DOMENICA II DI QUARESIMA (2023)

DOMENICA II DI QUARESIMA (2023)

Stazione a S. Maria in Domnica

Semidoppio. – Dom. privil. di I cl. – Paramenti violacei.

La Stazione a Roma si tiene nella chiesa di S. Maria in Domnica, chiamata così perché i Cristiani si riunivano, in altri tempi, la Domenica nella casa del Signore (Dominicum). Si dice che S. Lorenzo, distribuisse lì i beni della Chiesa ai poveri. Era una delle parrocchie romane del v secolo. Come nelle Domeniche di Settuagesima, di Sessagesima e di Quinquagesima, i testi dell’Ufficiatura divina formano la trama delle Messe della 2a, 3a, e 4a Domenica di Quaresima. – Il Breviario parla in questo giorno del patriarca Giacobbe che è un modello della più assoluta fiducia in Dio in mezzo a tutte le avversità. Assai spesso la Scrittura chiama il Signore, il Dio di Giacobbe o d’Israele per mostrarlo come protettore. « Dio d’Israele, dice l’Introito, liberaci da ogni male ». La Chiesa quest’oggi si indirizza al Dio di Giacobbe, cioè al Dio che protegge quelli che lo servono. Il versetto dell’Introito dice che « colui che confida in Dio non avrà mai a pentirsene ». L’Orazione ci fa domandare a Dio di guardarci interiormente ed esteriormente per essere preservati da ogni avversità ». Il Graduale e il Tratto supplicano il Signore di liberarci dalle nostre angosce e tribolazioni » e « che ci visiti per salvarci ». Non si potrebbe meglio riassumere la vita del patriarca Giacobbe che Dio aiutò sempre in mezzo alle sue angosce e nel quale, dice S. Ambrogio, « noi dobbiamo riconoscere un coraggio singolare e una grande pazienza nel lavoro e nelle difficoltà » (4° Lez. Della 3° Domenica di Quaresima).  – Giacobbe fu scelto da Dio per essere l’erede delle sue promesse, come prima aveva eletto Isacco, Abramo, Seth e Noè. Giacobbe significa infatti « soppiantatore »: egli dimostrò il significato di questo nome allorché prese da Esaù il diritto di primogenitura per un piatto di lenticchie e quando ottenne per sorpresa, la benedizione del figlio primogenito che il padre voleva dare a Esaù. Difatti Isacco benedì il figlio più giovane dopo aver palpato le mani che Rebecca aveva coperte di pelle di capretto e gli disse: « Le nazioni si prosternino dinanzi a te e tu sii il signore dei tuoi fratelli ». Allorquando Giacobbe dovette fuggire per evitare la vendetta di Esaù, egli vide in sogno una scala che si innalzava fino al cielo e per essa gli Angeli salivano e discendevano. Sulla sommità vi era l’Eterno che gli disse: « Tutte le nazioni saranno benedette in Colui che nascerà da te. Io sarò il tuo protettore ovunque tu andrai, non ti abbandonerò senza aver compiuto quanto ti ho detto. Dopo 20 anni, Giacobbe ritornò e un Angelo lottò per l’intera notte contro di lui senza riuscire a vincerlo. Al mattino l’Angelo gli disse: « Tu non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele (il che significa forte con Dio), perché Dio è con te e nessuno ti vincerà » (Il sacramentario Gallicano -Bobbio- chiama Giacobbe « Maestro di potenza suprema »).Giacobbe acquistò infatti la confidenza di suo fratello e si riconciliò con lui.Nella storia di questo Patriarca tutto è figura di Cristo e della Chiesa. – La benedizione, infatti, che Isacco impartì a suo figlio Giacobbe — scrive S. Agostino — ha un significato simbolico perché le pelli di capretto significano i peccati, e Giacobbe, rivestito di queste pelli, è l’immagine di Colui che, non avendo peccati, porta quelli degli altri » (Mattutino). Quando il Vescovo mette i guanti nella Messa pontificale, dice infatti, che « Gesù si è offerto per noi nella somiglianza della carne del peccato ». « Ha umiliato fino allo stato di schiavo, spiega S. Leone, la sua immutabile divinità per redimere il genere umano e per questo il Salvatore aveva promesso in termini formali e precisi che alcuni dei suoi discepoli « non sarebbero giunti alla morte senza che avessero visto il Figlio dell’uomo venire nel suo regno » cioè nella gloria regale appartenente spiritualmente alla natura umana presa per opera del Verbo: gloria che il Signore volle rendere visibile ai suoi tre discepoli, perché sebbene riconoscessero in lui la Maestà di Dio, essi ignoravano ancora quali prerogative avesse il corpo rivestito della divinità (3° Notturno). Sulla montagna santa, ove Gesù si trasfigurò, si fece sentire una voce che disse: « Questo è il mio Figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto, ascoltatelo ». Dio Padre benedì il suo Figlio rivestito della nostra carne di peccato, come Isacco aveva benedetto Giacobbe, rivestito delle pelli di capretto. E questa benedizione data a Gesù, è data anche ai Gentili a preferenza dei Giudei infedeli, come essa fu data a Giacobbe a preferenza del primogenito. Così il Vescovo mettendosi i guanti pontificali, indirizza a Dio questa preghiera« Circonda le mie mani, o Signore, della purità del nuovo uomo disceso dal cielo, affinché, come Giacobbe che s’era coperte le mani con le pelli di capretto ottenne la benedizione del padre suo, dopo avergli offerto dei cibi e una bevanda piacevolissima, cosi, anch’io, nell’offrirti con le mie mani la Vittima della salute, ottenga la benedizione della tua grazia per nostro Signore ».Noi siamo benedetti dal Padre in Gesù Cristo; Egli è il nostro primogenito e il nostro capo; noi dobbiamo ascoltarlo perché ci ha scelti per essere il suo popolo. « Noi vi preghiamo nel Signore Gesù, dice S. Paolo, di camminare in maniera da progredire sempre più. Voi conoscete quali precetti io vi ho dati da parte del Signore Gesù Cristo, perché Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione in Gesù Cristo Signor nostro » (Epist.). — In S. Giovanni (I, 51) Gesù applica a se stesso l’apparizione della scala di Giacobbe per mostrare che in mezzo alle persecuzioni alle quali è fatto segno, Egli era continuamente sotto la protezione di Dio e degli Angeli suoi. « Come Esaù, dice S. Ippolito, medita la morte di suo fratello, il popolo giudeo congiura contro Gesù e contro la Chiesa. Giacobbe dovette fuggirsene lontano; lo stesso Cristo, respinto dall’incredulità dei suoi, dovette partire per la Galilea dove la Chiesa, formata di Gentili, gli è data per sposa ». Alla fine dei tempi, questi due popoli si riconcilieranno come Esaù e Giacobbe.La Messa di questa Domenica ci fa comprendere il mistero pasquale che stiamo per celebrare. Giacobbe vide il Dio della gloria, gli Apostoli videro Gesù trasfigurato, presto la Chiesa mostrerà a noi il Salvatore risuscitato.

Incipit

In nómine Patris,  et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps XXIV:6; XXIV:3; XXIV:22

Reminíscere miseratiónum tuarum, Dómine, et misericórdiæ tuæ, quæ a sæculo sunt: ne umquam dominéntur nobis inimíci nostri: líbera nos, Deus Israël, ex ómnibus angústiis nostris.

[Ricordati, o Signore, della tua compassione e della tua misericordia, che è eterna: mai trionfino su di noi i nostri nemici: líberaci, o Dio di Israele, da tutte le nostre tribolazioni.]

Ps XXIV:1-2

Ad te, Dómine, levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam.

[A te, o Signore, ho levato l’anima mia, in Te confido, o mio Dio, ch’io non resti confuso.]

Reminíscere miseratiónum tuarum, Domine, et misericórdiæ tuæ, quæ a sæculo sunt: ne umquam dominentur nobis inimíci nostri: líbera nos, Deus Israël, ex ómnibus angústiis nostris.

[Ricordati, o Signore, della tua compassione e della tua misericordia, che è eterna: mai triònfino su di noi i nostri nemici: líberaci, o Dio di Israele, da tutte le nostre tribolazioni.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Orémus.

Deus, qui cónspicis omni nos virtúte destítui: intérius exteriúsque custódi; ut ab ómnibus adversitátibus muniámur In córpore, et a pravis cogitatiónibus mundémur in mente.

[O Dio, che ci vedi privi di ogni forza, custodíscici all’interno e all’esterno, affinché siamo líberi da ogni avversità nel corpo e abbiamo mondata la mente da ogni cattivo pensiero.]

LECTIO

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Thessalonicénses.

1 Thess IV: 1-7.

“Fratres: Rogámus vos et obsecrámus in Dómino Jesu: ut, quemádmodum accepístis a nobis, quómodo opórteat vos ambuláre et placére Deo, sic et ambulétis, ut abundétis magis. Scitis enim, quæ præcépta déderim vobis Per Dominum Jesum. Hæc est enim volúntas Dei, sanctificátio vestra: ut abstineátis vos a fornicatióne, ut sciat unusquísque vestrum vas suum possidére in sanctificatióne et honóre; non in passióne desidérii, sicut et gentes, quæ ignórant Deum: et ne quis supergrediátur neque circumvéniat in negótio fratrem suum: quóniam vindex est Dóminus de his ómnibus, sicut prædíximus vobis et testificáti sumus. Non enim vocávit nos Deus in immundítiam, sed in sanctificatiónem: in Christo Jesu, Dómino nostro.”

[“Fratelli: Vi preghiamo e supplichiamo nel Signore, che, avendo da noi appreso la norma, secondo la quale dovete condurvi per piacere a Dio, continuiate a seguire questa norma, progredendo sempre più. Poiché la volontà di Dio è questa: la vostra santificazione: che vi asteniate dalla fornicazione, che ciascuno di voi sappia possedere il proprio corpo nella santità e nell’onestà, e non seguendo l’impeto delle passioni, come fanno i pagani che non conoscono Dio; che nessuno su questo punto soverchi o raggiri il proprio fratello: che Dio fa vendetta di tutte queste cose, come vi abbiamo già detto e dichiarato. Dio, infatti, non ci ha chiamati all’immondezza, ma alla santità: in Cristo Gesù Signor nostro”]

L’ONORE CRISTIANO.

C’è nell’epistola d’oggi una parola che colpisce: l’appello all’onore. Se ne fa tanto commercio, tanto uso ed abuso di questa parola nella letteratura e nella vita mondana. Il mondo considera un po’ l’onore come una sua scoperta, o, almeno, come un suo monopolio. L’onore è nel mondo, o si crede sia, il surrogato laico del dovere. Noi Cristiani, secondo questo modo assai diffuso di vedere, avremmo il dovere, la coscienza; il mondo avrebbe, lui, l’onore. Più trascendentale il primo, più concreto il secondo. E onore vuol dire un nobile senso della propria dignità, un cominciar noi ad avere per noi quel rispetto che pretendiamo dagli altri. – Ebbene San Paolo parla di onore come di un dovere ai primi Cristiani, ai Cristiani d’ogni generazione, come parla di santità. Dio ci vuol santi e noi dobbiamo diventarlo sempre di più come numero e come intensità. « Hæc et voluntas Dei sanctificatio vestra ». Di questa santità l’Apostolo specifica due elementi: purezza e carità, una carità assorbente e riassorbente in sé la giustizia. Purezza! e la purezza è il rispetto al proprio corpo, è la dignità della nostra condotta umana anche nel momento in apparenza più brutale della nostra vita. – C’è chi si lascia degradare nel suo corpo, dalle ignobili passioni, dai miseri istinti di esso; ma c’è chi solleva e nobilita tutto questo: c’è chi possiede e domina nobilmente l’« io » inferiore e animale: trascinarlo in alto, umanizzarlo, divinizzarlo anche. È  una novità. I pagani non le pensano neppure queste belle, grandi cose, tanto sono lontani dal farle. Hanno evertito Dio, poveri pagani! È stata la prima forma di avvilimento e il principio funesto di tutte le altre. Mancò il punto a cui rifarsi, quasi sospendersi, e si rotolò in basso. San Paolo esprime lo schifo, il ribrezzo dei costumi pagani, corrotti e crudeli. Sono le due forme di bestialità su cui egli insiste e dalle quali scongiura i Cristiani di guardarsi, suggerendo le formule dell’onore: custodire onorato anche il proprio organismo, custodendolo santo. « Mori potius quam fœdari: » morire prima di disonorarsi, la cavalleresca formula ci torna alla memoria come una formula di sapore e di origine cristiana. L’onore non è più una convenzione, un quid di cui sono in qualche modo arbitri gli altri e che contro gli altri dobbiamo eventualmente difendere, è invece un quid di cui siamo arbitri noi stessi e che dobbiamo difendere contro gli istinti vergognosi degeneranti: difenderlo in nome e per l’onore stesso di Dio. Il mondo non farà che riprendere questa idea dell’onore per falsificarla strappandola al suo ambiente sacro, laicizzandola. Noi siamo i custodi vigili. Sdegnosi, colle opere più che con le parole, proclamiamo il programma: « mori potius quam fœdari ». Non tutto è perduto, nulla è perduto quando è salvo l’onore.

 Graduale

Ps XXIV: 17-18

Tribulatiónes cordis mei dilatátæ sunt: de necessitátibus meis éripe me, Dómine,

[Le tribolazioni del mio cuore sono aumentate: líberami, o Signore, dalle mie angustie.]

Vide humilitátem meam et labórem meum: et dimítte ómnia peccáta mea.

[Guarda alla mia umiliazione e alla mia pena, e perdònami tutti i peccati.]

Tractus Ps CV:1-4

Confitémini Dómino, quóniam bonus: quóniam in saeculum misericórdia ejus.

[Lodate il Signore perché è buono: perché eterna è la sua misericordia.]

Quis loquétur poténtias Dómini: audítas fáciet omnes laudes ejus?

[Chi potrà narrare la potenza del Signore: o far sentire tutte le sue lodi?]

Beáti, qui custódiunt judícium et fáciunt justítiam in omni témpore.

[Beati quelli che ossérvano la rettitudine e práticano sempre la giustizia.]

Meménto nostri, Dómine, in beneplácito pópuli tui: vísita nos in salutári tuo.

[Ricórdati di noi, o Signore, nella tua benevolenza verso il tuo popolo, vieni a visitarci con la tua salvezza.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum S. Matthæum.

Matt XVII: 1-9

“In illo témpore: Assúmpsit Jesus Petrum, et Jacóbum, et Joánnem fratrem eius, et duxit illos in montem excélsum seórsum: et transfigurátus est ante eos. Et resplénduit fácies ejus sicut sol: vestiménta autem ejus facta sunt alba sicut nix. Et ecce, apparuérunt illis Móyses et Elías cum eo loquéntes. Respóndens autem Petrus, dixit ad Jesum: Dómine, bonum est nos hic esse: si vis, faciámus hic tria tabernácula, tibi unum, Móysi unum et Elíæ unum. Adhuc eo loquénte, ecce, nubes lúcida obumbrávit eos. Et ecce vox de nube, dicens: Hic est Fílius meus diléctus, in quo mihi bene complácui: ipsum audíte. Et audiéntes discípuli, cecidérunt in fáciem suam, et timuérunt valde. Et accéssit Jesus, et tétigit eos, dixítque eis: Súrgite, et nolíte timére. Levántes autem óculos suos, néminem vidérunt nisi solum Jesum. Et descendéntibus illis de monte, præcépit eis Jesus, dicens: Némini dixéritis visiónem, donec Fílius hóminis a mórtuis resúrgat.”

[In quel tempo Gesù prese con sé Pietro, e Giacomo, e Giovanni, suo fratello, e li menò separatamente sopra un alto monte; e fu dinanzi ad essi trasfigurato. E il suo volto era luminoso come il sole, e le sue vesti bianche come la neve. E ad un tratto apparvero ad essi Mosè ed Elia, i quali discorrevano con lui. E Pietro prendendo la parola, disse a Gesù: Signore, buona cosa è per noi lo star qui: se a te piace, facciam qui tre padiglioni, uno per te, uno per Mosè, e uno per Elia. Prima che egli finisse di dire, ecco che una nuvola risplendente, li adombrò. Ed ecco dalla nuvola una voce che disse: Questi è il mio Figliuolo diletto, nel quale io mi sono compiaciuto: lui ascoltate. Udito ciò, i discepoli caddero bocconi per terra, ed ebbero gran timore. Ma Gesù si accostò ad essi, e toccolli, e disse loro: Alzatevi, e non temete. E alzando gli occhi, non videro nessuno, fuori del solo Gesù. E nel calare dal monte, Gesù ordinò loro, dicendo: Non dite a chicchessia quel che avete veduto, prima che il Figliuol dell’uomo sia risuscitato da morte.]

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

DOVE E COME GESÙ SI TRASFIGURÒ

Davanti a S. Pietro, a S. Giacomo e a S. Giovanni, Gesù si trasfigurò. Subitamente il suo volto apparve in uno sfolgorio di raggi come il disco del sole, i suoi vestimenti si fecero come neve bianchissima, così che nessun pittore o tintore del mondo potrà renderlo con la sua arte. In quel lume di gloria, a’ suoi lati, vennero Mosè ed Elia e discorrevano con Lui della sua morte di croce ormai imminente. I tre Apostoli udivano le parole dei tre grandi digiunatori di quaranta giorni: le parole del Figlio di Dio che per quaranta giorni e quaranta notti non toccò cibo né bevanda nel deserto; le parole del Legislatore d’Israele che salì sul Sinai fumante e tremante per la presenza dell’Onnipotente ed entrò nella misteriosa nube per quaranta giorni e quaranta notti, le parole del terribile Profeta che, fuggiasco e perseguitato, con un pane ricevuto dall’Angelo, camminò verso la montagna di Horeb quaranta giorni e quaranta notti. Da quello splendore non terreno, da quelle parole non umane, si diffondeva tale una dolcezza nel cuore, che Pietro esclamò: « Signore, che gioia star sempre qui! ». Allora s’udì un comando squillare come una tromba: « Il Figlio d’ogni mia compiacenza è Questo: ascoltatelo! ». Era la voce dell’Eterno, e i discepoli, tremando e adorando, si gettarono bocconi sulla terra, senza più guardare. Ma una mano lieve e una confortevole parola li scosse: « Alzatevi, non temete! ». Pietro, Giacomo e Giovanni aprirono gli occhi sbigottiti, si trovarono davanti Gesù, ma, ora, nel suo dolce aspetto di Figlio dell’uomo. Ecco, o Cristiani, il meraviglioso fatto della trasfigurazione. Ma dove, ma come avvenne? Dove avvenne? sulla cima silenziosa d’un monte. In montem excelsum. Come avvenne? mentre Gesù pregava dum oraret (Lc., IX, 29). Sono due circostanze che dobbiamo raccogliere, perché possono darci insegnamenti utilissimi per l’anima nostra. – IN MONTEM EXCELSUM. a) Nella storia della civiltà umana è evidente una forte aspirazione verso l’alto, e le cime dei monti ne segnano quasi le tappe più importanti. Quando, dopo 150 giorni, le acque del diluvio cominciarono a diminuire, l’arca si posò sul vertice dei monti dell’Armenia. Di là i superstiti all’ira divina discesero a rinnovare il mondo. Quando Iddio volle fare esperimento di Abramo (il più terribile esperimento imposto a cuore d’uomo) lo mandò sul monte: « Prendi, Abramo, l’unico figlio tuo diletto, e sali il monte ch’Io ti mostrerò, ed in vetta me l’offrirai in olocausto ». Quando il Signore volle rivelare il suo Nome agli uomini, apparve in una fiamma di fuoco, di mezzo a un roveto sul monte Horeb. Mosè pasceva le pecore del suo suocero, in quei pressi, lo vide e l’udì. Dalla cima del Sinai, Dio dettò la sua legge eterna: tutta la montagna ardeva come una fornace, ed un suono lungo di tromba annunciava la presenza del Signore. Ed è ancora sul monte che Gesù è salito, per proclamare la nuova legge a commento dell’antica. Sul monte avvenne la moltiplicazione dei pani, sul monte degli olivi avvenne l’agonia, sul monte Calvario la crocefissione. Sul monte l’ascensione al cielo, sul monte Vaticano il cuore della Chiesa. E i gradini dell’altare non simboleggiano forse le balze d’un mistico monte sulla cui vetta posa Gesù nel Saramento? b) L’aspirazione verso le altezze, propria dell’umanità intera, esiste ancora nel cuore di ogni singolo uomo. M. Olier, — narrano i suoi biografi, — spesso sentiva una voce interna mormorargli con soavità imperiosa: « In alto! in alto!». In alto, fin dove? fino a Dio, desiderio dei colli eterni. In alto, fino a trasportare la tua vita umana nella vita divina. E non sentite anche voi, Cristiani, la bramosia di lasciare la valle paludosa dei peccati e delle ingiustizie, per ascendere con Gesù sul monte eccelso? In montem excelsum! « Ma chi mai potrà — esclama Davide — scalare il monte del Signore? » e risponde: « Chi ha mondo il cuore e la mano ». Innocens manibus et mundo corde. Questa innocenza di mani, questa mondezza di cuore, non è altro che la Grazia, la quale abita in ciascun Cristiano che sia senza peccato mortale. Essa è come una fontana che precipita dal cielo in noi, e poi risale fino al cielo portando seco l’anima nostra. Fons aquæ salientis in vitam æternam. Essa è un innesto meraviglioso che trasforma da pianta selvatica e infruttuosa in pianta divina, capace di dar frutti di Paradiso. Essa è come la scala di Giacobbe: chi la possiede in cuore vi può far ascendere fino al trono di Dio tutti i propri pensieri e le proprie azioni. Immaginate due uomini che compiono la medesima azione: ad esempio un segno di croce, un’elemosina; ma l’uno è in grazia, e l’altro no. Davanti agli occhi del mondo nessuna differenza, ma non così davanti agli occhi di Dio. L’azione buona del primo è salita fino alla vita eterna, gli varrà un aumento di felicità in cielo; l’azione del secondo non ha avuto forza per il Paradiso e si è fermata quaggiù. Se tanti Cristiani sapessero la loro ricchezza e la loro grandezza, non rimarrebbero per mesi ed anni, senza rimorso, in disgrazia di Dio! Se tanti Cristiani sapessero la loro ricchezza e la loro grandezza, non così facilmente per un capriccio, per una passione, getterebbero via la Grazia del Signore! In alto il cuore, in alto le mani! trasfiguriamo per mezzo della Grazia i nostri affetti e le nostre azioni. – DUM ORARET. È l’evangelista S. Luca che ricorda come la trasfigurazione di Gesù avvenne proprio mentre pregava. La preghiera, dunque, ha virtù di trasfigurare. Quando Mosè discese dal monte, dopo aver parlato con Dio, dalla sua fronte raggiavano due fasci di luce. E quando la plebe giudea si slanciò furibonda contro il diacono Stefano, egli pregando, apparve ai loro occhi come un Angelo. E quando ancora, a Siracusa, volevano far oltraggio alla vergine Lucia, furono incapaci di smuoverla d’un passo neppure con l’aiuto di validi buoi; poiché ella pregava, il suo corpo era divenuto immobile. E non fu nella preghiera che sulla nuda roccia della Verna S. Francesco ricevette nelle palme delle mani e nelle piante dei piedi e nel costato le piaghe del Signore? E non fu nella preghiera che S. Filippo Neri, nella Pentecoste del 1544, nell’ombra delle catacombe romane, sentì il suo cuore dilatarsi d’amore così che due coste, non valendo più a contenerlo, s’incurvarono? Ora possiamo anche comprendere perché noi non ci trasfiguriamo mai: la nostra mente è sempre tenebrosa di pensieri cattivi e disonesti; il nostro cuore è sempre infangato da rancori, da invidie, da desideri ignobili; la nostra bocca è sempre contaminata da bestemmie, da imprecazioni, da discorsi inverecondi, da mormorazioni, da bugie; le nostre azioni non si staccano mai da terra come i rospi, mai un’elemosina, mai un aiuto disinteressato al prossimo, mai un buon esempio. Ma perché? Perché in noi manca la preghiera a trasfigurarci. Viveva in Damasco un discepolo del Signore, di nome Anania. « Anania! » gli disse il Signore comparendogli in visione, — « levati, e va: nella contrada soprannominata « La diritta » è arrivato un uomo di Tarso di nome Saulo, accecato. Cerca di lui: ecco egli già prega, bisogna donargli la vista ». Anania rispose: « Molti, o Signore, mi hanno parlato di codesto tuo uomo: è un rabbioso persecutore dei tuoi fedeli, e qui in Damasco ha potestà di cacciare in prigione tutti noi ». Ma il Signore replicò: « Non importa, levati e va: ecco già egli prega e da persecutore bisogna trasfigurarlo in Apostolo ». Ed Anania andò, entrò in una casa ove Saulo cieco e persecutore pregava: « Fratello Saulo, mi manda il Signore Gesù a dare la vista a’ tuoi occhi e lo Spirito Santo alla tua anima ». E in quell’istante da’ suoi occhi caddero come delle scaglie e vide; ricevette anche il Battesimo e divenne Apostolo (Atti, IX, 10-19). Oh se una buona volta il Signore vedesse anche noi pregare! pregare spesso, pregare bene! credete forse che gli mancherebbe un Anania da inviarci perché trasfiguri i nostri occhi ciechi davanti alle meraviglie del cielo, e trasfiguri la nostra anima schiava da troppo tempo del demonio? La virtù dell’Altissimo non è diminuita, è la nostra preghiera che è venuta meno. – La voce dell’Onnipotente, che testimoniava per il suo Figliuolo Incarnato, doveva essere tremenda se gli Apostoli, che non avevano avuto timore davanti ad Elia e Mosè, caddero bocconi sulla terra al solo udirla. « Questo è il Figlio d’ogni mia compiacenza: ascoltatelo! ». Ascoltatelo! questa parola passa di secolo in secolo, di generazione in generazione, e questa domenica risuona al nostro orecchio. Ascoltatelo! Che cosa ci dice, ora, il Figlio diletto di Dio? Non altro che queste due cose: « Lascia la valle del peccato salendo in alto nella mia Grazia; trasfigurati con la preghiera ». Ascoltiamolo, dunque! — IL PARADISO. Nella presente vita, anche noi dobbiamo fare quello che ha fatto Gesù con i suoi. Quando i dolori e le disgrazie ci soffocano, quando le tentazioni ci prostrano, e siamo storditi ed esasperati, prendiamo l’anima nostra, conduciamola in alto, facciamole guardare il Paradiso. Le pene si muteranno in gioia. « È tanto il bene che m’aspetto, che ogni pena mi è diletto! » esclamava il Poverello d’Assisi. S. Paolo ci assicura che anche Cristo s’è fatto forte a portar la croce col pensiero del Paradiso. Proposito sibi gaudio sustinuit crucem (Hebr., XII, 2). Così gli Angeli confortarono a morire il martire Timoteo, quando piagato e immerso nella calcina viva, spasimava nell’incendio senza fiamma: « Leva su il capo, — gli dicevano, — e poni mente al Cielo ». Così la gloriosa madre dei Maccabei, dopo il martirio di sei figlioli, confortava l’ultimo suo nato a lasciarsi dilaniare dal tiranno: « Figlio mio ti prego, guarda il cielo » Peto, nate, ut aspicias ad cœlum. (II Macc., VII, 28). Guardiamo anche noi al cielo quest’oggi, che è fatto per noi. Quando riabbasseremo gli occhi, ci sembrerà brutta la terra e sopportabili le penitenze di quaggiù. – 1. CHE COS’È IL PARADISO. S. Agostino aveva deciso di scrivere a S. Gerolamo per domandargli un parere sulla beatitudine del Paradiso. Ma prima che arrivasse la lettera, S. Gerolamo morì. Gli apparve in sogno a dirgli: « Agostino: puoi tu comprendere come si possa chiudere in un pugno tutta la superficie della terra? ». — « No. » — « Puoi tu capire almeno come si possa radunare in un vasetto tutta l’acqua dei mari e dei fiumi? » — « No. » — « E allora non puoi nemmeno capire come mai tanta beatitudine possa entrare nel cuor dell’uomo ». A Bernardetta Soubiroux, dopo aver visto il biancore della veste dell’Immacolata, tutto parve nero. Perfino il sole. Un mercante di stoffe le mostrava alcuni campioni di bianco, cominciando dai meno freschi e lucidi: « Più bianco, » diceva, più bianco ancora! molto più bianco! » Non ne trovò uno che, da lontano almeno, assomigliasse al bianco del vestito di Maria. S. Paolo stesso, dopo aver contemplato Iddio, non seppe balbettare che scarse parole: « Occhio non vide mai! orecchio non udì mai! lingua non disse mai! ». Certo non noi, poveri peccatori, sapremo comprendere di più di questi Santi. Tuttavia, sforziamoci di levare la nostra mente a quel bagliore. Immaginiamo una città, quale la vide S. Giovanni, splendida, d’oro le mura, di gemme le vie; e se tre vi sono, son pietre preziose. Una città senza peccato: niente di inquinato vi può entrare. Come è bello dove non c’è il peccato! nessun disordine mai, mai un furto, mai una bugia, non una calunnia, non una mormorazione; ivi tutti si amano come e più che fratelli. Tutti sono d’un sol cuore, una sola anima, uniti a Dio e uniti tra loro. Per entrare in così bella compagnia, dite, non mette conto di staccarci ora da un compagno cattivo, ritirarsi un poco in solitudine, rinunciare a qualche conversazione pericolosa? Non solo il Paradiso è senza peccato, ma anche è senza le conseguenze del peccato: non malattie; non dolori, non lavori, non la morte, non i rimorsi. « Non ci sarà più la notte, né occorrerà più la lucerna a far luce e neppure il sole: Dio con la sua gioia illuminerà i beati che lo vedranno a faccia a faccia » (Apoc., XXII, 5). Dio asciugherà per sempre gli occhi degli eletti da ogni lacrima: non ci sarà più la morte, più le grida, più il lutto, più il dolore: tutto sarà distrutto e tutto fatto a nuovo ». (Apoc.,, XXI, 4). Il Paradiso è dunque una città senza peccato, e senza le conseguenze del peccato. Ma non basta: là si possiede Dio e Dio ci possiede. Sapete voi che vuol dire possedere Iddio? vuol dire possedere tutti i beni. Mosè aveva detto al Signore: « Mostrami la tua gloria! » E il Signore gli rispose: « Ti mostrerò ogni bene » (Es. XXXIII, 18-19). Avremo tutto, e ricchezze immarcescibili, e onori veraci, e piaceri eterni, e vita senza fine. Non desidereremo più nulla: che se qualcosa d’altro potessimo desiderare  subito ci verrebbe concesso. S. Francesco, il Poverello d’Assisi, crucciato da uno spasimoso dolore di occhi, non poteva dormire; e nella notte, a gran voce, chiedeva un po’ di pazienza. E Dio gli mandò un Angelo con una cetra. Ma come toccò la prima corda col plettro, fu tanta la dolcezza che invase il cuore del Poverello, che supplicò di non suonare più, ché altrimenti sarebbe morto di gioia. S. Pietro vide appena un raggio della luce del Paradiso, nella trasfigurazione e subito dimenticò di mangiare, di bere e ogni cosa pur di rimanere là sempre e contemplare. Questa musica e questa luce noi potremo gustarle eternamente. – 2. COME S’ACQUISTA. La fama di Tommaso d’Aquino varcava le Alpi e in tutta Europa si parlava di lui e de’ suoi libri. Alla sua scuola accorrevano le migliori intelligenze del tempo; mai nessuno aveva parlato come lui, mai nessuno aveva scrutato la scienza di Dio con tale acume di penetrazione. La sorella del Santo, avendo capito la prodigiosa intelligenza del fratello, gli scrisse domandandogli per amore come si possa conquistare il Paradiso. E Tommaso le rispose queste semplici parole: « Con la buona volontà » Davvero. Con la buona volontà nel pregare: Domandatelo e vi sarà dato; cercatelo e l’avrete; picchiate alla sua porta e vi apriranno. Con la buona volontà nel disprezzare le vanità terrene. « Oh come mi sembra brutta la terra, quando penso al cielo! » esclamava frequentemente S. Ignazio. Quando S. Cecilia fu tratta al martirio, il tiranno e il carnefice così la lusingavano :« Cecilia, guarda la tua giovinezza, com’è in fiore! Guarda la beltà de’ tuoi occhi e delle tue chiome! Pensa come andresti felice sposa a un nobile patrizio… Pensa, e risparmiati ». Ma la fanciulla rispose: « Io perdo il fango e trovo l’oro; io cedo un tugurio breve e miserabile e ricevo una reggia immensa come il cielo; io vendo la mia chioma caduca e vana e mi sarà data una capigliatura di raggi di luna e una corona di stelle ». Tugurio miserabile è la terra, fango il nostro corpo, vanità la bellezza e il danaro; una cosa è preziosa grande e bella, una sola: il Paradiso. Con la buona volontà nel superare i pericoli e le fatiche. Alarico, re barbaro, calava in Italia con le sue orde. Quando un monte gli sbarrava la via, e i suoi soldati stanchi si buttavano a terra disperatamente: « Avanti — gridava, — entreremo in Roma ». Quando una fiumana travolgente gli tagliava la corsa rovinosa, e le compagnie indietreggiavano illividite: « Avanti! — gridava, — entreremo in Roma » Quando ancora qualche scompigliata legione romana cercava di trattenerlo, e il suo esercito sfinito ricusava battaglia: « Avanti! — gridava, — entreremo in Roma ». Pensate, Cristiani, che non alla conquista d’una città viziosa e decaduta andiamo noi, ma alla conquista d’una città eterna e divina. Quale difficoltà, quale pericolo, quale tentazione, ci può arrestare? Avanti! entreremo in Paradiso. – Una turba livida di furore, col cuore secco e coi denti stretti, spingeva fuori la cerchia delle mura di Gerusalemme un giovane. Quando furono al luogo dell’esecuzione, tutti afferrarono le pietre e furiosamente le gettavano contro di lui. Egli s’era inginocchiato e guardava in alto: vedeva i cieli aperti, e Dio in gloria e Gesù Cristo sua destra, e tutti gli Angeli e i Santi in giro. I sassi grandinavano intorno e su lui: forse non li sentiva. « Signore, — disse — prendi il mio spirito, e perdona », poi chiuse gli occhi e spirò. Quando le disgrazie, le malattie, le tentazioni, i pericoli dell’anima e del corpo cadranno intorno a noi, come i sassi della lapidazione di Stefano, leviamo gli occhi al Paradiso; vediamo ivi la gloria di Dio e di Gesù Cristo, la gloria di Maria e dei Santi, vediamo il nostro posto ch’è già preparato. « Tanto è il bene che m’aspetto, ch’ogni pena m’è diletto ».

IL CREDO

Offertorium

Orémus Ps CXVIII: 47; CXVIII: 48

Meditábor in mandátis tuis, quæ diléxi valde: et levábo manus meas ad mandáta tua, quæ diléxi.

[Mediterò i tuoi precetti che ho amato tanto: e metterò mano ai tuoi comandamenti, che ho amato.]

Secreta

Sacrifíciis præséntibus, Dómine, quæsumus, inténde placátus: ut et devotióni nostræ profíciant et salúti.

[Guarda, o Signore, con occhio placato, al presente sacrificio, affinché giovi alla nostra devozione e salute.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigenito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]


Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus:

Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps V: 2-4 – Intéllege clamórem meum: inténde voci oratiónis meæ, Rex meus et Deus meus: quóniam ad te orábo, Dómine.

[Ascolta il mio grido: porgi l’orecchio alla voce della mia orazione, o mio Re e mio Dio: poiché a Te rivolgo la mia preghiera, o Signore.]

Postcommunio

Orémus.

Súpplices te rogámus, omnípotens Deus: ut quos tuis réficis sacraméntis, tibi etiam plácitis móribus dignánter deservíre concédas.

[Súpplici Ti preghiamo, o Dio onnipotente: affinché, a quelli che Tu ristori coi tuoi sacramenti, conceda anche di servirti con una condotta a Te gradita.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.