LO SCUDO DELLA FEDE (251)

LO SCUDO DELLA FEDE (251)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (20)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

CAPO III

IL SACRIFICIO DIVINO

SECONDA PARTE DEL CANONE.

CAPO IV

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LA PARTECIPAZIONE

ossia la Comunione Divina.

ART.  II.

LIBERA NOS ECC.

Orazione.

« Liberateci, ve ne supplichiamo, o Signore da tutti i mali presenti, passati e futuri , e per intercessione della Beata, Gloriosa e sempre Vergine e genitrice di Dio, Maria, e dei Beati Apostoli vostri Pietro e Paolo, ed Andrea, e di tutti i santi (Si segna dalla fronte al petto colla patena e la bacia). Date, propizio, pace nei nostri giorni, affinché per opera della vostra misericordia restiamo sempre liberi dai peccati, e sicuri da ogni perturbazione. (Qui sottomette la patena all’Ostia, scopre il calice, genuflette, sorge, prende l’ Ostia, la spezza per mezzo sopra il calice dicendo): « Pel medesimo Signor nostro Gesù Cristo Figliuol vostro. » (Pone la parte, che ha nella destra sopra la patena: di poi si divide una particella della parte che gli è rimasta nella sinistra, dicendo): « Il quale con Voi vive e regna nell’unità dello Spirito Santo. » (L’altra mezza parte ripone colla sinistra presso alla prima sulla patena, e colla destra poi tenendo la particella sopra il calice, che tiene colla sinistra, dice): « Per tutti i secoli dei secoli. » (Il popolo risponde): « Così sia. »

Esposizione dell’Orazione:

Libera nos etc.

« Liberateci, o Signore, vi preghiamo, da tutti i mali presenti, passati e futuri ecc. ecc. » Quest’orazione non altro essendo che un’aggiunta, anzi un’esposizione dell’ ultima dirnanda dell’ orzione domenicale, per essa la Chiesa c’ insegna che ben si può con Dio Padre dire tutto il nostro cuore e mettergli dinanzi ad uno ad uno tutti i nostri mali, dai quali lo vogliamo supplicare di liberarci per poi abbandonarci rassegnati in braccio alla bontà di così gran Padre amoroso. I tanti mali di noi poveri figli sono i peccati passati, di cui non possiamo mai essere senza timore (1) : poi sono i pericoli e le amarezze che ci angustiano presentemente: finalmente la paura dei mali venturi, i castighi cioè e le pene, che abbiamo tanto ragione di aspettarci dalla giustizia di Dio, e le nuove cadute che temiamo per le proprie infermità, come mali che più ci mettono spavento. – Quest’orazione, sia per la sua antichità, sia per le sue espressioni, accenna ai tempi delle persecuzioni. Allora si recitava insieme con tutto il popolo; e per questo il Sacerdote la dice ancora adesso ad alta voce nel venerdì santo; nel qual dì tutto sacro alla morte del Redentore, alla Chiesa, raccomandate distintamente tutte le varie persone ed i vani oggetti per cui prega nel corso dell’anno, preme di fare quelle raccomandazioni in modo tenerissimo; essendo che in quel giorno lo spettacolo della morte di Gesù, messo così vivamente innanzi, fa concepire speranza di maggiore propiziazione. Noi intanto figuriamoci quei poveri fedeli perseguitati, che col favor delle tenebre si raccoglievano nelle catacombe pei santi misteri. Là non si arrischiavano di alzar la voce, paventando ad ogni istante, che non corressero dentro in quegli antri a slanciarsi sopra loro quelle belve umane, nel perseguitarli inferocite. Là trovandosi insieme intorno all’altare, avevano ogni dì novelle perdite da piangere; alcuno raccontava tristamente, come qualche povero fratello aveva ceduto nel terribile cimento; e insieme piangendolo, lo raccomandavano a Dio. Altri raccontavano i particolari della morte dei loro Vescovi e dei fedeli compagni: chi li aveva osservati ritti là in mezzo del circo col petto ignudo ad aspettare i leoni, le iene, le tigri aizzate dai truci custodi: diceva uno di aver veduto il leone, quando dava dentro nel petto a quel Santo; come versasse le viscere per terra, e barcollando morisse abbracciato all’orribile testa col grido: « Viva Gesù! » Altri diceva della iena: con terribile salto gettarsi sulle spalle di un giovine eroe, e con tremendo ruggito, trascinarlo pell’anfiteatro… mentre i feroci spettatori battevan le mani; ed egli, col collo tra le zanne della fiera, guardando il cielo gridare: « Viva Gesù! » Chi sentiva ancor terrore della tigre accosciata, che acceffava fremente nel vergine petto a quella fanciulla (che ieri qui aveva con essi ricevuta la Comunione), e diceva piangendo, come la buona slanciava le candide braccia verso del cielo; e la tigre gettarle gli unghioni nel viso, ed alzando il terribile ceffo lasciare cadere giù le viscere palpitanti dal muso insanguinato! Chi raccontava del rogo acceso, e come soffiassero dentro col viso infocato i rabidi sgherri: e sopra i crepitanti carboni guizzasse la vampa celestina e rosseggiante: e quei crudeli stendere sul graticolato di ferro rovente, e tener con tenaglie i prodi compagni, con cui avevano là tante notti insieme vegliato: e rosseggiare le membra orribilmente gonfie, e screpolare la pelle, e la carne squagliata cadere giù in stille di fuoco; e sbuffare le fiamme e come serpenti di fuoco e taglienti lamine, girar intorno alla persona: e tra il crepitare dei carboni sotto alle nere ruote del fumo pareva ancora di sentirli tutti gridare: « Viva Gesù! » Alcuni altri poi si portavano sul petto in un vaso il sangue dei martiri, che avevano raccolto dai supplizi; altri gli avanzi, con gran rischio sottratti a chi li faceva disperdere: altri un cadavere santo portato via dalle gogne o tratto fuori dalle cloache, in cui il prefetto lo aveva fatto gettare. Qui purificate con balsami quelle reliquie, si ponevano sotto la mensa, su cui gli spiriti che gli animarono, dal cielo vedrebbero sacrificato Gesù. Così tutti quei buoni, anch’essi minacciati da quegli spettacoli di ferocia, che raccontavano, si stavano prostrati ai piedi dell’ara santa, come agnelletti da essere svenati la dimane, e dopo di avere mangiato il Pane divino, e bevuto al Calice dei forti, sorgevano dall’altare come leoni (così s. Giovanni (Hom. 61, ad Pop.) e s. Cipriano) terribili al diavolo ed agli amici suoi. Deh! in quel furore di tempesta quanto veniva loro bene gridare: « Liberateci, o Signore, dai mali passati, presenti e futuri; » e qui pieni di diffidenza di loro medesimi, confidare a Dio le proprie debolezze e tentazioni e la paura dei mali futuri. Qui col cuor di un figlio che piglia tutte le occasioni di parlar della madre noi facciamo questa osservazione. Tutti i fedeli del mondo cattolico dopo il Pater noster usano sempre a recitare l’ Ave Maria. Bene sta: si termina il Pater noster con una paurosa parola: a malo! In vero coll’inferno spalancato sotto dei piedi, nel pericolo di cader in peccato, ed offendere Iddio Santissimo, colla morte che ci corre incontro ad ingoiarci, l’Ave Maria è il grido dei figliuoli che chiamano la Madre a salvarli e poi è anche il sospiro della speranza di spirare tra le sue braccia. A ragion adunque nell’orazione libera nos si dice subito: « Per l’intercessione della Beata Vergine, genitrice di Dio, e dei beati Apostoli Pietro e Paolo, ed Andrea e di tutti i Santi ecc, ecc. » E poi così vivamente rinnovando la memoria della passione di Gesù Cristo, potevano dimenticarsi che ai piedi della croce stessa, nell’ora del gran Sacrificio, stava Maria? A questa potentissima Regina dei martiri, a questa più tenera delle madri si raccomandavano quei figli in procinto di essere martirizzati, e le correvano in seno con tutte le paure e speranze loro: poi ai beati Pietro e Paolo, e Andrea: a Pietro, su cui fu edificata la Chiesa (Cyp. ep. 71.); a Paolo, che tanto l’ha propagata e sublimemente istruita; ed Andrea, primo chiamato alla sequela del Signore (Bon. rerum liturg. lib. 2, n. 2). A tutti e tre in somma, che la confermarono col proprio sangue; ad essi, che precedendoli al martirio, bevettero il calice di Gesù con tutte le sue amarezze sino all’ultima goccia: poi a tutti i Santi, da cui per un istante eran divisi ancora, facevano supplica di aiutarli di forza in quei cimenti, in cui mentre tenevano dietro ai loro esempi così luminosi, sentivano il peso della propria infermità. Dio della bontà! ecco un mondo che viene a perseguitarci fino nei più reconditi recessi del santuario vostro! Ecco i popoli sconvolti cercano di rovesciarsi sul capo ciò che a loro sta sopra, e tutto sobbissare nella polvere e nel sangue; in questi giorni di procella, tra un passato che crolla, ed un avvenire che non si può formare di getto; noi per Gesù Cristo tranquilli nella vostra immutabilità, noi contempleremo il trionfo, che preparate alla vostra Chiesa sulle rovine dei vostri nemici. Ecco qual è la pace di Gesù; la pace del bambino in seno alla madre. Bella immagine, che parla ai sensi ed al cuore più ancora! Quando una madre prende in braccio il suo bambino, il bambino in quel seno non ha più paura, e dorme tranquillo e riposa dolcemente sul petto: e ne ha ragione, perché veglia per esso l’ amor della madre. Che, se alcun le si facesse vicino, o scuotesse con sorpresa il bimbo per risvegliarlo, come fosse sopra pericolo, gridandogli forte: « Bimbo, sta desto! Perché guai, se la madre ti dimentica un momento; aperte le braccia, cadi a sfracellarti per terra!: » la madre garrirebbe costui acremente; « che? gli direbbe, non lo porto io in seno, che sono sua madre? E l’amor della madre non si dimentica mai, che ha il bambino in braccio: e seppur si dimenticasse, le braccia della madre starebbero conserte per istinto, a tener fermo sul seno il figlio delle viscere sue. » Ed è così. Ora diciamo noi: e chi mai ha creato l’amore in petto alla madre? Iddio (crediamo!), da cui ogni paternità deriva; ed ha tale amore creato, perché sapeva che la creaturina sua di tanto avrebbe bisogno. Viva Dio! Il Creatore dell’amore ben ne avrà ancora in sé tanto serbato, per aver cura dei figli del Sangue del suo Gesù! Egli, così s. Giovanni Grisostomo, dei padri più indulgente, e più di madre tenero, dice per bocca del suo profeta (Is. XLIX, 15), che la madre può forse dimenticarsi del suo bimbo; ma non Egli di noi, che tutti ci porta in cuore. Così noi non possiamo a tenero padre, né a “più sincero amico, né a più potente, che sia Dio, abbandonare noi stessi per vivere più in pace. « Concedeteci propizio pace nei nostri giorni, affinché aiutati dall’opera della vostra misericordia, restiamo sempre liberi dai peccati, e da ogni perturbazione sicuri ecc. ecc. » Pregavano un po’ di pace per quei dì; pace perché potesse stabilirsi il regno di Gesù Cristo: pace, perché la Chiesa non venisse lacerata dalle discordie, e specialmente dalle eresie, amarezze maggiori per lei in quella pressura: ma che al tutto fossero liberati per Gesù Cristo dal peccato e dalle continue paure di tanti nemici, che loro fremevano d’intorno. – Ora per potere accompagnare quest’orazione con disposizioni convenienti ai nostri tempi, osserveremo: che nel recitare quest’orazione il Sacerdote posa le mani sulla mensa, come se si abbracciasse all’ altare per mostrare che sopra vi è Gesù, per cui possiamo con fiducia farci appresso al trono della misericordia per porgere le nostre suppliche (Heb., IV, 16 ). Qui noi pensando che se si mutarono i tempi, i bisogni della Chiesa ora sono forse maggiori, col cuor pieno delle antiche memorie e dei mali nuovi, non cessiamo mai di gridare attaccati all’altare: « Signore, Signore, per pietà liberateci da ogni maniera di mali, che c’invadono da tutte le parti: dai mali passati; e sono i peccati commessi, che ci tengono inquieti sull’esito della nostra salute: dai mali presenti, che sono le nostre passioni, le persecuzioni alla sordina contro i fedeli vostri, la guerra universale contro alla Chiesa, rotta dai nemici nostri e di Voi, che s’ingrossano ogni dì, e diventano ognora più audaci e minacciosi. Liberateci dai mali futuri: prima di tutto dalla perdita della fede, di cui siamo minacciati, conservateci pel vostro regno, e non ci mandate cogli empi in perdizione. E voi, o tenerissima Madre di Dio, al Signore che abbiamo offeso, dite per noi quelle parole di pietà che voi sola sapete: che, se egli è vero che siamo peccatori, siam pure i vostri figli, e voi la più buona madre: e le madri sono sempre madri, anche coi figliuoli che vorrebbero diventar buoni. Voi pure, o beati, Pietro, che dall’alto de’ cieli come capo della Chiesa presiedete ancora alle sue battaglie; Paolo, gran maestro delle nazioni; Andrea, che dalla croce consolavate il popolo fedele colle vostre parole, anche in mezzo ai terrori di morte; voi, Santi tutti, che nella gloria godete la pace, come corona delle combattute battaglie, a noi qui, drappello in combattimenti ottenete una coscienza senza rimorsi, la confidenza nel Dio delle vittorie, e la pace di Gesù Cristo. »

Divisione dell’Ostia. Continua la spiegazione

del!’ orazione: Libera nos ecc.

Chiediamo di poter insistere su questa parte della Messa, così poco avvertita, che pure così grandi e tenerissimi misteri contiene. Noi ci faremo a contemplare questi tre che vi si esprimono; osservando come pel primo si viene a significare esser Gesù Crocifisso fatto pace nostra: Ipse est pax nostra… solvens inimicitias in carne sua (Ephes. II, 14.). Nel secondo si figura la formazione della Chiesa. Nel terzo si ricordano e la risurrezione e la vita eterna in paradiso. Faremo ora di spiegare come si esprimono questi tre misteri in questo punto della Messa: e li noteremo coi numeri per distinguere dessi misteri dalle devote osservazioni.

I° Ecco in fatti come si esprime essere Gesù Cristo la pace nostra. Già prima d’incominciare quest’orazione il suddiacono nella Messa solenne sale sull’altare e rimette all’uopo la patena al diacono: il quale anticamente, come fassi ancora al presente in qualche Chiesa, la mostrava al popolo per invitarlo alla Comunione. Il Sacerdote prende da lui la patena, su di cui ha da deporre il Santissimo per distribuirlo in Comunione ai fedeli. Con essa fa il segno di croce sulla sua persona, e la bacia dicendo: « Date,propizio, pace nei nostri giorni, affinché siam sempre liberi dal peccato, e posti da ogni perturbazione al sicuro. » Col baciar la patena su cui si pone Gesù, viensi ad esprimere, che Gesù nel Sacramento appunto è nostra pace: perché in sulla croce in cui fu posto, Egli disciolse le nostre inimicizie (Eph. II, 14. Coloss. I, 20) nella sua carne crocifissa; è nostra pace, perché ci raccoglie tutti insieme, e vuole che siamo uniti in carità per disporci alla comunione (S. Hier. q. ad Rom.): è nostra pace perché ci ha riconciliati col suo Padre e ci fa adottare per figliuoli: è nostra pace, perché ora ci vuol dare Se stesso in pegno di quella pace che sarà la futura nostra beatitudine. Ecco il mistero accennato pel primo. – Continua l’ orazione: « Per il medesimo Signor nostro, il quale con Voi vive e regna Dio nell’unità dello Spirito Santo. » Ora prima di esporre, come si esprima il mistero, che accennammo, intorno alla formazione della Chiesa, continuando a riscontrarci nella meditazione nostra sulla passione del divin Redentore, premetteremo alcune piissime osservazioni, che all’accennato mistero ci condurranno. Il Sacerdote bacia la patena, la quale significa la lapide del santo Sepolcro; e questo rito esprime la pietà delle donne, che, comprati gli aromi, vennero per ungere Gesù. Esse, poverine! si davano pensiero del gran sasso, che non avrebbero potuto smuovere. Ma Gesù Cristo le consolò. Con quel bacio si esprime la grazia, di che Egli degnolle, nella sua apparizione. Egli le salutò, ed esse verisimilmente gettatesegli innanzi, cercarono di baciargli i piedi santissimi. Intanto il Sacerdote, deposto il SS. Corpo sopra la patena, scopre il calice, l’ adora genuflesso; prende l’Ostia colla mano destra, e la solleva sopra il calice, e nel dividerla in mezzo, dice: « Pel medesimo Signor nostro Gesù Cristo. » Depone la parte, che gli resta nella destra, sopra la patena; poi dalla parte, che egli tien sopra del calice nella sinistra, divide una porzione; e colla destra ritenendola ancora sul calice sollevata, quella che gli resta nella sinistra, depone presso alla prima sulla patena, nel dire: « Il quale con Voi vive e regna nell’unità dello Spirito Santo. » Questo dividere, che fa il sacerdote, dell’Ostia in tre parti, l’abbiam noi dagli Apostoli imparato: anzi da Gesù medesimo, il quale, quando ci donava la SS. Eucaristia nell’ultima cena, la divideva colle sue mani, distribuendola a tutti i discepoli (Matt, XXIV, 26). Così ci dava modo di saziarci tutti a nostra volontà di questo cibo celeste; e di potere tutti insieme noi, umana famiglia, raccoglierci alla mensa del comune Padre e comunicare con Esso nel bacio santo di carità. E siccome l’Eucaristico Sacramento esprime in modo particolare questa riconciliazione universale, ed unione di carità; così Gesù con un miracolo d’amore divinamente ingegnoso lo ordinava in modo, che nel dividere in parti, potessero i suoi fedeli per esso comunicarsi con Dio e con tutti i fratelli, anche quelli che non avrebbero potuto godere la sorte di trovarsi presenti. Anticamente i diaconi erano incaricati di portare agli assenti, agli infermi, e fino nelle carceri ai confessori questo pegno di pace e di carità divina. – Fermiamoci un istante a pensare a quei generosi in carcere per Gesù Cristo, che tornavano forse dagli interrogatorii, in cui si era cercato di convincerli e persuaderli a rinunciare alla fede con quegli eloquenti argomenti, che sono i letti di ferro e le torture danti uno stiramento a slogar loro le ossa, e le ruote dentate facenti un giro a lacerare loro la carne, ad ogni lor franca parola. Tornavano adunque da quelle prove crudeli; ed ecco appunto il diacono aveva ottenuto di penetrare ad essi travestito; e portava in buon punto Gesù, mandato dalla santa Messa coi saluti dei fedeli, che avevano con tanto fervore pregato per loro, e che a loro si raccomandavano. Ben pareva a quei forti di vedere quasi cogli occhi Gesù entrar nel carcere, per dare loro la pace e sostenere con essi le catene, i ceppi, la morte. « Deo gratias, » dicevano quei santi, per dire: « Dio sia benedetto! presto ci ciberemo insieme nel banchetto del Padre celeste in paradiso. » Era pure costume di conservar nelle chiese la SS. Eucaristia; e si trovano nei monumenti dell’antichità cristiane certe custodie in forma di colombe che si tenevano sospese sopra l’altare, dove si riserbava per essere all’uopo distribuita agli infermi, agli assenti e per essere adorata dai fedeli: se la portavano gli anacoreti negli eremi, i fedeli in casa. Si conservano veli e pezzuole ricchissime in cui si ravvolgeva. Ora qui vorrebbe la pietà che noi parlassimo della reale presenza del SS. Sacramento: ma ci riserbiamo di contemplare questo tutto nostro tesoro nel volume III, Prediche e Meditazioni. Del resto tutta questa opera corrisponde a questo scopo cioè mirabilmente stringerci intorno a Gesù e farci con Lui santi qui, per possederlo in paradiso. Ma la santa Messa va di pari passo colla passione di Gesù Cristo: e questa nella passione è l’ora della maggior pietà. Quando, spirato il benedetto Gesù, i crocifissori ed i nemici suoi in quel tenebrore con neri pensieri e con orribile rimorso nell’anima si ritiravano da quel tristo monte taciturni ed atterriti, alcuni di essi già ravvedendosi si fermavano da lungi, ed alzando gli occhi spaventati al Corpo di Gesù pendente da quella croce, si picchiavano il petto, dicendo sommessamente: « Tristi a noi, che abbiam mai fatto! Misericordia, misericordia! » Intanto giravano voci di tremende apparizioni; si diceva, che si eran veduti cadaveri e scheletri fremere orribilmente in gola agli spalancati sepolcri: che s’era spezzata la rupe del Calvario, come è ancor veramente: e il velo del tempio da cima a fondo squarciato. Qui già cominciavano a girare intorno alcuni più amici di Gesù, e farsi più appresso alla croce, ed al vederlo là morto, empire le mani di pianto! Poi si davano faccenda per usare a Gesù quel poco di carità ultima, che per loro si poteva, preparandosi a staccarlo di croce, e ricoverarlo in sepolcro. Maria Maddalena e Giovanni e le pie donne, fissi gli occhi sul morto Gesù, con ansioso lamento stavano tutti esterrefatti ed atterriti, e tratto tratto lasciavano cadere lo sguardo sulla santissima sua povera Madre… E Maria?… Ci manca il cuore a dirne parola! perché fino lo Spirito Santo non volle dir altro che: « stava…. sotto la croce di Gesù la sua Madre Maria!… » – Piovevano ancor le gocce di Sangue, ed intanto già si mettevano all’opera pietosa di deporlo dalla croce, tutti dicendosi in cuore quei buoni, che avrebbero fra poco baciato lui morto fra le braccia della SS. Madre di tutti i dolori! Così adoperavansi in quella infinita pietà. Ed ora appunto il diacono col dare il segno al popolo di farsi vicino, e il Sacerdote nel segnare, che fa, se stesso di croce colla patena col baciarla, e col deporre Gesù sulla patena, fanno segno di prepararci a pianger del cuore sopra Gesù con quella tenerissima pietà, con cui Giuseppe, Nicodemo, e gli altri pii lo deponevano dalla croce. Il cuore ha da fare qui tutta la sua parte. Il Sacerdote, abbiam detto, tiene il corpo di Gesù sollev«««ato sopra del santo calice. Deh! lasciamo correre ancora uno sguardo con quei santi e con Maria SS. sopra Gesù, misticamente qui dinanzi, come sulla croce, spirato. Ecco quel Corpo, che pendeva giù da quei chiodi con orribili squarci! eccolo col Capo sul petto tutto pieno di Sangue, che dalle spine stilla giù ancora grommato. Ve’ quegli occhi lividi e spenti e quella bocca ancora semiaperta, per dirci l’ultima sua parola al cuore. No: Egli è spento! Non dice più parola; ma parlano per noi tutte le sue Piaghe; parla Maria nel suo mar di dolori, che allarga le braccia e le mani per ricoverarselo in seno almeno morto, il suo Gesù!… « O santissima Madre, aspettate; ché per voi faranno i buoni, che vi piangon d’intorno! » Ma chi viene innanzi? Chi?… Un soldato che fieramente lo guarda, e trovatolo estinto, ah! gli dà della lancia nel petto: in quel gran colpo gli squarcia il Cuore. Ah! mette un grido Maria; ché « propriamente, dice s. Bernardo (Sermo de 12 stelle), Maria si ebbe nel cuore quel colpo, non Gesù, che non aveva più l’anima là, mentre la Madre non si poteva da quel Cuore divellere. » Così la ferita del Costato di Gesù, si può dire ferita al cuor di Maria! E Maria a quel colpo lascia cadere giù le braccia: e sotto le braccia, ah! buon Gesù! si trova d’avere con Giovanni noi, divenuti a piè della croce a Lei figliuoli. Oh! sì, che nel vederci ancora qui intorno all’altare rossi del Sangue di Gesù (Io. Chrys. De Sacer 2) deve ben esclamare: « miei figliuoli, che mi costate sì caro, per salvarvi vi voglio riporre in questa mia ferita del Costato divino.» Intanto sgorga giù a terra, misto coll’acqua, l’ultimo Sangue, il Sangue, diremo, più vitale di Gesù, Cristo. Ed ecco come in questo punto si figurano la Chiesa e le sue varie parti, che è il secondo mistero, che abbiam detto significarsi qui nella Messa.

II. Come ad Adamo addormentato fu tratta una costa di petto, e ne fu da Dio creata la madre degli uomini, condannati poi alla morte pel peccato; così dal Costato di Gesù Cristo dormiente in quel sonno di morte, esce purificata e rigenerata nel Sangue divino la Madre dei viventi, la sposa di Dio, la Chiesa (S. August. lib. 2, de Genes. contra Man. v. 24). Ammirando mistero! Nel calice fu infusa l’acqua per esprimere il popolo cristiano. Perché poi quello che era vino, e si mischiava col l’acqua nel calice, ora è vivo Sangue di Gesù Cristo; ed in Gesù la natura umana si tocca, si unisce, si bacia, si accoppia colla Divinità: perciò la natura nostra collegandosi colla Divinità, si rinnovella a vita eterna, ed in Lui si rigenera l’umanità. Piglia adunque in Gesù Cristo capo e cominciamento una nuova generazione: rirnpastandosi nell’acqua del Battesimo, per dirla con Tertulliano, di Spirito Santo la natura umana, ed immollandosi l’umanità nel balsamo vivificatore e ristoratore della Divinità nel divin Riparatore. Ggsù poi trasfonde questo principio divinizzato in noi, come la vite mette il sugo vegetale nel tralcio, che le sta unito (Jo XV., 5). Ad esprimere poi questa generazione rinnovellata, che è la Chiesa, sgorgò fuori del petto squarciato di Gesù Acqua mista col vivo Sangue (Bened. in infas. e Missal.), per fare intendere come nella Chiesa vi sia e il popolo cristiano significato nell’acqua, e con esso vi sia incorporato Gesù, che col Sangue suo comunica a questa madre la potenza di generare figliuoli a Dio in modo purissimo ed ineffabile (S. August. De siinb. et serin. 12 de temp.) per mezzo dei Sacramenti. Si, da questo Sacratissimo Cuore di Gesù Redentore esce quel Sangue divino, che lava nel Battesimo le anime dei rigenerati: che li consacra col Crisma dei forti: che con noi s’imrnedesima nell’Eucarestia: che ci monda e santifica nella Penitenza: che infonde la virtù ad operare prodigi ineffabili nei sacri ministri: che consacra i nostri matrimoni (Uomini animali, che non comprendono le cose di Dio, si preparano con opere indegne e laide ad esse:e consecrati col Sangue di Gesù nel Matrimonio, che s. Paolo chiama il Gran Sacram., che rende così sacra la società coniugale; anzi la civiltà corrotta cerca di sconsacrare, e disvolgere il primo elemento del civile consorzio riducendo ad un atto civile il matrimonio. Ma vi è una fiera che rugge e si getta sulla società a vendicare il sacrilegio, la fiera del divorzio, che strugge le umane famiglie. Tolto via il ritegno del Sacramento, nessuna legge umana può impedire, senza esser tiranna, che coloro che hanno fatto il contratto, non sciolgano il contratto a volontà): che finalmente dà l’ultima mano a ristorare alla vita eterna le nostre persone; quasi nei sette sacramenti, secondo la viva espressione di Tertulliano, rimpastandgsi di Spirito Santo l’umana natura. Sangue propiziatore, di cui sono bagnate le porte, per cui entrano nella Chiesa e nel paradiso coloro che si salvano! Cuore amabilissimo, che fu dato da Gesù a consumare l’opera della redenzione, secondo l’espressione dello Spirito Santo (Eccl. 38, 31): perciò, consumato il divin Sacrificio, si lasciò squarciare il cuore. S. Giovanni Grisostomo e con lui s. Agostino osservano come ne sgorgasse il Sangue misto all’acqua dal cuore, affinché n’uscisse il Sangue a ricrearci, ed immedesimarci con Lui a vita eterna. – Convengono di fatto gl’interpreti, che nella divisione della SS. Ostia in tre parti si rappresentano assai bene le tre porzioni della Chiesa, unite nel gran Capo Divino (S. Thom. 3 p., q. 85, a. 5, et Innoc. III, lib. 5 Myster. Mis:. cap. 3). Nella prima porzione rimessa sull’altare è Gesù Cristo, una delle specie divise, che colla virtù del suo Sangue, dal sacrificio versa e fa discendere continuamente sull’anime del purgatorio il refrigerio, la luce, e la pace (Innoc. III, lib. 4, Myster 3fiss., c. 3.). Nella porzione dell’Ostia SS., che coll’altra mano il Sacerdote depone ed unisce alla prima, è Gesù che dal seno del Padre s’accompagna alla Chiesa militante, che siamo noi; la guida e la sorregge nella battaglia; e pel Sacrificio che fa con essa, la prepara a salire coll’altra porzione al trionfo nella patria celeste. Per essa intanto Egli s’abbassa a regnar sulla terra: perché la Chiesa, che qual Eva novella gli esce dal petto, per la virtù del Sangue di Gesù genera figliuoli, adoratori fedeli, che formano il suo regno in terra, e che gli faran corona in paradiso. Nella porzione, che tien sollevata sopra il calice, è Gesù, che beatifica la Chiesa in Gloria (S. Thom. 3 p. q. 83, a. 5.). Sopra quel calice l’adorano i celesti e si letificano del profumo divino che manda in cielo il Sacrificio del Verbo, Splendor della gloria, che regnando col Padre e collo Spirito Santo, gli alimenta di sua beatitudine in paradiso per tutti i secoli dei secoli. Aggiungeremo a pascolo di pietà un’altra esposizione di s. Bonaventura (Opusc. Pers. 3. expos. Miss., c. 4.), il quale dice, che la particola deposta sull’altare significa che la Carne di Cristo nella passione fu deposta e subì l’azione della morte, e le due parti fuori del calice esprimono l’Anima che restò immortale, e la Divinità pure immortale ed impassibile. – Ora ci resta a dire ‘del terzo mistero espresso in quest’orazione, cioè della risurrezione e della vita eterna.

III. Ecco glorificato il paradiso, consolati i defunti, santificati i fedeli; il Sacerdote tenendo sospeso sopra il calice il santissimo Corpo, fa con questo sopra il calice stesso tre croci, dicendo: « La pace del Signore sia sempre con voi. » Il popolo risponde: « e collo spirito tuo. » Poi depone entro il calice la sacra particola che tiene in mano. Ma deh! ora che vediamo ancora? L’Ostia SS., che è il Corpo di Gesù, discende per man del Sacerdote nel santo calice, e si frammischia nelle specie col SS. Sangue? Contempliamone il mistero consolantissimo! Qui sull’altare, per rappresentare la mistica morte di Gesù Cristo sta deposto il Corpo sotto le forme delle specie diverse, diviso dal Sangue, per mettere misticamente sotto gli occhi, come era difatti nella morte reale là sulla croce il Sangue tutto versato da quel Corpo pendente, lacero e dissanguato. Ma come Gesù poi nel risorgere riassunse il Sangue nel suo Corpo, che riprese vita: cosi ora qui, secondo Innocenzo III e Benedetto XIV (Inn. III, Myst. Miss. liv. 5, c. 3), nell’atto dell’unire, che si fa dal Sacerdote, il Corpo col Sangue divino nel calice, si esprime appunto la riunione del Sangue col SS. Corpo nel momento della risurrezione. Riassuntosi nel Corpo di Gesù il SS. Sangue, si diffuse nelle vene, e l’anima benedetta allora rianimandolo, fece con quello battere quel Cuore del battito della vita immortale, a cui risorgeva, nella beatitudine della divinità da Lui inseparata. – Tergiamo noi dunque il pianto, e diamo luogo a tutta la consolazione. Nel farsi le tre croci e nell’invocare la pace sopra del calice, si esprime la SS. Trinità, che restituisce l’Anima al Corpo di Gesù, affinché non veda la corruzione (S. Thom. 3 p., q. 43, a. 5. Inn. III, lib. Myst. Miss.). E l’istante in cui l’anima di Gesù discende nel sepolcro, si unisce al Corpo (Sergius Papa apud D. Bon. ia expo. Miss. Inn. III, lib. 6 cap. I.), ne spezza i vincoli di morte; rifiorisce l’aspetto suo di celeste bellezza: l’occhio brilla di una luce divina: palpita il cuore del palpito immortale della beatitudine: si trasfigura carne e diventa impassibile, in istato come di lui agile e spirituale : così risorge a vita il Trionfatore della morte. Balza via la pietra rovesciata dall’Angelo, e lascia vedere dentro il vuoto sepolcro e le sacre bende a terra, segnali di morte trionfata. – Angeli sfolgoranti di splendor brillantissimo annunziano il trionfo di Gesù che è risorto. Ministri di morte, da quella tomba fuggite: fugge anche la morte, e guarda attonita fallito il colpo, e rotta la lancia nella tremenda mano. Ecco i morti escono vivi dai loro sepolcri, van pubblicando colla testimonianza della lor miracolosa risurrezione, che orrende prigioni della morte furono spezzate da una forza da cui essa fu vinta. Approssimiamoci colla più viva ed ardente carità a questo sacro Corpo (Io. Chrys. hom. 24, I ad Cor.). Ma ritorniamo al sacerdote per osservare, con sull’istante di deporre la SS. Ostia nel calice, col Corpo di Gesù tre croci sopra del calice e dice: « la pace † del Signore sia † sempre con noi †. » Con queste tre croci sopra la bocca del calice pare che si vogliano figurare le tre donne, che cercavano di Gesù sull’entrata del santo Sepolcro, di cui la bocca del calice esprimerebbe l’entrata (Inn. III, lib. 6, Myst. Miss. cap. 2.). Significano anche che tutto è crocesignato nella Chiesa, che dalla croce derivano le sue vittorie. Coll’invocare la pace significa, che non solamente pel merito del divin Sacrificio verremo assorti in Dio, e troveremo pel Redentore la pace in unione col Padre, col Figlio, collo Spirito Santo; ma ancora che per Gesù, in seno alla sua Chiesa, per mezzo de’ suoi precetti, consigli e Sacramenti, l’anima con coscienza senza rimorsi, già crocifissa nelle passioni, tranquilla tra le braccia di Dio, gode coi fratelli quella anticipata concordia, che si ha da godere eterna in paradiso (S. Hier. ep. ad Rum.), perché le guerre vengono dalle passioni traboccanti. La pace vera poi si gode dall’anima, quando essa vuole solo quel che vuole Iddio, e come lo vuole Iddio. Il popolo dovrebbe rispondere al Sacerdote con lagrime d’infinita gratitudine: « sia pure così, Amen! » Il Sacerdote poi nell’infondere nel calice santo il Corpo dice:

L’orazione: Hæc commixtio.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.