QUARESIMALE (XVIII)

QUARESIMALE (XVIII)

DI FULVIO FONTANA

Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711)

PREDICA DECIMAOTTAVA
Nella Feria terza della Domenica terza.


Chi pecca sul fondamento della Divina Misericordia; non sa
ciò che sia la Divina Misericordia; non ne sa il fine; neppure il numero de’ suoi effetti
.

Tunc accedens Petrus ad Jesum dixit, quoties peccabit in me Frater
et dimittam ei? dicit illi Jesus: non dico tibi septies, sed
usque septuagies septies. San Matteo al cap. 28.

Una buona nuova vi reco questa mattina o peccatori. Riceve Pietro da Cristo la potestà di prosciogliere da’ peccati: quodcunque solveris super terram, erit solutum, et in cœlis … Né questa la riceve limitata a poche colpe, ma per quante ne commetterete: non dico tibi septies, sed usque septuagies septies. – Voi, o Padre, pretendete di manifestarci una cosa da noi non saputa con palesarci la Divina Misericordia nel perdono de’ nostri peccati. Eh che ben sappiamo, che misericordia Domini plena est terra; e che Dio est Deus misericordiarum. Fra gli Attributi Divini, siccome ci confessiamo ciechi nella cognizione di quella onnipotenza, che può quanto vuole; di quella sapienza, che conosce tutte le virtù possibili; di quella bontà che accoglie nell’immensità del suo seno ogni bene; così ci dichiariamo di perfettamente conoscere la Divina Misericordia. Che dite miseri? Voi siete pur ciechi. Voi altro non avete in bocca che Misericordia Divina; e pure niente la conoscete. Non me lo credete? Uditemi, che vi farò toccare con mano, non sapersi da voi, che cosa sia Divina Misericordia; non sapersi il fine, non sapersi il numero de’ suo effetti. Taci, o peccatore, taci; né più magnificare la Misericordia Divina, giacché non sai, che cosa ella sia. Se tu sapessi ciò che sia Misericordia Divina, non giungeresti a segno di servirtene per oltraggiarla co’ peccati. Per Misericordia Divina, tu non apprendi altro, che una non curanza del peccato, sicché nulla importi a Dio il tuo mal vivere, nulla le tue sozzure, nulla le ingiustizie, nulla le bestemmie; e par che tu dica le parole degli empii di Giob: eh che Dio trattenendosi con i suoi Angeli in Cielo non bada a ciò che facciano gli uomini in terra, non mira alcun vizio per punirlo, né virtù per premiarla, circa cardines cœli ambulat, nostra non considerat. Ma stolto, che tu sei; come può mai essere, che Egli non curi il tuo pessimo vivere, mentre a sopportarti peccatore sopra la terra e non ti profondar subito nell’inferno, Egli fa uno sforzo della Divina sua clemenza? Quæ te vicit clementia, esclama Santa Chiesa, ut nostra serres crimina? La ragione poi di questo sforzo che Iddio fa alla sua Divina Clemenza, sopportandoti peccatore sopra la terra, è doppia; perché una riguarda lo stesso Dio, l’altra riguarda il peccato; la ragione, che riguarda Iddio è, perché avendo Iddio un odio infinito contro l’iniquità, che vale a dire eguale a quell’amore immenso che porta à sé, ed alle sue divine perfezioni, dovrebbe, subito che tu pecchi punire la tua temerità, e non facendolo fa un sforzo si grande alla sua Divina Clemenza, che Egli stesso per Malachia se ne stupisce, dicendo : Ego Deus, et non  mutor vos et vos non estis consumpti. Come è possibile, dice Iddio, che essendo Io un Signore sì grande e sì potente, voi che tanto m’avete offeso siate ancor vivi, e non siate stati annichilati dalla mia suprema Giustizia? … et vos non estis consumpti. Senti, o peccatore: di buona ragione, dovrebbe sempre succedere a te ciò che accadde a quel Re di Scozia, il quale  nel prendere dalla mano d’una statua un pomo d’oro, che teneva nella destra in  atto di porgerlo, nello stesso tempo fu ferito da uno strale che teneva nella sinistra ed ucciso, pagando con la vita il prezzo di quella avidità: tanto, dico dovrebbe accadere a te, ogni qual volta tu stendi la mano al pomo vietato dalla legge divina, levando  o ritenendo la roba altrui, procurando vendette, cercando sozzure; dovrebbe Iddio scagliare un fulmine sì potente, che ti facesse pagare con la morte temporale ed eterna la disubbidienza; e se non l’ha fatto finora, ciò è derivato dallo sforzo grande, che Egli ha fatto alla sua Divina Clemenza – Come è dunque possibile, che Egli non curi il tuo mal vivere mentre Egli fa sforzo a sé stesso per non punirti nel tuo peccato, che tanto odia? – Né solo fa sforzo per quel che riguarda l’odio, che Egli necessariamente porta al peccato; ma altresì sforza la Divina Clemenza a tollerare il peccato per il peso immenso dello stesso peccato. O quanto è mai smisurato il peso del peccato mortale! È tale, che per sua propria natura dovrebbe in un punto piombare negli abissi chi lo commise: in puncto ad Inferna descendunt. Così seguì negli angeli ribelli, appena si posò sopra le loro spalle questo peso, che non potendo sostenerlo piombarono ad un tratto giù nell’inferno: Videbam satanam tanquam fulgur de cælo cadentem. Il fulmine, voi ben sapete, che subito, che si accende cade a precipizio; né basta, che il fuoco, che di natura sua vola alla sua sfera, voglia sollevarlo; perché il peso di quella esalazione terrestre, di quella pietra, lo sforza a precipitarsi al basso, Tanto per appunto avvenne a lucifero, ed a’ suoi compagni, allorché insuperbendosi, peccarono, poiché il peso del loro peccato gli aggravò tanto, che non bastarono le forze della natura angelica per trattenerli dal precipizio. Sentimi però, tu peccatore, tu peccatrice: quando acconsentiste a quell’invito malvagio, prima anche di venire all’opera dovevi come gli angeli ribelli esser precipitato nelle fiamme, e teco pure doveva esser precipitato quella femmina scellerata che ti portava, quel che ti sollecitava al mal fare; anche le ambasciate; che ti prestava la casa; e se ciò non è seguito, è stato per un sforzo immenso, che ha fatto la Divina Clemenza, e poi ardirai di dire che la Misericordia di Dio sia una non curanza, che Iddio non si curi del tuo mal vivere; mentre Egli fa un sforzo sì grande a non castigarti per il peso immenso del peccato, che di sua natura, come a suo centro ti porta all’Inferno? E se meglio vuoi conoscere di qual peso sia il peccato; rifletti, che l’ombra stessa della iniquità posta sulle spalle del Figlio di Dio umanato, lo fece cadere colà nell’orto di Getsemani; allorché vi comparve in mentre in sembianza di peccatore, per pagare, come mallevadore, quei delitti che non aveva contratto: quæ non rapui, tunc exolvebam. Or se l’apparenza, l’ombra sola del peccato posta sulle spalle del Redentore lo fece cadere a terra, procidit in faciem suam, di che peso deve mai essere questo peccato di cui tu, scellerato, non porti l’ombra ma la sostanza? Se le spalle d’un Dio non ressero al solo sembiante del peccato: sicché ebbe a dire laboravi sustinens; non posso più come vuoi dunque che Egli non faccia sforzo a sostenere te pieno di tanti vizi? Sì, sì, grida l’Apostolo: sustinuit in multa patientia vasa iræ, non vi vuol meno della sua infinita pazienza, per trattenersi dal fracassare questi vasi pieni d’iniquità tanto a lui odiosi? – Passo ora avanti e dico che se Iddio fa tanto di sforzo a sopportare il peccato, qual non farà mai a perdonarlo? O che sforzo immenso! Il peccato si commette con somma facilità, mentre basta uno sguardo a compirlo: basta una parola, un pensiero; ma commesso è di sua natura difficilissimo a disfarsi; ed è sì difficile che tra tutte le creature sì passate, come presenti, sì possibili, come future, non vi è forza che basti a tanto. Attenti. Cada sopra di voi (Dio non lo voglia) scossa da fiero terremoto la vostra casa certo da per voi non potreste liberarvi dal peso: non così, se tutti gli uomini si accordassero; e molto, più se un Angelo vi soccorresse: e pure quanti vivono buoni in terra, quanti regnano beati in Cielo, neppure la Madre di Dio sarebbero sufficienti a distruggere un peccato mortale. Chi è caduto nel peccato vi farebbe infallibilmente eternamente sotto, se il Signore non v’impiegasse la sua destra; dicendo Egli per bocca d’Isaia: Ego ego sum, qui deleo iniquitates tuas. O peccato mortale quanto mai sei terribile! mentre per scancellarti vi vuole l’Onnipotenza Divina. Allor che voi UU. miei nell’andarvi a confessare dite: Io mi confesso a Dio Onnipotente: Confiteor Deo omnipotenti … voi intendere di dire, secondo l’intenzione di Santa Chiesa, che vi vuole l’Onnipotenza Divina a perdonarvi i vostri peccati. E che ciò sia vero, sappiate che l’Onnipotenza Divina nel perdonarvi i vostri peccati fa uno sforzo maggiore, che non ha fatto precipitando all’inferno tutti i demonii, e con essi tante, quante sono le anime de’ dannati; in quella guisa appunto che prodigio molto maggiore sarebbe respingere un fiume solo all’indietro verso la sorgente, che lasciarli correre tutti a scaricarsi nel mare. Se così è, pongansi dunque, dirò io, sopra le porte dell’inferno le parole che a suo malgrado confessò Faraone colà percosso nell’Egitto: Digitus Dei est bic, qui Iddio nel castigare i ribelli impiega un dito della sua destra, e sopra i tribunali della sacra Confessione incidasi a caratteri indelebili, questa verità: Dextera Domini fecit virtutem, qui la destra di Dio impiega tutta la sua virtù, per perdonare i peccati; giacché vi vuole lo sforzo della sua Onnipotenza. – Uditemi, e stupite: più fa Iddio di sforzo a perdonare un peccato solo, che non fa a dare il Paradiso a tutti i suoi eletti. Serafini del Paradiso, affacciatevi ad uno di quei balconi celesti, è ordine di Dio, che apriate una di quelle porte eternali, acciò possiamo dare un’occhiata a quei tanti Beati, che colassù regnano. Miei UU. quei che colassù vedete fra quelli splendori, sono quei cento quaranta mila predestinati veduti da San Giovanni, e quelli che con egual pompa vestiti portano in mano l’Aureola di Martiri, sono quei dieci mila Crocifissi già sul Monte Árat. E quel Coro di Vergini immenso, che tanto tira a sé l’ammirazione, sappiate che sono quelle undici mila donzelle, che sotto le bandiere di Sant’Orsola conservarono perpetua la Verginità. Or figuratevi , che questi tre gran Cori di Confessori, Vergini e Martiri tutti insieme, e tutti in un dì avessero fatto il loro ingresso trionfale nella Città de’ Beati: dissi poco, voglio, che a questi stuoli sì numerosi aggiungiate quanti furono Confessori e Vergini, ed a loro uniate quegli undici milioni di Martiri, che vanta Santa Chiesa, e tutti, tutti in un dì facciano il loro ingresso nel Paradiso. O che trionfo, o che pompa sarebbe mai questa. Qui sì, che potrebbe esclamare con San Paolo: nec oculus vidit, nec auris audivit. Io non credo, che possiate immaginarvi liberalità maggiore del nostro Dio: e pure Iddio fa più di sforzo con perdonare un peccato solo a quella donna impudica, a quel giovane svergognato, che non fà con dar la corona a tutti gli Eletti del Paradiso; e la ragione è chiara, perché una tal Corona è loro dovuta per giustizia dopo la promessa fattane alle opere buone; là dove ad un peccatore altro non si deve che fuoco e tenebre, disperazione e morte eterna e però il rimettergli quella pena, il distruggere la loro colpa, il donargli la grazia, è come uno sforzo della Divina Misericordia, corroboravit misericordiam suam. Bisogna dunque confessare a primo ad ultimum, che la Misericordia Divina non è una noncuranza di Dio del vostro mal vivere, mentre Dio fa uno sforzo sì grande a perdonare il peccato. Confessa dunque, o peccatore, che quando tu magnifichi l’attributo sì bello della Divina Misericordia, tu non sai, che cosa dici; mentre per te vivendo in peccato mortale non vuoi dir altro se non che Dio non guarda alle tue laidezze, a’ tuoi furti, alle tue vendette; non è così no! È bensì vero che quanto sei peccatore ignorante in ciò che sia Misericordia Divina, altrettanto sei ignorante in non sapere il fine che ha la misericordia di Dio nel sopportar le tue colpe e nel perdonartele. Perché credi tu che Iddio non ti abbia ancora castigato di quelle insidie che tramasti; di quei voti segreti che consegnaste più alla passione, che al giusto; di quelle irriverenze alle Chiese; di quella disubbidienza a’ tuoi maggiori; di quella negligenza sì mostruosa nell’allevare i figli, lasciando che i maschi girino male accompagnati per ogni strada, e le femmine discorrano con chi che sia dalle finestre e su le porte. Perché, dico, credi tu, che Dio non ti abbia ancora castigato? Credi tu che Iddio abbia avuto per fine per che tu seguiti una tal vita, e v’aggiunga di più l’andare casa per casa seducendo or questa ed or quella; sicché il fine d’una amicizia malvagia sia il principio d’un’altra e non rimanga al fine prato, ove la tua disonestà non lasci stampate le orme de’ tuoi eccessi? O quanto t’inganni! Non è questo il fine, perché la Divina misericordia tarda ed aspetta a castigarti; ma è quello che ti pone avanti gli occhi l’Apostolo, allorché dice: benignitas Dei ad pænitentiam te adducit. Il fine che ha Iddio in non castigarti subito dopo il peccato, è per darti tempo di riconoscersi, e perché tu distrugga per mezzo d’una santa Confessione il peccato che annidi nel cuore, prima che venga l’ora di distruggere te nella tua ostinazione: ad pænitentiam te adducit. Se Egli non ti castiga per le tue scelleraggini, e perciò ti si fa conoscere per buono; è segno che vuole che tu impari a temerlo, giacché non sarebbe buono, se non fosse nemico degli scellerati. Vuoi, che tu intenda, che quanto più Egli è buono, tanto più farà grave la tua colpa; ricompensando tu co’ tuoi tradimenti i Divini suoi benefizi; vuole, perché Egli è buono, che tu ti sforzi d’imitarlo nella bontà e nell’odio che Egli porta al peccato: respicere ad iniquitatem non potest. Intendila, o peccatore, fine perché Iddio ha di te misericordia, e non ti castiga, è perché tu ti emenda; ma tu a guisa di Napello velenoso, quanto sei più bagnato dalle rugiade della Divina pietà, tanto diventi più reo. Perché Dio ti aspetta, perché Dio ti chiama, perché Dio ti colma d’ogni bene; vai dicendo, se non con le parole, certo co’ fatti, dunque si può vivere a capriccio. Taci, taci, e confessa pure, che senza sapere ciò che sia Divina misericordia, né pur capisci, che il fine delle sue Divine operazioni è perché tu ti ravveda: Ignoras quod benignitas Dei ad pænitentiam te adducit. Né pur l’intese a suo gran costo un certo giovane, che vivendo una vita più da bestia, che da uomo, allorché ne era corretto, rispondeva: Iddio è buono: con tre parole mi salvo: Domine, miserere mei. Avvenne però, che un giorno dopo molti stravizi, montato per diporto sopra un cavallo, nel passar che faceva per un ponte, gli si inalberò di tal maniera che gettato di sella il suo cattivo padrone, lo precipitò in un profondo d’acqua. Privo all’ora l’indegno e d’aiuto e di consiglio, invece di ricorrere a Dio con le sue tre premeditate parole, Domine miserere mei: Signore abbiate pietà di me, ne proferì arrabbiato tre altre del tutto opposte, e disse disperato rapiat omnia demon, il diavolo si pigli ogni cosa; e con questa raccomandazione d’anima, si annegò. Or mirate un poco, amatissimi peccatori, quanto siano ben fondate le speranze di quelli che, sulla speranza della Divina Misericordia, offendono Dio più temerariamente. Eh scuotetevi una volta, ed aprite gli occhi per conoscere la vostra ignoranza: intendendo, che se Dio non ci castiga, è perché ci vuole emendati; e se non volete errare appigliatevi al consiglio del Savio, che vi dice: Ne dixeris misericordia Domini magna est, misericordia enim et ira illius cito proximant. Non ti lasciar mai uscir di bocca questa parola con fine di peccare più francamente. Ma, e perché? Non è forse grande, e grandissima? Ma bisogna che tu sappia, che a lato di questa grandissima Misericordia, vi sta la Giustizia: misericordia enim, ira illius cito proximant. Sappi pertanto, che Iddio, se tu non ti risolvi di lasciar quella pratica, di levarti dal cuore quell’odio; di restituire quella roba male acquistata, metterà mano alla spada dell’ira: e con un colpo solo te le farà pagare tutte, troncherà la tua vita in mezzo a’ tuoi giorni: farà che tu non trovi un confessore che ti ammonisca. Darà su l’estremo tuo, licenza più ampia al diavolo di tentarti, ti assisterà con un aiuto meno speciale, e tu perduto ingannatore di te stesso, andrai ad imparare nelle fiamme dell’inferno il fine che aveva la Misericordia Divina nel sopportarti. – Poveri peccatori, che non siete meno ignoranti nel sapere il numero de’ suoi effetti. Aprite gli occhi. Talpe infelici d’inferno, per conoscere che se la misericordia di Dio è infinita, non sono però infinite le sue miserazioni; cioè a dire, non sono infinite le volte che vuole aspettare, che vuole perdonare, anzi sono determinate dal consiglio della sua Providenza. Tutte le opere di Dio non sarebbero di Dio, se non fossero fatte in numero, pondere et mensura. Sappi, dunque, o peccatore, che tutte quelle grazie che ha stabilito Iddio di darti, tutte quelle inspirazioni e lumi con cui vuol sollecitare il tuo cuore a pentirsi, sono tutte parimenti in numero, peso e misura. Or se tu consumi invano questa misura, che sarà di te? Avrai, non lo nego, sempre la grazia sufficiente a resistere alle tentazioni; ma non l’avrai sempre a risorgere, e quando l’avrai, non te ne saprai prevalere. – L’Evangelista San Matteo vi confermi questa verità. Vi fu un certo padrone di vigna, il quale tra le sue viti aveva piantato un albero di fico; ma cresciuto al debito segno, invece di far frutti faceva sol pompa di foglie. Tre anni tollerò il padrone la sterilità di questa pianta, per chiarirsi se il mancamento veniva dalla stagione; ma in capo a questi vedendo sempre più sterile l’albero: olà, disse al lavoratore, taglia questa pianta inutile, e gettala al fuoco, perché non è dovere che occupi sì lungamente il terreno senza dar frutto. Ecce tres anni sunt ex quo venio, quærens fructum et, non invenio; succide ergo illam ut quid terram occupat. A tali risoluzioni del padrone resistette il lavoratore ed intercede tanto di tempo da potere adottare intorno alla pianta infruttuosa qualche coltura più singolare, con protestarsi che se quella diligenza non fosse stata bastevole, si venisse, pure allora, al taglio senza rimedio: sine illam, et hoc anno usque dum sodiam circa illam, mittam stercora, fin autem non fecerit fructum in futurum succides eam. Peccatori miei dilettissimi, intendete voi questo linguaggio di Cristo, per il quale io mi riempio d’orrore da capo a piedi? In questo fico sterile vien figurata l’anima vostra. Quanti anni sono che il Signore aspetta da voi veri frutti di penitenza? Non sono tre, ma forse dieci, venti, trenta, e voi gli porgete foglie. Avete tante volte promesso al confessore l’emendazione, ma non se n’è fatto nulla; vi siete protestati di lasciar quei compagni amici di corpo e nemici crudeli dell’anima, e pur con quelli ancora si continua la pratica ed il peccato. Quante volte avete detto: restituirò, restituirò? E la roba è ancora in casa, e che altro potete aspettarvi che rovine? Eh che Iddio annoiato per tante ricadute, e per vedere che non solo non si danno frutti buoni, ma bensì pessimi d’iniquità e di scandalo; avrà di già spedito l’ordine del taglio irrevocabile per più d’uno di voi. E se così è, che sarà di voi? Io non credo che per anche sia data questa terribile sentenza, perché mi figuro che l’Angelo vostro custode, i vostri Santi Avvocati, la Vergine vostra Madre si saranno portati al Trono di Dio con supplicare che si sospenda il comando; perché sperano che nell’udir voi la Divina Parola. E nel vedere esempi di compunzione vi convertirete, ma se taluno poi dopo aver sentita questa intenzione, rimanendo ostinato con continuare nella sua vita scellerata altro non si aspetti che esser miseramente reciso da colpo di morte spietata per esser gettato in quel fuoco che merita … Sin autem non fecerit fructum in futurum, succides eam. – Peccatore, peccatrice, non vi andate più lusingando con dire dentro di voi: Iddio è buono m’ha aspettato finora m’aspetterà in avvenire: falso, falso. Se quella pianta sterile avesse così discorso, il padrone m’ha tollerato quattro anni senza frutto, dunque mi tollererà in futuro… certo non avrebbe discorso che pazzamente. Tu altresì discorri da pazzo, e tanto più che non solo sei inutile ma ancora nocivo, mentre non solo lasci di fare il bene, ma commetti anche tanto di male. Deh lasciati una volta condurre da questa guida amorevole a penitenza; e non voler più resistere alle divine chiamate; perché, se è infinita la Divina Misericordia, sono però limitate le miserazioni. Da che viene questa grande ignoranza intorno alla Divina Misericordia, ed i suoi effetti? Non da altro per verità, se non perché si considerano solamente i peccati presenti, quelli soli, che per anche non si sono confessati, senza prendersi alcun travaglio di quelli che già furono manifestati al confessore; quasi di partite già saldate abbastanza. È vero miei UU. che se avete fatta una buona confessione con vero dolore e fermo proposito, i vostri peccati son rimessi, ma è altresì vero ciò che il Santo Giob ci significa in quelle parole: signasti quasi in sacculo peccata mea, che vale a dire la Divina Giustizia poste tutte le nostre colpe una sopra l’altra quasi dentro un sacco, perché quando il sacco sia poi pieno, il fulmine dell’Ira Divina piomba sopra degli Empi senza riparo. Voi non sapete, o peccatori, di quanti peccati sia capace il vostro sacco, e però state avvertiti, perché  può essere che il primo che commetterete lo riempia, e se così è, siete perduti. Confesso il vero, che alle proteste dei maggiori Dottori della Chiesa, sì Greca come Latina, San Basilio e Sant’Agostino, io m’inorridisco: ci fanno questi sapere, avere Iddio determinato una certa misura de peccati che vuole sopportare da ciascheduno, la quale se si oltrepassa da chicchessia, o il Signore mette subito mano al castigo, o almeno lascia di assistere con quelli aiuti straordinari, senza de’ quali, sebbene il peccatore potrebbe salvarsi, pure de facto, non si salverà per sua colpa; ma se m’inorridisco a queste proteste de Santi, che farò alla voce di Dio, che nelle Sagre Scritture ci insinua questa stessa misura di colpe, protestandosi, che per aver i peccatori passato quel segno, che Egli aveva stabilito ad usar loro pietà, non l’avrebbero ottenuta, super tribus sceleribus Damasci, et super quatuor non convertam; super tribus sceleribus Gaze, et super quatuor non convertam eum. Ecco le proteste terribili di Dio per bocca d’Amos Profeta: Si dichiara assolutamente che quella misericordia, che averebbe presso di lui trovato il primo, il secondo, il terzo eccesso, non era per ritrovarla il quarto, … super quatuor non convertam eum. E tu, peccatore, discorrendo da quell’ignorante che sei, vai teco stesso divisando di dover trovare la stessa facilità in Dio nel perdonarti due, tre, e quattro peccati, come nelle centinaia, che finora hai commesso? Bene, seguita pure, che presto verrà la morte, e ti accorgerai del tuo errore allorché l’anima tua a viva forza sarà portata dai diavoli nel mezzo delle fiamme per ardervi eternamente. Tanto appunto intervenne ad un uomo che non contento della compagnia datagli da Dio d’una buona donna, si teneva con scandalo una concubina. La moglie, a cui più dispiaceva l’offesa di Dio che il suo torto, di continuo pregava per lui: s’ammalò l’indegno marito, e per scampare da quella pericolosa malattia fece molte promesse di mutar vita; le credette la donna, e però per impetrarli più facilmente la sanità ricorse ad un Servo di Dio, Frate Innocenzo de Cusa, uno de primi Compagni di San Pietro d’Alcanrara, per mezzo di cui l’infermo risanò: ma che? siccome i voti fatti in mare si rompono in terra, così le promesse fatte da costui in letto si ruppero in sanità, gli era stata impetrata con condizione di servirsene in bene; tornato al peccato, tornò altresì la malattia; tornarono ancora le promesse a Dio ed alla moglie di conversione: sicché la buona donna tornò la seconda volta da Fra Innocenzo, e nuovamente impetrò la sanità. Era pur vero, che neppure questo secondo avviso bastò, perché lasciasse il peccato; tornò la terza volta ad abusarsi della sanità ricevuta, ed a ripigliare le sue disonestà, persuadendosi di trovar sempre aperta ad un modo la porta della Divina Misericordia, ma s’ingannò! Imperocché mentre Fra Innocenzo stava in orazione sentì uno strepito di cavalli ed un mormorio di voci nella strada, e fattosi a vedere che cosa era: vide una quantità di diavoli sopra cavalli d’inferno, che conducendo un cavallo vuoto per la briglia, e … chi siete? Disse, ed a chi serve quella bestia scarica? Noi siamo ministri della Divina Giustizia, ed andiamo a prender quel mal uomo, che sì lungamente si è abusato della Divina Misericordia. Si fermò il sant’uomo, ed ecco che indi a poco vide tornar la cavalcata con quel meschino in mezzo tutto piangente e con le mani alzate, chiedendo aiuto, ma troppo tardi ripigliò Fra Innocenzo: Iddio ti maledice ed io con Lui, e ciò detto con un fracasso orribile apertasi la terra, sprofondò il tutto. E perché non ho io una lingua di bronzo, una voce di tuono, per rivoltarmi a’ peccatori e dir loro: … ah ingratissimi più spietati delle fiere, più sordi degli scogli, più barbari delle furie, che a sì benefizi rispondete con offese: interverrà a voi invisibilmente ciò che visibilmente intervenne a costui. Non dite più, Iddio mi ha sopportato, dunque mi sopporterà; mi ha perdonato, dunque mi perdonerà; v’è sempre tempo a convertirsi. L’argomento non cammina, cammina bensì così: Iddio m’ha perdonato per l’addietro, dunque non mi perdonerà per l’avvenire, già che mi sono abusato delle sue grazie finora, dunque non le merito più, non mi avrà più pietà. E se fosse così, che al primo peccato che commetterai Iddio ti voltasse le spalle, che sarebbe mai di te? Lascia dunque di peccare e non ti abusare di vantaggio della Divina Misericordia, se non vuoi esperimentare severamente la Divina Giustizia.

LIMOSINA
L’Inghilterra sollevata depose il re Alfredo dal suo trono, e voleva privarlo anche di vita per dar principio a quella tragedia che fu poi compita in un altro re del nostro secolo. La fuga salvò la regia persona che, scampata in fretta dalle mani nemiche nulla più portò seco di vettovaglia, che un pane, e questo chiestoli da un povero per limosina, tutto il diede. Piacque tanto a Dio questo atto, che per mezzo di San Gutberto, apparsogli di notte gli fece dire che tornasse indietro perché sarebbe da’ vassalli ubbidienti ricevuto nella città, introdotto nella regia, e riposto in trono. O che bel cambio: per un pane un Regno!

SECONDA PARTE

Non tornate a peccare, miei UU. sulla speranza di quella misericordia che non intendete, perché io v’assicuro che resterete delusi, come appunto rimasero gli antichi Israeliti colà nel deserto. Essi così dicevano: Iddio è buono, ci ha perdonato altre volte; ha promesso d’introdurci nella Palestina, adunque ci perdonerà nuovamente, e non lascerà d’esserci sempre propizio, ma non l’indovinarono: tentaverunt me per deces vices, dice Dio, nectamen non videbunt terram pro qua juravi Patribus eorum, m’hanno irritato dieci volte, li ho sopportati, ora la mia pazienza non ne vuol più: rimangano tutti estinti nel deserto, vedano con gli occhi propri la Terra promessa, ma non per possederla. Ditemi quanto sarebbe tornato conto a quei meschini non arrivare a quel decimo peccato, che fu l’ultimo a compire la misura? Se non vi fossero giunti avrebbero trovata propizia la Divina Misericordia, avrebbero goduto il frutto delle Divine promesse; ma perché vi giunsero, restarono privi d’un tanto bene … chissà che non debba intervenire lo stesso a quel giovane, a quella giovane? Chissà   che la prima volta che tornate in quella casa maledetta, che tratterete disonestamente con quell’uomo, che commetterete quel peccato, non sia quello che dia il crollo alla bilancia? Chissà che il primo peccato, che farai non sia quell’ultimo che Dio non vuol sopportare? Forse non sarà così, potrai dirmi, ma se fosse? Sebbene che dico in forse posso con molto fondamento asserire che sarà? Perché tu non contento di dieci peccati, ne hai commessi cento, e più con le opere, più di duecento con le parole ed a migliaia con i pensieri indegni, o di vendette, di lascivie. Non è più dovere che Dio ti tolleri tanto scellerato: è dovere che la sua Giustizia ti piombi nell’inferno. Confida pure, spera pure, ed intanto non ti convertire, ed assicurati che ti troverà ove non credi. – Si era ribellato a Filippo Secondo in Fiandra il Conte d’Egmont, e ne sperava il perdono su la fidanza della clemenza del suo signore, onde diceva ad un suo confidente, salvabit me clementia regis, la clemenza del mio re mi renderà salvo, ma l’altro l’indovinò meglio, ripigliando, perdet te clementia regis, la clemenza che tu ti prometti con sì poco fondamento, ti manderà in rovina, e così avvenne, perché il conte lasciò la testa sopra d’un palco per mano di carnefice. – Io non ho genio di fare a’ miei UU. cattivi pronostici; ma mi dice il cuore che quell’ostinato che qui si trova tra voi, quel temerario che vuol per l’avvenire seguitare ad essere cattivo, perché Dio è stato buono con lui, abbia da piangere il suo errore con lacrime che non si asciugheranno in eterno. Deh apri gli occhi infelice. Ha forse Dio bisogno di te per esser servito? Forse si ha da vestire a bruno il Paradiso se tu non vi entri? Forse si ha da cambiare in deserto se tu vi manchi? Chi non vuol la pace abbia la guerra; chi non vuole la benedizione abbia la maledizione; chi non vuol salvarsi si danni! Ma che dico? Oh mio Dio: neppur uno si ha da perdere di questi che m’ascoltano. È troppo gran perdita la perdita di un’anima sola, che costa il vostro preziosissimo Sangue, e perciò non sia mai vero che perisca. Ah mio caro Signore purtroppo conosco la mia poca abilità per convertire questi cuori, e se io guardassi a questa sola, non mi sarei posto all’impresa che ho per le mani di convertire quei peccatori che ancora sono ostinati. E che posso fare io miserabilissimo? Io posso parlare, posso pregare, posso minacciare; … docebo iniquos vias tuas… posso dire col Profeta, ma non posso egualmente soggiungere … et impios hos ad te convertam, perché il convertire tocca a Voi, et impii ad te convertentur, la vostra grazia è quella che può far tutto, e questa è quella che imploro! M’avete comandato che io venga a questo popolo, son venuto. M’avete comandato che io l’inviti a penitenza; l’ho invitato. M’avete comandato che io l’ammonisca; l’ho ammonito … fecit quod jussisti; ma il muoverlo, il convertirlo, il ridurlo a Voi, non è impresa delle mie forze, ella è tutta riservata all’onnipotenza del vostro aiuto, secondo la promessa fatta, la spero … fecit quod jussisti, imple quod promissisti!

QUARESIMALE XIX

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.