QUARESIMALE (XXX)

QUARESIMALE (XXX)

DI FULVIO FONTANA

Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711)
PREDICA TRENTESIMA

Nella feria terza della Domenica di Passione

La mormorazione vizio detestabile, perché nello stesso tempo contamina chi mormora, di chi si mormora, e chi ode mormorare.


Et murmur multum erat in Turba.
San Gio: al cap. 7.

Sono ormai sei mila settecento e più anni, che a rovina del mondo tutto, ebbero principio i delitti della lingua, e fu allora che il serpente mormoratore d’inferno cacciò Eva dal Paradiso terrestre, e con le sue cadute ne derivano i nostri precipizi, quando susurrans serpens, scrisse un moderno, Evam de Paradiso excussit. Dalla lunghezza del tempo gran forza ha preso il vizio della lingua, che peggiore d’ogni altro si fa conoscere nella bocca del mormoratore perché, come dice San Bernardo, coll’arma pestifera della sua lingua ferisce nello stesso tempo in un sol colpo tre persone … tres lætaliter inficit et uno. Inficit colui, di cui mormora; inficit coloro con cui mormora; inficit finalmente quello, che mormora. Vediamo ad una ad una queste tre rovine per evitarle, e son da capo. – Non ha il diavolo ministro né più fedele, né più accurato nel servirlo del mormoratore, poiché non restringe le sue mormorazioni a sesso, mormorando con egual libertà e d’uomini, e di donne; non le limita ad età, poiché tanto si mette a lacerar la fama d’una piccola donzella, d’un innocente garzoncello, quanto d’una vecchia decrepita, e d’un uomo canuto. Non guarda a condizione, poiché la sua lingua è egualmente pronta ad imbrattarsi nella reputazione d’un grande, d’un Pastor sacro, come d’un vil plebeo. Arriva sino a lacerar la fama delle vergini, o legate con voto o consacrate ne’ chiostri, e de’ Ministri anche più accreditati degli Altari. Non ha, torno a dire, ministro il diavolo né più fedele, né più accurato, poiché anche in ogni luogo alza il suo trono. Andate alla campagna, agli orti, alle vigne, agli oliveti, e qui si fan largo le lingue mormoratrici. Entrate nei castelli, terri, città e qui nelle strade, nelle case, che più? Ne’ Templi, ed … o che ministri diabolici! A ministri sì fedeli, conviene che il diavolo assista con le sue astuzie, poiché non cessano di portargli guadagni d’inferno; ed il Santo David in più luoghi de’ suoi Salmi ne palesa il diabolico loro operare, … os tuum abundavit malitia. Vi sono alcuni, che se non s’empiono la bocca di mormorazioni non son quieti a guisa di quei parassiti che, non contenti di nutrirsi, voglion sempre piena la bocca. Né qui si ferma il santo David, poiché non solo asserisce che abbonda la malizia nella bocca del mormoratore, ma passa a mostrarne gl’inganni, onde dice: Lingua tua concinnabat dolos. Costoro furono appunto come lo scorpione, il quale finge d’accarezzare con le branche per ferire con la coda, mentre lodando talora uccidono il credito e scemano l’onore. Lingua tua concinnabat dolos … che vale a dire che mormorando adorna inganni, ed abbellisce infamie. Principiano questi dalle lodi, e nell’atto stesso di ambire, sanno cavar sangue. Lodano un giovine, ma con esprimerlo o libero nel parlare, o licenzioso nel guardo, sicché quel misero avrebbe avuto per meno male d’esser maledetto che lodato da quelle lingue che lodando vituperano, e celebrando infamano, simili appunto a quelle lodi di certe streghe sacrileghe, le quali assaturano le piccole creature col solo lodarle. Penderà dal petto d’un amante madre un caro figliolino, quando una di queste streghe messasi a lodarlo, gli dirà: o come è vago, o come è vezzoso il vostro figliolino; ed appena ciò detto, la creatura si ammala, principia a languire, ed a consumarsi come una candela di misture aromatiche, che si consuma senza sapersi come bruci. Lingua tua concinnabat dolos. Di tal sorta pure sono quelle lingue che principiano il discorso dalla compassione, e lo finiscono in crudeltà, mostrando dispiacere, ch’una persona, per altro di talenti, commetta poi certi errori; possono questi assomigliarsi ad un certo serpente, di cui dicono i naturalisti, che ha il capo candido, ma non ha denti in bocca, dalla quale però versa una spuma sì velenosa, che attossica quanti tocca; mostrano questa razza di mormoratori d’esser candidi, e sinceri di parlar per puro zelo, e di non aver denti in bocca da mordere; ma in verità sarebbe meglio che gl’avessero, giacché la spuma che gettano dalle labbra è più nociva, perché guidata con più artificio. Peggio, passa avanti il santo Profeta, e lo dichiara uomo di più lingue, Vir linguosus. Io per me non ho mai veduto persona che abbia più lingue in bocca, e se due ne avesse, so che non potrebbe parlare neppur con una; come dunque il santo David dice, un uomo di più lingue? Perché il mormoratore di tutto se stesso, forma lingue nefande. Voi vi troverete in una conversazione, ove per lode d’una donna, si dirà che ella è un vero ritratto della modestia, quando uno di coloro per ironia rivolto all’amico abbassa il capo, eccolo detrattore con la testa, la loda un altro, come specchio di cristiana pietà, ed un di quei serra l’occhio sinistro, e si fa mormoratore con gl’occhi. Si dichiara quello che la donna è un esemplare di ritiratezza, e che alla nobiltà della nascita accoppia l’onor della vita, quando s’osserva che uno del circolo o fa un cenno con la mano, o preme col suo il piede del vicino, sicché col piede senza strepito altamente si parla. Vir linguosus, uomo di più lingue è il mormoratore; ben ravvisato per tale da Salomone allorché scrisse: annuit oculis, terit pede, loquitur digito. E di lingue di serpente avvelenato d’un aspide, venenum aspidum sub labiis eorum, per additarci, che siccome il morso ed il veleno dell’aspide è insanabile, così la piaga che fa il mormoratore è irrimediabile. O quanto difficile è render la fama, è quasi impossibile. Vi aiuterete per restituirla, ma indarno. Mosè voleva far conoscere che egli era vero ministro del suo Signore, onde gettata la sua verga in terra, la fece subito trasformare in un orribile serpente, ma che? Appena la ritolse in mano, che subito la fece di serpe ritornare verga. Vollero gl’incantatori di Faraone far anch’essi una prova eguale, ma non gli riuscì; fecero, è vero cambiar le verghe in serpi, ma quelle serpi mai ritornarono all’esser di verghe. La virtù diabolica, miei UU., può arrivare a far del male, a cambiar le verghe in serpi, ma non può già rifare dal male, bene. Tanto succede ai mormoratori: vi riuscirà di far comparire quell’uomo da bene per un usurario, per un maledico, per un vendicativo; vi riuscirà di far credere che quella devozione sia una ipocrisia, che quella fanciulla sia macchiata, che quella maritata non sia fedele, ma non vi riuscirà di farli ritornare nel loro essere, e di reintegrarli di quel che gli avete levato. Calumniare, calumniare, diceva quell’infame politico, semper aliquid remanet. E se è irrimediabile, darà la morte, così è, così è, dice l’Angelico San Tommaso: Qui occidit fratrem suum, qui detrabit, pariter homicida esse monstratur. Che però la Sacra Scrittura alla lingua maledica dà il nome or di rasoio, or di saetta, or di spada per denotare le gravi piaghe che ella fa nel cuore del prossimo; e se la lingua de’ mormoratori non giunge per sé stessa a privare il prossimo di vita, giunge a privarlo per mezzo d’altri, mentre una gran parte delle più sanguinose fazioni sono causate dalle mormorazioni. Non ha il demonio, no, ministra più fedele della lingua, poiché se tante volte sono perite nobili casate, e belle prosapie, son caduti i regni più floridi, e le  regalità più gloriose, tutto è stato effetto, al dir di Plutarco, della lingua: Unius lingua dolo, proditione, urbes conciderunt, regna, res publica; così è, dice lo Spirito Santo: Os lubricum operatur ruinas. Voi vi crederete, che il mormoratore abbia finito d’adoperar l’arma terribile della sua lingua, mentre non solo con essa ha ferito, ma ucciso, come parla l’Angelico; appunto, appunto, sentite il Profeta, che segue: Lingua eorum transivit in terra, che è quanto dire che talora penetra la terra, fino alle ossa de’ poveri morti, di questi ancora mormora, anzi più, talora salgono in Cielo. Os suum posuerunt in Cœlum. Il leone, se trova una bestia uccisa, la mira e poi passa avanti, né la tocca. Non fanno già così questi indegni, mentre con la loro perfida lingua s’inoltrano fino all’ossa de’ trapassati, e sono sì temerari, che non considerano che, con dir male de’ morti, chiamano al lor sindacato come rei, quei che facilmente sono beati in Cielo. Né vi crediate, segue il santo Profeta, che queste loro mormorazioni siano rare, appunto, hoc opus eorum, questo è il mestiere che fanno dalla mattina alla sera, non già di passaggio, ma di proposito: Sedens adversus fratrem tuum loquebaris; sedens nell’anticamera di quel personaggio; sedens avanti l’uscio di quella bottega; sedens sopra le panche di quella Chiesa, mentre si aspettava la predica; sedens a quella mensa, a quella veglia, a quel fuoco; insomma hoc opus eorum qui detrabunt mihi; ecco l’occupazione degli uomini e delle donne dalla mattina alla sera: dir male degli altri. Gran cosa! Quelle persone ancora che non sanno dire tre parole in fila, sapranno durare tutto dì a mormorare simili a quelle rane che non hanno altra voce che per gracchiare. – Sinora ho detto del mal che fa il mormorare a quello, a quella, di cui mormora. Or vediamo adesso il mal che fa a quello, che sente mormorare: grandissimo, perché lo ponete in pericolo di dannarsi. Non me lo credete? Uditemi. Coloro alla presenza de’ quali mormorate, o son buoni o son cattivi: se son cattivi come voi, si compiaceranno d’aver compagni, e prenderanno un animo molto maggiore per seguitare con la loro maledica lingua a trinciare la riputazione di chi che sia. Voi ben sapete che il Profeta Reale, udita ch’ebbe la morte dello sventurato Saul pregò coloro che gliela significarono, a non palesar questo successo agli abitatori di Get, per non dargli occasione di parlare sulle calamità d’Israele, ne exultent filii incircumcisorum; ma voi mormoratori, che fate? Quando in quel circolo vi lavate la bocca di quel chierico, di quel religioso, di quella donna, di quella dama, fate che chi vi sente, prenda motivo di seguitarvi, di far lo stesso, anzi d’accrescere etc… Un empio solo che mormori, sveglia in chi sente, un insopprimibile talento di mormorare, a guisa di quell’importuna cicala che, col suo garrire, sveglia allo strepito quant’altre gli son vicine, etc. .. –  Quando poi questi che vi sentono mormorare non siano uomini empii, ma pii, ma da bene, o quanto è male, che voi fate all’anima loro; è facilissima cosa, che voi mormoriate di quelle cose, che essi non sapevano, come d’amori, d’onestà, etc… e così voi gl’insegnate le indegnità, e gli fate e pensar ed imparar quei mali a loro ignoti. Di più li ponete in pericolo di divenir mormoratori come voi, più, che dispregino quelle persone, delle quali mormorate, e se non altro, li ponete in stato di vanagloriarsi, e di dire col Fariseo, non sum, non sum sicut cæteri bominum. O quanti mali quanti mali! Voi poi, che talora vi trovate ne’ circoli ove si mormora, se non volete avere nelle orecchie quel diavolo, che ha nella lingua chi mormora, avete a seguire il consiglio del Boccadoro: habes, quod laudes, aures aperio, si vero malum velis dicere, obturo aures non enim stercus et cænum accipere sustine. Fratello, signore, signora, se volete parlar bene del prossimo, io v’ascolto, se male, chiudo le orecchie, perché non voglio sozzure di maldicenze. E quando la vostra condizione tanto non vi permetta, servitevi della proprietà del delfino, di cui narrano i naturali, che ode, ma par che non oda, giacché non appariscono le sue orecchie. Se voi non potete impedire che non si mormori, mostrate di non udire, non apparisca in voi né gradimento, né approvazione. Or che v’ho mostrato il danno che riceve quello di cui si mormora, e quello in presenza di cui si lacera, resta il terzo punto del male, che ne viene a quello che mormora. Primieramente dovete sapere, che siete in odio agli uomini: abominatio hominum detractor, i quali, benché vi ridano in faccia, v’abominano nel cuore, perché quel tradimento, che fate agli altri in presenza loro, lo farete di loro in presenza d’altri, e vi riconoscono per quei cani da macello, i quali godono d’imbrattarsi egualmente in ogni sangue le loro labbra; ma questo è un nulla; il peggio è, che siete odiati da Dio: detractores Deo odibiles, così parla l’istesso Dio. Siete odiati da Dio, dunque permetterà Iddio che vengano nella vostra casa quei vituperi, che ora scoprite in quella del vostro prossimo; impius, dice lo Spirito Santo, confundit, confundetur. Guai a questi mormoratori, guai a questi detrattori: Vir detractor, seguita a parlar Dio, non prosperabitur in terra. Siete odiati da Dio; dunque andranno sempre di male in peggio i vostri interessi, resteranno sterili i vostri campi, fulmini spietati inceneriranno i vostri armenti, orride tempeste termineranno le vostre campagne, orribili terremoti scuoteranno da’ fondamenti le vostre case. Siete nemici di Dio, dunque periranno le vostre consorti, i vostri mariti; si estinguerà la vostra casa con la morte immatura de’ figli, e voi, perché mormorate, vi ridurrete a tal miseria, che per sostentar la misera vita, vi converrà mendicare un tozzo di pane di porta in porta, Vir detractor non prosperabitur in terra, diluvieranno le disgrazie, le infermità, le morti sopra la vostra casa, la vostra famiglia, la vostra persona. Girate, girate pure le strade tutte di questa vostra città, voi che conoscete ogni famiglia, e troverete molti di questi detrattori, che prima vivevano con comodità nelle loro case, ed ora sono ridotti a stato tanto infelice così permettendolo Iddio per castigo della loro maldicenza. Ma che sarebbe, quasi dissi, poco il castigo narratovi; il peggio è, che qui non si ferma il giusto sdegno di Dio; non basta a Dio che i mormoratori siano miserabili nel corso della loro vita, li vuol tali anche nella morte, perché li vuole morti di morte improvvisa! O Dio! Cosa vuol dire essere odiati da Dio, o Dio! che disgrazie porta seco la mormorazione; ecco le parole delle sacre carte: Time Dominum fili mi, cum detractoribus ne commiscearis, quoniam repente consurget perditio eorum; mormoratori, la vostra morte sarà subitanea, repente, repente, può mentire Iddio, amplifica Dio, burla Dio? Se credete, che mentisca, burli, o amplifichi, non parlo con voi, perché butterei il tempo, predicando ad infedeli; ma se non mentisce, voi perirete di morte subitanea, o colpiti da una goccia, come il mormoratore Alcimo, che tanto sparlò di Giuda Macabeo, o inghiottiti dalla terra, come gl’empi detrattori di Mosè, repente consurget perditio eorum, vi troverete colti da quella morte che sola al mondo è bastevole a far tacere le vostre lingue sacrileghe. Riflettete dentro di voi a quanti fin’ora son morti di morte subitanea; e toccherete con mano, ch’erano per lo più detrattori. Temete dunque uomini e donne, temete, perché se mormorerete, morirete di morte improvvisa senza poter neppur proferire quel Santissimo Nome: Gesù! Gran castighi sono questi, non lo nego, morire di morte improvvisa, ma pure sarebbero comportabili se non ve ne fossero de’ maggiori. Chi è in odio a Dio, creda pure essergli dovuto ogni castigo. Ecco, che lo stesso Profeta passa a castighi molto maggiori, e più severi; Virum injustum idest detractorem,
spiega la Glossa, mala capient in interitu, al capezzale sì, alla candela benedetta, a quegli ultimi fiati, alla morte proverete ciò che voglia dire esser stato mormoratore, e come tale in odio a Dio. Vi sbatterete per quel letto agitati, come furie, vi lacererete con le vostre mani, come arrabbiati, le carni; morirete senza l’assistenza de’ Sacerdoti, passerete all’altra vita senza Sacramenti, tutto per divina permissione, perché foste mormoratori: Virum detractorem mala capient in interitu; O Dio saranno pur finiti i castighi contro i detrattori, mentre ora li vediamo morti; finiti? Mi risponde la glossa morale, spiegando le sopracitate parole, appunto, no, no! Quia mala gehenne eum capient, no, no, che non sono finiti i castighi divini, ve ne sono ancora, mala gehennæ, vi è la perdita irreparabile dell’anima, vi è l’eternità dell’inferno, vi è l’ardere ed il bruciare per sempre fin che Dio sarà Dio. Tu, o mormoratore in tutto il tempo di tua vita non la perdonaste mai ad alcuno, ma ti dilettasti sempre di detrarre, e di biasimare chiunque ti veniva in bocca, così Dio per tutta l’Eternità ti farà provare la sua eterna maledizione, se non fermerai quella lingua, che scocca saette nell’altrui fama, il tuo premio in fin di vita farà un’eterna morte: dilexisti, dice David, omnia verba præcipitationis lingua dolosa, ecco quello che ne seguirà … propterea Deus destruet te in finem, e vuol esprimere, secondo San Bernardo, idest irrevocabiliter per destructionem eternalem, quæ sine fine erit. Tanto appunto intervenne ad uno di questi mormoratori, il quale ridotto alla morte, sentendosi esortare ad avere fiducia nella Divina Misericordia, gridò con voce spaventevole: che misericordia? non vi è misericordia per me di Dio, già che io sì poca n’ebbi verso il mio prossimo; indi, orribil cosa, tratta fuori la lingua, accennò col dito, che la mirassero, e poi questa lingua … soggiunse, m’ha condannato, questa, con la quale m’avete sentito si spesso condannar altri; questa sa, che disperato io mi danni; così disse, e perché manifestamente apparisse, aver egli per giusto giudizio di Dio così parlato, se gli gonfiò tutta in un subito la lingua, sicché non potendola più ritirare a sé, cominciò a muggire come un toro, e così dopo penosissima agonia, morì nelle braccia del diavolo. Volete voi evitar simili castighi? ubbidite al Profeta Reale: Benedicite Dominum omni tempore, Iddio vi ha dato la lingua, non per mormorare, ma perché semper fit laus ejus in ore vestro, dirò io, risolvetevi dunque d’abbandonare vizio si mostruoso, benedicendo Dio nel vostro prossimo con la vostra lingua, acciocché Egli benedica voi in punto di morte.

LIMOSINA.
San Giacomo Apostolo chiama la lingua mormoratrice con questo vocabolo: universitas iniquitatis, quasi voglia dire, che chi è mormoratore, può dire d’aver in sé ogni vizio, merceché la mormorazione equivale a tutti. Cosa dovrà fare dunque il mormoratore per liberarsi da questa universalità di peccati? Una  buona limosina, giacché la limosina, dice Dio ne’ Proverbi, è quella, che operit universa delicta, universa delicta operit charitas! Anche tra gli uomini la liberalità ricopre i vizi, che però Filippo Re de’ Macedoni era solito di dire, che stava in sua mano cambiar le mormorazioni de’ sudditi verso di lui in lodi, perché bastava ch’aprisse la mano a donare.

SECONDA PARTE.

Siate pur benedetto, o Padre, Dio vi renda il merito di questa Predica. Tale appunto era necessaria in questa nostra patria, ve ne era un estremo bisogno, non si fa altro che mormorare ed udir mormorazioni; sicché godo dunque d’averla affrontata con speranza di frutto. Ma ditemi, chi siete voi, che così parlate? Io vi credo uomo da bene, donna d’ogni onore. Ma se voi poi foste nel numero di quelli e di quelle che tanto godono che si predichi contro chi mormora, perché vorrebbero vivere a lor modo secondo i loro capricci con ogni libertà, e che di loro non si parlasse, non si fiatasse, io contro di voi mi rivolterei, e con santo zelo v’imporrei un perpetuo silenzio. Come? Voi volete far tutto e far di tutto, e con ciò dar motivi continui che di voi si sparli, e poi volete che ognuno taccia? Tacete voi più indegni di loro. Vi sarà una donna, un Sacerdote che diranno: non siamo rispettati, si sparla di noi … ditemi, rispondo io, buona donna, reverendo Sacerdote, ne date occasione? Se ne date occasione, fanno male essi e peggio voi, e però prima a voi e poi a loro è dovuto il castigo. Voi vivete non da Sacerdote, ma da secolare, non avendo che la veste da religioso, la quale non basta per occultare le inimicizie, il trafficare, il mercantare, vi fate conoscere per puntiglioso, e si sa che la castità promessa non si osserva, e vi dolete poi che si mormori? Tacete e non ne date i motivi sì gagliardi. Già voi vedete, che una parte del mondo mormora dell’altra, né mai si cessa. Sentiamo le scuse che adducono molti per liberarsi dalla colpa. Padre, io non ho tanta malignità; se qualche volta parlo, parlo per zelo! … Non vorrei vedere ciò che non sta bene, lo zelo eh? Non siete già voi come le rane, le quali giacendo nel fango, gridano poi sempre, quasi rimproverando agli altri la loro sordidezza. Avvertite, che non vi senta il lupo di Plutarco che a voi farà il rimprovero che fece a certi guardiani d’armenti; udite: introduce Plutarco un lupo che, costretto dalla fame, passa alla mandria, addenta un agnello, quando destati i cani e svegliati i pastori, fu tale la fierezza di questi ed il latrar di quelli, che il povero lupo, per non perder la vita, lasciò la preda; tornato però la notte appresso la caccia, e giunto con la scorta dell’odore di carne cotta alla stessa capanna, quivi da una apertura dell’uscio, riconobbe che quegli stessi cani e quegli stessi pastori stavano banchettando chi con le ossa, e chi con le carni del più grasso vitello di tutto il gregge. Oh addio galantuomini, gridò meglio che poté con gli urli il lupo, così guardate gli armenti? Quantus tumultus si hoc ego fecissem, bel zelo abbaiare contro degli altri e far peggio degli altri, salvare un agnello, e rubare un giovenco. Se io rubai, lo feci per fame, ma voi per ingrassarvi tradite i padroni, sfiorate la greggia e scandalizzate etc… . Voi avete zelo di quella, etc. . dirò io, donna, e voi, che fate? Padre, non son nel numero di questi, ne dico salvo quel ch’è vero. Adagio, e da quando in qua si possono pubblicar i difetti, benché veri? Dunque, se un povero ecclesiastico, una povera donna cadono, potrà pubblicarsi? E da quando in qua, quello che succede in una camera si ha da dire per una Piazza? Quel che accade in una casa, si ha da pubblicare per la città? Quel che succede in un vicinato, si ha da scriver per tutto? Mi meraviglio di voi, chi ha peccato, tiene tuttavia della sua fama, giustamente il possesso … Io non trascorro tant’oltre, dice un altro, ma sol quello che so, lo confido a mio marito, all’amico; no, neppure ad uno dovete dirlo, audisti verbum adversus fratrem tuum, dice lo Spirito Santo, commoriatur in te; hai udito qualche fallo del prossimo, non lo dire a niuno; ma pensate voi se vogliono ubbidire? Appunto a guisa d’una donna di parto, par che si trovi in angosce, finché non trova a chi comunicare ciò ch’ha udito. Via, via, si muti linguaggio. Se così farete, sarà santificata la lingua di chi mormora, l’orecchio di chi ascolta, la vita di chi opera, ed in tal forma si giungerà da tutti a lodar Dio.

QUARESIMALE (XXXI)