QUARESIMALE (XXIX)

QUARESIMALE (XXIX)

DI FULVIO FONTANA

Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711)

PREDICA VENTESIMANONA
Nella feria seconda della Domenica di Passione.

Si mostra la stolta presunzione d’offendere Iddio sulla speranza della Divina Misericordia.

Si quis sitit veniat ad me, et bibat. San Gio: cap. 7.

Il premio e la pena sono le due basi che tengono il mondo in regola. Che meraviglia dunque se Cicerone, principe dell’eloquenza, colà nel terzo de Natura Deorum, apertamente dicesse, che non solo una repubblica, ma neppure una casa poter durare, mentre in quella non si tema il castigo per il vizio, non si speri il premio per la virtù; nec domus, nec respublica stare potestà, si in ea nec recte factis præmia extent ulla, nec supplicia peccatis. Del pari dunque camminano al reggimento del pubblico premi e pene; ma o quanto è male e quante turbolenze partorisce il non punire le colpe. Guai a noi se non si punissero i rei, si vedrebbero in breve tempo le città divenute selve di lupi depredatori. Stupisco però come gli uomini siano così stolti, che dalla clemenza d’un principe che perdona, ne ritraggano motivi di seguitare vita licenziosa; sarebbe tuttavia, quasi dissi, poco male, se così passassero le cose con i soli principi della terra. Anche con Cristo Re si pratica in tal modo, poiché gli uomini, quanto più lo considerano misericordioso, tanto più l’offendono, e perché Egli si dichiara, si quis sitis veniat ad me, per questo sperano aver aperte sempre le fonti delle Divine Misericordie, per affogarvi le loro colpe e seguono a peccare. Seguitate pure, dirò io, perché (e sarà l’assunto del mio discorso) se pretendete d’offendere Dio sulla speranza delle Divine Misericordie e sul fondamento delle vostre stravolte idee, vi troverete e castigati e perduti. – Perdonatemi o dotti: convien che io stamane me la prenda con i peccatori ignoranti, i quali discorrendo da pari loro, formano sciocchissimi sofismi, e su questi vogliono innalzare la fabbrica della loro salute. Dio è buono, dicono essi, ha sparso tutto il sangue per noi, è tutto misericordia, il Paradiso non è fatto per i Turchi, si salvò un ladrone, dunque, anche io porrò piede in Cielo. Poveri peccatori, che sì fattamente discorrendo continuate a menar vita licenziosa senza accorgervi che pretendete stringer l’ombra in pugno, la vostra speranza sulla bontà Divina, mentre continuiate a peccare, è giusto come l’arcobaleno, che altro non ha salvo l’apparenza. Voi dite, Dio è buono, e poi ne cavate per infallibile conseguenza: dunque si può peccare, questo è un discorrere da sciocchi; dunque, perché Dio è buono voi volete esser empi, poiché Dio riceve i penitenti voi volete continuare a peccare; perché Egli vi benefica come Padre, voi lo volete trattar da nemico. Dio immortale, ed è pur vero che neppur le vipere impastate di tossico, offendono se non sono offese, solo voi offendete Iddio non solo quando non vi offende, ma quando tutto bontà vi benefica. Voi temerari così dite: Dio è buono, quindi si passino i giorni negli amori, le notti nelle veglie scandalose! Dio è buono; dunque, irriverenze nelle Chiese, dunque si mormori in ogni circolo, si sparli in ogni piazza, si pecchi in ogni luogo. O che pazze conseguenze! Deducetene piuttosto un’altra, e dite: Dio è buono, dunque s’ami, s’onori, si adori, si osservino i suoi precetti. Fermatevi, che fate, e perché oltraggiate quel cavaliere sì buono con le parole, e perché percuoterlo con schiaffi vergognosi? È un peccato il solo pensare ad offenderlo, e non sapete la sua bontà perché dunque strapazzarlo? Per questo stesso sento rispondermi: perché è buono voglio strapazzarlo, maltrattarlo; questo è un parlar da pazzo, non è vero miei UU.? Orsù a noi. Dunque, un uomo vil fango della terra, perché è buono merita ossequi, e Iddio che è bontà infinita merita dispregi? Neppure un cane, quando sia buono deve strapazzarsi ed è pur vero che il privilegio d’un cane, d’un animale non l’ha Cristo, perché quantunque buono si vilipende, e si conculca con i peccati. Dio è buono! Ah che mi si spezza il cuore, dunque si bestemmi alla peggio il suo nome Santo, dunque s’inalberi uno stendardo, e vi si arruoli sotto un esercito di maritate sedotte, di vergini contaminate, e con una tal milizia si tenti di cacciarlo dal suo trono per costringerlo a nuovamente vivere in una stalla. O che conseguenza bestiale è mai quella… Dio è buono, dunque pecchiamo. Dite piuttosto, bonus es tu, in bonitate tua doce me justificationes tuas. – Non cavò già conseguenze sì storte Giuseppe il casto, casto ancorché giovane come abbiamo nella Genesi al cap. 36. Fu questi più volte tentato dalla padrona che era una di quelle maritate a cui pareva che il vincolo coniugale non servisse di freno, ma di stimolo alla incontinenza, fu dico tentato Giuseppe con quelle infame parole dormi mecum, al che gli rispose: ecce dominus meus omnibus mihi traditis, con quello  che segue. Il mio padrone, disse Giuseppe, è sì buono verso di me che mi ha quasi costituito padrone di tutto il suo, e come potrò io contaminare il suo letto: Quomodo potero peccare in Dominum meum, non sia mai vero no; così si discorre e così si opera. Deh mutate sin quaggiù o peccatori e dite: Iddio è buono, dunque non lo devo offendere, ma amare, perché il buono fu sempre amabile, e riflettete che se Egli è buono, come voi dite, tanto peggio sperate se non l’amate: Certe si talis est, qualem putas tanto iniquius agis, si non amas… non vi seguite a guisa di vipere di fiori per formar veleni. Ah Vergine amabilissima, mi si apre il petto per il dolore; dunque la bontà del vostro Figlio che dovrebbe essere stimolo acutissimo per amarlo, serve a’ peccatori di crudo carnefice per crocifiggerlo. O iniquità, o stoltezza insensata e crudele! – Da questa conseguenza così pestifera … Dio è buono, dunque si può peccare, si passa ad altra non meno indegna: Dio è misericordioso, dunque si può offendere. Confesso di vero, che io non so capire la sfacciataggine di questi peccatori, i quali fanno a Dio il maggior de’ mali, qual è l’offenderlo, e da Lui sperano il maggior de’ beni, qual è la sua misericordia per salvarsi. Tu dici: Dio è misericordioso, e per questo mi salverà, ed io ti rispondo che con tutta la Divina Misericordia, se seguirai a peccare probabilmente ti dannerà. È misericordioso Iddio, non è vero? … Padre sì, eppure lascia piombare nell’inferno tanti Turchi, tanti idolatri; ma questi Padre non hanno il Santo Battesimo, bene … è misericordioso, eppure ha lasciato cader nell’inferno tanti Cattolici … ma Padre perché vissero peggio di me; peggio di te non lo so, perché tu neppur stavi lontano da quei vizi che chiamano fuoco dal Cielo, e ne vuoi complice talora chi ti consegnò Iddio per indivisibile compagnia. Vissero peggio di te, hai tu fatto un sol peccato mortale? Appunto de’ soli pensieri ne conterai le centinaia; e pure Iddio con tutto che sia misericordioso lasciò pur piombare nell’inferno quell’infelice giovinetto della città d’Ingolstadio in Germania, il quale morto che fu per esserglisi rotta una vena del petto, ed averlo affogato mentre dormiva, comparve ad un suo maestro, che per lui voleva celebrare la Messa, e glielo vietò dicendogli che era dannato. Come dannato? Replicò il Padre, sapendo che era vissuto innocente. Ieri appunto, rispose lo scolaro, un cattivo compagno m’allettò alla colpa, commisi il peccato, me ne andai a letto con pensiero di confessarmi la mattina, ma rottamisi una vena del petto, restai soffocato e morto, e per un sol peccato mortale mi trovo dannato. Ditemi, la Misericordia di Dio è punto scemata con la condanna di questo miserabile per un sol peccato mortale? Certo che no, or vedi, se scemerà punto con lasciarvi piombar te, che de’ peccati mortali ne hai a centinaia, tu, che sei pieno d’usure, d’odio, d’amori indegni … noli contemnere misericordiam, dice San Bernardo, si non vis sentire justitiam. Pur sento chi temerariamente mi replica: E non volete che io speri di salvarmi ancorché continui a peccare, mentre Gesù per salvarmi ha sparso tutto il suo Sangue? Cristo ha sparso il suo sangue per noi, dunque pecchiamo! O che diabolico argomentare è mai questo, mentre dovreste piuttosto dedurre, Dio ha sparso il suo sangue per noi, dunque, noi spargiamolo per Lui; Dio ha sparso il suo sangue per liberarmi dalla morte, dunque, uccidiamolo! Che conseguenza!? sentite caso orribile, che si racconta nel Cristiano Istruito. – Si affronta a passare un soldato da un patibolo, di dove pendeva già impiccato un uomo, e veduto che si moveva, stimò, come di fatto era, che ancor non fosse morto, andò, lo staccò, lo ristorò, e levatoselo in groppa del suo cavallo seco lo conduceva per aiurarlo; quando colui, che aveva ricevuta la vita, immaginandosi che quel soldato portasse denari, gli tolse dal fianco lo stile, glie lo piantò più volte nella schiena, e l’uccise. Che dite? Così fate voi: Dio mi ha data la vita spargendo il suo sangue, ed io gli voglio dar la morte con i peccati. Se si è lasciato crocifiggere per voi, non dovete voi ribattergli i chiodi con nuove colpe, altrimenti sarebbe un pretendere che Cristo fosse a guisa di quelle piante che danno balsamo per ferire. Seguite pure a peccare sul fondamento d’aver sparso per voi il suo Santissimo Sangue, ed io v’assicuro, che questi chiodi saranno un giorno a voi fierissimi pugnali al cuore, queste spine serviranno di siepe alle porte del Paradiso perché non vi entriate; i flagelli e strumenti della sacra passione cacceranno voi all’inferno e si avvererà in voi quel di Salviano che: nullus difficilius evadit, quam qui se evasurum presumpserit, niuno più difficilmente scampa la dannazione, che chi troppo presuntuoso spera la Gloria. Padre, voi ci vorreste far disperare della Divina Misericordia, ma tanto vogliamo sperarci sul fondamento che questa è giunta a salvare un assassino di strada, quel buon ladrone. Orsù, già che siete ricorso al rifugio degli ostinati con dirmi, che uno scellerato ladrone nel Calvario con un memento Domine si salvò, e perché non potrete salvarvi ancora voi? Son dalla vostra; ma fo un passo più avanti, e vi dico, che nell’ultimo dì di vostra vita è troppo presto a far penitenza, a convertirvi a sperare nella Divina Misericordia. Piano, Padre. E che dite? Voi volete dir troppo tardi … No, no, troppo presto, perché io vi consiglio aspettare dopo morte; non vi meravigliate del mio discorso, perché io così argomento: Cristo risuscitò Lazzaro, chiamò a vita la figlia di Jajro, il figliuolo della vedova, dunque, morti che sarete resuscitati ancor voi, e vi userà questa misericordia che resuscitati facciate penitenza. Il mio argomento è più forte del vostro. Voi argomentate da uno ed io da tre. Ma via, già che mi avete nominato il buon ladrone discorriamola. Ditemi, sperereste voi, divenuto reo di qualche grave delitto, nella misericordia d’un principe che avesse perdonato ad un solo, e giustiziatene le migliaia? Certo che no; sì bene memini, dice San Bernardo, in toto cannone unum inveniri sic, salvatum, in tutta la Divina Scrittura si trova solamente questo ladro in tal forma salvato; sia pur vero, che fuori delle Divine Scritture se ne trovi qualche altro. Ma dall’altra parte si trovano milioni di dannati; come, dunque, potrete voi più sperare che temere, mentre de’ vissuti male taluno si salva, e tanti si dannano? Dice San Geronimo: Vix de centum millibus unus appena uno di centomila, che son vissuti male, se ne salva. Dio immortale io così la discorro, e dico, che quando anche de’ peccatori simili a voi avessero i più da salvarsi, tanto dovrebbe il timore farvi mutar vita. Sentite: Arnolfo Conte di Fiandra era travagliato da acutissimi dolori di pietra, determinarono i periti di venire al taglio, ma egli ne volle prima la prova in altri; fu eseguito il comando, e trovati venti che pativano del medesimo male, si venne con essi al taglio, e di venti uno solo ne morì. Se ne portò con allegrezza la nova ad Arnolfo, ma egli nel sentire che pur uno era morto, invece di rallegrarsi s’impallidì, sicché disse, può anche essere che io resti sul colpo, e perciò più timido per la morte d’uno, che speranzoso per la salute di diciannove, non volle sottoporsi al taglio. Or io dico, se così risolse essendone campati diciannove e morto uno, che avrebbe fatto se diciannove fossero stati i morti, ed uno il vivo? Via via medici, via chirurghi, a che m’esortate se la maggior parte muoiano? Ah Dio, ciò che nella cura del corpo, neppur si sognerebbe, nell’anima tutto dì si pratica, e si va dicendo: si è salvato il buon ladrone, mi salverò anche io. O che parlar da pazzo, si è salvato un ladrone, mi salverò anche io dopo una pessima vita. Qua voi sapete che a Giuseppe, la prigionia gli portò i primi onori dell’Egitto; andate a mettervi in ceppi, che così vi renderete illustri ed acquisterete il dominio de’ regni; Mardocheo fu calunniato e per mezzo della calunnia salì alle prime grandezze della Persia. Su presto, procacciatevi delle calunnie, e diverrete ricchi e potenti. Contentatevi che ad esempi sacri mescoli una relazione profana. Racconta Plinio d’un tal infermo, ch’aveva speso tutto il suo in medici e medicine per guarire da una ostinata cancrena; disperato si portò alla guerra, e messosi fra la mischia, da un colpo che gli volò su, la postema gli fu aperta e guarì. Se per disgrazia patite un simil male, su andate o alla guerra, o quando sentite qualche rissa nella vostra patria mettetevi tra quelle spade per esser feriti. Eh, che gli esempi rari non devono servire per regola. Se un empio si salva, è un miracolo, muta vita! Gridate pur quanto volete, che finalmente il Paradiso non è fatto per i Turchi, ma per noi; son con voi, per i Turchi che moriran da Turchi non è fatto il Paradiso; ma se non è fatto per i Turchi, molto meno sarà fatto per le bestie come sei tu, che sei un aspide, che vomiti veleno di pestiferi spergiuri; che sei una vipera, che con la tua lingua mormoratrice uccidi la fama del prossimo; che sei un rospo che non hai in bocca altro che tossico di bestemmie; che sei un drago velenosissimo, che getti spuma di laidi discorsi, di disoneste canzoni; che sei un basilisco, che con occhi avvelenati d’amori indegni uccidi l’anima di chi ti mira; che sei un cane mastino pieno di livore, e di brama di vendette; che sei un’animale immondo, perché stai nel fango delle disonestà fino alla gola: dunque se il Paradiso non è per i Turchi, molto meno per te, perché sei una bestia ne’ costumi; per tale appunto ti riconobbe San Girolamo, allorché commentò le parole d’Ezechiele, bæc dicit Dominus homo homo de domo Israel; sapete quello vuol dire con replicare la sacra Scrittura, homo homo, quasi che vi fossero uomini vuole che non fossero uomini? Asserire esservi uomini che non son uomini ma bestie, multi enim homines, ecco le parole del santo, habentes hominis faciem corporalem diversarum bestiarum assumunt imagines, e con prendere i peccatori immagini di bestie, ne prendono altresì i costumi, sicché vivono non più con la testa volta verso il Cielo, ma col capo chino alla terra. Voi ora non avete occhi per riconoscere ciò che in voi è di brutale, ma aspettate, non andrà molto, che al lume della candela benedetta accesa nella vostra agonia, aprirete gli occhi, e temo senza frutto. Quei che lavorano i tappeti, li tessono al rovescio, sicché, se esprimono un mostro non lo vedono sin tanto che, compita l’opera non si volti dall’altra banda, e non si esponga al suo lume. Con un’arte simile lavorate voi peccatori la vostra vita, mentre quantunque intrecciate orribilissimi mostri d’iniquità nella tela de’ vostri giorni, tuttavia lavorando alla rovescia non li vedete, e si può dire di voi come di quei miseri Giudei, nesciunt quid faciunt; sappiate, or vi dico, che voi, peccando, lavorate sulla tela della vostra vita ed alla cieca, mostri tali che hanno da essere distruggitori dell’anima vostra. Alla morte si rivolterà il tappeto, ed allora comparendo i bei lavori che faceste, vi ravviserete per quei che siete, e vostro malgrado confesserete che: se il Paradiso non è per i Turchi che vivono e muoiono da Turchi, molto meno è per chi potendo viver da uomo, ama piuttosto vivere da animale. Da questi sciocchi sofismi passano i peccatori a proposizioni indegne ed ardiscono di dire: se pecchiamo, non pecchiamo per fare ingiuria a Dio! Primieramente io vi dico, che questa vostra scusa prova tanto, che non prova niente, perché prova in sostanza che niuno de’ peccatori si dannerebbe, perché  niuno di loro, se non è divenuto un diavolo offende Dio per offenderlo; chiunque l’offende ha puro fine, comunemente, di scapricciarsi; in secondo luogo io vi rispondo che, siccome voi nel peccare non avete per scopo l’ingiuria che fate a Dio, ma le vostre soddisfazioni, così Iddio nel castigarvi severamente, o in questa vita o nell’altra, non pretenderà far danno a voi, ma pretenderà con la vostra pena far contrappeso alla deformità de’ vizi vostri. Padre, se voi chiamate debole scusa questa addottavi, certo non afferirete per tale la seguente: Or sentite è vero, si peccò, ma non ci disperiamo, perché fu necessità; e come si può di meno di non obbedire al padrone, se vuole gli assista di notte, se vuole che gli serva di guardia. Bisogna pure che io obbedisca, se voglio mantenermi la grazia di lui e vivere. Tacete, tacete bocche d’inferno, che asserite peccare per necessità, perché in così dire mostrate di stimar fallita la Divina Providenza, mentre non credete che ella possa fare le spese convenevoli a chi la serve. Deh aprite gli occhi, dice Agostino ed intendete, che chi v’à finora pasciuti ribelli a sé, con più ragione, vi pascerà riverenti e buoni, pascet te Deus contemnentem se, et deseret timentem? Non è possibile. Tacete adunque, e non adducete queste scuse, che appunto sono scuse per continuare nel vostro peccato che, se oggi vi alletta, domani vi tradirà. Ma se voi o Padre mi sbattete tutte le mie scuse non potrò dirvi altro se non che è vero, che pecco, né vedo modo di svilupparmi da’ peccati, e la causa di ciò bisogna riferirla a Dio. Che dici? Che bestemmi? A Dio? … Padre sì, a Dio: pecco, perché Dio m’ha fatto così, così m’ha impastato, e d’irascibile e di concupiscibile. A Dio, dunque, dai la colpa della tua mala vita? Dio dunque vuole le tue iniquità? Dio mi ha fatto così! dunque Dio per te non è quel sommo Bene che veramente Egli è, ma è per te un fiero tiranno, un fiero carnefice, perché avendoti fatto per peccare, t’ha fatto necessariamente per dannarti. O che bestemmie! Tali che dalla bocca di lucifero non possono uscir simili. Se così è, che Dio ti ha fatto così e, secondo il tuo dire sei necessitato a peccare, così discorro anch’io. Dio ha fatto così te, dunque non ti offendere quando sei ingiuriato, maltrattato, percosso, tradito, perché quelli che contro di te operano, son fatti così da Dio. Scancellate pure i vostri ordini o magistrati, o sovrani … non più leggi, non più statuti. Gli uomini al dire di questi empii son fatti da Dio in modo che bisogna che operino anche il male; dunque non servono i vostri ordini. Dio mi ha fatto così, questa è la natura che Dio m’ha data! Tacete temerari, non è questo modo di parlare, non è scusa che valga, è una difesa da stolto. Ditemi, se un orologio si ferma, se lentamente cammina, se talora non suona, o suona fuor di proposito, voi non dite già il maestro l’ha lavorato così, ma dite l’orologio è guasto. Ne mai vi potete dar a credere, che sia uscito guasto dalle mani di chi lo fece. Dunque, come ardite dire di voi stessi, che se siete cattivi, lo siete perché Dio v’ha fatti così e di tal natura, quasi che dalle mani di Dio siate usciti scellerati. Dite, e direte bene, l’orologio è guasto, io mi sono rovinato da me con darmi a’ vizi: convien pertanto che io mi ponga nelle mani di quell’Artefice stesso che mi fece, col mezzo d’una santa Confessione … Deus fecit hominem rectum: Iddio non mi ha fatto cattivo, da per me mi son fatto tutto il male. Questa vostra scusa dunque o peccatori, di dire Iddio m’ha fatto così, voi ben vedete, che non sussiste, e perciò non passerà al Divino Tribunale: sicché vi perderete. O che sarà mai, se ci perderemo, se ci danneremo, che volete dire? … vogliamo dire, che non saremo soli nell’inferno. Principi Cristiani per punire i delinquenti non ordinate che si fabbrichino carceri oscure, cittadelle penose, orride torri, due sole prigioni bastano nel mondo Cristiano, quella del Sant’Offizio, de’ pazzi l’altra, così disse un servo di Dio, e disse bene, perché o il peccatore crede che vi sia inferno, o non lo crede; se non lo crede, come eretico al Sant’Offizio, se lo crede e pecca, e dopo il peccato non si pente, egli è pazzo, vada alla prigione de’ stolti. Se andrò all’inferno non sarò solo … e che sciocco parlare… non sarai solo, dunque tanto peggio per te. In un chiostro sacrosanto di capuccini satresti solo? No, perché in tanti religiosi avreste tanti Angeli per compagni, e pur non ti dà l’animo d’andarviti a richiudere; come, dunque, ti figuri tollerabile l’inferno, perché non sarai solo? Tra di noi in questo mondo è qualche conforto aver compagni nelle miserie, perché, o ci soccorrono, o ci compatiscono; non così nell’inferno, dove ognuno coopera al mal dell’altro. Senti, dice Naum Profeta, nell’inferno stanno i dannati a guisa d’un gran fascio di spine, che così strette insieme l’una con l’altra si pungono, sicut spine se invicem complectuntur. La moltitudine nell’inferno non serve per sollievo, ma per tormento e perciò meglio sarebbe esser solo; ma non dubitare non sarai solo, perché con te vi sarà quel compagno complice nel tuo misfatto, quel sacerdote che ti assolve francamente, quel tuo padre che non ti castigò, certo non sarai solo, vi saranno quelle femmine con le quali ballaste, sparlaste, lo so, non sarai solo, perché avrai la compagnia di tanti diavoli, di tanti dannati. Pazzo che sei, dunque va’, e gettati da quella torre, perché altri vi si son gettati; va’ butta il tuo perché non sarai solo ad esser povero; va cacciati un pugnale in petto, perché non sarai solo ad aver commesso un simile sproposito; se vado all’inferno non sarò solo… hai ragione, affacciati a quella bocca d’inferno, e dà d’occhio a quelle anime disperate, rimirale tormentate da fiamme inestinguibili, e sappi che anche esse, mentre vissero fra noi seppero dire ad ogni aperta di bocca: Dio è buono, Dio è misericordioso, Dio ha sparso il suo Sangue per noi, il Paradiso non è per i Turchi, dunque ci salveremo; ma perché discorrevano senza lasciare il peccato, si sono dannati; anche essi dissero più volte io non ho intenzione d’offender Dio, ma di scapricciarmi, se pecco, pecco per necessità, ma queste scuse non gli furono ammesse, perché non buone anche molti si lasciarono uscir di bocca cose sacrileghe. Dio m’ha fatto così, non so che farmi, se andrò all’inferno, non sarò solo, ed or pagano le lor bestemmie con eternità di fuoco. Io non so più che dirmi, sol finisco con assicurarvi, che se sollecitamente non mutate vita, né più vi abusiate della Divina Misericordia con questi vostri sofismi, e sciocche conseguenze si verificherà in voi quel tremendo aforisma, in peccato vestro moriemini, morirete in peccato mortale, che vale a dire senza la grazia, e perciò rei di fiamme; dalle piume del letto passerete al fuoco dell’inferno, Dio non lo voglia!


LIMOSINA
Conduceva un gran limosiniero i mercanti al suo granaio, e… quanto mi darete, diceva loro, di questo monte di grano? Essi rispondevano, tanto danaro, conforme a ciò che pareva doversi ed egli replicava: sappiate, che io trovo chi me ne dà più assai. Se io vendo il grano a voi, voi mi date poco di più di quello mi costi; se io lo do a Cristo ne’ poveri, egli mi raddoppia sempre l’entrate, e mi dà per cumulo il Paradiso. E così li licenziava compunti, e distribuiva allegramente la sua raccolta tra mendici, come tra i più fruttuosi corrispondenti. Attendete ancor voi miei UU. ad un sì bel traffico, depositate nelle mani di Dio tutti i vostri averi. Il banco divino non è fallito, può mantenervi il centuplo già promessovi nel Vangelo; fate elemosina e ricordatevi che lo Spirito Santo dice: Elemosina non patitur animas ire ad tenebras, chi fa la limosina non va all’inferno.


SECONDA PARTE

Poveri noi, ci avete sbattuti tutti quei motivi che ci davano speranza di salute, sicché potremo disperare di salvarci. O questo no, perché il maggiore de’ peccati è disperare della Misericordia Divina. È ben vero che chi vuole questa Divina Misericordia convien che cessi da’ peccati, perché il voler far peccati sotto la coperta della Divina Misericordia è un volere che la Divina Misericordia serva quasi di fomento al peccato, e questo non sarà mai! Sapete chi può sperare nella Divina Misericordia con fondamento? Prima quelle persone che vivono senza peccato mortale e molto più se fanno ogni possibile per astenersi da’ veniali. Secondo quelle persone, che dopo aver corso la strada de’ vizi, pur pentiti una volta, più non peccano. Terzo: quelle persone che quantunque immerse ne’ peccati, desiderano ad ogni modo di emendarsi e sfangare da vizi. Queste tre sorti di persone sperano con fondamento; non così però quelli che vivono immersi nelle scelleraggini e sono anni che stanno allacciati con quella pratica, sicché i loro peccati sono senza numero, come le loro sfrenatezze senza ritegno. Pure così chi vive tra gli odii, tra le vendette, tra gli interessi etc…. Questi non accade, che sperino misericordia se non mutano vita. La Misericordia di Dio non si può sperare con far de’ peccati, ma con far del bene, spera in Domino, fac bonitatem, spera, dice il Santo David, ma fa del bene. Se ci è poi che desideri sapere perché la gente diviene ogni dì peggiore, eccolo: perché Dio non castiga subito. Se quando qualcheduno prorompe in qualche bestemmia gli si venisse subito ad inverminire la lingua, se quando uno commette un furto gli si seccassero le mani; se quando uno commette una frode gli si instupidisse la mente; se quando uno trascorre in qualche sorte di enorme disonestà, venisse subito ad esser ricoperto di schifosissima lebbra, vogliamo noi credere, che sarebbero tanti al mondo i bestemmiatori, i furbi, i fraudolenti, i lascivi? Ma perché Dio non ci castiga subito, perché talora par che taccia, perché talvolta prospera alcuni nelle enormità, per questo la gente prende animo ad oltraggiarlo, per questo imperversa, per questo insolentisce, per questo divien finalmente ogni dì peggiore, quasi che Iddio come esercita la pietà, così non sappia ancora a suo tempo esercitar la giustizia; no, no … senti ecclesiastico: dixeris peccavit, et quid mihi accidit triste? Altissimus enim patiens est reditor. Non dire è tanto tempo che io vivo a mio modo, e con tutto ciò le mie cose vanno molto prosperamente, godo un’ottima sanità, ho delle facoltà e mi crescono, ho de’ figli, e mi vivono, ho degli amici, e mi stimano, e se ho de’ nemici mi rispettano. No, ne dixeris…: è vero, che il Signore spesso tarda, ma sempre arriva. T’arriverà quando non te lo credi. Tu prendi animo dal vedere che Dio finora non ti ha mai castigato nelle tue colpe, ed io ti dico, che tu da ciò hai da prendere non animo, ma spavento. Vuoi che te lo dimostri? Il non averti Iddio castigato finora, come tu meritasti peccando, non può procedere se non da uno dei due capi, o dall’averti perdonato il castigo, ovvero dall’avertelo differito. Fingi però che Egli abbia perdonato; adunque ora hai da temer più, perché quanto più ti ha Egli perdonato per il passato, tanto meno è probabile che voglia perdonarti per l’avvenire, non si ritrovando mai principe sì melenso, che mai punisca, sempre perdoni. Che se Dio non ti ha perdonato il castigo, come è certissimo, ma te l’ha differito perché lo sconti dopo, o nella vita presente, o nella futura, tanto più hai da temere, perché: questo è segno che Dio ti vuol castigare tutto in una volta, e però tanto sarà più terribile il castigo tutto raccolto insieme sopra del tuo capo. Riflettete dunque che l’avervi Dio tollerato finora, non solo non ha da rendervi più arditi, ma più timidi!

QUARESIMALE (XXX)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.