo tre secoli, la filosofia scolastica in Francia era stata più o meno asservita ai filosofi moderni. Critica con Bacone, razionalista con Cartesio, idealista con Malebranche, atea con Spinosa, fantasiosa con Leibnitz, questa filosofia delle scuole cercò di evitare l’errore capitale di ogni sistema, attaccandosi alle verità del simbolo. Così che questa filosofia, cristiana nella sua ispirazione generale, preservata dalle più grandi deviazioni dal presidio del Vangelo, era tuttavia contaminata da errori che la rendevano impotente. Questi tre secoli in cui ha regnato questa filosofia sono tre secoli di decadenza. Si è seguito un solco finendo in una buca fangosa, che non faceva passare più abbastanza luce. Le disgrazie di questa filosofia, vanamente provate dalle catastrofi della storia, non allarmarono altrimenti la fede e il patriottismo, né dei maestri, né degli allievi, né del clero, né dei principi. – È solo negli ultimi cinquant’anni che questa filosofia è stata messa alla prova. Un giorno sarà la gloria del XIX secolo l’aver iniziato il ripudio della filosofia moderna; e per mezzo di voci isolate, per aver propugnato un ritorno alla scolastica, cioè alla filosofia come risulta dagli insegnamenti del Vangelo. Menti isolate avevano preso questa iniziativa; Pio IX e soprattutto Leone XIII presero in mano questo grande interesse della Chiesa e dell’umanità. Leone XIII, lui stesso tomista, scrisse un’enciclica espressamente per riportare i maestri alla filosofia dell’Angelo della Scuola. Da un tale voto alla sua realizzazione, c’è una lunga strada da percorrere. Di tutti i locali, il più difficile da esplorare è il cervello umano. Tre secoli di aberrazione scolastica avevano depositato le ragnatele del filosofismo nella scatola cranica dei francesi; le fibre del cervello francese si erano infettate di emanazioni di questa piccola filosofia; e come la gola si adatta all’espressione di una lingua, così il cervello nazionale era stato invaso da un insegnamento difettoso, che era diventato un’abitudine, una seconda natura. – Nella Chiesa, come ovunque, è difficile tornare dalle infatuazioni; più difficile ancora per le abitudini ecclesiastiche di rispetto delle tradizioni, e anche per quelle abitudini di adulazione che hanno sostituito, tra noi, l’antico vigore dello spirito. Più lo spirito mente si abbassa, più si esalta; più, esaltandosi, si apre ad ammissioni ridicole e si chiude con asprezza alla riparazione critica. La nostra decadenza francese ci riporta alle usanze bizantine. Ammiriamo molto, ma non ammiriamo nulla e ci impantaniamo nella confusione. – Non è che abbiamo trascurato di mettere San Tommaso nel pasticcio di carne tritata, come si chiamano, in cucina, i ripieni. In passato, senza citare il buon uomo che aveva messo San Tommaso in meditazione, Billuart e Goudin avevano acquisito, spiegandola, un’illustrazione e Duns Scoto, contraddicendola, l’immortalità. Oggi, lo confesso, con più lodevole impegno, San Tommaso è stato tradotto; San Tommaso è stato abbreviato; San Tommaso è messo in evidenza, nella prosa e nei versi; soprattutto sono state scritte filosofie nello spirito di San Tommaso. San Tommaso è ovunque; ma non entra nelle menti, non illumina ancora le anime, sia perché le ragnatele rifiutano di riceverlo, sia perché i cervelli non sentono nulla onde digerirlo. Ovviamente non siamo più ai tempi in cui un seminarista chiedeva a un professore di leggere San Tommaso, e il professore rispondeva: “È una cosa seria, ne parlerò con il superiore”. Il superiore, ricevuta la richiesta, rispose a sua volta: “È una questione seria, dovrò convocare il consiglio. Il Consiglio, cioè i superiori e i professori, a loro volta, dopo aver deliberato sulla questione, dopo averla esaminata da tutte le parti, dopo aver soppesato i pro e i contro con il peso del santuario, hanno espresso il serio parere che vi fosse un pericolo nella questione e hanno risposto alla richiesta con un rifiuto. Nel 1840, San Tommaso era ancora pericoloso da leggere; nel 1850 era nella sala di teologia con dei volumi di Patrologia e la Somma dei Concili, alla portata di tutte le mani. Cinquant’anni di voga, anche dopo la formazione romana di un certo numero di professori, non hanno ancora distrutto la tradizione gallicana dei seminari ed introdotto tra noi il seminario romano. San Tommaso è tornato; è giustapposto ai costumi dell’insegnamento gallicano; è sottomesso ai suoi metodi, ai suoi programmi e talvolta è impantanato dalle sue soluzioni. È una riforma radicale che occorre stabilire. Io non ho ancora sentito che ha avuto luogo; sono persino incline più a credere che sia stato rifiutato. La causa di questa strana disgrazia è la mancanza di una Bacone antigallicano. Il cancelliere di Verulam, all’alba del filosofismo moderno, prima di dare il Novum organon, aveva pubblicato il De augmentis scientiarum; aveva fatto un inventario delle dottrine ricevute, e proceduto, egli credeva, al loro espurgo. Bacone fu l’introduttore del razionalismo. Dio, che non manca mai alla sua Chiesa, ci aveva dato un Bacone antitesi del primo; era Jeàn-Baptiste Aubry che P. Freyd chiamava il Colosso di Rodi del seminario francese a Roma. Dopo aver professato a Beauvais, Aubry, che aveva una grande anima, andò a morire missionario a Kouéi-Tchéou. Mentre lavorava per la conversione della Cina, non aveva dimenticato la sua missione di restaurare la Francia. Scriveva incessantemente; quando morì, le sue carte tornarono a casa, lasciate in eredità a suo fratello Agostino, – un vero Agostino – che doveva mettere a frutto l’eredità del defunto. Il nostro Agostino ha pubblicato dieci volumi. Questi dieci volumi sono dedicati esclusivamente all’opera preparatoria per il trionfo di San Tommaso. Nel loro vasto insieme, non si limitano alla speculazione sui principi generali e sul metodo della scienza cattolica; essi impostano la legge costituzionale dei seminari maggiori; trattano successivamente della Sacra Scrittura, del dogma, della morale, del diritto canonico, della storia e della vita spirituale; e su ogni punto realizzano la riforma indispensabile per sostituire il seminario gallicano e le sue disastrose routine con il seminario romano con la solidità dei suoi metodi, la certezza delle sue dottrine e la magnificenza delle sue illustrazioni. I fratelli Aubry non sono forse le due più grandi menti del nostro tempo; sono però certamente i due apostoli più ascoltati della rivoluzione che deve trasformare i seminari e, di conseguenza, trasformare la Francia. San Tommaso trionferà solo a questo prezzo; io credo nella prossimità di questo trionfo.  L’asino di Balaam in persona lo saluta con entusiasmo. Ciò che mi rallegra in questa speranza è che Jean-Baptiste Aubry è morto martire per la sua causa, ucciso dal lavoro; e che suo fratello Augustin Aubry, che si è dissanguato per la pubblicazione delle opere del missionario, ha da dieci anni i vecchi furfanti del gallicanesimo come cibo al suo pranzo. Su questa questione cruciale di San Tommaso e della riforma dell’insegnamento filosofico, ecco una lettera del nostro Agostino. Il Papa aveva scritto al giovane vescovo di Verdun su questo stesso argomento: « Ancora una volta – dice Augustin Aubry, in poche righe molto suggestive, Leone XIII rimette a punto l’insegnamento ecclesiastico. Ai professori dei nostri seminari maggiori egli fa come di un dovere capitale di lasciare da parte le invenzioni di una vana filosofia, di seguire San Tommaso e di coltivarlo come loro maestro e guida. Più energicamente che mai, insiste sull’attuazione del programma delineato nelle sue lettere precedenti. « È impossibile – aggiunge – che l’aumento quotidiano del numero di seminari che potrebbero servire da modello per altri non ci dia una grande soddisfazione…. « Cosa notevole, Leone XIII procede qui per desiderio. Perché questo giro di parole nell’espressione della parola pontificia? Non sentite che ci sono lamentele, dei gravi desiderata? Non si giudica anche a Roma che la filosofia del baccalaureato universitario è un substrato piuttosto dubbio? «Dalla lettera di Leone Xlll ci sembra emergere, chiaro come il sole, che questa filosofia di San Tommaso, questa teologia scolastica, di cui egli chiede da tempo la restaurazione, sarebbe praticata solo in un numero molto ristretto di nostri seminari, suscettibili, dice, di servire da modello per altri. « Ora, quali sono questi seminari modello dove l’insegnamento scolastico regna già in tutta la sua pienezza? Io cerco avidamente la lista delle scuole filosofiche e teologiche dove l’Enciclica Æterni Patris, che prescrive la filosofia di San Tommaso, sia applicata in tutto il suo contenuto. Certamente oggi non ci sono più scuse per non applicare gli ordini del Papa; il suo programma risale al 4 agosto 1879: in 22 anni ci sarebbe stato tempo per la riforma, per la riorganizzazione. « Ahimè! Vorrei credere in una restaurazione solida e generale nel senso e secondo le idee di Leone XIII. Ma la lettera papale del 1° ottobre scorso conferma i timori che da tempo soffocavo. « Timori basati sull’uso generale – con poche eccezioni – di autori classici mediocri e dubbi, a volte anche più o meno contaminati da ontologismo, cartesianesimo, kantismo e razionalismo. « Timori fondati sulla scelta degli insegnanti, sempre zelanti, spesso improvvisati, a volte inferiori, raramente scolastici. « Timori basati sul modo in cui si usa San Tommaso, procedendo per lo più da citazioni isolate che da uno studio di questi trattati – il che è una specie di adulterazione ed un’assoluta ignoranza del suo metodo e della linea tracciata da Leone XIII. « Timori basati sui risultati osservati negli ultimi vent’anni, vale a dire: la depressione dello spirito sacerdotale, l’indebolimento della predicazione, il razionalismo delle idee, l’assenza dei principi più elementari, la divisione infinita delle forze cattoliche. « Osiamo sostenere, e siamo determinati a dimostrare, con cifre alla mano, che il lavoro essenziale deve ancora essere fatto per il ripristino degli studi filosofici e teologici nella maggior parte delle nostre scuole francesi. – « Il considerevole lavoro sui seminari maggiori, che pubblicammo nel 1891, fu l’occasione di una vasta inchiesta la cui documentazione, molto seria, molto significativa, rimane nelle nostre mani, come prova indiscutibile della correttezza dei desiderata di Leone XIII. – « Produrremo questa prova a breve. È stata fatta dagli uomini più importanti del clero e dell’insegnamento, che sono stati così gentili da darci le loro impressioni, e da illuminarci sufficientemente sullo stato delle nostre diocesi, e può essere riassunta in una viva dolenzia del triste stato delle cose sacre nelle nostre diocesi. « Non avremmo pensato che si potesse scendere più in basso e fare del baccalaureato universitario la pietra di paragone della vocazione sacerdotale. « Dedichiamo questi pochi pensieri ai signori della democrazia balzana del clero. Ci permettiamo di segnalare loro questa vena che sembra non abbiano pensato di sfruttare: lo studio dei principi, secondo Leone XIII; una forte preparazione filosofica e teologica, sempre secondo Leone XIII; ma soprattutto dei principi, dei principi, i principi…. « Perché andare al popolo senza solidi principi, senza idee precise – come accade appunto ai nostri suddetti democratizzatori – è rovinare l’opera del buon Dio; è disturbare le coscienze già indebolite; è risparmiare alla Chiesa di Francia amare delusioni e rovine irreparabili. » Non ci fermiamo qui al carattere classico della Somma di San Tommaso, avendo trattato questa grave questione in questa stessa rivista, in una lettera al Sommo Pontefice. Ricordiamo solo che, per ordine di Leone XIII, il corso ecclesiastico di filosofia deve durare due anni.

IV. – La nostra attenzione deve concentrarsi sulla questione della Sacra Scrittura all’alba del XX secolo. Tra i Giudei ed i Cristiani, i libri sacri sono sempre stati oggetto di culto religioso. Sono stati letti, spiegati e commentati: mai un libro è stato letto e commentato tanto quanto la Bibbia. Quando il pozzo dell’abisso fu aperto al mondo, probabilmente volle oscurare le stelle con i suoi neri vapori, ma il grande eresiarca Lutero affettò prima di tutto un aumento della devozione alla Bibbia. La Bibbia era il messaggio di Dio all’umanità: tutto era nella Bibbia, chiaro, accessibile allo spirito più umile. Per essere inondati dalla luce divina e purificati dalla grazia, c’era solo da leggere la Bibbia senza inclinazioni malvagie, i filosofi con il loro orgoglio, lo stato con le sue ambizioni: tutti questi poteri deviati hanno trasformato la Bibbia in polvere. Il protestantesimo non riconosce più né il canone della Scrittura, né il contenuto ed il significato dei testi, né l’autenticità dei due Testamenti. Il Protestantesimo non è ormai che una forma di Filosofismo, una forza cieca del ciclone rivoluzionario: esso non solo ha annientato le Scritture, ma ha divorato tutte le dottrine positive; e storicamente, l’applicazione di questo principio distruttivo avrebbe messo in ginocchio il mondo, se l’istinto dei popoli ed il buon senso dei principi non ne avessero scongiurato la furia. Nonostante il declino della verità in Francia, nonostante il profondo scuotimento della società civile, il clero francese, nel suo insieme, non fu né invaso né minacciato dall’infiltrazione protestante. Ma non si può negare seriamente che non sia fortemente esposto alla tentazione, il popolo ancora di più. Oggi, come in passato, i nostri studiosi e scienziati devono prendere in prestito dalla scienza tedesca non solo le sue procedure e i suoi metodi, ma a volte i risultati ancora incerti delle sue pazienti indagini. Non è lontano da lì accettare dottrine ed indicazioni. Devo ricordarvi che il nostro clero parrocchiale è stato scosso, sedotto, caduto, un esodo come mai si era visto dopo Calvino, e questo in piena pace. I fuggitivi hanno il loro budget, il loro giornale, il loro sostegno da parte dello Stato, l’incoraggiamento dall’estero. Le missioni protestanti furono inviate in Francia in tutte le direzioni; esse circuivano la gente comune e lusingavano le passioni della borghesia. Lo Stato, che ha abolito la facoltà di teologia alla Sorbona, l’ha sostituita con una facoltà protestante e con una cosiddetta facoltà di religione comparata, ma semplicemente per la distruzione del Cattolicesimo. In nome dello Stato e a spese dei contribuenti, i padroni, nati dalla feccia del razionalismo più radicale, lavorano per l’annientamento del grande culto della patria. Due fatti gravi devono essere messi in relazione con queste circostanze: l’insegnamento scritturale micrologico in Francia, la sua debolezza, che non difende le intelligenze dalla seduzione; e in secondo luogo, la deformazione del cervello ecclesiastico da questa disastrosa tradizione del particolarismo francese. Da ciò si deve concludere che la nostra relativa debolezza e l’indiscutibile forza del nemico – anche se questa forza è solo una debolezza – ci creano, nel campo della Scrittura, un pericolo reale. Questo pericolo sembra più grave, se consideriamo l’attuale disfatta. – P. Fontaine, S.-J. “Le infiltrationi protestanti”, prefazione, a p. VIII. “Della morale pubblica e lo scuotimento intellettuale causato dal progresso della Rivoluzione”.. D’altra parte, bisogna notare la pubblicazione dei grandi Dizionari della Sacra Scrittura e della Teologia e la crociata scientifica di cui queste pubblicazioni sottolineano le conquiste. « Come, si chiede un gesuita – non applaudire alla creazione della Scuola esegetica di Gerusalemme, audacemente originale, dove l’Ordine di San Domenico ha portato le sue antiche ed alte tradizioni di scienza teologica scritturale? Le Facoltà di Teologia, che sono come il cuore delle nostre Università cattoliche, hanno anche contribuito a moltiplicare nelle file del clero secolare e delle congregazioni religiose, sacerdoti meglio equipaggiati dei loro predecessori per le lotte scientifiche e la difesa della verità. Daranno la loro vera misura ed i loro frutti più abbondanti il giorno in cui, cessando di essere scuole complementari dei seminari maggiori, avranno vita propria ed autonoma, abbracciando l’intero ciclo delle scienze religiose, con un personale più numeroso e studenti che vi apprenderanno di più (P. Fontaine, S.-J. Le infiltrazioni  protestanti, prefazione, p, VIII.). . Maurice d’Hulst, il cui spirito era insicuro, è ricordato come il patrono, per semplice ipotesi, di questa interpretazione ampia, che ammetteva errori nella Bibbia. L’ipotesi di D’Hulst avrebbe potuto essere messa nella lista nera, come l’ipotesi liberale di Lamennais. Il Papa, sempre benevolo verso la debolezza liberale, si accontentò di rettificare, per mezzo di un’Enciclica, le sue discrepanze; ma, nella sua sincerità, non mancò di dire che questo modo di difendere le Scritture equivaleva ad un tradimento. Dopo quell’Enciclica in cui il Papa aveva posto delle protezioni sull’orlo di tutti gli abissi, il p. Fontaine non crede che sia rimasta senza difetti. A suo modesto parere, la critica mossa alla teologia ha reso dubbia la prima rivelazione; ha scosso l’autenticità del Pentateuco e gli argomenti che fornisce su Dio, l’anima, l’immortalità e la vita futura; ha sminuito la giusta nozione di messianesimo  reso Cristo troppo umano; ha travisato il problema dei sinottici e la questione giovannea; ha compromesso la divinità di Gesù Cristo ed il valore dimostrativo del quarto Vangelo; essa ha alterato la storia dei dogmi sul capitolo “penitenza”; infine, sembrava contestare l’eternità delle pene dell’inferno.  – La Chiesa conserva come tesi consolidate l’autenticità canonica dei libri sacri, la giusta nozione dell’ispirazione divina e l’assoluta veridicità delle Scritture divine. In presenza di queste affermazioni indiscutibili, la critica storica ha il compito di illustrare i libri e di interpretare i testi; soprattutto, deve liberarli dall’infiltrazione dell’esegesi protestante, « che ha invaso – dice P. Fontaine – quasi ogni ramo della scienza ecclesiastica. Invece di diventare meri cronisti dell’esegesi d’oltre Reno, essi metteranno la loro scienza al servizio della dogmatica rivelata. Non passerà molto tempo prima di avere un’esegesi propria, veramente cattolica e veramente scientifica ». Spetta ai Vescovi, Eccellenze, affrettare questo felice evento.

JUSTIN FEVRE

Protonotario apostolico.

(Continua…) 

L’ABOMINIO DELLA DESOLAZIONE (3)

LA SITUAZIONE 7

LA SITUAZIONE (7):

DOLORI, PERICOLI, DOVERI E CONSOLAZIONI DEI CATTOLICI DEI TEMPI PRESENTI

OPERA DI MONSIGNORE G. G. GAUME PROTONOTARIO APOSTOLICO

Custos, quid nocte?

Sentinella: che è della notte?

ROMA – Tipografia Tiberina – 1861

Lettera Settima

Caro Amico.

I sofismi, de’ quali abbiamo fatta ragione, mirano a stabilire come per principio, che l’indipendenza materiale non è necessaria alla Chiesa; e che la povertà le conviene meglio che le ricchezze. Dal particolare si passa al generale, e si pretende che il Papa presente deve abbandonare le Provincie invase dalla rivoluzione; e per questo si cita l’esempio di Pio VI. La scelta per vero non è felice. Or appunto perché ha sotto gli occhi l’esperienza del suo venerabile predecessore, Pio IX non deve ceder nulla. Pio VI dopo aver sottoscritto, forzatovi, e costretto, il trattato di Tolentino, conservò forse per questo il resto dei suoi Stati? La cessione che egli credette poter fare alla forza brutale, impedì forse d’esser cacciato da Roma e dall’Italia qualche mese più tardi, d’esser privato della libertà, e di morire in prigione? Or pensate, se un simile risultato sia di bastante incoramento a Pio IX! – Per altra parte, le circostanze non sono più quelle. Al tempo di Pio VI, la rivoluzione non ancora aveva detto chiaramente la sua ultima parola. Si poteva veramente prendere abbaglio intorno a’ suoi intendimenti, e credere che essa si contentasse di un’usurpazione parziale. Oggidì simile illusione non è più possibile. La rivoluzione non vuole solamente parte del dominio di S. Pietro, anzi lo vuole tutto; né vi fa più mistero. Inoltre, l’eminentissimo Cardinale Antonelli fa notare con ragione, che Pio VI fu spogliato con violenza, ed a Pio IX si propone di abdicare. Or niun Papa ha mai abdicato; egli non può, né deve. » Se dunque, egli aggiunge, si consideri la differenza dei casi, si vedrà facilmente che lo stesso motivo che indusse Pio VI a cedere, obbliga Pio IX ad una negativa assoluta. « Pio VI in circostanze completamente diverse dalle circostanze attuali, si trovava in faccia di una violenza insormontabile, e di una forza materiale. Pio IX al contrario è alle prese con un principio che si vorrebbe far prevalere. Or la forza materiale non è che un fatto. Di sua natura essa è limitata, enon si fa sentire che nel cerchio della sua azione, che essa non può oltrepassare. La cosa è tutt’ altra quando trattasi di principii. Di loro natura essi sono universali e di una inesauribile fecondità: essi non si arrestano al punto, a cui si vuol restringere la loro azione, ma tendono ad un’applicazione generale. « In conseguenza Pio VI cedendo alla forza materiale poteva sperare ragionevolmente di salvare il resto dei suoi Stati; mentrechè Pio IX cedendo ad un preteso principio, abdicherebbe virtualmente la sovranità di tutti i suoi Stati, ed autorizzerebbe uno spogliamento contro ogni principio di giustizia e di ragione. D’onde può vedersi che l’esempio di Pio VI conduce piuttosto ad una conclusione totalmente opposta a quella che si ha in veduta ». (Dispaccio del 29 Febbraro 1860 in risposta alla Circolare del Sig. Thouvenel Ministro degli Affari Esteri in Francia). – Voi potete intanto apprezzare questo nuovo sofisma, di cui si è menato tanto rumore; ma di questo, e di tutti gli altri del medesimo genere bisogna fare una più compita giustizia in favore dei Cattolici. Or pur tolte di mezzo tutte le allegate ragioni, l’interesse medesimo della società minacciata dal comunismo pagano fa a Pio IX un dovere particolare di non sanzionare nulla di quel che si osa contro il suo dominio temporale.

IL PAPA DIFENDENDO IL SUO DIRITTO, DIFENDE TUTTI I DIRITTI.

Ecco il punto, sul quale bisogna mantenere la questione. Per dirlo di passata, a vergogna di certi Cattolici più o meno elevati negli ordini sociali, ecco ciò che hanno benissimo compreso, e nobilmente espresso i Protestanti di Meklemburgo nel loro indirizzo a Pio IX. Già noi abbiamo veduto come il Papa difendendo la sua indipendenza, difende la libertà! Resta a dimostrare che egli ad un tempo difende l’autorità, la proprietà, tutti i beni, tutti i diritti, la società medesima; tutto questo contro la barbarie. Per qualificare quanto ci minaccia, io non ho altre espressioni. Onde se quelle che io adopero sono troppo forti, voi le addolcirete; ma prima di mettervi in cerca di sinonimi, vi piaccia ascoltarmi. Confessate primieramente, caro amico, che noi assistiamo ad uno strano spettacolo. Che cosa avviene sotto gli occhi nostri? Due forze nemiche sono alle prese; la rivoluzione ed il Cattolicismo. Che vuole la rivoluzione? – Inaugurare il suo diritto-Qual è questo diritto?-È il diritto dell’uomo regnante senza dipendenza e senza sindacato dell’autorità di Dio; ciò vuol dire il diritto delia forza – Che cosa è l’inaugurazione del diritto della forza? È il trionfo della barbarie; essendo in verità lo stesso diritto, che regola i selvaggi ed i lupi. Quindi vedete ove noi siamo arrivati: sotto il cielo, un sol uomo oggidì difende il vero diritto, il diritto della giustizia contro il diritto rivoluzionario. Per salvarlo, egli si sacrifica agli oltraggi, alle persecuzioni, alla povertà, forse anche al martirio. Ma la sua causa è la causa di tutti, la causa della civilizzazione. Or non sembrerebbe egli naturale, che l’Europa intera dovesse serrarsi intorno a Lui, e sì secondarlo eroicamente mercè della triplice potenza delle sue preghiere, del suo denaro, e del suo sangue? Ciò non ostante, gran che! non solo ei viene abbandonato; ma ancora, anziché reputargli la sua invincibile energia, voi piuttosto avete ad udire milioni di uomini di ogni paese, di ogni stato, e di ogni grado biasimare la condotta di lui, dargli dell’ostinato, e condannarlo d’acciecamento e di ambizione mondana. – È in tal guisa che la più alta questione sociale si abbassa e riduce alle meschine proporzioni di un vile interesse. Che Dio li perdoni; e’ non sanno quello che si dicono! E non sanno, che l’eroico Pio IX, in difendendo il diritto cristiano contro il diritto rivoluzionario, tutela l’ordine contro il disordine, l’autorità contro l’anarchia, la proprietà contro il socialismo, la civilizzazione contro la barbarie; il castello del nobile, lo scrigno del banchiere, il magazzino del negoziante, la cassa di risparmio dell’operaio, il campo del lavoratore, non meno che il trono dei Re, pur quello di Vittorio Emmanuele. Chétutti i diritti sono collegati fra loro. Il palazzo e la capanna poggiano sullo stesso fondamento! L’incendio non ha scelte a fare; con una stessa vampache balza impetuosa, consuma i quartieri dei ricchi, ed i sobborghi de’ poveri. Se avverrà che si riconosca come principio che per veduta di convenienza o di utilità nazionale, si possa, in dispregio di tutti i diritti e di tutti i trattati esistenti, spropriare un principe qualunque, foss’egli anche Papa; quindi a poco un sol trono non resterà in piedi; e con più forte ragione verun proprietario non sarà più in sicuro. Per fermo quel medesimo principio a cui voi oggi vi richiamate contro il Sommo Pontefice, con pretensione anche di farglielo sanzionare, quel desso domani per la logica inesorabile della democrazia sarà rivolto contro di voi stesso: che avrete a rispondervi? Ecco quello che non si vuol comprendere: or dovrei dire, ecco ciò che non si può più comprendere. È a tale infatti l’impotenza di logica, anzi l’indebolimento del senso comune, anche presso un gran numero di persone oneste, che queste idee elementari stanno all’altezza di venti cubiti dalla loro testa. Veramente fra tutti i sintomi del male a cui l’Europa è in preda, io non ne conosco altro più spaventevole di questa debolezza, o di questa perversità d’intelligenze. Allorché v’imbattete in un uomo che va a tentoni in pieno meriggio, e prende le carrozze per portoni di rimesse, e chiama bianco ciò che è nero; voi senza più dite che quest’uomo è colpito di vertigine o di demenza. Or vedendo che un mondo mi porge lo stesso spettacolo, come non avrò io adire che esso è già da presso alla barbarie? Imperocché quel che è follia all’individuo, suona barbarie pei popoli. . Ma checché sia di ciò, a chi conserva la facoltà di unire due idee, la caduta del trono temporale di San Pietro significa nell’ordine sociale l’incertezza di tutti i diritti, lo scotimento di tutti i troni, ed il segnale di uno sconquasso generale, Nell’ordine religioso poi è in rispetto alla Chiesa l’entrata nella fase la più difficile di sua esistenza; forse il ritorno alle catacombe. Per le nazioni da ultimo, che condannano la loro madre a questa dura prova, è il cominciamento di un avvenire sconosciuto, che lo sguardo più sicuro non osa ravvisare. – Non dispiaccia ciò udire agli autori ed approvatoli dello spogliamento; ma tal fatto che essi si sforzano di ridurre a meschine proporzioni, è gravido di immensi avvenimenti, i quali scuoteranno l’Europa sino da suoi fondamenti. Noi vi ritorneremo sopra più in là: e frattanto, vi parlerò di pericoli più prossimi; ciò richiedendo lo scopo pratico delle mie lettere: questi nuovi pericoli sono lo scisma, e la persecuzione.

Tutto vostro etc.

L’ABOMINIO DELLA DESOLAZIONE (1)

L’ABOMINIO DELLA DESOLAZIONE (1)

Lettera ai Vescovi di Francia

[Mgr. J. Fèvre, 

REVUE DU MONDE CATHOLIQUE. 15 DICEMBRE 1901]

Monsignori…

Un antisemita, membro della Ligue de la Patrie Française, ha recentemente pubblicato due opere sulle disgrazie del tempo. Di fronte alla dolorosa situazione in cui versa la Chiesa – una situazione che peggiora di giorno in giorno – vorrei, miei Signori, in una lettera indirizzata a voi, trarre alcune conclusioni da queste opere, o piuttosto aggiungere ad esse considerazioni su alcuni fatti nuovi. Questi fatti mi sembrano elementi necessari di apprezzamento ed indicazioni urgenti per una risoluzione di condotta. L’interesse della Chiesa e della Francia è la sola causa determinante di questa lettera e la ragion d’essere delle sue sollecitudini.

I. – Ma prima diciamo una parola, a titolo di preambolo, Monsignori, sulle due opere dello scrittore antisemita, un patriota di buono stampo ed un Cattolico della migliore marca, che ritengo essere colui che, abdicando a qualsiasi residuo di particolarismo francese, si colloca esattamente all’interno del diritto pontificio e si limita a rivendicare l’adempimento dei doveri che esso impone, a tutti, re e popoli, pastori e gregge. La prima di queste opere è presentata sotto il titolo biblico: L’abominio nel luogo santo. L’obiettivo dell’autore è di indagare se e in che misura si è prodotto in Francia l’abominio predetto da Daniele sulla riprovazione della Giudea. A tal fine, l’autore stabilisce una somiglianza tra il popolo giudeo prima di Gesù Cristo ed il popolo francese dopo il suo avvento. Il popolo giudeo aveva ricevuto da Dio la vocazione di custodire, nel tempio della Sinagoga e nel suo territorio chiuso tra montagne, i dogmi, le leggi e le istituzioni sacre della legislazione divina; il popolo francese ha ricevuto da Dio, dopo le invasioni dei barbari, con il battesimo di Clodoveo, con il battesimo della regalità e della già nazione di Francia, poi con la chiamata di Carlo Magno all’Impero, la missione di custodire, di diffondere in tutto l’universo la rivelazione di Gesù Cristo, e di difendere a Roma, il Papa, Vicario di Gesù Cristo, Pastore sovrano, unico ed infallibile del genere umano redento dalla Croce del Calvario. Come risultato di questa vocazione, la Francia ha sia oneri che benefici: gli oneri sono di adempiere sempre fedelmente i doveri inerenti alla sua missione; i benefici sono di vedere la sua fortuna dipendere dalla sua fedeltà al servizio del Vangelo e della Chiesa; è di ricevere, per la sua fedeltà, la benedizione temporale di Dio e, in caso di infedeltà, di incorrere nei suoi anatemi. La storia ci mostra la Francia fedele e benedetta per mille e più anni: benedetta, cioè saggiamente costituita al suo interno, che persegue il suo destino nella pace di Dio e che prevale incessantemente su tutte le sue frontiere. Il mondo, sotto l’autorità dei Romani Pontefici e sotto l’impulso della Francia, gradualmente entra nel seno della Chiesa, nella luce e nella potenza del Vangelo, in tutto il progresso e la gloria della civiltà. Nel IX secolo apparve Fozio; nel XVI secolo apparve Lutero. Questi due grandi eresiarchi sono i nemici forzati di Roma, di cui rifiutano il primato spirituale, ed i distruttori intenzionali della Francia, la figlia primogenita della Chiesa. Per effetto della loro predicazione, i tre grandi imperi della forza, Russia, Germania ed Inghilterra insorgono in Europa, ostili, a dir poco, contro la Francia e Roma, ed armati per la loro comune rovina. Lì si trova il grande senso della storia moderna, appena sospettato da Bossuet negli ultimi capitoli della sua storia. Ora, questo complotto, tre volte secolare, ordito contro la Chiesa e la Francia, parla di scisma e di eresia, questo complotto ha avuto i suoi complici, se non i suoi ciechi collaboratori all’interno della stessa Francia. Gli umanisti del Rinascimento avevano diminuito l’amore tradizionale per il Cristianesimo; i filosofi, basandosi solo sulla ragione, come Lutero, avevano scosso le colonne della filosofia e del diritto; i principi, beneficiando, credevano essi, dei dubbi dei filosofi e delle false dottrine degli eretici, avevano innalzato, anche nei paesi cristiani, il tipo augusteo dei Cesari. Da questo miscuglio di debolezze, errori e iniquità nacque la Rivoluzione, che era soprattutto anticristiana, nemica radicale dei Romani Pontefici, e che spingeva fino all’ateismo la sua furia cieca contro la vocazione provvidenziale della Francia. Da un secolo a questa parte, non ci sono che due grandi questioni in Francia per la rivoluzione satanica: separarsi da Roma, prima amministrativamente e poi effettivamente; e distruggere, in Francia, ogni appartenenza alla Chiesa; perseguire, nelle istituzioni e nelle persone, lo sradicamento di ogni principio religioso; riconoscere solo i rapporti degli uomini tra loro per lo sfruttamento della terra ed il fragile mantenimento di un’esistenza fugace. La conseguenza finale di questa situazione è lo scisma. Finché ci saranno, in Francia, tante persone senza fede, senza culto, senza morale; finché la società si baserà sulla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo ad esclusione dei diritti di Dio; finché la legge si dichiarerà atea e pretenderà di esserlo; nel momento stesso in cui la politica, satura di ateismo, è decisa a spingere fino in fondo il radicalismo distruttivo della legge e delle istituzioni, non si capisce, al di fuori dello scisma, come la Francia possa mantenere la pratica religiosa. Non è da uno scisma per tradimento dei Vescovi, Monsignori, che la Francia può perire: l’autore dichiara questo scisma impossibile; ma lo scisma preparato dall’allontanamento della moltitudine, scritto nelle leggi, perseguito in una cospirazione giudeo-massonica, appena contrastato da qualche protesta, sembra dover essere derivato dallo Stato, come il risultato delle nostre aberrazioni visibili, come il termine logico dei nostri attacchi rivoluzionari, come il coronamento della rivoluzione contro Dio. – La seconda opera dell’autore antisemita si intitola: Desolazione nel Santuario: è ancora un titolo biblico, ma applicato alle realtà attuali. L’Abominio nel Luogo Santo studiava nei suoi atti e nelle sue circostanze il tentativo dello Stato di corrompere la Chiesa; la Desolazione nel Santuario cerca gli effetti, oggi certi, di questo tentativo di corruzione. Per ragionare con forza e concludere con decisione, nel primo scritto, l’autore si è appoggiato alla storia di Francia e ha sostenuto la sua requisitoria contro il governo persecutore con la testimonianza di diciotto secoli; per ragionare con la stessa forza e concludere con la stessa decisione; l’autore si appoggia, nella sua nuova accusa, sulla storia della Chiesa, “Il Papa e la Chiesa, dice San Francesco di Sales, sono uno”; ma il Papa, gerarca supremo della Chiesa, è assistito nel suo governo dai Vescovi stabiliti, dice San Tommaso, come giudici e agenti subalterni, nelle principali città. Ora, questo governo, composto dal Papa come capo permanente e continuatore infallibile, e dai Vescovi come capi locali, confermati nell’ortodossia dal Papa, offre questo tratto caratteristico: la conferma pontificia è, per i Vescovi, la fonte del potere, la regola dell’azione, e, in caso di fallimento, sempre possibile, il necessario, assolutamente necessario e, inoltre, l’unico controllo. Per i Vescovi, quindi, c’è bisogno di una ferma adesione, un legame indissolubile, alla Cattedra del Beato Pietro, Pastore dei Vescovi come è il Pastore di tutti i Cristiani. Se, alla luce di questo principio, voi esaminate i venti secoli di storia ecclesiastica, cosa vedete? Vedete che i Vescovi che erano fermi nella fede, i Padri e i Dottori della Chiesa, e tutti i Prelati che erano costanti nell’ortodossia e nella disciplina, erano tali solo per la loro devozione alla Cattedra Apostolica; al contrario, tutti i Prelati che naufragavano nella fede o nella morale; tutti i Vescovi caduti nell’eresia o nello scisma; tutti i Vescovi che sono stati traditori di Dio, di Gesù Cristo e della sua Chiesa, erano tali perché infedeli a Roma, ribelli alla sua monarchia, divisi dal Romano Pontefice. Stabilita questa regola di discernimento, l’autore arriva ai nostri tempi e nota, da un lato, il fatto flagrante della persecuzione per vent’anni; dall’altro, il fatto certo che nessun tradimento scandaloso è avvenuto nella Chiesa per vent’anni. Al contrario, legioni di valorosi soldati sono insorti nello Stato, combattendo per Dio e per la Patria; e si son visti nell’episcopato, fin dall’inizio, solenni atti di resistenza. Rendendo alla fedeltà e alla bravura un giusto omaggio, è dunque evidente: 1° Che la persecuzione non ha fatto che accrescersi ed aumentare, distruggendo in tutte le istituzioni, la proprietà ecclesiastica, violando nel clero secolare e regolare tutti i diritti sanciti dal diritto canonico; 2°. Che la continua estensione e austerità della persecuzione è in parte attribuibile alla mancanza di una sufficiente resistenza nella Chiesa. Invece di combattere il nemico di Dio e del nome cristiano, si è generalmente pensato di disarmarlo con una procedura sdolcinata e con un spirito assoluto di conciliazione. Sembrava che il dissenso non fosse che solo in superficie; che unendosi ad esso senza secondi fini si sarebbe ammorbidito il persecutore; che era necessario obbedire alla legge e prestarsi all’evoluzione della patria; che Dio parlava attraverso gli eventi della storia; che era patriottico e pio prestarsi al trionfo della Repubblica. In breve, sotto l’influenza delle nostre illusioni, della nostra cecità, delle nostre debolezze, delle nostre miserie, siamo arrivati ad una situazione che fa pena agli uomini di spirito e agli uomini di fede. – Senza appoggiarci qui,  Monsignori, a nessuna colpa particolare o generale, senza recriminare contro nessuno, senza istituire alcun processo, io stabilisco per principio che la salvezza della Francia deve essere l’opera della Chiesa; che la Chiesa, attraverso il suo clero secolare e regolare, possiede il rimedio a tutti i mali del mondo e la medicazione necessaria all’applicazione efficace di questo rimedio. Sono i Vescovi che hanno fatto la Francia, sono i Vescovi che devono salvarla. Che non l’abbiano fatto è evidente; che sia stato loro impedito, io voglio crederlo… Ecco perché voglio ricercare quali ostacoli esistono nel clero all’azione redentrice dei Vescovi. Non sono i Vescovi che biasimo; essi non sono miei sudditi e non sono io il loro giudice. Ma è ai Vescovi che voglio indicare, il più brevemente e rispettosamente possibile, gli ostacoli che impediscono il nostro progresso e, per non essere infinito, denunciare questi imbarazzi prima di tutto nell’ordine delle dottrine e degli insegnamenti.

II – “La Francia”, disse il cardinale Gousset, “sarà salvata da buoni Vescovi e buoni preti. “Le Encicliche dei Romani Pontefici hanno affermato solennemente con quale insieme di scienza, di virtù e di sacrifici, preti e Vescovi potevano diventare i salvatori della loro nazione. Due Vescovi su novanta, per dare una base migliore alle dottrine papali, hanno preteso dai seminaristi il baccellierato in letteratura ricevuto all’Università di Francia. Questi due Vescovi si incontrarono ad un certo punto con il fondatore della scuola carmelitana, che, come Arcivescovo di Parigi, voleva elevare i gradi e le conoscenze umanistiche del clero francese al più in alto nell’Università. L’opinione quasi unanime dell’Episcopato, senza voler respingere positivamente questa scuola, era quella di non mandarvi i suoi preti, anche se la suddetta scuola fosse opera di un Vescovo. – Le ragioni di questo rifiuto non derivavano certamente da un’avversione alla crescita del sapere letterario e alla sua consacrazione mediante titoli. I Vescovi non erano propensi innanzitutto per il pericolo della formazione sacerdotale, poi il danno delle malsane dottrine, poi ancora l’assoggettamento del prete ai suoi rivali, l’immatricolazione nei ranghi dello stato laico, e la tentazione di entrare al suo servizio lasciando la Chiesa. Più di una volta, abbiamo visto questi preti, divenuti dottori dell’Università, scambiare la tonaca con la redingote, e, con trasformazioni che non oso descrivere, porsi come nemici pubblici di Santa Madre Chiesa. Il baccalaureato offre un pericolo minore, ma è comunque un pericolo per la vocazione. Il Vescovo di Orléans, così liberale, lo sperimentò più di una volta; si faceva in quattro per moltiplicare il numero dei preti e dei baccalaureati; spesso i baccalaureati non diventavano preti e il generoso Dupanloup era riuscito solo a fornire ai licei dei maestri di studio. Un corrispondente di Vérité Française ha obiettato che il baccalaureato richiesto come condizione “sine qua non” per entrare nel seminario maggiore stava diventando una nuova irregolarità e che la creazione di un’irregolarità era al di là del potere di un Vescovo. Un Vescovo può fare un regolamento valido per la sua diocesi, ma è privo delle qualità per imporre una legge alla Chiesa universale. Questo è evidente: non intendiamo in alcun modo opporci alla regolamentazione diocesana di un Vescovo; ma crediamo che, come legge generale, possa essere discussa e non ammessa. Due altri corrispondenti dello stesso giornale hanno sollevato molte altre obiezioni, una in extenso, secondo l’adagio: Unus est instar omnium: « Permettetemi di offrire alcuni pensieri, suggeritimi dalla misura intrapresa da NN. SS. i vescovi di Tarentaise e di Mende, riguardo all’ammissione dei candidati al sacerdozio nei loro seminari maggiori. D’ora in poi, nessuno riceverà l’abito ecclesiastico in Tarentaise e Mende, se non può dimostrare di aver ottenuto il diploma di maturità. Questa decisione, di eccezionale gravità, ha conseguenze che non sono suscettibili di provocare una legittima emozione tra i Cattolici, perché può alienare dagli ordini sacri, soggetti molto degni, capaci di fare molto bene nella Chiesa, e che, forse privi della scienza dell’università laica e neutrale, sono ricchi della scienza dei Santi, e potranno acquisire conoscenze sufficienti in teologia per amministrare i Sacramenti secondo le regole prescritte, e, con l’aiuto della grazia, guidare le anime con sapienza. Voi ricordate molto opportunamente il caso del Venerabile Curato d’Ars, e se ne potrebbero citare molti altri, anche di Santi che la Chiesa onora con il culto pubblico nella sua liturgia. Ma non è questo punto di vista che voglio considerare. « Certamente, la misura imposta ai futuri chierici di Tarentaise e Mende nasce dalla lodevole preoccupazione di assicurare che il prete nella società contemporanea non sia in alcun modo inferiore agli uomini del mondo, e che la carriera sacerdotale, chiedo perdono per questa espressione, sia di difficile accesso come le carriere liberali. Questo è un bel tributo alla dignità del sacerdozio. Tuttavia, vedo alcuni inconvenienti in esso. Vi sono giovani che vengono a chiedere alla Chiesa di dar loro un posto tra i suoi chierici, di farli ministri di Cristo e di affidare loro la missione di lavorare per la salvezza del popolo cristiano. » Per sapere se possono essere sottoposti alla lunga preparazione che li porterà al sacerdozio, che bisogno c’è di consultare lo Stato? Ai professori delle Facoltà della nostra Repubblica, atei, settari e persecutori, è stato affidato il compito di discernere gli eletti per il sacerdozio? Se questi signori dell’istruzione superiore, molti dei quali sono protestanti o ebrei, hanno la fantasia di essere difficili verso i candidati ecclesiastici, il vostro seminario rimarrà chiuso per causa loro. C’è dunque un legame necessario tra il grado di scienze umane richiesto per il baccalaureato e le qualità necessarie per diventare prete? La vocazione al sacerdozio è inseparabile dal diploma rilasciato dal Ministro della Pubblica Istruzione, e deve essere contrassegnato dal timbro del governo? Finora la Chiesa non ha proibito ai suoi sacerdoti di sostenere la prova degli esami universitari, ma imporre loro questa prova, farne una condizione sine qua non per l’ammissione agli ordini sacri, che è ripugnante al suo carattere di società perfetta, sarebbe in qualche modo un abbassamento, un’abdicazione dei suoi diritti nelle mani dello Stato, che non ha nulla a che fare con il reclutamento dei ministri di Dio e di cui sarebbe il giudice, se il baccalaureato fosse indispensabile per entrare in seminario. Si dimentica, sembra, che il sacerdozio non sia, come uno stato mondano qualsiasi, l’oggetto della sola scelta della libertà umana, e che, per presentarsi all’ordinazione, bisogna essere chiamati da Dio. Può il Signore aver sottoposto questa vocazione al giudizio dei laici, troppo spesso ostili al Cattolicesimo?  C’è un elemento soprannaturale nello stato ecclesiastico che non si trova altrove; bisogna tenerne conto.  Inoltre, nel considerare le materie dell’esame di maturità, sappiamo dove il governo può portare i futuri studenti del santuario? – Forse lontano dalla teologia. Infatti, se finora il programma degli studi secondari laici ha coinciso più o meno con quello degli studi teologici preparatori, non c’è nessuna garanzia che questo accordo duri a lungo; le tendenze attuali fanno addirittura temere che cessi presto e che nei licei non si acquisisca più una conoscenza sufficiente del latino per poter trattare gli autori ecclesiastici. Senza dubbio, le lettere profane, le scienze matematiche, fisiche e naturali non devono rimanere estranee a coloro che con la loro vocazione intendono guidare i fedeli; ma una giusta parte deve essere lasciata nella vita del futuro seminarista allo studio del latino e della sana letteratura. Se i programmi sopprimono questa quota già piccola, bisognerò seguirli ciecamente? Allora ci sarà lo spettacolo davvero curioso di un esame che non comprende nessuna materia preparatoria per gli studi per i quali essa è richiesta; sarà il semplice fatto di essersi presentati davanti allo Stato con qualche tipo di conoscenza estranea che deciderà l’ammissione al seminario. Infine, vedo un notevole pericolo nell’imporre le dottrine filosofiche che si insegnano nell’Università a persone il cui ruolo sarà proprio quello di insegnare al mondo le nozioni del vero, del giusto, del bello e del buono, così poco conosciute nel nostro tempo. Perché, come tutti sappiamo, la filosofia universitaria, se davvero ne esiste una, ha demolito più di quanto abbia costruito, e ha già avuto un’influenza troppo disastrosa su una parte del giovane clero; è ad essa che si deve, per molti, l’introduzione del neo-kantismo tra il nostro popolo, a scapito delle idee sane e in contrasto con le istruzioni del Sommo Pontefice. – « Se mi si obietta che gli esaminatori non decidono sulla vocazione stessa, risponderò: poiché obbligate i futuri chierici a far stabilire il loro grado di scienza dagli accademici, e questo sotto pena di avere la porta del santuario chiusa … state davvero facendo dipendere la vocazione stessa ed il sacramento dell’ordine dall’opinione di questi signori? Che per i funzionari dello Stato, e anche per le carriere liberali, sia richiesto un dato massimo di conoscenze umane, e che l’Università sia il giudice dell’attitudine dei candidati, molto bene; ma non è il caso dell’ammissione allo studio della teologia e dei suoi annessi. Spetta solo alla Chiesa e non allo Stato dire fino a che punto le scienze umane siano necessarie ai giovani chierici. Questa questione preoccupa da molto tempo la Chiesa, che ha provveduto attraverso l’istituzione di seminari minori, di cui si riserva la direzione. Perché il Vescovo dovrebbe abdicare ai suoi diritti e trasferirli allo Stato? Perché affidare allo Stato l’esercizio del controllo che appartiene di diritto al Vescovo e che solo lui può esercitare con discernimento e saggezza ed in conformità con le vedute della Provvidenza sui futuri continuatori dell’opera di Gesù Cristo? « Che nessuno mi rimproveri di esporre la Chiesa all’accusa di essere nemica delle scienze secolari (deliberatamente non dico oltre la scienza); essa le ha sempre incoraggiate, e molti nelle file del clero, regolare e secolare, hanno reso in questo campo servizi eminenti che solo l’ignoranza e l’ingratitudine possono misconoscere, Non è sufficiente ricordare questo? Non sono stati i nostri benedettini che, mentre convertivano e civilizzavano i popoli, ci hanno conservato i capolavori dell’antichità classica? E i gesuiti non hanno forse contribuito in larga misura allo sviluppo degli studi scientifici e letterari? Né mi si accusi di fideismo, perché nessuno più di me vuole vedere il clero brillare in tutti i rami della scienza; ma i preti, sopra tutti gli altri, devono dare la preferenza agli studi ecclesiastici, e non è scioccante far dipendere la vocazione sacerdotale da un esame in materie secolari davanti ad una giuria laica spesso incredula? – « Per riassumere, vedo nella decisione presa un pericolo per il reclutamento del clero, un abbandono dei diritti della Chiesa, un pericolo per la dottrina ed una concezione inesatta della vocazione sacerdotale. Inutile dire che queste semplici e franche riflessioni non mi impediscono affatto di dare un’esplicita testimonianza di rispetto ai venerabili prelati, il cui zelo si preoccupa giustamente di garantire al loro clero una seria formazione sia nella scienza che nelle virtù sacerdotali? » Di tutte queste obiezioni, ne conservo solo due: la prima è l’inutilità della misura; la seconda è la sua inadeguatezza. Ecco un bambino che è arrivato al seminario minore in sesta o quinta elementare. Ogni anno, questo allievo aveva le sue note di classe giornaliere, le sue sedute settimanali, un esame semestrale e la solenne consacrazione della distribuzione dei premi. – Questo allievo è passato dalle classi di grammatica a quelle di umanità, ha studiato le leggi dello stile, la poetica e l’eloquenza; non ha negletto lo studio elementare delle scienze fisiche e matematiche. E dopo tre, quattro o cinque anni di seminario, i delegati del Vescovo, o il Vescovo stesso non sono capaci di apprezzare la sua attitudine alla filosofia e al ministero ecclesiastico? E questa incapacità, di cui confessano di essere giustamente privi, la riceverebbero da laici, esaminatori universitari, dopo una sola composizione e un esame di tre quarti d’ora; essendo certi, inoltre, che questi stessi esaminatori, capaci di giudicare il merito letterario, non discernono, non sospettano neppure, in questo ambito, il punto in cui dovrebbe prepararsi alle scienze della Chiesa. Dico, per me, salva reverentia, che questo apprezzamento del merito di un retore del seminario minore, è, per il superiore, per il professore dello stabilimento, e ancor più per il Vescovo, un dovere rigoroso, e che essi devono, su un punto così delicato, così serio, così importante, non riferirsi a nessuno. L’ammissione al seminario maggiore appartiene a loro e a nessun altro; e il giorno in cui questa ammissione dipenderà dai rivali dei nostri collegi ecclesiastici, dai nemici della Chiesa, quel giorno nei nostri annali deve essere segnato con una pietra nera…. « Può essere che l’ammissione al seminario maggiore sia stata a volte decisa con eccessiva indulgenza, ma sarebbe da giudicare allora, in modo non definitivo.  Deve essere successo a volte, visto che si sta cercando un rimedio.  Ma il rimedio non è nell’Università, è nella Chiesa; e se il giudizio dell’Università non fosse soggetto ad un ulteriore controllo, sarebbe una grande disgrazia; che il popolo della Chiesa abbia il coraggio di compiere tutto il suo dovere; non ha nulla da chiedere allo Stato per questa lontana preparazione al sacerdozio.  Il baccalaureato, come semplice valutazione del merito letterario, ha l’autorità che dovrebbe avere?  – Confesso che sono lontano dal crederci. Un piano di studio ben pensato, un insieme di classi ben applicate, un lavoro costante, saggio e con un po’ di entusiasmo per prestarsi ad esso, ci sembra essere la migliore garanzia di un corso di seminario. Questo sistema d’istruzione non mira ad un diploma; non si rinchiude negli stretti confini di un programma; si estende e si espande fino agli estremi delle frontiere dell’istruzione secondaria; ci si sforzi in tutto per dare all’allievo il giusto sentimento per ciò che deve sapere, e il sentimento del grande per tutto ciò che deve ignorare.  Un tale piano di studio e di insegnamento ci sembra essere di gran lunga superiore a questa preparazione per il baccalaureato, che è lo scopo esclusivo delle scuole secondarie e dei college, che sembra solo suscettibile di rendere l’insegnamento più piccolo e la testa più bassa. – Citerò qui un aneddoto. All’epoca in cui ero studente nel seminario minore, Mons. Parisis era vescovo di Langres. Questo Vescovo, che non basta chiamare grande, aveva severamente proibito in seminario la preparazione del baccalaureato, non solo per le future reclute del santuario, ma anche per i giovani che erano destinati alla carriera civile. Nella mente del prelato, la ragione di questo divieto era che la preparazione al baccalaureato gli sembrava adatta solo per abbassare il livello desueto. Al contrario, pensava che l’educazione, liberata da questi bordi e liberata da questi limiti, dovesse crescere ogni giorno di più e portare l’educazione al punto più alto della solidità. Il ministro Villemain sosteneva il contrario: il Vescovo, per mettere da parte queste pretese, lanciò una sfida al ministro: la sfida di far competere gli studenti del seminario minore con i collegi maggiori di Parigi. Il ministro non accettò; temeva, e aveva le sue ragioni, che i seminaristi minori di Langres sarebbero arrivati a battere, agli occhi di tutta la Francia, gli studenti del Collège Louis-le-Grand. Il fatto è che, sotto il potente impulso di questo Vescovo, si era formata a Langres una generazione di allievi di altissimo merito. In due o tre occasioni, gli studenti di questo seminario si sono presentati per il baccalaureato; sono stati i primi a ricevere i voti più alti ed i posti migliori. Queste sono ragioni serie, questi fatti sono decisivi. – C’è un altro aspetto della questione. Tutti sanno che l’esame di maturità è solo una lotteria: gli stupidi riescono spesso a causa della pietà che ispirano; i forti falliscono perché sono forti. Il diploma di maturità è volgarmente chiamato pelle d’asino; se non ha la virtù di far crescere le orecchie, non può impedire che si facciano. La moltiplicazione delle pelli d’asino ha creato, in Francia, una specie di mandarinato, di mediocrazia, che ci ha fatto abbassare la stima e la grandezza reale. Il più grande dei mali della Francia, il peggiore dei flagelli, è l’assenza di uomini. La Francia sta cadendo, al punto da essere minacciata di essere completamente cancellata. L’abbassamento delle menti, dei cuori e dei caratteri è un fatto universale. Come risultato di questo abbassamento, si sono formati dei partiti che si oppongono tanto più aspramente al parroco tanto più sono colpiti da una peggiore ignoranza. Le invenzioni criminali del socialismo minacciano di sorprendere e dominare un paese che una volta era la patria del buon senso, dell’onore e del patriottismo. La guerra alla proprietà, al matrimonio, alla famiglia, all’esercito, all’ordine pubblico e all’indipendenza del Paese sono oggi i passatempi di banditi, transfughi dell’Università. Siamo minacciati dal destino medesimo della Polonia e dell’Irlanda. E in questa crisi formidabile, cosa ci viene offerto, come rimedio? L’obbligo del baccalaureato per i chierici… molto simile a quel rimedio del debole Melantone che, spaventato dalle catastrofi scatenate sulla sua patria dal suo padrone, propose, come rimedio efficace, una rinascita della letteratura. Io non sono nemico della letteratura: la amo, la coltivo anche senza altra ispirazione che la mia fede ed altro maestro che il mio zelo. La letteratura non ha mai rovinato nulla; non deve essere denunciata. Ma non dobbiamo dimenticare che la predicazione del Vangelo, la conquista del mondo da parte della parola apostolica, la sconfitta del vecchio paganesimo, sono opera dei dodici pescatori raccolti dalle sabbie della Galilea. Ma non dobbiamo dimenticare che dopo l’annientamento della barbarie pagana, i missionari senza lettere dei tempi merovingi sconfissero la barbarie selvaggia dei Goti, degli Unni e dei Vandali. Non dobbiamo dimenticare che questi missionari analfabeti, sostenuti dalla parola degli Apostoli e dal sangue dei martiri, hanno creato le nazioni cristiane, hanno costituito queste nazioni nel Cristianesimo, hanno dotato questo Cristianesimo di lingue, di scienze e di lettere, che sono tutte radiose emanazioni del Vangelo. Soprattutto, però, non dobbiamo dimenticare che quando la rinascita del paganesimo nel XVI secolo prese a ribaltare l’opera dei missionari e dei martiri, non passò molto tempo prima che scuotesse la fede, obliterasse le coscienze, cancellasse il sapere, minasse le istituzioni, dissolvesse il Cristianesimo e compromettesse persino la civiltà ed il suo futuro. Poi, e nessun uomo istruito può negarlo, dacché l’anticristianesimo, al quale il baccalaureato appartiene, ha fatto deviare il corso della civiltà cristiana e ha scosso le istituzioni dei popoli, ora non ci si parla che di una religione senza Dio, un cristianesimo senza Cristo ed una chiesa polverizzata, della quale ogni atomo vivente è re e pontefice. Sotto la copertura di queste negazioni antisociali e omicide, ciò che ci rimane è la ragione, impotente, senza bussola e senza base; è l’anima consegnata a tutta la cecità e la furia delle passioni; è la schiavitù necessaria alla conservazione dell’umanità corrotta; è il dispotismo, la forza necessaria per mantenere gli uomini fuori dalla cultura, senza appoggio morale, costantemente minacciata dal progresso materiale rimasto senza contrappeso. « Noi saremo abbrutiti dalla scienza – diceva Monsieur de Maistre – e questo è il peggior tipo di barbarie ».

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. GREGORIO XVI – “QUEL DIO”

« Si è calmata la tempesta … » scriveva il Sommo Pontefice SS. Gregorio XVI, che si era abbattuta – come sempre – sulla santa Madre Chiesa, pensando che ne seguisse un periodo di pace e stabilità… Ma per la Chiesa non c’è stata e ci sarà mai una vera calma se non nella Gerusalemme discesa dal cielo dopo feroci persecuzioni, di cui l’ultima sarà scatenata dall’anticristo in persona, persecuzione con cui il serpente maledetto, cercherà di trascinare nello stagno di fuoco gli uomini ingannati dai suoi falsi prodigi operati nella Chiesa medesima da lui invasa, trasformata lentamente e scaltramente in tempio del demonio – il baphomet signore dell’universo –  con la fedele collaborazione degli adepti delle logge di perdizione, in particolare di quelle costituite da finti chierici usurpanti ed apostati, operanti ai massimi livelli, come la Vergine di Fatima ci aveva rivelato in uno dei suoi segreti che la “sinagoga di satana” si era ovviamente ben guardata dal rendere noto. Quella pace durò infatti pochi brevi anni che prelusero allo spogliamento dei territori della Chiesa da parte di una stirpe regale caduta nella trappola di uomini infidi e perversi che la vulgata storica ateo-laicista ha poi onorato con statue e monumenti infami tuttora presenti nelle nostre piazze a testimonianza di una genia ribelle e pagana che ha dato l’assalto alla Chiesa, al suo Vicario, alla legge di Dio, e a Dio stesso. È stato un po’ come una domenica delle Palme, trionfo momentaneo al quale doveva presto seguire la Passione e la morte di Nostro Signore Gesù Cristo, nello specifico il colpo di mano del 26 ottobre del 1958, ed il ribaltone del conciliabolo Vaticano II... pluet super peccatores laqueos; ignis et sulphur, et spiritus procellarum, pars calicis eorum

ENCICLICA DEL SOMMO PONTEFICE
GREGORIO XVI

QUEL DIO

A tutti i sudditi dello Stato Pontificio.

Il Papa Gregorio XVI. 
Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Quel Dio, che nei suoi impenetrabili consigli non disdegnò chiamare la Nostra debolezza al Sommo Pontificato, non ci dimenticò fra le angustie che fin dai primi momenti del medesimo si moltiplicarono rapidamente, e con un tratto della sua sempre amabile provvidenza, non permettendo che esse fossero superiori alle forze, fornì sollecitamente a Noi con la tribolazione stessa il mezzo di superarla, affinché non fossimo confusi nelle speranze di sicura protezione divina, le quali già esternammo vivissime nell’indirizzare per la prima volta la voce ai Nostri popoli. Perciò, mentre annunciamo lieti che si è calmata la tempesta e resa la tranquillità nelle province (che persone nemiche della Religione e del trono desolarono con gli orrori della fellonia), esultiamo nel poter proclamare, a gloria del vero, che, se si conserva incontaminata nel Nostro popolo Romano la purità di quella fede, che con divina testimonianza asserì l’Apostolo Paolo essere annunziata in tutto l’universo, costante del pari e celebrata in tutta l’Europa è la sua fedeltà a chi ne è costituito Padre e Sovrano. – Dolce è per Noi rendere così un pubblico elogio ad un popolo tanto fedele, da cui perciò anche nei momenti più torbidi non Ci saremmo mai allontanati, risoluti di dividere con esso quella sorte con la quale fosse piaciuto a Dio umiliarci sotto la potente sua mano. L’attaccamento sincero, la filiale obbedienza, la docile sommissione dello stesso popolo verso la Nostra persona, come ispiravano a Noi una illimitata fiducia nel medesimo, così Ci renderanno sempre cara la memoria delle commoventi dimostrazioni che esso cercò di fornire con i modi più luminosi. – Passarono, mercé il divino soccorso che nel fervore di pubbliche e private preghiere affrettarono i Nostri figli, passarono i giorni di tristezza, e in un con l’arco si spezzarono le armi, che mani sacrileghe imbrandirono per portare nell’agro Levitico devastazione e pianto. La Sede del Cristianesimo, che per singolare predilezione Dio volle che si reggesse da chi fosse principe e pontefice, affinché l’essere egli principe lo rendesse più libero nell’esercizio della sua spirituale autorità, trionfò anche questa volta, difesa contro le macchine dell’empietà da chi la pose quasi torre inespugnabile da cui pendono a mille e mille gli scudi ed ogni armatura dei forti. – Ma se con la sincerità di riconoscenza più viva ravvisiamo nell’imperiale reale esercito Austriaco quelle elette schiere di prodi, alle quali Dio volle riservato il trionfo sopra la perversità dei rivoltosi, e con esso l’onore di restituire i suoi Stati alla Santa Sede, coronando con sì felice successo gl’impulsi incessanti di quella religione purissima che forma il più bell’elogio dell’augusto e potente loro signore Francesco I (al quale indelebile gratitudine Ci legherà perpetuamente), siano pure gloria e lode a quegli onorati cittadini che, riunitisi premurosi in milizia civica, vegliarono indefessi sotto le armi, e fra i travagli di servizio più stretto, alla salvezza della Nostra persona ed alla quiete di questa città. Noi osservammo con tenerezza gareggiare in questo, generosamente e indistintamente col popolo, persone tratte dalla nobiltà più illustre, e da quanto vi è in tutti gli ordini di scelto e di attivo. Il nostro spirito ne fu commosso sommamente; e caro quindi Ci è il dichiarare che a prove sì belle di tanta devozione corrisponderà sempre la pienezza del Nostro affetto, che non sarà pago se non con la sicurezza della compiuta felicità di figli così fedeli: è per Noi un vero conforto dedicare ad essa le cure più industriose. – Ma in così decisa fedeltà e in così nobile intendimento il popolo Romano ebbe emule le convicine province che, dopo essersi disposte alla difesa dei loro territori, ebbero a gloria d’inviare dei volontari i quali, lasciati i propri focolari, concorsero ad aumentare quella parte preziosa delle Nostre truppe che, sotto esperti ed onorati condottieri, sentì la forza dei giuramenti a Noi prestati, e seppe difendere e far rispettare un suolo sacro alla fedeltà: e qui abbiano tutti l’assicurazione del Nostro pieno gradimento e la promessa che ciò non rimarrà sterile, troppo interessandoci di procurare effettivamente il loro maggiore vantaggio, per quanto le infauste circostanze lo permetteranno. – Vorremmo pur dilatare il cuore con eguali espressioni anche sopra tutti gli altri popoli che Dio affidò al Nostro temporale governo. Ma se essi furono trascinati nelle disavventure della rivolta, Ci è ben noto che non furono, nella massima parte, che vittime della coazione o del timore, come ben dimostrarono l’esultanza e la gioia con cui, appena apparve un raggio di prossima liberazione, scosso il giogo umiliante loro imposto dai sediziosi, e sostituito alle insegne della fellonia il pacifico vessillo del governo Pontificio, si proclamò il ritorno a quel Padre e Sovrano dal cui seno li aveva strappati miseramente il delitto di pochi. – Fermi nel gran pensiero di dare provvidenze che migliorino felicemente lo stato dei Nostri sudditi, volgemmo a questo, anche fra le affliggenti passate calamità, le Nostre sollecitudini: pronti sempre ad ascoltarne i voti che siano figli di autentici bisogni, ed atti ad operare i desiderati vantaggi, manifesteremo premurosi quelle disposizioni che la considerazione del passato e l’esame delle circostanze Ci additano essere le più utili. – Ma tante cure paterne rimarrebbero purtroppo deluse, né potrebbero farci pervenire al bramato intento, e quand’anche Ci si presentasse il più lusinghiero apparato di un felice avvenire, momentanea ne sarebbe la durata se con energiche misure non si prevenisse il ritorno dei disordini, che lasceranno a lungo le tracce dei mali che ne ridondarono. – Memori, perciò, che sarà sempre soffocato il grano eletto se non ne sia divelta fin dalle radici la zizzania che l’uomo nemico vi disseminò, non potemmo che vedere con rincrescimento un atto dato in Ancona il giorno 26 dello scorso marzo, il quale, lasciando illesi gli elementi della ribellione, non ne sospendeva che momentaneamente gli effetti, che tanto più ruinosi si sarebbero risentiti appena fosse mancato quel che ne arrestava il vorticoso torrente. Ma grazie a quel Dio che immenso nella sua provvidenza trae dal male veri beni, ove così giudichi convenire per la causa della maggiore sua gloria, Egli permise nei capi dei faziosi nuove penali cecità. Avverandosi nei medesimi che essi fallirono nei loro vaneggiamenti nello scrutare follemente nuovi mezzi alla loro reità, essi decisero di riparare al bisogno dell’istante col carpire in presenza della forza e con fallaci prospetti d’imminenti sciagure, non senza simulare anche menzogneri pentimenti, un atto del dilettissimo Nostro figlio il cardinale Benvenuti, il quale senza alcun riguardo alla sublime sua dignità ingiuriato poco prima, assalito, arrestato e caduto per siffatti trattamenti in grave malattia, né ancor reso alla necessaria libertà, era tuttora trattenuto da quegli stessi che con pubblici editti calunniosissimi avevano tentato di formarne un oggetto di popolare indignazione. – Ma chiara evidentemente e troppo conosciuta da tutti era la nullità intrinseca di un atto di tale natura emesso in istato di coazione da chi, con l’essere trascinato prigioniero del nemico, aveva già perduto sull’istante le facoltà di essere interprete della Nostra mente, ed aveva per conseguenza cessato di essere depositario di quei poteri che gli avevano affidato. I buoni se ne rattristarono senza fine, e comune fu il sentimento di dolore per la sorpresa nella quale si vide caduto l’uomo giusto in momenti di trepidazione, e fra i tortuosi sforzi degli implacabili nemici dell’ordine pubblico. Noi, appena ne fummo a conoscenza, riprovammo tale atto, e ne dichiarammo altamente la nullità, che risultava manifestissima per tanti titoli. In linea con questa massima, che ogni sacro e profano diritto garantiva, furono le istruzioni che Ci affrettammo ad ordinare, al solo scopo di allontanare dai Nostri popoli reiterate disgrazie. – Ministri pertanto di quel Signore il quale vuole che si recida ciò che dà causa a scandalo e che sia tolto il fermento guasto che corromperebbe la massa, non dimenticheremo di dovere un giorno render conto a Dio dell’uso che avremo fatto della clemenza come della giustizia. Penetrati dai doveri, che Ci impone la qualità di Principe, avremo sempre presente al pensiero, anche nell’insistere sulle vie della pace, che a questa si deve accompagnare in dolce amplesso la giustizia, la quale da Noi esige severamente di porre nel caso di non poter nuocere coloro che alle reiterate profusioni di pietà e di mansuetudine non corrisposero che con nuovi attentati contro la Religione, contro il Principato, contro la pubblica tranquillità. Debitori ai Nostri sudditi di procurare loro la sicurezza nelle persone, nell’ordine morale e nelle sostanze, non regoleremo che con questo scopo salutare le Nostre provvidenze, tenendoci nei limiti che debbono avere la clemenza e la giustizia. Sia quindi del comune impegno implorare su Noi dalla divina misericordia lume ed aiuto, onde le Nostre determinazioni siano secondo il suo volere, affinché protette da essa rendano quei risultati di soda e costante felicità, che nata, fomentata, accresciuta nel retto e nel vero, può sola rendere soddisfatti i voti che, nell’impartire sui Nostri sudditi l’Apostolica Benedizione, per essi indirizziamo al cielo fervorosissimi.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 5 aprile 1831, anno primo del Nostro Pontificato.

DOMENICA DELLE PALME (2021)

DOMENICA DELLE PALME [2021]

Semidoppio Dom. privil. di I cl. – Paramenti violacei.

La liturgia di oggi esprime con due cerimonie, l’una tutta piena di gioia, l’altra di tristezza, i due aspetti secondo i quali la Chiesa considera la Croce. Anzi tutto vengono la Benedizione e la Processione delle Palme. Esse traboccano di una santa allegrezza che ci permette, dopo venti secoli, di rivivere la scena grandiosa dell’entrata trionfale di Gesù in Gerusalemme. Poi c’è la Messa di cui i canti e le letture si riferiscono esclusivamente al doloroso ricordo della Passione del Salvatore.

I . — Benedizione delle Palme e Processione.

A Gerusalemme, nel IV secolo, si leggeva in questa Domenica nel luogo medesimo dove i fatti s’erano svolti, il racconto evangelico che ci descrive Cristo, acclamato come Re d’Israele, che prende possesso della sua capitale. In realtà, Gerusalemme non è che l’immagine del regno della Gerusalemme celeste. Poi un Vescovo, montato su un asino, andava dal sommo del Monte Oliveto alla chiesa della Risurrezione, circondato dalla folla che portava delle palme, cantando inni ed antifone. Questa cerimonia era preceduta dalla lettura del passo dell’Esodo riguardante l’uscita dall’Egitto. Il popolo di Dio, accampato all’ombra dei palmizi, vicino alle dodici fonti dove Mosè gli promette la manna, è il popolo cristiano che servendosi di rami dei palmizi attesta che il suo Re, Gesù,viene a liberare le anime dal peccato, conducendole al fonte battesimale e nutrendole con la manna eucaristica. La Chiesa di Roma, adottando questo uso, pare verso il IX secolo, ha aggiunto i riti della Benedizione delle Palme, da cui deriva il nome di Pasqua fiorita dato a questa Domenica. Questa cerimonia è una specie di messa con Orazione propria, Epistola, Vangelo e Prefazio proprio. La consacrazione è sostituita dalla benedizione delle palme e la comunione dalla distribuzione di queste palme. Queste cerimonie hanno un significato simbolico. « Dio, — dice la Chiesa — per un ordine meraviglioso della sua Provvidenza, ha voluto servirsi anche di queste cose sensibili per esprimere l’ammirabile economia della nostra salvezza » poiché « questi rami di palme segnavano la vittoria che stava per esser riportata sul principe della morte e i rami d’ulivo annunciavano l’abbondante effusione della misericordia divina ». « Infatti la colomba annunciò la pace alla terra per mezzo d’un ramoscello d’ulivo », « e le grazie che Dio moltiplicò su Noè all’uscita dall’arca, e su Mosè che abbandonava l’Egitto con i figli d’Israele, sono una figura della Chiesa» «che muove incontro a Cristo con opere buone» «con le opere che germogliano dai rami di giustizia » (Orazioni della Benedizione delle Palme). Questo corteo di Cristiani che, con le palme in mano e con il canto dell’osanna sulle labbra, acclamano ogni anno, in tutto il mondo, attraverso tutte le generazioni, la regalità di Cristo, è composta di tutti i catecumeni, dei penitenti pubblici, e dei fedeli che i sacramenti del Battesimo, della Eucaristia e della Penitenza assoderanno, nelle feste di Pasqua, a questo trionfatore glorioso. « E noi, che con integra fede rammentiamo il fatto e il suo significato « …ti preghiamo, Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio, per lo stesso Signor Nostro Gesù Cristo affinché, ciò che il tuo popolo fa oggi esternamente, lo compia spiritualmente, riportando vittoria sul nemico ». Questo rappresenta la processione che si arresta alla porta della Chiesa. Alcuni coristi sono nell’interno, i loro canti s’alternano con quelli dei sacerdoti (Gloria, laus et honor-. Processione delle Palme): da una parte sono i « cori angelici », dall’altra i soldati di Cristo, ancora impegnati nel combattimento, che acclamano per turno il Re della gloria. Ben presto la porta si apre allorché il suddiacono vi avrà bussato per tre volte con l’asta della croce; così la croce di Gesù ci apre il cielo e la processione entra in Chiesa, come gli eletti entreranno un giorno con Cristo nella gloria eterna. — Conserviamo religiosamente nella nostra casa un ramoscello di olivo benedetto. Questo sacramentale, in virtù della preghiera della Chiesa, ci farà ottenere i favori del cielo e renderà più ferma la nostra fede in Gesù che, pieno di misericordia (simboleggiata dall’olivo, di cui l’olio mitiga le piaghe), ha vinto (vittoria simboleggiata dalle palme) il demonio, il peccato e la morte.

2. — Messa della Domenica delle Palme.

La benedizione delle palme si faceva a Santa Maria Maggiore, che a Roma rappresenta Betlemme, dove nacque Colui che i Magi proclamarono « Re dei Giudei ». La processione andava da questa Basilica a quella di S. Giovanni Laterano nella quale si teneva altre volte la Stazione, poiché, essendo dedicata al Santo Salvatore, essa rievoca il ricordo della Passione di cui tratta la Messa. — Il trionfo del Salvatore deve essere preceduto dalla « sua umiliazione fino alla morte e fino alla morte di croce » (Ep.) umiliazione che ci servirà di modello « affinché mettendo a profitto gli insegnamenti della sua pazienza possiamo renderci partecipi anche della sua risurrezione » (Or.).

Benedictio Palmorum

Ant. Hosánna fílio David: benedíctus, qui venit in nómine Dómini. O Rex Israël: Hosánna in excélsis.

[Osanna al Figlio di David, benedetto Colui che  viene nel nome del Signore. O Re di Israele: Osanna nel più alto dei cieli!]
Orémus.
Bene ☩ dic, quǽsumus, Dómine, hos palmárum ramos: et præsta; ut, quod pópulus tuus in tui veneratiónem hodiérna die corporáliter agit, hoc spirituáliter summa devotióne perfíciat, de hoste victóriam reportándo et opus misericórdiæ summópere diligéndo. Per Christum Dominum nostrum.

[Bene ☩ dici Signore, te ne preghiamo, questi rami di palma e concedi che quanto il tuo popolo ha celebrato materialmente in tuo onore, lo compia spiritualmente con somma devozione, vincendo il nemico e corrispondendo con profondo amore all’opera della tua misericordia. Per Cristo nostro Signore.]

De distributione ramorum

Ant. Púeri Hebræórum, portántes ramos olivárum, obviavérunt Dómino, clamántes et dicéntes: Hosánna in excélsisI

[I fanciulli ebrei, portando rami di olivo, andarono incontro al Signore, acclamando e dicendo: Osanna nel più alto dei cieli.].


D
ómini est terra et plenitúdo eius, orbis terrárum et univérsi qui hábitant in eo. Quia ipse super mária fundávit eum et super flúmina præparávit eum.
Ant. Púeri Hebræórum, portántes …

Attóllite portas, príncipes, vestras: et elevámini, portæ æternáles: et introíbit rex glóriæ.
Quis est iste rex glóriæ? Dóminus fortis et potens: Dóminus potens in prǽlio.
Ant. Púeri Hebræórum, portántes…

Attóllite portas, príncipes, vestras: et elevámini, portæ æternáles: et introíbit rex glóriæ. Quis est iste rex glóriæ? Dóminus virtútum ipse est rex glóriæ.
Ant. Púeri Hebræórum, portántes

Ant. Púeri Hebræórum, portántes

Ant. Púeri Hebræórum vestiménta prosternébant in via, et clamábant dicéntes: Hosánna filio David; benedíctus qui venit in nómine Dómini. .

[I fanciulli Ebrei stendevano le loro vesti sulla via e acclamavano dicendo: Osanna al Piglio di David! Benedetto Colui che viene nel nome del Signore!]

Omnes gentes pláudite mánibus: iubiláte Deo in voce exultatiónis.
Quóniam Dóminus excélsus, terríbilis, rex magnus super omnem terram.
Ant. Púeri Hebræórum  …
Subiécit pópulos nobis: et gentes sub pédibus nóstris.
Elegit nobis hereditátem suam: spéciem Iacob quam diléxit.
Ant. Púeri Hebræórum

Ascéndit Deus in iúbilo: et Dóminus in voce tubæ.
Psállite Deo nostro, psállite: psállite regi nostro, psállite.
Ant. Púeri Hebræórum …

Quóniam rex omnis terræ Deus: psállite sapiénter.
Regnávit Deus super gentes: Deus sedit super sedem sanctam suam.
Ant. Púeri Hebræórum vestiménta

Príncipes populórum congregáti sunt cum Deo Abraham: quóniam Dei fortes terræ veheménter elevati sunt.
Ant. Púeri Hebræórum vestiménta

Ant. Púeri Hebræórum vestiménta prosternébant in via, et clamábant dicéntes: Hosánna filio David; benedíctus qui venit in nómine Dómini.

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum. [XXI, 1-9]

“In illo témpore: Cum appropinquásset Jesus Jerosólymis, et venísset Béthphage ad montem Olivéti: tunc misit duos discípulos suos, dicens eis: Ite in castéllum, quod contra vos est, et statim inveniétis ásinam alligátam et pullum cum ea: sólvite et addúcite mihi: et si quis vobis áliquid dixerit, dícite, quia Dóminus his opus habet, et conféstim dimíttet eos. Hoc autem totum factum est, ut adimplerétur, quod dictum est per Prophétam, dicéntem: Dícite fíliae Sion: Ecce, Rex tuus venit tibi mansuétus, sedens super ásinam et pullum, fílium subjugális. Eúntes autem discípuli, fecérunt, sicut præcépit illis Jesus. Et adduxérunt ásinam et pullum: et imposuérunt super eos vestiménta sua, et eum désuper sedére tecérunt. Plúrima autem turba stravérunt vestiménta sua in via: álii autem cædébant ramos de arbóribus, et sternébant in via: turbæ autem, quæ præcedébant et quæ sequebántur, clamábant, dicéntes: Hosánna fílio David: benedíctus, qui venit in nómine Dómini”.

[In quel tempo: Avvicinandosi a Gerusalemme, arrivato a Bètfage, vicino al monte degli ulivi, Gesù mandò due suoi discepoli, dicendo loro: «Andate nel villaggio dirimpetto a voi, e subito vi troverete un’asina legata con il suo puledro: scioglietela e conducetemela. E, se qualcuno vi dirà qualche cosa, dite; – il Signore ne ha bisogno; e subito ve li rilascerà». Ora tutto questo avvenne perché si adempisse quanto detto dal Profeta: «Dite alla figlia di Sion : Ecco il tuo Re viene a Te, mansueto, seduto sopra di un’asina ed asinello puledro di una giumenta». I Discepoli andarono e fecero come Gesù aveva loro detto. Menarono l’asina ed il puledro, vi misero sopra i mantelli e Gesù sopra a sedere. E molta gente stese i mantelli lungo la strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li spargevano sulla via, mentre le turbe che precedevano e seguivano gridavano: «Osanna al Figlio di Davide; benedetto Colui che viene nel nome del Signore».]

De processione cum ramis benedictis

Procedámus in pace.

Occúrrunt turbæ cum flóribus et palmis Redemptóri óbviam: et victóri triumphánti digna dant obséquia: Fílium Dei ore gentes prædicant: et in laudem Christi voces tonant per núbila: «Hosánna in excélsis».

[Con fiori e palme le folle vanno ad incontrare il Redentore e rendono degno ossequio al Vincitore trionfante. Le nazioni lo proclamano Figlio di Dio e nell’etere risuona a lode di Cristo un canto: Osanna nel più alto dei cieli!]

Cum Angelis et púeris fidéles inveniántur, triumphatóri mortis damántes: «Hosánna in excélsis».

[Facciamo di essere anche noi fedeli come gli Angeli ed i fanciulli, acclamando al vincitore della morte: Osanna nel più alto dei cieli!]


Turba multa, quæ convénerat ad diem festum, clamábat Dómino: Benedíctus, qui venit in nómine Dómini: «Hosánna in excélsis».

[Immensa folla, convenuta per la Pasqua, acclamava ai Signore: Benedetto Colui che viene nel nome del Signore! Osanna nell’alto dei cieli!]


Cœpérunt omnes turbæ descendéntium gaudéntes laudáre Deum voce magna, super ómnibus quas víderant virtútibus, dicéntes: «Benedíctus qui venit Rex in nómine Dómini; pax in terra, et glória in excélsis».

[Tutta la turba dei discepoli discendenti dal monte Oliveto cominciò con letizia a lodar Dio ad alta voce per tutti i prodigi che aveva veduti dicendo: Benedetto il Re che viene nel nome del Signore; pace in terra e gloria nell’alto dei cieli.]

Hymnus ad Christum Regem

Glória, laus et honor tibi sit, Rex Christe, Redémptor: Cui pueríle decus prompsit Hosánna pium.
Glória, laus et honor tibi sit, Rex Christe, Redémptor: Cui pueríle decus prompsit Hosánna pium.
Israël es tu Rex, Davidis et ínclita proles: Nómine qui in Dómini, Rex benedícte, venis.
Glória, laus et honor tibi sit, Rex Christe, Redémptor: Cui pueríle decus prompsit Hosánna pium.
Coetus in excélsis te laudat caelicus omnis, Et mortális homo, et cuncta creáta simul.
Glória, laus et honor tibi sit, Rex Christe, Redémptor: Cui pueríle decus prompsit Hosánna pium.
Plebs Hebraea tibi cum palmis óbvia venit: Cum prece, voto, hymnis, ádsumus ecce tibi.
Glória, laus et honor tibi sit, Rex Christe, Redémptor: Cui pueríle decus prompsit Hosánna pium.
Hi tibi passúro solvébant múnia laudis: Nos tibi regnánti pángimus ecce melos.
Glória, laus et honor tibi sit, Rex Christe, Redémptor: Cui pueríle decus prompsit Hosánna pium.
Hi placuére tibi, pláceat devótio nostra: Rex bone, Rex clemens, cui bona cuncta placent.
Glória, laus et honor tibi sit, Rex Christe, Redémptor: Cui pueríle decus prompsit Hosánna pium

[Gloria, lode e onore sia a te, Re Cristo Redentore, al quale i migliori fanciulli cantarono piamente: Osanna.
Gloria, lode e onore sia a te, Re Cristo Redentore, al quale i migliori fanciulli cantarono piamente: Osanna.
Tu sei il Re di Israele, il nobile figlio di David, o Re benedetto che vieni nel nome del Signore.
Gloria, lode e onore sia a te, Re Cristo Redentore, al quale i migliori fanciulli cantarono piamente: Osanna.
L‘intera corte angelica nel più alto dei cieli, l’uomo mortale e tutte le creature celebrano insieme le tue lodi.
Gloria, lode e onore sia a te, Re Cristo Redentore, al quale i migliori fanciulli cantarono piamente: Osanna.
Il popolo Ebreo ti veniva dinanzi con le palme, ed eccoci dinanzi a te, con preghiere, con voti e cantici.
Gloria, lode e onore sia a te, Re Cristo Redentore, al quale i migliori fanciulli cantarono piamente: Osanna.
Essi ti offrivano il tributo del loro omaggio, quando tu andavi a soffrire; noi eleviamo questi canti a te che ora regni.
Gloria, lode e onore sia a te, Re Cristo Redentore, al quale i migliori fanciulli cantarono piamente: Osanna.
Ti piacquero essi: ti piaccia anche la nostra devozione, o Re di bontà, Re clemente, a cui ogni cosa buona piace.
Gloria, lode e onore sia a te, Re Cristo Redentore, al quale i migliori fanciulli cantarono piamente: Osanna.]

Ant. Omnes colláudant nomen tuum, et dicunt: «Benedíctus qui venit in nómine Dómini: Hosánna in excélsis».

Psalmus CXLVII

Lauda, Jerúsalem, Dóminum: * lauda Deum tuum, Sion.
Quóniam confortávit seras portárum tuárum: * benedíxit fíliis tuis in te.
Qui pósuit fines tuos pacem: * et ádipe fruménti sátiat te.
Qui emíttit elóquium suum terræ: * velóciter currit sermo ejus.
Qui dat nivem sicut lanam: * nébulam sicut cínerem spargit.
Mittit crystállum suam sicut buccéllas: * ante fáciem frígoris ejus quis sustinébit?
Emíttet verbum suum, et liquefáciet ea: * flabit spíritus ejus, et fluent aquæ.
Qui annúntiat verbum suum Jacob: * justítias, et judícia sua Israël.
Non fecit táliter omni natióni: * et judícia sua non manifestávit eis.
Ant. Omnes colláudant nomen tuum, et dicunt: «Benedíctus qui venit in nómine Dómini: Hosánna in excélsis».

Fulgéntibus palmis prostérnimur adveniénti Dómino: huic omnes occurrámus cum hymnis et cánticis, glorificántes et dicéntes: «Benedíctus Dóminus».

[Di festosi rami ornati, ci prostriamo al Signor che viene: a Lui incontro corriamo tra inni e canti, Lui glorifichiamo dicendo: Benedetto il Signore!]


Ave, Rex noster, Fili David, Redémptor mundi, quem prophétæ praedixérunt Salvatórem dómui Israël esse ventúrum. Te enim ad salutárem víctimam Pater misit in mundum, quem exspectábant omnes sancti ab orígine mundi, et nunc: «Hosánna Fílio David. Benedíctus qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis».

[Ave, o nostro Re, Figlio di David, Redentore del mondo, preannunciato dai Profeti come Salvatore venuto per la casa d’Israele. Il Padre mandò Te come vittima di redenzione per il mondo; t’aspettavano tutti i santi sin dall’origine del mondo, ed ora: Osanna, Figlio di David. Benedetto Colui che viene nel nome del Signore. Osanna nel più alto dei Cieli!]

Oremus.
Dómine Jesu Christe, Rex ac Redémptor noster, in cuius honórem, hoc ramos gestántes, solémnes laudes decantávimus: concéde propítius ut, quocúmque hi rami deportáti fúerint, ibi tuæ benedictiónis grátia descéndat, et quavis dǽmonum iniquitáte vel illusióne profligáta, déxtera tua prótegat, quos redémit: Qui vivis et regnas in sǽcula sæculórum.

Ingrediénte Dómino in sanctam civitátem, Hebræórum púeri resurrectiónem vitæ pronuntiántes,
Cum ramis palmárum: «Hosánna, clamábant, in excélsis».
Cum audísset pópulus, quod Jesus veníret Jerosólymam, exiérunt óbviam ei.
Cum ramis palmárum: «Hosánna, clamábant, in excélsis».

[Mentre il Signore entrava nella città santa, i fanciulli ebrei proclamavano la risurrezione alla vita,
Agitando rami di palma e acclamando: Osanna nel più alto dei cieli!
Avendo il popolo sentito che Gesù si avvicinava a Gerusalemme, gli mosse incontro
Agitando rami di palma e acclamando: Osanna nel più alto dei cieli!]

Oremus.
Dómine Jesu Christe, Rex ac Redémptor noster, in cuius honórem, hoc ramos gestántes, solémnes laudes decantávimus: concéde propítius ut, quocúmque hi rami deportáti fúerint, ibi tuæ benedictiónis grátia descéndat, et quavis dǽmonum iniquitáte vel illusióne profligáta, déxtera tua prótegat, quos redémit: Qui vivis et regnas in sǽcula sæculórum.

[Signor Gesù Cristo, Re e Redentore nostro, in onore del quale abbiamo cantato lodi solenni, portando questi rami, concedi propizio che la grazia della tua benedizione discenda dovunque questi rami saranno portati e che la tua destra protegga i redenti togliendo di mezzo a loro ogni iniquità ed illusione diabolica. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.]

Introitus

Ps XXI: 20 et 22.

Dómine, ne longe fácias auxílium tuum a me, ad defensiónem meam áspice: líbera me de ore leonis, et a córnibus unicórnium humilitátem meam.

[Tu, o Signore, non allontanare da me il tuo soccorso, prendi cura della mia difesa: salvami dalla bocca del leone, e salva la mia debolezza dalle corna dei bufali.]

Ps XXI:2 Deus, Deus meus, réspice in me: quare me dereliquísti? longe a salúte mea verba delictórum meórum.

[Dio mio, Dio mio, guardami: perché mi hai abbandonato? La salvezza si allontana da me alla voce dei miei delitti].

Dómine, ne longe fácias auxílium tuum a me, ad defensiónem meam áspice: líbera me de ore leonis, et a córnibus unicórnium humilitátem meam.

[Tu, o Signore, non allontanare da me il tuo soccorso, prendi cura della mia difesa: salvami dalla bocca del leone, e salva la mia debolezza dalle corna dei bufali.]

Oratio

Omnípotens sempitérne Deus, qui humáno generi, ad imitandum humilitátis exémplum, Salvatórem nostrum carnem súmere et crucem subíre fecísti: concéde propítius; ut et patiéntiæ ipsíus habére documénta et resurrectiónis consórtia mereámur.

[Onnipotente eterno Dio, che per dare al genere umano un esempio d’umiltà da imitare, volesti che il Salvatore nostro s’incarnasse e subisse la morte di Croce: propizio concedi a noi il merito di accogliere gli insegnamenti della sua pazienza, e di partecipare alla sua risurrezione.]

Epistola

Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Philippénses. Phil II: 5-11

“Fratres: Hoc enim sentíte in vobis, quod et in Christo Jesu: qui, cum in forma Dei esset, non rapínam arbitrátus est esse se æqualem Deo: sed semetípsum exinanívit, formam servi accípiens, in similitúdinem hóminum factus, et hábitu invéntus ut homo. Humiliávit semetípsum, factus oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis. Propter quod et Deus exaltávit illum: ei donávit illi nomen, quod est super omne nomen: hic genuflectitur ut in nómine Jesu omne genuflectátur cœléstium, terréstrium et inférnorum: et omnis lingua confiteátur, quia Dóminus Jesus Christus in glória est Dei Patris.”

“Fratelli: Siano in voi gli stessi sentimenti che furono in Gesù Cristo, il quale, essendo della natura di Dio, non ritenne come una preda la sua parità con Dio, ma spogliò se stesso, prendendo la natura dì servo, divenuto simile agli uomini, e all’aspetto riconosciuto quale uomo. Abbassò, se stesso facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce. Perciò Dio lo ha sublimato, e gli ha dato un nome superiore a ogni altro nome; perchè nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio in cielo, sulla terra e nell’inferno, e ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre”.

LA GRANDE UMILIAZIONE.

Entriamo oggi nella Settimana Santa, durante la quale la Chiesa ci fa rivivere giorno per giorno; starei per dire ora per ora il mistero della passione e della morte di Gesù, segreto della nostra Redenzione. San Paolo nel brano della sua Epistola a quei di Filippi che forma la lettura di questa domenica ci dà la chiave, il segreto, la filosofia di questo mistero. Come ci redime N. Signore Gesù? Disfacendo pezzo per pezzo l’opera del peccato. Egli è il novello Adamo, antitesi dell’antico. La Passione è la negazione delle colpe antiche. Il riscontro ha persino dei lati materiali: da un giardino all’altro, dal giardino delle colpe all’orto dell’espiazione. Là e qua un albero; là l’albero della morte, qua l’albero della vita, la Croce. È la colpa d’Adamo la colpa classica e tipica, che cosa è essa mai? Due parole la descrivono, la definiscono, due brevi tremende parole: orgoglio e piacere, piacere ed orgoglio. L’orgoglio primeggia per chi approfondisce le cose. E la grande, la classica espiazione sarà il rovescio: umiltà e dolore. Un capolavoro di umiltà, come la colpa classica fu un capolavoro di orgoglio. Ci sono anche i capolavori del male. Paolo canta questa eroica umiltà del Verbo Incarnato, Gesù Cristo; l’accento del suo discorso è lirico, la sostanza è d’una logica stringente. L’umiltà è nei due poli: Verbo — Incarnato, Dio — uomo. Era nella forma di Dio, dice San Paolo, poteva senza scrupolo, senza timor di usurpazione dirsi uguale a Dio, senza timore d’ingiustizia e di usurpazione, non come Adamo che usurpò, volle usurpare quella uguaglianza. Era nella forma di Dio e volle prendere forma di schiavo.

« Humiliavit semetìpsum formam servi accipìens ». Padrone, volle diventare servo. È la forma specifica e logicamente efficace della umiliazione espiatrice. Perché l’orgoglio del colpevole Adamo era stato un orgoglio ribelle, un orgoglio affermatosi proprio lì, non voler obbedire alla legge, accettare la servitù, sottostare alla padronanza e signoria divina: ribellione alla legge. La soggezione volontaria distrugge, disfà la volontaria ribellione. Tanto più e tanto meglio perché dalle due parti le cose si spingono all’eroismo, l’eroismo della morte. Adamo affronta la morte con la sua ribellione. C’è la taglia della morte come sanzione del precetto di Dio, ed Adamo malgrado questa sanzione calpesta questo divieto. Eroico, malamente, ma eroico, eroico di un eroismo protervo, ma eroismo. Splendidamente, nobilmente eroica sarà l’espiazione di Gesù obbediente, nota San Paolo, fino alla morte, e che morte! La più ignominiosa e la più crudele. La più ignominiosa perché l’umiltà eroica del sacrificio ubbidiente sia autentica e perché all’umiltà il sacrificio del Martire del Golgota accoppi il dolore, lo strazio — antitesi e antidoto del piacere. Non si potrebbe essere più brevi, succosi e profondi di quello che è San Paolo in queste poche linee, le quali ci rivelano non solo il mistero intimo di quella colpa e di questa espiazione, ma di ogni colpa e di ogni espiazione, di ogni colpa per farla detestare, di ogni espiazione per farla amare. Ma l’antitesi continua anche nella catastrofe dei due drammi. Perché l’epilogo del dramma della colpa è un disastro: il ribelle è battuto, l’orgoglioso è, giustamente, umiliato. Nello sforzo di erigersi oltre misura, si esaurisce e si accascia il gigante, il Capaneo, Adamo. Nello sforzo nobile della sua umiliazione si aderge Gesù o, per usare la propria frase di San Paolo, quel Dio davanti a cui Gesù (nella sua e colla sua umanità) si è umiliato « lo esaltò e gli diede un Nome superiore ad ogni altro, affinché in quel Nome e davanti ad esso tutti genuflettano in cielo, in terra e negli abissi ». – L’epilogo dell’apoteosi per l’umiltà. Cerchiamo di essere primi in questa genuflessione; cerchiamo di farla più che nessun altro, alla scuola di Paolo, conscia e profonda.

(G. Semeria: Epistole della Domenica – Milano – 1939)

OMELIA

[G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e … Soc. Ed. Vita e Pens. VI ed. Milano, 1956]

L’ULIVO

Fu un giorno d’entusiasmo. La bella stagione esultava nel cielo sereno e sui campi in giro. Dall’alto dell’Oliveto le turbe strappavano i rami dalle siepi e li agitavano nell’aria acclamando: «Benedetto il Re che viene in nome del Signore! Benedetto nell’altissimo cielo! ». Intanto il piccolo esercito fervente discendeva nel calore del sole, tra il verde e gli inni. Gerusalemme, apri le porte! Quante volte udisti dal labbro de’ tuoi profeti che sarebbe giunto un re di pace, quante volte l’hai sospirato nelle sventure! Or eccolo, viene il tuo Re, mansueto; e cavalca un asinello. Solenne, col volto ardente, con gli occhi lucidi di pianto Gesù entrò nella città regina. La terra non conobbe trionfo più bello di questo. Si eran visti dei re venire a possesso della loro capitale circondati dalla potenza dei soldati, e da una folla curiosa; orgoglio di trionfatore e curiosità di popolo, ecco tutto il loro trionfo. Si erano visti conquistatori ritornare in patria in mezzo a tutta la pompa della vittoria: il trionfatore stava sul carro tirato da quattro cavalli bianchi: i veterani e le legioni procedevano innanzi cantando le lodi consuete; ma, dietro, aggiogati barbaramente venivano i vinti, imprecando alla sorte, alla vita, a Roma. Questi trionfi erano costati fiumi di sangue, incendi di città, lacrime d’infinite madri … – Non così il trionfo del Figlio di Dio: egli è Re di pace. Ecce rex mansuetua. Intorno a lui non l’urlo guerriero delle coorti, non il fragore degli scudi, non la fosca rabbia dei vinti incatenati che verranno uccisi nei giochi, o venduti schiavi;ma una fila di ammalati che Egli ha guariti, di poveri che Egli ha evangelizzato,di fanciulli che Egli colmava di carezze. E forse c’era anche il paralitico della piscina e forse c’era colui chiamato nato cieco, e certamente c’era Lazzaro il risuscitato da morte. E tutti levavano rami d’albero.Di quale albero?S. Matteo non lo dice: ma poiché li scerpavano dalle siepi del monte Oliveto, non potevano essere che rami d’ulivo. L’ulivo: il simbolo della pace. Quale altra fronda potevano scegliere gli Ebrei per agitare al passaggio del Re mansueto? Quale altra fronda possiamo noi agitare davanti a Cristo che ritorna trionfante nella santa Pasqua? La Chiesa, in questa domenica, ad ogni fedele dona un ramo di ulivo benedetto. È con l’ulivo in mano che dobbiamo prepararci a far Pasqua: ossia, è con la pace del cuore. Ma non si può aver pace nel cuore, se prima non si è in pace col prossimo e in pace con Dio.

1. L’ULIVO È PACE COL PROSSIMO

Giovanni Gualberto viveva, allora, la spensierata vita. Ricco, aitante, abile in armi, amava allegre compagnie della gioventù fiorentina e i giochi e i divertimenti. Una sera, un gentiluomo di Toscana venne a rissa con suo fratello, e glielo uccise, Giovanni, curvo sul cadavere insanguinato, strinse i pugni contro l’assassino che fuggiva e giurò, terribile, di farne vendetta. Passarono dei mesi. Un giorno di Venerdì Santo, in un vicolo, egli s’incontra con la figura d’un torvo cavaliere. Lo riconosce: è l’assassino di suo fratello. Era giunto l’istante della vendetta: quella vendetta che aveva giurato sul sangue fumante, che aveva covato in cuore per giorni e giorni, che aveva sognato nei silenzi della notte, era lì, davanti a lui, e l’affascinava. Mandò un urlo di belva, snudò la spada, e gli fu sopra. Ma quegli, tremando, si buttò in ginocchio nella via deserta e gemette: « Per amore di quel Gesù che oggi muore in croce perdonando a’ suoi crocifissori, tu perdonami! ». C’era nell’aria un silenzio misterioso: le campane tacevano per la morte del Signore. Giovanni sentiva il sangue fargli impeto sulle tempia e sul petto: il pensiero di Gesù morente in croce e perdonante lo dominò. « Alzati! — disse infine nello sforzo eroico di superarsi. — Nulla ti posso negare di ciò che domandi in nome del Salvatore. Ti dò la vita e l’amicizia e tu prega Dio che mi perdoni com’io perdono a te ». E si abbracciarono. — Quando le campane della Resurrezione squillarono nel cielo di Firenze, nessuno, in cuore, provò tanta gioia come Giovanni, poiché nessuno meglio di lui s’era preparato alla Pasqua. E Gesù risorto gli fece la bella grazia di farsi santo: S. Giovanni Gualberto. Pasqua è imminente: già il Re di pace viene, e vuol trovare pace sul suo passaggio. Guai a quelli che s’accosteranno alle sante feste con odio nel cuore. Gesù non li riconoscerà come suoi discepoli. « Io distinguerò fra tutti i miei discepoli per l’amore che si vorranno tra loro » ha detto un giorno. Nessuno di noi ha ricevuto un’offesa grande come quella che ricevette S. Giovanni Gualberto; e s’egli ha saputo perdonare, nessuno di noi potrà scusarsi da questo dovere. – In quante famiglie non c’è pace: sono fratelli in rissa fra loro, sono cognati, sono nuore che tutto il giorno passano in mormorazioni, in calunnie amare, in alterchi irosi, in silenzio pieno di rancore. Sono veri cristiani? dicono di esserlo, e di fatto sono battezzati, ma Gesù non li riconosce: « I miei discepoli si amano gli uni gli altri ». – In quanti paesi non c’è pace: una famiglia contro un’altra famiglia, un inquilino contro un altro inquilino, un proprietario contro un proprietario: è per la casa, è per la terra, è per la roba, e intanto c’è odio cordiale. Sono paesi cristiani? Dicono di esserlo, hanno anche una bella chiesa, ma Gesù non li riconosce: « I miei discepoli si amano gli uni e gli altri ». È duro perdonare e amare chi ci fece del male; è un martirio secreto e tremendo, ha detto S. Gregorio, che solo conosce chi l’ha provato. Ma Gesù lo vuole, lo comanda: Ego autem dico vobis diligite inimicos vestros. – S. Giovanni Gualberto, all’assassino di suo fratello che in nome di Gesù gli chiedeva perdono, rispose: « Nulla ti posso negare di ciò che domandi in nome del Salvatore ». E noi avremo coraggio di negare questo perdono al nostro prossimo, quando è Gesù stesso che ce lo chiede? Oggi, quando tra le mani stringerete il rametto d’ulivo per festeggiare il Re mansueto che viene, ricordatevi che quell’ulivo significa pace col prossimo.

2. L’ULIVO È PACE CON DIO

Dio è bontà e trova la sua gioia nell’abitare tra gli uomini. Ma quando l’uomo preferisce i suoi piaceri alla legge del Signore e cade in peccato, Dio non lo può sopportare. Fugge da lui, come noi fuggiamo dal serpente; non lo conta più tra i suoi fedeli, tra i suoi amici, tra i suoi figli. L’uomo, allora, cerca altrove la sua pace, ma non la può trovare perché non c’è pace quando s’è in collera con Dio. – Iniquitates vestræ diviserunt inter vos et Deum vestrum (Is., LIX, 2). C’è una muraglia tra Dio e voi: è la muraglia della vostra avarizia che non dice mai basta, fosse anche roba d’altri; è la muraglia della vostra superbia che non vuol correzioni né rimproveri; è la muraglia della vostra sensualità che non vuol freni alle sue sregolatezze. Non si può far Pasqua in collera col Signore; non si può muovere incontro al Re di pace che viene, se tra noi e lui c’è una muraglia. Bisogna abbatterla con la confessione. Quando il viaggiatore attraversa il deserto, calpestando le sabbie aride, a sera, ode diffondersi un lamento fioco. « Di chi è questa voce? » domanda esterrefatto alla sua guida araba che lo conduce attraverso il Sahara. « È il deserto che piange, perché vorrebbe divenire una prateria: ma gli manca l’acqua ». Nell’anima nostra il peccato ha fatto il deserto dove prima era il regno di Dio. Non sentite, talvolta, dentro di voi il lamento della vostra anima? Ella geme perché è maledetta da Dio; perché il peccato l’ha bruciata e riarsa come un deserto. Ha bisogno d’un’acqua che la lavi, che la disseti, che la fecondi: l’acqua che Gesù diede alla Samaritana, l’acqua che sgorga dal Sacramento della confessione. Confessarsi vuol dire far pace con Dio. Gesù, mentre ci vede inginocchiati a’ suoi piedi, stacca le mani dalla croce lentamente e ce le getta al collo e ci stringe al suo petto piagato. Confessarsi vuol dire far Pasqua. Oggi quando tra le mani stringerete un ramo d’ulivo benedetto per festeggiare il Re mansueto che viene, ricordatevi che quell’ulivo significa pace con Dio.

CONCLUSIONE

Una domenica degli Ulivi, Santa Gertrude fu presa da scoraggiamento. Le sembrava troppo difficile migliorare la sua vita, e che per lei fosse impossibile diventar santa. Gesù le apparve e la chiamò. « Guarda, le disse, non è difficile, non è impossibile. Basta una cosa sola: che tu dica: voglio ». – Ci sono molti che dicono di non poter perdonare certe offese, e neppure dimenticare. Ci sono altri che non vogliono confessarsi perché dicono di non saper resistere a certe tentazioni, a certe abitudini. O Cristiani, non è impossibile, non è difficile correre incontro a Gesù con il ramo d’ulivo, basta volerlo. Volere la pace col prossimo. Volere la pace con Dio.

Graduale

Ps LXXII:24 et 1-3 Tenuísti manum déxteram meam: et in voluntáte tua deduxísti me: et cum glória assumpsísti me.

[Tu mi hai preso per la destra, mi hai guidato col tuo consiglio, e mi hai accolto in trionfo.]

Quam bonus Israël Deus rectis corde! mei autem pæne moti sunt pedes: pæne effúsi sunt gressus mei: quia zelávi in peccatóribus, pacem peccatórum videns.

[Com’è buono, o Israele, Iddio con chi è retto di cuore. Per poco i miei piedi non vacillarono; per poco i miei passi non sdrucciolarono; perché io ho invidiato i peccatori, vedendo la prosperità degli empi.]

Tractus

Ps. XXI: 2-9, 18, 19, 22, 24, 32

Deus, Deus meus, réspice in me: quare me dereliquísti?

Longe a salúte mea verba delictórum meórum.

Deus meus, clamábo per diem, nec exáudies: in nocte, et non ad insipiéntiam mihi.

Tu autem in sancto hábitas, laus Israël.

In te speravérunt patres nostri: speravérunt, et liberásti eos.

Ad te clamavérunt, et salvi facti sunt: in te speravérunt, et non sunt confusi.

Ego autem sum vermis, et non homo: oppróbrium hóminum et abjéctio plebis.

Omnes, qui vidébant me, aspernabántur me: locúti sunt lábiis et movérunt caput.

Sperávit in Dómino, erípiat eum: salvum fáciat eum, quóniam vult eum.

Ipsi vero consideravérunt et conspexérunt me: divisérunt sibi vestiménta mea, et super vestem meam misérunt mortem.

Líbera me de ore leónis: et a córnibus unicórnium humilitátem meam.

Qui timétis Dóminum, laudáte eum: univérsum semen Jacob, magnificáte eum.

Annuntiábitur Dómino generátio ventúra: et annuntiábunt coeli justítiam ejus.

Pópulo, qui nascétur, quem fecit Dóminus.

Evangelium

Pássio Dómini nostri Jesu Christi secúndum Matthǽum.

[Matt XXVI: 1-75; XXVII: 1-66].

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: J. Scitis, quid post bíduum Pascha fiet, et Fílius hóminis tradétur, ut crucifigátur. C. Tunc congregáti sunt príncipes sacerdótum et senióres pópuli in átrium príncipis sacerdótum, qui dicebátur Cáiphas: et consílium fecérunt, ut Jesum dolo tenérent et occíderent. Dicébant autem: S. Non in die festo, ne forte tumúltus fíeret in pópulo. C. Cum autem Jesus esset in Bethánia in domo Simónis leprósi, accéssit ad eum múlier habens alabástrum unguénti pretiósi, et effúdit super caput ipsíus recumbéntis. Vidéntes autem discípuli, indignáti sunt, dicéntes: S. Ut quid perdítio hæc? pótuit enim istud venúmdari multo, et dari paupéribus. C. Sciens autem Jesus, ait illis: J. Quid molésti estis huic mulíeri? opus enim bonum operáta est in me. Nam semper páuperes habétis vobíscum: me autem non semper habétis. Mittens enim hæc unguéntum hoc in corpus meum, ad sepeliéndum me fecit. Amen, dico vobis, ubicúmque prædicátum fúerit hoc Evangélium in toto mundo, dicétur et, quod hæc fecit, in memóriam ejus. C. Tunc ábiit unus de duódecim, qui dicebátur Judas Iscariótes, ad príncipes sacerdótum, et ait illis: S. Quid vultis mihi dare, et ego vobis eum tradam? C. At illi constituérunt ei trigínta argénteos. Et exínde quærébat opportunitátem, ut eum tráderet. Prima autem die azymórum accessérunt discípuli ad Jesum, dicéntes: S. Ubi vis parémus tibi comédere pascha? C. At Jesus dixit: J. Ite in civitátem ad quendam, et dícite ei: Magíster dicit: Tempus meum prope est, apud te fácio pascha cum discípulis meis. C. Et fecérunt discípuli, sicut constítuit illis Jesus, et paravérunt pascha. Véspere autem facto, discumbébat cum duódecim discípulis suis. Et edéntibus illis, dixit: J. Amen, dico vobis, quia unus vestrum me traditúrus est. C. Et contristáti valde, coepérunt sínguli dícere: S. Numquid ego sum, Dómine? C. At ipse respóndens, ait: J. Qui intíngit mecum manum in parópside, hic me tradet. Fílius quidem hóminis vadit, sicut scriptum est de illo: væ autem hómini illi, per quem Fílius hóminis tradétur: bonum erat ei, si natus non fuísset homo ille. C. Respóndens autem Judas, qui trádidit eum, dixit: S. Numquid ego sum, Rabbi? C. Ait illi: J. Tu dixísti. C. Cenántibus autem eis, accépit Jesus panem, et benedíxit, ac fregit, dedítque discípulis suis, et ait: J. Accípite et comédite: hoc est corpus meum. C. Et accípiens cálicem, grátias egit: et dedit illis, dicens: J. Bíbite ex hoc omnes. Hic est enim sanguis meus novi Testaménti, qui pro multis effundétur in remissiónem peccatórum. Dico autem vobis: non bibam ámodo de hoc genímine vitis usque in diem illum, cum illud bibam vobíscum novum in regno Patris mei. C. Et hymno dicto, exiérunt in montem Olivéti. Tunc dicit illis Jesus: J. Omnes vos scándalum patiémini in me in ista nocte. Scriptum est enim: Percútiam pastórem, et dispergéntur oves gregis. Postquam autem resurréxero, præcédam vos in Galilaeam. C. Respóndens autem Petrus, ait illi: S. Et si omnes scandalizáti fúerint in te, ego numquam scandalizábor. C. Ait illi Jesus: J. Amen, dico tibi, quia in hac nocte, antequam gallus cantet, ter me negábis. C. Ait illi Petrus: S. Etiam si oportúerit me mori tecum, non te negábo. C. Simíliter et omnes discípuli dixérunt. Tunc venit Jesus cum illis in villam, quæ dícitur Gethsémani, et dixit discípulis suis: J. Sedéte hic, donec vadam illuc et orem. C. Et assúmpto Petro et duóbus fíliis Zebedaei, coepit contristári et mæstus esse. Tunc ait illis: J. Tristis est ánima mea usque ad mortem: sustinéte hic, et vigilate mecum. C. Et progréssus pusíllum, prócidit in fáciem suam, orans et dicens: J. Pater mi, si possíbile est, tránseat a me calix iste: Verúmtamen non sicut ego volo, sed sicut tu. C. Et venit ad discípulos suos, et invénit eos dormiéntes: et dicit Petro: J. Sic non potuístis una hora vigiláre mecum? Vigiláte et oráte, ut non intrétis in tentatiónem. Spíritus quidem promptus est, caro autem infírma. C. Iterum secúndo ábiit et orávit, dicens: J. Pater mi, si non potest hic calix transíre, nisi bibam illum, fiat volúntas tua. C. Et venit íterum, et invenit eos dormiéntes: erant enim óculi eórum graváti. Et relíctis illis, íterum ábiit et orávit tértio, eúndem sermónem dicens. Tunc venit ad discípulos suos, et dicit illis: J. Dormíte jam et requiéscite: ecce, appropinquávit hora, et Fílius hóminis tradétur in manus peccatórum. Súrgite, eámus: ecce, appropinquávit, qui me tradet. C. Adhuc eo loquénte, ecce, Judas, unus de duódecim, venit, et cum eo turba multa cum gládiis et fústibus, missi a princípibus sacerdótum et senióribus pópuli. Qui autem trádidit eum, dedit illis signum, dicens: S. Quemcúmque osculátus fúero, ipse est, tenéte eum. C. Et conféstim accédens ad Jesum, dixit: S. Ave, Rabbi. C. Et osculátus est eum. Dixítque illi Jesus: J. Amíce, ad quid venísti? C. Tunc accessérunt, et manus injecérunt in Jesum et tenuérunt eum. Et ecce, unus ex his, qui erant cum Jesu, exténdens manum, exémit gládium suum, et percútiens servum príncipis sacerdótum, amputávit aurículam ejus. Tunc ait illi Jesus: J. Convérte gládium tuum in locum suum. Omnes enim, qui accéperint gládium, gládio períbunt. An putas, quia non possum rogáre Patrem meum, et exhibébit mihi modo plus quam duódecim legiónes Angelórum? Quómodo ergo implebúntur Scripturae, quia sic oportet fíeri? C. In illa hora dixit Jesus turbis: J. Tamquam ad latrónem exístis cum gládiis et fústibus comprehéndere me: cotídie apud vos sedébam docens in templo, et non me tenuístis. C. Hoc autem totum factum est, ut adimpleréntur Scripturæ Prophetárum. Tunc discípuli omnes, relícto eo, fugérunt. At illi tenéntes Jesum, duxérunt ad Cáipham, príncipem sacerdótum, ubi scribæ et senióres convénerant. Petrus autem sequebátur eum a longe, usque in átrium príncipis sacerdótum. Et ingréssus intro, sedébat cum minístris, ut vidéret finem. Príncipes autem sacerdótum et omne concílium quærébant falsum testimónium contra Jesum, ut eum morti tráderent: et non invenérunt, cum multi falsi testes accessíssent. Novíssime autem venérunt duo falsi testes et dixérunt: S. Hic dixit: Possum destrúere templum Dei, et post tríduum reædificáre illud. C. Et surgens princeps sacerdótum, ait illi: S. Nihil respóndes ad ea, quæ isti advérsum te testificántur? C. Jesus autem tacébat. Et princeps sacerdótum ait illi: S. Adjúro te per Deum vivum, ut dicas nobis, si tu es Christus, Fílius Dei. C. Dicit illi Jesus: J. Tu dixísti. Verúmtamen dico vobis, ámodo vidébitis Fílium hóminis sedéntem a dextris virtútis Dei, et veniéntem in núbibus coeli. C. Tunc princeps sacerdótum scidit vestiménta sua, dicens: S. Blasphemávit: quid adhuc egémus téstibus? Ecce, nunc audístis blasphémiam: quid vobis vidétur? C. At illi respondéntes dixérunt: S. Reus est mortis. C. Tunc exspuérunt in fáciem ejus, et cólaphis eum cecidérunt, álii autem palmas in fáciem ejus dedérunt, dicéntes: S. Prophetíza nobis, Christe, quis est, qui te percússit? C. Petrus vero sedébat foris in átrio: et accéssit ad eum una ancílla, dicens: S. Et tu cum Jesu Galilaeo eras. C. At ille negávit coram ómnibus, dicens: S. Néscio, quid dicis. C. Exeúnte autem illo jánuam, vidit eum ália ancílla, et ait his, qui erant ibi: S. Et hic erat cum Jesu Nazaréno. C. Et íterum negávit cum juraménto: Quia non novi hóminem. Et post pusíllum accessérunt, qui stabant, et dixérunt Petro: S. Vere et tu ex illis es: nam et loquéla tua maniféstum te facit. C. Tunc cœpit detestári et juráre, quia non novísset hóminem. Et contínuo gallus cantávit. Et recordátus est Petrus verbi Jesu, quod díxerat: Priúsquam gallus cantet, ter me negábis. Et egréssus foras, flevit amáre. Mane autem facto, consílium iniérunt omnes príncipes sacerdótum et senióres pópuli advérsus Jesum, ut eum morti tráderent. Et vinctum adduxérunt eum, et tradidérunt Póntio Piláto praesidi. Tunc videns Judas, qui eum trádidit, quod damnátus esset, pæniténtia ductus, réttulit trigínta argénteos princípibus sacerdótum et senióribus, dicens: S. Peccávi, tradens sánguinem justum. C. At illi dixérunt: S. Quid ad nos? Tu vidéris. C. Et projéctis argénteis in templo, recéssit: et ábiens, láqueo se suspéndit. Príncipes autem sacerdótum, accéptis argénteis, dixérunt: S. Non licet eos míttere in córbonam: quia prétium sánguinis est. C. Consílio autem ínito, emérunt ex illis agrum fíguli, in sepultúram peregrinórum. Propter hoc vocátus est ager ille, Hacéldama, hoc est, ager sánguinis, usque in hodiérnum diem. Tunc implétum est, quod dictum est per Jeremíam Prophétam, dicéntem: Et accepérunt trigínta argénteos prétium appretiáti, quem appretiavérunt a fíliis Israël: et dedérunt eos in agrum fíguli, sicut constítuit mihi Dóminus. Jesus autem stetit ante praesidem, et interrogávit eum præses, dicens: S. Tu es Rex Judæórum? C. Dicit illi Jesus: J. Tu dicis. C. Et cum accusarétur a princípibus sacerdótum et senióribus, nihil respóndit. Tunc dicit illi Pilátus: S. Non audis, quanta advérsum te dicunt testimónia? C. Et non respóndit ei ad ullum verbum, ita ut mirarétur præses veheménter. Per diem autem sollémnem consuéverat præses pópulo dimíttere unum vinctum, quem voluíssent. Habébat autem tunc vinctum insígnem, qui dicebátur Barábbas. Congregátis ergo illis, dixit Pilátus: S. Quem vultis dimíttam vobis: Barábbam, an Jesum, qui dícitur Christus? C. Sciébat enim, quod per invídiam tradidíssent eum. Sedénte autem illo pro tribunáli, misit ad eum uxor ejus, dicens: S. Nihil tibi et justo illi: multa enim passa sum hódie per visum propter eum. C. Príncipes autem sacerdótum et senióres persuasérunt populis, ut péterent Barábbam, Jesum vero pérderent. Respóndens autem præses, ait illis: S. Quem vultis vobis de duóbus dimítti? C. At illi dixérunt: S. Barábbam. C. Dicit illis Pilátus: S. Quid ígitur fáciam de Jesu, qui dícitur Christus? C. Dicunt omnes: S. Crucifigátur. C. Ait illis præses: S. Quid enim mali fecit? C. At illi magis clamábant,dicéntes: S. Crucifigátur. C. Videns autem Pilátus, quia nihil profíceret, sed magis tumúltus fíeret: accépta aqua, lavit manus coram pópulo, dicens: S. Innocens ego sum a sánguine justi hujus: vos vidéritis. C. Et respóndens univérsus pópulus, dixit: S. Sanguis ejus super nos et super fílios nostros. C. Tunc dimísit illis Barábbam: Jesum autem flagellátum trádidit eis, ut crucifigerétur. Tunc mílites praesidis suscipiéntes Jesum in prætórium, congregavérunt ad eum univérsam cohórtem: et exuéntes eum, chlámydem coccíneam circumdedérunt ei: et plecténtes corónam de spinis, posuérunt super caput ejus, et arúndinem in déxtera ejus. Et genu flexo ante eum, illudébant ei, dicéntes: S. Ave, Rex Judæórum. C. Et exspuéntes in eum, accepérunt arúndinem, et percutiébant caput ejus. Et postquam illusérunt ei, exuérunt eum chlámyde et induérunt eum vestiméntis ejus, et duxérunt eum, ut crucifígerent. Exeúntes autem, invenérunt hóminem Cyrenaeum, nómine Simónem: hunc angariavérunt, ut tólleret crucem ejus. Et venérunt in locum, qui dícitur Gólgotha, quod est Calváriæ locus. Et dedérunt ei vinum bíbere cum felle mixtum. Et cum gustásset, nóluit bibere. Postquam autem crucifixérunt eum, divisérunt vestiménta ejus, sortem mitténtes: ut implerétur, quod dictum est per Prophétam dicentem: Divisérunt sibi vestiménta mea, et super vestem meam misérunt sortem. Et sedéntes, servábant eum. Et imposuérunt super caput ejus causam ipsíus scriptam: Hic est Jesus, Rex Judæórum. Tunc crucifíxi sunt cum eo duo latrónes: unus a dextris et unus a sinístris. Prætereúntes autem blasphemábant eum, movéntes cápita sua et dicéntes: S. Vah, qui déstruis templum Dei et in tríduo illud reædíficas: salva temetípsum. Si Fílius Dei es, descénde de cruce. C. Simíliter et príncipes sacerdótum illudéntes cum scribis et senióribus, dicébant: S. Alios salvos fecit, seípsum non potest salvum fácere: si Rex Israël est, descéndat nunc de cruce, et crédimus ei: confídit in Deo: líberet nunc, si vult eum: dixit enim: Quia Fílius Dei sum. C. Idípsum autem et latrónes, qui crucifíxi erant cum eo, improperábant ei. A sexta autem hora ténebræ factæ sunt super univérsam terram usque ad horam nonam. Et circa horam nonam clamávit Jesus voce magna, dicens: J. Eli, Eli, lamma sabactháni? C. Hoc est: J. Deus meus, Deus meus, ut quid dereliquísti me? C. Quidam autem illic stantes et audiéntes dicébant: S. Elíam vocat iste. C. Et contínuo currens unus ex eis, accéptam spóngiam implévit acéto et impósuit arúndini, et dabat ei bíbere. Céteri vero dicébant:S. Sine, videámus, an véniat Elías líberans eum. C. Jesus autem íterum clamans voce magna, emísit spíritum.

Hic genuflectitur, et pausatur aliquantulum. …

Et ecce, velum templi scissum est in duas partes a summo usque deórsum: et terra mota est, et petræ scissæ sunt, et monuménta apérta sunt: et multa córpora sanctórum, qui dormíerant, surrexérunt. Et exeúntes de monuméntis post resurrectiónem ejus, venérunt in sanctam civitátem, et apparuérunt multis. Centúrio autem et qui cum eo erant, custodiéntes Jesum, viso terræmótu et his, quæ fiébant, timuérunt valde, dicéntes: S. Vere Fílius Dei erat iste. C. Erant autem ibi mulíeres multæ a longe, quæ secútæ erant Jesum a Galilaea, ministrántes ei: inter quas erat María Magdaléne, et María Jacóbi, et Joseph mater, et mater filiórum Zebedaei. Cum autem sero factum esset, venit quidam homo dives ab Arimathaea, nómine Joseph, qui et ipse discípulus erat Jesu. Hic accéssit ad Pilátum, et pétiit corpus Jesu. Tunc Pilátus jussit reddi corpus. Et accépto córpore, Joseph invólvit illud in síndone munda. Et pósuit illud in monuménto suo novo, quod excíderat in petra. Et advólvit saxum magnum ad óstium monuménti, et ábiit. Erat autem ibi María Magdaléne et áltera María, sedéntes contra sepúlcrum.

 [In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli: J. Sapete bene che tra due giorni sarà Pasqua, e il Figlio dell’uomo verrà catturato per essere crocifisso. C. Si radunarono allora i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo nell’atrio del principe dei sacerdoti denominato Caifa, e tennero consiglio sul modo di catturar Gesù con inganno, e così poterlo uccidere. Ma dicevano: S. Non però nel giorno di festa perché non sorga un qualche tumulto nel popolo. C. Mentre Gesù si trovava in Betania nella casa di Simone il lebbroso, gli si avvicinò una donna che portava un vaso d’alabastro, pieno d’unguento prezioso, e lo versò sopra il capo di lui che era adagiato alla mensa. Ma nel veder ciò, i discepoli se ne indignarono e dissero: S. Perché tale sperpero? Poteva esser venduto quell’unguento a buon prezzo, e distribuito [il denaro] ai poveri. C. Ma, sentito questo, Gesù disse loro: J. Perché criticate voi questa donna? Ella invero ha fatto un’opera buona con me. I poveri infatti li avete sempre con voi, mentre non sempre potrete avere me. Spargendo poi questo unguento sopra il mio corpo, l’ha sparso come per alludere alla mia sepoltura. In verità io vi dico che in qualunque luogo sarà predicato questo vangelo, si narrerà altresì, in memoria di lei, quello che ha fatto. C. Allora uno dei dodici, detto Giuda Iscariote, se ne andò dai capi dei sacerdoti, e disse loro: S. Che mi volete dare, ed io ve lo darò nelle mani? C. Ed essi gli promisero trenta monete di argento. E da quel momento egli cercava l’occasione opportuna per darlo nelle loro mani. Or il primo giorno degli azzimi si accostarono a Gesù i discepoli e gli dissero: S. Dove vuoi tu che ti prepariamo per mangiare la Pasqua? C. E Gesù rispose loro: J. «Andate in città dal tale e ditegli: Il Maestro ti fa sapere: Il mio tempo oramai si è approssimato; io coi miei discepoli faccio la Pasqua da te». C. E i discepoli eseguirono quello che aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua. Venuta poi la sera [Gesù], si era messo a tavola coi suoi dodici discepoli; e mentre mangiavano, egli disse: J. In verità vi dico che uno di voi mi tradirà. C. Sommamente rattristati, essi cominciarono a uno a uno a dirgli: S. Forse sono io, o Signore? C. Ma egli in risposta disse: J. Chi con me stende [per intingere] la mano nel piatto, è proprio quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo, è vero, se ne andrà, come sta scritto di lui; ma guai a quell’individuo, per opera del quale il Figliuolo dell’uomo sarà tradito! Era bene per lui il non esser mai nato! C. Pigliando la parola, Giuda, che poi lo tradì, gli disse: S. Sono forse io, o Maestro? C. Gli rispose [Gesù]: J. Tu l’hai detto. C. Stando dunque essi a cena, Gesù prese un pane, lo benedisse, lo spezzò e lo porse ai suoi discepoli, dicendo: J. Prendete e mangiate; questo è il mio Corpo. C. E preso un calice, rese le grazie, e lo dette loro, dicendo: J. Bevetene tutti. Questo è il mio Sangue del nuovo testamento, che sarà sparso per molti in remissione dei peccati. E vi dico ancora, che non berrò più di questo frutto della vite fino a quel giorno, in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio. C. Recitato quindi l’inno, uscirono, diretti al Monte oliveto. Disse allora Gesù: J. Tutti voi in questa notte proverete scandalo per causa mia. Sta scritto infatti: Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge. Ma dopo che sarò resuscitato, vi precederò in Galilea. C. In risposta, Pietro allora gli disse: S. Anche se tutti fossero scandalizzati per te, io non mi scandalizzerò mai. C. E Gesù a lui: J. In verità ti dico che in questa medesima notte, prima che il gallo canti, tu mi avrai già rinnegato tre volte. C. E Pietro gli replico: S. Ancorché fosse necessario morire con te, io non ti rinnegherò. C. E dissero lo stesso gli altri discepoli. Arrivò alfine ad un luogo, nominato Getsemani, e Gesù disse ai suoi discepoli: J. Fermatevi qui, mentre io vado più in là a fare orazione. C. E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a farsi triste e ad essere mesto. E disse loro: J. È afflitta l’anima mia fino a morirne. Rimanete qui e vegliate con me. C. E fattosi un poco più in avanti, si prostrò a terra colla faccia e disse: J. Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice. In ogni modo non come voglio io [si faccia], ma come vuoi tu. C. E tornò dai suoi discepoli e li trovò che dormivano. Disse quindi a Pietro: J. E cosi, non poteste vegliare un’ora con me? Vegliate e pregate, perché non siate sospinti in tentazione. Lo spirito, in realtà, è pronto, ma è fiacca la carne. C. Di nuovo se ne andò per la seconda volta, e pregò, dicendo: J. Padre mio, se non può passar questo calice senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà. C. E ritornò di nuovo a loro, e li ritrovò addormentati. I loro occhi erano proprio oppressi dal sonno. E, lasciatili stare, andò nuovamente a pregare per la terza volta, dicendo le stesse parole. Fu allora che si riavvicinò ai suoi discepoli e disse loro: J. Dormite pure e riposatevi. Oramai l’ora è vicina, e il Figlio dell’uomo sarà consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi e andiamo; ecco che è vicino colui che mi tradirà. C. Diceva appunto così, quando arrivò Giuda, uno dei dodici e con lui una gran turba di gente con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti e dagli anziani del popolo. Il traditore, aveva dato loro questo segnale, dicendo: S. Quello che io bacerò, è proprio lui; pigliatelo. C. E, senza indugiare, accostatosi a Gesù, disse: S. Salve, o Maestro! C. E gli dette un bacio. Gesù gli disse: J. Amico, a che fine sei tu venuto? C. E allora si fecero avanti gli misero le mani addosso e lo catturarono. Ma ecco che uno di quelli che erano con Gesù, stesa la mano, sfoderò una spada e, ferito un servo del principe dei sacerdoti, gli staccò un orecchio. Allora gli disse Gesù: J. Rimetti al suo posto la spada, perché chi darà di mano alla spada, di spada perirà. Credi tu forse che io non possa pregare il Padre mio, e che egli non possa fornirmi all’istante più di dodici legioni di Angeli? Come dunque potranno verificarsi le Scritture, dal momento che deve succedere così? C. In quel punto medesimo disse Gesù alle turbe: J. Come un assassino siete venuti a prendermi, con spade e bastoni. Ogni giorno io me ne stavo nel tempio a insegnare, e allora non mi prendeste mai. C. E tutto questo avvenne, perché si compissero le scritture dei Profeti. Dopo ciò, tutti i discepoli lo abbandonarono, dandosi alla fuga. Ma quelli, afferrato Gesù, lo condussero a Caifa; principe dei sacerdoti, presso il quale si erano radunati gli scribi e gli anziani. Pietro però lo aveva seguito alla lontana fino all’atrio del principe dei sacerdoti; ed, entrato là, si era messo a sedere coi servi allo scopo di vedere la fine. I capi dei sacerdoti intanto e tutto il consiglio cercavano una falsa testimonianza contro Gesù per aver modo di metterlo a morte; ma non trovandola, si fecero avanti molti falsi testimoni. Per ultimo se ne presentarono altri due, e dissero: S. Costui disse: Io posso distruggere il tempio di Dio, e in tre giorni posso rifabbricarlo. C. Levatosi su allora il principe dei sacerdoti, disse [a Gesù]: S. Io ti scongiuro per il Dio vivo, che tu ci dica, se sei il Cristo, figlio di Dio. C. Gesù rispose: J. Tu l’hai detto. Anzi vi dico che vedrete altresì il Figlio dell’uomo, assiso alla destra della Potenza di Dio, venir giù sulle nubi del cielo. C. Il principe dei sacerdoti allora si strappò le vesti, dicendo: S. Egli ha bestemmiato! Che abbiamo più bisogno di testimoni? Voi stessi ora ne avete sentito la bestemmia! Che ve ne pare? C. Egli ha bestemmiato! Che abbiamo più bisogno di testimoni? Voi stessi ora ne avete sentito la bestemmia C. È reo di morte! C. Allora gli sputarono in faccia e lo ammaccarono coi pugni. Altri poi lo schiaffeggiarono e gli dicevano: S. Indovina, o Cristo, chi è che ti ha percosso. C. Pietro intanto se ne stava seduto fuori nell’atrio. Or gli si accostò una serva e gli disse: S. Anche tu eri con Gesù di Galilea. C. Ma egli, alla presenza di tutti, negò, dicendo: S. Non capisco quello che dici. C. Mentre poi stava per uscire dalla porta, lo vide un’altra serva e disse ai presenti: S. Anche lui era con Gesù Nazareno! C. E di nuovo egli negò giurando: S. Io non conosco quest’uomo! C. Di lì a poco gli si avvicinarono coloro che si trovavano là, e dissero a Pietro: S. Tu sei davvero uno di quelli, perché anche il tuo accento ti da a conoscere per tale. C. Cominciò allora a imprecare e a scongiurare che non aveva mai conosciuto quell’uomo. E a un tratto il gallo cantò; allora Pietro si rammentò del discorso di Gesù: «Prima che il gallo canti, tu mi avrai rinnegato tre volte»; ed uscito di là, pianse amaramente. Fattosi poi giorno, tutti i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo congiurarono insieme contro Gesù per metterlo a morte; e, legatolo, lo portarono via e lo presentarono al governatore Ponzio Pilato. Il traditore Giuda, allora, visto che Gesù era stato condannato, sospinto dal rimorso, riportò ai capi dei sacerdoti e agli anziani i trenta denari, e disse: S. Ho fatto male, tradendo il sangue d’un innocente! C. Ma essi risposero: S. Che ci importa? Pensaci tu! C. Gettate perciò nel tempio le trenta monete d’argento, egli si ritirò di là, andando a impiccarsi con un laccio. I capi dei sacerdoti per altro, raccattate le monete, dissero: S. Non conviene metterle colle altre nel tesoro, essendo prezzo di sangue. C. Dopo essersi consultati tra di loro, acquistarono con esse un campo d’un vasaio per seppellirvi i forestieri. Per questo, quel campo fu chiamato Aceldama, vale a dire, campo del sangue; e ciò fino ad oggi. Così si verificò quello che era stato predetto per mezzo di Geremia profeta: «Ed hanno ricevuto i trenta denari d’argento, prezzo di colui che fu venduto dai figliuoli d’Israele, e li hanno impiegati nell’acquisto del campo d’un vasaio, come mi aveva imposto il Signore». Gesù pertanto si trovò davanti al governatore, che lo interrogò, dicendogli: S. Sei tu il re dei giudei? C. Gesù gli rispose: J. Tu lo dici. C. Ed essendo stato accusato dai capi dei sacerdoti e dagli anziani, non rispose nulla. Gli disse allora Pilato: S. Non senti di quanti capi d’accusa ti fanno carico? C. Ma egli non replicò parola, cosicché il governatore ne rimase fortemente meravigliato. Nella ricorrenza della festività [pasquale] il governatore era solito di rilasciare al popolo un detenuto a loro piacimento. Ne aveva allora in prigione uno famoso, chiamato Barabba. A tutti coloro perciò che si erano ivi radunati, Pilato disse: S. Chi volete che io vi lasci libero? Barabba, oppure Gesù, chiamato il Cristo? C. Sapeva bene che per invidia gliel’avevano condotto lì. Mentre intanto egli se ne stava seduto in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: S. Non aver nulla da fare con quel giusto, perché oggi in sogno ho dovuto soffrire tante ansie per via di lui! C. Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani sobillarono il popolo, perché fosse chiesto Barabba e fosse ucciso Gesù. In risposta allora il governatore disse loro: S. Chi volete che vi sia rilasciato? C. E quei risposero: S. Barabba. C. Replicò loro Pilato: S. Che ne farò dunque di Gesù, chiamato il Cristo? C. E ad una voce, tutti risposero: S. Crocifiggilo! C. Disse loro il governatore: S. Ma che male ha fatto? C. Ed essi gridarono più forte, dicendo: S. Sia crocifisso! C. Vedendo Pilato che non si concludeva nulla, ma anzi che si accresceva il tumulto, presa dell’acqua, si lavò le mani alla presenza del popolo, dicendo: S. Io sono innocente del sangue di questo giusto; è affar vostro! C. E per risposta tutto quel popolo disse: S. Il sangue di lui ricada sopra di noi e sopra i nostri figli! C. Allora rilasciò libero Barabba; e, dopo averlo fatto flagellare, consegnò loro Gesù, perché fosse crocifisso. I soldati del governatore poi trascinarono Gesù nel pretorio e gli schierarono attorno tutta la coorte; e lo spogliarono, rivestendolo d’una clamide di color rosso. Intrecciata poi una corona di spine, gliela posero in testa, e nella mano destra [gli misero] una canna. E piegando il ginocchio davanti a lui, lo deridevano col dire: S. Salve, o re dei Giudei. C. E dopo avergli sputato addosso, presagli la canna, con essa lo battevano nel capo. E dopo che l’ebbero schernito, gli levarono di dosso la clamide, gli rimisero le sue vesti, e lo condussero via per crocifiggerlo. Nell’uscire [di città], trovarono un tale di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a pigliare la croce. E arrivarono a un luogo, detto Golgota, cioè, del cranio. E dettero da bere [a Gesù] del vino mescolato con fiele; ma avendolo egli gustato, non lo volle bere. E dopo che l’ebbero crocifisso, se ne divisero le vesti, tirandole a sorte. E ciò perché si adempisse quello che era stato detto dal Profeta, quando disse: «Si sono divisi i miei abiti ed hanno messo a sorte la mia veste». E, postisi a sedere, gli facevano la guardia. E al di sopra del capo di lui, appesero, scritta, la causa della sua condanna: – Questi è Gesù, re dei Giudei -. Furono allora crocifissi insieme con lui due ladroni: uno a destra ed uno a sinistra. E quelli che passavano di li, lo schernivano, scrollando il capo, e dicevano: S. Tu che distruggi il tempio di Dio e che lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso; se sei il Figlio di Dio, scendi giù dalla croce. C. Parimenti anche i capi dei sacerdoti lo deridevano, beffandosi di lui cogli scribi e cogli anziani del popolo, e dicendo: S. Salvò gli altri, e non può salvare se stesso. Se è il re d’Israele, discenda ora dalla croce, e noi gli crederemo. Confidò in Dio. Se vuole, Iddio lo liberi ora! O non disse che era Figliuolo di Dio? C. E questo pure gli rinfacciavano i ladroni che erano stati crocifissi con lui. Si fece poi un gran buio dall’ora sesta fino all’ora nona. E verso l’ora nona Gesù gridò con gran voce: J. Eli, Eli, lamma sabacthani; C. cioè: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Ed alcuni che erano li vicini, sentitolo, dissero: S. Costui chiama Elia! C. E subito uno di loro, correndo, presa una spugna, l’inzuppò nell’aceto, e fermatala in vetta a una canna, gli dette da bere. Gli altri invece dicevano: S. Lasciami vedere, se viene Elia a liberarlo. C. Ma Gesù, gridando di nuovo a gran voce, rese lo spirito. Si genuflette per un momento. Ed ecco che il velo del tempio si divise in due parti dall’alto in basso; e la terra tremò; e le pietre si spaccarono, le tombe si aprirono, e molti corpi di Santi che vi erano sepolti, resuscitarono. Usciti anzi dai monumenti dopo la resurrezione di Lui, entrarono nella città santa e comparvero a molti. Il centurione poi e gli altri che con lui facevano la guardia a Gesù, veduto il terremoto e le cose che succedevano, ne ebbero gran paura e dissero: S. Costui era davvero il Figliuolo di Dio. C. C’erano pure lì, in disparte, molte donne che avevano seguito Gesù dalla Galilea per assisterlo, tra le quali era Maria Maddalena, e Maria di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo. Essendosi poi fatta sera, arrivò un uomo, ricco signore di Arimatea, chiamato Giuseppe, discepolo anche lui di Gesù. Egli si era presentato a Pilato per chiedergli il corpo di Gesù; e Pilato aveva dato ordine che ne fosse restituito il corpo. E, presolo, Giuseppe lo avvolse in un lenzuolo pulito, e lo pose in un sepolcro nuovo, che si era già fatto scavare in un masso; e, dopo aver ribaltata alla bocca della tomba una gran lapide, se ne andò. Erano ivi Maria Maddalena e l’altra Maria, sedute di davanti al sepolcro.]

IL CREDO

Offertorium

Orémus Ps LXVIII:21-22.

Impropérium exspectávit cor meum et misériam: et sustínui, qui simul mecum contristarétur, et non fuit: consolántem me quæsívi, et non invéni: et dedérunt in escam meam fel, et in siti mea potavérunt me acéto.

[Oltraggio e dolore mi spezzano il cuore; attendevo compassione da qualcuno, e non ci fu; qualcuno che mi consolasse e non lo trovai: per cibo mi diedero del fiele e assetato mi hanno dato da bere dell’aceto.]

Secreta

Concéde, quæsumus, Dómine: ut oculis tuæ majestátis munus oblátum, et grátiam nobis devotionis obtineat, et efféctum beátæ perennitátis acquírat.

[Concedi, te ne preghiamo, o Signore, che quest’ostia offerta alla presenza della tua Maestà, ci ottenga la grazia della devozione e ci acquisti il possesso della Eternità beata.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Matt XXVI:42.

Pater, si non potest hic calix transíre, nisi bibam illum: fiat volúntas tua.

[Padre mio, se non è possibile che questo calice passi senza chi lo beva, sia fatta la tua volontà.]

Postcommunio.

Orémus.

Per hujus, Dómine, operatiónem mystérii: et vitia nostra purgéntur, et justa desidéria compleántur.

 [O Signore, per l’efficacia di questo sacramento, siano purgati i nostri vizi e appagati i nostri giusti desideri.].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (150)

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (19)

FIRENZE DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA 1861

DISCUSSIONE XVII. (2)

Il culto de’ Santi: — Immagini: — Reliquie.

PUNTO VIII.

Molte grazie concede Dio agli uomini, da molli pericoli gli libera, anche non pregato, in riguardo ai meriti de’ suoi Santi.

100. « Il Signore benedì la casa dell’Egiziano per amor di Giuseppe, e moltiplicò tutte le facoltà di lui. 1 » (Gen. XXXIX, 5).

« Disse a lui (a Giacobbe) Laban: Possa io trovar grazia dinanzi a te: ho conosciuto alla prova che Dio mi ha benedetto per causa di te. » (Gen. XXX, 27).

« Ecco quello che del re degli Assiri dice il Signore: Egli non entrerà in questa città…. Proteggerò questa città e la salverò per amore di me, e per amore di Davidde mio servo? » (IV Re, XIX, 32, 34).

« Disse pertanto il Signore a Salomone: Perché questo (peccato) è in te, squarcerò e spezzerò il tuo regno, e darollo al tuo servo…. Ma nol farò, vivente te, per amore di Davidde tuo padre » . (III Reg. XI, 11, 12).

Prot. Sta scritto: « Cristo Gesù, il quale è stato fatto da Dio sapienza per noi, e giustizia, e santificazione, e redenzione. » (I Cor. I, 30).

« Uno è il mediatore tra Dio e gli uomini, uomo Cristo, Gesù. » (I Tim. II, 5) — « Abbiamo 1’Avvocato presso il Padre, Gesù Cristo giusto. » (I Giov. II, 1). (Dunque tutto abbiamo pei meriti di Gesù Cristo: Egli è il solo nostro Avvocato e mediatore, e per conseguenza a Lui si fa ingiuria grande a ricorrere alla mediazione, al patrocinio dei Santi.

Bibbia. Essendo impossibile che Dio si contraddica, per conseguente quando Egli ha detto che anche i Santi sono mediatori, che i loro meriti hanno forza presso di Lui, invece di sentenziare all’impazzata, dovresti cercar di conoscere come ciò avvenga, e conciliare insieme i diversi testi, mentre è certo che sono tutti ugualmente veridici, e non accettare e rigettare arbitrariamente ciò che più ti aggrada. Pertanto, Gesù Cristo è il solo mediatore principale, né ve ne possono essere altri di tal qualità; ma ciò non impedisce vi siano mediatori secondari, cioè che intercedano, domandino in nome di Lui, pei meriti suoi, siccome Egli stesso lo ha dichiarato: « In verità, in verità vi dico, che qualunque cosa domanderete al Padre nel nome mio, ve la darà » (Giov. XVI, 23) Che se Dio ha riguardo anche ai meriti dei Santi, ciò avviene perché acquistati sono, ed hanno valore in virtù dei meriti infiniti di Gesù Cristo medesimo. Onde la mediazione, i meriti dei Santi anziché esser di ingiuria al gran Mediatore, ridondano assolutamente a sua gloria.

PUNTO  IX.

Immagini e statue dei Santi — Queste sono lecite, anzi furon da Dio comandate, e però rettamente si collocano nelle Chiese.

101. « Farai anche due Cherubini (disse il Signore a Mosè) lavorati al martello, dall’una e dall’altra parte del propiziatorio, un Cherubino da un lato, e uno dall’altro. » (Esod. XV, 19).

« Collocò (Salomone) i Cherubini nel mezzo del tempio interiore…. E tutte le pareti del tempio le fece ornare all’intorno di scultura e d’intaglio: e vi fece de’ Cherubini,… e delle figure diverse. E all’ingresso dell’oracolo fece piccole porte di legno,… e in esse erano scolpite figure di Cherubini e di bassi rilievi. » E all’ ingresso del tempio fece le porte…. e vi fece scolpire » de’ Cherubini? » (III Reg. VI, 27).

PUNTO X.

Le sacre Immagini possono essere onorate con religioso culto.

102. « Il Signore disse (a Mosè): Fa’ un SERPENTE DI BRONZO, e ponilo come segno: chiunque essendo ferito (da’ serpenti) lo mirerà avrà vita. Fece dunque Mosè un serpente di bronzo, e lo pose come segno: mirandolo quelli che eran piagati (dà serpenti) ricuperavan la sanità. » (Num. XXI, 8-9). Ora è certo che i Giudei non  avendo speranza di riacquistar la salute che rimirando quel SERPENTE, secondo la disposizione divina, ciò facevano con sentimento di un certo culto religioso, quantunque non ne conoscessero il significato: né Dio di questo gli rimproverò, anzi sembra fosse quella la sua volontà; poiché era quel serpente una figura, un simbolo del Redentore sopra la Croce, come il medesimo Redentore lo ha dichiarato, dicendo: « Siccome Mose innalzò nel deserto il serpente, nella stessa guisa fa d’uopo che sia innalzato il Figliuolo dell’uomo.» (Giov. III, 14). Finalmente è innegabile dai testi citati (punti I.), che gli Angeli adorati furono sotto umana forma, la quale non appartenendo alla loro natura, non poteva fare che veci della loro immagine.

PUNTO XI.

Iddio stesso onora le Immagini dei Santi co’ prodigi che opera per mezzo di esse, e ne sanziona il religioso culto colle grazie che concede per esso ai fedeli.

103. « E più e più cresceva la moltitudine dei credenti nel Signore, uomini e donne, talmente che portavan fuori nelle piazze i malati, e li mettevano sopra i letti e strapunti, affinché, passando Pietro, l’ombra almeno di lui adombrasse alcuno di essi e fosser liberati dalle loro infermità. » (Act. V, 14-15)

PUNTO XII.

Reliquie de’ Santi onorate da Dio, dagli Angeli e dagli uomini.

104. « E Mosè servo del Signore morì quivi, secondo il comando del Signore. E (il Signore) lo seppellì nella valle della terra di Moab » (Deut. XXXIV, 5, 6).

« Molte (sono) le tribolazioni de’ giusti, e da tutte queste li trarrà il Signore. Il Signore custodisce tutte le ossa loro » (Ps. XXXIII, 19, 20).

« Quando Michele Arcangelo disputando col diavolo altercava a causa del corpo di Mosè, … disse: ti reprima il Signore » (Giud. I, 9)

« E andò Giacobbe in Egitto, e morì egli e i padri nostri, e furono trasportati a Sichem nel sepolcro comprato da Abramo »

« E Giosia rivoltosi vide i sepolcri che erano nel monte, e mandò a togliere le ossa de’ sepolcri, e le bruciò. E disse: Di chi è quel monumento che io veggo? E la gente di quella città gli disse: È il sepolcro dell’uomo di Dio che venne da Giuda, e queste cose predisse. E disse: Lanciatelo stare, nessuno muova le ossa di lui? »

PUNTO XIII

Culto e prodigi delle Reliquie di Gesù Cristo e dei Santi.

105. « Una donna, la quale era da dodici anni malata di una perdita di sangue;… avendo udito parlare di Gesù, andò per di dietro nella calca, e toccò la sua veste: imperocché diceva. Purché io tocchi solamente la veste di Lui, sarò salva. E subito la sorgente del sangue in lei si stagnò: e nel suo corpo sentì di esser sana da quel male. » (Marc. V, 25 e segg.)

« Gli uomini di quel luogo avendolo conosciuto, mandarono per tutta quella regione, e gli presentarono tutti i malati, e lo pregarono che potessero sol toccare il lembo della sua veste. E tutti quelli che la toccarono furono sanati? » (Matth. XIV, 35-36).

« Miracoli non ordinari faceva Dio per mano di Paolo: di modo che persino portavansi a’ malati i fazzoletti e le fasce state sul corpo di lui, e partivansi da essi le malattie e gli spiriti cattivi. » (Act, XIX, 11-12).

« E col pallio che era caduto ad Elia percosse (Eliseo) le acque,… e si separarono di qua e di là, ed Eliseo passò? » (IVReg. II, 14).

« Certuni che portavano a seppellire un uomo, videro i ladroni, e gettarono il cadavere nel sepolcro di Eliseo; ed avendo toccato le ossa di Eliseo quell’uomo tornò a vita? » (IV Reg. XIII, 21)

PUNTO XIV.

Iddio vuole rispettati ì suoi Santi.

106. « E gli disse: Uomo di Dio, il re comanda che tu venga a basso. Ed Elia rispose, e disse al capitano :… Se sono uomo di Dio, scenda il fuoco dal cielo, e divori te e i tuoi cinquanta uomini. E venne il fuoco dal cielo e divorò esso e i cinquanta uomini che erano con lui. E di nuovo mandò (Ochozia) a lui un altro capitano,… e questi gli disse. Uomo di Dio. Il re dice così: Fa’ presto, discendi. Elia rispose, e disse: Se sono Uomo di Dio, scenda il fuoco dal cielo, e divori te e i tuoi cinquanta. Venne pertanto il fuoco dal cielo, e lo divorò co’ suoi cinquanta. Di nuovo quegli mandò un terzo capitano di cinqunta uomini:… il quale in arrivando s’ inginocchiò dinanzi ad Elia, e pregollo e disse: Uomo di Dio, ti raccomando la mia vita, e la vita de’ tuoi servi che sono con me. Or l’Angelo del Signore parlò ad Elia, e disse: Va’ con lui? » (IV Reg. I, 19 e segg.).

« Ed egli (Eliseo) andò a Bethel,… e uscirono dalla città dei piccoli ragazzi, quali la beffeggiavano, dicendo: Vien, su o calvo, vien su, o calvo: ed egli gli maledì nel nome del Signore: E uscirono due orsi dalla boscaglia, i quali sbranarono, quarantadue di que’ ragazzi? » (IV., ii, 33-34).

107. Prot. Mi trovo molto imbarazzato. Il mio più forte appoggio contro il culto de’ Santi era quella legge divina: « Io sono il Signore Dio tuo,… non avrai altri dii dinanzi a me. Non ti farai scultura, né rappresentazione alcuna di quel che è lassù in cielo, o quaggiù in terra, o nelle, acque sotto terra, e non adorerai tali cose, né ad esse presterai culto? » (Esod. XX, 2 e segg.) Ma ora non vi posso far conto; poiché ho bene ormai conosciuto che:

« Con questa legge altro non volle Iddio che far conoscere agli Israeliti che Egli in verun modo approvava la mistura delle varie religioni, né il culto degli altri dei, eccettuato il suo proprio. Imperocché era allora comunissima superstizione che gli uomini, oltre il Dio della terra che abitavano, adorar potessero e dovessero anche gli dei delle altre regioni. Facilmente perciò si conosce che proibite non erano tutte le immagini, come alcuni interpreti hanno preteso, ma solamente le immagini tanto di esso Dio vero, quanto di altri dii; imperocché erano nel tempio medesimo le immagini dei Cherubini. » (Rosenmüller: Scholia in V. Test, sopra questo passo).

Bibbia. Non vi è bisogno di molto acume, ma basta un principio di buona fede per conoscere il vero senso di quella legge; poiché oltre il farsi manifesto in quelle divine parole – Non avrai altri dii dinanzi a me – Iddio medesimo nel luogo stesso-v. 23 si è apertamente dichiarato qual sorta d’immagini intendeva proibire, dicendo: «Non vi farete dii di argento, né vi farete dii di oro. E nel Levitico ripetendo lo stesso, precetto, dice : « Non vi farete idoli e scultura. » (Lev. XXVI, 1). Prosegui.

Prot. Mi fondavo ancora su questo passo: « Abramo non ci conosce, e Israel non sa chi noi siamo. » ((Isai. XLIII, 16-17) Dal che conclùdevo che i Santi non conoscono le nostre preghiere, nulla sanno dei nostri bisogni. Ma ora ho conosciuto che « Altro non significano queste parole, se non che Dio è detto padre degli Ebrei con molto più di ragione che Abramo e Giacobbe. » Insomma, convengo adesso con voi, e colla Cattolica Chiesa, e per imitarvi, vi soddisfarò anch’io punto per punto.

Ascoltatemi….

IL MESSIA GIUDAICO (3)

Roger Gougenot des Mousseaux

– IL GIUDEO, Il giudaismo e la giudaizzazione
dei popoli cristiani –

2e édition
Paris: F. Wattelier, 1886

CAPITOLO DODICI. (3)

SECONDA DIVISIONE. –

IL MESSIA GIUDAICO, SEGUITO, REALTA’ E CONGETTURE.

L’attesa di un Messia, il futuro sovrano dei popoli, è l’attesa del « nucleo indistruttibile della nazione ». Alcune opinioni dissenzienti tra i riformatori, ma un evento li avrebbe riuniti ai credenti. – Se qualche seduttore pretendesse di essere il Messia, i  Giudei si schiererebbero con lui o con gli Stati che li hanno resi cittadini? – C’è una relazione evidente tra il Messia che il giudeo attende e l’uomo che il Cristiano chiama Anticristo. – Tutto si sta preparando per la grande unità cosmopolita di cui quest’uomo deve essere l’espressione – Quando l’opera di scristianizzazione del mondo sarà completata, il mondo non potrà accettare come suo padrone un fascinatore di razza giudaica? – Esempi di dominatori respinti, e poi accettati all’unanimità. – Esempi di uomini saliti improvvisamente dal nulla all’apice in tempi di disordini. – Dal treno a vapore con cui vanno le idee e le cose, come stupirsi che dal seno di Giuda sorga uno che realizzi le idee di sovranità cosmopolita di cui i Giudei sono gli apostoli? – Non ci sarà qualche Mosè a capo di qualche formidabile esodo? – I Giudei non possono almeno diventare le forze secondarie e ausiliarie di qualche conquistatore? – Esempi delle risorse che Israele sa accumulare su un unico punto; possibilità, strutture. – Uno sguardo al futuro dall’alto della storia.

L’attesa del Messia è dunque, ancora oggi l’attesa di Israele! E nonostante la singolare e prodigiosa battuta d’arresto, nonostante il crollo delle credenze talmudiche da questa parte dell’Occidente dopo venti secoli di incrollabile resistenza, una fede viva in questo immenso personaggio rimane il perno, il punto essenziale ed indistruttibile. Ma questo Messia sarà un semplice mortale? Sarà un uomo o un Dio-uomo? Tale è la questione controversa tra i credenti, perché ognuno oggi si fa un Messia e lo veste a suo piacimento. Infine, umanamente parlando, l’avvento di questo futuro dominatore dei popoli è un fatto accettabile che il mondo poss vedere senza vedersi in preda ad un accesso di risate? La grande maggioranza, il vero nucleo della razza giudaica, continua, come abbiamo detto, a vedere in lui l’uomo su cui si concentrano i desideri e le aspettative dei secoli. Quanto alla minoranza meno credente, per la quale un’era gloriosa o messianica avrebbe un significato di “Messia”, il minimo evento basterebbe a confortare la loro fede debole o zoppicante e a ricostruirla sul modello della legge dei loro padri. Se, per esempio, la fama di un uomo straordinario risuonasse nel mondo, i credenti ortodossi, abbagliati o sedotti, griderebbero: Ecco l’uomo d’Israele, colui che Israele stava aspettando; ecco il Messia! Ebbene, a questo grido religioso e tutto nazionale, quasi tutta la minoranza si riunirebbe al grande numero, e quest’uomo diventerebbe per essa il Messia. Israele potrebbe sbagliarsi, cosa che – come la storia testimonia – ha fatto venti volte nel corso dei secoli, ma questo non gli impedirebbe di essere pronto ad ingannarsi di nuovo. Di fronte a questa certezza, la domanda che possiamo ora porre è la seguente: ogni giudeo, presso qualsiasi popolo che gli offre il diritto di cittadinanza, è o non membro di due nazioni allo stesso tempo, in qualsiasi popolo che gli dia diritto di cittadinanza? Infatti nessun uomo può servire a due padroni. È questi un membro della nazione giudaica, in primo luogo per sangue e soprattutto per culto, con il quale questa nazionalità si confonde; ed è pure un membro della nazione francese se, a causa della nostra legislazione, afferma di essere francese? E in questo caso, è più francese che giudeo o più giudeo che francese? Cosa sarebbe, cosa farebbe, per esempio, se qualche agitatore, se qualche conquistatore, innalzando lo stendardo del Messia e la sua fronte coronata dall’aureola che nel giorno glorioso della vittoria si getterebbe su di essa, si proponesse come il desiderato di Israele? E quello che si chiede al giudeo francese, lo chiediamo a qualsiasi altro! Infine, se egli è un seduttore al quale le profezie della Chiesa hanno dato il nome di Anticristo; se i Cristiani credono che questo avventuriero inizierà il corso delle sue seduzioni dai Giudei, perché si dice che Israele deve mostrare venire da lui il suo Messia, non è peccare contro il senso comune non ritenere insensato il giudeo che si illude del suo futuro predominio sul Cristiano? – Cerchiamo solo le cose nelle parole, e poi, sia che ci mettiamo dal punto di vista puramente umano, sia che ci mettiamo con entrambi i piedi sul terreno delle profezie, che fanno parte dei tesori della scienza della Chiesa, vedremo le relazioni più intime che legano l’uno all’altro, o piuttosto che portano a fondere in uno, la credenza del giudeo nel suo Messia e quella del Cristiano nell’uomo che col suo linguaggio chiama Anticristo. Infatti, se le Sacre Scritture non sono agli occhi del Cristiano una sciocchezza assurda e superata; se appena rimane in lui questa credenza indispensabile alla civilizzazione delle società umane: che la Chiesa cioè non possa né mentire né ingannarsi; se pensiamo che l’Anticristo, non più che il Messia, non sia una favola, un mito, un simbolo; ricordiamoci che il suo regno, terribile e fecondo di rivoluzioni inaudite, di prodigi di ogni genere, è una realtà futura, il che equivale a dire che è un fatto necessariamente in via di formazione, in procinto di arrivare a noi per le vie che gli eventi costruiscono giorno per giorno. Ma guardiamoci, al tempo stesso, dal dimenticare che questo personaggio è un dominatore così simile a quello che i Giudei stanno aspettando, (… unificazione dei popoli, etc, realizzazione parziale del socialismo …) che sarà difficile, praticamente impossibile – per questi ciechi – non essere ingannati da lui; perché egli porta in sé la riunione, la sintesi perfetta di tutte le aspirazioni anticattoliche che diciotto secoli di Giudaismo attribuiscono al futuro liberatore di Giuda. Ricordiamoci, inoltre, che potrebbe non esserci un intervallo di tempo molto lungo tra l’apparizione di questo personaggio e l’epoca in cui la nostra vita si sta svolgendo. E già, se accettiamo di considerare il futuro, tutto sembra prepararsi per il suo insediamento, o meglio per il suo passaggio. – E davanti ai nostri occhi, da un capo all’altro della terra, il mondo politico, il mondo economico e commerciale, guidati o trascinati dalle società del mondo occulto, di cui i Giudei sono i prìncipi, hanno cominciato a suscitare da tutte le parti con instancabile ardore la grande unità cosmopolita (« La nostra politica sarà essenzialmente universale, cosmopolita, ecc. » (Sic.) Archivi israeliti, nº 1, p. 8, gennaio 1869). Così si chiama, nel linguaggio dell’epoca, il sistema dal quale emergerebbe l’abolizione di tutte le frontiere, di tutte le patrie, o, se si vuole, la sostituzione della patria particolare di ogni popolo con una grande ed universale patria che sarebbe quella di tutti gli uomini. Ora, questa unità, che richiede un capo, non prepara forse, mentre si forma, l’avvento prodigioso di un dominatore unico e supremo nel quale i Giudei potrebbero vedere il Messia e allo stesso tempo, i Cristiani riconoscervi l’Anticristo? – Quando il Cristianesimo, gradualmente e metodicamente espulso dal governo e dall’educazione dei popoli, e da allora in poi rifiutato dalla crescente licenziosità dei costumi, dagli appetiti di una feroce ambizione e di una sfrenata avidità, vedendosi ovunque proscritto, vituperato e vilipeso, non sarà più che un oggetto di disprezzo e di odio in mezzo alle masse che esso aveva civilizzato (« Quando il Figlio dell’uomo verrà, pensate che troverà la fede sulla terra? » – San Luca, cap. XVIII, v. 8.) Pensiamo che questo dominatore di popoli, che questo conquistatore di menti deformate e di cuori corrotti, che questo supremo fascinatore il cui desiderio sarà il desiderio della razza umana, non possa appartenere alla razza giudaica? L’ostacolo potrebbe allora essere un residuo di quei sentimenti cristiani che sono diventati un pregiudizio odioso per gli uomini attuali, e di cui il nostro secolo si sta già preoccupando e gloriando di dissipare le vestigia? Se, in molte delle circostanze che l’imprevisto fece sorgere con l’onnipotenza delle rivoluzioni moderne e la vivacità di un’ultima istanza, abbiamo visto con i nostri occhi un uomo abbandonato, come deve essere dapprima l’Anticristo, se non respinto dal popolo al quale si è offerto come salvatore sequestrato dalla forza pubblica, condannato senza che un’anima si muovesse, imprigionato, graziato, ricatturato dopo un nuovo tentativo e condannato, poi dimenticato di nuovo, divenire improvvisamente, perché l’umore politico era cambiato, l’uomo del momento, agitare, rovesciare gli spiriti in suo favore, piegare sotto milioni di suffragi gli indifferenti e i nemici della vigilia, come si può negare, indipendentemente dal linguaggio profetico delle Scritture della Chiesa, che in circostanze preparate da molto tempo, egli sarà il padrone delle volontà, della vita e delle forze di un popolo? che, in circostanze lungamente preparate dai rivoluzionari del mondo, un uomo solo, uno di quei corifei delle rivoluzioni che affascinano e portano via le moltitudini, possa, in un istante, trovarsi sulle labbra, nelle volontà e alla testa del popolo, desideroso di volgere le meravigliose capacità della sua persona alla meta finale delle loro aspirazioni?  Quando i giorni malvagi del secolo scorso scomparvero, per lasciare il posto al secolo che occupiamo ora, non abbiamo forse visto uomini che erano usciti dalla profonda oscurità alzare orgogliosamente la testa sotto le piume del tocco direttoriale, drappeggiarsi nelle pieghe della toga consolare, e a cui mancava solo l’audacia e il genio per salire al pinnacolo, per prendere e appropriarsi, tra gli applausi della folla, le insegne del potere supremo? Non abbiamo forse visto, mentre il torrente delle idee e delle passioni rivoluzionarie ruggiva, un uomo di prodigi, un soldato, emergere dalle profondità della Corsica (la Corsica non sarebbe stata allora dichiarata francese, che chiede, in tempi di tumulto, all’uomo la cui mano afferra vigorosamente il timone, il suo certificato di nascita?) sotto il cui sguardo il mondo taceva, sotto la cui mano popoli e re si umiliavano? Non l’abbiamo forse visto portato sui baluardi dal popolo più generoso della terra? Non abbiamo visto i suoi luogotenenti coprire, senza stupire il mondo, o tentare di coprire le sue spalle con il manto dei re? Non abbiamo visto il figlio di un locandiere, il seminarista, l’intrepido, il leggendario Murat, seguito da vicino dal suo compagno Bernadotte, un povero figlio di Guascogna, fare ognuno sede di un trono della sella del loro cavallo? (Questo è ciò che dice il primo ministro della Gran Bretagna, egli stesso giudeo di origine. Il maresciallo Soult pensava di essere in procinto di salire sul trono del Portogallo, dal quale forse sognava di fare la scalata del trono iberico). Il maresciallo Soult non si vide forse nel momento di dare alla sua valorosa spada la forma di uno scettro?  E chi si sarebbe sorpreso se lo stesso desiderio avesse attraversato il cuore del giudeo   Masséna? Questo figlio prediletto della vittoria: era forse impari al suo fratello d’armi e di razza in ciò che non fosse stato altro che ambizione? – Ebbene, che le circostanze tornino a essere quelle di allora; che la fortuna politica abbia nuovi e più irresistibili sorrisi di nuovi volti; che sorga un sofista di grande abilità, uno di quei corifei delle rivoluzioni il cui fiato fanatizza i popoli, uno di quei retori e capitani valorosi per i quali il soldato si appassiona, e che, forse all’insaputa del pubblico, così come Soult e Masséna, si scoprisse essere uno della progenie fuorviata della razza giudaica; emerga uno di quegli abili e gloriosi sconosciuti i cui fratelli di sangue saprebbero tanto bene come conciliare quanto come sostenere, e soprattutto in un momento in cui le leggi della civiltà rivoluzionaria hanno fatto di ogni cittadino e di conseguenza di ogni giudeo un soldato; che quest’uomo aggiunga l’audacia ai servigi e chi di noi, dopo gli spettacoli di cui il nostro secolo ha saziato i nostri occhi, non immaginerà che non possa cadere tutto ad un tratto un diadema imperiale, e abbattersi sulla fronte di questo nuovo arrivato? Chi ci dirà a quale altezza quest’uomo ambizioso non possa salire, calpestando le macerie dei troni infranti dalle rivoluzioni e dalle battaglie? E chi penserà che questo nuovo imperatore di una repubblica universale ed egualitaria, ampliando la terribile via seguita un tempo dagli imperatori della repubblica romana, non possa inaugurare una nuova era cesariana! Chi si stupirebbe, in una parola, di vederlo dettare le sue leggi al mondo, le cui redini finanziarie sono maneggiate e non cesseranno di esserlo dalle mani di Israele, in procinto di diventare da un capo all’altro della terra quello che è in Germania, cioè il distributore ed il regolatore delle sole idee che il pubblico liberale e letterato favorisce ed acclama! Gli uomini eminenti del Giudaismo non sono forse già degli uomini adulati, ricercati, corteggiati?  E non sono già i consigli elettorali d’Inghilterra o di Francia, con il suffragio d’élite, cioè il suffragio ristretto, e con il suffragio confuso delle masse, cioè il cosiddetto universale, esitanti nell’elevarli sul pinnacolo? E non sono già i loro banchieri, i loro finanzieri, la maggior parte dei quali sono veri uomini di stato, i banchieri e talvolta i ministri dei principi, i finanzieri dei regni, i capi ed i dominatori di tutte le imprese industriali, di tutte le grandi e colossali società d’Europa, gli arbitri, in una parola della pace e della guerra, con cui gli eletti alla vittoria, le più alte teste coronate o le repubbliche più orgogliose devono contare, e molto più di quanto il volgo supponga?

(Il Petit Figaro ci dice il 12 aprile 1869, che secondo il Réveil, un giornale socialista, è vero che: « Gli eredi di M. de Rothschild conoscono finalmente la cifra esatta della fortuna del famoso finanziere; la somma totale è di un miliardo e settecento milioni. » – « Con i suoi fratelli egli prestava a tutto il mondo, e comandava, borsa alla mano, a tutti i sovrani. » Le Monde”, 18 novembre 1868. La fortuna di questa famiglia può aumentare a dismisura con operazioni, matrimoni, ed essere associata ad altre fortune giudaiche!… Vedi la nota al cap. X, div. 2, su M. de Rothschild). – – In verità, in mezzo a questi innumerevoli parvenus della nazione giudaica; in mezzo a questi uomini di cui l’Europa fa i suoi consiglieri e giudici, i suoi legislatori e capi dell’esercito, perché non dovrebbe un giorno, nel momento di una crisi suprema, incontrare un uomo che i popoli, unendosi, renderebbero depositario del potere universale? E che questo potere si chiami presidenza o regalità, protettorato, cesarismo o impero, la parola muterebbe nei fatti la cosa?

[L’emancipazione del giudeo ha prodotto gli effetti che ci si aspettava; « essa ha permesso a questo popolo di entrare in ogni carriera. Esso avuto ministri notevoli, finanzieri eminenti, grandi oratori, distinti militari, abili ingegneri, profondi giureconsulti, grandi artisti; in una parola, hanno tutto ciò che è necessario per formare un ambiente indipendente e per governarsi. » – Aggiungiamo: e per governare altri oltre che se stesso … -. Amédée Nicolas, Conjectures sur les âges de l’Eglise, p. 372; Paris, 1858]. – Perché dunque stupirsi, se i nostri occhi sono rivolti verso i punti dell’avvenire che minacciano tutta l’Europa di sconvolgimenti radicali, che dal sangue di Giacobbe appaia improvvisamente in una luce inattesa il dominatore che realizzerebbe le dottrine cosmopolite di cui Israele è l’apostolo, e di cui il liberalismo non è che l’eco? Dove dunque, in verità – poiché le nazioni docili alla sua voce tendono a unirsi, a fondersi in un solo popolo – dove possiamo trovare un uomo più adatto del giudeo alla nuova posizione, più intimo con l’universalità degli interessi e delle cose di cui è quasi ovunque l’artefice, più cosmopolita, e ripetiamo questo termine, poiché Israele è il solo uomo che può essere, grazie al privilegio della sua costituzione fisica, e che è da tempo immemorabile, per il fatto stesso della dispersione, cittadino dell’intero pianeta? (Vedi capitolo sulle influenze). Quale uomo, da qualunque punto di vista ci si ponga, avrebbe più giuste e legittime possibilità del giudeo di essere accettato in mezzo a popolazioni che sono mosse, turbate, confuse, pressate, spinte da guerre o sconvolgimenti le une contro le altre; popolazioni che, addestrate a maledire Cristo e la legge civilizzatrice della devozione, non sanno che già a malapena apprezzare altri beni che i beni se non quelli della terra, ed i cui appetiti furiosi si rivolgono, come verso una meta finale, dal lato delle ricchezze, per la cui moltiplicazione il genio del giudeo sembra essere stato creato apposta. In questo dato momento, come non ammettere che la razza giudaica tiri fuori dal suo seno qualche Giuseppe dotato dei doni necessari all’organizzazione e al governo di qualche colossale Egitto? … un qualche Mosè suscitato per organizzare, per dirigere verso la terra dei patriarchi? (Vedi tutti i suoi tentativi, tutti i suoi preparativi per assicurare il suo ritorno. Leggete tutti i suoi diari: – per esempio, Archives israélites, Univers israélite, ecc. ecc.) … qualche esodo formidabile, per distruggere l’orgoglio di qualche faraone? Come, almeno, non pensare che al di sopra di questi figli di Giacobbe, si possa incontrare, se li releghiamo ad un ruolo secondario, un grande politico, un uomo ambizioso, un genio abbastanza forte, grazie al supporto delle mobili e prodigiose risorse d’Israele, per governare le folle chiamate a recitare sotto i suoi ordini l’ultimo atto delle rivoluzioni ed impadronirsi del ruolo supremo? Ma, se non può  rassegnarsi ad essere solo il secondo di quel quel genio ambizioso la cui stella farebbe brillare ai suoi occhi il trionfo che la sua segreta ed terribile ambizione sogna, dove incontrerebbe allora Giuda quella leva di Archimede capace di sollevare il mondo? Dove mai sortirebbe la popolazione giudaica necessaria per questo esodo trionfale, per questa conquista del potere universale, per l’esercizio di questo prodigioso dominio che i popoli conquistati o sedotti devono subire e accettare? Non possiamo dirlo, e tuttavia risponderemmo senza il minimo imbarazzo: sarà ovunque; ed inoltre, se sarà necessario, sarà in un luogo determinato, un qualsiasi luogo! Sarà ovunque, perché è lì che abita il giudeo, questo popolo il cui flusso mobile e cosmopolita si diffonde, come per una pendenza naturale, in tutte le pieghe di questo pianeta. Oppure sarà in un certo luogo, se le attività delle sette rivoluzionarie e di certi agglomerati giudaici vi hanno preparato, in Europa o altrove, la sorpresa di questi eventi. E il loro arrivo può essere rapido, perché già ai nostri giorni, cioè nei primi giorni dell’era del progresso materiale, uno sbuffo di vapore è sufficiente, per terra o per mare, per trasportare moltitudini immense. Già, grazie all’apparente capriccio del caso, o grazie ai calcoli del genio, un intero popolo di Giudei si trova, come se fosse l’esecuzione di un piano a lungo desiderato, agglomerato in uno Stato che porta un nome ritornato moderno, il nome della Romania, il paese che Israele e i suoi avversari hanno chiamato con labbro unico la nuova Palestina. Ora, non dimentichiamolo: L’angolo di terra che il Danubio bagna, vicino ad annegare nel Mar Nero, e sul quale il nostro sguardo era appena fissato, ospita e condensa una forza che in pochi brevi anni è passata da venticinque a quasi cinquecentomila anime, una cifra che ci sembrerebbe enorme se i nostri occhi non la vedessero crescere e prestarsi ad uno sviluppo tanto rapido quanto mostruoso; se, inoltre, a poche ore da questa potente e crescente popolazione, la Russia, la Polonia, l’Ungheria e l’Austria la nutrono con sciami di questi figli di Giacobbe, la cui fecondità è confermata da un improvviso ed inspiegabile risveglio. (la sola Germania ne ha 1.250.000, l’Europa 3.238.000, ecc. – Geografia e statistica medica, ut supra, vol. II, pp. 132-135; 1857. –  Il nuovo Fremdemblatt ci dice, nell’aprile 1869, che l’Ungheria, ai confini della Romania, conta 500,000 Giudei). – Riassumiamo, quindi, e chiediamoci: Questa nazione universale, aiutata da tutto ciò che il nostro mondo contiene e produce di scontenti e di miscredenti; aiutata da tutto ciò che si chiama e si crede filosofo; aiutata da tutti gli uomini di ingenua filantropia; da tutti i sognatori privi di un credo definito, o la cui ignoranza non prende per guida che un cattolicesimo sentimentale; aiutata dall’associazione latente della massoneria universale, di cui i principali direttori del giudaismo sono l’anima e la vita; aiutata dall’associazione patente dell’Alliance Israélite Universelle, che raccoglie e salda al suo corpo gli elementi disintegrati di tutti i culti; non è questa nazione, noi diciamo, sulla via di diventare la prima forza del mondo? Padrona della stampa e dell’educazione; padrona dell’oro e dell’industria nella maggior parte dei regni; padrona del vapore che dà le ali ad intere nazioni formate in corpi d’armata (Prussia a Sadowa; primo tentativo, che sarà ben superato.), e li vomita su un punto dello spazio,  con meno sforzo che qualche anno fa una diligenza impiegava nel trasportare qualche famiglia borghese da una città all’altra vicina; in una parola, reclutando tutte le forze vive dei popoli, questa nazione potrebbe lasciar cadere come dal cielo, senza alcun  serio problema, un bel giorno, uno sciame di popolazione su un dato punto dell’Europa: Sulla Palestina, se questo è il suo scopo; su quella terra desolata, immersa in un lutto ineffabile da quando è rimasta vedova di Israele, e che vedremmo così prontamente restaurata, riprendere i suoi sorrisi e la sua gioia se, ancora una volta, si aprirà al popolo opulento e industrioso che un tempo fecondava il suo seno? Il giorno in cui piacesse a Israele approfittare di una delle grandi crisi che la politica rivoluzionaria sta preparando per il mondo, per effettuare questo rimpatrio, con quanta facilità le legioni ed i milioni di Giudei si lascerebbero trasbordare verso la Terra Santa! E lasciamo che il lettore, che è stato messo sulla strada per convincersi con il proprio ragionamento, ci permetta di fare un’ipotesi in cui includeremo come elementi solo i fatti resi possibili dallo stato attuale e dal corso delle menti e delle cose. Noi non supponiamo, per esempio, una di quelle crisi in cui conviene, per un ministro come il defunto M. de Cavour, cominciare in sordina, e riunire alla sua politica gli avventurieri malsani degli Stati vicini, per gettarli su questi e quelli territori limitrofi, oggetto della sua cupidigia; non ipotizziamo nemmeno una di quelle crisi maggiori per cui si tratta, per un ministro come M. de Bismark, di distruggere una sola ed unica potenza, sollevando contro di essa i suoi vicini ed i suoi stessi sudditi; queste due supposizioni, infatti, sarebbero troppo meschine; ma ammettiamo una di quelle terribili, immense crisi, uno di quei tormentoni europei la cui la fermentazione che comincia in tutti i popoli, fa presagire che coinvolga il mondo intero, e che, improvvisamente scatenata, precipita e schiaccia i regni gli uni contro gli altri. (Una mescolanza, per esempio, delle questioni dell’Oriente e dell’Europa, su cui l’America e parte dell’Asia interferiscono, trascinate dalla Russia e dall’Inghilterra, ecc, ecc.). La nostra ipotesi è ben stabilita, ben compresa … ci siamo! Tutto è in agitazione e si solleva; un terribile rumore di rovine risuona, perché vengono portati i primi colpi. Ma per un momento la mischia cessa; ci fermiamo, ci raccogliamo, la stanchezza e la vertigine danno una parvenza di calma: una calma sinistra durante la quale i cuori si preparano a riprendere il gioco finché non emerga un vincitore, finché non si compia la frantumazione finale di mezzo continente…. Un grido esce in quel momento e si ripete di bocca in bocca: i Giudei! I Giudei stanno entrando nella mischia! Ecco, ecco, i Giudei si muovono e appaiono, emergendo improvvisamente dal seno delle nazioni straniere, e prendendo forma come corpo di una nazione. Un favore crescente li accoglie, perché sappiamo che i Giudei, in mezzo a quelle folle i cui colpi sono sospesi, contano su nomerosi amici interessati e calorosi. Contano su quelli che le società segrete si sono arruolati in tutte le tenebre e nei conciliaboli dei due mondi; e noi sappiamo, da un secolo, quale fu nelle grandi guerre la terribile azione di queste società (si legga il protestante Eckert, l’Abbé Gyr, ecc.); essi contano su tutto ciò che maledice con essi Cristo, tutto ciò che sogna con essi lo sconvolgimento delle istituzioni e delle società cristiane; infine, essi contano, volenti o nolenti, su tutto ciò che soffre del male della cupidigia e dell’invidia; tutto ciò che si nutre di sogni malsani e di utopie demagogiche; tutto ciò che fermenta nel mondo delle idee false e dei sentimenti viziosi! – Loro? i Giudei, arrivare? è un sogno! Dove allora? – Un sogno? Vedremo. Guardate, il telegrafo, infatti, ha dato i suoi ordini ed il vapore sbuffa. Alcuni, là, favoriti dalle popolazioni o dai partiti, arrivano col passo delle valanghe, dopo essersi condensati in certe regioni della terra, dove, come nelle vicinanze delle rive del Danubio, le speranze con cui il futuro li lusinga si sono accumulati a centinaia di migliaia. Dal nord e dall’est, dall’ovest e dal sud, nei campi di battaglia della guerra e della politica, ecco arrivare, ecco cadere truppe rigonfie, e come la locusta del deserto, i Giudei di ogni lingua, gli arbitri improvvisati del mondo! … Questi nuovi arrivati, queste persone inaspettate, sono gli alleati dei russi, degli inglesi o di qualsiasi altro? Non lo sappiamo…. Ma volgi i tuoi occhi al mare, e in quelle navi cullate dalle onde, non vedete di nuovo nuove reclute? Su queste potenti navi? – Sì. – Su queste immense flotte? – Sì. I primi stanno salpando dai porti d’America; sono carichi di ausiliari e stipendiati. I porti di questo e quello stato in Europa hanno lasciato scappare gli altri. Equipaggiate dai Giudei, queste città galleggianti avanzano cariche dei loro emigranti raccolti su questa e quella costa, e come il gregge ramassato dei garibaldini dell’epoca, felici di militare al soldo d’Israele e di troncare un attacco della loro febbre cosmopolita abbandonandosi a qualche crociata disperata contro la Croce, con cui qualche popolo si segna ancora! – [La storia delle conquiste del tartaro Alessandro, di Tamerlano, assomiglia ad un racconto orientale. Ricordando ciò che il mondo ha visto, pensiamo a ciò che può vedere oggi che gli eventi non marciano più, ma saltano e coprono la terra come torrenti. Una campagna di quindici giorni ha appena trasformato l’Europa centrale; e, in un colpo solo, l’impero austriaco si è frantumato come un vetro, grazie ad indecisioni e viltà, grazie ai tradimenti orchestrati dalle società occulte di tutta l’Europa, e nonostante la forza, nonostante l’eroico coraggio dei suoi eserciti. Da quel sinistro e meraviglioso giorno, ed era ieri, quali nuovi, quali spaventosi progressi sono stati fatti nell’arte di distruggere e domare gli uomini! Abbiamo evitato di basarci sulle antiche profezie della Chiesa, che esamineremo in un altro lavoro, ed i cui testi annunciano in termini positivi i grandiosi eventi che ci sembrano in via di realizzazione. A maggior ragione lasciamo da parte le profezie di ogni origine che, soprattutto ai nostri giorni, tormentano il mondo. Il nostro unico scopo, sotto l’impero tirannico e atroce della politica dei fatti compiuti, che risale alla rovina del diritto cristiano; in altre parole, il nostro unico scopo, sotto il regno mobile dell’imprevisto, che oggi desola i popoli strappati al terreno fisso e solido della fede cristiana, è quello di far apparire, ad occhi sani e limpidi, un angolo del quadro vivente in cui si scontrano e cercano di muoversi gli eventi che qualsiasi osservatore può giudicare possibili. La maggior parte di essi sono contenuti in tre volumi del 1861, 1862 e 1863, che abbiamo riportato dal Piemonte: I futuri destini, – Commenti alle predizioni, ecc. – e Il Vaticinatore, Torino, Martinengo. – Una collezione francese, l’oracolo di M. H. Dujardin, aveva preceduto queste opere; Parigi, 1840, Camus] – Gli occhi degli uomini si volgono verso il grandioso teatro degli eventi; e alcuni tremano di indignazione impotente, mentre altri battono le mani. Poi, pacificamente o meno, le successive spedizioni di Israele si uniscono agli eserciti dei popoli che si uniscono per dare al mondo il suo padrone, e le sue flotte cadono sulla costa semiabbandonata della Palestina, dove, viaggio dopo viaggio, gettano i loro sciami trionfanti. Dimenticando che in tempi di disordini e vertigini rivoluzionarie le concezioni più strane si rivelano talvolta le più fattibili, si sorride all’ipotesi. Si sorride, si alzano le spalle; un modo facile e banale di decidere questioni difficili! Eppure, per sorridere, bisogna aver perso la memoria dei fatti a cui si è appena assistito; non bisogna voler ricordare che solo ieri una delle nazioni più potenti del mondo, la prima potenza marittima della terra, tremava davanti a un fantasma certamente meno formidabile di quello del Giudaismo; un fantasma che, sorgendo davanti all’Inghilterra, minacciava ogni giorno di prendere forma e privava del sonno i suoi statisti ed i suoi marinai. Sì, era ieri; e come dimenticare che, da un capo all’altro delle sue coste, l’Impero Britannico, aspettandosi e temendo valanghe di navi ostili, rivolgeva i suoi occhiali al mare, dove il vento che soffiava dalla parte dell’Unione si accontentava questa volta di portare minacce! Queste bande avventurose e improvvisate, conosciute come Feniani, non furono in un attimo il terrore dell’Inghilterra? Non fu forse che in un batter d’occhio, assurdo come era stato dichiarato il giorno prima, l’Inghilterra tremò davanti a loro? Se, lasciando da parte le sacre profezie, che darebbero al Cristiano una vittoria troppo facile, ci limitiamo a seguire con i nostri occhi il corso attuale degli eventi, il progresso delle dottrine, delle influenze e delle forze giudaiche non ci si mostra, scendendo su di noi dalle altezze del futuro, un nuovo tipo di feniani che, o dalla Romania, o da questo o quel punto del pianeta, il Giudaismo avrà tratto dal suo sangue? E, prima o poi, cosa si può dire a queste parole, a questo grido: Eccoli, lanciati dal vapore nei loro carri da guerra, o su navi armate con i loro milioni, coperte dai loro soldati, e accanto ai quali si dovranno senza dubbio contare le flotte e gli eserciti di qualche coalizione di potenze. Un grande spettacolo che, in questa forma o in un’altra, non importa quale, si compirà un giorno, con immensa sorpresa di coloro che la natura delle loro menti e la forza dei loro studi preparano così fortemente a non vedere nulla. – I Giudei, i Giudei! sarà gridato quasi improvvisamente da tutte le parti, in una delle grandiose crisi in cui i popoli gettati insieme, scagliati gli uni contro gli altri, si mescolano come corpi schiacciati. E i Giudei avanzano! Non hanno appena messo a capo uno dei loro? O almeno non hanno appena acclamato, senza chiedergli qual è il suo sangue, un conquistatore, un uomo dotato del genio dell’inganno politico, un sinistro fascinatore attorno al quale si affollano moltitudini fanatiche? Tutti insieme prendono a chiamarlo il Messia; ascoltiamo, ascoltiamo! Tutti insieme lo chiamano freneticamente il salvatore, la gloria, la pace e la gioia del mondo. Trasportato dalla corrente di questa forza militante, appare lo strano trionfatore, e queste grida lo precedono: Gloria e felicità alla terra liberata! Eccolo finalmente, il vero Messia; colui che maledice e scaccia ignominiosamente il Cristo, austero ed oscuro nemico dell’uomo; colui che schiaccia l’infame, colui che ne purifica il mondo. Egli è l’apostolo ed il principe della fratellanza universale; la sua santa missione è quella di unire gli uomini, di unificare i popoli e di colmarli dei beni della terra. La sua legge suprema è il godimento di tutti i beni ed i piaceri, che è stata ignorata ed oltraggiata fino ad oggi da tutti gli ingannatori e ipocondriaci che, sotto il segno detestabile della croce e sotto il bastone dei Vescovi, docili al governo della tiara, hanno tiranneggiato la terra! Per un momento stupito, il mondo si arresta, esita; poi, da tutte le parti, i popoli, in armi e semidistrutti, gridano: A noi, a noi il Messia dei Giudei; che viva e che regni! Abbiamo la pace e la gioia di cui egli riempie gli uomini, e che tutte le nazioni della terra siano una sola nazione sotto il suo scettro. Egli è il re dei re. Felici ed orgogliosi di essere suoi luogotenenti, che i nostri governanti di tutte le date siano umiliati sotto la forza del suo braccio. Che sia il nostro monarca, il nostro padre; no, che sia il nostro Dio! Popoli, inginocchiamoci e crediamo alla sua parola: che l’umanità, l’unico vero Dio della terra, adori in questo rappresentante il più mirabile e divino di tutti gli uomini! Ma a cosa serve questo quadro di fantasia, in cui, evitando ogni intervento soprannaturale, ed ogni impossibilità politica, si noterà la cura che abbiamo avuto nel riunire certi tratti che le tradizioni dei popoli attribuiscono ai giorni tormentati dell’Anticristo? A cosa servono questi elementi che la nostra penna sembra dare come per anticipazione la forma definitiva della storia? Perché se è inequivocabile per l’osservatore che vuole porsi al di fuori di ogni profezia che qualcosa di nuovo, incredibilmente immenso, si sta preparando, sta fermentando nel mondo, e viene persino annunciato a favore della nazione giudea da precursori, non è affatto men certo, quando si tratta di rivoluzioni il cui ardore a lungo represso minaccia di rovesciare il mondo, che l’evento atteso sotto un aspetto, ama presentarsene sotto un altro, ed entra in scena solo attraverso una delle porte i cui battenti sembravano rifiutare di aprirsi. A cosa serve questo quadro, ripetiamo, se non a notare che, nel mondo rivoluzionario appena nato, gli eventi indicati, lungi dall’avere il minimo carattere di impossibilità, sono possibili da tutti i punti di vista, e sono possibili in mille modi! (Attenti come eravamo a prendere in considerazione, in termini di elementi storici solo realtà palpabili, non ci siamo preoccupati che dei Giudei, ed abbiam o omesso, nella costruzione della nostra ipotesi l’intervento delle dieci tribù d’Israele nella costruzione della nostra ipotesi. Alcuni uomini seri e dotti sostengono, e noi non lo ignoriamo affatto, che il nucleo di queste dieci tribù, relegato in una delle oasi interne dell’Africa, forma lì il nucleo della dell’Africa, forma un popolo a parte, pronto a venire, un bel giorno, e con un nuovo esodo, a gettare un peso inaspettato nella bilancia degli eventi …..) – Ed è in vista delle possibilità di questo futuro che, pur mantenendo per i Giudei i sentimenti di sincera fraternità che l’uomo civilizzato deve ad ogni altro uomo, noi provochiamo chiunque si degni di iniziarsi alle cose e alla persone di questo mondo, a formarsi l’idea di un ruolo immenso e improvviso che potrebbe svolgere in questo mondo il più tenace e scaltro, il più anticristiano e il più cosmopolita dei popoli, quello che, presente in ogni paese, non cessa di essere cittadino di una nazione straniera; colui che con un  tratto do telegrafo può, in un istante, agglomerare su uno stesso punto flotte ammassate; in una parola, colui che tiene nelle sue mani il prezzo di tutte le cose, e, se la storia moderna non ci inganna, colui che tiene più o meno il prezzo di tutti gli uomini, il segno di ogni potere e di ogni godimento, il talismano universale, il re dei metalli e degli imperi decristianizzati: l’oro.

IL MESSIA GIUDAICO (1)

LA SITUAZIONE (6)

LA SITUAZIONE (6):

DOLORI, PERICOLI, DOVERI E CONSOLAZIONI DEI CATTOLICI DEI TEMPI PRESENTI

OPERA DI MONSIGNORE G. G. GAUME PROTONOTARIO APOSTOLICO

Custos, quid nocte?

Sentinella: che è della notte?

ROMA tipografia Tiberina – 1861

PERICOLI

Lettera Sesta.

Caro Amico.

Nel dipingere il quadro della situazione presente, io ho toccato dei dolori dei Cattolici. E di fatto dopo il Calvario, ne conoscete voi di più legittimi e pungenti? Mirate all’Oriente: che cosa vi è dato di vedere? La Cocincina, cinquecentomila Cattolici, inseguiti da tre anni come bestie feroci, e fatti preda a tutti gli orrori della fame, delle prigioni, e delle torture. In Siria, vera carneficina di Cristiani; tale massacro, che per numero di vittime, raffinamento di crudeltà, durata ed estensione di sterminio, si distingue da tutti gli altri. Volgete i vostri sguardi all’Occidente: che spettacolo! – Il regno del demonio che si allarga con rapidità inaudita; un mondo che si dice cristiano, levatosi contro Dio e contro, il suo Cristo, in tutti i tuoni ed in tutte le lingueprorompe in insulti e bestemmie, pigliando a giuoco egualmente la loro autorità, le loro promesse, le loro minacce. Tutta una famiglia di popoli battezzati che calunnia la migliore delle madri, cui senza modo oltraggia; anzi la spoglia, la caccia in bando dal suo ultimo asilo, guerreggiandola con più accanimento che non faccia ai Turchi sterminatori dei loro fratelli. – I principii più sacri del diritto pubblico calpestati con un cinismo fin qui senza esempio;  la libertà umana, prezzo di un sangue divino, tradita, crocifissa; la proprietà, la famiglia scosse dalle loro fondamenta; l’ipocrisia di Giuda, la viltà di Pilato, la fellonia sotto tutti i nomi; e il furto, e’ il brigantaggio; e’ l rovesciamento di tutte cose divine ed umane elevati in diritti, ed anche in doveri: in fine, e soprattutto l’ingratitudine, e l’insensibilità dei colpevoli: ecco un de’ lati del quadro. Vedete da un altro lato quel Vecchio assai meno venerabile dai suoi capelli bianchi, che dalla sua dignità suprema e dalla sua angelica dolcezza, abbeverato di umiliazioni; quel Re il più legittimo di tutti i Re, che è passato facendo il bene, accusato di essere un malfattore; quel santo Pontefice, che non ha cessato di amare, di pregare, e di benedire, riserbato alla prigionia o alla morte: quel Rappresentante della libertà del mondo, condannato come un tiranno; quel Padre che piange, e domanda, ma invano, a coloro che si appellano suoi figli, se non qualche consolazione eguale ai suoi dolori, almeno in conto di elemosina qualche soccorso efficace nella sua estrema angoscia. Nessuna voce potente risponde alla sua; egli è costretto a dire: Ho nutrito ed esaltato dei figli, ed essi mi hanno dispregiato! Filios enutrivi et exaltavi; ipsi autem tpreverunt me! In tal guisa, Calvario sempre all’oriente ed all’occidente, e sempre la Chiesa nostra madre coronatavi di spine e crocifissa: in Oriente dagli infedeli, in Occidente dai suoi proprii figli. Al certo nulla manca alla scena del Golgota. Ed ecco, mio caro amico, il soggetto delle nostre lagrime, e delle lagrime di tutti i Cattolici. Dopo i dolori vengono i pericoli. Allorché il supremo attentato contro a Roma sarà consumato, gli spogliatori ed i loro adepti diranno: Egli è già un fatto compiuto; e si affetteranno di non più pensarvi. Ma noi, Cattolici, noi diremo: Gli è un fatto appena cominciato. Onde staremo in guardia; che l’ora dei perigli sarà arrivata, instabunt tempora periculosa. Che dico? amico, ormai ci siamo. E permettetemi ch’io v’indichi in questa lettera un pericolo terribilissimo, a cui un numero troppo grande di persone non ha saputo sottrarsi; il pericolo del sofisma. – satana è mentitore per natura, mendax; è padre della menzogna: pater mendacii. La prima rivoluzione fu fatta mediante una menzogna: eritis sicut dii. Figlie di questa, tutte le altre rivoluzioni vengono fatte con lo istesso procedimento. Più esse sono gravi; e viemaggiormente mentiscono; Ora oggigiorno le menzogne, le ipocrisie, isofismi, tessuti con un’arte infernale, vanno attorno fra noi più numerosi che gli atomi nell’aria; talché volumi interi non basterebbero a contenerli; onde mi limito a segnalarcene due o tre, intorno ai quali si aggruppano infiniti altri. Abbiamo veduto, che da quattro secoli in qua, una delle più discrete, ma più costanti sollecitudini dei governi cesarei fu di spogliare le Chiese particolari; soccorrendo la legge Civile, fatta dai medesimi spogliatori, che venne a consacrare il furto. Imperocché essa ha tenuto, e voluto, si tenessero per legittimi proprietari i possessori dei beni usurpati. Con un’audacia inaudita, si è domandato alla Chiesa madre ratificasse lo spogliamento delle sue figlie. Minacce di scisma, ostacoli di ogni genere all’esercizio della sua autorità spirituale, nulla è stato omesso per istrapparnele il consenso. La Chiesa Romana, per timore di mali maggiori, si è rassegnata a ben dolorose concessioni, contentandosi di esigere dai Governi una conveniente indennizzazione per le Chiese spogliate dei loro possedimenti. Questa è la base di tutti i moderni Concordati. – Or che cosa fa oggidì la rivoluzione? Rivolge contro la madre gli argomenti adoperati con successo contro le figlie. Da più tempo il fuoco della ribellione è fomentato negli Stati Romani; denaro, calunnie, derisioni sacrileghe, agenti segreti ed agenti accreditati, violenze aperte, ogni mezzo è stato messo in opera, per rendere impossibile il governo temporale del Santo Padre. Quando il suolo fu tutto minato, sì che una sola scintilla bastava allo scoppio finale, si è venuto a dire alPapa: « La vostra postura, Padre Santo, non può più sostenersi. Nel vostro vantaggio, e per causa di tranquillità pubblica, riconoscete il fatto compiuto. Imitate Pio VI vostro venerabile predecessore; consentite a smettere una parte dei vostri dominii; e in sì fare, voi non vi spoglierete, che gì’ imbarazzi. Che in conto d’indennizzazione, le nazioni cattoliche vostre figlie devote, vi forniranno magnifica dotazione ».

« Non potete, SS. Padre, trovare cattivo per la Chiesa di Roma, quello che trovaste buono per le altre Chiese. Voi avete loro detto: un fatto violento vi ha tolti i vostri beni; e Noi ne siamo profondamente afflitti; ma contro la forza non è resistenza da opporre. Per lo bene delle anime, noi rinunziamo ai vostri diritti: onde voi accettate in cambio il trattamento stipulato. Né poi la Religione perirà, per essere voi meno ricche. » – Ridotto alla sua più semplice formula, questo discorso melato è un’argomentazione, men perdonate l’espressione, degna di un assassino di strada: « Io vi ho rubato jeri; dunque io ho il diritto di rubarvi oggidì. Ieri voi vi siete lasciato spogliare, e non ve ne è venuto tanto male; a resisterti oggi, oltre che tornerebbe pericoloso, sarebbe un mancare alla logica, e mentire ai vostri atti precedenti ». Se l’insolenza è odiosa, il sofisma per altra parte è palpabile. – Le concessioni dolorose che la Santa Sede ha creduto di poter fare in detrimento delle Chiese particolari, non può in verun conto farle per se medesima. Primieramente, un giuramento solenne prestato da ciascun Sommo Pontefice vi si oppone: in secondo luogo, con forza non minore vi resiste l ‘interesse della Chiesa universale. Tanta verità vi salterà certo agli occhi. – Che le Chiese di Francia o di Spagna, per esempio, siano per le loro temporalità sotto la dipendenza dei Governi; che questa dipendenza metta ostacoli più o meno alla loro libertà di parola o di azione; questa è grande sciagura, non ha dubbio; nondimeno è sciagura locale. Chequeste Chiese non avendo l’incarico di insegnare a tutte le Nazioni; né la verità cattolica, né il governo generale della Chiesa soffriranno essenzialmente a cagione della loro servitù. Ma ove si tratti della Chiesa di Roma, la questione è tutt’altra. A che diverrà l’insegnamento universale della verità, ed il governo del mondo cattolico, se la metropoli della verità, la maestra di tutte le Chiese cessa di essere appieno indipendente? Come il suo augusto Capo adempirà la missione divina di confermare i suoi fratelli nella fede, dappertutto, e sempre, se non è al tutto libero della sua parola e dei suoi atti? E supponendo pure che egli potesse dare tale insegnamento, che diventerebbe l’autorità di esso? Nelle parole del Papa spogliato di sua indipendenza territoriale, ospite, vassallo, o pensionato di chi che si fosse Sovrano, gli uomini saranno sempre inchinati a temere dell’influenza del padrone. La malignità stessa si studierà di cercarla, lo spirito d’insubordinazione, il mal volere, o la gelosia nazionale sapranno trovarla. E sì l’obbedienza cessa di esser cieca e filiale: essa comincia a dubbiare, sin che per tal modo la fede va a perdersi. E colla fede perisce la libertà umana. Questa libertà, che consiste in resistere fino al sangue, anziché piegare sotto il giogo dell’errore e della iniquità; questa libertà a cui il mondo deve tutte le sue glorie, sta e si posa essenzialmente sopra la fede immobile alla verità ed alla giustizia. Fate di rendere sospetto l’organo autentico dell’una e dell’altra, e l’uomo, anziché ubbidire sino al sangue, non ubbidisce affatto. Imperocché il governo della parola perde tutta la sua autorità; sostituitovi il governo della spada. Il Papa adunque in difendere la sua indipendenza, non è Ancona, né Bologna, né Roma, né qualsivoglia altro pezzo di terra che difende; ma tutela la più gloriosa prerogativa dell’uomo, quella di cui giustamente e’ si mostra più geloso, e di cui va più superbo, cioè la libertà; la libertà di tutti, la libertà del mondo. E vedremo fra breve come Pio IX nella sua eroica lotta, difende tutt’altro, che cosa di mondo. – Passiamo ad un secondo sofisma. « La Chiesa, si dice, sussistette anche senza indipendenza territoriale, né però il governo della parola fu meno potente. L’indipendenza territoriale non è dunque necessaria alla Chiesa ».

Ciò è un voler prendere il fatto pél diritto; o meglio un voler confondere i tempi e le circostanze a fine di intralciare la questione, e per diletto di fare un sofisma di più.. Ecco qual è la verità: nello stabilire la Chiesa, il Figlio di Dio le diede tutto quello che era necessario per conseguire il suo fine. Fine della Chiesa è la santificazione delle anime mediante il libero esercizio della sua autorità spirituale. Or l’indipendenza materiale della Chiesa Romana è necessaria all’esercizio dell’autorità spirituale del S. Padre, organo e Capo supremo della Chiesa. – Così appunto hanno dichiarato ben tante volte nei secoli passati i Vicari di Gesù Cristo; e nei tempi moderni Pio VI particolarmente, e Pio IX. Come l’avete e bene spesso inteso, il semplice buon senso lo dichiara così altamente, che è inutile di insistervi. L’indipendenza materiale della S. Sede è dunque di dritto divino. Senza dubbio, la Chiesa Romana non ne ha goduto sin dalla sua origine. Ma che? sivorrebbe forse che ella avesse posseduto l’indipendenza territoriale nel centro medesimo di un impero, il cui capo era Nerone? Ma perché, non poteva in quelle circostanze mettersi in effetto, non però il diritto era né meno reale, né meno necessario. Onde quando più tardi la Chiesa lo rivendicò ed esercitò, certo non inventò un diritto nuovo, ma semplicemente proclamò il diritto inerente alla sua costituzione. – Si aggiunge « che nei primi secoli, allorché la Chiesa Romana non godeva di alcuna indipendenza territoriale, il governo della parola non fu mai più potente». Bene mel so; ed i sanguinosi annali dei martiri ne sono la prova. Chi dunque imprimeva alla parola del Pontefice Romano la sua autorità onnipotente? In mancanza dell’indipendenza materiale, pegno visibile della libertà del suo insegnamento, Pietro offriva la sua indipendenza morale; egli dava la sua vita. In mezzo dell’anfiteatro, sotto la scure del carnefice, o sotto il dente delle tigri, a vista di un popolo immenso venuto da tutte parti del mondo, il Vescovo della gran Roma, il Padre dei Cristiani lasciandosi coraggiosamente immolare, dava sicurtà alla verità del suo insegnamento. Da Nerone sino a Diocleziano in simile guisa i Papi segnavano le loro bolle.» Come non credere a tali testimoni che si lasciano scannare, esclama Pascal? « Si credeva dunque: e la fede si posava sul martire. –  Questo stato di cose doveva forse, poteva forse durar sempre? Era cotesta un’esistenza regolare? Certo che no. Precisamente perché la Chiesa è militante, ed aveva gloriosamente combattuto, essa doveva crescere di conquiste. Col procacciarle l’indipendenza materiale, queste stesse conquiste, affine di rendere autorevole la di lei parola e comandare la fede, dovevano francarla dal martirio. Ecco, mio caro amico, la ragione profonda di questa indipendenza, che si cerca oggidì di rapire alla Chiesa. satana sa bene quello che fa. Come questa questione ha rapporto sì al presente, e sì all’avvenire, io aggiungo poche altre parole. I fatti d’accordo col ragionamento mostrano ad un tempo l’esistenza e la necessità del diritto sacro alla indipendenza. In effetto relativamente alla sua indipendenza territoriale, la vita della Chiesa si vuol considerare in quattro periodi. Il primo dal suo cominciamento sino a Costantino. A quest’epoca, nessuna indipendenza territoriale; ed è l’era delle persecuzioni e dei martiri; l’impero di satana sul mondo; il regno della Chiesa, potenza puramente spirituale, ristretto a semplici individualità. – Il secondo da Costantino a Carlomagno. A quest’epoca, indipendenza territoriale incompleta e mal definita; ed è, come è stato osservato prima di noi (Muzzarelli: Ricchezze del Clero), l’era delle tribolazioni e delle vessazioni incessanti della S. Sede; l’era delle eresie, che pullulavano come la zizania nel campo, senza difesa sufficiente del padre di famiglia; l’era delle lotte della Chiesa contro satana, che le disputa ancora palmo a palmo il terreno. – Il terzo da Carlomagno sino al rinascimento del paganesimo. A quest’epoca, indipendenza territoriale completa ed autentica: ed è il regno sociale della Chiesa sostituito a quello di satana; la sovranità visibile di Gesù Cristo dappertutto riconosciuta; disfatta di tutte le eresie, di cui nessuna giunge a tale di potenza, da prender radice nel suolo dell’Occidente. – Il quarto, dal rinascimento del paganesimo fino a noi. A muovere da quest’epoca, l’indipendenza territoriale della Chiesa è attaccata di nuovo, e, come l’abbiamo visto, molto tempo prima di Lutero. Quind’innanzi questa indipendenza diviene a più a più manca. Bentosto ricomincia l’era delle tribolazioni, degli scismi, e delle eresie. – Il regno sociale della Chiesa si indebolisce sensibilmente a veduta d’occhio, intanto che quello del male s’aggrandisce in proporzioni eguali. In fine, al dì d’oggi si tenta riportare la Chiesa al suo stato di dipendenza completa, e di potere puramente spirituale, regnante, come ai giorni delle catacombe, sopra semplici individui. Cesare ed il Papa sono l’un al cospetto dell’altro! Dio non voglia che domani ricominci l’era delle persecuzioni e dei martiri! Per tal guisa voi ben vedete a che stiamo, mio caro amico; la storia intera mostra l’autorità spirituale della Chiesa aumentare o diminuire nelle stesse proporzioni che si aumenta o diminuisce la sua indipendenza materiale. I fatti che ho finora indicati, nella loro alta significazione ricevono forza da altro fatto non meno costante. Ed è che si pretende l’indipendenza territoriale non essere necessaria alla Chiesa; le ricchezze del Clero essere piuttosto un male che un bene; la povertà convenire assai meglio alla sposa di un Dio povero, e conferirle, oggidì soprattutto, autorità morale più universale e più rispettata. – Ma se la cosa è tale, donde deriva che tutti i principi, tutti i popoli, in tutte le età in cui si è maggiormente amata la Chiesa, l’hanno circondata di rispetto tanto filiale, e si son dati premura di accrescere la sua indipendenza materiale, facendole omaggio di ricche proprietà, e qualche volta di città e di provincie? Il loro amore fu ben cieco! Per poco che fosse stato chiaroveggente, ei se ne sarebbero astenuti; meglio chiaroveggente, avrebbero ridotto la Chiesa alla dipendenza, ed alla mendicità. Al contrario, i principi eretici e scismatici, e i governi empii e rivoluzionarli, che hanno spogliato la Chiesa, e le impediscono di acquistare, essi sì che hanno soli compreso i veri interessi della religione! ……

A questo modo Costantino, Carlomagno, ed i loro imitatori furono stolti e cattivissimi cristiani ; Errico VIII, ed i suoi somigliami furono uomini di buon senso e cristiani veramente evangelici. Garibaldi, e Vittorio Emmanuele, che oggidì non lasciano più al Papa ove riposare il capo, sono i due primi cattolici del mondo! E vi sono delle buone teste che si lasciano prendere ad un simile sofisma, che lo difendono, che lo propagano, che lo fanno accettare! Ora ne rimane un altro: ma di esso riserbo ad altra mia lettera appresso.

Tutto vostro ecc.