TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (5) “Da San Bonifacio I a Sisto II”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZ

A PER SENTENZA

DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (5)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(Da Bonifacio I a Sisto III)

S. BONIFACIO I: 29 dicembre 418-4 settembre 422

Lettera “Retro maioribus” al Vescovo Rufo di Tessaglia, 11 Marzo 422.

La preminenza della Sede romana

232 – (cap. 2)… Abbiamo inviato al sinodo (di Corinto)… direttive scritte affinché tutti i fratelli comprendano che ciò che abbiamo giudicato non debba essere discusso di nuovo. Infatti, non è mai stato permesso di trattare nuovamente ciò che sia stato deciso dalla Sede Apostolica.

Lettera “Institutio” ai Vescovi della Tessaglia, 11 marzo 422.

La preminenza della Sede romana

233 – (cap. 1). L’istituzione della Chiesa universale nascente ha preso le mosse dal titolo d’onore del Beato Pietro, in cui consiste il suo governo e la sua incoronazione. Dalla sua fonte, infatti, scaturì la disciplina in tutte le Chiese, quando la venerazione della Religione stava già crescendo. I precetti del Concilio di Nicea non attestano altro; infatti non osava porre nulla al di sopra di lui, perché vedeva che nulla poteva essere posto al di sopra del suo rango, e infine sapeva che tutto gli era stato concesso dalla parola del Signore. Questa (Chiesa romana) è dunque con certezza per tutte le Chiese sparse nel mondo come capo dei suoi membri; se qualcuno si separa da essa, sia allontanato dalla Religione cristiana, poiché ha cessato di far parte di questa stessa assemblea.

Lettera “Manet beatum” a Rufo e agli altri Vescovi di Macedonia, ecc., 11 mar.

La preminenza della Sede romana

234 – Il beato Apostolo Pietro, per parola del Signore, ha ricevuto da Lui la premura per l’intera Chiesa, che, come sapete, è stata fondata su di lui secondo la testimonianza del Vangelo. E mai una posizione d’onore può essere libera da preoccupazioni, poiché è sicuro che tutto dipenda dalla sua riflessione. … Non accada ai Sacerdoti del Signore che qualcuno di loro cada nella colpa di tentare qualcosa con una nuova usurpazione e diventi nemico delle decisioni degli anziani, quando sa di avere per rivale soprattutto colui al quale il nostro Cristo ha affidato il Sommo Sacerdozio; e chi si alzerà a rimproverarlo non sarà un abitante del regno dei cieli. A te”, dice, “darò le chiavi del Regno dei cieli”, Mt XVI, 19 nel quale nessuno entrerà senza il favore del portiere.

235 – Poiché il luogo lo richiede, vi prego di fare un censimento delle determinazioni dei canoni, e troverete quale sia la seconda sede dopo la Chiesa romana, e quale la terza. … Nessuno ha mai alzato la mano con coraggio contro l’eminenza apostolica il cui giudizio non può essere rivisto, nessuno si è opposto se non voleva essere giudicato. Le cosiddette grandi Chiese osservano le dignità per mezzo dei canoni: quelle di Alessandria e di Antiochia (vedi il primo Concilio di Nicea, can. 6); perché hanno conoscenza della legge della Chiesa. Osservano, dico, le decisioni degli anziani, concedendo la loro buona grazia in ogni cosa, mentre ricevono in cambio quella grazia: quella che sanno di dovere a Noi nel Signore che è la nostra pace. Ma poiché la questione lo richiede, si dimostrerà con i documenti che le Chiese d’Oriente, soprattutto nelle grandi questioni che richiedevano un dibattito più ampio, abbiano sempre consultato la Sede romana e chiesto il suo aiuto ogni volta che fosse necessario. (Seguono esempi di appelli e richieste nel caso di Atanasio e Pietro di Alessandria, della Chiesa di Antiochia, di Nettario di Costantinopoli e degli Orientali separati al tempo di Innocenzo I).

S. CELESTINO I: 10 Settembre 422 – 27 luglio 432

Lettera “Cuperemus quidem” ai Vescovi delle province di Vienne e Narbonne, 26 luglio 428.

Riconciliazione in articulo mortis (al momento della morte).

236 – (2) Abbiamo sentito dire che la Penitenza fosse negata ai moribondi e che i desideri di coloro che, al momento della morte, desideravano che la loro anima fosse aiutata da questo rimedio, non venissero esauditi. Siamo inorriditi, lo confessiamo, dall’empietà di coloro che osano mettere in dubbio la bontà di Dio. Come se Dio non potesse aiutare tutti i peccatori che si rivolgono a Lui in qualsiasi momento, e come se non potesse liberare l’uomo che barcolla sotto il peso dei suoi peccati, dal fardello da cui desideri liberarsi. Vi chiedo: qual sia il senso di tutto questo, se non quello di portare una nuova morte a colui che sta per morire, e di uccidere la sua anima, comportandosi in modo tale che non possa più essere purificata? Dio è sempre pronto a perdonare; invita alla penitenza e dichiara: “Al peccatore, qualunque sia il giorno in cui si converte, non sarà più imputato il suo peccato” Ez. XXXIII,16 … Poiché è Dio che scruta i cuori, non dobbiamo mai rifiutare la penitenza a chi la chiede…

Lettera “Apostolici verba” ai Vescovi della Gallia. Maggio 431.

L’autorità di Agostino.

237 – Cap. 2. Agostino, uomo di santa memoria per la sua vita ed i suoi meriti, lo abbiamo sempre avuto in comunione con noi, e mai nemmeno la voce di un sospetto lo abbia raggiunto; e ricordiamo che avesse ai suoi tempi una così grande cultura, che già prima i miei predecessori lo considerassero sempre tra i migliori maestri.

Capitoli della Pseudo-Celestina o “Indiculus“.

La Grazia.

238 – Poiché ci sono alcuni che si gloriano del nome di Cattolici, ma per malvagità o ignoranza rimangono nelle idee condannate degli eretici, osano opporsi ai pii argomentatori, e mentre condannano senza esitazione Pelagio e Celestio, accusano falsamente i nostri maestri di essere andati oltre la misura necessaria, e dichiarano di voler solo seguire e riconoscere ciò che la Santissima Sede del Beato Apostolo Pietro abbia stabilito, dal ministero dei suoi Vescovi, sancito ed insegnato contro i nemici della grazia di Dio, era necessario indagare esattamente il giudizio dei capi della Chiesa romana sull’eresia sorta ai loro tempi e le idee che ritenevano necessario avere sulla grazia di Dio contro i dannosissimi difensori del libero arbitrio. Abbiamo anche accluso alcune sentenze dei Concili africani: quelle che i Vescovi apostolici hanno certamente fatto proprie approvandole. Affinché coloro che dubitino di qualche aspetto possano essere istruiti in modo più completo, pubblichiamo, in un breve riassunto (Indiculus), le costituzioni dei santi Padri. Chi non è troppo incline alla contestazione potrà riconoscere che il risultato di tutte queste discussioni sia racchiuso nelle brevi frasi delle legittime autorità, e che non gli resti alcun motivo di contraddizione, se crede e confessi con i Cattolici:

239 – Cap. 1. Nella prevaricazione di Adamo, tutti gli uomini hanno perso la loro potenza naturale e la loro innocenza, e nessuno può, per libera scelta, risalire dall’abisso di questa rovina, a meno che la grazia di Dio misericordioso non lo sollevi, come dichiara Papa Innocenzo, di felice memoria, nella sua epistola al Concilio di Cartagine: “Una volta vittima del proprio arbitrio, usando i propri beni in modo sconsiderato, l’uomo cade negli abissi della prevaricazione, dove sprofonda, e non trova nulla che gli permetta di uscirne. Ingannato per sempre dalla sua libertà, rimarrebbe schiacciato sotto il peso di questa rovina se non fosse per la grazia di Cristo, che nel bagno del Battesimo ha lavato ogni peccato passato con la purificazione di una nuova nascita.

240Cap. 2. Nessuno è buono di per sé, a meno che Colui che è il solo buono non lo renda partecipe di se stesso. Questo ci viene dichiarato nella stessa lettera con la sentenza dello stesso Papa: “Possiamo d’ora in poi aspettarci qualcosa di buono da spiriti che pensano di dovere la loro bontà a se stessi, senza guardare a Colui dal quale ricevono quotidianamente la grazia, confidando di poterla ottenere senza di Lui? “

241Cap. 3. Nessuno, anche se rinnovato dalla grazia del Battesimo, è in grado di vincere le insidie del diavolo, né di vincere le concupiscenze della carne, se non riceve dall’aiuto quotidiano di Dio la perseveranza nella vita buona. Ciò è confermato dalla dottrina dello stesso Pastore in queste stesse pagine, dove dice: “Anche se Dio ha riscattato l’uomo dai suoi peccati passati, perché sa che ci saranno mezzi per renderlo giusto, anche dopo queste colpe, dando ogni giorno quei rimedi senza i quali, se non ci affidiamo con fiducia ad essi, non potremo in alcun modo superare i nostri errori umani. Perché è necessario che, come siamo vittoriosi con il suo aiuto, così senza il suo aiuto siamo sconfitti.

242Cap. 4. Che nessuno usi il suo libero arbitrio se non per mezzo di Cristo, lo stesso maestro lo dichiarò nella lettera inviata al Concilio di Milevi 219: “Attenzione, infine, alla dottrina perversa di menti molto perverse, che la sua stessa libertà ha così ingannato il primo uomo che, mentre egli usava il suo freno più dolcemente, la sua presunzione lo fece cadere nella prevaricazione”. Non avrebbe potuto esserne liberato se, con l’intenzione di rigenerarlo, la venuta di Cristo non avesse ripristinato lo stato della prima libertà.

243Cap. 5. Tutti gli sforzi, tutte le opere e tutti i meriti dei Santi devono essere elevati alla gloria e alla lode di Dio. Nessuno lo soddisfa se non con ciò che Egli stesso ha dato. È verso questa idea che ci indirizza l’autorità decisiva di Papa Zosimo, di felice memoria, quando, scrivendo ai Vescovi di tutto l’universo, dice: “Per noi, è per una mozione divina (tutti i beni devono infatti essere riferiti al loro Autore, da cui provengono) che abbiamo consegnato tutto alla coscienza dei nostri fratelli e colleghi Vescovi. I Vescovi d’Africa veneravano talmente queste parole, in cui brillava la luce di una verità molto sincera, che scrissero al loro autore come segue: “Questa frase nelle lettere che vi siete preoccupati di inviare a tutte le province, dicendo: “Per noi è per moto divino, ecc. ” …  abbiamo pensato che lo dicesse per colpire rapidamente, come di sfuggita, con la spada sguainata della verità, coloro che esaltano la libertà del libero arbitrio contro l’aiuto di Dio. Che cosa ha fatto con questo libero arbitrio se non riferire tutto alla nostra umile coscienza? E tuttavia avete visto con sincerità e saggezza che lo avete fatto per moto divino e lo avete detto con verità e coraggio. Pertanto, poiché “la volontà è preparata dal Signore”, (Pr. VIII, 35 LXX; cfr. Can. 374), egli stesso tocca il cuore dei suoi figli con le sue ispirazioni paterne, in modo che essi facciano del bene. “Tutti coloro che sono animati dallo Spirito di Dio sono figli di Dio” (Rm. VIII,14); quindi, non pensiamo che manchi il nostro libero arbitrio e non dubitiamo che, in ognuno dei buoni movimenti della volontà umana, sia prevalente l’aiuto dello Spirito Santo”.

244Cap. 6. Dio agisce nel cuore degli uomini e nella stessa libera volontà, così che un pensiero santo, un’intenzione pia ed ogni movimento di volontà buona vengono da Dio: possiamo fare del bene grazie a Lui, senza il quale non possiamo fare nulla Gv. XV, 5. Lo stesso dottore Zosimo ci ha insegnato a dire questo quando ha parlato ai Vescovi di tutto l’universo dell’aiuto della grazia divina: “C’è un momento – ha detto – in cui non abbiamo bisogno del suo aiuto? In ogni atto, in ogni situazione, in ogni pensiero, in ogni movimento, dobbiamo invocare il nostro aiutante ed il nostro protettore. È un vanto per la natura umana vantarsi di qualcosa, quando l’Apostolo proclama: “Noi non combattiamo contro avversari di carne e di sangue, ma contro i principati e le potenze dell’aria, contro gli spiriti maligni degli spazi celesti” Ef. VI, 12. E come dice lui stesso: “Misero che sono! Chi mi libererà da questo corpo che mi condanna alla morte? La grazia di Dio attraverso il nostro Signore Gesù Cristo. E ancora: “È per grazia di Dio che sono quello che sono, e la sua grazia verso di me non è stata infruttuosa, ma ho faticato più di tutti loro: non io, ma la grazia di Dio che è con me” 1 Co XV, 10.

245Cap. 7. Accettiamo anche come proprietà propria, per così dire, della Sede Apostolica, ciò che sia stato deciso nei decreti del Concilio di Cartagine (418) nel suo terzo capitolo: “Chiunque dica che la grazia di Dio, che giustifica l’uomo per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, sia solo per la remissione dei peccati già commessi, ma non per aiutarlo a non peccare più, sia anatema!”. E ancora nel quarto capitolo: “Chiunque dica che la grazia di Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo ci aiuti a non peccare più nel senso che ci rivela e ci apre la comprensione dei comandamenti, in modo che sappiamo ciò che dobbiamo desiderare e ciò che dobbiamo evitare, ma non ci dà in alcun modo l’amore e la forza di fare anche ciò che abbiamo riconosciuto come nostro dovere, sia anatema!”. Poiché l’Apostolo dice: “La conoscenza gonfia, ma la carità edifica”, -1 Cor VIII, 1- è molto empio pensare che abbiamo la grazia di Cristo per la conoscenza che gonfia e non per la carità che edifica, poiché è anche un dono di Dio sapere ciò che dobbiamo fare e avere l’amore per farlo. Così la carità che edifica impedisce alla conoscenza di gonfiarci. Come è scritto di Dio: “Egli insegna all’uomo la sapienza”, Sal XCIV, 10, così è scritto: “La carità viene da Dio”, 1Gv IV, 7. E così pure nel quinto capitolo: “Chiunque dica che la grazia della giustificazione ci venga data proprio per poter fare più facilmente con essa ciò che dobbiamo fare con il nostro libero arbitrio, in modo che, se la grazia non fosse data, potremmo tuttavia, anche se con minore facilità, osservare i comandamenti di Dio senza di essa, sia anatema!”. Quando parla del frutto dei Comandamenti, il Signore non dice: “Senza di me potete farlo più facilmente”, ma: “Senza di me non potete fare nulla” 1Gv XV, 5.

246Cap. 8. Oltre a queste decisioni inviolabili della Santissima Sede Apostolica con le quali i nostri santi Padri, respingendo l’orgoglio di questa novità malvagia, hanno insegnato che i comandamenti della buona volontà, l’aumento degli sforzi lodevoli e la perseveranza in essi fino alla fine, sono da attribuire alla grazia di Cristo, consideriamo anche i misteri delle preghiere dette dai Sacerdoti. Queste sono stati tramandate dagli Apostoli e vengono celebrate uniformemente in tutto il mondo e in tutta la Chiesa cattolica, affinché la legge della preghiera sia la legge della fede. Quando coloro che presiedono le assemblee sacre svolgono la missione loro affidata, presentano la causa del genere umano alla clemenza divina e, con tutta la Chiesa che geme, chiedono e pregano che sia data la fede agli increduli, che gli idolatri siano liberati dagli errori che li lasciano senza Dio, che scompaia il velo che copre il cuore dei Giudei, che il velo che copre i cuori dei Giudei scompaia e la luce della verità risplenda su di loro; che gli eretici si pentano ed accettino la fede cattolica; che gli scismatici ricevano lo spirito di una rinnovata carità; che a coloro che sono caduti siano dati i rimedi della penitenza; che infine il palazzo della misericordia celeste sia aperto ai catecumeni condotti ai Sacramenti della rigenerazione. Queste richieste non sono rivolte a Dio in modo formale o vano: i fatti lo dimostrano. Dio, infatti, si degna di trarre molte vittime da ogni tipo di errore; “strappate al potere delle tenebre, le introduce nel regno del suo Figlio diletto” Col. I:13, e “da vasi d’ira” le rende “vasi di misericordia” Rm. IX: 22-23. Tutto questo è così fortemente sentito come opera di Dio che continui ringraziamenti e lodi della Sua gloria sono rivolti a Dio che fa queste cose, per aver illuminato e corretto questi uomini.

247Cap. 9. Contempliamo anche con occhio diligente ciò che la santa Chiesa fa uniformemente per i battezzati di tutto il mondo. Quando i bambini o gli adolescenti si accostano al Sacramento della rigenerazione, non entrano nella fonte della vita finché lo spirito immondo non sia stato espulso da loro attraverso gli esorcismi e le esalazioni dei sacerdoti; affinché sia veramente messo in luce come “il principe di questo mondo viene scacciato” (Gv XII,31), come “prima l’uomo forte viene legato” (Mt XII, 29), e poi “gli vengono tolti i beni” (Mc III, 27), che passano in possesso del vincitore, che “ha fatto prigionieri i prigionieri” (Ef IV, 8) e che “fa doni agli uomini” (Sal LXVII,19).

248 – Queste regole della Chiesa e queste prove fondate sull’autorità divina ci hanno talmente confermato, con l’aiuto del Signore, che professiamo che Dio sia l’Autore di tutti i buoni movimenti e le buone azioni, di tutti gli sforzi e di tutte le virtù che, fin dagli inizi della fede, ci fanno tendere verso Dio. Non dubitiamo che la sua grazia anticipi tutti i meriti dell’uomo. Attraverso di Lui cominciamo a “volere” e a “fare” del bene Ph. II:13. Questo aiuto e questa assistenza da parte di Dio non tolgono il libero arbitrio, ma lo liberano, in modo che dalle tenebre diventi luce, dalla perversione diventi diritto, dal languore diventi salute, dall’imprudenza diventi saggezza. Perché è così grande la bontà di Dio verso tutti gli uomini che vuole che i nostri meriti siano suoi doni e che ci dia una ricompensa eterna per ciò che ci ha elargito. Egli opera in noi per volere e fare ciò che vuole, e non permette che ciò che ci ha dato rimanga inattivo in noi, affinché lo usiamo, non lo trascuriamo, affinché siamo anche noi cooperatori della grazia di Dio. Se vediamo che qualcosa langue in noi a causa della nostra viltà, rivolgiamoci a Colui che guarisce tutte le nostre lingue e riscatta la nostra vita dalla morte, Sal. CII, 3-4, al quale diciamo ogni giorno: “Non ci indurre in tentazione, ma liberaci del male” Mt. VI:13.

249 – Cap. 10. Per quanto riguarda i punti più profondi e difficili delle questioni che si pongono, e che sono stati trattati nella misura più ampia da coloro che hanno resistito agli eretici, non osiamo disprezzarli, né riteniamo necessario citarli, per confessare la grazia di Dio. Non osiamo disprezzarli, né riteniamo necessario farvi riferimento, perché per confessare la grazia di Dio, alla cui opera misericordiosa non può sfuggire assolutamente nulla, riteniamo sufficiente ciò che questi scritti ci hanno insegnato, secondo le norme della Sede Apostolica già citate, tanto che non consideriamo più come cattolico ciò che sembrerebbe contrario alle sentenze sopra stabilite.

CONCILIO DI EFESO (3° ecumenico)

22 giugno – Settembre 431

Prima sessione dei Cirilliani, 22 giugno 431.

a) 2a lettera di Cirillo di Alessandria a Nestorio

L’incarnazione del Figlio di Dio

250 – Non diciamo infatti che la natura del Verbo con una trasformazione si sia fatta carne, né che si sia trasformata in un uomo completo, composto di anima e corpo, ma piuttosto questo: il Verbo, avendo unito secondo l’ipostasi una carne animata da un’anima ragionevole, si è fatto uomo in modo indicibile ed incomprensibile ed ha ricevuto il titolo di Figlio dell’uomo, non per semplice volontà o piacere, né perché ne avrebbe assunto solo il carattere; e diciamo che le nature sono diverse quando sono riunite in una vera unità, e che dalle due è nato un solo Cristo ed un solo Figlio, non perché la differenza delle nature sia stata abolita dall’unione, ma piuttosto perché la divinità e l’umanità hanno formato per noi l’unico Signore Cristo e Figlio con la loro ineffabile ed indicibile compresenza nell’unità. Così, sebbene Egli sussista prima dei secoli e sia stato generato dal Padre, si dice anche che sia stato generato secondo la carne da una donna, non che la sua natura divina abbia cominciato ad essere nella santa Vergine, né che abbia avuto necessariamente bisogno di una seconda nascita attraverso di Lei dopo quella che aveva ricevuto dal Padre, È infatti una leggerezza e un’ignoranza dire che Colui che esiste prima dei secoli ed è co-eterno con il Padre, abbia bisogno di una seconda generazione per esistere, ma poiché fu per noi e per la nostra salvezza che si unì secondo l’ipostasi dell’umanità e nacque dalla Donna, si dice che fosse generato da Lei secondo la carne.

251 (questo numero è suddiviso in sottocapitoli: 251a; 251b; 251c; 251d; 251e) –

Infatti, non è stato un uomo comune quello che è stato generato per primo dalla Beata Vergine e sul quale è poi disceso il Verbo, ma è per essere stato unito alla sua umanità fin dal grembo materno che si dice che abbia subìto la generazione carnale, in quanto si è appropriato della generazione della sua stessa carne. Così diciamo che abbia sofferto ed è risorto, non che il Dio-Verbo abbia sofferto nella sua natura i colpi, i fori dei chiodi e le altre ferite (perché la divinità è impassibile, essendo incorporea); ma poiché il corpo che è diventato suo abbia sofferto tutto questo, diciamo ancora che è stato Lui (il Verbo) a soffrire per noi: l’Impassibile era nel corpo che soffriva. Ed è allo stesso modo che pensiamo alla sua morte. Perché il Verbo di Dio è per natura immortale, incorruttibile, vivificante e vivificato. Ma ancora, poiché il suo stesso corpo, per grazia di Dio, ha gustato la morte per ogni uomo, come dice Paolo (Eb. II, 9), diciamo che egli ha sofferto la morte per noi: non perché abbia sperimentato la morte per quanto riguarda la propria natura (sarebbe folle dirlo o pensarlo), ma perché, come ho appena detto, la sua carne ha gustato la morte. Così, essendo la sua carne risorta, si parla di risurrezione del Verbo, non perché il Verbo sia caduto nella corruzione, anzi, ma ancora perché la sua carne è stata risuscitata. il corpo è risorto. … Così essi (i santi padri) si sono permessi di chiamare la santa Vergine Madre di Dio, non perché la natura del Verbo o la sua divinità abbia ricevuto l’inizio della sua esistenza dalla santa Vergine, ma perché da lei è stato generato il suo santo corpo animato da un’anima ragionevole, un corpo al quale il Verbo è stato unito secondo l’ipostasi e per questo si dice che è stato generato secondo la carne.

b) 2. Lettera di Nestorio a Cirillo

L’unione delle nature in Cristo

251a – (Cap. 3) Io (noi) credo dunque, dicono i santi padri, nel Signore nostro Gesù Cristo, suo Figlio, suo unigenito. Osservate come essi abbiano dapprima posto come basi “Signore”, “Gesù”, “Cristo”, “Unigenito”, “Figlio”, nomi comuni alla divinità e all’umanità, per poi costruire la tradizione dell’Incarnazione, della Risurrezione e della Passione; Il loro scopo era, una volta stabiliti alcuni nomi significativi comuni all’una e all’altra natura, che ciò che si riferisce alla figliolanza e alla signoria non venisse diviso, e che nell’unicità della figliolanza ciò che si riferisce alle nature non rischiasse di scomparire per confusione.

251b – (Cap. 4) Questo, infatti, aveva insegnato loro Paolo, il quale, accennando all’Incarnazione divina e in procinto di aggiungere la Passione, inizia mettendo questo nome di Cristo comune alle nature, come ho detto poco fa, e poi aggiunge il discorso relativo alle due nature. Che cosa dice in effetti: “Abbiate tra voi gli stessi sentimenti che erano in Cristo Gesù. Egli, che esisteva in forma di Dio, non custodì gelosamente il rango che lo rendeva uguale a Dio, ma (per non citare tutto nei dettagli) si fece obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil. II, 5 – Fil. 8). Così, mentre si accingeva a menzionare la morte, affinché non si traesse la conclusione che il Verbo di Dio sia passibile, pone questo nome di Cristo, come appellativo che indica la sostanza impassibile e passibile in una sola Persona, impassibile per la divinità, passabile per la natura corporea.

251c – (Cap. 5) Anche se potrei dire molto su questo argomento, e prima di tutto che in relazione all’economia questi santi Padri non hanno nemmeno menzionato la generazione ma l’Incarnazione, sento che la mia promessa di brevità nel mio preambolo mi trattiene dal discorso e mi porta al secondo punto della Vostra Carità. Lì ho lodato la divisione delle nature secondo la ragione dell’umanità e della divinità e la loro congiunzione in una sola Persona; e anche che voi dite che Dio Verbo non ha avuto bisogno di una seconda generazione dalla Donna e che confessate che la divinità non è suscettibile di sofferenza. Tutto questo è ortodosso perché vero e contrario alle false opinioni di tutte le eresie sulle nature del Signore. Se il resto contiene una saggezza nascosta, incomprensibile per le orecchie dei lettori, spetta alla vostra penetrazione conoscerla: a me, almeno, è sembrato, in ogni caso, ribaltare quanto detto sopra. Infatti, Colui che in precedenza era stato proclamato impassibile e non suscettibile di una seconda generazione, fu nuovamente presentato, non so come, come passibile e creato ex novo, come se le qualità inerenti al Dio-Verbo fossero state distrutte dal congiungimento con il Tempio, o che fosse una cosa da poco agli occhi degli uomini che il Tempio senza peccato, inseparabile dalla natura divina, dovesse subire la generazione e la morte per amore dei peccatori, o che la voce del Signore che gridava ai Giudei non fosse creduta: “Distruggete questo Tempio e lo farò risorgere in tre giorni” Gv. II, 19 e non: “Distruggete la mia divinità e sarà risorta in tre giorni”.

251d – (Cap. 6)… In ogni luogo della divina Scrittura, quando si parla dell’economia del Signore, la generazione e la Passione che vengono presentate non sono quelle della divinità, ma dell’umanità di Cristo, così che la santa Vergine deve essere chiamata con una denominazione più esatta Madre di Cristo e non Madre di Dio. Ascoltate anche le parole del Vangelo che proclamano: “Nel Libro della genealogia di Gesù Cristo, si dice: figlio di Davide, figlio di Abramo” Mt I,1 È chiaro, dunque, che il Dio-Verbo non era figlio di Davide. Vi prego di considerare un’altra testimonianza: “Giacobbe generò Giuseppe, sposo di Maria, dalla quale fu generato Gesù, che essi chiamano il Cristo”. Mt I, 16 Esaminate un’altra voce che ci testimonia: “Questa fu la generazione di Gesù Cristo”. Poiché Maria, sua madre, era promessa sposa di Giuseppe, rimase incinta per opera dello Spirito Santo” Mt I, 18. Chi potrebbe supporre che la divinità del Figlio unigenito sia una creatura dello Spirito? E che dire di questa parola: “La Madre di Gesù era lì” Gv. II,1. E ancora: “Con Maria, madre di Gesù” At, 1,14, e “Ciò che fu generato in lei fu dallo Spirito Santo” Mt I, 20 e: “Prendi il bambino e sua madre e fuggite in Egitto” Mt. II,13; ed a proposito del suo Figlio, che è nato dalla stirpe di Davide secondo la carne” Rm. 1,3 e ancora a proposito della Passione: “Dio, avendo mandato il suo Figlio a somiglianza di carne di peccato e a causa del peccato, ha condannato il peccato nella carne” Rm. VIII, 3 e ancora: “Cristo è morto per i nostri peccati” 1Co XV, 3 e: “Cristo ha sofferto nella sua carne” 1Pt IV, 1 e: “Non è questa la mia divinità, ma il mio corpo spezzato per voi” 1Co XI, 24.

251e – (Cap. 7) E poiché un’infinità di altre voci testimoniano al genere umano che la divinità del Figlio non è da considerarsi recente o passibile di sofferenza corporea, ma piuttosto la carne unita alla natura della divinità (per cui Cristo si definisce Signore di Davide e suo figlio: “Qual è la vostra opinione”, dice, “del Cristo? Di chi è figlio? Gli dicono: “di Davide”. Gesù rispose loro: “Come mai Davide, sotto l’azione dello Spirito, lo chiama Signore, dicendo: “Il Signore disse al mio Signore”: Mt XXII, 42-44 (nel pensiero che Egli è interamente figlio di Davide secondo la carne, ma Signore di Davide secondo la divinità), è bene e conforme alla tradizione evangelica confessare che il corpo è il Tempio della divinità del Figlio e un Tempio unito secondo una congiunzione suprema e divina, così che la natura della divinità si appropria di ciò che appartiene a questo Tempio; Ma in nome di questa appropriazione, attribuire al Verbo anche le proprietà della carne congiunta, cioè la generazione, la sofferenza e la mortalità, è il fatto, fratelli, di un pensiero o traviato dai Greci, o ammalato della follia di Apollinare, di Ario e delle altre eresie, o piuttosto è qualcosa di più grave di queste. Perché necessariamente chi si lascia trascinare dalla parola “appropriazione” dovrà rendere il Verbo Dio partecipe dell’appropriazione, perché di appropriazione si tratta, renderlo partecipe della crescita progressiva e del timore al momento della Passione ed il metterlo nel bisogno dell’assistenza di un Angelo. E passo sotto silenzio la circoncisione, il sacrificio, il sudore, la fame, tutte cose che, attaccate alla carne, sono adorabili come avvenute a causa nostra, ma che, se attribuite alla Divinità, sono false e ci causano, come calunniatori, una giusta condanna.

c) Anatemi di Cirillo di Alessandria, allegati alla lettera del Concilio di Alessandria, a Nestorio (III lettera di Cirillo a Nestorio).

L’unione delle nature in Cristo

252 (1) Se qualcuno non confessa che l’Emmanuele sia Dio in verità e che per questo la Beata Vergine sia la Madre di Dio (perché ha partorito il Verbo di Dio fatto carne dalla carne), sia anatema!

253 (2) – Se qualcuno non confessa che il Verbo, che procede da Dio Padre, sia stato unito secondo l’ipostasi alla carne, e che è un solo Cristo con la sua stessa carne, cioè lo stesso Dio e lo stesso uomo, sia anatema!

254 (3) – Se qualcuno, a proposito dell’unico Cristo, divide le ipostasi dopo l’unione, combinandole secondo la mera congiunzione della divinità, della sovranità o della potenza, e non piuttosto con la riunione secondo un’unione fisica, sia anatema!

255 (4) – Se qualcuno divide in due persone o ipostasi le parole contenute nei Vangeli e negli scritti degli Apostoli, sia quelle pronunciate dai Santi a proposito di Cristo, sia quelle pronunciate da Lui a proposito di se stesso, e ne attribuisce alcune a Lui come ad un uomo considerato separatamente dal Verbo da Dio, e altre al solo Verbo da Dio Padre perché sono appropriate a Dio, sia anatema!

256 (5) – Se qualcuno osi dire che Cristo sia un uomo teoforico e non piuttosto Dio in verità come Figlio unigenito e per natura, poiché il Verbo si è fatto carne e ha comunicato in sangue e carne come noi, sia anatema!

257 (6) – Se qualcuno dice che il Verbo del Padre Dio sia il Dio o il Maestro di Cristo e non confessi piuttosto che lo stesso è sia Dio che uomo, poiché il Verbo si è fatto carne secondo le Scritture, sia anatema!

258 (7) – Se qualcuno dice che Gesù, in quanto uomo, sia stato mosso dal Dio-Verbo e che la gloria del Figlio unigenito sia stata attribuita a Lui come ad un altro che sussiste a parte Lui, sia anatema!

259 (8) – Se qualcuno osi dire che l’uomo assunto debba essere co-adorante e co-glorificato con Dio Verbo e che debba essere chiamato Dio come un altro con un altro (perché ogni volta l’aggiunta della parola “con” costringerà a concepire la cosa in questo modo) e non onora invece l’Emmanuele con un’unica adorazione e non gli rivolga un’unica glorificazione, secondo che il Verbo si è fatto carne, sia anatema!

260 (9) Se qualcuno dice che l’unico Signore Gesù Cristo sia stato glorificato dallo Spirito, come se avesse usato un potere estraneo che gli è venuto dallo Spirito, e che abbia ricevuto da Lui il potere di agire contro gli spiriti immondi e di compiere i suoi segni divini tra gli uomini, e non dica piuttosto che questo Spirito, con cui ha operato i segni divini, fosse il suo proprio, sia anatema!

261 (10) – La Sacra Scrittura dice che Cristo sia stato il Sommo Sacerdote e l’Apostolo della nostra confessione di fede (cfr. Eb. III,1) e che si è offerto per noi come aroma profumato a Dio e al Padre. Se poi qualcuno dice che il nostro Sommo Sacerdote e Apostolo non fosse il Verbo stesso da Dio quando si è fatto carne ed uomo come noi, ma che fosse un altro propriamente distinto da Lui, un uomo nato da donna; o se qualcuno dice che abbia presentato l’offerta per sé e non piuttosto per noi soltanto (perché chi non conosceva il peccato non poteva avere bisogno dell’offerta), sia anatema!

262 (11) –  Se qualcuno non confessa che la carne del Signore sia vivificante e che sia la carne stessa del Verbo venuto da Dio Padre, ma sostiene che sia quella di un altro, distinto da lui e unito a lui secondo la dignità, o che abbia ricevuto solo l’abitazione divina; e se invece non confessa che è vivificante, come abbiamo detto, perché è la carne stessa del Verbo, che ha il potere di vivificare ogni cosa, sia anatema!

263 (12) – Se qualcuno non confessa che il Verbo di Dio abbia sofferto nella carne, sia stato crocifisso nella carne, abbia gustato la morte nella carne e sia il primogenito dai morti, in quanto è vita e vivifica come Dio, sia anatema!

Sentenza del Concilio contro Nestorio.

Condanna del nestorianesimo

264 – Poiché l’onorabile Nestorio, tra l’altro, non ha voluto né obbedire al nostro invito, né ricevere i Vescovi santissimi e reverendissimi che gli abbiamo inviato, siamo stati costretti ad esaminare le empietà che ha pronunciato, come risulta dalle sue lettere, dagli scritti che sono stati letti e dalle dichiarazioni che ha pronunciato recentemente in questa metropoli, e di cui abbiamo testimonianze, lo abbiamo colto nell’atto di pensare e predicare empiamente, costretti sia dai canoni che dalla lettera del nostro santissimo Padre e collega nel ministero Celestino, Vescovo della Chiesa di Roma, siamo giunti, non senza molte lacrime, a questa triste sentenza contro di lui: Nostro Signore Gesù Cristo, da lui bestemmiato, ha deciso con questo santissimo Concilio che il detto Nestorio sia d’ora in poi spogliato della dignità episcopale e separato dall’intero corpo sacerdotale.

VI sessione dei Cirilliani, 22 luglio 431.

L’attaccamento alla professione di fede nicena.

265 – Il santo Concilio ha deciso che a nessuno sia permesso professare, o scrivere, o comporre una confessione di fede diversa da quella definita dai santi Padri riuniti a Nicea con lo Spirito Santo. …

266 – Se qualcuno, Vescovi, chierici o laici, si convincesse di accettare, condividere o insegnare le dottrine contenute nell’esposizione del presbitero Carisio sull’incarnazione dell’unigenito Figlio di Dio, o quelle di Nestorio, che sono dannose e distorte, cada sotto la sentenza di questo santo Concilio ecumenico.

VII sessione dei Cirilli, 31 agosto (?) 431; lettera sinodale.

Condanna del pelagianesimo.

267 – (Can. 1) Il metropolita di un’eparchia che si separa da questo santo Concilio ecumenico… o che ha condiviso le opinioni di Celestio o le condividerà in futuro, non può più agire in alcun modo contro i Vescovi dell’eparchia, mentre d’ora in poi è escluso dal Concilio da ogni comunione ecclesiastica e sospeso da ogni attività.

268 – (Can. 4). Se alcuni chierici si sono separati e hanno osato condividere privatamente o pubblicamente le opinioni di Nestorio o di Celestio, è stato giudicato che anche loro siano stati deposti dal santo Concilio.

XISTIUS (SISTO) III: 31 luglio 432 – 19 Agosto 440

Formula di unione tra Cirillo di Alessandria e i Vescovi della Chiesa di Antiochia, primavera 433.

Le due nature in Cristo

271 – Ciò che pensiamo e diciamo riguardo alla Vergine Madre di Dio e al modo dell’incarnazione dell’unigenito Figlio di Dio, lo diremo brevemente e per quanto è necessario, non per aggiungere qualcosa, ma per assicurarvi pienamente di ciò, come lo abbiamo ritenuto fin dall’inizio, avendolo ricevuto dalle divine Scritture e dalla tradizione dei Santi Padri, senza aggiungere nulla alla fede esposta dai santi Padri di Nicea. Come abbiamo già detto, questo è sufficiente per la conoscenza della vera fede e per la confutazione di ogni errore eretico. Parleremo quindi senza l’audacia di avvicinarci a ciò che è inaccessibile, ma, confessando la nostra debolezza, chiuderemo la bocca a chi vuole attaccarci perché scrutiamo ciò che è al di sopra dell’uomo.

272 – Confessiamo dunque il Signore nostro Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, perfetto Dio e perfetto uomo, fatto di un’anima ragionevole e di un corpo, generato dal Padre prima dei secoli nella sua divinità, ed alla fine dei giorni lo stesso per noi e per la nostra salvezza, nato dalla Vergine Maria nella sua umanità; lo stesso consustanziale al Padre nella sua divinità e consustanziale a noi nella sua umanità. Poiché delle due nature è stata fatta l’unione, noi confessiamo un solo Cristo, un solo Figlio, un solo Signore. E per questa nozione di unione indissolubile, confessiamo che la santa Vergine è la Madre di Dio, perché il Verbo di Dio si è fatto carne ed uomo, e fin dal momento del concepimento ha unito a sé il Tempio che ha preso da Lei.

273 – Per quanto riguarda le espressioni dei Vangeli e degli Apostoli sul Signore, sappiamo che i teologi ne applicano alcune indifferentemente, perché si riferiscono all’unica Persona, ma distinguono le altre perché si riferiscono alle due nature, e attribuiscono alla divinità di Cristo quelle che sono appropriate a Dio, ed alla sua umanità quelle che segnano il suo abbassamento.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (6) “Da s. LEONE Magno a Ilario”.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.