QUARESIMALE (XXXIV)

QUARESIMALE (XXXIV)

DI FULVIO FONTANA

Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711).

PREDICA TRENTESIMAQUARTA
Nella Domenica delle Palme.

La corrispondenza alle voci di Dio, necessaria alla salute eterna.

Benedictus qui venit in nomine Domini.

Queste parole dell’odierno Vangelo sono voci a voi di giubilo, a me di tormento. Odo trionfi, e sento plausi tributati dalla ossequiosa Gerosolima al Redentore; ed a voi senza dubbio R. A. tripudia il cuore in petto, e l’alma in seno, mentre da vestimenta stese al suolo e da palme sparse in segno di gioia, ne arguite una risoluzione universale di Gerusalemme di volere udire sollecitamente le voci del suo Redentore. Non così segue in me, giacché dall’eremo di Chiaravalle mi risuonano alle orecchie le dolorose voci di San Bernardo. Ahi, ahi, che vedo! Vedo, che tanti e tanti voltano le spalle a Cristo, che viene a chiamarli a penitenza, non lo vogliono sentire. Si, sì, dirò con San Bernardo, queste sono le riflessioni che turbano una giornata sì allegra, hanc serenam diem obnubilant. Rovinò Gerosolima perché  non volle udir le voci del Signore, rovinerà ogn’anima che non voglia udir la parola di Dio, allorché Egli viene per far pace col peccatore ove, all’opposto, se corrisponderà, avrà salute eterna. Non v’è chi non sappia che quando si devono aver trattati di pace non tocca all’offeso domandarla all’offensore, ma bensì all’offensore chiederla all’offeso. Ogni dover vuole che quello il quale ha ingiuriato, vilipeso e maltrattato il suo prossimo sia altresì quello che a lui si umili, gli domandi perdono e pace. Tanto appunto ci narrano le Sacre Carte allorché ci raccontano che Benadad, re della Siria doppo aver oltraggiato, vilipeso e maltrattato in varie guise Acabbo Re d’Israele, egli fu che a questi inviò Ministri vestiti di sacco e cinti di corda, aspersi di cenere, i quali a nome suo gli domandassero con tutta sommissione perdono e pace. Ma o quanto diversamente vedo io oggi praticarsi con voi miei uditori. Ditemi per verità: Chi è l’offeso, voi da Dio, o Dio da voi? Ah, che senza dubbio voi siete quelli che avete offeso Dio, l’avete offeso con i pensieri, l’avete offeso con le parole, l’avete offeso con l’opere. Dunque, ogni dover voleva che voi foste i primi a spedire a Lui ossequiosi messaggeri, i quali a nome vostro, trattassero e concludessero questa pace di tanto rilievo, di tanta importanza. Eppure io vedo operarsi tutto l’opposto; mentisco forse a parlare in tal forma, o questo no? Ecco che Egli è quello, che ha mandato a voi i suoi predicatori evangelici, perché vogliate con esso far la pace, che vuol dire una buona e santa Confessione. Potrò io credere che dopo un sì lungo invito in questo corso Quaresimale, vi debba esserne pur uno che non sia per corrispondere? No per verità; e se ciò seguisse, guai a lui, si costituirebbe in uno stato miserabilissimo, sì per l’ingiuria che farebbe a Dio, sì per il danno grandissimo che risulterebbe a sé medesimo. E qual ingiuria mai maggiore potreste voi fare al vostro Dio di questa? Ditemi, se un vostro amico se ne venisse alla vostra casa per chiedervi un favore, per domandarvi una grazia, non gli fareste voi una grande ingiuria se gli diceste che se ne andasse e che tornasse un’altra volta? Certo che sì, e ve lo conferma lo Spirito Santo ne’ Proverbi al terzo, riprovando un tal fatto come ingiurioso, ne dicas amico tuo vade, revertere, cras dabo tibi. Or, che gran male sarebbe mai usar questo mal termine, non con un uomo eguale a voi, ma con Dio onnipotente, col Signore degli Eserciti, col Padrone dell’Universo; ma avvertite che qui non ferma il mal termine, qui non stagna l’enormità delle ingiurie, ma cresce a dismisura, perché qui non si tratta di ributtare uno che venga a domandarvi grazie e favori, ma uno che viene ad offrirvele, che brama di farvele; più, uno che vi vuol fare il servizio maggiore che possa mai farvisi, qual è dar la salute all’anima vostra. … Or io dico, se il solo fare aspettare un Signore sì eccelso, sì benefico e cortese ed il non rispondergli subito
subito, basterebbe per altamente offenderlo, giudicate voi qual ingiuria sarebbe non solo farlo aspettare qualche poco, ma chiudergli ostinatamente la porta perché non entri, che vale a dire, non dare orecchio agli inviti suoi. Sebbene motivo più gagliardo al peccatore per far la pace con Dio sarà non l’ingiuria che fa a Dio, ma il danno che fa a se stesso. Or che gran danno fate a voi peccatori, se ricusate un’occasione sì bella di convertirvi, che altro non è che far la pace con Dio. Dovete sapere che Iddio, sì come ha ab eterno ordinato, determinato il fine della vostra salute, così pure ha determinato il mezzo; e qual mezzo mai più efficace può darvi della Divina Parola? Or, se voi lo ricusate, non potrete con fondamento temere della vostra salute? Guai a Zaccheo se chiamato da Dio non scendeva dall’albero subito per alloggiarlo. Guai a Matteo, se alle voci di Cristo non rispondeva con lasciare dubito il Telonio. Che sarebbe mai stato della donna samaritana, se ella avesse ricusato d’udire le parole di Cristo, se gli avesse voltate le spalle, se non gli avesse in verun modo prestato orecchio, ma avesse detto: adesso ho altro che fare, sono assetata, sono arsa, e poi l’ora è tarda, hora est quasi sexta, conviene che io torni alle mie faccende domestiche. Ditemi, se così avesse operato e parlato questa donna, non è più che probabile che ella avrebbe seguitato la sua vita infame, che sarebbe rimasta negli errori della sua infedeltà, e che ora piangerebbe giù tra i dannati nell’inferno? E perché non devo io temere che sia per esser l’istesso se voi adesso non rispondete agli inviti di Cristo, che con voi vuol pace, e perciò vuol che vi convertite? E di fatto, perché si perdette Gerusalemme? per qual causa una città sì ricca, sì nobile, sì bella, capo d’imperio, sede di re, città regina delle città, che in più giri di mura cingeva più corone, per qual causa, dico, fu desertificata dal ferro, fu incenerita dal fuoco? Non per altro, perché non seppe valersi del tempo suo, non corrispose quando Dio la chiamò a penitenza, eo quod non cognoveris tempus visitationis tuæ. Poveri voi, miseri voi peccatori, sì simili a Gerusalemme: ricuserete le chiamate di Dio, poiché proverete ancor voi estermini; sapete quello che farà Iddio con voi? Vi tratterà da nemici giacché tali volete essere non facendo seco la pace e perciò potrete temere, che non mandi sopra di voi i suoi fulmini con severi castighi, ed anche con togliervi ad un tratto la vita; lo potrebbe certo far con voi, siccome l’ha fatto con altri simili a voi. Così la tolse ad un cavaliere d’una città in Toscana, il quale senza dare orecchio alle chiamate divine se ne andò agli spassi con i compagni, da uno de’ quali, per divina permissione, fu ferito da un colpo di archibugio, di modo tale che in tre giorni se ne passò all’altra vita. Miei UU. non ne mancano di questi casi, però fate pace con Dio, perché altrimenti vi potete aspettar di peggio. Sapete quello farà Iddio se voi non approffittate di questa bella occasione, se non vorrete la pace che Egli per mezzo mio v’offre: cesserà di visitarvi, cesserà di parlarvi più al cuore, vi volterà le spalle. O che gran castigo sarebbe mai questo, e voi non inorridite a queste proteste? Ben si vede, dunque, che non capite ciò che voglia dire voltarvi Dio le spalle, abbandonarvi; non vi parlar più al cuore vuol dire darvi il maggior castigo che possa uscire dal braccio formidabile della sua Onnipotenza; e non udite come Egli se ne dichiara per bocca del suo Profeta, veæ cum recessero ab eis, guai a voi, se io stanco delle vostre ripulse, mi risolverò d’abbandonarvi? O che gran castigo, o che gran danno sarà il vostro. Io non dico, miei UU. che Iddio allorché vi volterà le spalle sia per privarvi di quella grazia la quale è necessaria per non cadere in peccato; ma dico bensì che ne sarete assistiti sì languidamente, che per vostra colpa vi cadrete. Talché a vostro maggior danno seguirà che dopo la caduta sarete privi dell’aiuto più copioso, e così privi non vi risolverete a pentirvi di cuore e a ritornare a Dio. Poveri voi, e qual castigo mai maggiore potete sognarvi di questo: che Dio v’abbandoni in tal modo che Dio non vi parli più al cuore, e vi volti le spalle? Volete conoscer meglio che castigo sia questo, ditemi. Se il sole fosse a forte sdegnato con la terra, qual sarebbe il maggior castigo che potesse dargli? Forse cangiar tutti i suoi raggi in tanti fulmini, e tutti sopra d’essa scaricarli? Appunto, il castigo maggiore sarebbe nascondere il suo volto, non comparir più sull’orizzonte, allontanarsi da lei, poiché allora la misera resterebbe pigra, fredda, gelata. Non più verdeggerebbero i campi, non più fiorirebbero i prati, si seccherebbe ogni pianta, ogni fonte, ogni fiume s’imputridirebbe. Per castigar la terra, quando il sole fosse con essa adirato, nulla più vi vorrebbe che voltargli le spalle. E se l’anima stesse adirata col corpo, qual vendetta più atroce potrebbe prender di lui, quanto dirgli: io me ne vado, io ti lascio? Ed ecco che partita l’anima, diviene un cadavere, diventa un mucchio di vermi, di putredine, di sordidezza. Dio vi liberi dunque, miei UU., che Iddio da voi si slontani, vi volti le spalle, e lo farà se voi adesso non venite seco a far la pace. E questa pace, se non la volete ora che ve la offre, è molto probabile che ve la sentiate negare quando la domanderete, quærent pacem, non invenient. Questa appunto negò all’infelicissimo Imperatore Valente, ma che non fece prima di negargliela, acciocché egli rientrasse in sé stesso? Voi ben sapete che egli spedì un uomo santo per nome Isacio abitatore de’ monti, il quale pieno di Spirito Divino si fece innanzi all’Imperatore, allorché con grosso esercito a danno de’ Cattolici si portava, ed appressato a lui gridò ad alta voce: Imperatore, se non comandi che si aprano le Chiese da te chiuse, resterai morto. L’udì Valente, e lo schernì come pazzo. Non si perde d’animo Isacio, tornò il dì seguente, e con voce più alta replicò: Imperatore, o s’apron le Chiese, o morirai. A questa replica si turbò Valente, e tra sé considerava, se dovesse o prezzare o disprezzar quel le voci. Deliberò consigliarsi ed i consiglieri, anche essi Ariani, lo persuasero a castigar più tosto, che ad udire l’ardito monaco. Quanto si stabilì nel consiglio, tanto si eseguì. Poiché tornato la terza volta Isacio alle medesime minacce, ordinò l’imperatore che fosse gettato in una orribil fossa, e così ucciso e sepolto nel medesimo tempo. Ma che, appena passato l’esercito, Isacio per mano di tre bellissimi giovani fu levato da quelle miserie, e postosi in cammino raggiunse l’Imperatore, e con sembiante di fuoco … e credevi, disse, che io fossi morto? Eccomi per avvisarti di nuovo: ravvediti, apri le Chiese se vuoi riportar vittoria, altrimenti vi resterai. Ed è pur vero, che neppure a questa quarta denunzia l’ostinato Valente s’ammollì; anzi, dato in smanie, fece catturare Isacio per castigarlo poi ritornato che egli fosse da quella impresa. Ma Isacio rivolto a Valente gli disse: t’inganni, se pretendi castigar me, tu, tu sarai il punito, perché non potendo resistere al nemico, cederai, fuggirai, e finalmente caduto nelle loro mani morirai bruciato. Quanto Isacio disse, tanto seguì, perché fuggito Valente e nascosto in una casuccia gli fu dato fuoco, e così fu bruciato vivo. Che dite UU. che più poteva fare Iddio per convertire questo tempio? … Non avrà scusa nel giorno del Giudizio. Che più poteva Iddio far con voi, quante volte v’ha avvisato per mezzo di religiosi, di confessori, di predicatori, che lasciate la pratica, che restituiate il tolto, e facciate quella pace, e voi duri, e voi perversi, e voi ostinati. Tutto il male di Valente fu perché si vergognò di dar fede ad un povero monaco; tutto il vostro male verrà perché non volete dar fede a me, povero ministro di Dio. Deh date orecchie, quantunque io sia debole di talenti, sia peccatore; confesso d’esser il minimo di quanti parlano da’ sacri pergami; non è però che io non possa essere un altro Isacio per voi, sicché, se voi non mi ubbidirete, voi altresì non vi perdiate. Si corrisponda dunque alle chiamate di Dio. Non più peccati, non più peccati, o mia cara città. Deh non crescano più le zizzanie di tante disonestà, di tanti furti, di tanti odii in questo campo del Padrone evangelico, perché io temo che tanti siate quei servi, che si portino al Tribunale di Dio e lo preghino della licenza di portarsi al campo per sradicare e buttar nel fuoco la zizzania di tanti peccatori. Ecco, ecco, miseri voi, che quel formidabile corteggio di tutte quelle creature che stanno armate al Trono di Dio, ad ultionem inimicorum, grida con quegli Evangelici Famigli, vis, imus, colligimus ea; Vis, imus, gridano i fulmini e, scagliandoci dalle nuvole, andremo precipitosi con impeto spaventoso a diroccar quei palchi, ove con immodestie si conculca il vostro onore, a buttare a terra quelle sale, quelle camere che, con veglie balli e canti disonesti s’oltraggia la Maestà vostra. Vis, imus, gridano i venti, ecco che stanati dalle nostre caverne scoppieremo con orribile terremoto, e buttando a terra quelle abitazioni dentro delle quali si dà ricetto ad amori indegni, ad accordi, a macchine per la rovina del prossimo, ne seppelliremo vivi gli indegni. Vis, imus, gridano l’acque, eccoci, che scapperemo da nostri lidi, da’ nostri argini, e scorreremo con orribili inondazioni, a desertar quei poderi, che sì ingiustamente alimentano i vostri inimici. Vis, imus gridano le fiamme, ecco che ci spargeremo per le piazze, per le strade, per le case, e voleremmo con orribile scorreria ad incenerire quei carubbi, ove tanto sono le usure, ad incenerir quei ridotti, ove tanti si radunano a danno del prossimo, vis, imus, vis, imus, grida a Dio tutta la birreria che egli tiene sopra le nuvole … ignis, grando, nix, glacies, spiritus procellarum: noi faremo le vostre parti, noi dissiperemo i vostri nemici; scegliete pure, o tuoni, o folgori, o grandini, o procelle, tutti siam pronti, guai a voi, se non corrispondete, e respiro.

LIMOSINA.
Quando un padre di famiglia fa nella casa un majorascato non pretende già che il figlio maggiore abbia tutto, o questo no; ma pretende che conservando egli col dovuto decoro lo splendor della famiglia, mantenga col dovuto sostentamento i fratelli minori, né è mai stata intenzione del padre di famiglia che i fratelli minori non debbano aver da vivere. Ricchi, comodi, voi siete stati trattati da Dio come primogeniti, ma Dio non intende che voi spendiate il tutto a vostro capriccio, ma bensì, che manteniate ancora i vostri fratelli minori, che sono i poveri, altrimenti Dio vi toglierà la primogenitura ..

SECONDA PARTE.

Quanto di male vi sovrasta, se non corrispondete alle voci di Dio, altrettanto di bene vi annunzio, se voi gli corrispondete; né mi state a dire che non sarà possibile il vostro risorgere dagli odi, dalle disonestà, da’ giuochi etc. perché questa non ha da essere opera vostra sola, ma di quel Dio ma di quel Dio, che tutto può e che vuole la vostra salute, purché voi dal canto vostro la vogliate. Parlate con un infermo e sentirete che egli non stima mai possibile poter operare quelle cose che praticano i sani, correre, saltare, ballare. Eppur guarito che egli sia, fa tutto. Ricordatevi che Cristo disse a San Pietro allorché era debole, non potes me sequi modo, sequeris autem postea che è quanto dire, dice qui Sant’Agostino, eris sanus, sequeris me. Se corrisponderete a Dio che vi chiama, risanerete da’ vostri mali, e risanati vi farete santi. Vi confermi questa verità il fatto di Maria Egiziaca: or ditemi, se io fossi andato a parlar a questa donna del tutto immersa nelle dissolutezze, e gli avessi detto, allorché più dissoluta se ne stava in Alessandria: sappi, o Maria Egiziaca, che ha da venire un giorno in cui tu, non solamente rifiuterai ogni comodo, ogni spasso, ma ritirata negli orrori d’un bosco menerai una vita piena di tormenti; sappi che tu sarai quarantasette anni senza mai vedere faccia d’uomo, ed altro ai tuoi occhi non si farà vedere, salvo il volto di lupi, orsi, leoni e tigri; partirai dalla città con soli tre pani, e questi duri ed ammuffiti ti serviranno di sostentamento, e questi finiti ti ciberai a guisa di fiera con le erbe del bosco e con acqua di paludi; sappi, che nei rigori del verno tra le nevi e tra’ ghiacci non avrai né veste che ti ricopra, né tetto che ti alloggi; questi tuoi occhi, che ora ti brillano in fronte ed incatenano i cuori, ha da venir tempo, che per concederli un’ora di sonno gli hai da costringere a piangere amaramente e mattina e sera. Questo tuo petto ricetto di tanti affetti, e ricoperto di gioie, l’hai da percuotere con pugni, con sassi, e sempre l’hai da tenere tra singulti e tra sospiri. Ditemi miei UU. se io così avessi parlato ad Egiziaca, non avrei io presso di lei meritato il nome di stolto? Come, io – m’avrebbe detto – partir dalla città, abbandonare i comodi, io senza le dissolutezze, senza le delizie di cibo, io senza morbidezza di piume, io senza sensuali contenti? Non può essere, non sarà mai, prima morire che eleggermi una tal vita; e pure, miei UU., perché corrispose alle voci di Dio, non solamente elesse una tal vita, ma le parve facile, ma le riuscì gioconda, come ella stessa vicina a morte testificò all’Abbate Zosimo. Animo, animo, miei UU., corrispondete a Dio che vi chiama, e non dubitate che di peccatori diverrete Santi. Tanto intervenne a quel peccatore veduto da Paolo il semplice. Uditene la storia, e non dubitate, che se darete orecchio alle voci di Dio, di gran peccatori, diverrete gran santi. Se ne sta va Paolo, detto il semplice, alla porta della Chiesa per osservar santamente quelli che vi concorrevano, o buoni e rei; quando una mattina, vide un spettacolo orrendissimo poiché vide un peccatore tutto squallido, sozzo e mostruoso, il quale veniva tenuto tra catene da due diavoli ed aveva dietro, ma assai da lungi, il buon Angelo suo custode che il seguiva con volto malinconico e con lento passo. A tal vista proruppe Paolo in lacrime, ma tra poco altrettanto si consolò, perché all’uscire, che quel misero fece dalla Chiesa, non solo lo mirò libero da’ demoni, ma lo vide anche sì bello e sì risplendente, che quasi non lo distingueva dal suo Angelo custode, che non più turbato, ma del tutto allegro gli stava a lato. Corse allora Paolo frettoloso a quell’uomo, lo fermò, l’interrogò ed intese che, avendo dato luogo nel suo cuore alle voci di Dio, proferite per mezzo del predicatore, tornava a casa risoluto di mutar vita… Cari miei uditori, se non darete udienza alle voci di Dio, vi sovrasta il precipizio dell’anima. Se corrisponderete, assicuratevi che ancorché gran peccatori, diverrete gran santi.

Quaresimale(XXXV)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.