VIVA CRISTO RE (15)

CRISTO-RE (15)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO XVIII

CRISTO, RE DEGLI AFFLITTI (I)

La sera della prima domenica di Pasqua, quando la tristezza e la paura invadevano gli animi degli Apostoli riuniti nel Cenacolo, Gesù Cristo risorto apparve all’improvviso e disse loro: “La pace sia con voi” (Gv XX,19). E subito la pace inondò le loro anime. Questa è la scena che mi sembra più appropriata per presentare Gesù Cristo come Re che dispensa la sua consolazione agli afflitti, e per parlare di uno dei più grandi problemi dell’umanità: la sofferenza. È vero che il tema della sofferenza è sempre stato attuale, ma non lo è mai stato come oggi. “Vivere è soffrire”. Per sfuggire alla sofferenza, l’uomo ha provato di tutto, ma invano. Ha provato tutte le forme di governo, ha cambiato le diverse organizzazioni sociali, ha cercato di soffocare la sofferenza attraverso l’ubriachezza, la dimenticanza…. Invano; l’uomo non può dimenticare il versamento di lacrime e, purtroppo, possiamo affermare che non ne sarà mai libero. La sofferenza e la vita umana vanno di pari passo. Se non possiamo liberarci dalla sofferenza, proviamo almeno a chiederci: a cosa serve la sofferenza e come dobbiamo affrontarla nella nostra vita cristiana; nel prossimo capitolo mi chiederò: quale aiuto ci dà Cristo, Re dei tribolati, nella sofferenza?

I

La prima domanda che attende la mia risposta, e che racchiude le lamentele e le angosce di tanti fratelli sofferenti, è la seguente: perché Dio ci manda tante disgrazie, tanti mali, tante prove in questa vita terrena? E perché Egli colpisce giustamente me, io che ho sempre voluto servirlo lealmente, io che ho rispettato i suoi Comandamenti in ogni modo? Come può essere così “duro”, così “severo”, così “crudele” con noi? Sentiamo continuamente lamentele di questo tipo. Gli uomini che lottano con le difficoltà economiche, quelli che sono delusi, quelli che portano la croce di un matrimonio infelice, quelli che sono spezzati dalla sventura, mormorano: Quanto è severo Dio, che ci visita con tanta sofferenza! Perché Dio è così “severo”, perché è così “duro”? Ma non sapete che non è Dio a mandarci la maggior parte delle sofferenze, cioè che non vuole che l’uomo soffra così tanto? – Come lo capisci? Vi spiego. Il mondo attuale non è come Dio l’ha voluto nel suo primo progetto, non è come Dio l’ha creato, ma l’uomo ha sconvolto il suo sublime piano, e per questo tutto il mondo ora geme sotto le conseguenze del peccato originale: la natura inanimata, così come gli esseri viventi. Anche se la Chiesa non insegnasse nulla sulla caduta dell’uomo e sulle sue conseguenze, cioè sul peccato originale, sentiremmo, a causa delle innumerevoli contraddizioni e delle terribili ingiustizie della vita, che qualcosa è all’opera, che qualcosa non è in ordine, che la vita umana non può uscire dalle mani del Creatore in questo modo, che deve esserci stato qualche errore già all’inizio della nostra storia. Dobbiamo affermare con decisione e apertamente che ci sono state e ci sono sulla terra innumerevoli sofferenze che Dio non ha voluto e non vuole, e la cui unica causa è l’uomo, l’uomo peccatore, l’avidità umana, l’egoismo, l’orgoglio. Devo fare qualche esempio? Solo uno o due, presi a caso. – Ho visto a Roma l’immenso Colosseo, il Circo, orrendo anche nelle sue rovine. Ci fu un tempo in cui il popolo, ubriaco di sangue, e l’imperatore stesso, udirono la sera il tragico saluto dei gladiatori che combattevano fino alla vita e alla morte: Ave Caesar, morituri te salutant! “Ave Caesar, i moribondi ti salutano! Allora i gladiatori si attaccarono l’un l’altro; combatterono… gli uomini… per uccidersi l’un l’altro; e gli altri, anch’essi uomini, si rallegrarono di tale spettacolo. In verità, Dio non voleva questo! Il vecchio mercato degli schiavi è visibile ancora oggi a Tunisi, e i bastoni e gli anelli di ferro a cui erano legate le catene di quegli uomini infelici – uomini come noi, con anime immortali! -E Catone, il saggio Catone, scrive: “Bisogna saper vendere a tempo debito le bestie e gli schiavi anziani!” Orrore, prima le bestie, poi gli schiavi! Non è certo questo l’intento di Dio! Che questi esempi sono antichi, che oggi non ci sono né gladiatori né schiavi? Bene, allora. Ecco alcuni esempi moderni. – Una vedova che soffre disperatamente ha un figlio che fa sempre baldoria, che le chiede sempre più soldi, eppure non ha una sola parola di affetto per la madre…. Come può Dio volere questo? Un padre ha sei figli, sei figli che non hanno nulla da mangiare. Accetta qualsiasi lavoro, qualsiasi cosa gli capitai a tiro. Ma non lo vogliono da nessuna parte. E i bambini, affamati, piangono a casa…. Come può Dio volere questo? Dio è “troppo duro” per mandare tante sofferenze all’uomo? È Lui che le manda? No, e mille volte no! La causa di questi innumerevoli dolori, sofferenze e dispiaceri è l’uomo, la sua natura umana decaduta e degradata. Sì, nella maggior parte dei casi è l’uomo il responsabile dell’amarezza di questa vita terrena. So benissimo che mi verranno mosse delle obiezioni: anche se Dio non vuole la maggior parte delle sofferenze, tuttavia le permette, le tollera, acconsente che l’uomo debba soffrire così tanto. Perché acconsente? Questo è un altro discorso. In realtà, Dio potrebbe sospendere l’ordine e le leggi della natura: perché non lo fa? – È la domenica di Pasqua del 1927. Una delle chiese di Lisbona è affollata di gente. All’improvviso… la cupola crolla… e l’urlo di quattrocento feriti riecheggia nell’aria. La chiesa è crollata! Dio non avrebbe potuto sostenere il muro che si stava rompendo? Così facendo, non ha salvato quattrocento uomini! Avrebbe potuto salvare quattrocento uomini! Sì, avrebbe potuto! E non l’ha fatto. Non ci libera da tutti i mali. Ci permette di soffrire.  Dobbiamo forse dire che Dio non ci ama? No. Diciamo piuttosto: se permette che le sue creature predilette versino tante lacrime amare, se Dio permette che la vita umana trabocchi di sofferenza, allora ha ragioni potenti per non farlo, uno scopo elevato che non conosciamo. – Vediamo: qual è la caratteristica più bella dell’anima cristiana? Non soffrire? Che sarà mai! Anch’essa soffre e… piange. Ma non si lamenta, non si ribella, non si dispera; bensì cerca di scoprire cosa Dio vuole da lei, permettendo che le capiti questa o quella disgrazia. Dio è il mio Padre benevolo, e se le permette di soffrire così tanto, deve avere le sue ragioni.

II

Studiamo ora quali sono i piani che Dio può avere con le nostre sofferenze. Anche alla luce naturale della ragione, posso già scoprire alcuni motivi. Perché Dio ci permette di soffrire così tanto? Perché attraverso la sofferenza spesso difende la nostra vita corporea e la nostra salute. Perché un dente malato fa male? Perché se non facesse male, nessuno si preoccuperebbe se i denti si rovinano o meno. Perché una scottatura fa male? In modo da essere prudenti e non bruciarci. Faccio un passo avanti e chiedo: perché c’è la morte, la più grande di tutte le sofferenze terrene? Affinché possiamo avere una maggiore stima della vita che passa. Se la morte non fosse così terribile, quanti si suiciderebbero! Questa è la risposta della semplice ragione. – Ah, ma questa è una piccola risposta, non è vero? La fede cristiana mette a fuoco il problema in modo più profondo. Vediamo la sua soluzione: che cos’è la sofferenza, la disgrazia, nel piano di Dio? Forse è l’ultima risorsa per salvare la mia anima. Ho appena toccato una piaga viva di molti uomini moderni. Ci sono persone che si perdono perché stanno troppo bene su questa terra. Uomini che arrivano a sedersi nella loro regalità in questa vita, e solo in vista di un benessere effimero; uomini che non vogliono credere che su questa terra tutto sia un continuo inizio, una prova imperfetta, un’opera incompiuta. Sono sordi e ciechi a tutto ciò che non sia denaro, fortuna o piacere, a tutto ciò che ci parla di Dio, dell’anima, della Religione, della vita eterna. Non conosciamo tutti una persona così, che sta troppo bene e che si preoccupa di tutto – delle sue scarpe, del suo cagnolino, del suo cappotto, della sua auto, del suo ombrello, di tutto… – tranne che della sua povera, unica, anima immortale? – Quando Augusto venne a conoscenza dell’atrocità di Erode, che fece uccidere il proprio figlio per paura che gli sottraesse il trono, esclamò: “Preferirei essere un maiale che un figlio di Erode! 1 MACROBIO (Satis., II. 41) è il primo a riferire nell’anno 410 questa testimonianza, peraltro sospetta; infatti tutti i figli di Erode erano già maggiorenni e alcuni di loro avevano figli. (N. dell’E.) Se avesse conosciuto l’uomo moderno, avrebbe detto: preferisco essere un cagnolino che l’anima dell’uomo moderno, perché l’uomo moderno si preoccupa più del cane che dell’anima. Ebbene, se Dio vuole portare questi uomini alla conversione, cosa può fare? Egli può servirsi delle prove e delle sofferenze. – Una signora distinta andò un giorno a lamentarsi con un direttore spirituale anziano e molto esperto: Padre, questo mondo mi assorbe quasi completamente e, qualunque cosa faccia, non riesco a liberarmi dalle mie vecchie e grandi colpe. Ho provato di tutto: esercizi spirituali, confessione… Tutto inutile. C’è ancora salvezza per me? Cos’è che può ancora salvarmi? Cosa può salvarvi? Solo una grande disgrazia, rispose il vecchio sacerdote. La signora non capì la risposta. Ma non le ci volle molto per capire. Perse la maggior parte delle sue ricchezze, molti dei suoi uomini morirono e, alla luce di tante disgrazie, quell’anima fuorviata trovò Dio. – Così, la sofferenza può essere nelle mani di Dio un aratro che apre solchi profondi, che rimuove e allenta il terreno che il benessere ha indurito. Ci sono moltissime persone che, dopo essersi allontanate per lunghi anni da Dio, sono state riportate a Lui dalla sofferenza. Molti potrebbero dire con CHATEAUBRIAND: “Ho creduto perché ho sofferto”. Molti uomini si comportano nei confronti di Dio come si comportano nei confronti della cucina: durante l’inverno sono vicini ad essa, durante l’estate la dimenticano completamente. Le stelle sono sempre nel cielo, ma le vediamo solo di notte; allo stesso modo, molte persone pensano alla vita eterna solo quando la sofferenza irrompe nella loro vita. Ma io non sono un miscredente”, mi direte; “non penso che Dio si serva della sofferenza per farmi camminare sulla retta via. Che cosa vuole Dio da me quando sono colpito da una disgrazia?”. Potrebbe avere altri scopi. Potrebbe voler plasmare, abbellire, lucidare la vostra anima con la sofferenza. La sofferenza purifica, abbellisce l’anima e la rende profonda quando viene sopportata e offerta per amore di Dio e dei peccatori. Il continuo benessere rende l’uomo volgare, orgoglioso, sfrenato, ambizioso; la sofferenza, invece, lo rende compassionevole e umile…, lo rende più simile a Cristo! Sì: la sofferenza può essere l’opera dell’artista che Dio fa sul marmo della mia anima. Anche il marmo vorrebbe piangere quando si frantuma sotto i colpi del martello dello scultore. Ma se l’artista “trattasse bene il blocco di marmo”, sarebbe in grado di ricavarne un capolavoro? – La sofferenza può essere il lavoro del minatore con cui Dio scava nella mia anima. Dio cerca l’oro in noi; e l’oro di solito non si trova in superficie, ma deve essere scavato dalle profondità, a costo di un duro lavoro. Ma la sofferenza può anche essere una punizione per mano di Dio. La giustizia esige che colui che ha peccato debba soffrire. È un fatto che non ammette repliche: da qualche parte deve essere punito, in questa vita o nell’altra. “Come oso dire che non ho peccato? Ho espiato i miei peccati? Lo dico a tutti i fratelli: voi che soffrite, non dimenticate mai che è meglio espiare il peccato quaggiù. È meglio dire con sant’Agostino: “Qui, qui, punisci, brucia, visitami, Signore, purché tu mi usi misericordia nell’eternità!”. – FRANÇOIS COPPÉE è stato uno scrittore francese di fama mondiale. Per molto tempo ha vissuto da non credente, poi si è convertito. Soffrì atrocemente sul letto di morte, e pregò forse di porre fine ai suoi dolori? Al contrario. Ha detto: “Je veux une longue agonie…”. “Signore, concedimi una lunga agonia” e, dopo un attimo di silenzio, aggiunse: “… car je crois en Dieu et á l’iminzortalité de l’áme”. “… perché credo in Dio e nell’immortalità dell’anima”. – “Che la sofferenza sia anche una punizione per mano di Dio?” Beh, lo capisco. Ma non capisco come spesso siano i buoni a soffrire di più, quelli che non hanno peccato; e, d’altra parte, i criminali più famosi, che sembrano aver fatto una sola buona azione nella loro vita, si danno la vita migliore che si possa pensare. Come si spiega questo? Dov’è la giustizia? È vero, chi riflette in questo modo ha ragione…, se con questa vita è tutto finito. In questo caso, non c’è soluzione al problema; se così fosse, non c’è davvero giustizia. Ma se credo che la vita continui dopo la morte, allora non sarà difficile trovare la risposta. “Gli uomini giusti soffrono molto in questa vita”, perché non devono soffrire nella vita eterna, e qualsiasi peccato abbiano commesso – nessuno può affermare di essere completamente esente dal peccato – è già stato espiato in questa vita. “I malvagi hanno prosperità in questa vita”, perché nell’altra vita dovranno soffrire, mentre la ricompensa per quel poco di bene che possono aver fatto – possono aver fatto qualcosa, anche se si tratta di un’inezia – la ricevono già in questa vita. – Il problema, allora, è questo: come conciliare la marea di mali che ci inonda con la bontà del Padre celeste, che veglia sull’universo? E la risposta è questa: Dio non trova piacere nella sofferenza degli uomini, così come i genitori non trovano piacere nel dover negare qualcosa ai loro figli o nel doverli punire. Se devono farlo, è perché hanno tutte le ragioni per educare, emendare o rimproverare la loro cattiva condotta, evitando così che i loro figli peggiorino. Questo getta già un po’ di luce sul problema del dolore. Solo un po’ di luce? Sì, una certa luce. Infatti, anche dopo tutte le riflessioni e le spiegazioni, dobbiamo confessare che non abbiamo raggiunto una chiarezza assoluta e che qui c’è un mistero, un segreto, che l’uomo non può penetrare. Spesso siamo costretti a dire: non capisco, non capisco. Perché non siamo noi i creatori dell’universo. Quello che ho fatto io stesso lo capisco; quello che hanno fatto gli altri è più difficile per me. Trovo più difficile capire quello che hanno fatto gli altri, e ci sono molte cose al mondo che io non ho fatto. Solo il Creatore può comprendere appieno gli eventi del mondo. Già Sant’Agostino esprimeva questo pensiero quando paragonava la vita dell’uomo a un arazzo di ricchi colori, di cui vediamo solo il rovescio. Guardate un bellissimo arazzo persiano: fiori, figure, colori, si fondono in un’armonia artistica. Sì, ma se vediamo solo il rovescio della medaglia, ci sembra un’orditura senza ragione od ordine. Lo stesso vale per la vita. Noi vediamo il rovescio; il dritto, cioè il grande pensiero unificatore che riunisce tutti i fili e i dettagli secondo un piano prestabilito, lo vede solo Dio. Accanto al telaio della vita umana c’è il Dio eterno, di cui non conosciamo i disegni, i cui pensieri non sono i nostri pensieri e le cui vie non sono le nostre vie. Ma se siamo nelle mani di Dio, se un uccello non cade dal tetto senza che Dio lo sappia, se non cade un capello dal nostro capo senza il piacere dell’Altissimo, nessuna disgrazia, nessuna sofferenza o dolore potrà strapparmi a Dio… è una verità indiscutibile che voglio sempre professare.

* * *

Una volta ho incontrato un conoscente, un giudice, che non vedevo da diversi mesi. Il suo unico figlio, studente universitario, era un mio discepolo, per giunta eminente. Tutta la famiglia ha trascorso l’estate in una località balneare. I genitori si stavano riposando in riva al lago; il bambino stava nuotando. All’improvviso…, senza una parola, senza un solo lamento, si tuffò… lì, in piena vista dei suoi genitori…. Fu trovato il giorno dopo in acqua…; era morto…. Il loro unico figlio, robusto, di diciannove primavere! …. Era la prima volta che incontravo il padre dopo il disastroso evento. In queste occasioni, abbiamo istintivamente cercato qualche parola di consolazione…. Ma non ce n’era bisogno. Con voce affannosa, con un non so che di ammirevole, con la voce tremante di un uomo che lotta contro il dolore, mi disse: “Padre, in mezzo a questa terribile disgrazia, ringrazio Dio per essere stato così misericordioso con il nostro Giovanni…”. La mattina stessa si era confessato e aveva ricevuto la Comunione…. Da allora, io e sua madre andiamo a confessarci e a fare la Comunione ogni mese nello stesso giorno…. Ci conoscono già e ci guardano tutti con sorpresa; non capiscono come possiamo sopportare una tale disgrazia…”. Avrei voluto gridare a tutti: “Uomini, fratelli che soffrono, che sono oppressi, tutti voi, venite a imparare da questo padre tormentato! Fratello, la vita è difficile per te e sei nel mezzo di una notte che sembra non avere fine? Fratello, sei stanco di versare lacrime? Poi guardate: inginocchiatevi davanti a Dio, chinate il viso e appoggiatelo sulle sue mani, sulle mani del vostro Padre celeste, e cercate di pronunciare lentamente, rendendovi conto di ciò che state dicendo, le seguenti parole: “Sia fatta la tua volontà, Signore, ovunque io sia. Sia fatta la tua volontà, Signore, anche se non la capisco. Sia fatta la tua volontà, Signore, per quanto io possa essere turbato”. Signore, sia fatta la tua volontà in ogni cosa; Signore, ti sarò sempre fedele. “Chi può separarci dall’amore di Cristo? La tribolazione, l’angoscia, la fame, la persecuzione, la spada…? Sono certo che né la morte, né la vita, né gli Angeli, né i Principati, né le Virtù, né le cose presenti, né quelle a venire, né la potenza, né alcunché di più alto, né alcunché di più profondo, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è fondato su Gesù Cristo, nostro Signore” (Rm VIII,35.38-39).

CAPITOLO XIX

CRISTO, RE DEGLI AFFLITTI (II)

Nel capitolo precedente ho proposto un tema molto difficile: il problema della sofferenza umana. Forse non c’è altro argomento che interessi di più gli uomini, dal momento che tutti, o quasi, avranno sentito nel loro cuore lo sguardo terribile della sventura e del dolore. La sofferenza è la compagna inseparabile dell’uomo che vaga in questa “valle di lacrime”; un mistero tremendo per la mente pensante e una pietra di paragone per l’anima religiosa. Non si può scherzare con la sofferenza. È una cosa dura, grave, amara; ed è spesso una prova, apparentemente senza scopo, insopportabile; tuttavia, come abbiamo visto nel capitolo precedente, la Sacra Scrittura dice con la sua mirabile saggezza: “Chi non è stato tentato, che cosa può sapere?” In altre parole, la tribolazione è un prerequisito per l’equilibrio della vita giusta. – Chi non ha sofferto non capisce come il nostro “io” migliore, la nostra anima, il nostro Dio, che dimentichiamo quando il benessere ci sorride, si possa trovare sul sentiero roccioso della sofferenza. Chi non ha sofferto non sa come si possano comprendere i mali degli altri guardandoli attraverso la propria miseria; come si possano tagliare con le forbici del dolore acuto tutti i nodi che legano la rete dell’egoismo, della piccolezza d’animo; come ci si possa trasformare in anime morbide, comprensive, piene di perdono. Chi non ha sofferto non sa come la sofferenza possa purificarci dal peccato, espiare la colpa, recuperare il tempo perduto. Certo, la sofferenza sopportata con forza ci rende più coraggiosi, l’impotenza ci rende più malleabili, l’umiliazione ci innalza; in una parola, la sofferenza sopportata in unione con Dio ci rende più profondi, più spirituali. La sofferenza sopportata in unione con Dio! La sofferenza santifica, purché sia vissuta nello spirito di Cristo. Allora l’anima diventa più delicata e profonda, più comprensiva e più forte.Ci sono infatti coloro che si confondono e si disperano nella sofferenza, perché non soffrono nello spirito di Cristo. Questi, invece di aiutarli, si disumanizzano. Questo ci porta al tema del presente capitolo: tutti dobbiamo soffrire, perché fa parte della nostra condizione umana. Ma come possiamo soffrire secondo gli insegnamenti di Nostro Signore Gesù Cristo? Come possiamo avere Cristo come nostro Maestro, il Re degli afflitti, in momenti così dolorosi?

I

“Cristo è il re dei tribolati”. Che cosa significa questo nella vita pratica? Quale forza ottengo se, nei giorni bui, sotto le disgrazie che mi sommergono, penso che Cristo abbia già percorso la stessa strada che io devo percorrere? Si dice che in primavera, quando la vite fiorisce, anche il vino comincia a muoversi, a fermentare, a sentire in un certo modo la fioritura della vite da cui proviene. Si potrebbe dire che esiste una sorta di “simpatia” tra il vino e la vite. Simpatia significa “partecipazione alla sofferenza di un altro, compassione, comunità di sentimenti”. Si dice anche che quando un uragano scatenato sferza il grande oceano, allo stesso tempo la superficie liscia dei laghi dolci e tranquilli, situati tra le montagne scoscese, comincia a muoversi; essi sentono in un certo modo le lotte dell’immenso mare, poiché provengono da esso. C’è simpatia tra il lago e il mare. C’è anche una certa simpatia tra le sofferenze di Cristo e le mie. Se “Cristo soffre”, io soffro. Se io soffro, Cristo soffre con me. Questa simpatia o “compassione” reciproca è in grado di mitigare e lenire la mia anima dolorante, persino di attenuare la paura della morte. Questo quando sarò in grado di soffrire con Cristo, avendo un cuore compassionevole per Lui, soffrendo con Cristo. – La vita a volte è molto dura e si è tentati di dire: “questo è il massimo e non un passo in più”, non ho più forza, non ce la faccio più. Così, quando vi sembra di non farcela più, invece di prendere una pistola per uccidervi, prendete un piccolo crocifisso, mettetelo davanti a voi e pensate a ciò che il Signore ha dovuto soffrire per voi. Quando la notte terribile vi avvolge, quando soffrite l’indicibile, pensate: Cristo ha sofferto molto di più per me. Consolatevi con il pensiero: quanto deve aver sofferto il Signore! – Un prete tedesco incontrò una vecchietta sulle rive del Reno e le chiese: “Come va, signora? “La mia casetta è stata distrutta da un incendio, i miei figli sono andati a vivere in America, io sono in grande miseria…”. Il Sacerdote voleva dirle qualche parla di consolazione ma l’anziana donna lo interruppe e disse con un sorriso gentile: “Nostro Signore Gesù Cristo è stato senza fissa dimora per tutta la vita, e io non sono ancora arrivata a quel punto; Lui ha dovuto andare a piedi nudi, io non ancora; ha dovuto portare una corona di spine, e io no!…”. Non sentiamo forse tutti che Cristo è veramente il Re dei tribolati e che il Cristianesimo è, senza dubbio, il grande benefattore dell’umanità afflitta? Oh, se solo l’olio dello spirito cristiano ungesse tutte le nostre ferite! – La vita è spesso terribile e crudele. Sembra che a ogni passo mi capiti una tragedia dopo l’altra. Ma se mi aggrappo alla croce di Cristo, la mia vita avrà un senso. Non potrò evitare la malattia, non potrò evitare che il mio matrimonio non vada bene; il mio marito severo non cambierà, il figliol prodigo non tornerà, la lotta quotidiana per uscire dalla miseria non sparirà; ma… l’imitazione di Cristo rende più facile la sofferenza. Ha scelto una vita piena di sofferenza per poterci dire: “Ascoltate e considerate se c’è un dolore come il mio dolore!”. (Lamentazioni di Geremia 1,12). Quello che dovete soffrire ora, io l’ho già sofferto, l’ho sofferto di più e l’ho sofferto per voi. Siete poveri? Ho scelto la povertà. Sacrificano la tua dignità e il tuo prestigio? Perché cosa mi hanno fatto? Sapete che sono stato schiaffeggiato. Sapete che in attitudini di disprezzo sono stato presentato a Erode. Guardatemi sulla croce. Lì sono stato abbandonato da tutti, anche dal cielo stesso. Piangete? Ebbene, mescolate le vostre lacrime con le mie, e perderanno la loro amarezza. La vostra croce è pesante? Portatela un po’ sulle mie spalle; la sopporteremo entrambi più facilmente. Siete pungolati dalle spine della vita? Guardate quelle che porto sulla testa. “Ma a volte i sentieri lungo i quali il Signore ci conduce sono troppo difficili, troppo rocciosi, troppo pieni di spine”, potrebbe dire qualcuno. Oh, sì, fratello, chi potrebbe negarlo? Ma sono impossibili? No. Sono impossibili solo per chi non ha fede. Se ho fede e credo che tutto ciò che mi accada nella vita è nelle mani di Dio; se ho fede e credo che c’è Qualcuno che non mi dimentica, anche quando tutti gli altri mi abbandonano; che mi ama quando nessuno mi ama; che veglia su di me quando tutti gli altri dormono…, la mia vita avrà un senso. Quale forza ha la nostra fede proprio nella sofferenza! Se nelle ambasce del dolore abbraccio il Cristo sofferente, la vita continuerà ad essere una “valle di lacrime”, ma la mia anima non cadrà nello sconforto. Continuerò a lamentarmi, ma le mie lamentele saranno orazioni, una preghiera sublime.  Continuerò a soffrire, ma non dispererò, e si sa che “non è il dolore che uccide, ma la disperazione; e non è la forza che dà la vita, ma la fede”.

II

Con quanto detto abbiamo appena risposto a un’obiezione che può essere sollevata da uomini superficiali: è lecito per un vero Cristiano lamentarsi, è lecito per lui fuggire dalla malattia, dalla morte? Risponderò a questa domanda senza mezzi termini. Sappiamo che la natura umana teme il dolore, sappiamo che vorrebbe fuggire dalla sofferenza e dalla morte. Morte! Morire! Questo pensiero travolge tutti gli uomini, anche i più favoriti dalla fortuna, quelli che non provano nessun altro dolore nella loro vita (se esiste un uomo del genere al mondo!). Chi non ha sentito la minaccia più o meno affrettata di morire? Un giorno o l’altro ci accorgiamo con spaventosa chiarezza di quanto il mondo sia effimero…. – Possiamo riassumere la storia dell’uomo in tre parole. Il vostro, come il mio: “Nasciamo, soffriamo, moriamo”. I secoli vengono e i secoli passano; gli uomini nascono e gli uomini muoiono; le città sorgono e altre scompaiono; le dinastie di re brillano e cadono…: tutto, tutto è in via di estinzione… C’è stato un giorno in cui anch’io sono entrato nel mondo con un grido alla nascita…, e ci sarà un altro giorno in cui con un altro grido o lamento lascerò questa vita. Che cosa terrificante, se questa fosse la fine di tutto, se la vita non fosse altro che questo! Sappiamo che non è così, eppure rabbrividiamo al pensiero della morte. E non dobbiamo scandalizzarci per questo, perché è Dio stesso che ha messo l’amore per la vita nei nostri cuori. – Un giornalista non credente si recò a Lourdes e scrisse in seguito le sue impressioni. Era stupito e scandalizzato da una cosa che gli sembrava incomprensibile: che uomini devoti e ferventi vadano in pellegrinaggio al santuario mariano per chiedere di essere guariti, per chiedere di allungare la vita. Non vogliono forse andare in paradiso, visto che sono così credenti? Non è illogico? O voi che fate questa domanda, non siete mai stati gravemente malati? Non avete mai passato una notte insonne con trentanove o quaranta gradi di febbre? Si vorrebbe dormire, dormire… anche solo per cinque minuti… ma non si riesce quasi a dormire… le gambe non riescono a stare ferme… si guarda l’orologio: le dodici e mezza! Oh, quanto tempo passerà prima che arrivi l’alba…. Ma ditemi, non siete mai stati malati? Se lo siete stati, infatti, non vi stupirete del fatto che in un caso del genere un uomo si aggrappi alla qualsiasi pagliuzza che possa dargli sollievo e… non per questo deve rinnegare la sua fede cattolica. Lo stesso GESÙ CRISTO ha cercato sollievo nel mezzo del suo grande dolore: “Padre mio, se è possibile, non farmi bere questo calice” (Mt XXVI, 39; Mc. XIV 14,36; Lc XXII, 42). E voi volete che il buon Cristiano non senta il dolore? Volete che colui che crede nell’eternità non si commuova davanti alla tomba dei suoi cari? No, no! Questa non è la fede cristiana. Anche noi ci pieghiamo sotto il peso del dolore, ma… non ci spezziamo. Anche noi piangiamo sulle tombe… ma non disperiamo, e così poniamo sulle tombe la croce di Cristo, che precede la risurrezione…. – Cristo crocifisso è la più grande consolazione per l’uomo che soffre! Le disgrazie, le sofferenze, arrivano anche a me; mi fanno male, ma non perdo mai la fede: “Quello che Dio prende, lo restituisce in abbondanza”. Quando? Non lo so. Ma so che tutto ciò che mi restituisce lo fa in abbondanza. Sono Cattolico eppure soffro; ma in mezzo a tutte le difficoltà sento le parole del Signore, piene di consolazione: “Conosco le tue opere, le tue fatiche e le tue sofferenze….. E che hai avuto pazienza, che hai sopportato per amore del mio nome e non sei venuto meno” (Apocalisse II: 2-3). E non dobbiamo dimenticare l’altra grande verità: il Signore non abbandona chi non lo abbandona per primo, ed è con noi anche quando non sembra essere attento a noi. – Santa Caterina da Siena, in una fase della sua vita, fu tormentata da terribili tentazioni; sudò quasi sangue nella dura lotta contro le tentazioni. Alla fine vinse, e la dolce gioia del trionfo le inondò il cuore. “O Signore”, si lamentò allora con Gesù Cristo, “dov’eri quando ero alle prese con tentazioni così terribili?” E il Signore gli rispose: “Nel tuo cuore”. “Ma come è possibile? – esclamò stupita la Santa: “Il mio cuore era pieno dei più turpi pensieri e Tu eri in esso?”. Allora il Salvatore chiese: “Quelle tentazioni ti sono piaciute o ti hanno fatto soffrire?” “Ah, quanto mi hanno fatto soffrire”, rispose CATERINA. “Vedi, figlia mia, che questi pensieri ti abbiano ferito e non hanno scalfito il tuo cuore, è stata opera mia. Ero nel tuo cuore anche allora, e ho permesso le tentazioni perché dovevano essere proficue per te. Tutti gli uomini soffrono, ma solo i Cristiani sanno soffrire; tutti muoiono, ma solo i Cristiani sanno morire.

* * *

Chiudo il capitolo con il caso di uno scrittore mistico medievale, TAULERO. Questo scrittore, profondamente religioso, incontrò un giorno un mendicante. Lo salutò calorosamente: “Buongiorno”. Il mendicante rispose: “Buongiorno? Io non ho mai avuto una giornata cattiva. Taulero si è giustificato: “Intendevo dire che Dio ti dia fortuna”. Ma il mendicante obiettò di nuovo: “Sono sempre fortunato”. Taulero spiegò di nuovo: “Intendevo dire che tutto accada secondo i tuoi desideri…”. “Ma tutto mi accade come desidero, e sono felice”, rispose l’uomo cencioso e affamato. Taulero era stupito. “Ma sei felice? … nemmeno chi non manca di nulla è felice…”. “Eppure sono contento. So di avere un Padre in cielo che mi ama. Quando la fame o il freddo mi tormentano, quando la gente di strada senza cuore si prende gioco di me, dico solo questo: “Padre, lo vuoi, perché anch’io lo voglio! In questo modo tutto ciò che voglio si realizza…”. “E se Dio ti gettasse all’inferno, vorresti comunque ciò che Dio vuole, ha chiesto Taulero? E il mendicante rispose: “Anche allora! Perché ho due braccia: la conformità alla volontà di Dio e l’amore. E se Dio volesse gettarmi all’inferno, abbraccerei Dio con queste due braccia e non lo lascerei andare, lo trascinerei con me all’inferno. E preferirei essere con Dio all’inferno che senza Dio in paradiso? La nostra vita sulla terra è sofferenza, dolore, ma non è un inferno. E anche se lo fosse! Se Dio è con me… – Dobbiamo afferrare la mano di nostro Signore Gesù Cristo! E dobbiamo dire: “Sì, mio Signore, soffro, ma persevero”. Voglio esservi fedele fino a quando la fede si trasformerà in visione, il desiderio in possesso, la breve sofferenza terrena in gloria eterna, questa vita così piena di sofferenze nella corona incomparabile della vita eterna.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.