QUARESIMALE (XXVI)

QUARESIMALE (XXVI)

DI FULVIO FONTANA

Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711)

PREDICA VENTESIMASESTA
Nella feria quinta della Domenica quarta
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Il vero consiglio per bene operare si prenda dalla morte.


Ecce defunctus efferebatur filius unicus matris suæ.
San Luc. cap. 9.


È legge universale convien morire: Statutum est hominibus semel mori. Le porpore delle grandezze non hanno esenzione da questa tignola, gl’allori della sapienza non hanno difesa da questo fulmine; i cedri della santità non sono imbalsamati da questa incorruzione; muore la somma ognun che nasce. Se così è, che faremo per far ben questo passo, da cui dipende l’eternità? Il mio parere sarebbe, giacché l’odierno Vangelo nel figlio estinto della vedova madre ci ricorda la morte, che nulla operassimo per bene operare senza il consiglio della morte. Tal sarà l’argomento mio, e comincio. Quel gran Padre de’ monaci San Basilio, altro ricordo non dava a’ suoi discepoli perché resistessero alle tentazioni, salvo che pensassero e si consigliassero con la morte. Diceva dunque il Santo Padre Cum diluculo surrexeris, ad Vesperam te ambigas pervenire; cum ad quiescendum membra posueris, de lucis adventù noli cogitare. Quando andrete al riposo della notte, pensate che forse non sarete vivi la mattina, e quando vi leverete la mattina, pensate che forse non sarete vivi la sera ed in tal forma sarete lontani da’ vizi: Ut facilius te possis refrenare ab omnibus vitiis. Quanto disse S. Basilio a’ suoi discepoli, tanto dico io a’ miei uditori; quando vi portate al riposo della notte, pensate che forse non sarete vivi la mattina; e quando vi levate la mattina, pensate che forse non sarete vivi la sera. Quanti, quanti, ditemi, da voi conosciuti, li avete veduti la mattina vivi, e morti la sera; vivi la sera, e morti la mattina o affogati da un catarro, o percossi da una goccia, o feriti da un rivale, o caduti da un albero, o sommersi in un fiume. Nella città d’Ancona, allorché nel mille e seicento novanta tre vi si facevano le Sante Missioni venne il sabato sera s sentir la predica un uomo in sanità: vi stette a tutta, e la mattina era in Chiesa morto. Pensate dunque, che il medesimo può intervenire a voi; e però consigliatevi in tutte le vostre operazioni con la morte; perché non vi è freno maggiore per astenersi da’ vizi. Volete vedere quanto sia potente il pensiero della morte per ottener vittoria da’ nemici? Sentite come parla lo Spirito Santo nelle Sacre Carte! Egli ci pone avanti gli occhi un uomo il più scellerato, il più iniquo che possa trovarsi, una donna la più indegna che possa immaginarsi; e poi ci dice: e come mai si potrà ridurre nella buona strada un uomo sì scellerato, una donna sì reproba? Che partito dovrà tenersi? Eccolo: Ad sepulchrum ducetur, et in congerie mortuorum evigilabit. Se volete che quest’uomo, che questa donna sì iniqui si ravvedano, non dovete far altro che condurli sopra d’un sepolcro; alzargli sugli occhi la lapide, fargli vedere quei cadaveri, quei fracidumi, quelle sozzure … in congerie et mortuorum evigilabit; e voi vedrete che allora apriranno gli occhi, conosceranno l’infelice stato dell’anima loro, si convertiranno. Confermi quanto vi dico la seguente storia: una dama di gran nascita e di ricca dote fu maritata in un cavaliere quanto a lei eguale ne’ natali, tanto dissimile ne’ costumi. Era la dama tutta dedita all’opere pie, tutta intenta alle devozioni; il marito per l’opposto dedico alle crapule, a’ giuochi, a’ vizi; e non contento della compagna datale da Dio, ne andava in cerca d’altre. L’afflitta Consorte altamente amareggiata non tanto per il torto che riceveva, quanto per l’offesa di Dio, si buttò un giorno a’ piedi d’un Cristo, e con calde lagrime, e con replicati sospiri lo richiese che con qualche grave malattia percuotesse lo scellerato consorte, con speranza che così travagliato si ravvedesse. Esaudì il Signore le suppliche della devota donna: ecco in letto e con pericolo di morte il marito; si porta al letto la consorte, l’assicura del pericolo, lo esorta ad aggiustare le partite dell’anima, ma fa del sordo il marito; replica le istanze la moglie, e gli pone avanti gli occhi l’infamia della casa, se egli non ammette qualche religioso per assistere alla sua morte; allora lo scellerato marito disse alla consorte che era contento che si chiamasse un religioso, che per pura apparenza venisse al suo letto, ma con patto e condizione, che nulla gli parlasse né di Confessione, né d’anima, né d’altra vita. Considerate voi con quanta afflizione ne ricevesse questa indegna condizione l’addolorata consorte. Ad ogni modo fattasi cuore, raccomandossi al Signore, e trovato uno de’ più accreditati religiosi della città, gli raccontò lo stato infelice del marito, gli espose la brama che aveva, ch’egli v’andasse, ma insieme la diabolica condizione con cui il marito lo voleva ammettere; che però egli si raccomandasse al Signore. Accettò di venire il religioso, e prima d’andare, pregò la Maestà Divina che gli suggerisse qualche stratagemma per mezzo di cui quello scellerato dovesse ravvedersi. Andò dunque il religioso al letto, e quivi cominciò a discorrere delle guerre che allora bollivano per l’Europa. Indi degli interessi di sua casa. Quando, nel più serio del discorso si turbò il religioso, s’impallidì, principiò a lacrimare, a sospirare. L’ammalato, veduta una sì strana mutazione, l’interrogò, perché gliene manifestasse la causa. Mi lasci stare, replicò il religioso; ma perché l’ammalato il vedeva sempre più turbato, e si vedeva rimirato con occhio d’ammirazione compassionevole, costrinse il religioso, se non lo voleva morto prima del tempo, a manifestargli l’origine vera della turbazione. Allora il religioso gli disse: signore, già che volete saperlo, ecco ve lo dico: Dovete sapere, che io nel vedervi su morbide piume, circondato da un padiglione così ricco di seta e prezioso d’oro, e di ricamo, riflettevo alle parole d’Isaia: Super te fernetur tinea et operimentum tuum erunt vermes; e dicevo fra me compassionandovi: fra poco sarà in un sepolcro per averla putredine per suo strato, e per coperta i vermi. Allora l’ammalato pieno di sdegno si lamentò per la mancanza della promessa: perché non aveva osservata la condizione di non parlargli nulla dell’anima. Ma signore, riprese il religioso, io ve ne ho parlato, perché voi avete voluto. Levatevi davanti, replicò l’ammalato ed il religioso partì; ma credete voi, che il pensiero della morte messogli in testa nulla operasse? Non passò un’ora, che l’ammalato rientrato in sé per quel pensiero di morte, mandò a chiamare il religioso, e fece una Confessione delle sue colpe con tal dolore e pentimento che lasciò certa la speranza della sua salute. Or che dite del pensiero della morte? non è egli efficacissimo? Non è ella savia consigliera la morte? Ricorrete dunque al di lei parere, con sicurezza di profitto all’anima. Consigliatevi tutti con la morte, ed in particolare voi, che avete commesso de’ peccati e, per anche colti dalla vergogna, non li avete confessati. La morte vi dice: confessali prima che io venga a toglierti l’anima; e pure ad ogni modo tanti e tanti non li vogliono dire; e temono non solo che il confessore li riprenda, ma che egli sappia i loro errori. O pazzi, che siete! Voi temete d’un uomo che non può che giovarvi; che non può manifestare ad anima vivente il vostro fallo, sotto pena di rendersi degno del fuoco. Come è possibile che temiate di manifestare le vostre colpe ad un uomo che ne ha udite delle peggiori delle vostre, e che può averle commesse anch’esso; e poi non temiate quel Dio Onnipotente che se alla morte vi troverà con quel peccato sull’anima, vi getterà irreparabilmente nel seno de’ diavoli. Ecco il consiglio della morte: dico vobis, hunc timete, temete Iddio, e perciò dite tutti i peccati che finora avete celato; altrimenti vi sovrastano i precipizi dell’anima. Il Collettore racconta come una signora invaghitasi d’un servitore di casa, giunse tanto oltre, che concepì, e quel ch’è peggio, per occultar un peccato, ne commise uno tanto maggiore, quanto fu mandar a male la creatura senza Battesimo. Né vi crediate che questa infelice donna si ravvedesse: appunto. Divenne madre di più creature, ed all’istesso modo privolle tutte del Paradiso, uccidendole con la medesima crudeltà senza battezzarle. Quello poi, che deve rendere meraviglia maggiore, è come una donna tanto sfacciata, che aveva avuto animo per commettere tante scelleratezze, non avesse mai avuto animo di confessarle. È vero, che per acquietare gli stimoli della coscienza, faceva limosine grandi a’ poveri, ma senza frutto, poiché morì e si dannò; e morta comparve tutta cinta di fiamme, manifestando la sua dannazione esser seguita per aver taciuto il suo peccato, con aggiungere, che quelli, i quali non confessano i peccati, ancor che distribuiscano tesori a’ poveri, mai si salveranno. O se costei, miei uditori, potesse tornare al Mondo, ed aver il comodo di confessarsi! che non farebbe? Salirebbe su questo pulpito e manifesterebbe le sue scelleraggini, per ottenerne il perdono. Gli confesserebbe, non solo ad un Confessore, ma quando tanto bisognasse, a tutto il mondo. Imparate voi a spese d’altri; prendete il consiglio dalla morte; portatevi a’ piedi del confessore; dite quel peccataccio, altrimenti vi dirò con Agostino: tacitus damnaberis, qui poteras confessus absolvi. Né minor bisogno di consigliarsi con la morte hanno coloro i quali si caricano di roba d’altri; non pagano mercedi; ritengono le possessioni estorte, non di ragione, ma di potenza, non soddisfano legati pii; vendono e comprano con inganni; aggravano i poveri, gli promettono per i lavori il denaro e poi gli vogliono dar la roba della peggiore ed a sommo prezzo; e poi non trovano mai la via di restituire; promettono sempre, e mai attendono. Se tra’ miei uditori v’è taluno di simil fatta, vada subito a consigliarsi con la morte, e sentirà dirsi: stulte hac nocte, … O pazzo tu, pensi ad accumulare con danno dell’anima, con pregiudizio del prossimo; tu fabbrichi una casa, che tra poco ti rovinerà in capo; tutto dì stai col pensiero in accumulare e nulla pensi a restituire; e poi dici che ti confessi: ma che ti vale la Confessione, se non restituisci? Odi Sant’Agostino: Si res que reddi potest non reddatur, pænitentia non agitur, sed simulatur: la tua Confessione, se non restituisci mentre puoi, non è Confessione, ma un inganno l’assoluzione che ricevi, non scioglie le catene, ma le raddoppia: pœnitentia non agitur, sed simulatur; stulte, stulte, pazzo che sei, tutta quella roba, che ingiustamente ritieni non ti caverà da quelle fiamme nelle quali stai per cadere; e quelli eredi a’ quali la lascerai, appena morto non penseranno più a te. Orsù, non si prometta più la restituzione, ma si faccia perché non v’è altra strada per salvarsi, che a restituire. Si res, que reddi potest non reddatur pœnitentia non agitur, sed simulatur. Sebbene pochi saranno tra miei uditori quelli che debbano o possano restituire; molto maggiore farà il numero de’ disonesti: O questi sì che hanno bisogno e necessità di consigliarsi con la morte. Quanti sono qui tra quelli che m’ascoltano, i quali non hanno maggior negozio sopra la terra che amoreggiare, trovarsi a veglie, trovarsi a balli, e di passarsela allegramente. Eh Dio! Perché non date mente all’Apostolo che dice: tempus flendi et tempus ridendi, in questa vita bisogna piangere, se volete ridere nell’altra; né mi state a dire è vero, si ride, che vale a dire: si va a veglie, a balli, ci tratteniamo negli amori, ma non per questo pecchiamo. Oh quanto è difficile ad avverarsi questo vostro parlare! Cum aliena mulieres ne sedeas omnino, dice lo Spirito Santo nell’Ecclesiastico al nono, con quella donna che non è tua, non ti porre mai accanto, anzi neppur guardarla, ne concupiscas speciem alienam; e perché? Perché se la guarderai, s’accenderà l’amor indegno a guisa di fuoco, a cui sono somministrate molte legna: ex hoc concupiscentia quasi ignis exardescit; e se uno si espone a pericolo sì grande, con solo porsi accanto ad una donna, col solo guardarla: quali rovine, quai precipizi non devono aspettarsi quei giovani, quelle donzelle , che non solo siedono insieme, non sol si guarda ma si prendono per la mano, ma se la discorrono per ore a solo a solo, anche di notte? E questo mestiere sono anni che lo praticano; e talora discorrono di cose sì laide, che non ardirebbe il marito discorrerne con la consorte; di cose sì vergognose che se qui si potessero dire, ne resterebbe appestata tutta d’intorno l’aria… –  Ah giovani infelici che praticate come lecite cose tanto pericolose. Ah, fanciulle sconsigliate che dite questa esser l’usanza, questo il modo d’accasarsi… Ah padri disgraziati! Ah madri svergognate che non solo permettete, anzi talora difendete gli amori delle figlie; anzi di peggio, talora ve le istigate, con la speranza di maritarle con minor dote. Dio immortale! Se foste nemici crudeli de’ vostri figli, voi non potreste trattarli con maggior tirannia; ben si conosce che non vi consigliate con la morte. Ah, che se voi di proposito pensaste che presto la morte verrà per voi per portarvi al Tribunale Divino, voi fanciulle lascereste balli, veglie, feste, amori; e voi madri con ogni premura vigilereste, perché le figlie stessero lontane dalle amorose corrispondenze. Così appunto procurava di fare una savia madre, la quale si ritrovava con una figlia sì disgraziata, che pareva nata alle pompe, alla vanità; non voleva altro che portarsi a feste, che trattenersi tra gli amori, e siccome per sua disgrazia era non meno vaga, che vana, aveva questo indegno costume di specchiarsi, di vagheggiarsi continuamente, appena levata andava allo specchio; allo specchio prima di porsi al lavoro, prima di pranzare, dopo pranzo, in ogni tempo allo specchio. Alla povera madre non era mai bastato l’animo né con le minacce, né con le percosse, di distogliere né dagli amori, né dallo specchio, questa figliuola. Vedendo dunque infruttuosa ogni sua opera, ricorse a Dio, perché l’ispirasse quel modo con cui potesse a ciò rimediare. Ecco, che un dì chiamata per uscir fuori di casa la figlia da certe parenti, la buona Madre chiamò a sé frettolosamente un pittore e così gli disse: Sentite, io voglio un servizio da voi; vedete questo specchio? Si, signora. Voglio, che mi dipingiate quivi una testa di morto; ma avvertite di porvi tutta la perfezione del vostro pennello; fatela dunque orrenda, terribile, spaventosa; terminata l’opera, tirò la madre il drappo, che giusta il solito copriva lo specchio. Ecco, che indi a poco torna a casa la figlia tutta allegra, perché trattenutasi il giorno al ballo; tutta briosa, perché vagamente vestita; sale le scale, giunge alla sala, entra in camera, e subito se ne va allo specchio, tira la tenda e vede non il suo vago sembiante, ma il teschio, ma la testa spaventosa di morto. Considerate qual fosse il suo timore, quale l’orrore? S’impallidì; principiò a tremare, a piangere; restò attonita; restò come fuori di sé. Quando ecco, che la madre, che se ne stava in agguato sotto d’una portiera, si fece vedere, si fece sentire e le disse: figlia, cara figlia, io sempre ti ho gridato, ti ho minacciato, t’ho percossa perché altro non facevi che specchiarti; adesso ti prego, ti supplico, ti scongiuro, specchiati figlia, specchiati: quello è il vero tuo ritratto! Quella l’effigie tua: mirati, vagheggiati. Volete altro? La figlia attonita, per la morte nello specchio, impaurita per le parole della madre, considerando quel che di lei doveva esser tra poco, si pose le mani sulla testa, si guastò le trecce, disfece i ricci, buttò via ogni vanità; dal collo il vezzo, dal petto le gioie, le maniglie da’ polsi; Indi genuflessa avanti la madre, la pregò che volesse vestirla d’abito grossolano da penitente; e così vestita, visse e morì non solo lontana dagli amori, ma con vita esemplare. Ah! che se tu pure, gioventù sconsigliata, ti consigliassi con la morte, non ti cureresti di favorite, detesteresti gli amanti. Ah! Che se quelli che vissero tra gli amori ed ora sono morti, tornassero nuovamente a vivere, io vi assicuro, che avrebbero più paura dell’amore, che voi non avreste ora di cento vipere, se per disgrazia tutte unitamente v’assalissero per infondervi rabbiosamente il loro mortal veleno nelle vene. Specchiatevi tutti con la morte, per che questa vi dirà il vero; a questa solo si può credere. Sentite un pensiero, che forse non vi dispiacerà: Voi ben sapete che una donna, la quale brami veramente di comparire ed essere vagheggiata, tra tutti i suoi corredi di vanità, non ha cosa che più le prema dello specchio; e con ragione, perché quantunque ella sia leggiadra, bella e linda, non è però contenta, se il suo favorito cristallo non glielo dice. Possono ben dire le damigelle, possono affermare esser ella del tutto concia decorosamente che ad ogni modo, fin tanto che ella non si è ben specchiata, sempre sospetta, se ben svolazzino su de’ capelli i nastri; se le trecce siano del tutto composte; se la fronte sia lustra; se il collo ben lavato; se facciano la sua comparsa il vezzo, i pendenti; insomma vuol lo specchio, vuol lo specchio, a questo si crede, e non ad altri. A questo specchio solamente della morte dovete credere, e non ad altri. Non credete alle lusinghe di colui, agli affetti di colei, ma allo specchio. Miratevi, contemplatevi con la morte. Ma se tanto hanno di bisogno del consiglio della morte i giovani, e le fanciulle, che passano le giornate tra gli amori; qual necessità n’avranno del consiglio della morte quei che non solamente vogliono gli amori pericolosi, ma altresì peccaminosi? O Mors, quam bonum est juditium tuum! E non sentite la morte, che vi dice: lascia quei compagni con i quali discorri e pratichi azioni degne di fuoco che incenerì Pentapoli; lascia l’amicizia, abbandona la pratica, scaccia quella serva di casa perché ti dannerai, e senza rimedio dirai ancor tu con Gionata: Gustans gustavi paululum mellis et ecce morior. Per una goccia di miele, diceva Gionata, mi son tirata adosso la morte; per un piacere da nulla, ancor tu dirai: mi son tirato addosso la morte, con questa differenza, che la morte di Gionata fu di corpo, la tua sarà d’anima: quella fu temporale, la tua sarà eterna. Tu vuoi tenere in casa quella donna; vuoi andar da quell’altra sotto mille finti pretesti; tu vuoi cedere alle voglie di colui, bene, vuoi gustare questo poco di miele? Seguita pure, ma sappi che la pagherai con tanto fuoco. Il consiglio, che ti dà la morte non è questo; ma bensì, che tu lasci, e lasci ora l’amicizia, le pratiche, le laidezze, altrimenti sarai di coloro che ducunt in bonis dies suos, et in puncto ad inferna descendunt … sarai di coloro, che doppo una vita condotta tra le amicizie disoneste balzano nel fuoco eterno. Evvi qui per ultimo tra miei uditori, alcuno che racchiuda in cuore brama di vendicarsi per gli oltraggi ricevuti? Se vi è, prima d’effettuare i suoi desideri, prenda il parere dalla morte, la quale gli dirà con lo Spirito Santo: memento novissimorum, et define inimicari; pensa a me, e lascerai gli odi. Tu dici: è vero, non gli parlo, non lo saluto, non gli rispondo, gli volto le spalle, ma non per questo gli voglio male; o questo no; e la morte ti dice che tutto è odio e che quanto prima ti condurrà al Tribunale Divino, ove Judicium tibi fiet fine misericordia, perché non fecisti misericordiam dove non potrai aspettar misericordia da Dio, mentre tu hai avuto un cuore senza misericordia verso del prossimo. Bene, tu dici di non esser obbligato, e neppur Iddio ti risponde che non è neppur Lui obbligato a darla a te. Tu non lo vuoi in paese, e Dio non ti vuole in Paradiso. Or vedi, se ti torna conto così. Un certo villano più di costumi, che di nascita, aveva ricevuta una ingiuria, della quale conservò sempre sì altamente la memoria, che non fu mai possibile ottenere la remissione per mezzo d’una vera pace. Visse l’infelice villano per più anni in questo stato, e così pure se ne morì, e seco portò la sua ostinazione, per la quale venne in tant’odio a Dio che, essendo il corpo di questo infelice esposto in Chiesa, prima di seppellirlo, mentre il Sacerdote, secondo il costume de’ fedeli, pregava nelle solenni esequie, che gli si perdonassero i peccati commessi, con quelle parole: parce ei Domine, un gran Crocifisso nella medesima Chiesa schiodò ambedue le mani, e con esse turatesi le orecchie, proferì queste parole formidabili: non pepercit, non parcam. Considerate qual fosse lo spavento degli astanti che, attoniti e palpitanti non seppero trovare altro partito che strascinare quel cadavere alla campagna, e seppellirlo, secondo il merito, come un giumento. Ecco il termine, ecco il fine di quegli indegni che, dopo aver ricevuto qualche torto, qualche ingiuria, non vogliono perdonare e vogliono vendicarsi. O stolti che siete! voi non sapete conoscere la vostra sorte. Chiunque ha ricevuto qualche ingiuria, si può dire, che abbia in mano la Misericordia Divina per partecipare quella misura o maggiore o minore che gli aggrada; basta, che perdoni di buon cuore, che si scordi dell’ingiuria, che faccia la pace, ed ecco rimesso a lui ogni debito. Così parla, così protesta l’istesso Cristo: dimittite, dimittetur; perdonate, e vi sarà perdonato; ma avvertite che per il contrario, chi non vuole rappacificarsi; chi non vuol salutare, né rendere il saluto; chi indebitamente nega i segni d’una giusta riconciliazione con gli offensori, tenga per certo, che Dio lo pagherà con la stessa moneta: qua mensura mensi sueritis remetietur vobis. Chi sarà dunque sì stolto, che per sfogare quella passione d’odio, per far quella vendetta, voglia tirarsi addosso l’ira di Dio, non voglia la Misericordia di Dio? Cari miei uditori, se non avete bisogno che Iddio vi perdoni, perché non abbiate mai peccato; io mi contento, che ancor voi neghiate la pace, vi vendichiate ma se avete un’estrema necessità, che Dio vi perdoni; perché non perdonate, mentre siete sicuri di non aver il perdono, se non perdonate? Qual fu la sua strada, che tenne la prudentissima Abigaille per raffrenare lo sdegno di David concepito contro del di lei caro marito, sì che lo voleva morto? Molte furono le scuse, molte le ragioni; la più potente però ad abbattere quel cuore, qual fu? Eccola, il dirgli così: e quando vi sarete vendicato, non ve ne avrete voi da pentire per aver disgustato Iddio? Non erit tibi hoc in singultum? Uditori miei cari, ecco quale deve essere il vostro freno da’ peccati: il pensare, che ha da venire un tempo, che ve ne dovrete pentire. Si si erit tibi in singultum, d’aver procurata la rovina di quella donzella; erit tibi in singultum, d’aver tentato l’onore di quella maritata: erit tibi in singultum, d’aver presa la roba al tuo prossimo; e qual sarà? quello della morte, e respiro.


LIMOSINA.
Qui in Nomine Christi, dice il Damasceno, pauperibus subvenit centuplum accipiet.
Chi dà ai poveri per amor di Dio, riceverà il centuplo. Volete vedere se Iddio rende il centuplo? Udite quel che accadde nella città di Livorno in Toscana. Un negoziante di prima riga, intervenuto alla predica, sentendo questo centuplo che Dio promette, diede una Dobla. Torna a casa, vien richiesto di certa cannella ordinaria, la mostra, e la trova cambiata in cannella finissima ed in quel giorno ebbe appunto cento doble di guadagno.

SECONDA PARTE.

Non vi è passo più terribile in tutto l’Oceano dello stretto di Magalianes posto tra l’Affrica, e la Terra di fuoco, perché quivi le acque sono urtate insieme, e respinte da due mari contrari, i quali con il loro flusso e riflusso vi mantengono le tempeste come paesane. Hanno i nocchieri trovato modo di scansare quel passo così terribile e mortale, tenendosi più basso, e passando per un altro stretto meno burrascoso. Non v’è passo più spaventoso della morte; ella è uno stretto combattuto dall’impeto di due mari totalmente diversi: tempo ed eternità; e quel che è peggio, il passo è unico; e non vi pensate e non dite … che farà di me, se v’affondo? Sapete perché non ci fissiamo in questa morte? Perché la miriamo da lontano, e ci pare che abbiano da passare mari di secoli prima che giunga. Così appunto da lontano la rimirò la madre di Nerone Agrippina. Uditene il fatto. Desiderava Agrippina di vedere lo scettro di Roma in mano al figlio, e per ciò che non fece? Fece quanto le permise l’astuzia d’una donna appassionata. Gl’indovini Caldei chiamati da essa a consulta sopra questo affare, gli dissero unitamente che desistesse dall’innalzamento al trono del figlio, poiché il figlio, divenuto Imperatore, gli avrebbe data la morte. Qual pensate che fosse la risposta della donna ambiziosa? Occidat dum imperet; a me non importa, muoia Agrippina, purché Nerone comandi. Ma quando poi si venne all’effetto, e principiò a vedere i preludi della sua morte; oh come subito si dié a’ pentimenti di quello che aveva tanto sospirato! Eccola rinchiusa, eccola in carcere come leonessa in serraglio e tigre in catena. Interrogatela, e ditegli … serenissima, non siete voi quella che apertamente dicevate: muoia Agrippina purché Nerone comandi? Eccovi contenta! Nerone è nel trono, già riscuote i tributi delle provincie straniere, gli ossequi delle milizie obbedienti, morite contenta? Quanto bramavate, avete ottenuto; appunto, appunto, tutto l’amore si voltò in odio, e disperata, al centurione, che gli venne incontro col ferro ignudo, o per segarle la gola o per trafiggerle il seno, ella gli si portò d’avanti, e gli disse: qui, qui ferisci questo ventre che diede ricetto ad un mostro di crudeltà: ventrem ferire exclamavit. Che sarà di voi peccatori, che ora andate dicendo a chi vi riprende de’ vostri vizi, e vi dice: avvertite, vi verrà la morte, e voi rispondete: occidat dum imperet. Muoia l’anima, purché si giunga a quella vendetta: … occidat, vada l’anima, purché si ottenga quella roba; si perda l’anima, purché si sfoghi quella passione. Non direte così no, quando vi troverete al capezzale. Ora ve la figurate lontana, e perciò gli fate testa.

QUARESIMALE (XXVII)