QUARESIMALE (XXXI)

QUARESIMALE (XXXI)

DI FULVIO FONTANA

Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711)

PREDICA TRENTESIMAPRIMA

Nella Feria quarta della Domenica di Passione.


Si mostra la nostra predestinazione esser congiunta con le nostre opere.

Oves meæ vocem meam audiunt, et ego cognosco eas, et sequuntur et ego vitam æternam do eis. San Gio: cap. 10.


Segretissimo agli uomini è il lavoro dell’eterna predestinazione, seguendo in ciò la grazia operare ordinario della natura, cui il più prezioso delle sue opere ed il più nascosto. Non lavora ella all’aperto de’ campi il tesoro de’ ricchi metalli, e delle pietre più preziose, ma gelosa intorno a fabbriche sì nobili, le perfeziona nell’occulto delle miniere, nel profondo de’ mari, celandole agl’occhi della curiosità. Or del pari, riveriti UU., ci avvisa Sant’Agostino: segue nell’affare di nostra predestinazione, Prædestinatio vocationis nostræ fit in occulto; occulto è in noi il bel lavoro della predestinazione eterna, occulta, la stabilità de’ divini decreti, occulto lo stato della grazia. Seminiamo, ma chi può assicurarci della raccolta? Combattiamo, ma chi può promettersi della corona? Corriamo, ma senza sapere se giungeremo alla conquista del Pallio. È vero, non v’ha dubbio, quanto io vi dico, ma è altresì vero potersi da noi arrivare alla certezza di questa incertezza. Si non es predestinatus fac ut prædestineris, potete sì, assicurarvi la beatitudine eterna, con l’incertezza della predestinazione. Attenti. Con le vostre opere va congiunta la vostra predestinazione, il vostro salvarvi. Vivete bene, miei UU., e poi aspettatevi pure che Dio si dichiari che voi, come sue pecorelle, bene udite la sua voce, Oves meæ vocem meam audiunt, e che, come a tali, vi conferisca la vita eterna, et ego vitam æternam do eis. Ecco il mio assunto. Se sarete predestinati, le vostre opere saranno buone, perirete quando siano cattive. Tanto vi dice la terra, tanto vi conferma il Cielo, anzi lo stesso inferno. Alessandro il Grande sospirava un chiodo, con cui fermare il giro alla ruota della fortuna incostante, suspiro clavum. A noi per inchiodare l’eterna fortuna in un regno di beatitudine, ci porge un sicuro strumento Sant’Agostino, allorché ci dice: Qui fecit te sine te, non salvabit te sine te.Tu venisti alla luce del mondo senza tuo aiuto. Non ti pensare però di potere arrivare al Paradiso senza la tua cooperazione, perché Iddio, non salvabit te sine te. Bestemmi pure quanto vuole dalle taverne di Ginevra, Calvino, e dalle bettole della Germania, Lutero che ora a costo di fiamme nell’inferno, sono costretti a confessar questa verità, che per acquistare il Paradiso ed essere nel numero de’ predestinati, vi vuol l’opera nostra cagionata dalla Grazia. Vi confermi questa verità quel gran Re e Profeta David, che per esser secondo il cuor di Dio potrà decifrarci quest’arcano, se vi vogliano le nostre opere per salvarci. Or sentite come egli parla. Dopo aver io saputo, dice, il coronato Re, che in Dio v’era podestà di riprovare e castigare, e v’era misericordia per eleggere e predestinare, non andrò investigando se son predestinato mi salverò, se son prescito mi dannerò; appunto, ma soggiunse quel che io considero, mio Dio, quel che io tengo per certo è, che Voi, mio Signore, siete così giusto, che darete a ciascheduno quello che con le sue opere buone o male avrà meritato, e se io vi servirò mi pagherete con premio
eterno, se io vi offenderò mi castigherete come è di giustizia. Quia tu reddes unicuique juxta opera sua. David, dunque, che era secondo il cuor di Dio, così parlava, e voi temerari, che siete giusta il cuor del diavolo, perché siete inviluppati in mille laidezze, nelle quali volete seguire la vostra vita, avrete ardir di dire che vi perdete, vi dannate, perché Dio v’ha riprovato. Né mentite scellerati, che non è iniquitas apud Deum, grida l’Apostolo. Rispondete: è Dio che vi fa camminare la strada della disonestà, che vi fa star tra quei vizi, con quel cuore pieno di sdegno, che arde di vendetta? Vi comanda forse Dio, che andiate ad uccidere l’inimico, che pratichiate quell’usura, succhiate il sangue a quei poverelli, spogliate quelle vedove, quei pupilli? È forse Iddio, che vi fa bestemmiare il suo santo Nome, e v’induce a mettervi sotto de piedi quanti precetti contiene il Decalogo, quanti ne prescrive la Chiesa? No, no; ma voi siete quelli che li trasgredite, e non volete salvarvi, perché volete vivere con la briglia sul collo, libero ad ogni vizio, dite dunque, e confessate, a vostro marcio dispetto, che non vi salvate perché non volete salvarvi. Se il sole bastasse da se medesimo a produrre l’oro nelle montagne, tutte le miniere ne sarebbero colme, ma perché, oltre gl’influssi del sole, si richiedono ancora le disposizioni della terra, per questo l’oro è sì raro, voglio dire, che se per salvarvi bastasse la sola volontà del Signore, tutti ci salveremmo, ma perché Egli richiede che alla sua Grazia si congiungano le nostre opere buone, per mancanza di queste tanti e tanti periscono. Orsù, miei UU., sollevatevi dalle bassezze di quella terra, per indagare anche dal Cielo questa verità. Su, portatevi sino alle stelle, ma prima di penetrare più addentro, sentite le parole di Paolo, giunto al terzo Cielo, giacché egli audivit arcana verba. Ego igitur, cosi dice, sic curro, non quasi in incertum, sic pugno, non quasi aerem verberans, pur soggiunge, castigo corpus meum, in servitutem redigo, ne cum aliis prædicaverim, ipse reprobus efficiar. È vero, dice Paolo, che Dio per sua infinita misericordia, e non per i miei meriti, mi ha eletto alla gloria in intenctione, ma non per questo m’ha dispensato in executione, di guadagnarmela con le mie opere, che però quando io non cooperi alla sua grazia, reprobus, reprobus efficiar. Intendila, o Cristiano, quantunque tu tenessi per certo d’essere predestinato, ad ogni modo non otterrai il Paradiso, se non te lo guadagni con le buone opere. Ditemi, Paolo giunto al terzo Cielo, ove pure poté avere qualche notizia di sé, ad ogni modo opera per ottenere il Cielo, e voi, o peccatori, che sempre state con la mente, col cuore, e con l’opere in terra, avrete ardir di dire: se son predestinato mi salverò, se son prescito, mi dannerò? Egli fu dottore delle genti ed affermò la salute esser congiunta con le nostre opere, e voi ammaestrati solo nella scuola dell’iniquità, avete ardir di dire, se son predestinato mi salverò etc… Via su, passate avanti a penetrare fin all’Empireo. Vedete voi là quel coro d’Angeli apparecchiati, con le ali sempre allestite al volo? Ditegli un poco perché discendono sì frequenti, ora ad illustrarvi la mente perché offuscata non acconsenta al peccato, ora v’inteneriscono il cuore perché produca affetti più devoti verso di Dio, perché vanno frapponendo intoppi ai santi vostri disegni, che se riuscissero, vi sarebbero di danno. Or io dico: perché o Angeli Santi vi prendete tanto incomodo, e lasciando quelle vostre sedie dorate, vi prendere santa sollecitudine di noi, e non sapere voi dove sia il gran catalogo, in cui a caratteri d’oro, stanno registrati i nomi delli eletti, e non vi dà l’animo d’aprirlo, e vedere se in esso siano scritti i nomi di quelli che con tanta efficacia voi custodite, perocché quando mai non vi fossero, farebbero male impiegate le vostre industrie. Eh che quelli Spiriti Beati quantunque vicini al Trono di Dio conoscono benissimo, che per esser ammesso alla loro compagnia vi vuole la nostra cooperazione; eppure sento, che dalla bocca di qualche scellerato esce quella indegna proposizione: se son predestinato mi salverò, etc. etc. Convien dunque dire, che chi così parla sia stato più degl’Angeli vicino al gabinetto più segreto della Divinità. Ah, sciocchi voltate gli occhi alla vostra vita scandalosa e poi fissateli nell’inferno, e sappiate che se in quel catalogo de’ dannati v’è il vostro nome, la vostra dannazione è provenuta dalle vostre opere. Ma io torno a dirvi, miei UU., che costoro così parlano, perché vogliono seguitare in quelle usure, in quei giuochi, in quegli odii, in quelle maledette amicizie, e per questo dicono: se sono predestinato mi salverò, se … etc…. Tacete, tacete, e se volete avere più chiare e certe notizie di questa verità accostatevi, né vi spaventate da quell’abisso di luce, accostatevi per interrogare lo stesso Dio sopra d’un affare canto rilevante. Ma ahimè, che restano abbagliate le nostre pupille e non siamo degni di parlare con l’eterno Monarca, onde Egli scoprendo le nostre brame ci rimette ad uno de’ suoi segretari. Voi ben sapete, UU. che i segretari, sono quelli che sanno i segreti de’ principi; quali sono i segretari di Dio? I Santi Profeti: ecco dunque, che uno di questi, Ezechiele, dice, Convertimini, et agite pænitentiam. Convertitevi a penitenza, operate bene; ma santo Profeta, noi vi riconosciamo per segretario veridico dell’Altissimo, ad ogni modo noi non sappiamo intendere il vostro parlare, quando ci dite … convertimini; sentite, o voi parlate agli eletti, o ai reprobi; se agli eletti, che importa loro convertirsi, mentre o presto o tardi andranno in Cielo; se ai reprobi, che importa loro convertirsi, mentre infallibilmente andranno all’inferno; No, non dico così io, replica Ezechiele, son segretario di Dio e so molto bene che dalle vostre opere dipenderà la vostra salute. Che dite, che rispondete, che risolvete? In somma il nostro salvarci è congiunto con le nostre operazioni, e pure tanto vi è chi sta ostinato e dice con le opere peccando, se non con le parole bestemmiando: se sono predestinato mi salverò, se prescito mi dannerò. Or via, per indagare questa verità mi contento che lasciate in disparte e David, quantunque fosse secondo il cuor di Dio, e Paolo Apostolo, benché giunto al terzo Cielo, ove sentì quæe non licet homini loqui, e gl’Angeli vostri custodi, che pur sono Principi del Soglio eterno, e quei Santi Profeti, che ebbero il segreto del gabinetto più recondito della Divinità. Consolateci, che, se invano tentaste i colloqui con la semplice Divinità, gli potete avere col Verbo, che, se sino dalla Stalla di Betlem si soggettò alle comuni miserie, Egli vi compatirà, e si compiacerà ascoltarvi. Parlate pure animosi, parlate, domandategli, se per salvarvi, ci vogliono le vostre operazioni, e non dubitate, che Egli non sia per darvi giusta la risposta, e dirvi sincera la verità, perché Egli al pari del Padre suo Eterno, sa i profondi Decreti della vostra predestinazione. Or sentite ciò che risponde alle vostre interrogazioni, e se date, dice, una volta questi vostri tumultuanti pensieri, e per portar calma al vostro cuore, vi basti riflettere a ciò che dissi, allorché fui interrogato da quel dottor di Legge di ciò che doveva far per salvarsi. In lege quid scriptum est: hoc fac, et vives, se tu vuoi salvarti, osserva i Divini Comandamenti, lascia il peccato, fa penitenza, vivi a Dio, hoc fac et vives. Giovine, che pensiero è il vostro, volete essere nel numero de predestinati? Lasciate quell’amicizia, quella pratica maledetta, che col precipizio della vostra casa, con danno della vostra roba, vita e reputazione vi fa correre all’inferno. Nobili, volete essere fra gl’eletti: pagate quelle mercedi ritenute, quei legati non soddisfatti; hoc fac, et vives; donne, se volete salvarvi, desistete dagl’amori, dagl’ornamenti immodesti, deponete quelle vanità scandalose che son lacci d’inferno, raffrenate quelli occhi, che non guardano senza ferire il cuore di colpa mortale, hoc fac et vives; non più crapule, non più mormorazioni, non più bestemmie UU. ecco il modo di salvarvi: si lascino le usure, o mercanti, si depongano gl’odi o vendicativi, ed ecco il modo vero d’assicurare la vostra predestinazione e tra tanta incertezza, rendervi certo il possesso del Cielo; hoc fac, et vives, così disse Cristo al dottor di Legge, serva mandata, osserva i Comandamenti, e sarai salvo. Non occorre dunque più fantasticare col vostro cervello, miei UU. e non predestinato mi salverò, se prescito mi perderò, poiché Cristo stesso vi dice che la salvezza è congiunta con le vostre opere e inoltre non sentite replicarvi dal Redentore, qui bona egerunt ibunt in vitam æternam, qui vero mala in ignem æternum, chi farà bene si salverà, chi male si dannerà etc. etc.. E pur vi son di quelli che, senza dar retta a’ detti di Cristo, replicano, se son predestinato mi salverò, se prescito mi perderò, a costoro così grossolani, voglio apportare un caso avvenuto in Atene, per veder di smentire la loro cecità. Un certo indovino, portatosi un giorno nella piazza di quella città, vantava un segreto commercio con le stelle e tutto indovinava a suo pro. Era questi, un dì cinto d’ogn’intorno da popolo curioso, e da tutti riportava con gl’applausi, quantità di denaro, quando, accostatosi uno de’ circonstanti per gabbarlo con una passera chiusa in pugno, gli chiese che indovinasse se ella era viva oppur morta, dicendo dentro di sé: se l’astrologo mi dirà che sia morta, io lascerò che ella voli, e così lo svergognerò, se viva, io con stringerla più, la farò morire, e tale la mostrerò; ma l’arte questa volta restò delusa da un’arte più fina, imperocché l’indovino, accortosi della trama, rispose con gran prontezza: la passera, tale è quale voi la volete, se viva, viva; se morta, morta. E così riportò duplicato il plauso schernendo lo schernitore stesso. Contentatevi ora che io mi valga di questa narrazione a mio proposito. Se sarà predestinata, o prescita l’anima vostra, io non sono per certo tanto stolto, che m’arroghi di poter dare un’accertata sentenza sopra d’una tanta e sì grande interrogazione, ma via per uscirne anche io con la mia, dirò che l’anima vostra è qual la volete. Con l’aiuto della grazia: fra’ vivi, se la volete viva e predestinata; tra’ morti se la volete morta e prescita. Anima vestra in manibus vestris. Intendiamola o Cristiani, vi salverete se opererete bene, vi dannerete se cattive saranno le opere vostre. Tutto bene Padre, ma noi sappiamo per fede che Dio sin ab æterno ha preveduto quello che sarà di noi, e quello appunto seguirà. Io non nego quanto mi dite, ma vi rispondo con San Vincenzo Ferrerio. Rappresentatevi, dice egli, un gran signore, il quale avendo proposto un nobil Palio a tutti coloro che se lo guadagneranno con correre velocemente ad una meta prescritta, salga di poi sulla cima d’un’alta torre per rimirarne i loro sforzi, le loro prove. Certo che da quel posto sublime egli scorge ad un tempo quei che, invece di correre al palio prendono una via del tutto opposta, quelli che, dopo avere cominciato bene, escono di strada senza più ritornarvi, e quelli altresì che ne uscirono, e poi vi ritornarono e finalmente quelli che dall’intrapresa carriera verso il suo termine mai cessarono di correre finché non vi giunsero. Or così Iddio ha proposto a chi osserva i suoi Divini Comandamenti il Paradiso per Palio, ed Egli pure vede con la sublimità della sua sapienza, a cui sono presenti, ad un modo, sì il passato, come il futuro; vede dico, che alcuni senza cominciare a correre per le vie segnate dalla sua legge, prendono una strada del tutto opposta, cominciando a peccare sin dalla fanciullezza, e non terminando fino alla morte; vede altri che cominciano bene e finiscono male; vede chi, uscito di strada vi ritorna per la penitenza; vede chi direttamente cammina sempre verso il suo fine, con una continuata innocenza; ma che siccome la vista di quel Re non è cagione che erri chi erra e che non giunga al palio chi non vi giunge. Così il prevedere Iddio, fin ab æterno, che i reprobi non giungeranno alla Gloria, non è cagione che essi non vi pervengano. Fate che i concorrenti giungano al palio, ed il Re li vede giunti. Fate che gli uomini muoiano in stato d’amicizia e di grazia, e Dio fin ab æterno li avrà veduti giunti alla corona. Concludiamo, dunque, che questo dire che cammina per le bocche scellerate: già è decretato quel che ha da essere di me, altro non ha per conseguenza, che voler vivere pessimamente; del resto ben conoscete ancor voi, che quæ seminaverit homo, hac metet. Tutto bene Padre, ma in tanto se son predestinato mi salverò, se prescito mi dannerò. O che voci d’inferno, e che potrò dir io di più, per levar questa pazzia di capo a più d’uno, e far che si creda questa irrefragabile verità: che l’opere sono quelle che salvano, e così, se colui vuol salvarsi, convien che lasci l’amicizia, lasci l’odio lasci l’interesse, le mormorazioni, le bestemmie, e colei d’esser sì scandalosa e voler la venerazione d’ogni cuore, altrimenti non vi salverete. Ho finito, non so più che dirmi, andate in pace: senza opere buone non vi salverete. Sebbene piano, odimi o peccatore, se tu non hai voluto credere che per essere predestinato vi vogliano le opere buone. Né a David secondo il cuor di Dio; né a San Paolo che giunse al terzo Cielo; né ai santi Profeti segretari della Divinità; né alle parole di Dio medesimo, ho trovato un soggetto a cui tu crederai, perché egli è tuo grande amico, e ben spesso si dà più fede all’asserzione d’un amico che all’autorità d’un grande. Questo è certo tuo grande amico perché fai quanto egli vuole, chi è? Il diavolo. Interroga dunque il demonio, se ci vogliano le opere per salvarti, e sentirai risponderti a forza di fatti, che sì! Sentite di grazia UU. È certo, che il demonio sa meglio di noi l’immutabilità de’ Divini Decreti; perché in Lui naturalia remanserunt, e senza dubbio sa meglio di noi che si salverà il predestinato e si dannerà il prescito, e pure quello che egli meno pensa è questo, ma solo attende a tentare indifferentemente tutti. Discorriamola un poco col demonio: tu sai, dico io, o spirito infernale, che Dio ha già determinato quello che ha d’essere; perché dunque tentare gl’uomini? Se quello è predestinato, certo si salverà benché tu lo tenti; se quello è reprobo si dannerà, senza che tu t’affatichi a tentarlo. Sì, tutto è vero, dice il demonio ma non per questo desisto dal tentare, perché so che l’uomo è libero, ed ha l’arbitrio assoluto, ed ognuno per santo che sia può divenir tristo e dannarsi; sì come ognuno per scellerato che sia, può farli santo e salvarsi; e so di più, che Dio: reddet unicuique juxta opera sua; tento perciò tutti, o buoni o cattivi, o predestinati o presciti che siano, e nulla lascio di fare perché si dannino. Ah peccatore! Il demonio benché sappia più di te, non lascia di tentarti, o prescito o predestinato che tu sia, e non guarda a’ decreti divini, ma alla libertà del tuo arbitrio, alla Giustizia Divina che ha da premiare il buono e castigare il reo, e tu vuoi andare perdendo il cervello con cercare se sei predestinato o prescito, averti che, se non operi bene ti troverai dannato.


LIMOSINA.
Uno de’ segni di predestinazione è l’essere elemosiniere. Cristo nel Giudizio Universale dà nome di benedetti ai predestinati … Venite Benedicti, e di maledetti a’ reprobi, … discedite maledicti, non per altro se non perché quelli furono, e questi non furono elemosinieri, a quelli dirà: esurivi, et dedistis, a questi: esurivi  et non dedistis mihi manducare.

SECONDA PARTE.

O per me, esco fuori di me, ogni qual volta considero che l’uomo nelle sue azioni mondane non si governa con pensar ciò che Dio ha decretato. Ditemi: chi pretende in questo mondo onori, dignità, cariche, ed offizi, chi cerca accumular ricchezze, ed ammassar tesori, non ha la mira a quello che Dio ha decretato ab æterno; non dice: se Dio ha determinato che io sia ricco, lo farò senza affaticarmi; no! Ma s’ingegna ed applica con diligenza a tutti i mezzi possibili per giungere a quello, che pretende. Deh sentitemi signor tale, lasciate pur li scrigni aperti, ove sono i vostri denari, e voi o signora non chiudete lo stipo delle vostre gioie, perché, se Dio, ab æterno, ha stabilito che non vi sia rubato non vi sarà tolto. Che direste a questo mio parlare? Padre, mi rispondereste non mi do pensiero di questi decreti divini che non fanno per me, quel che so di certo è che, se non guardo bene i miei denari, se non custodisco bene le mie gioie, si perderanno, mi saranno rubate. Quanto voi UU. direste con ragione a me in materia di gioie e di denari, tanto io dico a voi in materia d’anima. Se voi non custodirete l’anima, fortificandola di buone opere, non vi salverete; se voi la lascerete in abbandono vi sarà rubata dal diavolo. Dio immortale! Almeno si praticasse ne’ mali dell’anima la metà di quello; fino ed il medico avesse la bella sorte pratica ne’ mali del corpo; s’ammali l’uno tanto più pericoloso dell’altro, quanto l’anima è superiore al corpo. Piacesse a Dio, che a me fosse concessa una simile fortuna, e che col mio rappresentare a chi m’ode la necessità delle buone opere per salvarsi, l’inducesse a lasciare quei tanti vizi che gl’opprimono l’anima e ad abbracciar le virtù, che la conducano al Cielo. Miei UU. sumus adhuc in via, non è ancora terminata la carriera del nostro vivere, voglio dire che possiamo ottenere il premio del Paradiso; siamo ancora in battaglia, possiamo assicurar la vittoria, e già che contro di noi non è ancor pubblicata la sentenza, vi resta luogo alla grazia, satagite, dunque vi dirò con l’Apostolo Pietro: operate bene … ut per bona opera certam vestram vocationem et electionem faciatis; eseguite dunque i consigli di San Pietro: vivete bene e vi salverete.

QUARESIMALE (XXXII)