QUARESIMALE (VII)

QUARESIMALE (VII)

DI FULVIO FONTANA
Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711)


PREDICA SETTIMA
Nella Feria quarta della Domenica prima.

L’Avarizia è vizio veramente traditore perché nascosto, perché difficilmente si allontana; si fa capo di tutti i vizi, e seco porta danni temporali, rovine eterne.


Tunc vadit assumit septem spiritus nequiores se, et intrantes habitant ibi.

S. Matt. cap. XII

Assuero quel gran re dell’Asia, che stese il suo comando sopra ventisette Provincie, non per altro innalzò a’ regi onori Mardocheo, se non per averli scoperti due domestici traditori. Una gran remunerazione potrò io aspettar da voi miei R. A. mentre voglio questa mattina scoprirvi il maggior traditore che abbia una gran parte di voi, il quale, nel portarvi la rovina della famiglia, la perdita dell’anima, non vuol esser solo; ma fattosi guida di non pochi traditori, v’insidia, vi rovina, v’uccide. Orsú, ove si tratta di scoprir traditori non v’ha bisogno di lunghezze. Eccovelo: questo traditore è l’Avarizia, ed è quello spirito così vostro nemico, che non contento delle sue frodi assumit septem alios per maggiormente rovinarvi: datemi dunque mente, già che voglio mostrarvi questo spirito veramente traditore, perché nascosto, perché difficilmente si slontana, perché è guida di tutti i vizi, perché porta rovine temporali, rovine eterne. – Disse pur bene l’Apostolo San Paolo, allorché chiamò l’avarizia radice di tutti i mali, già che l’avarizia si veste a guisa della radice delle di lei proprietà; come radice sta nascosta; come radice è difficile a svellersi, come radice è feconda di tutti i mali. Cominciamo dal primo: negate, se potete, che l’interesse a guisa di radice non stia nascosto nel fondo del cuore. Girate un poco per le piazze, per le botteghe, per i tribunali; entrate per le case private, e che sentirete? Altro non udirete, se non voci di chi si querela assassinato nella lite, gabbato ne’ traffici, ingannato ne’ contratti, defraudato nelle mercedi; e dall’altra banda non troverete, quasi dissi, uno il quale si persuada d’ingannare, di far torto, di defraudare; niuno si trova che si conti nel numero degl’ingiusti, de’ ladri, deʼ rapaci. Come va dunque questo affare! Tutto  il mondo si lamenta delle ingiustizie, ed appena si trova chi si accusi d’essere ingiusto. Ecco l’origine: non per altro, se non perché gli uomini talmente occupati nella brama dell’avere, e nella solitudine di non perdere i beni di questa terra, né pur riflettano à ciò ch’è chiaro come il sole. Interviene a loro, ciò che intervenne in quella gran giornata, che si fece tra’ Romani e Cartaginesi al Trasimeno. Racconta Plinio, che quando dall’una e l’altra banda fieramente si combatteva, e con reciproca strage, si scosse terribilmente la terra per uno spaventosissimo terremoto; eppure niuno de’ combattenti se ne accorse. Sapete voi perché? Non per altro se non perché quella avidità di togliere all’inimico la vita, quel timore di non perder la propria, le strida di chi moriva, i plausi di chi vinceva; in una parola, la confusione di quel gran conflitto talmente occupava i sentimenti, e gli affetti di ciascheduno che non si pensava più ad altro. Questo appunto è quel che succede nel mondo con gli interessati con gli avari. L’interesse, l’avarizia eccitano, fanno un rumore sì grande nel cuore di costoro; li sconvolgono talmente le passioni o per l’avidità di non perdere o per la brama smoderata di guadagnare, che più non odono i rimorsi della coscienza, benché fierissimi; più non sentono i consigli della ragione, le minacce della fede; a tal segno, dice lo Spirito Santo, che l’interessato è persuaso d’essere un uomo prudente e savio, Sapiens sibi videtur vir dives. Un uomo interessato, un uomo che si lascia legare dall’amor soverchio alla roba, stima d’essere il Savio de’ savi, e però sprezza le voci de’ predicatori, i consigli de’ confessori, lascia latrar la coscienza, alla quale non dà retta, quantunque gli porga una cagione sì giusta di temere de suoi traffici, de’ suoi contratti, dei suoi maneggi. sapiens sibi videtur dir dives, per lui tutto è giusto, tutto è ben fatto. Sentite a questo proposito uno de’ più celebri miracoli di quel gran Santo Patriarca Francesco di Paola. Stando un dì alla presenza di Luigi XI Re di Francia, prese alcune monete riscosse dal popolo, per tributo, e trettele, ne fece uscire vivo sangue, a solo fine d’insegnare al re quanto facilmente si mescoli l’ingiustizia nell’imporsi a’ Popoli gli aggravi da principio almeno nel riscuorersi da ministri. Ah, che per verità, se ai dì nostri vi fosse un simile operator di prodigi, vorrei scender frettoloso da questo luogo e prostrato a’ suoi piedi, tanto vorrei pregarlo, finché accondiscendesse a rinnovare uno stupendo miracolo, e seco accompagnato umilmente lo vorrei condurre per le fiere, per le botteghe, per le case de’ ricchi. O la’ presto direi, portate qua tutte le vostre monete, v’ingannate, se  le credete tutte di buon acquisto. Spremete, o Santo Patriarca, le monete di quel mercante: sangue, sangue. Stringete l’oro, che tiene in cassa quel nobile: sangue, sangue! Ah, che se voi con la vostra mano prodigiosa toccherete l’anello, che porta in dito quella femmina, le gioie di quella dama, gli abiti pomposi, le suppellettili preziose riempite le stanze, le sale, le casse, i palazzi di sangue de’ poverelli nelle mercedi ritenute, nelle usure praticate: tutta roba usurpata nel tener corte le misure, scarsi i pesi; nelle frodi, negl’inganni: sangue, sangue; e pure se parlate con costoro, vi diranno che sono innocenti e perché? Perché questo vizio dell’avarizia, a guisa della radice sepolta sotto la terra, sta nascosto nel cuor dell’interessato … – Né vi crediate, cari miei UU., che questo vizio tanto occulto sia meno difficile a sradicarsi, benché scoperto, appunto non sarebbe radice, se fosse facile a svellersi. Radix omnium malorum avaritia, grida, l’Apostolo, sapete perché? Perché tale appunto la ravvisò in quell’albero misterioso in cui riconosceva i vizi del mondo, tutto, ben vedeva egli pendere dai rami di quel grand’albero irriverenze nelle Chiese, spergiuri nelle bettole, bestemmie per le piazze, disonestà nelle case; ma la radice di questo grande albero qual era? l’avarizia. Or ditemi: qual è la differenza che passerà tra lo sradicare una profonda radice, e rompere un ramo d’un albero? Se vorrete rompere un ramo, benché grosso, d’un albero, stentate qualche poco, ma pure con qualche sforzo, e poco aiuto vi riuscirà: ma se vorrete svellere la radice, non basteranno le vostre forze, non quelle de compagni, bisognerà adoprare e ferro e fuoco. È difficile che quella lingua si moderi nelle mormorazioni, nelle bestemmie, non farà facile che colui lasci colei: bisognerà tentare, perché si faccia quella pace; ma pure coll’ajuto d’orazioni e santi religiosi si avrà l’intento, perché son rami d’un albero. Ma l’avarizia, che è radice, farà difficilissimo, dissi male; sarà impossibile; che dite, Padre? disditevi; non sta a martello il vostro discorso: vi sta, se mi udirete. Dico impossibile, perché gli avari, gl’interessati per ordinario non vogliono aiuto: tengono lontane quelle mani, che bramano svellerli l’avarizia dal cuore; non è vero? Udite le sacre carte ci raccontano come i due Faraoni re d’Egitto furono e ripresi e castigati: l’uno perché disoneto, perché interessato l’altro. Il primo fu quello che rapì Sara moglie d’Abramo, per averla a’ suoi piaceri. Il secondo Faraone fu quello che aggravò più d’ogn’altro il Popolo Ebreo, per tenerlo schiavo. Ah maledetto interesse, quanto difficilmente ti fiacchi. Il primo Faraone, al primo tocco del flagello di Dio, non solo si arrese, ma restituì ad Abramo la consorte, e pentito ne fece scusa. Il fecondo Faraone, perché si trattava d’interesse, non solo non si mosse al primo flagello di Dio, ma s’indurò sempre più sotto le percosse, e non desisté, fin che non restò sommerso nell’onde marine. Quello vuol dire combatter con l’interesse. Nel primo Faraone si aveva da combatter con l’amor del piacere, e non fu difficile; ma nel fecondo Faraone, che si aveva da combattere con l’interesse, non bastarono né i prodigi, né le stragi. Non accadde altro, è difficilissimo svellere quella radice dal cuore degli uomini. È talmente difficile a svellersi, che avendo un uomo levato certi danari ad un altro, sentendo dal confessore che conveniva restituirli, non si sapeva metter le mani in tasca per prenderli, convenne che il confessore glieli prendesse lui stesso. Mette radici sì alte e difficili a sbarbarsi, che neppure al capezzale moribondi, sanno indursi. Ciò è avvenuto a me nell’assistere ad una dama. Che dissi moribondi? Né pur talora morti vogliono seco il mal tolto. Sia la verità del seguente caso, presso l’Autore. – Jacopo da Utriaco racconta, come un certo avarone, simile forse a qualcheduno di quei che qui m’ascoltano, non faceva mai limosina del suo, ma si era ingrassato con la roba altrui. Venne costui a morte, e non poté dal confessore essere indotto a fare la dovuta restituzione. Ma invece di questa, chiamata a sé la moglie e i figli, fece testamento, dividendo i suoi danari in tre parti, alla moglie, ai figli, la terza a se stesso: e questa ultima parte fece porre in un sacco, costringendo la moglie ed i figli a promettere di sotterrare seco nel Sepolcro i danari. Morto dunque, e sotterrato con quel sacco di danari, una servetta di casa consapevole del fatto, chiamato a sé un certo giovane che ella bramava in sposo, gli promise, quando però egli l’avesse presa per moglie, che gli avrebbe manifestato un segreto, per cui sarebbe senza fatica, e senza dilazione di tempo, divenuto grandemente ricco e promettendo di far tutto il giovane, ella gli scoprì il fatto del sacco de’ denari sepolto col morto. Ma ecco, che essendo andato alla sepoltura una notte, ed apertala, vide con orribile spavento molti demoni, i quali liquefacendo quei danari entro una padella di fuoco, poscia così liquefatti gli gettavano giù per la gola di quell’avaro, gridando con voci d’inferno… già che foste tanto interessato, ed avesti tanta sete d’oro e d’argento: saziati, saziati! Vide il giovane, e veduto, più morto che vivo, se ne fuggì, narrandone nel dì seguente il fatto. – E se l’avarizia, miei UU., come radice è difficilissimo svellerla, come radice altresì sarà madre maledetta, da cui pullulerant quanti son peccati nel mondo. Non me lo credete? Meco scorrete quanti sono i comandamenti di Dio, e troverete, così non fosse, tutti, ma tutti violarsi per questo maledetto peccato dell’avarizia. Attenti! Idolatra l’avaro, perché in luogo di Dio adora l’oro, le ricchezze, la roba. L’avaro non santifica le feste, perché intento agl’interessi di lucro, tralascia la Messa nei dì festivi, e si pone a lavorare come le fosse giorno feriale. Comanda Iddio che si onori e padre, e madre; ecco che il figlio di cuore avaro, non solo non onora, ma positivamente strapazza e padre e madre, perché accorati se ne muoiano, e a lui resti il maneggio. Vuole Iddio, che non si pigli la robba d’altri, e l’avaro è solo
intento a spogliarne il prossimo. Ah vizio, vizio pessimo dell’avarizia! Che come vera radice d’ogni vizio sei madre d’ogni iniquità. Non fornicare è strettissimo comando: Dio immortale! O come facilmente si trasgredisce questo precetto per l’avarizia! Quante fanciulle vendono il bel fiore della verginità? quante maritate tirate dall’avarizia contaminano il letto coniugale? Quante vedove macchiano il loro decoro. È precetto Divino: non pigliare il nome di Dio invano; e pure molti vogliono afferire i loro detti con giuramenti, e autenticarli con gli spergiuri; basta che vi sia la sola speranza del danaro, che subito si rende facile ad inghiottire la pillola dello spergiuro, perché coperta con foglia d’oro o d’argento, anche ne’ Tribunali a lla rovina del prossimo. Si sì, radix omnium malorum cupiditas; come radice produce ogni male. Sta col dito di Dio registrato: avverti non ammazzare; chi pone il ferro in mano di quell’omicida se non l’avarizia? Pochi impugnano le armi contro l’inimico che non abbiano per guida l’avarizia: radix omnium malorum cupiditas; l’avarizia, come radice, produce tutti i mali; e l’avaro, non solo è trasgressore d’un precetto di quanti ne prescrive l’Altissimo. Ne volete di peggio? Passa ancora l’avarizia alla mala educazione de’ figli. Attenti. S’accorge quella Madre, di quanto pericolo sono alla sua figlia quelle veglie, e quei festini, ne’ quali per lo più a lume di torcia e preparano i funerali alla pudicizia o già morta, o pur moribonda. Ma che? per quella maledetta speranza di maritarla con poco condiscende che ella si trovi ad ogni ricreazione con i favoriti. Quel padre di cuore tutto avaro per attendere con ansietà ai negozi, abbandona la cura della famiglia e lascia la briglia sul collo a’ figli e sebbene potrebbe con dar moglie a più d’uno, sanar la piaga della disonestà, che sa marcia, non se ne cura; e si dice, che l’utile di casa non comporta tante famiglie, e se la figlia sposata per avarizia, a persona che ella non voleva, ma facoltosa, si dannerà, tal sia di loro. E mi si replica, che la roba toglie l’orrore a quanti peccati possono derivare da un matrimonio fatto per forza: basta che per sensale d’esso si presenti l’avarizia, ed ogni Matrimonio è Beato. Né qui pur finisce il male d’un padre avaro si spinge da lui talora per forza agli Ordini Sacri, chi nemmeno è buono per servir la Messa, non che per dirla e si procurano le Chiese, e le cure per chi è più atto a divorar la gregge, che a pascerla. Ah maledetta avarizia; chi potrà mai raccogliere il numero de’ pestiferi frutti, che tu come radice, produci? Basta il dire, che fai voltar le spalle a Dio. – Nel sacro libro de’ Giudici si racconta, come v’era un cert’uomo nobile detto Mica, il quale avendo fabbricato in una villa un picciolo tempio, bello, devoto, decente; v’aveva posto per Sacerdote un Levita ebreo, e trattandolo da Figliuolo, quasi unum de Filiis, gli aveva assegnato appartamento ornato, vestimenti doppj, stipendio grosso, alimenti quotidiani; e forse perché egli avesse danaro da spendere, dice il sacro testo, che impleverat illi manum . Immaginatevi pare, che a tante finezze di Mica, corrispondeva con amor vero il Sacerdote. Avvenne un giorno che entrati alcuni soldati della tribù di Dan nel tempio, pretesero di svaligiarlo. Allora il Sacerdote tanto favorito da Mica, senza temere né gli insulti, né le spade, si pose a difendere i sacri arredi, Quid facitis? Quid facitis? Certo non può negarsi, che si portò come doveva. Ma piano, i soldati nel veder tanta resistenza, gli dissero: eh sta cheto; pensa lo stato tuo. Tu di piovano pezzente, e di pretazzuolo meschino, se farai a nostro modo, diverrai amministratore di cura molto maggiore, Tace, venique nobiscum, ut babeamus te Patrem, Sacerdotem. Quando il buon uomo senti lucro maggiore, chiuse gli occhi a’ benefizi di Mica, il primo di tutti cominciò a saccheggiar di propria mano l’altare, a spogliar le mura, vuotar le credenze, e a gran passi ne volò via con i soldati. Dite pure, se potete, che l’avarizia non sia madre feconda di tutti i mali; ed esclamate con Valeriano: Nihil est malum, quod cupiditas, aut non concipiat, aut non nutriat, aut non parturiat. Ma se l’interesse produce tutti i vizi, converrà che Iddio punisca l’interessato con tutti i castighi temporali ed eterni. Certo che sì, udite e sentite le rovine che porta in questo mondo l’avarizia, l’interesse vizioso. Chiama un giorno il Signore Zaccaria e gli dice: Zaccaria, Zaccaria, vedi tu nulla per aria? Zaccaria alzati gli occhi verso il cielo, guarda e risponde: sì mio Dio, se non erro, video volumen volans, un libro che va svolazzando per l’aria. Ma mi sapresti tu dire, replica Iddio, ciò che vi stia scritto? Signore, confesso il vero, che bene non discerno; pure mi pare di leggervi una spaventosa minaccia; così è, dice Iddio: l’hai indovinata; ecco le parole che vi stanno registrate: hæc est maledictio, quæ egredietur super faciem terræ. Ella è una maledizione che ha da piombare sopra la terra, e dove mai andrà a cadere un fulmine sì spietato? Povera casa! Io ti vedo in terra, ti vedo rovinata fino da’ fondamenti, se sopra di te viene questa gran maledizione. Ecco che piomba e dove s’invia? Oh Dio! … ad domum furis, ch’è quanto dire: allo sterminio di chi tiene roba non sua; ad domum furis, a chi non paga legati pii, a chi non soddisfa le religiose de’ livelli; ad domum furis, a chi ritiene mercedi, chi non paga i suoi debiti potendo, e fa che peni il suo creditore. Si, sì, tenete pur corte le misure o mercanti, tenete pur scarsi i pesi, bagnate le seti, perché crescano di peso; tenete il grano all’umido, perché ingrossi, le tende alle botteghe, perché non si vedano le magagne delle mercanzie; seguitate pure a fare, che l’industria ne’ vostri traffici in altro non consista, che in tramar frodi, e pigliare usure; ma aspettatevi poi la maledizione divina, la quale vi stermini; vi verranno malattie, che per mesi ed anni vi terranno attratti; i fiumi ingrossati inonderanno le vostre campagne; perderete de liti; i fulmini atterreranno le vostre case; uccideranno i vostri armenti; E quello che è peggio, questa maledizione non verrà come di passaggio, ma commorabitur in medio domus ejus, si fermerà, si stabilirà nel mezzo della casa di chi ha roba altrui. – Avvertite, che Dio si protesta, che queste disgrazie s’hanno da stabilire nella vostra casa. Poveri Figli, che siete figli di padri interessati, che hanno acquistato malamente; sarete sempre infelici; non avrà pace la vostra casa. E se voi non me lo credete, ve lo confermi il fatto di Cristo in S. Luca, quando Zaccheo ravvedutosi, disse a Cristo: si quid aliquem defraudavi, reddo quadruplum; ed il Signore, che rispose? Hodie huic domui salus a Deo facta est. Ma voi mi direte: e che risposta è questa? Pareva, che dovesse dire huic homini, perché Zaccheo era stato l’operator de’ furti, delle frodi; e perciò era pronto a rifare danni; onde tutta sua doveva esser la salute. Sì, ma il Signore l’intese meglio, e però disse: huic domui, perché vedeva apertamente che se Zaccheo non restituiva, non farebbe stato solo a patire, ma con esso lui la casa, i discendenti. Su dunque, quando non vogliate rovinati i Figli, né pur la vostra casa. Voltate le spalle all’avarizia: restituite l’altrui, e contentatevi di restar con meno, per non rimaner privo del tutto; poiché chi non rende l’altrui, perde con l’altrui anche il proprio: tanto vi fa intendere Iddio nelle sacre carte per Giobbe Divitias, quas devoraverit, evomet, et de ventre illius extrahet illas Deus. Io , dice Iddio, con le mie proprie mani e non con quelle d’un Angelo, voglio aprirgli il ventre, e fargli vomitar fuori quanto possiede e d’altri proprio, giusta la proprietà del vomito, che necessita a rendere col cattivo, anche il buono. Pazzo dunque chi non restituisce, chi non paga, chi non si sgrava delle altrui sostanze, perché perderà non solo quello, che non è suo, ma anche il proprio. Se l’avarizia è radice di tutti i mali, deve esser castigata con tutti i castighi temporali ed eterni; già i temporali ve li ho espressi: veniamo ora agli eterni. Ecco, che ve li minaccia Paolo Apostolo, neque fures, neque raptores, neque avari Regnum Dei possidebunt. Siete esclusi dal Paradiso, o voi, che prendete, che ritenete la roba altrui; né v’è altro modo per salvarvi, che restituire, e presto. E se vi esclude dal Paradiso l’Apostolo, vi condanna all’inferno lo stesso Dio nelle sacre carte, allorché con quel veæ tremendo, che secondo gli espositori, connota l’Inferno, più volte ve lo minaccia, Veæ, qui prædaris; veæ, qui congregat non sua, guai a te che rubbi, che ritieni roba d’altri, che defatighi a torto nella lice il tuo prossimo, che scemi agli operarj la dovuta mercede e in vece di danaro, dar loro il fracidume della bottega a prezzo il più rigoroso, a cui si dia la mercanzia più perfetta: Veæ, qui prædaris, guai a te, che non paghi legati pii, che non soddisfi alle Messe. Veæ, qui congregat non sua; chi è quello che raduna della robba non sua? quello che non fa limosina, perché quella robba è del povero: Veæ, Veæ, Veæ, e tutti questi veæ non dicono altro, che Inferno, Inferno, Inferno. O Avari, pazzi, che siete, mentre per poco danaro vi comprate l’Inferno, e perdete il Paradiso, mentre più stimate i beni da lasciarsi agli eredi, che l’anima vostra: mentre che con la roba altrui vi stabilite per fondo l’inferno per ritrarne in frutto perpetuo la dannazione. Udite successo spaventoso. Racconta Sant’Antonino Arcivescovo di Firenze nella sua Somma il seguente caso. Si trovava vicino a morte uno di questi ingrassati con la roba altrui, e quantunque esortato da’ Sacerdoti à restituire, mai si volse indurre. I figli desiderosi della salute del padre, si adoperarono anch’essi, ma senza frutto; giacché loro rispose l’iniquo padre: figli, se restituisco e campo, non ho con che vivere; se restituisco e muoio, non avete con che viver voi. A noi, ripresero i figli, non pensate signor padre; siamo contenti d’esser poveri, pur che voi salviate l’anima. Allora il padre mirandoli con occhio torbido, disse loro: tacete ché non avete cervello, e non sapete ancora esser più pietoso Iddio degli uomini. Se io son peccatore, posso sperar da Dio misericordia; ma se voi farete mendici, non avrete compassione dagli uomini, e così persuaso se ne morì. Quanta fosse l’impressione fatta nell’animo de’ figli per questo accidente, immaginatevelo voi. Uno tutto volle restituire, l’altro tutto volle ritenere: Quello che restituì si fece religioso di San Francesco, l’altro finì miseramente la vita. Or, mentre il religioso se ne stava una notte in alta contemplazione, gli si aprì sotto degli occhi una gran voragine e vide tra quei tormenti di fuoco e di fiamme, tra una gran folla di dannati e padre, e fratello, i quali afferrati insieme à guisa di due mastini arrabbiati, svellendosi i capelli, sgraffiandosi il viso reciprocamente. Per te maledetto figlio, diceva il padre, tanto patisco; ed io per te, replicava il figlio: meglio era che io generassi un serpe, diceva il padre; meglio era, diceva il figlio, che io fossi generato da un’orso. Tu mi bruci, o figlio; tu mi bruci, o padre. Questo è il fine di coloro che si procacciano la roba del prossimo, e son macchiati di avarizia. Fuggite o Cristiani il vizio dell’avarizia; se avete robba altrui, restituite subito; fe non vi è certo il padrone, dispensatela a’ poveri di Cristo, ma non tardate, perché quanto più tardate, tanto più l’interesse si radicherà nel vostro cuore; modum non habet avaritia, dice Sant’Ambrogio, nec capiendo impletur, sed incitatur; l’avidità dell’oro è una catena d’oro che non finisce mai, ed è à guisa della fiamma, che quanto più vi si aggiunge di legna più s’accende, e si rende inestinguibile, inflammatur auro avaritia, non extinguitur. Lasciate dunque questa maledetta avarizia, che vi porta tanta rovina; e se voi non la lasciate, quantunque si promulghino indulgenze, vengano Giubilei, tornino gli Anni Santi, nulla vi giova. Bisogna restituire, se volete godere questi tesori: o restituire, o dannarsi. Altro non vi è che possa scusarvi dal non restituire, che l’impotenza del non avere. Ma avvertite bene, che sia impotenza e che più tosto non sia un non volere, perché in tal caso, ancorché vi confessiate, il Sangue di Cristo, invece di lavarvi, vi avvelena, si res propter quam peccatum est, reddi po test, et non reddatur, pœnitentia, dice
Sant’Agostino non agitur, sed simulatur.
Pensate a’ casi vostri …
LIMOSINA.

Felici gli uomini se non fossero avari; hanno questi nell’oro, come osservò Aristotile, un instromento generale equivalente ad ogni altro bene commutabile; ond’è, che con loro si può aver tutto; il danaro è quello che metitur omnia. Aristotele, quando asserì questa verità, che chi ha danaro ha tutto, parlò de’ beni di questo mondo; ed io passo più avanti, e dico che l’oro ha la stessa potenza anco in cielo. Distribuite limosine à proporzione delle vostre facoltà, e fiate sicuri che col danaro dato a poveri, comprerete il Paradiso: e sarà un restituire a Dio , ciò che è di Dio.

PARTE SECONDA

Due sorti d’avarizia distingue S. Tommaso, ambedue gravemente peccaminosa, l’una contro la liberalità, l’altra contro l’avarizia. Or io sento taluno che mi dice: come si potrà conoscere se io nel mio cuore nutrisco quell’avarizia peccaminosa contro la liberalità, oppure ho quella cura che mi si deve, come capo di casa. Sant’Agostino v’insegna il modo; babes et concupiscis; plenus es, et sitis morbus est. Ditemi, come si distingue la sete naturale d’un uomo sano, da quella d’un idropico? Ecco: la sete naturale con una buona bevanda si appaga, la sete dell’Idropico con una buona bevanda si accresce. Se voi vedete che vi contentate di vivere nel vostro stato, sevi soddisfate d’una moderata raccolta, la sete vostra è d’uomo sano perché si sazia; ma se poi mai non state contento della sorte vostra, sempre più vorreste avere; se quando avete pieni i granai, bramate carestia per vendere bene il frumento; se trattate co’ poveri a tutto rigore, senza vedervi mai pieno del loro sangue; se non fate limosine, cercate pure un buon medico che vi curi, perché state male assai assai: la vostra sete è sete d’idropico, e questa sete, siccome nella infermità del corpo, così in quella dell’anima non si estingue, se non con sminuire la bevanda, che vuol dire con la limosina … Come potrò altresì conoscere se pecco d’avarizia contraria alla giustizia? Ecco il modo: hai tolto la roba al tuo prossimo? fai d’avere niente d’altri, o preso da te, o lasciatoti da tuoi maggiori. Restituisci! Ma tu subito a questa parola: “restituisci” principii a storcerti, a scusarti, con dire: io non restituisco non perché sia interessato, ma per non decadere dal mio stato. Oh quanto la discorri male! Tu non restituisci, non perché non vuoi decadere dal tuo stato, ma perché la vuoi fare da più di quel, che sei. Il figlio d’un contadino la vuol fare da bottegaro, da mercante il rivendugliolo, il mercante da nobile, il nobile da cavaliere, la figlia di quell’ignobile da gentildonna, da dama, con pompe, con sfoggi altrettanto dispendiosi alla borsa, quanto dannosi all’anima per l’immodestia. State nel vostro stato, così avrete comodo di restituire. – Altri dicono che gli impegni ne’ quali al presente si trovano, non permettono loro restituire, perché bisogna mantengano quello stato in cui Dio li ha fatti nascere; ma che però ne lasceranno strettissimo l’obbligo agli eredi. Gli eredi, replico io, credete voi che abbino da restituire ciò che voi avete tolto e fraudato per arricchirli? V’ingannate! Sappiate che stenteranno e suderanno a pagare quel semplice legato pio, e si eleggeranno piuttosto ad avere scomuniche addosso che soddisfarlo. Stenteranno a farvi celebrare quelle poche Messe nel giorno del mortorio più per apparenza pomposa che per stimolo di coscienza, e per amore verso l’anima vostra. O pensate voi, se vorranno restituire le grosse somme, non lo faranno, e vi lasceranno penare gli anni e anni nel Purgatorio, se pur non sarete sepolti nell’inferno, come è più probabile; mentre, ora che siete vivi, potete restituire, e non restituite, così dice l’Angelico, il quale afferisce che quilibet tenetur statim restituere si potest, vel petere dilationem, e devi restituir presto, se puoi; o devi dimandare dilazione; altrimenti sei in stato di dannazione. – Un certo Conte aveva rapiti alla Chiesa di Metz alcuni campi, e morendo, li aveva lasciati a’ Figli; sicché di mano in mano l’iniquo acquisto era già passato al decimo erede. Quando da un sant’uomo fu veduta una lunga scala posar giù nell’inferno, per la quale di grado in grado scendevano colaggiù gli iniqui possessori, che, non ostante le intimazioni de’ Sacerdoti, non avevano mai voluto rendere il suo alla Chiesa. Ecco quello che partorì l’iniquo acquisto tutti gli eredi a casa del diavolo; fœnus pecunia, dice San Leone , funus est Animæ, o restituzione, o dannazione. Altri vi sono, che son risoluti di restituire; ma come il mare che, doppo avere assorbite le navi intere, appena ne rende alle spiagge pochi avanzi, e questi laceri; s’inducono a restituire parte del debito, per prendere tutta l’anima. – Padre, sento per ultimo chi mi dice: io non restituisco, perché non ho, e neppure posso obbligare i miei eredi, perché la mia casa sta troppo male; voi, che un potete restituire, potete andar a spasso? certo che sì: lavorate dunque, e restituite. Potete spendere per le bettole? Desistete e pagate. Signora, avete danari per fare quella maledetta usanza? lasciate tanti ornamenti, e restituite. Amico, dimmi, puoi mantenere così non fosse!… tu m’intendi; e via tacete, e liberamente dite che non restituite, perché non volete restituire. Non pensate già d’ingannare Cristo, con dire, non posso, come ingannare il confessore. – Sacri ministri della Penitenza, padri confessori, assolverete voi chi vi adduce una tale scusa? Avvertite bene, perché parlano così subornati dall’avarizia, dall’interesse, pochi son quelli, che in realtà non possano; e se voi avrete indizio che siano scuse: non li assolvete; perché per lo più la facoltà dell’assoluzione è quella che non fa ridurre all’atto la restituzione, la quale sempre resta una mera velocità, mentre non si riduce all’esecuzione. Guai, ma guai grandi a chi è tocco dall’avarizia. Costui commette continui sacrilegi; perché ogni volta che si confessa, promette di restituire con la lingua, ma non col cuore; perché può e non restituisce. Orsù, io finora ho esortato a far limosina, per non peccare di quella avarizia ch’è contraria alla liberalità, ho esortato a restituire il mal tolto, il mal posseduto; ma sento rispondermi con le parole d’Ambrogio: pulcher sermo, sed pulchrius aurum; il discorso è buono, ma la roba altrui è migliore, perché quando non fò limosina, mi cresce la roba in casa, quando ritengo l’altrui son più comodo. Si è? Ed io vi dico, ed ho finito, e datemi ben mente, perché è Dio che vi parla per bocca mia: ed io vi dico che se non renderete la roba a chi si deve, renderete l’anima al diavolo.

QUARESIMALE (VIII)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.