IL SACRO CUORE DI GESÙ (65)

IL SACRO CUORE (65)

P. SECONDO FRANCO

SACRO CUORE DI GESÙ

TORINO – Tipgrafia di Giulio Speirani e fligli – 1875

V° per delegazione di Mons. Arciv. Torino, 1 maggio 1875, Can. Ferdinando Zanotti.

Perehè si presti un cultò speciale al Cuore Santissimo Gesti Cristo.

La prima domanda che si fa da molti, quando si sentono proporre la divozione al Cuore SS. di Gesù, suole esser questa. Qual ragione vi ha di onorare specialmente il Cuore di Gesù Cristo? Sia pure un oggetto degno d’infinita lode, tuttavia non basta adorare, come sempre si è fatto, tutto intero il nostro Signor Gesù Cristo? Si potrebbe rispondere semplicemente che, avendo Nostro Signore fatto conoscere che gli era carissimo un tal culto, ed essendovi noi confortati da Santa Chiesa, questo è bastante perché l’abbracciamo con ogni fiducia. Ma vi sono ragioni saldissime che a ciò fare ci muovono, che sarà utile il considerare e varranno eziandio per solido fondamento a quel che diremo dappoi. Queste ragioni si possono brevemente accogliere in questo. 1° Che la fede ci mostra adorabile il Cuor divino. 2. Che la pietà peculiarmente il domanda. 3. Che lo stesso Cuor divino soavemente ci attrae.

I. La Fede cristiana ci mostra adorabile il Cuor divino. La fede cristiana insegna che in Gesù Cristo vi sono due nature, le quali sussistono in una sola Persona, che è quella del divin Verbo. Che quindi Gesù Cristo sia che si risguardi secondo la natura divina, sia secondo l’umana, deve essere adorato collo stesso supremo culto di latria, con cui si adora la divinità. Una adoratione Deum Verbum incarnatum cum propria ipsius carne adorat, sicut ab initio Dei Ecclesiæ traditum est. Così il V. Conc. tenuto in Laterano. E la ragione di ciò è che sebbene l’umanità sacrosanta del Redentore per sé medesima non sia Dio, né  si confonda colla divinità, tuttavia come è Umanità assunta dal Verbo, il quale è Dio, così deve essere col Verbo adorata in quel modo medesimo onde si adora Iddio. – Esprime questa dottrina di Santa Chiesa mirabilmente S. Giovanni Damasceno. « Uno è Gesù Cristo perfetto Iddio, perfetto uomo, cui noi col Padre e collo Spirito Santo adoriamo di una sola adorazione insieme alla sua Carne immacolata. Né ricusiamo di adorare la carne, poiché l’adoriamo nella Persona del Verbo che in sé l’ha assunta: né per questo adoriamo una creatura, poiché non adoriamo la carne presa da sé sola, ma come congiunta alla divinità e perché le due Nature di Lui sono unite nella Persona del divin Verbo ». Così il Santo. Di che se ne trae che come tutto il nostro Gesù, cioè la Persona del Verbo colle due Nature Umana e Divina che le sono proprie, sono l’oggetto assoluto ed adeguato di ogni nostro culto, così l’umanità sua sacrosanta con tutte le parti che la compongono, in quanto è fatta natura del divin Verbo, è oggetto della nostra adorazione parziale. Or posto ciò quel Cuore è certamente adorabile. Ma se è adorabile perché non l’adoreremo? Tutto sta che vi siano ragioni speciali per farlo, e queste vi sono oltre ogni dire efficaci.

Il. La pietà cristiana ce lo domanda a gran voce. Conciossiaché non potendo noi adorare l’Umanità SS. di Gesù Cristo se non secondo le manifestazioni che esso si compiace di farne (dacché possiamo solo adorarlo in quanto lo conosciamo) in quel Cuore le manifestazioni di Gesù ci appaiono più belle, più tenere, più commoventi che tutto altrove. Infatti, come e dove è che ci si manifesta Gesù? Nella sua vita mortale Ei ci si presenta sotto le forme amabili ora di bambino per noi lattante, ora di fanciullo per noi affaticato, ora di giovane per noi nascoso in una bottega, ora di annunziatore della parola di vita eterna e quindi in tutti questi stati noi siamo in caso di adorarlo. Nella sua Passione ci si dà a vedere agonizzante nell’orto, coronato di spine, lacero da flagelli, confitto su di una Croce e riscuote in tutti quegli stati la nostra adorazione. Nella divina Eucaristia ci appare e medico delle nostre piaghe, e amante sviscerato di tutti noi, e cibo sostanziale delle anime e pegno di eterna vita: e secondo che lo conosciamo, qui pur l’adoriamo. Nel Cielo Gesù ci mostra la sua SS. Umanità rivestita di gloria, alla destra del Padre, e ci rappresenta la carità, la misericordia, la benignità onde ama ciascuno di noi come capo le sue membra, come arbore i suoi rami, come Redentore i suoi riscattati, ed è, come è chiaro, oggetto di tutte le nostre adorazioni. Ma dove ci presenti poi il suo Cuore squarciato da cruda lancia, che versa fino le ultime stille di acqua e sangue che in lui si contengono, che ci rammemora come tutto ci abbia dato quel che possedeva sino al Cuore, che tutto si è immolato fino allo squarciamento del Cuore, che tutti ci offre i suoi doni e le sue grazie sino ad aprirci per ogni rifugio e conforto il suo medesimo Cuore, come non dovrà a sé rapire tutti i nostri affetti? E di quale argomento più tenero ed affettuoso può occuparsi la pietà cristiana? Potrà mai un’anima che senta meno indegnamente di Gesù non sentirsi attratto soavemente a riamarlo, ad adorarlo, a glorificarlo?

III. Lo stesso Cuor divino ci attrae. Gesù stesso offrendoci il Cuore ci porge il più caro invito che possa farci ad adorarlo, ossequiarlo, amarlo. Che cosa è infatti il SS. Cuore di Gesù? È il principio immediato di tutte le sue opere e di tutti i suoi patimenti. Perché mai Gesù si affaticò per trentatré anni in sulla terra? Perché fondò la Chiesa, perché operò la Redenzione con sì smisurati patimenti, perché ci dischiuse il Cielo, insomma perché tanto fece e tanto patì per noi? L’unica risposta che si può dare a tante interrogazioni non è poi mai altra che pure questa: perché il suo Cuore pietoso arse per noi di amore smisuratissimo. In quel Cuore vi è dunque la cagione, il principio di tutto quello che ha fatto e patito per noi. Cagione che supera in eccellenza l’effetto che ne provenne, perocché più è che Gesù si sia degnato di amarci che non è che ci abbia colmati di grazie, se pur è vero, come è verissimo che più del dono valga il donatore. Di che possiamo dire con verità che il suo Cuore è il compendio ed il fiore più bello di tutte le sue opere. Ne è il compendio perché tutte muovono dall’amore del suo Cuore il quale le elesse, le volle, ne sopportò le necessarie fatiche per eseguirle, ne fece diremo così le spese. Ne è il fiore più bello perché è quello che pone il colmo a tutte le sue degnazioni. Se è amabile Gesù che vagisce in fasce, quel che più ci ferisce è che quei vagiti sono per nostro amore. Se è bello Gesù già tutto sparso di sudore nella sua bottega, quel che più ci muove è il pensare che per amore di noi Egli lavora. Se è mirabile Gesù che percorre la Giudea, che dirozza gli Apostoli, che fonda la Chiesa, il più soave di quello spettacolo è l’amore con cui viene divisando sì belle imprese. E così contemplando Gesù in croce, o nella divina Eucaristia, o lassù nel Cielo quel che più ci commuove è l’amore paziente, l’amor prigioniero, l’amore che ci prepara le sedi celesti. Quanti debiti adunque abbiamo con quel Cuore sacrosanto che tanto ci ha amato! Quante ferite d’amore partono verso di noi da quel buon Cuore!

Cor Jesu flagrans amore nostri, infiamma cor nostrum amore tui.

I. Qual sia l’oggetto materiale della devozione

al SS. Cuore.

Che il Cuore SS. di Gesù sia adorabile l’abbiamo considerato già. Si può ora richiedere in qual modo cel proponga ad adorare la S. Chiesa. Al che è da rispondere brevemente che essa ci presenta come oggetto materiale di questo culto quel Cuore SS. quale si trova in Gesù Cristo, e come oggetto spirituale l’amore smisurato che Gesù ci ha portato e ci porta incessantemente. Per l’uno e per l’altro capo cotesta devozione riesce ammiranda. Considerate frattanto l’oggetto materiale, e vedrete che ad adorarlo peculiarmente cel persuadono d’accordo 1° la sua dignità, 2° la nostra riconoscenza, 3° la pietà nostra.

.1° La sua dignità. Il Cuore in G. Cristo è un cuore vivo, è un cuore congiunto a tutta l’Umanità sacrosanta di Gesù Cristo. Ora quel Cuore non trae la vita naturale se non dall’anima, la quale è senza dubbio l’anima più perfetta che sia uscita dalle mani di Dio creatore. La umanità di G. C. di cui è parte sì precipua il Cuore, è sostentata, come abbiam detto, dalla Persona del divin Verbo, quindi è l’Umanità del Figliuolo di Dio; e se è così, come è certamente, il Cuore di Gesù Cristo è il Cuore di Dio. Quindi la divinità sebbene non distrugga il cuore umano, pure inondandolo di sé medesima, lo innalza, lo sublima ad una dignità infinita. La porpora diventa nobile allorché è portata da un Monarca: ma non cessa per questo di essere sempre separabile da lui, poiché è cosa estrinseca al medesimo. Non è così del Cuore del nostro Gesù. Esso è stato coll’Umanità sacrosanta sì fattamente congiunto alla Persona del Figlio di Dio che è e sarà in eterno il Cuore di Dio. Il Verbo divino che in sé medesimo è immutabile per mezzo di questo cuore palpita, si rallegra, si affligge, si consola, va soggetto a tutte le affezioni della nostra vita mortale, e la nostra umanità di rincontro in Gesù Cristo in maniere al tutto ineffabili è ammessa alle ricchezze, alla gloria, alla maestà della Divinità. Quale oggetto non è pertanto quel Cuore divino anche preso solo materialmente! Come non accarezzerà volentieri ognuno di noi questo Cuore che è accarezzato così intimamente, dalla divinità che l’ha fatto Cuore suo in eterno?

II. La nostra riconoscenza. Due sono senz’alcun dubbio i maggiori beni che noi abbiamo ricevuto da Dio in questa valle di lagrime, lì dono della S. Fede e la divina Eucaristia. La Fede perché è la radice di tutti gli altri doni, e la porta per cui solo si entra a parteciparne e senza di cui è al tutto impossibile il mai pervenire a piacere al Signore: la divina Eucaristia perché contiene non solo le grazie più elette che Dio comunica agli uomini, ma la fonte stessa, l’autore medesimo della grazia N. S. Gesù Cristo. Ora questi due doni volle il Signore che immediatamente ci pervenissero dal Cuore dolcissimo di Gesù Cristo trafitto in croce. Conciossiaché qual è il mistero che sul Calvario si è compiuto? L’Evangelio ci fa sapere che trapassato il costato e ferito il Cuore di Gesù, prontamente ne sgorgò acqua e sangue. Or che cosa è quell’acqua, che cosa è quel sangue? Ah non è soltanto l’ultima prova di quell’affetto per cui Gesù ci volle dare fino all’ultima stilla il sangue delle sue vene, ma per sentimento di tutti i Padri è la grazia della Fede che vien raffigurata in quell’acqua che ne diviene nel Battesimo lo strumento, è il dono della Eucaristia simboleggiato in quel sangue che a noi si comunica nei santi misteri. Cosi lo notò tra molti altri S. Giovanni Grisostomo, osservando che prima noi siamo mondati coll’acqua, poi col sangue siamo consacrati. Primum enim aqua diluimur, deinde sanguine dedicamur. Il perché se vi ha un Sacramento il quale mi ha purificato dalla colpa, mi ha infusa la fede, la speranza,la carità, mi ha conferito l’onore sublimissimo d’esser Figliuolo di Dio, che mi ha conferito il diritto all’eterna eredità, iolo debbo a quel Cuore sacrosanto che mel’ha concesso. Se posso ora con invidiadegli Angeli accostarmi a Gesù Cristo, cibarnele carni immacolate, beverne il preziosissimosangue ed attingere dalla fontestessa ogni maniera di grazie io lo debboal Cuore SS. di Gesù che nell’amor suome le ha dischiuse. Quale riconoscenza nondovrebbe essere la mia! Come potrei mirarequel Cuore senza sentirmi grato a’suoi doni, e come ricevere i suoi donisenza risalir subito alla sorgente da cuimi sono provenuti?

III. La nostra pietà. Dovrei andare anche più oltre: questi smisurati beni mi provengano dal Cuore di Gesù non solo, ma dal Cuore di Gesù ferito e squarciato. Deh! che cosa è questa? Una piaga sanguinolente in mezzo ad un Cuore, e ad un Cuor divino! Chi avrebbe potuto farla se Egli già non l’avesse voluta? Poteva forse l’umana barbarie giungere fino a quell’estremo? E donde avrebbe preso la forza quand’anche ne avesse avuto l’ardire? Ah, quel Cuore è ferito perché ha voluto, e del volerlo ne fa cagione una ferita immensamente più profonda che già gli aveva fatto il suo inestimabile amore. Così lo considera l’amante S. Bernardo, dicendo: Mira come il nostro dolce Gesù a guisa di rosa sia tutto fiorente. Contemplane tutto il corpo ed osserva se v’abbia parte di Lui che non mostri il color sanguigno della rosa. Sono rosei i piedi e le mani, roseo costato altresì, benché sia più pallido il colore, poiché frammista al sangue vi scaturì eziandio dell’acqua. Ora quel colore è indizio dell’ardentissima sua carità. Rubet in indicium ardentissintæ charitatis. Il dolore e l’amore fanno a gara: questo per ardere maggiormente, quello per maggiormente patire. Contendunt passio et charitas, ista ut plus ardeat, illa ut plus rubeat. Che se questo è vero di tutte le ferite sacrosante del Redentore, comenol sarà peculiarmente del suo Cuore dolcissimoche è pure il centro della sua carità?Oh le altre ferite le ha tollerateperché era ferito il suo Cuore, ed all’amoredi questo Cuore dobbiamo tutte le altre sue pene. Gli è però che i Santi trovano che se tutte le piaghe di Gesù sono altrettante porte di salute per gli uomini, quella del Cuore è la più spaziosa ed amena: se tutte le piaghe di Gesù sono fontane donde derivano le grazie e le consolazioni celesti, la piaga del Cuore è quella che mena le acque più abbondanti e più deliziose: se tutte le piaghe di Gesù sono un luogo dolcissimo di rifugio pei peccatori, il suo Cuore è il più sicuro ed il più favorevole. Sanno essi che questa è la cagione intima delle altre sue ferite e però in esse amano di riposarsi tranquillamente di preferenza. Oh perché non prenderemo anche noi a fare altrettanto? Quando ripensiamo ai benefici che Gesù ci ha compartiti, soprattutto alla fede che ci ha donata, all’Eucaristia che per noi ha istituita, perché, dico, non rimonteremo alla sorgente da cui tutto ci è provenuto? Quando mireremo alle sue piaghe perché non ci arresteremo di preferenza al suo Cuore? E perché non ricorreremo a lui nelle nostre necessità più urgenti? Se tanto ha fatto già per noi, Ei ci dimostra quel che sia ancora disposto a fare. Quel Cuore è sempre lo stesso, sempre ci ama, sempre per noi si adopera. Deh! adoperiamoci. ancor noi una volta ad amarlo!

Cor Jesu pro me vulneratum miserere mei.

II. Qual sia l’oggetto spirituale della devozioue al SS.. Cuore.

Il Cuore di Gesù è oggetto di adorazione in sé medesimo perché è il Cuore del Verbo di Dio. Ma di che cosa inoltre è simbolo naturale. Chiunque veda un cuore non può non sentirsi risvegliare il concetto dell’amore. Trattandosi poi di un cuore impiagato, aperto, sormontato da una croce, come è quello di Gesù, il concetto dell’amore infinito che ci ha portato, riesce evidente. Ed appunto per richiamarci alla mente cotesto amore, Egli ci ha offerto il suo SS. Cuore, ed intende coll’offrircelo di provocare i nostri cuori ad un’affettuosa corrispondenza. Qual è dunque l’amore, che ci ricorda? Un amore che non ha limiti 1° nella durata; 2° nella efficacia; 3° nella soavità.

I. Non ha limiti nella durata. Non erano ancora i cieli, non era ancora la terra, non esistevano ancora né Angeli né uomini, e Gesù Verbo divino già era. In principio erat Verbum. E là nel seno delPadre, tra gli splendori della divina gloriaviveva col Padre e collo Spirito Santo infinitamentebeato. Però da tutta l’eternitàEgli aveva già presente il nostro esserefuturo, la nostra caduta, la nostra rovinaed aveva presente altresì tutto quello cheper nostro rimedio avrebbe operato. Né in qualunque modo l’aveva presente, macon infinita compiacenza prendeva dilettodel bene che avrebbe fatto a ciascuno di noi. Vedeva quel che per noi avrebbe patito, quel che avrebbe meritato, la larghezzadivina con cui ce ne avrebbe conmille maniere di grazie, di Sacramenti,di dottrine, di esempi applicati i frutti edi tutto ciò si compiaceva infinitamente.Vedeva i vantaggi che ce ne sarebbero ridondatidi santificazione nella vita presente,di gloria nella vita avvenire e sene rallegrava. Chi lo mosse ad una degnazionecosi smisurata? I nostri meriti? Eche meriti vide in noi carichi d’iniquità?Forse la nostra natura lo esigeva? Ma ecome può richiedere la natura doni chetanto sono sopra ogni natura? Nulla lopoté muovere fuori di quella bontà infinitaper cui si compiacque di amarci diun amore tutto gratuito. E così per tuttaun’eternità si contentò di amarci. In charitate perpetua dilexi te. (Jer. 31, 3). Mio Dioche cosa è questa? Il Verbo di Dio chepensa a me da tutti i secoli, che mi tienpresente, che con tutto sé mi ama? Ah. Uomini, uomini, che v’intenerite se unapersona vi si mantiene fedele ad amarvi qualche anno, sarete dunque freddi perun amore che ha durato un’eternità? Igenitori più affettuosi, gli sposi più teneri,gli amici, i fratelli più affezionati vi hannoamato qualche anno, Gesù Verbo divinovi ha amato un’eternità e solo per Lui nonavrete una fibra che si risente di amore?Oh quando comprenderete che ad un amore eterno ci vuole nulla meno per contraccambioche un’eternità di amore?

II. Non ha limiti nell’efficacia. L’amore che da tutta l’eternità mi portò Gesù non è stato sempre racchiuso in lui solo, ma fu per noi divinamente operoso. Conciossiaché questo lo mosse, dice S. Gregorio, a dare passi da gigante in nostro favore. Mosso dall’amore il Verbo divino venne a vestirsi della nostra umanità quale uno di noi. Qual eccesso di amore che un Dio si sia sottoposto a tutte le infermità di una creatura, quale noi siamo! Né prese la nostra umanità, intorniata di quelle delizie che pur poteva offrire questa misera terra, ma la elesse nelle condizioni più misere di povertà, di abbiettezza, di nascondimento. Dalla vita misera passò più oltre e venne ai dolori, alle agonie, alle ambasce d’una crudelissima morte. Quali prove di amore non sono queste! Eppure di abisso passò ad altro abisso. Non gli bastò di nascondere la sua divinità sotto le spoglie dell’umanità, l’amore gli fe’ nascondere anche questa sotto le specie di poco pane e di poco vino nel mistero Eucaristico per poter così rimanere lungo i secoli a nostro conforto. Di tutte queste opere immense poi quale fu il vantaggio che per noi intese? Volle che noi dalla schiavitù del demonio fossimo redenti, volle che di figliuoli d’ira diventassimo figliuoli di Dio, volle che di miseri condannati che eravamo alle eterne pene fossimo ravviati invece ad una eterna beatitudine. A questo fine accumulò meriti e poi ce ne fece comunicazione. Radunò soddisfazioni e poi le fece nostre. Sparse il suo sangue divino e poi con esso diede valore alle nostre opere, ai nostri patimenti di meritare la vita eterna. Quale operosità nell’amore di Gesù Cristo! Eppure o disconoscere queste verità volgarissime della nostra S. Fede, o confessare che l’amore di Gesù è stato come un amore eterno, così un amore efficacissimo a nostro riguardo. Ed è di qua che le anime amanti non si contentano di amar Gesù a parole, ma procurano di operare per Lui, di mortificarsi per lui, di non darsi posa per lui fino a sacrificarsi per Lui totalmente. Ah se Gesù vi chiedesse qualche particolar sacrificio, sarebbe questo il giorno da non negarglielo.

III. Non ha limiti nella soavità. La grandezza dell’amore di Gesù alla fortezza divina con cui ci ama congiunge una ugual tenerezza. Imperocché se Gesù avesse voluto solo la nostra salvezza ei la poteva ottenere impiegando anche solo un atto della sua divina volontà. Ma ciò non gli bastava se non mostrava altresì la tenerezza dell’amor suo. Che cosa elesse adunque? Volle impiegarvisi con invenzioni si dolci, sì tenere, sì amorose che ottenessero l’effetto, e mostrassero tutto insieme la sua tenerezza infinita. Il Verbo divino poteva salvare gli uomini senza farsi uomo, ma volle abbracciare strettamente la natura nostra assumendola in sé, esaltarla, dignificarla, accarezzarla, divinizzarla. Perché cosi? Ah ci saremmo sentiti più amati avendo un Dio Uomo al pari di noi. Fattosi già uomo poteva con una preghiera, con una lagrima, con un sospiro redimerci a tutto rigor di giustizia, perché dunque le spine, i flagelli, la crocifissione, la morte? Se poco gli avessimo costato, ci saremmo forse creduti amati poco: ora Egli vuole che conosciamo l’infinita tenerezza che ha per noi, quindi colla immensità delle pene ce l’ha dimostrata. Non era necessario che Gesù rimanesse con noi lungo i secoli: perocché qualunque gran bene avrebbe potuto farcelo senza la sua presenza reale nell’Eucaristia. Ma troppo maggiore affetto dimostra quel bene che si fa in persona: quindi Gesù vuol essere Lui a venire da noi, Lui a guarirci, Lui a mondarci, Lui a santificarci: e vuole di presenza trattenersi con noi, e cuore a cuore con noi comunicarsi. Sono queste tenerezze ineffabili della carità di Gesù. Ora non vi sembra che un amore sì lungo, sì smisurato, si affettuoso non meriti qualche corrispondenza? Sappiate adunque che appunto per rendere questa è stata istituita la devozione al suo Cuore divino. In questi tempi di tanta freddezza Ei vuole ristorare il regno della carità. Aspirate adunque ad esser dei primi che si consacrano a sì bella impresa e se ne allontani solo colui che creda non esser dovere di un Cristiano rendere amor per amore. Ma chi invece intenderà che il più grande ed il più dolce nostro dovere è di amarlo per quell’amore che ci ha portato, vede altresì quanto debba amare quel SS. Cuore.

Diligam te fortitudo mea.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.