QUARESIMALE (XXXVIII)

QUARESIMALE (XXXVIII)

DI FULVIO FONTANA

Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711).

PREDICA TRENTESIMAOTTAVA

Nella Feria terza dopo Pasqua.

La Perseveranza è quella virtù che corona l’opera.

Stetit Jesus in medio discipulorum suorum. Luc. 14.

Origene, figlio di martire, padre spirituale de’ martiri, sì santo un dì, e sì nemico implacabile di sé stesso, che ne passava i più rigidi penitenti dell’Eremo; sì immacolato e puro, che non sembrava uomo di carne, ma Angelo vestito di essa. Quegli, a cui la grande Alessandria d’Egitto, dove insegnava, era nella pietà e nella dottrina obbediente discepola. Origene sì assiduo nel contemplare, che pareva vivere tutto a sé solo, sulla punta d’un monte, o nelle solitudini della Nitria, o ne’ deserti della Tebaide, del cui zelo nel dilatare la fede oltre l’Egitto, ne fa fede l’Arabia, ove là predicò, e la conversione de’ popoli che vi fece; del cui sapere nelle materie sacre vi hanno numerosi testimoni ne’ tanto eccellenti volumi che compose. Origene in poche parole, fanciullo Angelo, giovane santo, uomo apostolo, e vecchio? Oh Dio! Apostata, seminatore d’eresie, diviso dalla comunione de’ fedeli, come membro putrefatto, ed infettatore degli altri. Dio immortale! dopo lunga condotta d’anni virtuosi, tutto si perde, se non si persevera? Così è! La Perseveranza è quella virtù che porta il premio sicuro ad ogni altra. Quanti e quanti, simili ad Origene si sono veduti operari indefessi nella vigna di Cristo, che poi gli hanno vergognosamente voltate le spalle, son tornati al partito del mondo sotto le insegne del demonio? – Confesso il vero riveriti ascoltanti, che io non vorrei mutazioni sì dolorose; spero, con giubilo del mio cuore, aver fatto qualche frutto nelle anime vostre in questi sacri giorni. Sarei troppo inconsolabile se potessi sol sospettare, che chi ha mutato vita divenisse un altro Origene nel terminarla; vorrei perseveranza nel bene incominciato; vorrei, che al fine di nostra vita potesse verificarsi che siccome Gesù stetit, si fermò in medio Discipulorum; così si fosse stabilito nel mezzo del nostro cuore, con vera perseveranza. A questa v’esorterò, e son da capo. Chi ama teme, e chi più ama, più teme: res est solliciti, plena timoris amor. Non vi sdegnate, o miei RR.AA., (e io vi paleso il mio timore), temo che abbandoniate quel tenor di vita che avete preso, sicché non torniate sotto lo stendardo del demonio, ed il timore ha qualche fondamento. Sovvengavi di quei due pellegrini, che andavano in Emaus: certo che da principio si erano portati bene; avevano dato fede a Cristo: sperabamus quia ipse esset redempturus Israel; ma quando cominciò a spuntar la sera del terzo giorno senza vederlo, cominciarono a vacillare, a diffidare; onde da Cristo furono ripresi. O stulti, tardi corde ad credendum! Chi però mi promette, che innanzi sera qualcheduno di voi muti parere, volti le spalle a Cristo e, passata la Pasqua, torni a quei ridotti, a quei discorsi, a quei compagni, quegli odii, a quegli amori? No, no, esto firmus, state saldi nella vita intrapresa, né vi lasciate ingannare dall’inimico del vostro bene. Tre sono gl’inganni, che il demonio procura di mettere nel nostro cuore perché non perseveriamo nella grazia del Signore. Il primo riguarda noi, ed è il farvi apprendere, esser impossibile continuar lungamente senza lo sfogo delle vostre passioni. Il secondo riguarda il demonio, figurandovi esser facile scappar di nuovo dalle sue reti, quando ne restiate nuovamente presi. Il terzo riguarda Dio, credendovelo con le braccia aperte sempre per ricevervi a penitenza. Quanto al primo, vi replico: non vi lasciate ingannar dal demonio che vi dice al cuore: tu, dunque, non ti hai da prender più un sollievo; non più in quel giuoco, non più in quel ballo, in quella veglia? E come è possibile passare tutta la vita priva di tali sollievi? Ecco l’inganno del demonio; ecco che ve lo scopro; piano voi dite, sempre tutta la vita senza spassi? Ma che vita vi figurate? E chi sa che la vostra vita non si riduca a giorni? E se così fosse, per pochi giorni vi sareste perduto il Paradiso. Ricordatevi di ciò che avvenne a Mosè con gl’Israeliti. Voi ben sapete, che questi avevano aspettato Mosè nel monte con molta pazienza, né mai avevano dato segno alcuno di cuor ribelle; ma finalmente attediati dalla dimora, cominciarono ad infastidirsi, e pensando che Mosè si fosse affatto dimenticato di loro, e che almeno dovesse indugiar lungamente a ritornare, deliberarono d’eleggersi un nuovo capo; e per poterne più agevolmente disporre a lor modo, che pensate  che facessero? Soggettarono ad un bue dorato: mutaverunt gloriam suam in similitudinem vituli comedentis fœnum. Eccoli, dunque, idolatri senza pietà, senza modestia; quando sopraggiunse ad un tratto Mosè, il quale alla vista di quell’indegno spettacolo, avvampando di santo zelo, rompe incontanente le Tavole della legge, sgrida Aronne, stritola il simulacro, ed assoldata tutta la tribù di Levi, scorre a guisa di folgore da’ quartieri della moltitudine attonita e disarmata, e spargendo per tutto ferite, per tutto sangue, per tutto strage alla confusa, in poco tempo uccise ventitré mila persone con un macello tanto più orrido, quanto più inaspettato; ora io vi domando, miei RR.AA., quanto credete che costoro avessero aspettato Mosè? Sapete quanto? Trentacinque giorni per lo meno; sapete quanto stette a venir Mosè? Cinque altri giorni; sicché, se avessero aspettato cinque altri giorni, non avrebbero avuta una morte sì fiera. Ah, che io dubito che, se non persevererete, il simile debba intervenire anche a voi. Vi credete vita lunga, e però, dite: sempre senza veglie, sempre senza amori tanti snni. No, forse saran giorni, un mese, anno, e se la sbagliate, guai a voi; state saldi ne’ buoni propositi, perché vi resta pochissimo, ed anche quel molto che vi promettete è poco, è nulla. – Così appunto, la discorreva tra sé quell’infelice cavaliere di gran nascita nella provincia dell’Umbria, ma di sordidi costumi. Era questi invitato da Dio a penitenza per mezzo d’una santa Confessione; ma non sapeva ridursi perché diceva tra sé: come potrò io stare senza i piaceri del senso per tutta la vita che mi rimane? Se ne prometteva molta, ma s’ingannava, poiché la notte susseguente a quel giorno, in cui Iddio l’aveva chiamato più gagliardamente, se ne morì affogato da fiero catarro. State saldi, non vi lasciate ingannare dal diavolo, anzi usate con lui gl’inganni. Se volete perseverare nel bene, non bisogna che prendiate tutto il negozio della vostra salute in un lancio, ma a poco a poco pensate a viver bene il giorno d’oggi, sì ed al dì venente vi penserete domani, con un giorno alle volte si passa l’anno, ed intanto, dice San Fausto, sempre più l’anima si fortifica, perché: Gratia de gratia nascitur, et merita meritis locum faciunt. Replico dunque, non vi sbigottite con dire: come mai ho io da fare a vivere tanti anni in una tal vita? Ho tanti anni senza un piacer di vendetta, senza un diletto di senso? E chi può resistere? No, non dite così, perché potrebbe essere che questi vostri conti ad anni non riuscissero neppure a mesi, neppure a settimane, ma a pochi giorni, e quando ciò fosse, voi per non aver voluto perseverare nel bene per brevissimo tempo, vi troverete ne’ tormenti dell’inferno per tutta un’eternità. Tutto è vero, ben conosciamo che se torniamo a peccare, faremo una gran pazzia, ma serve a noi di gran scusa l’avere pronto il modo di rimediare allo sproposito fatto. O che pazzo modo di parlare! Questo è appunto il secondo inganno del diavolo, il quale mi fa parere facile lo scappargli di mano, doppo esservi ricaduto. V’ingannate, perché se gli ricadrete nelle mani, ei vi terrà sì stretti, che non gli fuggirete mai più. Ecco che vi confermo tale verità. Sentite di grazia, che caso strano. Un cavaliere degno figlio di quella Religione, che su bandiere gloriose spiega candide croci, e che con tanto terrore e con danno dell’ottomana luna partorisce tante glorie alla Cattolica fede, … uno di quei cavalieri, dico, trovatosi a fiera battaglia con squadre nemiche; dopo aver svenati più barbari, non potendo più resistere al numero, asperso del proprio e dell’altrui sangue, fu fatto prigioniero di guerra e, riconosciuto per nobile, fu custodito più tosto con discrete che con rigide diligenze, e trattato più tosto con cortesi, che con strane maniere. Ad ogni modo il generoso cavaliere che, se aveva perduta la libertà, non aveva però sminuito lo spirito; intollerante della sua schiavitù, meditava la fuga; quando un dì, vedendo le guardie poco sollecite di sua persona, e del tutto intente ad altro, sforzò i rastelli, e si pose in libertà. Fortunato cavaliere giovane veramente spiritoso, ma che? Appena slontanato dalle soldatesche nemiche, invece d’affrettar la fuga per assicurarsi la libertà, si ferma a contemplare la vaghezza d’un giardino, ed a cogliere pochi fiori; ond’è, che raggiunto dalle guardie, è nuovamente ricondotto sotto l’unghie del barbaro da cui fuggì, il quale ordina che sia posto nella più spaventosa e sotterranea prigione, e qui vi sta assicurato con ferri a piedi, ferri alle mani ed al collo; ed acciò, che il misero divenga sempre più fiacco, e per ciò meno abile a rifuggire, non passa giorno in cui non sia macerato da rigorose inedie e da fiere percosse. Ben gli sta, sento che voi dite AA.! E chi gli ha insegnato fermarsi a coglier fiori, mentre aveva bisogno di fuga per assicurarsi la libertà? Voi dite: ben gli sta e deplorate la di lui imprudenza; ed avete ragione: ma non ho già il torto io a dirvi che molto più pazzi del cavaliere voi siete. Voi ben sapete, che per quei peccati che commetteste, vi rendeste schiavi del demonio, gli siete scappati dalle mani felicemente; o sia stato perché egli vi guardasse con poca cura, o perché voi vi portaste con maggior animo, poco importa: dalle granfie gli siete usciti: ma perché, dico io, ora non seguitate a slontanarvi da Lui? Perché vi lascerete di nuovo prendere per cose da nulla per volere sfogare quella vendetta: per non voler restituire quella poca di roba che non è vostra, per voler tornare in quella casa, per quella strada, a quelle veglie, a quegli amori, e qui cogliere quei fiori che avvelenano l’anima? Che seguirà, se mai più gli ritornate nelle mani? Che seguirà? Ve lo dice Geremia, udite: ut non egrediamini aggravabit compedes vestros; vi raddoppierà le catene; vi rinforzerà le ritorte; ed attentamente mirando per qual via gli siete scappati dalle mani, circumædificabit adversum vos; chiuderà tutti gli aditi; romperà tutti i passi; non vi lascerà neppure un angusto spiraglio donde possiate rimirare il cielo. Se voi vi sarete convertiti per una lezione di libri pii, egli sarà sempre attentissimo che altri libri non vi giungano alle mani che di romanzi, favole ed amori. Se per le prediche, ve ne distoglierà con rendervi tutti ingolfati ne’ traffici, acciocché anche in tempo della predica v’impiegate, Se per le congregazioni, ve ne distaccherà con allettarvi a’ ridotti; Se per le ispirazioni interiori, procurerà tenervi ravvolti fra strepiti e tumulti tali, che fra d’essi la voce divina non possa udirsi. In una parola, egli adoprerà tutta la sua malizia, tutta la sua arte, per perdervi: circumædificabit ad versum vos ut non egrediamini aggravabit compedes vestros. Or sentite, che ceppi fieri mise a’ piedi d’un giovane, che poi seco tirò miseramente all’inferno. Narra il Padre Rho ne’ suoi esempi, come in un castello di Napoli, v’era un giovane pessimamente invischiato con amicizia d’una rea femmina. Il Signore, che bramava la salute di quell’anima, lo fece avvisare per mezzo d’una visione, cọn intimargli in capo a breve tempo severissimo castigo, se non si ravvedeva. S’arrese il giovane alla minaccia, e purgò l’anima sua con una generale Confessione. Ma che non può una sfrenata passione? Tornò di nuovo a cadere; ed altresì compunto tornò dal confessore, che lo fortificò con nuovi rimedi. Non bastarono però già che il giovane scappato più volte dalle mani del diavolo ne credeva sempre facile l’uscita dalle sue mani, ma non gli riuscì. Quand’ecco che in una notte fu sorpreso da fierissimi dolori, alzò le voci da disperato; s’alzò la rea femmina ancora, si chiamò il confessore; venne, ma non venne a tempo, perché lo trovò spirato con l’assistenza alla sua morte di quella donna che gli mandò l’anima al precipizio infernale. Torno a dirvi: non vi fidate; perché se tornate nelle mani del diavolo, troverà egli modo che non gli scappiate mai più. Non vi lasciate ingannare neppure con la temeraria speranza in Dio. Ricordatevi una verità indubitata, ed è, aver Iddio stabilito il numero de’ peccati che vuol pazientemente tollerare da noi; onde, che quando questo numero è compito, al primo peccato che noi dopo commetteremo, ne seguirà che Dio ci tolga improvvisamente la vita, o ci levi di senno; e così ci abbandoni in braccio della dannazione. Vi confermi questa verità la Divina Scrittura. Voi ben sapete, che gli Israeliti peccarono più volte colà nel deserto: peccarono con mormorazione, con idolatrie, e ne riceverono il perdono. Tornarono finalmente a peccare a vista della terra di promissione, lamentandosi di Dio. Allora Dio, tutto adirato, disse a Mosè: Usquequò detrahet mihi populus iste? Feriam igitur vos pestilentia, atque consumam. lo li voglio tutti distruggere quanti sono con una general pestilenza, li voglio ridurre in niente. Mosè mosso a compassione supplicò per la loro salvezza. Ed Iddio condiscese in parte, protestandosi che Egli perdonerebbe a quelli che fossero nati dopo l’uscita d’Egitto, o non molto prima, ma non già a quelli che ne erano usciti nell’età già avanzata. Or mi sapreste voi dire, per qual ragione il nostro Dio praticasse questa disuguaglianza? Sapete perché? Perché costoro l’avevano già irritato dieci volte: tentaverunt me per decem vices: dieci volte m’hanno irritato; e perciò tutti li voglio morti. Cari UU., Iddio numera le nostre colpe: non vi fidate. Ah, che se questi sfortunati Israeliti avessero trovato, allorché giunsero al nono peccato, un buon amico, che gli avesse detto: fermatevi, basta, basta, non peccate più; perché se lo farete, non vi sarà più pietà per voi, li avrebbe tolti da quel macello. Ma chi glielo poteva dire, se questo è un segreto nascosto nel cuore di Dio? Cristiani miei, dite un poco che sapete voi, che quel peccato del quale vi siete confessati, non sia quell’ultimo, il quale Iddio ne’ suoi profondi decreti ha prescritto condonarvi? Avete certezza in contrario? Ne avete neppure indizio? Ne avete barlume? No, no, anzi avete fondamento di temere che sia l’ultimo; avendovi tollerato finora, anzi di star tremando, perché non solo dieci ve ne ha perdonati, ma trenta, ma cento, ma mille, ma senza numero. State dunque da qui avanti sopra di voi, custoditevi bene lontani dalle occasioni, state saldi, e non vi arrischiate. Io non dico che il peccatore finché ha vita o libertà non si possa ravvedere, ma dico che, quando avrà compito quel numero stabilito di peccati, illic percutietur; resterà nel colpo con un accidente, con una ferita, e si dannerà. Non vi sia mai dunque tra voi, che si metta in sì gran pericolo, col non perseverare, col tornare a peccare, dicendo: Iddio per il passato mi ha perdonato, mi perdonerà anche per l’avvenire: no! Non dite così, perché quanto più peccate, tanto più vi mettete in pericolo di perdervi; e cresce la probabilità della vostra dannazione. In una parola: ecco la sentenza scritta dal dito di Dio nelle sacre carte, e promulgata dall’Ecclesiaste, quasi da celeste banditore: Qui transgreditur a justitia ad peccatum, Deus paravit eum ad rompheam. Udite, o peccatori temerari, che sempre vi promettete un medesimo passaporto, una medesima impunità, per quanto aggiungete di nuove scelleratezze alle antiche. Udite chi è passato dalle bandiere del demonio a quelle di Gesù Cristo, cioè a dire, chi è confessato de’ suoi falli passati ed ha promesso con tanta solennità di non tornare mai più a commetterli; se poi torna di nuovo a mancar di fede, se fugge di nuovo a servire al demonio; se di nuovo ripiglia quelle maledette amicizie: sappiate che egli si mette ad evidente pericolo d’esser una vittima infelice destinata al coltello della Divina Giustizia, e perciò condannata all’inferno: Deus paravit eum ad Rompheam. Non vi crediate, miei UU., che le minacce di Dio siano un tuono vano, siano una bravata in credenza, un semplice spauracchio. Non sarà così no, non sarà così: Quœretis me, dice Cristo, et in peccato vestro moriemini; mi cercherete è vero; ma non in modo che giungiate a trovarmi, e ciò per vostra colpa, e però morirete nel vostro peccato. Non vi mettete, miei UU., a questo gran pericolo di dannarvi col tornare alle colpe, col non perseverare nel bene incominciato. Cristiano mio amatissimo, io non so più che dirmiti, già t’ho posto avanti gli occhi e la pazzia grande che fai, ed il pericolo evidente, in cui ti metti di dannarti se tu non perseveri; ti dirò dunque per ultimo con San Bernardo: Si Christum induisti, Christum ne exuas. Ti sei confessato, hai lasciato il peccato, ti sei liberato della servitù del diavolo, ti sei vestito di Cristo, seguendo il consiglio dell’Apostolo: induimini Dominum Jesum Christum. Lodato Dio, non ti spogliar più di Cristo, non abbandonar Cristo, persevera nel bene. Io non so come meglio possa spiegarsi il pensiero dell’Apostolo e di San Bernardo, che con quanto riferisce l’Incognito della veste inconsutile di Cristo. Dice egli, che essendo dall’Imperator Tiberio chiamato a Roma Pilato Presidente della Giudea, per fargli rendere conto dell’iniqua sentenza data a compiacenza degli Ebrei contro di Cristo, e temendo egli il giusto sdegno dell’Imperatore, confidato ne’ miracoli che delle vesti dello stesso Cristo riferiva la fama, procurò d’aver la tonaca inconsutile. Ottenutala, e vestitosene sotto gli altri abiti, si presentò all’udienza di Tiberio, il quale, benché fieramente adirato, lo riceve nondimeno con segni di benevolenza. Meravigliatosi poi di sé Tiberio, e pentito della prima indulgenza, lo fece di nuovo chiamare per castigarlo. Ma comparendovi pure vestito con la stessa tonaca, fu come prima graziosamente accolto e licenziato senza castigo. Tanto gli accade finché comparve con quella veste; ma in fine, affidato soverchiamente nell’acquistata grazia, comparve avanti all’Imperatore senza quella sagrata veste, ed allora fu ricevuto con quello sdegno che meritava la di lui perfidia, ed era proprio della fierezza di Tiberio; e così fu condannato a ben mille volte meritata morte. Tanto riferisce l’Incognito, concludendo: Tertio revocatus Pilatus, cum dicta tunica esset exutus; sic præsentatus accepit sententiam capitalem, quam nec recepisset, si Christi tunica fuisset indutus. Ecco ciò che vuol dire l’Apostolo: induimini Dominum Jesum Christum, e San Bernardo, si Christum induisti, Christum ne exuas. Avete mutato vita: vi siete vestiti di Cristo: già si sono detestate quelle bestemmie, quelle mormorazioni; già si è cambiata in candore quella impurità, in amore quell’odio così invecchiato? Si perseveri dunque nello stesso tenor di vita; perché quando non si perseveri, vi potrete aspettare, come Pilato, la giusta sentenza di morte, che col privarvi di vita vi butti l’anima ad ardere tra dannati. Dio non lo voglia, e respiro.


LIMOSINA.
Sta nelle vostre mani R. A. la perseveranza nel bene de’ poverelli; non mancano tentazioni di peccare a chi manca il pane da sfamarsi. Atalarico presso Cassiodoro chiamò la povertà: madre de’ vizi mater criminum necessitas; perché  non vi è quasi scelleraggine, per enorme che sia, che non derivi dalla povertà. Figli della povertà sono i tradimenti, i furti, gl’inganni, le disonestà: mater criminum necessitas. Quelle fanciulle, che generose parevano a tollerare mille morti per la fede, le vedrete vender l’onore per pochi denari, quelle matrone, che sembravano specchio d’onestà, per un piccolo aiuto interessato, eccole svergognate; vedonsi insomma sotto pretesto di necessità le più nefande abominazioni. Slargate dunque la mano alla limosina, perché la povertà non torni a peccare, ma perseveri nel bene. Poco sarebbe però se la limosina fosse causa della perseveranza nel bene solo a’ poverelli; quello che più importa è, che darà anche a voi la perseveranza del bene. Osiscires donum Dei! – dice il Boccadoro – Petit Deus humanam misericordiam, ut largiatur divinam. Vuole Iddio, che noi siamo misericordiosi in questo mondo verso i poveri, per esser’Egli con noi misericordioso e in questo, e nell’altro; volete da Dio questa gran misericordia della perseveranza finale? Fate limosina!


SECONDA PARTE.

Eccoci giunti, miei R. A., al termine: voi della pazienza in udirmi, io delle mie povere fatiche. Confesso il vero che le mie povere fatiche di queste prediche sono state fredde, infeconde, difettose. Ma sappiate che non per questo perdo la speranza d’aver raccolto qualche poco di frutto, giacché la divina parola, quanto più nuda, tanto è più possente ad abbattere i vizi ne’ peccatori, ad avvalorare la divozione ne’ giusti. Spero dunque d’aver fatto qualche frutto, e perché lo conserviate nelle anime vostre, altro ricordo non vi lascio, se non che sempre più prendiate orrore al peccato, questo abominiate, questo detestiate, come quello che vi chiude il Paradiso, v’apre l’inferno; vi porta la rovina del corpo, la dannazione dell’anima. Per ottener quest’odio sì necessario, ricorrete ogni giorno a Maria Vergine con tre Pater, ed Ave, e tre Gloria Patri. Questo sia il mio ricordo, e ben s’imprima ne’ vostri cuori. Da qui avanti: peccato mortale, offesa di Dio, disprezzo della Divina legge? O questo no, prima mille volte morire! Così dice questo popolo, o mio Gesù, così stabilisce, così vuole. Or tocca a Voi, mio Redentore, di riceverlo e stringervelo al petto come amorosissimo Padre, e quando ciò sia troppo, perché furono peccatori, e perché molto tempo ostinati: vogliate almeno contentarvi di conservarli sotto la vostra divina protezione. Costantino quel grande, quel religiosissimo imperatore, dopo aver fabbricato Costantinopoli, ordinò che si formasse una statua di Cristo, e che terminata si collocasse nel mezzo della piazza; a faccia di quella volle anche si alzasse la sua propria statua, dalla cui bocca uscisse una fascia, la quale a’ pié di Cristo terminasse, e v’era scritto: Tibi, Christe Deus, Urbem hanc commendo, a voi mio Cristo, raccomando questa mia Città. Altrettanto ardirò io di dire questa mattina a voi: mio Redentore, raccomando questa Città. Prosperate quel Sacro Pastore che con apostolico zelo muove tanto la pietà nel suo gregge. Prosperate il sagro clero. Prosperate le sacre Religioni, che con fanti esempi accrescono il vostro divino culto, prosperate quella nobiltà, a che avvalorata dal vostro braccio con generoso cuore, è risoluta dar sconfitta al demonio, vincer l’inferno. Prosperate insomma tutto questo popolo a voi fedele, che col vostro aiuto vuol rintuzzare l’orgoglio dell’inimico infernale, e fare acquisto del Cielo. Orsù, miei amantissimi uditori, mi licenzio da voi per non rivedervi mai più probabilmente in questa vita; però, quando vi giunga la nuova della mia morte, pregate per l’anima mia. Prima però di partirmi da questo pulpito convien che io, alla vostra presenza, ed a’ piedi di questo Cristo mi protesti, non aver io avuto altra mira nel predicare, che di salvar l’anime; e perciò se niuno perirà, io mi dichiaro che: mundus sum a sanguine omnium; protesto, che non ho parte ne’ peccati d’alcuno. Ho preteso di santificar ognuno, correggendo con santa libertà i costumi, riprendendo i vizi; detestando le iniquità; e di ciò vi chiamo come testimoni d’udito, contestor vos hodierna die, che per quaranta giorni non cessavi monere unumquemque vestrum. Quanto disse Cristina martirizzata dal tiranno, altrettanto io dico a voi. Mirami, disse ella al barbaro, mirami bene in faccia: improntati nella memoria questo mio volto; perché io stessa avrò da rinfacciarti innanzi a Dio quella fede che ho predicata alla tua pertinace infedeltà. Peccatori miei amatissimi, che in questa serie di giorni m’avete udito , e pur ora mi ascoltate, miratemi bene in viso; fissate in me lo sguardo, per ben comprenderne il sembiante; perché se non vi sarete emendati de’ vostri peccati, approfittandovi di quel che da me avete udito: io stesso nel dì del Giudizio avanti il Tribunale di Cristo, in faccia del mondo tutto, vi rinfaccerò quanto v’ho predicato; chiamerò contro di voi stessi questo pulpito bagnato da’ miei sudori, queste mura battute dalle mie voci, quest’aria flagellata dalle mie invettive, e con tali testimoni accuserò i vostri delitti, perché  ne ricevano da Dio i meritati castighi. Ma che, mio Dio! La bontà di questo popolo non merita tanti rigori; giacché a caratteri di pietà vedo stampata ne’ loro volti l’emendazione. Deh, dunque, mio Dio, dirò: Visita quæsumus Domine civitatem istam. Vi supplico con quanto spirito racchiudo in cuore, perché con l’abbondanza delle vostre grazie, visitiate questa città, omnes insidias inimici ab ea longe repelle; togliete vi prego l’insidie, gl’inganni, i tradimenti, che possono turbarla. Tenete lontano da essa tutti gli inimici d’inferno, tutte le tentazioni, le passioni ribelli. Tenete lontano da essa le dissensioni, l’inimicizie, le guerre, le carestie, i terremoti, le pestilenze. Angeli Sancti habitent in ea, e fate che gli Angeli vostri a numerose squadre l’abitino: qui illam in pace custodiant, i quali la mantengano in una pace di Paradiso. Et benedictio tua sit super nos semper, e la vostra benedizione sia sempre sopra di loro. Benedite dunque, o mio Dio, questo sacro Clero, queste sacre Religioni, questa nobiltà. Benedite, o mio Gesù, quanti m’ascoltano, giacché con vero dolore e pentimento de’ loro peccati, si sono resi degni della vostra benedizione. Benediteli su, mio Signore: ma con le loro persone, contentatevi di benedire i loro figli, le loro consorti, i loro congiunti, le case, le famiglie: secondate i loro armenti, diluviate benedizioni sopra de’ loro campi, e benedite ciò che di buono hanno nel mondo: Benedictio Dei omnipotentis.

FINE.

QUARESIMALE (I)