LO SCUDO DELLA FEDE (234)

LO SCUDO DELLA FEDE (234)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (5)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

LA MESSA

PARTE I

LA PREPARAZIONE

CAPO III

Art. IV.

L’Istruzione e la Fede.

La Fede è la radice della giustificazione, perché senza la fede non si e piacere a Dio (Hebr. X, Conc. Trid. Sess. 6, c. 8). Ma per avere la fede è necessaria l’istruzione, cioè la lettura dei libri santi e la predicazione del santo Vangelo, coi lumi della grazia del Signore. Ora essendo l’altare, come la mensa sopra la quale il Signore dispensa con abbondanza il pane della vita a’ suoi figliuoli nella santa Messa, prima di ammetterli alla sacra mensa, loro parlando come in famigliare confidenza, li mette a parte dei suoi secreti, loro rivela i suoi giudizi e coll’istruirli li dispone a ricevere e gustare il dono, che prepara a vita eterna. Ond’è che prima di incominciare l’oblazione, la Chiesa alle preghiere fa seguire la lettura dell’Epistola e poi dell’Evangelo, affinché ammaestrati e confermati nella fede, i Cristiani siano resi degni di presentare le loro offerte all’Altissimo, e dall’Altissimo ricevere la più grande misericordia. Eccoci adunque alla lettura dell’Epistola.

Epistola.

S. Giovanni Grisostomo (Hom. 2 in Gen.) e dopo lui san Gregorio Magno (2) con tutti i Padri, guardavano le sacre Scritture, come lettere mandateci da Dio. Dalle sacre Scritture sono appunto tratte le Epistole, che si leggono nella Messa, e sono capitoli dell’antico e nuovo Testamento. E perché per lo più sono tratte dall’Epistole di s. Paolo, credono alcuni, che per questo siano chiamate generalmente Epistole. – Antichissimo è l’uso di leggere nelle sante adunanze le sacre Scritture. Anche gli Ebrei le leggevano nelle loro sinagoghe; e Gesù Cristo prese occasione (Luc, IV) di farsi conoscere pel Redentore mandato a salvare gli uomini, nel fare la lettura di esso. Entrata nella sinagoga di Nazaret un sabato, si alzò per dar principio alla lezione, ed essendoli porto il libro, dispose in provvidenza che il Profeta, di cui occorreva in quel giorno la lettura, fosse Isaia, Evangelista, più che Profeta, di Gesù Cristo, come lo chiamò Gerolamo; perché ciò che predice di Gesù, è così chiaro e preciso, che par ne scriva la storia tanti secoli prima. Appunto il passo, di cui si doveva fare lettura, era una magnifica profezia risguardante il Salvatore stesso, che si aspettava. Lesse e chiuse il libro, e cominciò a dire loro: « Oggi colle vostre orecchie di questa scrittura avete udito l’adempimento. » Spiegò la profezia, e l’applicò a se stesso in modo, che non sapendosi che rispondere sì dovette ammirarlo. ll santo Martire Giustino prendendo a difendere i Cristiani accusati di commettere orribili delitti nelle loro adunanze, (in cui si diceva che mangiassero le carni dei bambini involti nella farina e nelle paste, così travisando indegnamente la consacrazione e comunione del SS. Corpo di Gesù Cristo, per ragion di difesa, come abbiam già detto, esponendo i riti della santa Messa, fa cenno della lettura, che vi si faceva delle sante Scritture, per preparare i fedeli al Sacrificio. Nella Chiesa Greca ai tempi di s. Giovanni Grisostomo (Hom. 36 in 1 Cor.), il diacono imponeva silenzio, e leggevasi prima un capitolo dell’antico e poi del nuovo Testamento: costume ritenuto nella Chiesa Ambrosiana della diocesi di Milano, e di cui nella Chiesa Romana si conserva una reliquia ancora nelle quattro Tempora, nelle Ferie, nella quarta domenica di Quaresima e nella Settimana Santa. Per confortare nella fede i Cristiani si vanno così esponendo le figure e le profezie del vecchio Testamento; e, riscontrandole coi fatti e misteri del Testamento nuovo, si vedono avverate nella vita di Gesù, e si mostrano sì esattamente in Lui stesso adempiute e nella Chiesa da Lui istituita. – Nel sabato delle Ordinazioni ancora se ne leggono cinque del vecchio Testamento, una poi in fine del nuovo, per significare (Gav. in Rub. Missal. p. 4, lib. 2, n.2.), che nelle cinque età del mondo in varie occasioni e in vari modi avendo Iddio parlato per bocca dei profeti, finalmente nella sesta parlò per mezzo del suo Figliuolo, che apparve fatto uomo (Hebr. I, I.). – Il lettore, che leggeva anticamente, e poi il suddiacono, che ora la legge innanzi al Vangelo, figurano s. Giovanni Battista Precursore, e i discepoli, che andavano innanzi a preparare la via nelle terre, per cui passava in seguito Gesù, ad istruire il popolo di propria bocca (Onor. Aug. Gem. Anim. et Innocent. IIL Mist. NT. lib. 2, cap. 3 et 29 De ep.).. – Vogliamo ancora notare, che, quando celebra il sommo Pontefice, si legge un’Epistola in greco e l’altra in latino dai rispettivi suddiaconi dell’uno e dell’altro rito. Perché Principe degli Apostoli, sommo Vicario di Cristo in terra, Capo universale e Padre comune, il sommo Pontefice, quando celebra, istruisce l’una e l’altra porzione di una sola Chiesa, la latina e la greca. Talvolta si leggeva pure ai fedeli nelle Chiese le lettere del sommo Pontefice, e pareva loro di ascoltare lo stesso beato Apostolo Pietro (Baronius Annal. Chr. 173, n. II.), e di sentirsi abbracciare dalla carità del Padre comune, conoscendo nelle lettere a loro lette la cura amorosa, che egli in tutti i tempi è solito prendersi di tutta la Chiesa sparsa in ogni parte della terra. – Si leggevano talvolta gli atti dei santi Martiri; e, mentre gli esempi di quegli eroi facevano intendere quali si potessero anche da femmine imbelli e fino dai fanciullini operare prodigi di valore colla grazia di Gesù Cristo, quei buoni fedeli nell’ascoltarli si stringevano la mano a vicenda, s’incoraggiavano alle battaglie imminenti; e rendendo grazie a Dio per la vittoria concessa ai fratelli, che li precedettero nell’arena, speravano, e pregavano l’assistenza ed il trionfo per sé medesimi. Talvolta poi erano lettere, che i martiri spedivan loro dalle carceri e dai patiboli, come pietosi ricordi, e come l’addio, che mandavano quei santi in procinto di essere gettati in mezzo alle fiamme o sotto la mannaia; che già pendeva sul capo, e alle fiere frementi per brama di divorarli, come avvenne ai due Vescovi e padri s. Policarpo e s. Ignazio. S. Policarpo scriveva ai Romani: « Io sono in guardia a tali soldati, che dire li posso tigri e leopardi; » e veniva poi subito abbruciato. Già l’aere risuonava del ruggito delle feroci belve frementi nelle gabbie di ferro, e s. Ignazio scriveva ancora una lettera alla Chiesa di Roma, in cui diceva: « Sono frumento di Cristo, cari fratelli; a momenti sarò macinato dai denti di queste fiere per divenire pane mondo. » Nel leggere queste lettere calde del sangue di que’ santi, non è a dire come s’infervoravano al martirio i fedeli. – Questa lettura si faceva in un luogo eminente detto tribunale; nella Chiesa di S. Clemente in Roma (una delle più conservate in tutte le sue parti tutt’ora intatte, come servivano all’antica liturgia) ancor si vede questo tribunale, da cui uscivano gli oracoli celesti. Il lettore leggeva forte, il popolo ascoltava: si domandavano schiarimenti sopra certi punti di cristiana dottrina; il lettore rispondeva, ed i fedeli così venivano soddisfatti ed illuminati. Queste letture erano come il latte, che in tutte le Messe, comunicato con amore, e succhiato con avidità, faceva nel popolo buon sangue cristiano, restandone assai bene istruito. Allora uomini ripieni dello Spirito del Signore, dottissimi in religione e scienze umane, stavano taciti ad ascoltare con umiltà; e s. Ambrogio sotto la clamide di governatore civile, s. Alessandro sotto le vesti d’un povero carbonaio, e s. Martino sotto l’usbergo del guerriero, tenevano celati i tesori d’una sapienza più che umana. Quando poi il buon senno dei fedeli li veniva a scoprire, e li proponeva per sacerdoti, e colla missione, che loro dava nell’ordinazione la Chiesa, li costituiva maestri; allora si facevano innanzi, e consolavano il popolo con meravigliosa dottrina; infondendo nel cuore degli uditori con carità ciò, che prima avevano nel proprio assorbito con umiltà. Ora eccoti invece missionari di nuovo conio, dal proprio capriccio costituiti: uomini vergini della scienza dei Santi e della religione, trattano e bistrattano le cose più sacrosante, più profonde; con troppo grande orgoglio e non minor tristizia, si vendono maestri in tutto, fino in divinità, alla goffa ignoranza d’un popoletto, che si dà l’aria di spregiudicato, col vanto di comperar scienza a buon mercato nei fogliuzzi da trivio, beve le. loro ribalderie invereconde. Beatitudine di tempi! Il popolo nostro non avrà più bisogno né di lettere sante, né di catechismi in Chiesa; valgono per tutto i giornaletti, che dicono di tutto il peggior male. Così, quando avrà il popolo imparato a maledir a tutto e conculcare ogni più santa autorità, allora sarà redento! – Ma la Chiesa, per redimere l’universo, pratica il contrario. Insegna ella a pregare per tutti, amare tutti ed obbedire a chi ci sta sopra, per obbedire al volere di Dio, e redime il mondo davvero. Si fa dunque nell’Epistola lettura della parola di Dio. Il sacerdote, a nome del popolo e col popolo, ha parlato a Dio nell’orazione; ora Dio si abbassa qual padre a dare avvisi, a seconda dei bisogni, a’ suoi figliuoli col far leggere la scrittura da Lui dettata. Egli coglie l’occasione dalla solennità del mistero, che si va celebrando per ispirarci sentimenti di confidente umiltà, e di salutare terrore. Ci spaventa; ma poi ci consola, ci minaccia l’inferno; ma è per darci il Paradiso. Così l’Epistola vuol dire che la parola di Dio è come una lettera, che il Signore ci scrive dal Cielo, per mostrarci la strada del paradiso…Oh! ascoltiamo questa amabile parola, quando ce la fa leggere e predicare; è parola di un Padre: lo comprendiamo nei detti! Egli ci parla del suo amore, ci fa la storia della sua bontà; ci tratta coi maggiori riguardi, e piuttosto che rimproverarci le infedeltà presenti, senza toccare direttamente un argomento per Lui di troppa amarezza e di troppa confusione per noi, espone coi più vivi tratti le infedeltà dell’antico suo popolo incirconciso di cuore; e nel ricordare le misericordie usate ai passati, cerca d’intenerire noi presenti col sentimento delle nostre miserie e della sua bontà. In tante finezze d’amore, Dio sì ci pare proprio un padre, che ha bisogno che siano salvi i suoi figliuoli! – Ben viene all’uopo qui raccontare un bel fatto, che contiene una grande lezione. Un dì san Francesco da Paola riceveva dal re di Francia, Luigi XIII, una lettera scritta di sua mano. I suoi discepoli, meravigliando l’alto onore, che ne veniva al loro buon Padre, facendogli festa intorno, gli ripetevano ammirati: » Deh! che gran degnazione? Un gran re scrivere a Voi, o Padre! ve? la lettera è scritta proprio di suo pugno! che gloria pel Padre nostro! » Ma egli « O uomini di poca fede, disse loro, voi fate le meraviglie, che un re uomo abbia scritto ad un altro uomo suo fratello; e che mai sono i re più grandi innanzi a Dio? Sono coronata polvere! e poi voi non vi meravigliate, piangendo per consolazione della bontà del Signore del Cielo, che ha scritto le sue lettere a noi, poverine sue creature? » – Ecco il rito della lettura nella Messa solenne. Il suddiacono colle mani giunte, preceduto dall’accolito, si avvia a prendere dalla credenza al fianco dell’altare, con tutto rispetto, il santo libro dell’Epistola; torna mostrandolo, sollevato fra le mani, quale oggetto della più grande venerazione; s’inginocchia dinanzi alla Croce, come per chiedere la benedizione, e in mezzo al silenzio e all’attenzione di tutti legge questa lettera di Dio. Il popolo siede; e questa comoda posizione esprime l’intenzione della Chiesa, la quale voleva che i fedeli, per ascoltare la parola di Dio, cessassero da qualunque altra occupazione, avendo in altri tempi pure i Concili generali espressamente proibito di far altra orazione, e di altrimenti distrarsi mentre si leggeva l’Epistola. Noi dobbiamo eseguire qui quanto ci suggerisce lo Spirito Santo: cioè sederci solitari, e nel silenzio del tempio meditare le verità, che Dio ci ha fatto conoscere. – Compiuta la lettura, il suddiacono porta con ugual rispetto a consegnare il santo libro al Sacerdote, il quale è il vero depositario della parola di Dio. Gli s’inginocchia dinanzi, e gli bacia la mano per esprimere, con quell’atto di riverenza e di tenerezza, la gratitudine di tutti i fedeli, e per la grazia ricevuta d’aver avuto fra le mani, da poter leggere ed ascoltare, la lettera loro spedita dal Cielo. – Ora almeno il buon Cristiano ascolti questa lettura, perché talvolta un’espressione, un accento di quella parola divina, accompagnata dalla grazia, tocca vivissimo, qual dardo d’amore, il cuor del fedele in un istante di misericordia: talvolta è come un lampo che scopre nell’anima l’orizzonte dell’eternità, e manda in dileguo gl’inganni del tempo. Potrà pure accompagnare la lettura dell’Epistola con leggere la lezione stessa nelle traduzioni in lingua volgare, approvate dalla Chiesa e commentate dai Santi; od almeno in santo raccoglimento gemere col cuore con Dio così: « Ecco, l’anima mia è come una povera terra senz’acqua, che sì consuma nella sua aridità! Deh! dalla lettura della vostra parola ci cada solo una stilla di celeste consolazione a conforto di vita spirituale. » Non accontentiamoci d’assistere in Chiesa alla lettura dell’Epistola, ma nelle nostre case prendiamo la benedetta usanza di leggere in famiglia qualche buon libro spirituale. Così noi potremo ascoltare sovente il gran Padre nostro celeste, che nel parlarci pel suo Verbo, ci comunica le sue grazie. – Nei secoli di fervore, quando non sì conosceva questo meraviglioso trovato della stampa, si credeva di non potersi altrimenti spendere meglio il tempo di una vita devota a Dio negli eremi e nei monasteri, che nel fare copia di questa grande, preziosissima lettera di Dio, agli uomini, che è la santa Scrittura. La bellezza dei manoscritti sulle pergamene, abbellite dalle miniature più preziose e del più finito lavoro, è il monumento della pietà di quegli uomini, che, vivendo una vita da angeli, e, tenendosi stranieri al mondo, pure s’interessavano tanto del bene delle anime di tutti i loro fratelli. Anzi non si deve il mondo scordare, che noi andiamo debitori della conservazione di quasi tutti gli antichi libri, massime dei classici più pregiati, alla pietà di quei buoni, che passavano la vita nel copiar manoscritti per esercizio di divozione. Veramente intenerisce il leggere come nel monastero fondato da s. Cesario ad Arles, duecento Verginelle (Cantù, Storia Univer., vol 7, an. 526) sposate a Dio, mentre si pascolavano delle celesti delizie col cuor in paradiso, si occupavano a trascrivere libri per istruzione dell’umanità. Ora le nazioni moderne incivilite sì sentono in seno una meravigliosa potenza, che si va propagando, e prende possesso delle intelligenze: compenetra le masse dei popoli, crea in essi le opinioni e li spinge a tradurle in atto, e così la si vede a pigliare sinora nel mondo, perché il mondo è sempre di chi se lo Piglia. Qual è questa potenza? È la stampa, con che si fanno proseliti; e si esercita un apostolato, che a differenza dell’Apostolato della viva parola, non esige grandi sacrifizi, né grandi virtù; eppure vorrebbe farsi più potente di quello. A dir vero, ella spaventa pel modo, che corre a disfreno, mena fragore, e crolla gl’imperi, e minaccia tutto sommergere. La navicella di Pietro non fu mai sbattuta da più terribil bufera. E noi? Saremmo noi gli uomini di poca fede da temere, come i discepoli sul burchiello di Genezaret, d’una soffiata di vento?… Noi no! Perché noi crediamo alla Provvidenza di Dio; sappiamo, che quando ella lascia, che si sviluppi una potenza e comparisca nel mondo, questa arriva sempre per una grande ragione, certamente per soddisfare un bisogno della verità e prestare servigi al suo Verbo. Coraggio; il Verbo di Dio è con noi, la tempesta che freme, è sotto il suo piede, e sol che parli, è ai cenni obbediente. Egli procede, e il turbine che sconvolge la società, è polvere che gli fugge innanzi. Non venga meno l’opera nostra; ché il concorso del nostro lavoro è un elemento voluto nell’ordine della Provvidenza, e deve entrare nell’eseguire il suo disegno. Mano all’opera: siamo tanti milioni! I più studiosi sono ancora gli uomini dell’apostolato divino. I seminari e gli Ordini religiosi, centri della pietà e della dottrina, sono ancora come cenacoli, da cui usciranno uomini, che si faranno udire nelle forme di tutti i linguaggi; mentre della parola di Dio possiamo far echeggiare tante voci, quanti sono molteplici i cenci, che si trasformano in fogli propagatori del pensiero colla stampa. Perciò si spiri la grande parola di essi; e questa, forte della potenza di Dio, rinnoverà la faccia della terra. Diffusa in quei modi, che disponeva Iddio in altri tempi, essa penetrò nella scuola dei dotti, e, mentre s°aggiravano confusamente nell’oscuro cerchio del tempo, li sublimò a contemplare, l’Eterno: animò l’eloquenza, e divenne nei Padri fiamma di carità ispiratrice d’eroismo: illuminò le lettere, e creò le meraviglie dal gran poema cristiano: s’infuse nella legislazione, e nella legge di ferro dell’ingiusta umana giustizia spirò il senso dell’umanità, che ne fece la legge dei popoli inciviliti, che pur con tutti i loro vizi ora si vergognano della poligamia e della schiavitù: insegnò alla storia, e l’ha fatta interprete della Provvidenza di Dio: fece riflettere un suo raggio dentro le arti del bello, e donò alle figure quello sguardo celestiale, e compartì tali grazie, che le sguaiate del paganesimo dovettero appiattarsi in vergogna. Diffondiamo ancora per questo mezzo, che la Provvidenza ci mette in mano questa parola, vera catena, che scende dal trono di Dio, e collega le intelligenze, e le innalza; ponte gettato sul vastissimo abisso, che separa l’intelletto umano dalla ragione divina; germe perpetuo di affetti santissimi, potenza creatrice di pensieri sempre nuovi, tutti belli, e rivelatrice di mondi ideali; luce, che fa comprendere, mentre fa piovere dal Cielo sui cuori le virtù per operare. Le verità che dobbiamo propagare sono fortissime, trovano già un’eco in fondo all’umana, natura, ed un testimonio, che le conferma nelle coscienze. Pubblichiamole coll’accento della pietà, versiamoci dentro il cuore, che il cuore trova sempre un cuor che l’intende. Come siamo nell’unità della fede, così conferiamo insieme la molteplicità dei mezzi, di che possiamo disporre. Tutti Cattolici, facciamo una santa lega, consacrando a difesa della verità l’ingegno, i sudori, le sostanze, la vita; usciamo alla luce del sole a compiere l’alta impresa, che ha per iscopo la sconfitta dell’errore ingannatore, e della corrompitrice viltà. Per mezzo d’associazioni diffondiamo buoni libri in tutti i formati, ed a così minimi prezzi, che possa la domenica averli fra le mani, coll’obolo di che può disporre, la contadinella, ringalluzzita di saper leggere anch’essa. La bellezza delle forme, la vivacità del racconto, l’interesse che vi si trova dentro, anche l’offrirli in dono facciamo che si spargano ovunque. Si dirà per avventura: non li leggeranno. Noi risponderemo: «aspettate, cadranno nelle mani nell’istante provvidenziale, come le vite dei Santi al guerriero Ignazio di Loiola, gettato sul letto colla gamba infranta; come il libro devoto che a consumar la noia dell’indugiar della mensa, leggeva il mercante Giovanni Colombini; libri che furono per essi il principio di loro santità. Così seminata dappertutto darà il frutto al tempo suo, e sarà la parola di Dio nelle famiglie il lievito dell’ Evangelo. Al vitupero ed alle infamie delle stampe in figura, contrappomiam le immagini così care alla cristiana pietà, così eloquenti al cuor del popolo; ed il popolo, che vive in sì gran parte nei sensi, quando si vedrà le immagini dei misteri di Gesù e di Maria, che mai non l’hanno saziato, quando si vedrà nelle immagini dei martiri, negli atti della eroica carità dei santi più sublimi tratti della storia, che onorano l’umanità, il popolo, che pur finalmente non ha voglia di ridere continuamente, resterà annoiato di schifose caricature, con che si vilipende il pudore. Anche quando comparvero i creatori dell’arte cristiana, che irraggiò tante divine bellezze nei quadri di nostra religione, se qualche pedante artista volle ancora far all’amore colle vecchie bellezze del paganesimo, i suoi capi d’opera mandarono troppo fiacco lume, per farsi ancor ammirare. Abbiam detto questo, perché siam nella ferma fiducia, che anche in questi tempi, per la grazia di Dio, e per la nostra cooperazione, la luce l’abbia da vincere sulle tenebre, e che pur finalmente la parola di Dio abbia da ricreare l’umanità. Teniamo caro questo pane delle anime. Senza il conforto della parola di Dio resteremmo abbandonati in questo povero mondo, come soldati senz’armi, come navi senza remi, come augello spennato dell’ali, come cieco che erra all’abbacchiata senza guida che lo meni in via sicura. – Leggiam le vite dei Santi, e troveremo in essi incarnata la parola divina e dipinti i modelli, da cui far ritratto di vita cristiana. Leggiamo le opere scritte dai Santi; familiarizzando colle loro idee, e, conversando pei loro scritti con questi uomini ripieni dello spirito di Dio, ci informeremo del loro spirito di santità. Chi tratta coi Santi diventa migliore. – Mentre il suddiacono depone il libro, ricordiamoci che quel libro ci sarà rimesso innanzi nel gran dì del rendiconto; e vi leggeremo, se non ne approfittiamo adesso: « Vi ho chiamato, e voi non mi ascoltaste; vi ho scritto, e voi non vi curaste delle mie lettere; vi ho offerto il mio aiuto, e voi sprezzaste le mie grazie. Non voleste la parola mia per vostra scorta, l’avrete per giudice » O mio Dio, allontanate da noi questa disgrazia, e fateci accogliere, come il gran dono di vostra misericordia, la santa Scrittura, e i buoni libri spirituali: e noi ve ne rendiam grazie colla Chiesa, che fa alla lettura rispondere:

Deo gratias.

« Grazie a Dio, » risponde il popolo. Questa tenera espressione, insegna s. Bonaventura, noi abbiamo imparata da Maria SS. Era questo il saluto usato colle persone da lei benedette (Tom. 2. op. Med. vit. Christ. cap. 3), che c’insegnava ad avere il cuore pieno di tenera gratitudine verso la bontà, con che Iddio ci circonda dei suoi benefizi continuamente. Veramente nelle solenni e care istruzioni Dio si è fatto conoscere nella frazione del pane, come padre alla mensa coi suoi figliuoli: e noi col cuore sulle labbra ringraziamolo della sua parola, che ci ha fatto leggere e predicare. Noi non abbiamo bisogno della vostra alleanza, scriveva Gionata a quelli di Sparta (Macc. XII) a nome del popolo giudeo; giacché avendo noi il tesoro dei libri Santi, essi ci valgono ogni consolazione, e possiamo fare a meno di tutti gli altri tesori umani. E quei generosi erano scampati appena dalla crudeltà di Antioco; erano costretti d’intorno da nazioni nemiche, non avendo più né Arca, né Tabernacolo di Dio, in pericolo di cader vittima dei loro nemici; pure in quegli estremi bastava loro tenersi stretti alla parola di Dio. Noi dobbiam dunque ringraziarlo vivamente col Deo gratias di poter leggerla ogni dì, e farne pascolo delle anime nostre; più di loro fortunati, che dappertutto ci riscontriamo in uomini di Dio, che ce l’annunziano in nome suo, noi, che stiamo serrati intorno al Papa, l’immancabile, depositario del Verbo Divino. – Qui vien bene di ricordare un bellissimo costume di cristiana pietà (s. Bonav. loc. cit.), di cui troviamo ancora una traccia nelle nostre campagne. Anche in oggi i poveri contadini, ricchi di evangelica semplicità, quando battono alla porta del ricco, mettono innanzi questa parola: « Deo gratias. » È un segnale di rispetto? O è la grazia, che domandano, di poter entrare, quasi sappiano di poterla ottenere, mettendo innanzi la memoria di Dio fatto uomo? Con questa parola d’introduzione pare a noi, che dicano con umile ma dignitoso contegno: « Se io ardisco di presentarmi a trattar con voi, lo faccio, perché mi ricordo, che il Signore ci ha mostrato che grandi e piccoli siam tutti fratelli in Gesù Cristo. » In alcuni paesi ancor si comincia col Deo gratias il saluto a Maria alla mattina, a mezzodì e alla sera; e come l’Epistola figura i discepoli, che precedevano Gesù ed anche il Precursore s. Giovanni Battista, così questa parola significa pure il saluto e le benedizioni e le grazie che portò Maria nella casa di s. Elisabetta; grazie che porta ancora all’anime nostre il Signore che discende a parlar con noi in questa occasione. Troviamo pure, che il Deo gratias era come parola d’ordine ed il segno di convenzione, con cui s’intendevano i Cristiani cerchi a morte nel tempo della persecuzione. Quando s’incontrava alcuno, che si credeva potesse essere seguace di Gesù Cristo, quegli a cui premeva conoscerlo, gli si faceva presso, e dicevagli adagio all’orecchio: « Deo gratias. » Se quegli era Cristiano, gli rispondeva con una stretta di mano, sottovoce: « Deo gratias. » Ringraziavano quei buoni l’un per l’altro il Signore, che gli avesse eletti all’onore di seguirlo in quel tempo di prove. E una tenerezza il pensare a quei generosi, che, stipati nelle prigioni, e già consacrati alla morte, quando si aprivan quelle porte di ferro, ed un nuovo compagno entrava in quelle carceri orrende, facevano festa, ringraziando, e benedicendo il Signore. S. Ilariano (Surius, Vita ss. Satur. ecc. 11 Feb.), giovinotto in fior di vita, tornava dal combattimento carico di catene per aver confessato intrepido di essere Cristiano. Presentato sulla porta della prigione grondando sangue, mandò col saluto il cuore ai suoi fratelli, esclamando: « Deo gratias: Grazie a Dio; » perché gli concedeva di divider con loro i ceppi e la morte. E tutti a gara a stendergli le braccia incatenate, non potendo pei ceppi muoversegli incontro, accoglierlo colle grida di giubilo. Era una lietissima festa, dice la storia, un’esultanza che mai la maggiore, era un cotal gaudio da non potersi dire, che esprimevano quelli col ripetere misto alle lacrime « Deo gratias Deo gratias. » Che belle grazie, e quanto eran gradite a Dio!

Graduale.

Il Graduale è come una conseguenza della seguita lettura dell’Epistola. Commossi dalla ascoltata parola di Dio tutta piena di altissimi sensi, pieni di cuore delle ispirazioni dello Spirito Santo, davano sfogo per alcun tempo alla comunione dell’animo. Erano accenti di meraviglia o di gaudio; o erano espressioni di dolore, che si scambiavano tra loro a vicenda; od era un applauso alla virtù, che si commemorava in quell’istante. La Chiesa si fa ora col Graduale interprete dei pensieri, in cui lavora in segreto l’anima nostra, quando gusta il cibo della parola di Dio dentro di sé. Il graduale adunque fu introdotto nella Messa per acclamare la santa lezione; e molti pensano che Graduale s’appelli, perché costumavasi cantare nel tempo in cui ascendeva il diacono su pei gradini del pulpito: o perché forse veniva cantato sui primi gradini di esso (Raban. De iust. cler. lib. I, cap. 33, de ord. miss.); intrattenendosi con questo il popolo, mentre sì preparavano i ministri per la lettura dell’Evangelo.

Tratto.

Nei tempi poi di duolo e di penitenza, al Graduale s’aggiunge il Tratto, il quale è un lamento, una querimonia, un’elegia, che si canta n modo stridulo, perché esprime il mesto gemito di quei fervorosi Cristiani, che tutti compresi nei giorni di compunzione e di penitenza, sfogano il dolore a piè dei gradini dell’altare, alimentandosi colle preghiere nel digiuno, gementi con clamore (Tertull., De Pœn. cap. 9) dì e notte al Signore: e di quelli non men fervorosi penitenti, che a questo punto erano costretti ad uscir di Chiesa a piangere le loro colpe. Perciò questa parola Tratto significherebbe la tristezza di quelli, che a malincuore abbandonavano il santo altare, da cui venivan come trascinati lontano dai propri peccati; essendo fatti uscire dal santuario dopo la lettura, per ascoltare la quale, solo si permetteva restassero finora. – Innocenzo III dice che il Tratto esprime le miserie della vita presente (Miss. Mis. lib. 2.). Per entrare a parte dei sentimenti della Chiesa, noi non potremo far meglio, che procurare di intendere e mandare a memoria questi gemiti di compunzione devota, queste espressioni energiche suggerite dallo Spirito Santo, e farne oggetto delle nostre meditazioni in quei giorni che l’ascoltiamo. Ah! quanto diverso era il costume degli antichi fedeli, che vegliavano le notti, nonchè passavan gran parte del giorno nelle chiese, e si preparavano or con sante lezioni, or con canti, or con mistiche benedizioni, or con lagrime di vivissima contrizione, a celebrare le più grandi solennità, ed onorar la memoria dei misteri di nostra salute.

Sequenza.

Quel ritmo, o canto, od inno, che si canta alcune volte in seguito all’Epistola, chiamasi, Sequenza, appunto perché segue l’Epistola. Credesi introdotta dal beato Nogero abate di S. Gallo nella Svizzera; che molti distinguono da un altro Nogero di Liegi, il quale pur dedicò un libro di Sequenze a Lituardo Vescovo di Vercelli, che furono poi approvate da Nicolò I sommo Pontefice, a cui furono da lui inviate. Si chiamavano le Sequenze anche giubilazioni. Or se ne cantano cinque solamente: una nell’Ottava di Pasqua, di cui si crede autore Roberto Re de’ Franchi (Card. Bona, Pi. lit. lib. 2, cap. 6, n.9.), ed è tutta piena di santa letizia; è un giubilare vivace per la risurrezione. Essa incomincia: Victimæ paschalis ecc. ecc. L’altra nell’ottava di Pentecoste, che incomincia: Veni, Sancte Spiritus; ed è una delle più soavi e più devote orazioni, piena della maggiore unzione; degna proprio d’essere presentata all’autore della grazia, come un vero inno all’Eterno Amore. Da alcuni n’è detto Autore lo stesso b. Roberto, da altri il b. Ermanno nel secolo XI (Durandus, lib. 4, et Bened. XIV, De sac. Miss. lib. 2, cap. 5, n. 18.): ed alcuni la dicono opera del Papa Innocenzo III (Card. Bona, loc. cit.), il quale compì la gloriosa sua carriera nel celebre concilio di Laterano (nell’anno 1215 da lui convocato e presieduto), dopo di avere dato solenni lezioni ai re sui loro doveri. –  La terza è per l’ottava del Corpus Domini, composta da s. Tommaso con tale semplicità di linguaggio, e tanta esattezza teologica di espressioni, che è  al tutto degna di quella angelica mente. –  La quarta è il Dies iræ nella Messa dei morti. Di questo sublime grado di terrore vuolsi autore il Card. latino Orsino Frangipane (Bened. XIV, loc. Cit.), o Tommaso di Celano discepolo di s. Francesco (Cantù). Essa è una terribile elegia, e forse il cantico più imponente che si possieda. Certo non si poteva meglio interpretare il gemito del popolo, che crede, che spera e sente il terrore l’ira di Dio pel dì del tremendo giudizio, nell’atto che prega sulle tombe de’ suoi morti, come sulle tombe dell’eternità. Diresti che di là si vede ai piedi spalancato l’inferno sopra il capo il terribile Giudice, e tutto l’orrore della vendetta divina innanzi. Col tremito dello spavento si slancia alla Croce di Gesù Cristo, per trovare uno scampo alla perdizione, che minaccia di divorarlo: or questo canto è un grido di terrore che termina in un gemito di pietà, con cui i fedeli cercano uno scampo fra le braccia del Salvatore di tutti. – Finalmente i dolori della Madre divina a piè del patibolo è lel suo Figlio potevano mancare di un cantico nella poesia del popolo, che n’è sì tenero? Essi l’ebbero nello Stabat mater, che inspirarono.  In esso il Pontefice Innocenzo III (Cantù), espresso i più veri sentimenti della gran famiglia, di cui era capo e il più degno interprete. In esso il popolo colla più viva immaginazione vede la Madre sua Maria addolorata, 3bagnata del sangue, che gronda della croce del suo Gesù; in esso il popolo le si getta a’ piedi, e si sprofonda con lei in quel suo mar di dolori; in esso il popolo caramente l abbraccia; ed è una pietà il sentirlo col pianto supplicarla, che stampi nei cuori le piaghe del suo e del loro Gesù, e chiederle colle lagrime, che nell’ora dell’agonia metta le anime in quel costato, che ha comune la sua piaga col cuor trafitto di lei; affinché dalla morte le porti salve in paradiso! –  Deh! se il canto è dell’affetto del popolo la più naturale e più viva espressione, qual impronta di grande verità sentita, quali concetti sublimi e teneri in questi cantici, che dovevano un dì essere in bocca di tutti! Che popoli dovevano essere quelli, che si esprimevano così! Ora il popol nostro in quali canti esprime la poesia dell’affetto suo? E quale !… Siam pure poverini per ogni riguardo! Ma è sempre ricca la Chiesa in santità di affezione, e beato a chi vi partecipa. Come intanto debba essere benedetta la Religione, che le consolazioni, i dolori ed anche lo spavento compone in celeste armonia! – Ella termina i graduali e le sequenze, tranne quella del Dies iræ, coll’alleluia.

L’ Alleluia.

In tutti i giorni dalla Pasqua alla Pentecoste la Chiesa esulta per la risurrezione di Gesù Cristo. Rapita tutta nella solennità del mistero non vuol essere distratta da altro pensiero; e tutta piena di esultanza, appena si lascia andare ad una aspirazione o giaculatoria nella lettura fatta, e subito negli slanci del cuore altro non fa che ripetere: « Alleluia Alleluia: Lode a Dio. » Questi sono altrettanti evviva allo Sposo divino, che della morte ha trionfato. A questo pensiero la Chiesa si abbandona come ad un santo delirio; e fra gli impeti di tanta esultazione ha più brevi i graduali ed interrotti dai gioviali Alleluia. Anzi in questo tempo pasquale non solamente tra l’una e l’altra azione nella Messa, ma pure anche in tutte le funzioni tra l’uno e l’altro coro, tra l’una prece e l’altra, e fino tra l’una e l’altra espressione si esilara in tanti Alleluia. È bello il considerare qui, che l’amor di Dio, come nella Cantica, prende una cotale forma umana da poterlo assomigliare all’amore d’una casta sposa terrena. Questa affettuosa, quando derelitta dallo sposo, cui lo squillo di guerra chiamò sul campo delle battaglie, nella sua cameretta solinga e mesta, col fervore della immaginazione vede in mezzo all’orrida mischia, tra il fischiar dei globi infuocati ed il tempestar della morte lo sposo diletto, e se lo figura innanzi ahi! squarciato nel fianco da una fulminea palla versare per terra le viscere insanguinate; allora si straccia i capelli, corre forsennata per la cameretta, e chiama lo sposo morente. Ma quando appunto come per incanto esso le appare dinanzi glorioso della vittoria, ella mette un grido, che non è una parola; ma dice assai più d’ogni parola umana. Così pure mentre la Chiesa è tutta nel meditare la passione e morte del suo Gesù; e Gesù all’improvviso le appare Innanzi nella gloria di Pasqua risorto; ella mette un grido di gioia nel fervoroso Alleluia; ed in tutto il tempo, in che lo festeggia in trionfo, nell’estasi del celestiale suo gaudio, il cuore le batte sì vivo che non ne può frenare gli slanci; e la gioia con impeto scoppia ad ogni istante in Alleluia; onde pare dica tratto tratto: « E risorto, si veramente! evviva, evviva! lode a Dio, Alleluia! ». – Giacché abbiam toccato degli Alleluia, che si cantano nel tempo pasquale, appunto dell’Alleluia daremo qui una breve storia, che è bene conoscere per comprendere il senso di questa vivace espressione, con che la Chiesa pur nel corso dell’anno, conversando con Dio, spesse volte si va espandendo. Gli Israeliti usarono fin dagli antichi tempi di cantare « Alleluia » « Lode a Dio » (e si vuole che primo l’usasse David nell’iscrizione del Salmo 104). Per quel popolo così prediletto dal Signore, per cui Dio era duce, difensore, pastore, re, padre e tutto, gli evviva dovevano naturalmente terminare tutti in Dio. Oh sì! quando alcun sentimento di tenerezza commoveva quel buon popolo vivamente, egli doveva esclamare: « giubiliamo: ma con chi mai giubileremo noi meglio, che in seno al Dio de’ padri nostri, che tanto ci predilige? » E l’Alleluia veniva appunto a dire così. Quanto conviene adunque alla Chiesa questo cantico con Dio, che le è Sposo. Emanuele, cioè Dio è con noi: Alleluia; a lui la lode del più sentito amore! Lodiamo adunque anche noi, dice s. Agostino (De temp. serm. 151, cap. 6), o carissimi, il Signore; diciamo Alleluia, cioè lodiam non solo colla voce, ma diamogli lode col buon costume, lode colla lingua, lode colla vita. Egli è vero che per noi poveri peccatori starebbe meglio aver sempre in bocca: « misericordia, perdono, abbiate pietà, o Signore! » ma noi cantiamo Alleluia, e due volte Alleluia, osserva pure lo stesso s. Agostino (Enarr. in Psal. 106.), perché se reo e cattivo è l’uomo, fedele e misericordioso è Iddio; e queste ripetizioni esprimono il desiderio vivissimo, che si avveri ciò, che tanto ci fa esultar col pensiero, appunto come si dice: « Amen, amen, sì, si; fiat, fiat, avvenga e sia fatto. » Riccardo di S. Vittore dice o ancora (Sup. Apoc. lb. 6, cap. 3.) che si usa ripetere questa acclamazione, e pare che la Chiesa non finirebbe mai di dire: « Alleluia, » per significare l’eternità, e l’armonia del cielo colla terra. Perché, come dice ancora s. Agostino (Enarr. iu Psal. 106), in cielo si danno lodi a Dio, come qui sono lodi a Dio: là dagli Angioli in sicurtà; qui dall’animo in timore, ma pur confortate dalle più care speranze. « Alleluja » cantano essi nella patria del cielo; « Alleluja » cantiamo noi qui sopra via per arrivarvi; « Alleluia » essi in gloria; noi « Alleluja » nel combattimento, che ce l’acquista; « Alleluja » essi in beatitudine in seno a Dio; « Alleluja » noi qui con Gesù sull’altare, che è la scala per arrivarvi. E intanto illi canentes jungimurAlmæ Sionis æmuli. Cioè concittadini del cielo, candidati del paradiso, uniamo fino da quest’ora coi loro i nostri cantici, che speriamo di pur cantare insieme con essi in beatitudine con Dio. –  Qui s’intende perché l’Alleluia si tace dalla Settuagesima sino a Pasqua; quel tempo significa il tempo trascorso dalla caduta del genere umano, che ebbe la morte col peccato in Adamo, sino al tempo da risorgere alla vita per la risurrezione di Gesù Cristo (Rubertus Abbas, De dir. Off. lib. 1, cap. 14): quando comincia appunto il vero tempo di evviva, e di lode a Dio per l’intiera umanità, destinata a glorificare Dio in paradiso.

IL SACRO CUORE DI GESÙ (61)

IL SACRO CUORE (61)

J. V. BAINVEL – prof. teologia Ist. Catt. Di Parigi;

LA DEVOZIONE AL S. CUORE DI GESÙ-

[Milano Soc. Ed. “Vita e Pensiero, 1919]

PARTE TERZA.

Sviluppo storico della divozione.

CAPITOLO SETTIMO

DALLA MORTE DI MARGHERITA MARIA AI NOSTRI GIORNI

II. – LA FESTA DEL SACRO CUORE

Nel 1726 si credette venuto il momento di riprendere la causa a Roma. Il Re di Polonia, al quale si unì più tardi il re di Spagna, i vescovi di Cracovia e di Marsiglia e le Visitandine, si rivolsero a Benedetto XIII, per ottenere la festa e l’ufficio proprî. La divozione ormai era diffusa in tutta la Chiesa, cara ai Vescovi ed ai popoli; si ricordava il desiderio espresso da nostro Signore a santa Margherita Maria. L’anima del movimento era il P. Galliffet, assistente di Francia a Roma, postulatore della causa. Pubblicò in latino il suo libro sul sacro Cuore e preparò tutti i materiali alla perfezione. Si credeva assicurato il successo. Prospero Lambertini, il futuro Benedetto XIV, era allora promotore della fede. Il P. Galliffet lo credeva favorevole alla causa. Eletto Papa, egli accettò la dedica di una edizione nuova del libro di Galliffet e concesse con liberalità bolle in favore delle confraternite del sacro Cuore. Ma non pare che fosse per una nuova festa. In tutti i casi, fece coscienziosamente la sua parte « di avvocato del diavolo ». Le obbiezioni furon quasi le stesse, che trent’anni prima: la festa era nuova; il caso di Margherita Maria non era risolto; una volta lanciati su questa via, dove ci si arresterebbe? Galliffet aveva la risposta per tutto. Ma Lambertini portò a viva voce ai Cardinali una ragione, che li impressionò ancor più. La causa supponeva, o almeno pareva supporre, secondo le spiegazioni del P. Galliffet, che il cuore fosse l’organo del sentimento. Ora quella era, disse il Lambertini, una opinione filosofica discutibile e discussa, in cui non bisognava compromettere la Chiesa. Soprattutto questo fece esitare (È ciò che dice Benedetto XIV stesso raccontando il fatto. Sant’Alfonso dei Liguori spiega le cose nella stessa maniera. Bisogna riconoscere che, su questo punto, il P. Galliffet si prestava alla critica. Vedi più sopra.). Per non dire no, la sacra Congregazione rispose, il 12 luglio 1727: Non proposita. Malgrado tutto ciò si insisté, si ritornò alla carica. Il 30 luglio 1729 essa rispose: Negative. Fu una gran delusione. Frattanto, la divozione faceva la sua strada, malgrado i clamori dei giansenisti e dei filosofi. La regina di Francia, Maria Leczinska, aveva preso a cuore la cosa, umilmente e piamente. Da quasi tre anni ella insisteva presso Clemente XII, per ottenere alfine il suo consenso; pareva prossima ad ottenerlo, quando il Papa morì. Era appena nominato il suo successore che ella gli scrisse, il 3 ottobre 1740. Benedetto XIV, non era per le nuove feste; si accontentò di mandarle delle immagini del sacro Cuore, ricamate d’oro e di seta. In questo tempo il movimento si propagava. Le suppliche arrivavano da tutte le parti, dalla Polonia, dalla Spagna, dall’America, dalla Germania, dall’Italia, dall’Oriente. Nel 1765 Clemente XIII riprese la causa. Il Memoriale dei Vescovi polacchi fu presentato alla Sacra Congregazione dei Riti da G. B. Alegiani. Con le repliche alle « eccezioni » del promotore della fede è un trattato della devozione al sacro Cuore, largamente ispirato a Galliffet. Vi si spiega l’origine, lo sviluppo, la natura del culto. Vi si segnala l’esistenza di almeno 1090 confraternite del sacro Cuore stabilite nel mondo intero, la diffusione universale del culto, le approvazioni vescovili, l’accettazione da parte di quasi tutte le congregazioni religiose. Il Memoriale termina con la domanda di una festa con Messa e Ufficio proprî. Si vorrebbe che fosse data per la Chiesa universale, o almeno per tutti i regni, provincie o diocesi che hanno espresso lo stesso desiderio. Ma per essere più sicuri di ottenerla, ci si contenta di chiederla per la Polonia, per la Spagna, per l’Arciconfraternita del sacro Cuore stabilita a Roma e per tutte le Confraternite affiliate; c si supplica che la festa sia fissata al venerdì che segue l’ottava del SS. Sacramento. – Il 25 gennaio 1765 la Sacra Congregazione dei Riti dava, alla fine, il decreto tanto desiderato. Considerando la diffusione universale del culto, i brevi già rilasciati in suo favore, le confraternite costituite, si ampliava il culto già esistente, dandogli una festa, dopo avere espressamente richiamata l’attenzione sull’allontanarsi così dal decreto del luglio 1729. Il 6 febbraio Clemente XIII approva il decreto. L’11 maggio dello stesso anno la Sacra Congregazione approvava la Messa e l’Ufficio per la Polonia e per l’ Arciconfraternita. Il 10 luglio, le Visitandine ottenevano la festa per loro. In Francia, l’anno stesso del decreto, la festa fu ricevuta quasi ufficialmente dall’Episcopato e presto fu stabilita in quasi tutte le diocesi. La pia regina era intervenuta. All’Assemblea del clero, nel luglio 1765, l’Arcivescovo di Reims, che presiedeva, fece parte in nome suo del desiderio ch’ella avrebbe di veder stabilire, in tutte le diocesi, in cui non lo sono ancora, la divozione e l’Ufficio del sacro Cuor di Gesù ». Egli non dubitava, aggiunse, « che l’assemblea (Erano 32, da ciò che si apprende dalla pastorale di Mons. de Pressy), non sentisse tutto il vantaggio di stabilire queste pie pratiche e non si affrettasse ad autorizzarle con una deliberazione conforme ai voti di Sua Maestà ». Dopo di che, continuano gli atti, « tutti i Vescovi che compongono l’assemblea, egualmente penetrati dal profondo rispetto e dalla venerazione che son dovuti non meno alle virtù eminenti di Sua Maestà, che al suo augusto rango, e volendo, per quanto sta in loro, secondare uno zelo così edificante, hanno unanimemente deliberato di stabilire nelle loro rispettive diocesi la devozione e l’Ufficio del sacro Cuore di Gesù e d’invitare con una lettera circolare gli altri Vescovi del regno, a far lo stesso, nelle diocesi dove questa devozione e questo Ufficio non sono ancora stabiliti ». – Così fu fatto. La circolare fu inviata, e quasi da per tutto la festa fu tosto stabilita. Vi fu, in questa occasione, un gran numero di Pastorali vescovili, che spiegavano la devozione e ne mostrarono il valore. Da tutte le parti si chiese la festa; bastava domandarla per ottenerla. In breve, nel 1856, la Sacra Congregazione dei Riti poteva dire che non vi era quasi più una Chiesa al mondo che non avesse ottenuto il privilegio. Però non era che un privilegio; la festa era concessa, non prescritta. Fu soltanto nel 1856 che Pio IX, dietro domanda dei Vescovi di Francia riuniti a Parigi per l’occasione del battesimo del principe imperiale, estese la festa alla Chiesa universale, sotto il rito doppio maggiore (Decreto 23 agosto 1856). – Nel 1864, la beatificazione di Margherita Maria dava un’alta sanzione al culto, quale si era propagato. Poiché i documenti, il decreto di beatificazione, l’orazione della beata, le lezioni della festa, affermavano tutti nettamente che Gesù aveva scelto l’umile Visitandina di Paray per esser l’apostolo del sacro Cuore, per rivelarci per mezzo di lei il suo immenso amore e spingerci a rispondere, onorandolo sotto il simbolo del Cuore. – Frattanto la divozione cresceva e da tutte le parti si chiedeva una festa più solenne. Il Papa l’accordava spesso ad un paese, ad una diocesi, ad una congregazione religiosa. Ma soltanto il 28 giugno 1889 la festa fu elevata, per tutta la Chiesa, al rito doppio di prima classe. Il 23 luglio 1897 un altro decreto permetteva di rimettere la solennità alla domenica. Così si adempié il desiderio espresso da nostro Signore nella grande apparizione. La festa è stabilita nel mondo intero, stabilita con il suo carattere di riparazione e di ammenda onorevole. La solennità esteriore non è ancora in tutti i luoghi tutto ciò che potrebbe essere; ma vi sono poche feste che abbiano come questa tanta influenza sulle anime!

III. – ESTENSIONE DEL CULTO PUBBLICO SOTTO PIO IX E LEONE XIII

Con la festa, le anime devote al sacro Cuore hanno sempre desiderato la consacrazione e l’ammenda onorevole. L’ammenda onorevole non ha una storia, almeno per quel che essa si distingue dalla consacrazione; si è naturalmente incorporata alla divozione e ne è come parte integrante. Lo stesso avviene, in certo modo, della consacrazione. La santa la chiedeva come uno dei primi atti della divozione e le dava il senso di una donazione totale e irrevocabile agli interessi del sacro Cuore. Nel messaggio del sacro Cuore al re l’idea di consacrazione ha il suo posto. Gli scabini di Marsiglia rinnovano solennemente, dopo il 1722, la consacrazione della città. Se il voto di Luigi XVI è autentico, il re avrebbe promesso di pronunziare un atto solenne di consacrazione della sua persona, della sua famiglia e del suo regno al sacro Cuore di Gesù. Nel nostro secolo, specialmente dopo il 1850 circa, questa idea è divenuta familiare alla pietà cristiana. I Vescovi consacrano le loro diocesi; alcuni Stati, come l’Equatore (nel 1873), le Congregazioni religiose, le associazioni di tutti i generi si consacrano solennemente al cuor di Gesù. D’ordinario è nelle grandi calamità che ci si rivolge al sacro Cuore. Margherita Maria, non aveva mostrato esser là il gran rimedio alla desolazione del regno? Marsiglia non vi aveva trovato la sua salvezza? Ma la devozione non ha solo motivi interessati. L’amore ne è il movente. –  Nel 1870-1871 furono fatte grandi petizioni a Pio IX, perché facesse della festa del sacro Cuore una festa di prima classe e consacrasse la Chiesa intera a questo Cuore amabile. Le petizioni continuarono negli anni seguenti. Nel 1874, all’avvicinarsi del secondo centenario della grande apparizione a Margherita Maria, Mons. Desprez, arcivescovo di Tolosa, come Vescovo della città, dalla quale si diffondeva nel mondo l’Apostolato della preghiera, scrisse a tutti i Vescovi del mondo cattolico; egli ricordava la supplica presentata a Pio IX, verso la fine del Concilio, firmata da quasi tutti i Vescovi e superiori di Ordini religiosi e da più di un milione di fedeli; spiegava perché la cosa non era riuscita fino ad allora; assicurava che una supplica dei Vescovi sarebbe ben ricevuta a Roma, e ne mandava una formula preparata con cura, per evitare le ambiguità di linguaggio che avevano fatto difficoltà per il passato. – Nel mese d’aprile 1875, il P. Ramière, direttore dell’Apostolato della preghiera, che era stato l’anima del movimento, offriva al Papa la petizione sottoscritta da 525 Vescovi. Vi si domandava:

1. Che Sua Santità si degnasse scegliere un giorno in cui, nella basilica vaticana, con tutta la solennità possibile, Sua Santità consacrerebbe per sempre al sacro Cuore la città e il mondo (urbem et orbem);

2. Che ordinasse per lo stesso giorno, nel mondo intero che tutti gli aggruppamenti cattolici, diocesi, parrocchie, missioni, congregazioni e comunità religiose, case di educazione, ecc. facessero, per bocca dei loro rispettivi superiori, la medesima consacrazione con tutta la solennità possibile;

3-5. Che volesse prescrivere degli esercizî preparatorî, dare delle indulgenze, comandare che tutti gli anni si rinnovasse tale consacrazione.

La sesta domanda aveva per oggetto l’elevazione della festa al rito di prima classe con ottava, come festa patronale di tutta la Chiesa. – Il Papa non credette di dovere intervenire con la sua autorità. Ma, per dare qualche soddisfazione a questi pii desideri, egli incaricò la sacra Congregazione dei Riti di inviare da per tutto una formula di consacrazione, approvata da lui e che Egli proponeva a tutti quelli che vorrebbero consacrarsi al sacro Cuore. Questa unità di formula mostrerebbe l’unità della Chiesa; lasciava ai Vescovi la cura di tradurla e di farla pubblicare, se lo giudicavano. Egli esortava i fedeli a recitarla, in privato o in pubblico, il 16 giugno 1875, secondo centenario, presunto dell’apparizione; ed accordava l’indulgenza plenaria a quelli che lo farebbero. – Il Papa infine dava commissione al P. Ramière di comunicare il decreto della sacra Congregazione, con la formula di consacrazione a tutti i Vescovi del mondo cattolico. Si vede che il Papa aveva coscienza della gravità della cosa, come dice il Decreto: gravitatem rei coram Deo animo reputans; egli valutava, incoraggiava, ma non voleva prendere l’iniziativa e tanto meno comandare, lo slancio dei fedeli fu ammirabile. Il 16 giugno 1875 fu una delle più grandi solennità che il mondo cattolico abbia visto, un bel trionfo del sacro Cuore: Margherita Maria dovette trasalirne di gioia!Leone XIII doveva preparargliene una ancor più magnifica, la consacrazione del genere umano al sacro Cuore, alla fine del secolo XIX. Il 25 maggio 1899 l’enciclica Annum sacrum annunciava al popolo cristiano un gran disegno del Papa, da cui egli attendeva, se tutti vi si fossero prestati con accordo e di tutto cuore, frutti grandi e durevoli, prima per la cristianità e poi per l’umanità tutta intera: « Auctores suasoresque sumus præclaræ cujusdam rei, ex qua quidem, si modo omnes ex animo, si consentientibus libentibusque voluntatibus paruerint, primum quidem nomini christiano, deinde societati hominum universæ fructus insignes non sine causa expectamus,eosdemque mansuros ». Egli ricordava ciò che avevano fatto i suoi predecessori per il S. Cuore di Gesù; quel che aveva fatto lui stesso. « Ed ora, aggiungeva, abbiamo invista un atto di divozione, che sarà come il coronamento di tutti gli onori che si son resi fin qui al sacro Cuoree abbiamo fiducia che Gesù Cristo, nostro Salvatore, lo gradirà moltissimo: Nunc vero luculentior quædam obsequii forma observatur animo, quæ scilicet honorum omnium, quotquot sacratissimo cordi haberi consueverunt, velut absolutio perfectioque sit ». –  Ricordava le domande fatte a Pio IX e la consacrazione del 1875. Gli sembrava infine venuto il tempo di consacrare al sacro Cuore il genere umano tutto intero, communitatem generis humani devovere augustissimo Cordi Jesu. Egli motivava la sua decisione mostrando che Gesù è il Re supremo, il Re non solo dei Cattolici e dei battezzati, ma eziandio di tutto il genere umano; e indicava ititoli della sua regalità. Ma ciò che Gesù vuole è il riconoscimento spontaneo di questa regalità, e la consacrazione è precisamente questo. « D’altra parte siccome noi abbiamo nel sacro Cuore il simbolo e la viva immagine dell’amore infinito di Gesù, che ci stimola a riamarlo, è giusto che si faccia questa consacrazione al sacro Cuore, ciò che, dopo tutto, non è altro che consacrarsi a Gesù Cristo ». Ma possiamo noi dimenticare quelli che ignorano Gesù? Noi inviamo loro dappertutto degli apostoli; ma oggi, « toccati dalla loro infelicità, noi li raccomandiamo con istanza a Gesù, e, per quanto sta in noi, glieli consacriamo. Così questa consacrazione (hæc devotio), che raccomandiamo a tutti, sarà utile a tutti, aumentando negli uni la fede e l’amore, attirando sugli altri grazie di santificazionee di salute ». Il Papa mostra, in seguito, che nel cuore di Gesù vi ha la salvezza per le società malate.« In altri tempi, dice egli, la croce apparì a Costantino garanzia e insieme causa di vittoria. Ecco oggi un nuovo segno tutto divino, auspicatissimum divinissimumque signum, il sacro Cuore raggiante, in mezzo alle fiamme. In esso bisogna riporre tutte le nostre speranze; là bisogna chiedere; di là si deve aspettare la salute ».Il Papa aggiungeva che a queste grandi ragioni di ordine generale se ne univa per lui una, tutta personale: Dio l’aveva protetto guarendolo da una malattia pericolosa, egli voleva, da parte sua, insieme con gli omaggi maggiori al sacro Cuore, conservarne il ricordo riconoscente. Ordinava dunque un triduo preparatorio alla festa del sacro Cuore, con preghiere e litanie; e inviava la formula di consacrazione da recitarsi il giorno della festa, ultimo giorno del triduo.L’enciclica era del 25 maggio 1899. Dunque non vi era tempo da perdere. Poiché il venerdì dopo l’ottava del SS. Sacramento cadeva, nel 1899, il 9 giugno, ed essendo la solennità trasferita alla domenica, la consacrazione doveva aver luogo l’11. Ma essa era già annunziata da quasi due mesi. Con decreto del 2 aprile, la sacra Congregazione dei Riti, aveva autorizzato l’uso pubblico delle litanie al sacro Cuore. Fra i considerando vi era questo:« Di più Sua Santità… si propone di consacrare il mondo intero al sacro Cuore. Ora, per dare a questa consacrazione maggior solennità, Sua Santità ha deciso di prescrivere prossimamente un triduo nel quale si canteranno queste litanie ».Questo annunzio non poteva venir prima, perché la decisione non era stata presa che il 25 marzo. Il Papa pensava alla cosa, ma per il 1900. È probabile che il pericolo di morte del quale era da poco scampato, e di cui parla nell’Enciclica, affrettasse l’avvenimento. Malgrado la fretta, il mondo cattolico si trovò pronto, e si sa con quale solennità grandiosa e ad un tempo intima si compì questo atto che Leone XIII chiamava « il più grande atto » del suo Pontificato. Ai primi vespri di questa festa del sacro Cuore, la cui solennità, rimessa alla domenica stava per esser segnata da questo grande atto, moriva sconosciuta, in un convento di Porto, in Portogallo, la religiosa da cui era partito questo immenso movimento, che metteva il mondo ai piedi del sacro Cuore. È uno di quei fatti che illuminano di una luce singolare la storia della Chiesa; e se si trova gusto nel cercare ciò che è nascosto negli avvenimenti umani, salvo non trovarvi spesso altro che meschinità o brutture, quanto più ve n’è nelle cose religiose, dove si vede, quando si sa vedere, il dito d’Iddio! – Il 10 giugno 1898 partiva dal Buon Pastore di Porto una lettera per Leone XIII. La religiosa che la firmava a lapis, con mano malsicura, diceva al Papa di avere ricevuto da nostro Signore l’ordine di scrivergli che Egli voleva che il suo Vicario consacrasse il mondo intero al suo divin Cuore; prometteva, in compenso, un’effusione di grazie. Fece Leone XIII attenzione al messaggio? Si dice di sì. In ogni caso, egli non agì. Non vi sono forse sempre e dappertutto delle teste esaltate che suggeriscono le loro idee come cadute dal cielo? Il 6 gennaio 1899 nuova lettera, scritta in francese « per ordine espresso (sic) di nostro Signore col consentimento del mio confessore ». Vi si leggeva questo: « Quando l’estate scorsa, Vostra Santità soffriva di una indisposizione che, vista la vostra età avanzata, riempì di inquietudine i cuori dei vostri figli, nostro Signore mi diede la dolce consolazione che prolungherebbe i giorni di Vostra Santità affine di realizzare la consacrazione del mondo intero al suo divin Cuore ». – Seguivano altri particolari nello stesso senso. E continuava: « La vigilia dell’Immacolata Concezione nostro Signore mi fece conoscere che per questo novello impulso che deve prendere il culto suo divin Cuore, egli farà brillare una nuova luce sul mondo intero… Mi pareva di vedere (interiormente) questa luce, il cuor di Gesù, questo sole adorabile, che faceva scendere i suoi raggi sulla terra, prima più strettamente, poi allargandosi ed infine illuminante il mondo intero. Ed Egli disse: « Dallo splendore di questa luce, i popoli e le nazioni saranno illuminati e dal suo ardore saranno riscaldati ». – La lettera diceva, in seguito, il desiderio che ha Gesù di vedere il suo Cuore adorabile sempre più glorificato e conosciuto, e di spandere i suoi doni e le sue benedizioni sul mondo intero; la scelta fatta di Leone XIII e il prolungamento dei suoi giorni in vista di ciò, le grazie ch’egli si attirerebbe con questo. « Io mi sento indegna, diceva, di comunicare tutto ciò a Vostra Santità ». Ma si scusava con « l’ordine stretto » di nostro Signore. Spiegava poi perché Egli domandava la consacrazione del mondo intero e non solo della Chiesa cattolica. « Il suo desiderio di regnare, di essere amato e glorificato… è sì ardente, che Egli vuole che Vostra Santità gli offra i cuori di tutti quelli che per il santo Battesimo gli appartengono per facilitare loro il ritorno alla vera Chiesa e i cuori di tutti coloro che non hanno ancor ricevuto la vita spirituale per mezzo del santo Battesimo, ma per i quali Egli ha dato la sua vita e il suo sangue, e che sono ugualmente chiamati ad essere, un giorno, i figli della santa Chiesa, per affrettare, con questo mezzo, la loro nascita spirituale ». Seguivano domande pressanti al Papa perché sviluppasse il culto del divin Cuore: « Nostro Signore non mi ha parlato direttamente, che della consacrazione. Ma… mi pare che gli sarebbe gradito che la devozione dei primi venerdì del mese si accresca, per mezzo dell’esortazione di Vostra Santità al clero e ai fedeli, come pure per mezzo di concessioni di nuove indulgenze ». « Nostro Signore, ripeteva la firmataria, non me l’ha detto espressamente, come quando parlò della consacrazione, ma credo di indovinare questo ardente desiderio del suo cuore, tuttavia senza poterlo affermare ». – La lettera era firmata: « Suor Maria del divin Cuore, Droste zu Vischering, Superiora del Monastero del Buon Pastore, a Porto ». Questa lettera arrivò al Vaticano il 15 gennaio. Il Papa ne fu commosso. Incaricò il Cardinale Jacobini di prendere informazioni. Questi si rivolse al vice-rettore del seminario di Porto. Era precisamente il direttore della religiosa, quello che le aveva servito da segretario per la prima lettera al Papa. La risposta fu che, da per tutto, la riguardavano come una santa; e che vi eran buone ragioni per credere all’esistenza di comunicazioni soprannaturali. – D’altra parte, l’idea sorrideva a Leone XIII, e il 12 febbraio egli diceva a Mons. Isoard il suo pensiero di consacrare al sacro Cuore tutte le diocesi, la Chiesa, l’umanità. Ma egli non volle che l’atto pontificio riposasse su basi contestabili. Il cardinal Mazzella, prefetto della Congregazione dei Riti, messo al corrente di tutto, diceva al Papa: « Questa lettera è molto commovente, e pare davvero dettata da nostro Signore ». « Signor Cardinale, disse Leone XIII, prendetela e mettetela da parte; essa non deve contare in questo momento ». Il Cardinale fu incaricato di esaminare la questione in se stessa. Vi era una difficoltà. Come consacrare gli infedeli che non sono né della Chiesa, né nella Chiesa? Un testo di S. Tomaso fornì la soluzione (Sum., theol., III, q. LIX, a. 4.). In esso è spiegato che non tutti appartengono a Gesù ed alla Chiesa quantum ad executionem potestatis, tutti appartengono a lui quantum ad potestatem. Ciò corrispondeva a quanto aveva detto la religiosa. Ma il passo di S. Tomaso era caratteristico e trovò posto nell’Enciclica. Quando la domenica di Pasqua, il 3 aprile, fu pubblicato il decreto della sacra Congregazione dei Riti autorizzante le litanie del sacro Cuore e annunciante la consacrazione, il Papa ebbe la delicata attenzione di farne pervenire due esemplari, da parte sua, alla Madre Maria del divin Cuore. Tre giorni avanti la consacrazione ella, come Margherita Maria « s’inabissò nel sacro Cuore ». – Il secondo desiderio della Madre Maria del divin Cuore si compì nel mese seguente la sua morte. Il 21 luglio il prefetto della sacra Congregazione dei Riti indirizzava a tutti i Vescovi, a nome del Sovrano Pontefice, un invito che li sollecitava a sviluppare il culto del sacro Cuore, per mezzo di confraternite, con il mese del sacro Cuore, con gli esercizî dei primi venerdì.

AI SANTI MAGI

AI SANTI MAGI

(Per la Festa e l’Ottava dell’Epifania, dal 6 al 13 gennaio)

(G. Riva: Manuale di Filotea, XXX Ed., 1888 – Milano)

I. O santi Magi, che viveste in continua aspettazione della stella di Giacobbe, la quale doveva annunziare la nascita del vero Sole di Giustizia, otteneteci la grazia di vivere sempre nella speranza di vedere spuntato sopra di noi il giorno della verità, la beatitudine del Paradiso. Gloria.

II. O Santi Magi, che al primo brillar della stella miracolosa abbandonaste i patri paesi, per andar tosto in cerca del neonato re de’ Giudei, otteneteci la grazia di corrispondere, come voi, prontamente a tutte le divine aspirazioni. Gloria.

III. O Santi Magi, che non temeste i rigori delle stagioni e gli incomodi dei viaggi per giungere a ritrovare il nato Messia, otteneteci la grazia di non sgomentarci giammai per le difficoltà che si incontrano nella via della salute. Gloria.

IV. O Santi Magi, che abbandonati dalla stella nella città di Gerusalemme, ricorreste umilmente e senza umano rispetto a chi poteva darvi certa notizia del luogo ove si trovava l’oggetto delle vostre ricerche, otteneteci la grazia che in tutti i dubbi, in tutte le perplessità noi ricorriamo umilmente, e fedelmente ci atteniamo al consiglio dei nostri superiori, che rappresentano sulla terra la stessa persona di Dio. Gloria.

V. O Santi Magi, che, contro ogni vostra aspettazione, foste di nuovo consolati dalla stella ricomparsa a servirvi di guida, otteneteci dal Signore la grazia che, rimanendo a Lui fedeli in tutte le afflizioni, meritiamo di essere consolati dalla sua grazia, nel  tempo, e dalla sua gloria nell’eternità. Gloria.

VI. O Santi Magi, che, entrati pieni di fede nella stalla di Betlemme, prostesi a terra, adoraste il nato Re dei Giudei, quantunque non fosse circondato che da indizi di povertà e di debolezza, otteneteci dal Signore la grazia di ravvivar sempre la nostra fede quando entriamo nella sua casa, affine di dimorarvi con quel rispetto, che è dovuto alla grandezza della sua maestà. Gloria.

VII. O Santi Magi, che offrendo a Gesù Cristo, Oro, Incenso e Mirra, lo riconosceste concordemente come Re, come Dio e come Uomo, otteneteci dal Signore la grazia che non ci presentiamo mai colle mani vuote davanti a Lui, ma Gli offriamo anzi  continuamente l’Oro della carità, l’Incenso dell’adorazione, la Mirra della penitenza, giacché senza questa virtù è impossibile incontrare il suo aggradimento. Gloria.

VIII. O Santi Magi; che avvisati da un Angelo di non ritornare da Erode, vi avviaste subito per altra strada alla vostra patria, otteneteci dal Signore la grazia che, dopo esserci con Lui riconciliati nei santi Sacramenti, viviamo lontani da tutto quello che potrebbe esserci occasione di nuovi peccati. Gloria.

IX. O Santi Magi, che, chiamati per i primi fra i Gentili alla cognizione di Gesù Cristo, perseveraste fino alla morte nella profession di sua fede, otteneteci dal Signore la grazia di viver sempre in conformità alle promesse da Lui fatte nel santo Battesimo di rinunziare cioè costantemente al mondo ed alle sue pompe, alla carne ed alle sue lusinghe, al demonio ed alle sue suggestioni, affine di meritarci come voi la visione beatifica di quel Dio che forma qui in terra l’oggetto di nostra fede. Gloria.

ORAZIONE.

Deus, qui hodierna die Unigenitum tuum, Gentibus stella duce, revelasti, concede propitius; ut qui jam te ex fide cognovimus, usque ad contemplandam speciem tuæ celsitudinis perducamur. Per eumdem Dominum, etc.

A GESÙ ADORATO DAI MAGI.

I Magi prostrati ai vostri piedi, o mio Salvatore, sono le primizie della Gentilità. Vi ringrazio mille volte della loro vocazione; essa fu pegno della mia; ma sono io poi altrettanto fedele a corrispondervi, quanto lo furono questi primi apostoli della Religione, miei veri modelli, miei colleghi nella fede? – Ah! Signore, risuscitate in me lo spirito di quella preziosissima grazia la cui memoria mi viene richiamata nell’adorazione dei Magi, di quella grazia inestimabile di cui già mi favoriste con una predilezione speciale, e che troppo sovente ho meritato di perdere dopo di averla ricevuta. La memoria della mia vocazione al Cristianesimo sia per l’avvenire, o mio Dio, il motivo della mia più viva riconoscenza. Le sue massime e le obbligazioni che ella mi impone facciano tutta la regola di mia condotta per meritarmi così il diritto all’eredità dei veri credenti.

Tre Gloria.

L’ANNO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA DEL 2023

L’ANNO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA 2023

1 Gennaio – Circoncisione di Gesù

2 SS. Nome di Gesù

6 Gennaio – Epifania

8 Gennaio – Sacra Famiglia   (Domenica entro l’Ottava dell’Epifania)

15 Gennaio – 2a Domenica dopo l’Epifania

22 Gennaio – 3a Domenica dopo l’Epifania.

29 Gennaio – 4 a Domenica dopo l’Epifania

6 Febbraio – 5 a Domenica dopo l’Epifania

– Festa dell’Arciconfraternita del Cuore Immacolato della B. V.  Maria SS.

5 Febbraio – Domenica di Settuagesima

12 Febbraio – Domenica di Sessuagesima

19 Febbraio – Domenica di Quinquagesima

22 Febbraio – Mercoledì delle CENERI  – Inizio della Quaresima    

26 Febbraio – 1a Domenica di Quaresima 

(GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA )

5 Marzo – 2a Domenica di Quaresima

12 Marzo – 3a Domenica di Quaresima

19 Marzo – 4a Settimana di Quaresima

26 Marzo  – I DOMENICA DI PASSIONE

2 Aprile – II DOMENICA DI PASSIONE – DELLE PALME

9 Aprile – DOMENICA DI PASQUA

16 Aprile – Domenica in Albis

23 Aprile – 2a Domenica dopo Pasqua

30 Aprile – 3a Domenica dopo Pasqua

7 Maggio – 4a Domenica dopo Pasqua

14 Maggio – 5a Domenica dopo Pasqua

15-17 Maggio – Giorni delle Rogazioni

18 Maggio – Giovedì in Ascensione Domini

21 Maggio – Domenica entro l’Ottava dell’Ascensione

28 Maggio  – Domenica di Pentecoste

(GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA)

4 Giugno – Domenica della SS. Trinità

8 Giugno – Corpus Christi

11 Giugno – 2a Domenica dopo Pentecoste

16 GiugnoSACRATISSIMO CUORE DI GESÙ (Venerdì dopo l’Ottava del Corpus Christi)

18 Giugno – 3a Domenica dopo Pentecoste

2 Luglio  – 5a Domenica dopo Pentecoste

9 luglio – 6a Domenica dopo Pentecoste

16 Luglio – 7a Domenica dopo Pentecoste

23 Luglio  – 8a Domenica dopo Pentecoste

30 Luglio  – 9a Domenica dopo Pentecoste

6 Agosto – 10a Domenica dopo Pentecoste

13 Agosto – 11a Domenica dopo Pentecoste

20 Agosto – 12a Domenica dopo Pentecoste

27 Agosto – 13a Domenica dopo Pentecoste

3 Settembre  – 14a Domenica dopo Pentecoste

10 Settembre – 15a Domenica dopo Pentecoste

17 Settembre – 16a Domenica dopo Pentecoste

(GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA)

24 Settembre – 17a Domenica dopo Pentecoste

1 Ottobre – 18a Domenica dopo Pentecoste

8 Ottobre – 19a Domenica dopo Pentecoste

15 Ottobre – 20a Domenica dopo Pentecoste

22 Ottobre – 21a Domenica dopo Pentecoste

29 Ottobre – 22a Domenica dopo Pentecoste 

    FESTA DI CRISTO RE

5 Novembre – 23a Domenica dopo Pentecoste

12 Novembre –  Va Domenica dopo Epifania

19 Novembre – VI° Domenica dopo Epifania  

26 Novembre – 24a Domenica dopo Pentecoste

3 Dicembre – 1a Domenica di Avvento

10 Dicembre – 2a Domenica di Avvento

17 Dicembre – 3a Domenica di Avvento

(GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA )

24 Dicembre – 4a Domenica di Avvento –

In Vigilia Nativitatis Domini  

25 Dicembre – GIORNO DI NATALE

26 Dicembre – SANTO STEFANO,  Primo Martire

27 Dicembre – SAN GIVANNI, Apostolo ed Evangelista

28 Dicembre – SANTI INNOCENTI

31 Dicembre – SAN SILVESTRO I, Papa.

1st GENNAIO 2020 – CIRCUMCISIONE DI NOSTRO SIGNORE

2 Gennaio – SANTISSIMO NOME DI GESÙ

6 Gennaio – FESTA DELL’EPIFANIA

FESTA DELL’EPIFANIA (2023)

FESTA DELL’EPIFANIA (2023)

Stazione a S. Pietro

Doppio di I classe con Ottava privil. di II Ord.- Paramentti, bianchi.

Questa festa si celebrava in Oriente dal III secolo e si estese in Occidente verso la fine del IV secolo. La parola “Epifania” significa: manifestazione. Come il Natale anche l’Epifania è il mistero di un Dio che si fa visibile; ma non più soltanto ai Giudei, bensì anche ai Gentili, cui in questo giorno Dio rivela il suo Figlio (Or.). Isaia scorge in una grandiosa visione, la Chiesa, rappresentata da Gerusalemme, alla quale accorrono i re, le nazioni, la moltitudine dei popoli. Essi vengono di lontano con le loro numerose carovane, cantando le lodi del Signore e offrendogli oro e incenso (Ep.). – I re della terra adoreranno Dio e le nazioni gli saranno sottomesse • (Off.). Il Vangelo mostra la realizzazione di questa profezia. – Mentre il Natale celebra l’unione della divinità con l’umanità di Cristo, l’Epifania celebra l’unione mistica delle anime con Gesù. – Oggi – dice la liturgia – la Chiesa è unita al suo celeste Sposo, poiché, oggi Cristo ha voluto essere battezzato da Giovanni nel Giordano: oggi una stella conduce i Magi con i loro doni al presepio: oggi alle nozze l’acqua è stata trasformata in vino. Ad Alessandria d’Egitto pubblicavasi ogni anno, il 6 gennaio, l’Epistola Festalis, lettera pastorale in cui il Vescovo annunziava la festa di Pasqua dell’anno corrente. Di qui nacque l’uso delle lettere pastorali in principio di Quaresima. In Occidente, il IV sinodo d’Orléans (541) ed il sinodo d’Auxerre (tra il 573 ed il 603) introdussero la stessa usanza. Nel Medioevo vi si aggiunse la data di tutte le feste mobili. Il Pontificale Romano prescrive di cantar oggi solennemente, dopo il Vangelo, detto annunzio (Liturgia, Paris, Bloud et Gay, 1931, pag. 628 sg.).

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Malach 3:1 – 1 Par XXIX:12
Ecce, advénit dominátor Dóminus: et regnum in manu ejus et potéstas et impérium

[Ecco, giunge il sovrano Signore: e ha nelle sue mani il regno, la potestà e l’impero.]

Ps LXXI:1
Deus, judícium tuum Regi da: et justítiam tuam Fílio Regis.

[O Dio, concedi al re il tuo giudizio, e la tua giustizia al figlio del re.]

Ecce, advénit dominátor Dóminus: et regnum in manu ejus et potéstas et impérium

[Ecco, giunge il sovrano Signore: e ha nelle sue mani il regno, la potestà e l’impero.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Deus, qui hodiérna die Unigénitum tuum géntibus stella duce revelásti: concéde propítius; ut, qui jam te ex fide cognóvimus, usque ad contemplándam spéciem tuæ celsitúdinis perducámur.
y

[O Dio, che oggi rivelasti alle genti il tuo Unigenito con la guida di una stella, concedi benigno che, dopo averti conosciuto mediante la fede, possiamo giungere a contemplare lo splendore della tua maestà.]

Lectio

Léctio Isaíæ Prophétæ.
Is LX:1-6
Surge, illumináre, Jerúsalem: quia venit lumen tuum, et glória Dómini super te orta est. Quia ecce, ténebræ opérient terram et caligo pópulos: super te autem oriétur Dóminus, et glória ejus in te vidébitur.
Et ambulábunt gentes in lúmine tuo, et reges in splendóre ortus tui. Leva in circúitu óculos tuos, et vide: omnes isti congregáti sunt, venérunt tibi: fílii tui de longe vénient, et fíliæ tuæ de látere surgent. Tunc vidébis et áfflues, mirábitur et dilatábitur cor tuum, quando convérsa fúerit ad te multitúdo maris, fortitúdo géntium vénerit tibi. Inundátio camelórum opériet te dromedárii Mádian et Epha: omnes de Saba vénient, aurum et thus deferéntes, et laudem Dómino annuntiántes.

[“Levati, o Gerusalemme, e sii illuminata, perché la tua luce è venuta, e la gloria del Signore è e è sorta su te. Poiché, ecco le tenebre ricoprono la terra e l’oscurità avvolge le nazioni; su te, invece, spunta il Signore, e in te si vede la sua gloria. Le nazioni cammineranno; alla tua luce, e i re allo splendore della tua aurora. Alza i tuoi occhi all’intorno, e guarda: tutti costoro si son radunati per venire a te. I tuoi figli verranno da lontano, e le tue figlie ti sorgeranno a lato. Allora vedrai e sarai piena di gioia; il tuo cuore si stupirà e sarà dilatato, quando le ricchezze del mare si volgeranno verso di te, quando verranno a te popoli potenti. Sarai inondata da una moltitudine di cammelli, di dromedari di Madian e di Efa: verranno tutti insieme da Saba, portando oro e incenso, e celebrando le glorie del Signore”]

GESÙ CRISTO RE

Isaia, il profeta suscitato da Dio a rimproverare e a consolare il popolo eletto in tempo di grande afflizione, ci dipinge in esilio, prostrato a terra, immerso nel dolore per voltate le spalle a Dio. È bisognoso d’una consolazione; e il profeta questa parola la fa sentire. Gerusalemme risorgerà. Il Messia vi comparirà come un faro risplendente sulla sponda di un mare in burrasca. E nella sua luce accorreranno le nazioni uscendo dalle tenebre dell’idolatria. Gerusalemme deve alzar gli occhi e contemplar lo spettacolo consolante dei suoi figli dispersi che ritornano, e dei popoli della terra che verranno ad essa, cominciando da quei dell’Oriente, recando oro ed incenso, annunziando le lodi del Signore. Questa profezia ha compimento nel giorno dell’Epifania, poiché in questo giorno comincia il movimento delle nazioni verso la Chiesa, la nuova Gerusalemme. I Magi che venuti dall’Oriente domandano ove è il nato Re dei Giudei, ci invitano a far conoscenza con questo Re.

[A. Castellazzi, La scuola degli Apostoli, Artig. Pavia, 1929]

Graduale

Isa LX: 6;1
Omnes de Saba vénient, aurum et thus deferéntes, et laudem Dómino annuntiántes.

[Verranno tutti i Sabei portando oro e incenso, e celebreranno le lodi del Signore.]

Surge et illumináre, Jerúsalem: quia glória Dómini super te orta est. Allelúja, allelúja.

[Sorgi, o Gerusalemme, e sii raggiante: poiché la gloria del Signore è spuntata sopra di te.]

Allelúja.

Allelúia, allelúia
Matt II:2.
Vídimus stellam ejus in Oriénte, et vénimus cum munéribus adoráre Dóminum. Allelúja.

 [Vedemmo la sua stella in Oriente, e venimmo con doni per adorare il Signore. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthǽum
Matt II:1-12

Cum natus esset Jesus in Béthlehem Juda in diébus Heródis regis, ecce, Magi ab Oriénte venerunt Jerosólymam, dicéntes: Ubi est, qui natus est rex Judæórum? Vidimus enim stellam ejus in Oriénte, et vénimus adoráre eum. Audiens autem Heródes rex, turbatus est, et omnis Jerosólyma cum illo. Et cóngregans omnes principes sacerdotum et scribas pópuli, sciscitabátur ab eis, ubi Christus nasceretur. At illi dixérunt ei: In Béthlehem Judæ: sic enim scriptum est per Prophétam: Et tu, Béthlehem terra Juda, nequaquam mínima es in princípibus Juda; ex te enim éxiet dux, qui regat pópulum meum Israel. Tunc Heródes, clam vocátis Magis, diligénter dídicit ab eis tempus stellæ, quæ appáruit eis: et mittens illos in Béthlehem, dixit: Ite, et interrogáte diligénter de púero: et cum invenéritis, renuntiáte mihi, ut et ego véniens adórem eum. Qui cum audíssent regem, abiérunt. Et ecce, stella, quam víderant in Oriénte, antecedébat eos, usque dum véniens staret supra, ubi erat Puer. Vidéntes autem stellam, gavísi sunt gáudio magno valde. Et intrántes domum, invenérunt Púerum cum María Matre ejus, hic genuflectitur ei procidéntes adoravérunt eum. Et, apértis thesáuris suis, obtulérunt ei múnera, aurum, thus et myrrham. Et re sponso accépto in somnis, ne redírent ad Heródem, per aliam viam revérsi sunt in regiónem suam,”

[Nato Gesù, in Betlemme di Giuda, al tempo del re Erode, ecco arrivare dei Magi dall’Oriente, dicendo: Dov’è nato il Re dei Giudei? Abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo. Sentite tali cose, il re Erode si turbò, e con lui tutta Gerusalemme. E, adunati tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, voleva sapere da loro dove doveva nascere Cristo. E questi gli risposero: A Betlemme di Giuda, perché così è stato scritto dal Profeta: E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei la minima tra i prìncipi di Giuda: poiché da te uscirà il duce che reggerà il mio popolo Israele. Allora Erode, chiamati a sé di nascosto i Magi, si informò minutamente circa il tempo dell’apparizione della stella e, mandandoli a Betlemme, disse loro: Andate e cercate diligentemente il bambino, e quando l’avrete trovato fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo. Quelli, udito il re, partirono: ed ecco che la stella che avevano già vista ad Oriente li precedeva, finché, arrivata sopra il luogo dov’era il bambino, si fermò. Veduta la stella, i Magi gioirono di grandissima gioia, ed entrati nella casa trovarono il bambino con Maria sua madre qui ci si inginocchia e prostratisi, lo adorarono. E aperti i loro tesori, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non passare da Erode, tornarono al loro paese per un altra strada.]

Omelia

[Mons. Geremia Bonomelli: Misteri Cristiani, vol. I –  Brescia, ed. Queriniana, 1894]

Tre vie che conducono alla verità. Come ne usarono i Magi.

I grandi misteri della nostra Religione, massimamente quelli che si riferiscono alla Persona adorabile di Gesù Cristo, sono miniere, dalle quali con lieve fatica si può cavare in abbondanza l’oro purissimo delle più belle e sublimi verità. In questo giorno faustissimo la Chiesa ricorda con gioia come i Magi, ossia sapienti, o fors’anche principi, partiti dal lontano Oriente, giunsero a Gerusalemme e di là si incamminarono a Betlemme, dove videro e adorarono il celeste Infante, offrendogli i mistici doni d’oro, incenso e mirra, come leggiamo nel Vangelo. Eccovi da una parte la divina bontà, che per mezzo d’una stella, o segno celeste, qual che si fosse, chiama alla fede i primi gentili, e dall’altra la docilità, la prontezza e la generosità d’animo di questi savi, che ubbidiscono alla voce del Cielo. In questi uomini, primizie dei gentili, noi dobbiamo ammirare le vie, per le quali la Provvidenza suol condurre le anime al conoscimento della verità. Essi, prevenuti e mossi dalla grazia, senza la quale non si può far nulla, usarono della loro ragione, e, raffrontando le tradizioni antiche, compresero che l’aspettato Messia era nato. Ma la sola ragione, ancorchè aiutata dalle tradizioni, non poteva far loro conoscere dov’era il Messia. Ecco apparire la stella, o segno celeste, che li guida, ed essi, i Magi, docilmente lo seguono. Se non che, giunti a Gerusalemme, quel segno si eclissa o scompare ed essi, non sanno dove trovarlo. Allora quegli uomini ammirabili non abbandonano l’impresa, non si smarriscono d’animo e chiedono umilmente lume a chi credevano potesse darlo, ad Erode, e gli dicono: « Dov’è nato il Re de’ Giudei? Perocché in Oriente abbiam vista la sua stella. La stella ci ha scorti sin qui; or tu compi l’opera; tu, che il devi sapere, dicci: Dov’è il Salvatore? » – Erode è re; ma non sacerdote; non sa, o non osa rispondere. Raccoglie il gran Consiglio de’ Giudei, i capi del sacerdozio e muove a loro la domanda, che i Magi avevano fatta a Lui: – Dove ha da nascere il Cristo? – E il Sacerdozio prontamente e chiaramente risponde, spiegando così il segno celeste e interpretando la Sacra Scrittura: – In Betlemme -. Cittadini, cortigiani, Erode e Magi s’acquetano all’oracolo del Sacerdozio; a Betlemme adunque si cerchi il Figliuol di Dio fatto uomo; e quelli che colà lo cercano, i Magi, lo trovano e con Lui e per Lui trovano la vita. – Questo fatto registrato nel Vangelo condanna due errori gravissimi, nei quali caddero e cadono oggi ancora milioni di nostri fratelli e ci mostra la via regia, che ci conduce alla verità. È ciò che mi propongo di mostrarvi in questo ragionamento, che merita tutta la vostra attenzione. L’uomo è fatto per la verità. I fiumi scendono dai monti, fremono tra le rocce e i burroni, che contendono loro il passo, poi attraversano le pianure e dopo lungo cammino, s’adagiano in seno al mare; gli astri si muovono silenziosi intorno all’astro polare per ricevere da esso il moto e la luce; così gli uomini cercano sempre e dovunque la verità e in essa si acquetano; se non la trovano, se altri loro la contendono, se ostacoli sorgono sulla via e ne impediscono il possesso, si turbano, si agitano, né si danno pace finché non l’abbiano afferrata e fatta propria. Udiste mai un uomo, un solo uomo, che dica: Io non cerco la verità? È impossibile. Egli, se traviato e perverso, potrà bene cercare l’errore, volerlo, predicarlo, farsene apostolo e fino ad un certo punto, anche martire; ma protesterà sempre, ch’egli cerca, ama e predica la verità. La natura, più forte della perversità sua, l’obbliga a mentire a se stesso e a chiamare verità quella ch’egli sa essere menzogna. Tanta è la forza della verità! Che se l’uomo ha la naturale tendenza a conoscere qualunque verità, l’ha fortissima a conoscere quelle verità, che lo interessano personalmente, che devono essere la norma del suo credere e del suo operare, e colle quali è congiunta la sua sorte presente e futura. Tali sono senza dubbio le verità fondamentali dell’ordine morale e religioso, l’esistenza di Dio, la creazione,  l’origine dell’uomo, l’immortalità dell’anima, la vita futura, la sorte riserbata ai buoni ed ai cattivi e andate dicendo. In faccia a queste verità di ordine naturale e base della Religione, qual uomo mai può vivere indifferente? A me, diceva bene Pascal, poco importa che il sistema di Tolomeo sia vero o falso; ma mi importa assai sapere se vi è Dio, se ho un’anima e se questa sia immortale. » – Ora per quali vie, con quali mezzi può l’uomo pervenire al conoscimento di Dio, delle sue perfezioni, della propria origine, del proprio fine, dei doveri, che deve adempire verso Dio, verso se stesso, verso i suoi simili? Non vedo che tre vie sole: la via della ragione di ciascun uomo; lo studio d’un libro, dato da Dio stesso ad ogni uomo, che insegni le verità a lui necessarie, e un ceto di uomini, stabilito da Dio e che tiene da Lui l’ufficio di ammaestrare tutti gli uomini in queste verità. Sono le tre vie della ragione sola, della Bibbia in mano di ciascun uomo, e l’Autorità vivente, infallibile della Chiesa. Al primo mezzo si appigliano tutti i razionalisti, al secondo i protestanti, al terzo ci atteniamo noi tutti Cattolici. Esaminiamoli spassionatamente al lume della sola ragione. – Il razionalismo antico, e più il moderno, proclama alto: – L’uomo colla sola ragione può conoscere Dio, il proprio fine e tutto ciò che è necessario e bastevole per vivere onestamente; non vi è bisogno alcuno di ammaestramento superiore o di rivelazione divina -. Per fermo, non saremo noi Cattolici quelli de negano le forze della ragione umana o ne restringono soverchiamente i confini. Noi conosciamo e volentieri riconosciamo i suoi trionfi in tutti i rami dello scibile; noi facciamo plauso alle sue scoperte, ai suoi progressi meravigliosi, alle sue creazioni quasi incredibili nelle scienze astronomiche, fisiche, matematiche, meccaniche, e ce ne rallegriamo con voi, che ne siete gli entusiasti cultori e vi gridiamo di cuore: – Più ancora! Più ancora! Sempre avanti! – Ma diteci in fede vostra: Questa vostra ragione quanto a ciò che maggiormente importa e interessa in sommo grado ciascuno, Dio, l’anima, la vita avvenire, la regola della morale condotta, che cosa fece, che cosa può essa fare? Da sé sola può essa bastare all’uomo a condurlo al conoscimento certo ed efficace di quelle verità senza delle quali l’uomo non è uomo, ma un enigma, una manifesta contraddizione? Senza esitare un istante rispondo: No, e cedo l’onore della dimostrazione a S. Tommaso. Ascoltiamolo riverenti (Allorché con s. Tommaso affermiamo l’impotenza della ragione umana individuale e collettiva a conoscere le verità dell’ordine naturale necessarie ad ogni uomo, intendiamo sempre di parlare della impotenza morale, non assoluta, come dichiara il Concilio Vaticano, perché è certo che la sola ragione potrebbe e dovrebbe conoscere sufficientemente queste verità; ma di fatto e in pratica non le conosce; è una potenza che non passa all’atto se non forse per alcune intelligenze elette; e qui si tratta delle verità necessarie a tutti e a ciascun uomo.). – Gettiamo uno sguardo sulla società, in mezzo alla quale viviamo. Che vi troviamo noi rispetto alla capacità intellettuale? Una gradazione sterminata. Moltissimi sono forniti di una povera intelligenza; dotati di forze fisiche, essi svolgono la dura gleba, sudano nelle officine, maneggiano instancabili la pialla, la sega, il martello; sulle robuste spalle portano pietre e travi. Avvicinateli; provatevi a ragionar loro di cose che non si veggono, né si toccano, di Dio, della sua natura, dell’anima, de’ diritti, di virtù, di rapporti con Dio, con se stessi, coi loro simili; essi crederanno alle vostre parole, ammetteranno tutto ciò che voi affermate loro; ma del comprendere queste cose è nulla o quasi nulla. Come volete che questa moltitudine (è per lo meno il quarto della società), abbandonata a se stessa si sollevi agli alti concetti, alle grandi verità, che sono il fondamento della Religione e della morale? Come volete che questi uomini avvezzi alle dure fatiche della vita attendano allo studio, sfoglino libri ed entrino in sottili argomenti, nei quali sì spesso si smarriscono i più acuti ingegni? Se ammaestrati con lungo e paziente lavoro sono impotenti a penetrare queste verità, come volete che le comprendano da sé? Chi ha fior di ragione, intende, alla maggior parte degli uomini far difetto l’acume della mente necessario per sollevarsi all’altezza di queste verità e conoscerle per guisa da tenerle qual norma del vivere e applicarle a se stessi nei casi particolari (S. Tommaso contr. Gent. c. 4). Prosegue il sommo Dottore, che non ebbe l’eguale nello studio della natura umana. Vedete, egli dice, questi uomini; gran numero di loro non pure difetta d’ingegno pronto e atto alle profonde speculazioni delle cose invisibili, ma per le necessità comuni della vita ne sono impediti. Le cure della famiglia, i negozi, le industrie, il lavoro quotidiano, i mille affari, ai quali non possono o non vogliono sottrarsi; il vortice sociale, che volenti o nolenti li trascina seco senza tregua, non concede loro il tempo necessario per occuparsi con calma di quei veri, dai quali dipende la regola del pensare e operare ad ogni uomo. In mezzo all’incessante rumore delle cose mondane, che li assorda, camminano a guisa di storditi e quasi di ebbri, ignari dell’origine e del fine proprio, intesi solo a godere e ai mezzi per godere per trovarsi un giorno, al termine della vita, inconsci di ciò che hanno fatto e dell’ignoto, in cui stanno per gittarsi. Credere che costoro si ritirino dal mondo, lascino lo strepito, che li circonda e quasi li fa delirare, per ridursi in un luogo tranquillo e attendere allo studio degli alti problemi morali e religiosi, che domandano una pronta e decisiva soluzione, è la più strana delle illusioni. Chi conosce alquanto la natura umana e ciò che avviene intorno a noi, converrà meco. V’ha di più, continua S. Tommaso. L’uomo è soggetto all’impero, aggiungo, alla prepotenza dei sensi. La ragione è chiara. La vita dei sensi precede di molti anni lo sviluppo della ragione e questa non può far senza di quelli: di qui il predominio dei sensi sulla ragione e la ripugnanza grande nella maggior parte degli uomini a meditare le cose soprasensibili ed astratte, ad assorgere ai principii, a spaziare nei campi delle pure verità. Ora Dio, l’anima, i doveri, la giustizia, la virtù, il vizio, il bene ed il male sono cose che trascendono i sensi, che non si vedono, non si toccano, che sfuggono a qualunque esperienza, perciò la mente umana prova noia in considerarla, si stanca, sì disgusta e come uccello, che dopo avere per qualche tempo volteggiato per l’aria, sente il bisogno di calare sulla terra e si getta nel mondo sensibile e vi trova il suo diletto e vi dimora. Voi troverete che le moltitudini non si stancano mai di passatempi, di spettacoli, di balli, di musiche, di canti, di conviti, di conversazioni ed anche di lavoro materiale e se si stancano, passano dall’una all’altra di queste cose per riposarsi; ma rarissimamente troverete un uomo, se pure lo troverete, che si raccolga da solo, che metta la testa tra le mani e domandi sinceramente a se stesso: donde vengo, dove vado? Che devo fare per adempire i miei doveri? Chi è Dio? Che cosa è la virtù? Che cosa è il vizio? Qual sarà la mia sorte eterna? E badate che questo fanno pochi uomini ora che la voce del Maestro posto da Dio in mezzo a noi, che è la Chiesa, si fa udire continuamente: che sarebbe se fossimo abbandonati alle sole nostre forze? Chi leverebbe gli occhi dalla terra per fissarli in cielo e leggervi il proprio destino? Ditelo voi, o fratelli miei. Ma voglio concedere che alcuni pochi, di grande ingegno e dotati d’una natura felice e sciolti dalle cure terrene possano consacrarsi allo studio di queste verità ed acquistarne il conoscimento. Parvi egli possibile che a questo conoscimento perverranno in breve tempo? Nessuno che conosca anche solo mezzanamente le difficoltà grandissime di questo studio potrà crederlo. Prima di giungere al conoscimento chiaro ed intimo di queste verità, molti e molti anni dovranno trascorrere. E in questo tempo abbastanza lungo, nel quale la mente dell’uomo dovrà ondeggiiare tra il sì ed il no, tra il vero ed il falso, potrà egli regolare la sua condotta? Sarà necessariamente incerto, come nave sul mare senza stella e senza bussola. L’uomo, appena è capace di ragionare e acquista la coscienza della sua responsabilità, deve anche conoscere la via da battere, i doveri da adempire, il bene da fare, il male da cessare: lo vuole la sua natura d’essere ragionevole e morale; ma ciò è al tutto impossibile, anche agli ingegni privilegiati e alle volontà più elette, se la conquista delle verità necessarie deve essere il frutto degli sforzi di ciascuno. Oltre di che chiunque conosca la debolezza della nostra mente e la incostanza della nostra volontà di leggeri comprenderà che dubbi frequenti e gravissimi si affacceranno e turberanno lo spirito più retto. Le verità che riguardano Dio, l’anima, l’ordine morale e andate dicendo, non sono come quelle, che acquistiamo coi sensi; non sono come le verità matematiche, delle quali non è possibile il dubbio: nessuno può dubitare dell’esistenza della terra, dei monti, dei fiumi, delle città che ha viste; nessuno può dubitare che due parallele non si incontreranno mai e che cinque aggiunto a cinque ci darà dieci. Ma la cosa corre ben altrimenti allorché si tratta dell’ordine morale e religioso: qui il dubbio rampolla troppo spesso a piè del vero, le difficoltà si accumulano, massime in certi momenti di prove, quando le passioni più violenti vengono alle prese con queste verità, che le condannano. Che sarà allora dell’uomo, che per tener ferme quelle verità dovrà mettersi in guerra terribile colle sue passioni? Volentieri e facilmente ci liberiamo di un padrone molesto, che ci siam dati noi stessi e tali sono queste verità: nulla di più naturale che allora i dubbi crescano, piglino il sopravvento e finiscano col velare al tutto quelle verità divenute moleste e quasi nemiche. Ed eccovi l’uomo senza guida sicura in balia di se stesso. – Finalmente – osserva S. Tommaso, – sarà quasi miracolo che l’uomo colle verità conquistate dopo lunghi sforzi non frammischi qualche errore; così col cibo della verità, che dà la vita, avrà il veleno dell’errore, che dà la morte, colla luce mescolate le tenebre, colla virtù il vizio e troncato il cammino della salvezza. Se quei sublimi intelletti di Platone, di Aristotele, di Socrate, di Marco Tullio, dopo essere incanutiti nella meditazione di questi grandi veri, caddero in tanti e sì gravi errori, che vorrà essere della comune degli uomini? – Che se rimanesse ancora qualche dubbio sulla impotenza morale della ragione umana per ciò che spetta queste verità a tutti indispensabili, esso si dilegua dinanzi alla prova irrefragabile dei fatti, volete dell’antica, volete della moderna istoria. I più grandi pensatori dell’antichità greca e romana ci hanno lasciato il frutto dei loro studii e delle loro profonde ed acute lucubrazioni. Scorriamo quei libri, che per la forma e per la sostanza ottennero l’ammirazione del mondo: scorriamo tutti i libri di Platone e di Aristotele, di Epiteto, di Cicerone, di Marco Aurelio, di Seneca: voi non troverete in quegli scritti un sommario delle verità più necessarie a tutti, massime al popolo, per vivere virtuosamente: troverete sparse in molte pagine alcune verità, esposte in forma elegante, miste a molti errori, e quasi sempre avvolte nel dubbio. Essi poi per conto proprio e quel poco di buono e vero, che insegnano, lo propongono come trovato da sé, ve lo mettono innanzi, non come un dovere, ma come un consiglio: nessuna autorità superiore, che lo prescriva a tutti, sempre, egualmente, nessuna sanzione certa e determinata per chi pratica la virtù e per chi si abbandona al vizio. E non dimenticate che a quei sommi doveva pur giungere in qualche modo l’eco delle antiche tradizioni rivelate e dell’insegnamento mosaico. E se que’ grandi sapienti si smarrirono miseramente e non seppero costruire l’edificio della verità più comune e più necessaria a tutti, che sarebbe stato e che sarebbe del nostro povero popolo abbandonato alle sole forze della sua ragione? – Che più? Ponete mente ai dotti del nostro secolo, ai quali sarebbe ingiustizia negare ingegno e studio e che vivono in mezzo alla luce delle verità cristiane. Quanti tra di loro mettono in dubbio od anche francamente negano le verità prime, che si riferiscono a Dio, alla legge morale, alla vita futura! Il razionalismo antico e moderno ha fatto le sue prove per tanti secoli, le fa sotto i nostri occhi e per mezzo di uomini superiori ad ogni eccezione, che avevano tutti i mezzi desiderabili e non riuscirono ad edificar nulla, anzi riuscirono a demolire ciò che la fede aveva edificato. Il razionalismo ha ucciso se stesso ed aspettare dalla sola ragione la face, che ci rischiari la via del presente e dell’avvenire, è aspettare che le lucciole producano il giorno e che la luna riscaldi la terra e la copra di fiori e di messi. I Magi colla sola loro ragione non si sarebbero mossi dall’Oriente, non sarebbero giunti al conoscimento di Cristo. Essi lasciarono l’Oriente, mossero verso Cristo allorché in cielo brillò la misteriosa stella, simbolo della fede e della parola divina; la loro ragione, rischiarata da quella luce sovrumana, si scosse, la loro volontà sentissi attratta a Cristo ed essi fecero il primo passo verso di Lui. Ebbene, qui sottentrano ai razionalisti i fratelli nostri protestanti, e dicono: Noi l’abbiamo la stella, che ci guida infallibilmente a Cristo; essa è la parola di Dio registrata nei Libri Santi; essa risplende sempre in tutta la sua luce, non si eclissa mai; tutti la possono e debbono vedere; tutti possono e debbono camminare alla sua luce. La Bibbia, la sola Bibbia, essa basta a tutti, e come i Magi, seguendo la stella, pervennero al conoscimento della verità, così noi seguendo la Bibbia -. Vediamolo. – Perché la Bibbia sia la vostra stella sicura e bastevole per guidarvi a Cristo, voi, o fratelli protestanti, dovete conoscere con certezza assoluta, scevra d’ogni dubbio, che questo Libro, tutto, in ogni sua parte, è dato da Dio stesso. Il minimo dubbio su ciò fa crollare la base della fede. Ora chi vi dice ch’esso viene e tutto viene da Dio solo? Forse il Libro stesso? Allora dovreste credere che anche il Corano ed altri parecchi libri vengono da Dio, perché lo dicono essi. Bisogna dunque che ricorriate alla autorità di altri monumenti, di uomini, che vi assicurino, la Bibbia essere Libro dato da Dio stesso e in tal caso la Bibbia non basta e dovete ammettere un’altra autorità eguale alla Bibbia, fuori della Bibbia, che fa fede della Bibbia istessa e allora crolla dalla base la vostra dottrina: – La sola Bibbia ci basta -. Più: se la sola Bibbia basta, tutti devono leggerla e meditarla. Ma che sarà di quei tanti milioni che non sanno leggere? – Si rivolgano a quelli che la sanno leggere e intendere. – Ma allora mi appoggio ad uomini; e se questi errano, io cadrò con essi nell’errore. La sola Bibbia! Sia; ma essa è scritta parte in ebraico, parte in caldaico, parte in aramaico e parte in greco. – E se non conosco queste lingue, non potrò conoscere le verità racchiuse nella Bibbia. – Ci sono le traduzioni. – Ottimamente. – Ma se i traduttori si ingannarono o mi vollero ingannare? Erano essi infallibili e impeccabili? – No.- Dunque posso dubitare che nelle versioni per ignoranza o per malizia siasi alterata la verità e allora la mia fede vacilla. E poi: – Questo Libro conta diciannove, venticinque, fin quaranta secoli; le copie fatte sono senza numero e passarono per infinite mani; non sarebbero mai state per avventura, in qualsiasi modo, alterate sostanzialmente? Chi ne sta garante? E nel dubbio, che sarà della vostra fede che tutta e unicamente su quel Libro si appoggia? – Ma diasi che tutte queste difficoltà insuperabili siano da tutti superate. Voi, Fratelli protestanti, leggerete attentamente tutta la Bibbia. Non v’è libro al mondo più difficile di questo ad intendersi, sia per la lingua e per lo stile degli scrittori antichi e orientali, sia per le verità sovrumane che vi si contengono, sia per le contrarie interpretazioni date dagli eretici. Come distinguere in quel Libro le cose necessarie da credersi da quelle che non lo sono? Come sceverare quelle di obbligo da quelle di consiglio? Quelle abrogate da Cristo da quelle da Lui conservate e sancite? Nei dubbi come regolarsi? Allorché i dotti stessi non si accordano, a qual tribunale indirizzarsi per chiarire la cosa? Come mai ciascuno da sé solo, leggendo la Bibbia, dai suoi 34.000 versetti potrà rilevare con sicurezza ciò che deve credere, fare e fuggire per salvarsi? Voi comprendete, non la difficoltà, ma l’assoluta impossibilità, che ciascuno possa fare tutto questo immenso lavoro, e per conseguenza comprendete, come la sola Bibbia interpretata da ciascuno a suo modo possa essere la stella che conduce a Cristo e al conoscimento sicuro,  facile a tutti delle verità per Lui insegnate. – Resta dunque che i fratelli nostri protestanti convengano con noi Cattolici, che veneriamo con essi la Bibbia, la accettiamo come Libro divino, contenente la massima parte delle verità rivelate, ma non tutte; resta ch’essi con noi ricevano questo Libro dalle mani della Chiesa, che esisteva prima di esso, e che lo ricevette dagli Apostoli e da Cristo istesso; resta infine ch’essi con noi ne ricevano la spiegazione dalla Chiesa istessa, che ne è l’interprete naturale e infallibile costituito da Gesù Cristo. Non vi è società che non abbia il suo codice; ma l’interpretazione autentica del medesimo non è lasciata a ciascun cittadino; essa è riservata ai legittimi tribunali. Similmente noi Cattolici abbiamo nella Bibbia il codice datoci da Dio e nel tribunale supremo della Chiesa abbiamo il suo autorevole interprete. Qual cosa più semplice e naturale? Noi Cattolici seguiamo l’esempio de’ Magi; essi seguirono la stella fino a Gerusalemme; ma con essa sola non avrebbero trovato il Salvatore. Fu il Sacerdozio, che, interrogato da Erode, spiegò non solo il significato della stella, ma indicò il luogo, dove Gesù doveva nascere, e diede la interpretazione sicura del Vaticinio di Michea. L’insegnamento della Chiesa, ossia del Sacerdozio sotto la guida del suo Capo Supremo, il Romano Pontefice, è per noi tutti il mezzo spedito e sicuro per intendere la Bibbia e sapere tutto ciò che dobbiamo credere e fare; questo mezzo è alla portata di tutti, dissipa ogni dubbio pareggia tutti i credenti in faccia al Maestro, che tiene il luogo di Dio. Noi dunque, o fratelli carissimi, pur ringraziando Iddio del lume della ragione, che viene da Lui e pel quale siamo uomini fatti a sua immagine, terremo come dogma certissimo, ch’essa non basta a riconoscere le verità spettanti all’ordine naturale, quanto più quelle dell’ordine sovrannaturale! E perciò teniamo necessaria la rivelazione divina, ossia la fede, che risplende sopra di noi come la stella sopra i Magi. Inoltre, pur sempre ringraziando Iddio, che ci abbia dato i Libri santi qual luce che ci rischiara, terremo per fede che questi non sono bastevoli ai nostri bisogni; che li dobbiamo ricevere dalle mani della Chiesa e con essi ricevere dalla Chiesa istessa la loro interpretazione. È questa la via della verità

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXI:10-11
Reges Tharsis, et ínsulæ múnera ófferent: reges Arabum et Saba dona addúcent: et adorábunt eum omnes reges terræ, omnes gentes sérvient ei.

[I re di Tharsis e le genti offriranno i doni: i re degli Arabi e di Saba gli porteranno regali: e l’adoreranno tutti i re della terra: e tutte le genti gli saranno soggette.]

Secreta

Ecclésiæ tuæ, quǽsumus, Dómine, dona propítius intuere: quibus non jam aurum, thus et myrrha profertur; sed quod eisdem munéribus declarátur, immolátur et súmitur, Jesus Christus, fílius tuus, Dóminus noster:

[Guarda benigno, o Signore, Te ne preghiamo, alle offerte della tua Chiesa, con le quali non si offre più oro, incenso e mirra, bensì, Colui stesso che, mediante le medesime, è rappresentato, offerto e ricevuto: Gesù Cristo tuo Figlio e nostro Signore]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de Nativitate Domini

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Quia per incarnáti Verbi mystérium nova mentis nostræ óculis lux tuæ claritátis infúlsit: ut, dum visibíliter Deum cognóscimus, per hunc in invisibílium amorem rapiámur. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cæléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes.

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Poiché mediante il mistero del Verbo incarnato rifulse alla nostra mente un nuovo raggio del tuo splendore, cosí che mentre visibilmente conosciamo Dio, per esso veniamo rapiti all’amore delle cose invisibili. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Matt II:2
Vídimus stellam ejus in Oriénte, et vénimus cum munéribus adoráre Dóminum.

[Vedemmo la sua stella in Oriente, e venimmo con doni ad adorare il Signore.]

Postcommunio

Orémus.
Præsta, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, quæ sollémni celebrámus officio, purificátæ mentis intellegéntia consequámur.

[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che i misteri oggi solennemente celebrati, li comprendiamo con l’intelligenza di uno spirito purificato.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

DISCORSO SUL SEGRETO DELLA FRANCO-MASSONERIA (8)

DISCORSO SUL SEGRETO DELLA FRANCO MASSONERIA (8)

DI MONSIGNOR AMAND JOSEPH FAVA

VESCOVO DI GRENOBLE
 

LIBRERIA OUDIN, EDITORE – 1882

PARTE SECONDA.

COSA PENSARE DEL PROGETTO DELLA MASSONERIA DI DISTRUGGERE IL CRISTIANESIMO E SOSTITUIRLO CON IL RAZIONALISMO?

V. – Il progetto della Massoneria è antisociale.

Il lettore che ci segue ha già conosciuto i vari personaggi che hanno avuto un ruolo importante nella storia massonica. Si è visto che Socino, il padre della setta, si era dedicato allo studio della teologia e che aveva dato alla sua opera un carattere religioso, o piuttosto antireligioso. Egli era davvero un eresiarca. Cromwell, uomo di guerra e di diplomazia, che si dedicò poco allo studio della teologia, non avrebbe dato alla Massoneria questo carattere, se non fosse stato indottrinato dai sociniani, giunti in Inghilterra dalla Polonia. Cromwell è l’ambizioso cospiratore, come lo dipinge Bossuet, il massone di alta scuola che passa dalla teoria alla pratica. – Bossuet, parlando di quest’uomo, evidentemente non conosceva l’opera da lui iniziata in Inghilterra, e di cui Carlo I° era stato la sfortunata vittima, altrimenti avrebbe alzato la voce, e guardando alle conseguenze del socinianesimo di Cromwell, avrebbe, parlando di lui, avvertito i re del destino che la setta riservava loro in futuro; Bossuet avrebbe intravisto Luigi XVI sul patibolo, con la stessa facilità con cui noi da vent’anni prevediamo l’assassinio di imperatori e presidenti di Repubbliche contrarie alla setta massonica. Non possiamo esimerci dal porre qui, ancora una volta, davanti agli occhi del lettore, il ritratto di Cromwell, soprattutto perché è una prova a sostegno di ciò che vogliamo dimostrare, ossia che il progetto della Massoneria è antisociale: « Un uomo incontrato con un’incredibile profondità di mente, un raffinato ipocrita oltre che un abile politico, capace di intraprendere e nascondere tutto, ugualmente attivo e instancabile in pace ed in guerra, che non lasciava nulla alla fortuna che potesse sottrarle con il consiglio e la lungimiranza; ma per il resto così vigile e pronto a tutto, che non perdeva mai le occasioni che essa gli presentava; infine, uno di quegli spiriti inquieti e audaci, che sembrano nati per cambiare il mondo. Quanto è rischioso il destino di tali spiriti, e quanti sono nella storia quelli a cui la loro audacia è stata funesta! Ma cosa non fanno quando a Dio piace usarli? A quest’ultimo fu dato di ingannare il popolo e di prevalere sui re. Infatti, poiché vedeva che in questo infinito miscuglio di sette, che non avevano più regole certe, il piacere di dogmatizzare senza essere rimproverati o costretti da alcuna autorità ecclesiastica o secolare, era il fascino che possedeva gli spiriti, egli seppe così ben conciliarli da formare un corpo formidabile da questo mostruoso assemblaggio. Quando si trova il modo di prendere la moltitudine con l’esca della libertà, essa la segue ciecamente, purché ne senta solo il nome. Questi, occupati dal primo obiettivo che li aveva attratti, andavano avanti, senza accorgersi che stavano andando verso la schiavitù; e il loro sottile conduttore, che, combattendo, dogmatizzando, mescolando mille personaggi diversi, facendo il dottoro ed il profeta, oltre che il soldato ed il capitano, vide di aver incantato il mondo a tal punto da essere guardato da tutta l’armata come un condottiero inviato da Dio per la protezione dell’indipendenza, cominciò a rendersi conto che poteva spingerli ancora oltre. Non vi racconterò il fortunato proseguimento delle sue imprese, né le sue famose vittorie, la cui virtù ne è indegna, né quella lunga tranquillità che ha stupito l’universo. È stato un consiglio di Dio quello di istruire i re a non lasciare la sua Chiesa. Voleva scoprire con un grande esempio tutto ciò che l’eresia può fare; quanto sia naturalmente indisciplinata ed indipendente, quanto sia fatale alla regalità e ad ogni autorità legittima. Inoltre, quando questo grande Dio ha scelto qualcuno per essere lo strumento dei suoi disegni, nulla ferma il suo corso; egli incatena o acceca o doma tutto ciò che sia in grado di opporre resistenza: « Io sono il Signore – dice per bocca di Geremia – ho fatto la terra con uomini e animali e la metto nelle mani di chi voglio. Ed ora io ho voluto sottomettere queste terre a Nabucodonosor, re di Babilonia, mio servo. »  Lo chiama suo servo, anche se è infedele, perché lo ha incaricato di eseguire i suoi decreti: « Ed io comando – continua – che tutte le cose gli siano sottomesse, anche le bestie »: tanto è vero che tutte le cose si piegano e sono flessibili quando Dio comanda. Ma ascoltate il resto di questa profezia: « Io voglio che questi popoli gli obbediscano e che obbediscano a suo figlio, finché non venga il loro tempo ». Vedete, Cristiani, come i tempi siano segnati, come le generazioni siano contate. È Dio a stabilire quanto durerà il sonno e quando il mondo si sveglierà. – Ecco Cromwell, che fa delle varie sette, come Socino, un assembramento mostruoso; prende la moltitudine con l’esca della libertà di coscienza, della libertà a tutti i costi; eppure conduce coloro che lo seguono alla servitù e per il proprio profitto, perché ci sono solo due fini possibili: Dio e se stessi. Ma il massone non agisce mai per Dio. Ecco Cromwell, uno dei padri della Massoneria, autore di quello che Bossuet chiamerà poi Cromwellismo, quando rimprovera a Jurieu, un ministro protestante, di aver predicato questa dottrina sanguinaria, l’eresia di Socino. – Dopo Cromwell, come organizzatore della setta, viene Weishaupt, perché i filosofi francesi dogmatizzavano, Voltaire bestemmiava, Jean-Jacques Rousseau inventava il suo Contratto sociale; ma nessuno di loro formava un corpo di dottrina o un’associazione. Fu lasciato ad Adam Weishaupt il compito di riassumere tutto il passato massonico, secondo il genio tedesco; di completarlo dandogli come anima la dottrina di Spinosa, il panteismo, così altamente onorato da Averroè in poi; e poi di formare una società incaricata di propagare questo sistema, battezzato con il nome di Illuminismo. Ebbene, questo illuminismo tedesco, che ha assorbito la Massoneria per farne una Massoneria illuminata, come abbiamo detto sopra, è antisociale in modo sovrano. Ecco come si riassume: « Non c’è altro Dio che la Natura, che ha prodotto l’uomo. – Come funziona? Weishaupt non dice che questo era riservato a Darwin. – In ogni caso, l’uomo ha ricevuto uguaglianza e libertà dalla natura. L’istituzione della proprietà ha distrutto l’uguaglianza, producendo ricchi e poveri; e l’istituzione dei governi ha distrutto, a sua volta, la libertà. Ora, la proprietà e i governi si basano su leggi religiose e civili. Perciò, per restituire all’uomo la libertà e l’uguaglianza che gli sono proprie, è necessario distruggere ogni religione, ogni governo, non avere né Dio, né padrone, né magistrato, né clero, né esercito, né polizia, né alcuna autorità, in attesa dell’abolizione della proprietà. Religione, governo, proprietà sono, agli occhi del vero massone, tre peccati originali che devono essere cancellati, e sappiamo come. È visibile che essi stanno già scomparendo tra noi. La Religione sta iniziando a scomparire nel suo personale congregazionale e nell’insegnamento. Dio è stato scacciato, e sarà sempre più scacciato dalle scuole, Egli che è il legame sociale per eccellenza, poiché è il Padre della famiglia umana ed il centro naturale di tutta la società. Cristo era già stato bandito, l’Autore divino della società cristiana. Non si sa come e perché i ministri di Dio e di Cristo siano trattenuti, visto che i loro padroni sono stati congedati. Ovviamente aspettiamo, per non fomentare il popolo. Verrà il turno del clero, ed il resto seguirà, fino all’estinzione del Cristianesimo: questo è il progetto e la speranza dei massoni. – Ci si chiede, oggi, cosa possano avere ancora a che fare i Comandamenti di Dio e della Chiesa con noi, essendo stati, Dio e Gesù Cristo, soppressi? I Comandamenti di Dio impongono il rispetto dell’autorità legittima e della proprietà, ma la Massoneria non vuole né autorità, né proprietà, né dipendenza. Quindi sbarazzatevi di tutto questo! Viva la Comune! Ha fatto la sua comparsa nel 1848, con i “partageux”, allievi pratici di Proudhon e di altri socialisti; si è cementata nel 1871, a Parigi; ora bussa alla porta del capitale e dei padroni: solo i sordi non la sentono. Per i comunardi, i magistrati sono una seccatura, ed anche i gendarmi. Pazienza! Prima di abbattere un albero, si scoprono le sue radici, che si tagliano una ad una, e presto l’albero si inclina e cade. Clero, magistratura, esercito: questo sarà il vostro destino … spera la setta. – I nostri lettori ci chiedono perché lo diciamo. Risponderemo loro che Weishaupt ha ben riassunto il suo piano, così come lo abbiamo riportato, e se si vuole lo sviluppo di questo stesso piano da parte del suo autore, eccolo qui: « Tutto ciò che vi abbiamo detto contro i despoti ed i tiranni era solo per portarvi a ciò che abbiamo da dire sul popolo stesso, sulle sue leggi e sulla sua tirannia. Questi governi democratici non sono di natura diversa dagli altri governi. » – « Se ci chiedete come vivranno gli uomini d’ora in poi senza leggi e senza magistrature, senza autorità costituite, riuniti nelle loro città, la risposta è facile. Lasciate le vostre città e i vostri villaggi e bruciate le vostre case. Nella vita patriarcale, gli uomini costruivano città, case e villaggi? Erano uguali e liberi; la terra era loro, era ugualmente di tutti e vivevano ugualmente dappertutto. La loro patria era il mondo, non l’Inghilterra o la Spagna, la Germania o la Francia. Era tutta la terra, non un regno o una repubblica in un angolo della terra. Siate uguali e liberi, e sarete cosmopoliti o cittadini del mondo. Apprezzate l’uguaglianza e la libertà e non temerete di veder bruciate Roma, Vienna, Parigi, Londra, Costantinopoli e quelle città, paesi e villaggi qualunque che chiamate la vostra patria. – Fratello e amico, questo è il grande segreto che abbiamo riservato a questi misteri. » – Nona parte del Codice Illuminato, classe dei grandi misteri: Il Mago e l’Uomo-Re. – Scritti originali di Weishaupt. – Barruel, nelle sue Memorie del giacobinismo, esclamava a questo proposito: « Non è più il momento di dire semplicemente: queste sono le chimere dei sofisti, bisogna dire oggi: queste sono le cospirazioni che si tramano contro la vostra proprietà; le cospirazioni che già vi spiegano tante spoliazioni rivoluzionarie: quella della Chiesa, quella della nobiltà, quella dei nostri mercanti, quella di tutti i ricchi proprietari. – Voglio farlo, sono chimere; ma sono le chimere di Weishaupt… – Quello che Jean-Jacques diceva ai suoi sofisti, il nuovo Spartaco lo dice alle sue legioni illuminate: I frutti sono di tutti, la terra non è di nessuno. Quando è iniziata la proprietà, è scomparsa l’uguaglianza, la libertà; ed è in nome di questa uguaglianza, di questa libertà che egli cospira, che invita i suoi cospiratori a restituire agli uomini la vita patriarcale! Notiamo di sfuggita il significato di queste parole, poste sulla porta o sul frontespizio dei nostri edifici pubblici: Libertà, Uguaglianza, Fraternità. Libertà significa: distruggere ogni autorità; uguaglianza significa: distruggere la proprietà; fraternità: essere nomadi come i patriarchi. – Proudhon ha riassunto tutto e mostrato l’obiettivo quando ha detto: « L’uomo deve essere sovrano nella sua capanna, indipendente da Dio e dagli uomini ». E cosa ne è della famiglia in questo sistema immorale? « La prima età dell’umanità – dice Weishaupt – è l’età della natura selvaggia e grossolana. La famiglia è l’unica società; la fame, la sete, il facile soddisfacimento, un riparo contro i danni delle stagioni, una moglie e, dopo la fatica, il riposo, sono le uniche necessità di questo periodo. In questo stato, l’uomo godeva dei due beni più preziosi: l’uguaglianza e la libertà. Ne ha goduto in tutta la sua pienezza; ne avrebbe goduto per sempre, se avesse voluto seguire il percorso indicatogli dalla natura. In questo primo stato, gli mancavano le comodità della vita, ma non ne era più infelice; non conoscendole, non ne sentiva la privazione. La salute era il suo stato ordinario; il dolore fisico era l’unica causa di malcontento che provava. Felici mortali, che non erano ancora abbastanza illuminati da perdere il riposo dell’anima, da sentire quei grandi motivi delle nostre miserie, quell’amore per il potere e le distinzioni, l’inclinazione alle sensualità, il desiderio dei segni rappresentativi di ogni bene, quei veri peccati originali con tutte le loro conseguenze, l’invidia, l’avarizia, l’intemperanza, la malattia e tutti i tormenti dell’immaginazione ». Questa è la famiglia primitiva, l’ideale di famiglia di Weishaupt. Il divorzio inizierà a riportarci ad esso, rompendo i legami tra i coniugi e quelli tra figli e genitori. « L’autorità del padre cessa con il bisogno dei figli », diceva Jean-Jacques, e Weishaupt: « Il potere paterno cessa con la debolezza del figlio; il padre offenderebbe i suoi figli, se rivendicasse ancora qualche diritto su di loro, dopo quest’epoca ». In previsione delle obiezioni che queste idee assurde avrebbero potuto sollevare, Weishaupt aveva adottato una tattica. Ai suoi confratelli insinuanti o perplessi diceva: « Principii, sempre principii, mai conseguenze ». Vale a dire, premere e insistere sull’uguaglianza e sulla libertà; non lasciare mai che le conseguenze, per quanto disastrose, vi spaventino o vi fermino. L’ateo Condorcet, discepolo di Weishaupt, gridò di conseguenza: « Perisca l’universo, rimanga il principio! » – I massoni hanno da tempo abbandonato il metodo francese, cioè la violenza, nell’applicazione del loro sistema alla Chiesa Cattolica. Hanno preferito adottare il percorso indicato sopra da Ricciardi, che può essere riassunto come segue: Più martiri, più sangue: concessioni e ridicolo. È per ignoranza di questa tattica che alcune persone, altrimenti ben intenzionate, immaginano che la setta si fermerà nella sua marcia contro Cristo e la Chiesa. No, nulla la fermerà se non il fondo dell’abisso in cui sta correndo, nel quale si getterà con quei popoli che sono abbastanza ciechi da radunarsi sotto la sua bandiera e seguirne le crudeli massime di distruzione. Distruzione! è la parola che meglio descrive la Massoneria. – Come la cosiddetta Riforma protestante, madre della setta sociniana, ha sempre e solo saputo protestare contro i dogmi cattolici, negandoli uno dopo l’altro, così la Massoneria, dal punto di vista sociale, sa solo distruggere le istituzioni cristiane: Né il protestantesimo, né la massoneria hanno prodotto qualcosa che abbia un futuro, perché solo la carità cristiana è feconda, mentre l’odio è sterile; e l’eresia è sempre stata e sarà sempre segnata sulla sua fronte con il segno dell’odio; il suo cuore ne sarà sempre pieno. L’ultima parola della Massoneria sociale è Nichilismo, cioè distruzione in tutta la sua pienezza. « L’umanità – dice il nichilismo – avrà intelligenza solo il giorno in cui tutti i suoi membri riuniti si sgozzeranno fino all’ultimo uomo. Allora l’essere umano, re della creazione, non esisterebbe più e satana potrebbe insultare il vero Dio; satana, dice Nostro Signore, che era omicida fin dall’inizio: Homicida erat ab initia. » – Tertulliano chiamava satana la scimmia di Dio: simius Dei. Per caso vorrebbe usare il nichilismo per anticipare la fine del mondo? Lo si potrebbe pensare, vedendo le mille forme ed i mezzi strani, immorali ed innaturali impiegati dai nichilisti per distruggere l’uomo. Lasciamo ad altri il compito di sviluppare queste considerazioni. Anche in questo caso, le devastazioni compiute nelle società dalla setta massonica sono così profonde e numerose che non è possibile descriverle senza dedicarvi interi volumi. Questo triste lavoro è già stato iniziato; speriamo che venga continuato. Sarà vista come una prova della verità cristiana, per absurdum… dall’assurdo, che nasce e trabocca dal socinianesimo massonico.

VI. – La Massoneria è antifrancese.

Essa è antifrancese, perché è anticristiana e anticattolica. In effetti, ciò che ha reso grande e gloriosa la Francia in passato è il suo attaccamento a Gesù Cristo ed alla sua Chiesa. La Nazione francese, come hanno mirabilmente detto illustri scrittori e oratori, è stata chiamata a difendere la Cristianità. Questa vocazione si rivelò quando Clodoveo, ascoltando il racconto delle sofferenze e della morte del nostro divino Salvatore, gridò: « Ah, se fossi stato lì con i miei Franchi! » Così la Francia è stata battezzata dalla Santa Sede e chiamata: la Nazione cristianissima. Questo titolo, che ai suoi occhi e agli occhi di altri popoli era pieno di gloria e degno di invidia, è diventato una rovina per il nostro Paese? La Francia ha servito nobilmente la causa di Cristo e della sua Chiesa attraverso i secoli. I nomi dei nostri Re cristianissimi lo testimoniano e, nonostante le ombre che oscurano la storia della regalità francese, è stato possibile incidere sui loro stendardi queste parole: il Cristo ama i Franchi… e Cristo, che ha amato i Franchi, … ed il Cristo ne ha fatto un grande popolo. Da parte loro, i Pontefici di Roma, senza escludere Pio IX e Leone XIII, si sono sempre compiaciuti nel riconoscere che la Francia aveva ben meritato dalla Chiesa per la sua devozione alla grande causa cristiana. La nostra Nazione, amica della Santa Sede e della sua indipendenza spirituale e temporale, ha anche dato un contributo singolare alla diffusione della Verità cattolica nel mondo, prima con i suoi missionari e poi con le sue conquiste. In passato, infatti, abbiamo saputo colonizzare perché, essendo schiettamente Cattolici, abbiamo saputo dare Dio e la verità ai popoli conquistati; e questi popoli ci hanno amato. Canada e Mauritius, tra gli altri, sono rimasti francesi di cuore e Cattolici, nonostante gli sforzi fatti per estinguere in loro la fede e l’amore per la madrepatria. È impossibile viaggiare per il mondo senza incontrare ricordi gloriosi per la Nazione cristianissima e senza essere convinti che essa abbia ricevuto la nobile missione di difendere Cristo. Essa ha sempre adempiuto a questa missione quando ha avuto dei capi degni di sé. Fino a poco tempo fa, essa non temeva di portare le sue armi fin nel lontano Oriente per proteggere i suoi Missionari; in Europa, riportò Pio IX sul suo trono imperituro; in Oriente, essa si fa un onore di esercitare sui Cattolici il suo secolare protettorato; infine, in Tunisia, si appella al Cattolicesimo per stabilire la sua influenza. La Francia dovrebbe d’ora in poi ripudiare questo passato invece di gloriarsene? Se essa ha il diritto di esserne orgogliosa, perché la Massoneria sta lavorando per scristianizzarla? Se la setta massonica portasse a termine i suoi piani, presto cesseremmo di essere Cattolici e la fonte della nostra grandezza verrebbe prosciugata. Ecco perché diciamo che la Massoneria è antifrancese. Quale sarebbe, secondo essa, la nostra missione nel futuro? Ovviamente, sarebbe quella di propagare l’ateismo e la morale pagana nel mondo. La Massoneria, nel secolo scorso, ha distrutto la Gerarchia cattolica e ha rovesciato gli altari e le Chiese del vero Dio, per intronizzare il razionalismo, come abbiamo detto: il suo scopo è ancora lo stesso, come abbiamo nuovamente dimostrato. Ebbene, una missione del genere è scellerata. Se il nostro sfortunato Paese se ne facesse carico, presto si potrebbe dire che la Francia, caduta nel fango e nel sangue, sarebbe vinta. –La Franco-Massoneria è ancora antifrancese perché lavora per privare i figli del popolo di un’educazione cattolica. Più di una volta abbiamo offerto ai nostri lettori questa considerazione, che è utile ricordare qui in poche parole. Diciamo quindi che il figlio del popolo, grazie agli insegnanti cattolici che ha incontrato finora, congregazionisti o laici devoti, ha ricevuto un’educazione non inferiore a quella dei figli della classe ricca. Dall’età di sette anni, il negro del popolo imparava il Catechismo, che è un mirabile riassunto della Religione; il Sacerdote lo chiamava per istruirlo e confessarlo, cioè per mostrargli il bene da fare ed il male da evitare; a poco a poco il bambino si riformava, e per meritare la felicità di fare la prima Comunione, lavorava per correggere i suoi difetti. Chi non sa quale profonda influenza abbiano avuto sulla maggior parte dei giovani uomini e donne questi quattro o cinque anni dedicati a questa formazione spirituale? È stato detto che « a dieci anni l’uomo è formato ». Grazie alla Religione, il figlio del popolo aveva ricevuto il beneficio di una buona formazione, che le lezioni del Sacerdote continuavano fino all’età di quattordici e quindici anni. In questo modo, a questo punto della sua vita, il bambino era pronto per tutte le carriere, perché era stato educato molto bene. Infatti, se cerchiamo l’origine di molte persone che oggi occupano posizioni elevate nel clero, nella magistratura, nell’esercito e nella marina, nei vari impieghi dell’amministrazione civile, del commercio e dell’industria, ci convinceremo che queste persone provengano per lo più dalle file del popolo. Quante celebrità della scienza o dell’arte devono la loro posizione ad un Sacerdote che li abbia distinti, aiutati e spinti nella loro carriera! Il seminario fu loro aperto e da lì si misero in cammino. In Francia, un giovane, una giovane, educati come abbiamo appena detto, sono quindi adatti a seguire la loro vocazione, qualunque essa sia, per il fatto che il sentimento religioso è stato sviluppato in loro, ed il sentimento religioso, base di ogni vera educazione, di ogni formazione seria, quando esiste in un’anima, la mette in grado di elevarsi a qualsiasi cosa, purché l’istruzione arrivi a completare questo primo lavoro. Siamo convinti che questa constatazione colpirà qualsiasi persona di buon senso che voglia approfondirla, e che questa educazione impartita tra noi ai figli del popolo, soprattutto dalle congregazioni religiose docenti, sarà vista come una fonte di grandezza per la nostra Nazione e, d’altra parte, come una sicura causa della sua decadenza nelle scuole senza Dio. Finora i settari avevano risparmiato la donna nella loro opera di distruzione, ed in genere la giovanetta, in Francia, veniva educata cristianamente. Così che la madre di famiglia, nell’ambito domestico, la maestra laica, nella sua scuola, le monache nei loro conventi, si preoccupavano di imprimere nel cuore della donna il delicato sentimento della modestia, la sua vera corona ed il bene più grande del suo sesso; aggiungiamo noi: la vera gloria della Francia e la sua ultima speranza. – La Massoneria anticristiana e antisociale attacca oggi la donna francese: ragazza, moglie, madre ed insegnante di Religione. E si definiscono anche patrioti! No, sono solo traditori della patria.

VII – Infine, il progetto della Massoneria è antiumanitario ed insensato.

Antiumanitario: Nessuno può negare che il Nostro Signore Gesù Cristo abbia risollevato i poveri, incoraggiato gli sfortunati, resa la sofferenza sopportabile, nobile e meritoria. Si è identificato con l’umanità sofferente, dicendo: « Io sono il povero, io sono l’orfano, io sono il prigioniero, io sono il lebbroso, tutto quello che fate al più piccolo dei miei, lo fate a me ». Da quel momento in poi, i poveri e la povertà, che non sono amabili per natura, sono stati amati in modo soprannaturale, cioè per amore di Gesù Cristo. Ci fu allora una rivoluzione nell’umanità che andò tutta a vantaggio di ciò che portava sulla fronte il carattere della debolezza. Alla vista di Cristo che lava i piedi ai suoi discepoli, i grandi impararono che chi vuole essere il primo deve essere l’ultimo; alla vista di Cristo povero, i ricchi si spogliarono della loro avarizia; alla vista di Gesù operaio, gli artigiani sentirono che il lavoro delle mani non disonora; alla vista del Salvatore attento alla guarigione dei malati, le anime generose lasciarono tutto per dedicarsi alla cura dei fratelli sofferenti e all’alleviamento del loro dolore. – Qui non si tratta di giudizi, ma di fatti storici. La storia della Chiesa Cattolica è sotto gli occhi degli increduli, così come lo è per noi; basta aprirla per convincersi che la dottrina di Gesù Cristo è stata fonte di ogni tipo di bene per l’umanità, e soprattutto per gli sfortunati. Se non vogliono che la storia della Chiesa sia raccontata da se stessa, si rivolgano ad altri, ai suoi nemici, se preferiscono, e si convinceranno che il Dio-Uomo si è mostrato, perché lo è davvero, il Padre dell’umanità sofferente. – Inoltre, è sufficiente avere occhi per vedere questa verità. Quando il viaggiatore passa per le strade di città non ancora atee nella loro amministrazione, può leggere su alcune case le parole incise dai nostri padri: Hôtel-Dieu. È lì che viene accolto l’infelice, in questa casa che Dio ha fondato con la parola efficace di suo Figlio. Il mondo è pieno di queste strutture, alcune modeste, altre sontuose, veri e propri palazzi costruiti per il povero Cristo nella persona dei suoi figli, che Egli chiama divinamente sue membra. – Migliaia di opere sono state scritte per raccontare questi benefici e per dire come la Chiesa si sia sempre dimostrata attenta a coloro che soffrono; altre migliaia di opere sarebbero necessarie per tracciare la devozione del nostro tempo verso la gente comune, così come verso i ricchi, che spesso sono felici delle cure delle nostre religiose. Sì, per usare l’espressione del Vangelo, il mondo sarebbe pieno di libri che dovrebbero essere composti per raccontare tutti i benefici di Gesù Cristo e della sua Chiesa per diciannove secoli. E attualmente la Massoneria calpesta la storia per cancellarne la memoria; cerca di fare notte sul passato cattolico, si prepara a nuove confische e le prelude cacciando dai nostri ospedali le figlie della carità e i religiosi dalle loro case, asili degli infelici, ma anche della scienza e della virtù. – Il capitolo sarebbe infinito se volessimo svilupparlo: il lettore lo completerà da solo.

Insensato. Sì, il progetto della Massoneria è folle, per l’ovvia ragione che toglie all’umanità tutti i beni del Cristianesimo, senza mettere nulla al suo posto. La Massoneria, considerata come eresia sociniana, si presenta a noi sotto il duplice aspetto di negazione e di distruzione. Figlia del protestantesimo – di cui può dire: sono il figlio più illustre e terribile – nega l’autorità infallibile della Chiesa ed il dogma fondamentale del Cristianesimo: la Divinità di Gesù Cristo; inoltre, avendo abbracciato il panteismo, con Spinosa e gli Averroisti che l’hanno portata nelle loro braccia, essa distrugge radicalmente non solo la Rivelazione cristiana, ma anche la Rivelazione primitiva, di cui gli antichi popoli, pur pagani, avevano conservato qualche barlume, che metteva sulle loro labbra questo grido: Dio Mio! Il grido di un’anima naturalmente cristiana, diceva Tertulliano. Ora, i massoni non vogliono più questo grido: bandiscono Dio da ogni dove, per prestare le orecchie a satana che dice loro: dii estis… Siete voi ad essere degli dei… Non è questo insensato? Se vogliono convincersi della loro follia, che vadano a vivere per qualche anno tra un popolo maomettano, il più lontano possibile dall’influenza della civiltà cristiana. Lì impareranno a conoscere la disgrazia di una nazione che non ha ascoltato le parole di Gesù Cristo: « Vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri ». Mandatum novum do vobis ut diligatis invicem. Si convinceranno, nei loro rapporti quotidiani con questa società maomettana, come noi ci siamo convinti a Zanzibar ed altrove, che la devozione gratuita, ispirata da Cristo e da lui solo, è assolutamente sconosciuta lì, così come le delicate virtù che sono alla base della nostra civiltà. Quando vedranno le donne, o meglio le donne confinate nel loro serraglio, saranno costretti a confessare che il fondatore del Cristianesimo ha risollevato l’umanità intera, rifacendo la famiglia, dove la donna è tornata ad essere, grazie a Lui, la compagna onorata degli uomini e la vera madre dei loro figli. Che vadano, se preferiscono, dai popoli selvaggi del continente africano. Lì impareranno presto con la loro esperienza, se stabiliranno qualche insediamento, che la terra appartiene a tutti ed i suoi frutti a nessuno, secondo la massima dei socialisti; perché saranno saccheggiati e derubati quando raccoglieranno i frutti del loro lavoro. Questo è ciò che diventa una società, qualunque essa sia, quando non ha avuto la fortuna di ascoltare gli Apostoli di Gesù Cristo. Ci sarebbe, però, qualcosa di ancora peggiore: sarebbe un popolo composto interamente da panteisti, o da massoni. In un popolo del genere, se dovesse aderire al panteismo, non ci sarebbe più un unico principio che possa raggruppare ed unire i suoi membri. Sarebbe la realizzazione delle parole di Machiavelli: « La natura ha creato gli uomini con la facoltà di desiderare tutto e con l’impotenza di ottenere tutto, cosicché, dirigendo i loro desideri verso gli stessi oggetti, sono condannati ad odiarsi l’un l’altro ». Per sfuggire a questa guerra di tutti contro tutti, tutto è permesso e tutti i diritti e i doveri possono essere violati. Ancora una volta, non è insensato tutto questo? Lasciamo al lettore il compito di giudicare, e ci affrettiamo a terminare questo studio con alcune conclusioni.

CONCLUSIONI.

Per concludere, diremo: i nostri timori, le nostre speranze, i nostri propositi.

I. I nostri timori.  

Non riuscirete nel vostro progetto di schiacciare l’Infame, scriveva Federico II, re di Prussia, a Voltaire, finché non potrete disporre del potere. – Per questo temiamo, non per la Chiesa universale che è immortale, ma per le Chiese particolari che non lo sono, che la Massoneria riesca a impadronirsi del potere governativo nelle varie Nazioni; perché, allora, i suoi adepti, elevati da essa alle prime cariche dello Stato, saranno soggetti ai suoi ordini, allo scopo di distruggere il Cristianesimo, dove esso dominerebbe. – Per quanto riguarda la Francia, in questa ipotesi, saremmo condannati a subire la stessa persecuzione dei nostri padri nel 1793, persecuzione che abbiamo descritto sopra, in tutti i suoi principali dettagli ed orrori sacrileghi. – Un altro timore è che la cosiddetta classe dirigente continui a non vedere che la Massoneria stessa gestisce i mille ingranaggi nascosti di cui soffrono profondamente la Religione, l’autorità governativa, la magistratura, l’esercito, il commercio, l’industria e l’intero Paese, nei suoi vari interessi. Oggi è impossibile credere, ragionevolmente, che la Massoneria sia semplicemente una società innocua, che non si occupi né di Religione né di politica, ma solo dei suoi membri, dal punto di vista filantropico. Se, dunque, c’è motivo di combatterla, o almeno di difendersi da essa, è necessario sapere che è veramente ostile al Cristianesimo e che, in breve, vuole la sua completa distruzione, con tutti i mezzi a sua disposizione, i numerosi mezzi che conosciamo e che non è necessario enumerare qui. Temiamo anche che un certo numero di persone, invitate dai Fratelli massoni designati con il nome di Brethren Enroleurs, accettino di entrare nella Massoneria, senza saperlo, come è stato fatto molte volte. Potremmo fornire numerose prove di ciò. Per questo motivo è necessario adottare misure per evitare questo pericolo, soprattutto per i giovani senza esperienza di uomini e cose. – Infine, temiamo che gli stessi massoni continueranno a camminare per la loro strada, ingannandosi a vicenda: i ricchi usando i lavoratori, e i lavoratori facendosi fuorviare dalle loro guide. Infatti, tra i massoni ci sono due classi: i dotti e gli analfabeti; tra questi ultimi ho nominato, in generale, gli operai.  Ora, i letterati, che sono per la maggior parte proprietari, formano quella che potremmo facilmente definire una corrente che batterà contro le mura della Chiesa, per rovesciarla. A questo scopo, i massoni alfabetizzati usano, e intendono usare in futuro, gli operai, per aiutarli nella loro opera di distruzione religiosa. Gli operai, da parte loro, formano un’altra corrente che colpirà, con non minore violenza, la proprietà e la cassaforte. I letterati si sbagliano se credono che, dopo aver distrutto la Chiesa, la magistratura e l’esercito, i baluardi della proprietà, riusciranno ad arginare poi la marea popolare. Nonostante tutte le loro avances e concessioni, saranno avvolti e trascinati nell’abisso dal torrente. Così i ricchi muratori avranno preparato follemente la loro rovina e gli operai avranno ucciso la gallina dalle uova d’oro, cioè la proprietà ed il capitale, senza i quali il commercio e l’industria possono solo vegetare e morire. Invano i socialisti contano sulla Repubblica, o meglio sulla Comune europea, un progetto irrealizzabile. Se un giorno si realizzasse, il giorno dopo sarebbe dissipato dall’insaziabile appetito di tutti. Chiunque voi siate, massoni letterati o illetterati, non dimenticate che esiste, vostro malgrado, in questo mondo, una legge provvidenziale chiamata legge del taglione, e che sarete trattati così come avete trattato Dio, che è un Padre, e la Chiesa Cattolica, che è una Madre. Se la Massoneria colpirà fino all’estremità della terra il massone che la tradisce, ricordate che anche Dio è potente, e la sua infinita giustizia esige che ogni colpa, per quanto lieve, riceva la sua punizione. Voi non vi sfuggirete.

II. – Le nostre speranze.

Speriamo che le parole dei Sommi Pontefici, fedeli custodi della verità, siano ascoltate in futuro meglio che in passato. L’esperienza, cioè le disgrazie di cui la setta è autrice e noi le vittime, comincia a dimostrarci che i Papi hanno sempre avuto ragione nel condannare e scomunicare i massoni. Ci auguriamo che i padri, così come le madri, i tutori e le altre persone incaricate di guidare i fanciulli, comprendano la necessità dell’istruzione cristiana per l’educazione dei giovani e chiedano a tutti i costi che venga impartita loro. In questo si comporteranno da Cristiani e da veri patrioti, perché i giovani cresciuti senza principi religiosi, per capriccio della Massoneria, sarebbero buoni solo per formare in dieci anni un esercito di atei, adatto a mettere il mondo sottosopra e degno di marciare, un giorno, sotto la bandiera dell’Anticristo. Ci auguriamo che tutti gli uomini che sanno maneggiare la parola o la penna si convincano sempre più che la parola è un seme che produce fatalmente secondo la sua natura, e che diffondano la buona parola ovunque vadano, ispirandosi alle opere di San Tommaso d’Aquino, così ben adattate alle necessità del nostro tempo, e così giudiziosamente raccomandate dal Pontefice Leone XIII. Speriamo anche che le persone zelanti, capaci di rimediare da sole alla mancanza di istruzione religiosa negli adulti e nei bambini, vogliano diventare apostoli di Gesù Cristo con tutti i mezzi che la carità suggerirà loro. – Speriamo che le anime rette ed i cuori valorosi si allontanino dalla Massoneria studiando la sua dottrina. Perché allora sarà facile per loro vedere che Fausto Socino, il suo autore, si è lasciato andare alla voluttà, come Maometto; all’orgoglio della ragione, come Lutero; al disordine sociale, come tutti i peggiori cospiratori, che erano suoi figli.  Speriamo, infine, che Dio ascolti le preghiere dei suoi figli, e che dopo aver permesso alla Massoneria, soprattutto dopo la morte di Gregorio XVI, avvenuta nel 1846, di lavorare per l’unificazione e di abusare della libertà umana per combattere la Chiesa Cattolica, permetta anche una nuova effusione del suo Spirito sulla terra, per rinnovare il volto della Chiesa, e per procurare a Gesù Cristo un trionfo che risponda ai lunghi anni di sofferenza vissuti da Pio IX e Leone XIII. Che il Cielo conceda che gli elementi di unità materiale, intellettuale e morale, accumulati nel mondo per cinquant’anni dalla scienza, dalla fortuna e dall’attività umana, dalla stessa fede e dall’incredulità, servano presto a stabilire tra gli uomini l’unità di credo, attraverso Gesù Cristo Nostro Signore e la Sua infallibile Chiesa.

III. – Le nostre risoluzioni.

Pio IX diceva: « Abbiate un cuore di madre per gli erranti e colpite duramente l’errore ». – Ci ripromettiamo di obbedire a questo consiglio, sia nei confronti dei massoni che della loro dottrina. Invitiamo i nostri fratelli ad ascoltare anche le parole del Santo Pontefice.  Li invitiamo anche, poiché il futuro della Chiesa di Francia e della Francia stessa dipende dall’insegnamento, a rivolgere tutta la loro attenzione, tutta la loro devozione, tutte le loro risorse, a questo lato. Chiediamo loro di riflettere e di guardare attentamente dentro e fuori di sé, per vedere fino a che punto le massime pagane abbiano prevalso su quelle cristiane, il razionalismo massonico sull’autorità della Chiesa, l’indipendenza sociniana sull’obbedienza cristiana, i costumi voluttuosi dell’errore sulla mortificazione praticata e comandata da Gesù Cristo; in una parola, il paganesimo sul Cristianesimo. – Li preghiamo di credere fermamente che la Massoneria voglia distruggere tutto il Cristianesimo, tutta la rivelazione religiosa, a vantaggio del razionalismo e del panteismo, e che se, per calcolo, demolisce l’edificio della fede pezzo per pezzo, nulla la fermerà nella sua opera satanica. Di conseguenza, bisogna capire che le concessioni devono essere rifiutate, se possibile. E cosa potrebbe fare la maggioranza di un popolo, se sapesse cosa vuole, contro un’eresia servita da una minoranza che ha solo appetiti, senza convinzioni né ideali? Guai a noi se le nostre Chiese saranno un giorno sostituite dalle scuole che si stanno costruendo per essere degne di diventare le trottole della scienza!  Una volta fu detto a un principe esiliato: I tuoi amici ti aspettano in patria: cosa devono fare per spianarti la strada? – Che si santifichino, rispose l’esule.  – Il nostro Principe cristiano è Gesù Cristo, esiliato dalle nostre leggi, dalle nostre scuole, dalle nostre famiglie, da molte anime che gli appartengono per il Battesimo. A coloro che lo adorano dicendo: Adveniat regnum tuum, rispondiamo anche: Santificatevi! Sì, santifichiamoci tornando Cristiani e smettendo di essere pagani. Allora il Maestro divino si degnerà di servirsi ancora una volta della Francia per realizzare i suoi piani di carità misericordiosa nel mondo. Santifichiamoci sottomettendoci senza riserve al Magistero infallibile della Chiesa, per guarire dal liberalismo o razionalismo massonico che ha invaso tutto, e Dio ci conserverà il prezioso dono della fede. Affrettiamoci a santificarci perché il Signore ponga fine alla persecuzione religiosa di cui soffriamo, e perché converta anche i nostri fratelli traviati che, in odio a Gesù Cristo, vogliono tenere un congresso massonico a Roma quest’anno, davanti al Suo Vicario, ed un altro, l’anno prossimo, a Gerusalemme davanti al Calvario, dove l’Agnello divino è stato immolato per la nostra salvezza, sotto gli occhi di Sua Madre, che è diventata nostra Madre… Che venga il regno di Gesù Cristo, più brillante che mai!

AGGIORNAMENTI AL 2023

(N. d. R.)

Il libro di monsignor Fava, edito circa un secolo e mezzo orsono, è di un’attualità stupefacente: le idee gnostico-panteiste del Socino, fatte proprie dalla Massoneria, sono le idee oggi in voga in ogni angolo della terra, idee che hanno già trasformato l’umanità in una mandria di schiavi asserviti agli interessi di pochi adoratori di satana, loro padre e loro dirigente. Le logge si sono allargate costituendo istituzioni mondialiste, o, come si dice oggi, globaliste, covo delle razze di vipere che stanno avvelenando tutta la società totalmente paganizzata. Le idee e le finalità sono sempre le stesse, cioè la distruzione della Chiesa Cattolica – si fieri potest -, la negazione della divinità di Cristo e la cancellazione del Cristianesimo non solo dalle attività e dalle istituzioni umane, ma finanche dal cuore e dalla mente degli uomini ingannati e storditi da droghe spacciate per medicine e vaccini, veleni, sistemi filosofici più o meno strampalati o francamente assurdi. Dopo aver infiltrato ed asservite tutte le Nazioni del mondo in ogni Continente, sono state create aree geografiche sempre più ampie gestite da supergoverni continentali, da banche mondiali, da organizzazioni finto-sanitarie che tutelano interessi particolari a discapito delle masse ignare ed inebetite … E la Chiesa, vi chiederete forse, come ha reagito? La Chiesa è stata eclissata, come profetizzato dalla Vergine Maria a La Salette (1846), sostituita da una superloggia che ne ha conservato le strutture visibili svuotandole di ogni contenuto dottrinale e spirituale fino a ridurla ad una larva, ad una conchiglia, ad un carapace vuoto e senza la vita di grazia. Il Nubius aveva purtroppo visto giusto, e così, corrompendo gli uomini della Chiesa, la Massoneria si è insediata prima nelle varie congregazioni ed ordini religiosi, puntando primariamente ai Gesuiti, da sempre nel mirino dei “figli della vedova”, ed infine nei templi sacri, compresi i palazzi vaticani, fino ad espugnare apparentemente, usurpandolo, il soglio di S. Pietro, ove ha posto, dal 28 ottobre del 1958 ed in successione, uomini iniziati, cresciuti alla sua ombra ed indottrinati a rendere scaltramente ed in lenta inarrestabile progressione i servizi richiesti dalle “cupole” per traghettare tutte le religioni – anche se in realtà l’unica che si vuole cancellare è la Cattolica – in un organismo religioso unico mondiale, ecumenico-indifferentista, che sarà presieduto dall’anticristo o da un suo stretto “collaboratore”. E allora, la Chiesa è distrutta, il Papa trasformato in anticristo? Dio ed il suo Cristo sconfitti per sempre? … et irridebit eos Deus … No, no, cari lettori, le porte dell’inferno non prevarranno giammai, come Nostro Signore Gesù Cristo ha promesso ai suoi Apostoli ed ai suoi fedeli, la Chiesa esiste, portata dallo Spirito nel deserto, come meravigliosamente descritto nel capitolo XII dell’Apocalisse; essa è nel “deserto”, o se preferite nel sepolcro, come Cristo, suo Sposo, e Capo del Corpo mistico che, una volto sepolto e dichiarato morto risorgerà meraviglioso, raggiante, inaspettato dai malvagi inorriditi adepti servi di lucifero intruppati sotto lo stendardo dell’anticristo, che saranno bruciati dal soffio del Cristo e scaraventati nello stagno di fuoco preparato per le bestie – generate da Socino, Cromwell, Weitshaup, Voltaire, etc. -, per lo pseudoprofeta e per il dragone infernale. Tutto è già scritto da millenni, non ci sono altre ipotesi o previsioni umane da avanzare. Cristo vive in eterno, Cristo vince, Cristo impera nel suo regno – la Gerusalemme celeste – che Dio, il Dio Padre della SS. Trinità, l’unico, il solo Onnipotente, gli ha consegnato, dopo aver posto i suoi nemici a sgabello dei suoi piedi e raccolti nel suo Tempio santo tutti coloro che lo hanno amato, conosciuto e servito. Gloria a Dio nei secoli dei secoli!

DISCORSO SUL SEGRETO DELLA FRANCO-MASSONERIA (1)

DISCORSO SUL SEGRETO DELLA FRANCO-MASSONERIA (7)

DISCORSO SUL SEGRETO DELLA FRANCO MASSONERIA (7)

DI MONSIGNOR AMAND JOSEPH FAVA

VESCOVO DI GRENOBLE
 

LIBRERIA OUDIN, EDITORE – 1882

PARTE SECONDA.

COSA PENSARE DEL PROGETTO DELLA MASSONERIA DI DISTRUGGERE IL CRISTIANESIMO E SOSTITUIRLO CON IL RAZIONALISMO?

III. – Il progetto della Massoneria è nemico della libertà religiosa.

Sappiamo che i massoni parlano molto di libertà religiosa, e abbiamo sotto gli occhi vari diplomi di affiliazione alle varie obbedienze della Francia massonica dove leggiamo, in testa, queste parole: Libertà di coscienza. Ma per essere coraggiosi non basta parlare di coraggio, bisogna dimostrarlo con i fatti. Allo stesso modo, colui che è veramente amico della libertà, lo dimostra nella sua condotta. Libertà di coscienza: vediamo se questa scritta sulla facciata del tempio massonico sia vera o falsa. – Diciamo innanzitutto che mettere sullo stesso piano l’ebraismo e il Cristianesimo, il Cattolicesimo e il protestantesimo, il maomettanesimo e tutte le eresie non significa dire, né dimostrare, che rispettiamo tutte le religioni, ma piuttosto affermare che le disprezziamo tutte, poiché esse si escludono a vicenda. Posso essere amico di uomini che sono nell’errore, ed essere gentile con ebrei, maomettani, protestanti e massoni; tuttavia, non posso, senza essere irragionevole ed empio, amare allo stesso tempo il giudaismo che crocifigge Gesù Cristo e il Cristianesimo che lo adora come Dio; Il Cattolicesimo che venera il Magistero infallibile della Chiesa docente e il protestantesimo che lo ripudia con orrore, sbattendoci in faccia il nome di “papisti” come un insulto. Ebbene, questo è ciò che ha fatto Socino. Ammette nel tempio che ha costruito tutte le dottrine, indistintamente; le getta tutte insieme, ma ad una condizione: che cedano tutte alla religione naturale, in altre parole, il razionalismo: farlo significa non rispettare queste diverse religioni, ma piuttosto disprezzarle tutte; questa non è tolleranza, ma indifferenza nella sua massima espressione. Cromwell si comportò allo stesso modo; ma la spiegazione del suo sistema razionalistico è più chiara, come abbiamo visto sopra, nell’articolo dedicato a questo grande cospiratore. – Per quanto riguarda Weishaupt, nei suoi scritti originali, riportati sopra, egli affermava che il Cristianesimo e tutte le altre religioni « hanno come origine le stesse finzioni; che sono tutte ugualmente fondate sulla falsità, sull’errore, sulla chimera e sull’impostura: questo è il nostro segreto », egli aggiunge. – Questo è il modo in cui i massoni moderni lo intendono e lo spiegano a parole e nei fatti. Qual è allora il significato, in stile massonico, di questa espressione: Libertà di coscienza? Non siamo noi a rispondere a questa domanda, è Weishaupt stesso che ha risposto, lui il cui Illuminismo ha prevalso, si ricorda, nel convento universale di Wilhemsbad. Ecco cosa egli diceva: « Abbiamo dovuto superare molti pregiudizi tra di voi, prima di potervi convincere che questa cosiddetta Religione di Cristo era solo opera di Sacerdoti, di impostura e di tirannia. Tale è l’ospitalità offerta nelle logge alle varie credenze. Vengono chiamati con mille promesse e con la grande parola della Libertà che risuona dal balcone della porta; vengono gentilmente accolti, fatti entrare, e poi la porta viene chiusa su di loro, e allora inizia il lavoro massonico, che consiste nell’abile superamento dei pregiudizi, dice Weishaupt; cioè le credenze religiose, qualunque esse siano, vengono fatte morire di una morte lenta, quando non possono essere massacrate subito. Questo è ciò che questi signori intendono per libertà di coscienza. – Niente è dispotico e tirannico, dal punto di vista religioso, come la Massoneria. Non solo pretende di essere la verità e di avere tutti i diritti della verità, ma non lascia libertà a quello che chiama errore, cioè al Cattolicesimo; lo carica di catene, in attesa che venga soffocato o sgozzato. Questi uomini, che conducono una guerra totale contro il Syllabus, lo superano in modo crudele. La Santa Sede condanna l’errore dottrinalmente, per illuminare le menti; ma il Syllabus rimane come un faro, per illuminare coloro che vogliono la sua luce, e i massoni sono liberi di agire come vogliono, mentre le processioni cattoliche sono soppresse, l’insegnamento cattolico distrutto pezzo per pezzo, Cristo rimosso dalle nostre scuole, il Catechismo ripudiato e Dio soppresso. Perché? Perché nel 1877 la Massoneria francese, sulla scia del Convento di Wilhemsbad, eliminò dai suoi statuti l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima. La Massoneria è razionalista ed atea; di conseguenza, intende che tutti lo siano. Proibisce la pratica di qualsiasi culto religioso e non vuole alcun atto pubblico di Religione, perché la coscienza dei massoni ne sarebbe ferita. – Comprendiamo, allora, cosa significhi per loro questa espressione: libertà di coscienza. Si tratta della loro libertà, della loro coscienza. Essi si impregnano della setta massonica con tale amore ed orgoglio che l’umanità scompare ai loro occhi. A noi Cattolici non rimane alcun diritto, se non quello di ricevere la legge da questi spietati padroni e di ritenerci felici che essi ci facciano vivere, per il momento. Se un bambino cattolico sussurra la sua preghiera in classe, deve tacere: la coscienza massonica è ferita… Il Padre Nostro lo fa contorcere…. La vista di Cristo lo disturba… Presto la tonaca del prete sarà un crimine… i nostri canti sacri saranno grida di sedizione… Cattolici, e anche voi, bambini, tacete, in nome della libertà della coscienza massonica, tacete, e se Dio è vostro Padre, non nominatelo più, nemmeno sottovoce: la Massoneria vuole così! Quindi i franco-massoni formano il popolo eletto e noi, che non lo siamo, siamo i Gentili. Loro sono la razza santa e noi siamo i profani: questo è il nome che ci danno nella loggia; loro sono i cittadini romani – di una volta – e noi siamo i barbari. Si dice: sono un massone, come San Paolo ha detto: Civis romanus sum: sono un cittadino romano. La libertà a cui abbiamo diritto è quella che loro sono disposti a concederci; felici, ancora una volta, di poterci considerare in grado di poter vivere, senza che ci si inquieti oltre. Non è questa una novità. Tra i manichei c’era libertà solo per i manichei; si dava l’elemosina, dice Sant’Agostino, solo ai manichei; il resto formava il volgo spregevole. Tali sono i musulmani nei loro Paesi per i cani Cristiani; di un orgoglio smisurato e di un’insolenza che sarebbe rivoltante, se non fosse ridicola. Siamo clericali e ci è stato detto che il clericalismo è il nemico! Questo epiteto vale tutti gli altri. Queste valutazioni sono ben fondate nella ragione. Seguiamo il lavoro delle logge da molto tempo, leggiamo le loro opere e i loro bollettini mensili; siamo sicuri di ciò che diciamo. Libertà di coscienza! Queste due parole sono fatte l’una per l’altra? E unirli non è forse un matrimonio forzato? Vorrei che un massone ci spiegasse cosa si intenda in massoneria per libertà di coscienza. Se questi signori non avessero giurato di farlo, sotto le più severe sanzioni, li pregheremmo di insegnarcelo. Per prendere le parole come suonano, la coscienza è il giudizio pratico della ragione che ci dice che una cosa possa essere fatta, o debba essere fatta, perché è buona o ordinata, o che debba essere omessa, non fatta, perché è cattiva. San Basilio chiama la coscienza « un tribunale basato sulle luci naturali ». È uno spirito di insegnamento e di correzione dato all’anima, di cui è come la legge interiore. Ascoltiamo alcune parole di San Tommaso d’Aquino su questo capitolo della coscienza, e traiamo dalle sue parole le conclusioni volute per il nostro argomento. « Si dice che la coscienza testimonia, vincola, stimola, oppure accusa, lacera e riprende. Ora, tutte queste cose sono la conseguenza dell’applicazione ai nostri atti di una conoscenza o scienza della nostra mente. Questa applicazione avviene in tre modi; in primo luogo, quando riconosciamo di aver fatto o omesso qualcosa, secondo le parole dell’Ecclesiaste: « La vostra coscienza sa che spesso avete pronunciato maledizioni contro gli altri »; e così si dice che la coscienza testimonia. – « In secondo luogo, quando giudichiamo in base alla nostra coscienza se una cosa debba o non debba essere fatta; e così la coscienza ci serve da freno o da sprone. « Infine, questa applicazione avviene in un terzo modo, quando giudichiamo che una cosa fatta sia stata fatta bene o male; ed è in questo modo che la coscienza scusa, accusa o lacera. Così, secondo San Tommaso d’Aquino, la coscienza svolge in noi la triplice missione di testimoniare, giudicare ed applicare la sanzione, e in queste diverse funzioni agisce secondo i principi di verità e di giustizia che sono in essa, come partecipazione dei principi che sono in Dio stesso. Chi può non vedere, allora, che la coscienza non può essere libera? Infatti, come testimone, può la nostra coscienza dirci che non abbiamo commesso questa o quella azione malvagia, quando sa perfettamente che ne siamo colpevoli? Provate a convincere un peccatore, chiunque esso sia, che è innocente; nel profondo della sua anima dirà a se stesso: “Gli uomini possono non sapere del mio crimine, io non posso ignorarlo”. – Che quest’uomo poi cerchi di illudersi, la sua coscienza, come un ramo vigoroso piegato per un momento, si rialzerà presto con nuova forza e gli dirà: Ho visto tutto, ho sentito tutto, ho conservato tutto; testimonio e testimonierò sempre contro di te, perché sono schiavo della verità incorruttibile. Pensate che come giudice la vostra coscienza sia più libera? No, certo che no. La coscienza non è altro che la ragione che giudica in un caso particolare e sentenziando un atto come buono o cattivo ai suoi occhi, la coscienza dice necessariamente ciò che vede: la verità! Un uomo, in pieno giorno, è libero di vedere o non vedere che è giorno? Può chiudere gli occhi, ma non è libero di dire che è notte, quando sa che è giorno. Se lo dice, sa che sta mentendo alla verità. La coscienza non è nemmeno libera di dire che vede qualcosa di diverso da ciò che osserva. Infine, la nostra coscienza non può fare a meno di accusarci quando abbiamo fatto del male, né può fare a meno di lacerarci con il rimorso, che ci conficca come una spada e che non ci strapperà dal cuore finché non avremo espiato questo crimine, questa colpa, davanti a Dio, che perdona sempre il peccatore contrito e pentito, nel tribunale della misericordia che ha istituito sulla terra, attraverso il ministero della sua Chiesa, quando vi si può ricorrere. La coscienza non è quindi libera, né come testimone, né come giudice, né come esecutore della sentenza; di conseguenza l’espressione: libertà di coscienza, in sé, è difettosa. Se questa espressione significa: libertà di credere, allora è più comprensibile, perché la libertà è la facoltà di scegliere tra il bene e il male; « facultas eligendi inter bonum et malum », ognuno, in virtù di questa facoltà, crede o non crede all’insegnamento che riceve. – Ma anche in questo caso ci si può chiedere dove sia il rispetto della Massoneria per le credenze religiose altrui. Se esistesse questo rispetto, i massoni non tratterebbero i Cattolici come fanno quando hanno il potere nelle loro mani; e i Pontefici non dovrebbero alzare la voce così spesso per lamentarsi dei loro scritti e delle loro azioni. – La setta massonica, come abbiamo detto e come tutti possono vedere oggi, è incredibilmente intollerante nei confronti di tutte le religioni positive, soprattutto del Cattolicesimo. Lo attacca nelle logge. – dove essa dice, non si discute né di Religione né di politica, – con una violenza ispirata dall’odio settario, e anche dalla malafede, quando non è che vera ignoranza. – È nostro dovere fornire una prova di questa affermazione, ed è ancora una volta dal Bollettino della Gran Loggia Simbolica Scozzese che la trarremo, (pagina 333, n. 23. Febbraio 1882.). – Il F .:. Poncerot riferisce in questi termini di un opuscolo offerto alla L. :.  di F.:. Alfred La Belle, e intitolato: Les Dogmes. – « In quest’opera, miei F. F. :., il F. :. La Belle, prendendo di mira i dogmi fondamentali della Religione cattolica, cerca di dimostrare che i teologi, suoi fondatori, nel formularli non li hanno affatto inventati, ma se ne sono solo appropriati, prendendo in prestito i caratteri principali dalle religioni indiane che hanno preceduto l’era cristiana di diverse migliaia di anni. « Partendo dal peccato originale, l’autore stabilisce che la Bibbia ebraica ha ricamato il suo romanzo di Adamo ed Eva sul mito indù dell’albero della vita e della scienza, che ha semplicemente adattato alle esigenze del tempo e all’obiettivo perseguito da Mosè e poi dai Padri della Chiesa per spiegare, a modo loro, le cause del male e del decadimento originale, una mostruosità di cui mette in luce la perfetta e iniqua assurdità. « Dall’idea della creazione dal nulla e da questo principio di decadenza originaria seguono logicamente tutti gli altri dogmi: Immacolata Concezione, Battesimo, Cresima, Matrimonio, Estrema Unzione, Ordine, Eucaristia, Immortalità e vita futura, Purgatorio e Inferno, ecc. ecc. e infine l’Infallibilità papale, dovendo il Papa, successore e rappresentante del Redentore, Figlio di Dio, essere necessariamente infallibile. – Mi astengo dal seguire l’autore nella sua critica dettagliata di ciascuno di questi dogmi che – è il F. :. Poncerot che parla sempre – formano i titoli dei capitoli del suo volume, dogmi la cui inanità non ha certo bisogno, miei F. F. :. di essere dimostrata, essendo l’edificio costruito in modo tale che, pur essendo molto solido, è troppo solido solo se si ammette il fatto della caduta originaria, e sprofonda e cade nella polvere non appena questa chiave di volta viene distrutta. » – Potremmo fermarci qui; ma se, per caso, F. :. Poncerot ci leggerà un giorno, forse dirà che non abbiamo osato citare la parte più forte del suo articolo; quindi riportiamo il resto: « Vi dirò tuttavia qualche parola sul capitolo sulla Predestinazione, sul quale il F.:. La Belle si è soffermato in modo particolare, e di cui sottolinea la flagrante contraddizione con gli attributi di bontà e di giustizia sovrana di cui i credenti si compiacciono di adornare il loro Dio. – Questo dogma ha la sua origine e la sua spiegazione nel brahmanesimo, la cui civiltà relativa si basa sulla divisione in classi. In India, la casta sacerdotale aveva bisogno di attribuirsi l’autorità, il governo supremo e il possesso della maggior parte possibile dei beni terreni; sosteneva, essendo emanata dal cervello stesso di Brahma, di essere predestinata alla superiorità dell’intelligenza e di essere l’unica autorizzata a creare la legge, il diritto, affermandosi così come padrona assoluta dell’intera società. « Come vedete, si trattava di una chiara negazione delle idee di libertà, uguaglianza e fraternità. « Questa tradizione funesta era troppo buona per non essere impiegata, e soprattutto troppo fruttuosa per non servire da modello ai leader delle varie religioni successive in contatto con il brahmanesimo, che la utilizzarono nella misura in cui l’ambiente in cui operavano glielo permettesse, e lo troverete in varie traduzioni: in Persia, in Egitto, dove fu importata dagli emigranti indù, e poi nei druidi, nei greci e nei latini, che però ne mitigarono l’orribile dispotismo, soprattutto questi ultimi, ammettendo, più tardi, dopo Gesù, la possibile elevazione dei paria, a condizione però che la grazia divina lo permettesse, Si capisce bene, infatti, che il Dio di questo popolo si riserva il diritto di salvare chi vuole, conoscendo fin dall’eternità quelli che gli conviene dannare, probabilmente per sua soddisfazione, poiché, essendo Onnipotente, non può che dipendere da Lui che tutti i suoi figli siano felici e godano della beatitudine eterna. Questa è la sua giustizia. » – Tali sono, diremo a nostra volta, i ragionamenti del F.:. La Belle, portati alla luce dal F. :. Poncerot. Fino a quel momento, nulla era pericoloso per il pubblico, poiché nessuno poteva capire nulla. La conclusione deve averli impressionati di più: eccola: « Ma noi, miei F.F. :., che non entriamo nei nostri a:. t:., cioè nelle nostre officine massoniche, se non solo dopo aver lasciato alla porta tutte queste superstizioni, uniamoci al F.:. La Belle, dicendo: salute e grazie al metodo scientifico, che espelle da tutto il processo della fede ». La cosa più evidente è che la libertà di coscienza sia intesa in modo singolare dai massoni: essi lasciano alla porta tutti i pregiudizi, cioè tutte le credenze religiose, e salutano con entusiasmo il metodo scientifico, che espelle da ogni parte il processo di fede. L’espressione, libertà di coscienza, è quindi solo una parola destinata ad ingannare, appunto è il syllabus dell’errore massonico. Per quanto riguarda l’estratto in sé e il suo valore, ci permettiamo di dire a F.:. La Belle e F.:. Poncerot, che sarebbe stato molto utile per loro consultare il lavoro del signor Estîin Carpenter, pubblicato in The Nine teenth Century-dicembre 1880. Questo scrittore non avrebbe dovuto spaventarli, visto che è un razionalista. Ebbene, in una discussione storica in cui P. de Bonniot pubblica una sintesi di quest’opera, come F.:. Poncerot ha fatto per F.:. La Belle, il P. de Bonniot, seguendo passo dopo passo il suddetto studioso, giunge a questa conclusione: « Così, tutto crolla in questo sistema che fa del Cristianesimo una specie di setta buddista. Oltre al fatto che le dottrine sono radicalmente opposte nelle loro parti essenziali, la storia chiude ostinatamente tutte le vie che potrebbero permettere alle idee del Buddha di penetrare nei luoghi in cui la Religione di Cristo ha avuto origine da lui. Non c’è quindi nulla che permetta di far derivare il Cristianesimo dal buddismo. Anche questa povera argomentazione basata sulla somiglianza è sparita! Le origini buddiste del Cristianesimo sono una barzelletta scientifica. « J, DE BONNIOT ». (Annali di filosofia cristiana. – Giugno 1881). – Facciamo osservare che la tesi di F.:. La Belle non è diversa da quella dei filosofi dell’Accademia di Vicenza, fondatori della Massoneria, i cui scritti sono scomparsi. Gli uni e gli altri dimenticano che Gesù Cristo non abbia mai frequentato le scuole e che i Giudei, ascoltandolo parlare, dicevano pieni di ammirazione: « Come fa costui a conoscere le Scritture, visto che non le ha imparate? Eppure il Vangelo è la parola di Gesù Cristo. Chi, dunque, conosceva Buddha a Gerusalemme o anche tra i Romani, che non gliene parlasse? E gli Apostoli, hanno forse pescato il buddismo nel lago di Tiberiade? Pochi giorni prima di iniziare a predicare, essi erano assolutamente come quelli che noi chiamiamo ignoranti; eppure, la dottrina che hanno proclamato è assolutamente la stessa dei Padri della Chiesa e la nostra. Per questo motivo diciamo e dimostriamo che il F.:. La Belle e F. :. Poncerot si sbagliano. Questo fatto, su cui insistiamo deliberatamente, dimostra come le menti degli oratori delle logge siano traviate, quanto poco sia rispettata la libertà religiosa e cosa si debba intendere con la massima massonica: Libertà di coscienza. Libertà di coscienza o meno, la setta massonica non ne comprende nessuna, e non sappiamo quale pratichi. La libertà, considerata come la facoltà di scegliere tra il bene e il male, viene da loro confusa con il diritto di scegliere tra il bene e il male; eppure c’è una grande differenza tra la facoltà e il diritto. Un padre ha la facoltà di educare il proprio figlio come un pagano, ma non ha il diritto di farlo. Ho la facoltà di prendere la proprietà di un altro e di violare la sua casa, ma non ho il diritto di farlo. Un legislatore ha la facoltà di fare leggi ingiuste ed empie, ma non ne ha il diritto. È così che lo intendono i massoni? Le loro azioni rispondono a questa domanda e non possono negare che, ovunque si trovino, per loro la libertà consiste nel diritto di fare ciò che vogliono, sia che si chiamino nichilisti, illuministi, socialisti, o carbonari, liberali o massoni. Sanno essi rispettare i diritti politici di ogni individuo, il cui rispetto garantisce la libertà comune a tutti? Dagli imperatori e presidenti di repubbliche che vengono assassinati, al più semplice religioso che viene cacciato dalla sua casa, non c’è forse una moltitudine di funzionari e di persone che si lamentano, e a ragione, di essere stati lesi nell’esercizio dei loro legittimi diritti? Sarebbe meglio parlare meno di libertà e praticarla di più. Lasciamo al lettore il compito di completare da se stesso questa considerazione, perché è difficile parlare senza emozione della libertà, quando la si vede tormentata, arrestata e calpestata da uomini che, con il pretesto della libertà, conoscono solo l’indipendenza, la licenza e la rivolta.

IV. – Il progetto della Massoneria è contrario ai buoni costumi.

Se la massoneria è nemica della vera libertà, non è certo amica della buona morale. Possiamo applicare ad essa le parole che Lutero stesso disse della Riforma protestante, poiché Socino ne fu il figlio terribile. Non dimentichiamo che i discepoli di Socino hanno inciso sulla lapide del loro maestro: « Lutero ha scoperchiato il tetto della Chiesa cattolica, Calvino ne ha rovesciato le pareti e Socino ne ha demolito le fondamenta. » – « Non appena abbiamo iniziato a predicare il nostro Vangelo – dice Lutero – si è verificato un terribile sconvolgimento nel Paese; si videro scismi e sette, e ovunque la rovina dell’onestà, della moralità e dell’ordine: la licenziosità e tutti i vizi e la turpitudine superarono ogni limite, molto più di quanto non avessero fatto sotto il regno del Papismo; il popolo, prima frenato dal dovere, non conosceva più alcuna legge, e viveva come un cavallo imbizzarrito, senza pudore e senza freni, lasciandosi trasportare dal capriccio delle sue voglie mondane. Da quando predichiamo, il mondo è diventato più triste, più empio, più volgare; i diavoli si scatenano a legioni sugli uomini, che, alla pura luce del Vangelo, si mostrano avidi, impudenti, detestabili, insomma, peggiori di quanto non fossero sotto il Papismo; dal più grande al più piccolo, si vedono ovunque solo avarizia, disordini vergognosi, passioni abominevoli. Io stesso sono più negligente di quanto non lo fossi sotto il Papismo, e sono meno che mai disposto a seguire la disciplina e le pratiche di zelo che dovrei osservare. Se Dio non mi avesse nascosto il futuro, non avrei mai osato propagare una dottrina da cui sono scaturite tante calamità. – Edizione Walch, v. 1 14. Questa confessione di Lutero, fatta in un momento in cui la verità parlava alla sua anima, è notevole. È l’errore colto sul fatto; è l’errore con le sue immediate e deplorevoli conseguenze, che si abbatte sulla testa e sul cuore del padre della cosiddetta riforma, per punirlo del suo orgoglio, della sua imprudenza e delle sue colpevoli debolezze. L’abate Lefranc, già citato, ci dirà che cosa la massoneria abbia fatto della Francia, e di ciò che era, come risultato della sua dottrina, il francese alla fine del XVIII secolo. – « L’Europa è stupita del cambiamento avvenuto nei nostri costumi. In passato i francesi venivano rimproverati solo per la loro allegria, leggerezza e frivolezza; ora che sono diventati crudeli, barbari e sanguinari, sono aborriti e temuti come lo sarebbe una bestia feroce. Chi lo ha reso feroce, sospettoso, sempre pronto ad attaccare la vita dei suoi simili e ad incarnare l’immagine della morte? Lo dirò io, e … sarò creduto? È la Massoneria… Sì, non ho paura a dirlo, è la Massoneria che ha insegnato ai Francesi a contemplare la morte a sangue freddo, a maneggiare il pugnale senza paura, a mangiare la carne dei morti, a bere dai loro teschi ed a superare i popoli selvaggi in barbarie e crudeltà. Sotto il pretesto della libertà e dell’uguaglianza essa è stata in grado di spegnere il sentimento religioso nei cuori dei Francesi, di far loro odiare i loro principi, i loro magistrati, i loro pastori più fedeli; di alimentare uno spirito di divisione nelle famiglie più unite, di ispirare orrore e carneficina per far riuscire i suoi folli progetti. All’ombra dell’inviolabile segretezza che fa giurare agli iniziati ai suoi misteri, essa ha impartito lezioni di omicidio, assassinio, incendio doloso e crudeltà. Essa ha incoraggiato i crimini più inauditi con la garanzia dell’impunità, con il numero delle braccia armate per la difesa di coloro che seguono le sue massime; ed è riuscita a metterli al riparo dalla severità delle leggi, a prescindere dagli eccessi che si sono permessi. Cosa non sia in grado di fare una società ambiziosa guidata dal fanatismo, che ha corrispondenze in tutta Europa; che ha legato alla sua causa un numero infinito di individui che hanno giurato di marciare in suo aiuto, a qualunque costo; che sembra fatta apposta per riunire gli eretici di tutte le sette, e che li vede pronti ad essere spostati al primo segnale? – Il giuramento richiesto al destinatario è atroce. Eccolo qui: « Dopo che i miei occhi saranno stati privati della luce dal ferro rosso, accetto che, se mai rivelerò il segreto che mi è stato affidato, il mio corpo diventi preda degli avvoltoi; che il mio ricordo sia inviso ai figli della vedova su tutta la terra. E così sia. Questa vedova è la società sociniana. – Si può dire che la Massoneria non abbia adottato tutti questi eccessi? Rispondo che non c’è nulla di cui non sia capace e che non possa giustamente essergli imputato secondo i suoi principi costituzionali. Vuole e pretende di ammettere nel suo seno tutte le sette; perciò quelle moderate si troveranno accanto a quelle feroci, estreme nei loro principi. Così, per sua stessa ammissione, sarà composto da sette contraddittorie, che avranno principi opposti, che potranno approvare e insegnare ciò che altri troveranno reprensibile ed insostenibile; dunque i principii dei massoni tendono a formare un corpo mostruoso, capace di tutti gli eccessi in cui l’errore e il fanatismo possono condurre l’uomo debole e accecato dai pregiudizi e dalle false opinioni; e se nelle Logge massoniche ci fosse solo una mescolanza di luterani e protestanti, di Cristiani e deisti, di giudei e maomettani,  che possono essere tutti accolti nella loggia, non sarebbe sufficiente per impedire ad un buon Cattolico di esserne accolto? – Il velo sollevato per i curiosi, pag. 41. – Eckert, un massone protestante, ha scritto quanto segue: « La storia deve negare che la Massoneria abbia reso il popolo più morale. È vero, aggiunge, che nel 1770, epoca della sua introduzione in Germania da parte dell’Inghilterra, il popolo aveva meno conoscenze scientifiche; ma, in compenso, si distingueva per la probità ed i buoni costumi; amava la propria casa, aveva pietà dei poveri, era leale, si accontentava di ciò che la Provvidenza gli avesse dato come parte; in una parola, viveva secondo i comandamenti di Dio, in cui credeva e che adorava santamente. E oggi è pieno di smisurata presunzione, ha sete di piaceri proibiti; non ha fede in Dio, nei suoi santi Comandamenti, nella ricompensa dei buoni e nella punizione dei cattivi; esso considera lecito tutto ciò che gli sembra vantaggioso, tutto ciò che ecciti la sua bramosia ». La verità non potrebbe essere espressa in modo più preciso, né la fonte del male potrebbe essere indicata più chiaramente. L’uomo cerca sempre la propria felicità nelle sue azioni. Se crede nel paradiso e nell’inferno, agirà in modo da evitare il fuoco eterno riservato ai peccatori e ottenere la felicità eterna promessa al Cristiano che obbedisce alla legge di Dio. – Aiutato dalla grazia divina che la preghiera e la pratica dei Sacramenti gli conferiscono, si sforzerà di vincere le sue cattive inclinazioni e di praticare la virtù, preferendo privarsi dei piaceri proibiti quaggiù piuttosto che esporsi ad un tormento senza fine. Ma se non crede in una ricompensa nell’oltretomba, volendo assolutamente la sua felicità, la cercherà in questo mondo e per lui l’obiettivo della vita sarà il godimento a tutti i costi. Sono quindi le credenze a regolare la morale, e non esiste una morale indipendente dai dogmi. La Massoneria abolisce tutti i dogmi; si spinge fino all’ateismo, almeno tra quei massoni che hanno adottato puramente e semplicemente l’illuminismo di Weishaupt. In Francia, fino al 1877, il Grande Oriente conservava, come abbiamo detto, nei suoi statuti, la credenza nell’esistenza di Dio e nell’immortalità dell’anima; a quel punto, cancellò queste due credenze, per diventare ateo, mentre l’Inghilterra e l’America se ne separarono, volendo mantenere nei loro riti l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima. – La vostra Massoneria è quindi senza Dio, senza fede, senza leggi religiose. Essa professa una morale civica, la cui sanzione è la multa, la prigione o qualsiasi altra pena, che non ha alcun rapporto con la sanzione eterna. Quando, dunque, non è proibito dalla legge umana compiere un atto, per quanto immorale possa essere, se questo atto può essere vantaggioso per il suo autore o eccitare la sua brama – dice Eckert – egli lo compie senza scrupoli o rimorsi, perché non crede in Dio, né nei suoi Comandamenti, né nelle sue ricompense, né nelle sue punizioni. Ecco perché potremmo applicare al regno della Massoneria tra noi ciò che Lutero disse del regno della sua stessa Riforma; ciò che l’Abate Lefranc scrisse della morale della Francia al tempo della Rivoluzione di cui sarebbe stato vittima; ciò che Eckert dice della Germania. Chi non conosce il diluvio di libri scadenti, giornali sconci, incisioni oscene da cui siamo sommersi in questo periodo? È stato necessario inventare una parola la cui radice, che significa prostituzione, esprime bene la cosa: pornografia, per dipingere le nostre immagini e la nostra morale in un colpo solo. A chi dobbiamo attribuire questo vergognoso disturbo? Nubius, capo dell’Alta Vendita, ha risposto: « Il miglior pugnale per colpire al cuore la Chiesa Cattolica è la corruzione ». Il suo consiglio è stato ascoltato e seguito tra noi. È dunque alla Massoneria che si deve questo movimento di decadenza morale nelle varie pubblicazioni del nostro tempo, da cui passa alla morale privata e pubblica, per questo la parola è un seme che fatalmente produce frutti, secondo la sua buona o cattiva natura. La massoneria è quindi contraria ai buoni costumi. Il danno che ha fatto in questo senso, ed in molti altri, è incalcolabile, insondabile, profondo come l’abisso. Per tre secoli ha sviato l’umanità e l’ha gettata in balia di tutte le dissolutezze della mente e del cuore; è soprattutto attraverso di essa che la Riforma ha prodotto i suoi frutti peggiori. E questo è comprensibile; vogliamo ripetere questa verità, principio di ogni morale, perché Socino ha abbandonato Gesù Cristo, senza il Quale l’uomo è incapace di compiere un solo atto di virtù soprannaturale. Lutero e Calvino non si sono spinti fino a negarlo. Se la storia dovesse un giorno portare la sua fiaccola nelle logge massoniche, e prendersi la responsabilità di esaminare i loro principi e le loro azioni, per pesare la loro influenza sulla vita intellettuale e morale degli individui e delle nazioni, sarà per essa e per il mondo una spaventosa rivelazione. Si dirà che dalla metà del XVI secolo ad oggi il mondo è stato corrotto, anima e corpo, reso pagano dall’eresia sociniana, che non è altro che la setta massonica. Sarà allora evidente che solo i Papi hanno visto chiaro quando hanno condannato la Massoneria, ma che tutti gli altri erano e sono rimasti ciechi. La Chiesa ci avrebbe salvato da questa piaga.

DISCORSO SUL SEGRETO DELLA FRANCO-MASSONERIA (8)

DISCORSO SUL SEGRETO DELLA FRANCO-MASSONERIA (6)

DISCORSO SUL SEGRETO DELLA FRANCO MASSONERIA (6)

DI MONSIGNOR AMAND JOSEPH FAVA

VESCOVO DI GRENOBLE
 

LIBRERIA OUDIN, EDITORE – 1882

PARTE SECONDA.

COSA PENSARE DEL PROGETTO DELLA MASSONERIA DI DISTRUGGERE IL CRISTIANESIMO E SOSTITUIRLO CON IL RAZIONALISMO?

.I. – Il progetto della Massoneria non è nuovo.

Questo progetto è letteralmente antico come Erode, non come Erode tetrarca di Galilea che derideva Gesù, ma come Erode l’Ascalonita, il primo dei tre personaggi con questo nome di cui parla San Matteo in questi termini: « Essendo Gesù nato a Betlemme di Giuda, al tempo di Erode re, ecco che i Magi vennero dall’Oriente a Gerusalemme e dicevano: “Dov’è colui che è nato re dei Giudei? Perché abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti ad adorarlo”. Quando il re Erode lo seppe, rimase turbato e con lui tutta Gerusalemme. Poi chiamò a raccolta tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo e chiese loro dove dovesse nascere il Cristo. Gli dissero: « A Betlemme di Giuda, perché sta scritto nel profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei la più piccola delle città di Giuda, perché da te verrà il sovrano che guiderà il mio popolo Israele” ». Allora Erode chiamò i Magi in segreto e li interrogò attentamente sull’ora in cui era apparsa loro la stella. E mandandoli a Betlemme, disse: “Andate a cercare esattamente il bambino e, quando l’avrete trovato, ditemelo, perché io stesso possa venire ad adorarlo”. Sappiamo cosa significassero queste parole; infatti, quando Erode vide che i Magi erano partiti senza tornare a Gerusalemme, si adirò violentemente e mandò ad uccidere tutti i bambini che si trovavano a Betlemme e nel paese circostante dall’età di due anni in giù, secondo il tempo da cui era stato edotto dai Magi. – Questo massacro dei Santi Innocenti rivelò al mondo, per la prima volta, il piano per distruggere sulla terra il Regno di Gesù Cristo, il Re annunciato dai Profeti e mostrato ai Magi per mezzo di una nuova stella. Questo servirà da modello per il resto dei secoli e vedremo spesso l’odio contro Gesù Cristo spingere i suoi nemici a rinnovare il massacro degli innocenti, con la speranza di raggiungere Lui stesso. Pertanto, abbiamo ragione nel dire che il piano formato dalla Massoneria contro il nostro Re Gesù sia già molto antico. – Simeone non aveva aspettato l’esecuzione del crudele ordine di Erode prima di preannunciare al mondo che Cristo sarebbe stato oggetto di tutti gli attacchi; infatti, quando il divino Bambino, dopo i giorni della purificazione, fu portato al tempio di Gerusalemme, il santo vecchio Simeone lo prese tra le braccia e, benedicendo Dio, disse: « Ora, Signore, secondo la tua parola, lascerai andare in pace il tuo servo, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, che hai preparato davanti a tutti i popoli, luce per l’illuminazione delle genti e gloria del tuo popolo Israele. » –  E Simeone disse a Maria sua madre: « Questo è Colui che è designato per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, e come segno da contraddire: Signum est contradicetur“. E la spada trafiggerà la vostra anima, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori »! Questa è la segnalazione sempre vera di Gesù Cristo. Non potrebbe essere altrimenti, dal momento che il Salvatore è venuto per elevare l’umanità dalla vita naturale alla vita soprannaturale, cioè dalla vita pagana alla vita cristiana, attraverso la quale regna in noi, conosciuto, amato e servito a volte fino all’eroismo, ispirando le nostre leggi sociali, regolando le nostre famiglie, guidando la nostra esistenza e ordinandola in vista di un mondo migliore da conquistare attraverso la virtù. Soprattutto, il Salvatore ha divinizzato la sofferenza e ne ha fatto una condizione necessaria all’uomo per riabilitarsi, per espiare le sue colpe e per diventare degno del Padre celeste, che ammette nella patria eterna, dice San Paolo, solo i fedeli imitatori del Figlio, le sue immagini viventi. – Ora, l’umanità si compiace istintivamente del piacere; respinge la sofferenza, si lascia cadere nel paganesimo, con la stessa naturalezza con cui il bambino lasciato libero va a giocare con il capro.  Per questo si commuove quando sente Cristo dirle ancora e ancora attraverso la voce della sua Chiesa: Sursum corda! Cuori in alto! L’aspetto severo del Calvario la infastidisce, la irrita disturbando i suoi piaceri, ed il grido: TOLLE! TOLLE! risponde alla chiamata del divino Crocifisso, ideale perfetto dell’umanità rigenerata. È così che i Giudei hanno messo a morte il Verbo incarnato e che i suoi nemici lo attaccano senza sosta nel corso dei secoli. Ricordiamo questi attacchi e mostriamo a chi vuole vedere la verità, che la guerra contro Cristo è lo spettacolo che questo mondo, avido di piacere, ci offre costantemente. – Non appena nostro Signore iniziò a predicare, gli abitanti di Nazareth, irritati dalla franchezza delle sue parole, lo afferrarono e lo condussero sull’alto della roccia dove era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma Gesù – dice il Vangelo – passando in mezzo a loro, se ne andò. La sua ora non era ancora giunta.  – Per ben venti volte pensarono di ucciderlo gli scribi, i farisei ed i capi dei sacerdoti, la cui superbia li stava divorando, ed il Salvatore disse loro: « Perché volete uccidere me, che vi insegno la verità? » Infine, arrivò il giorno in cui portarono a termine la loro risoluzione criminale, sperando che questa fosse la sua fine. Una speranza vana! Cristo è uscito dalla tomba vivo e glorioso, impassibile ed immortale.  Poiché il mondo non poteva più attaccarlo, volle scatenare il suo odio contro la società che Egli aveva fondato, cioè contro la Chiesa cattolica. Fin dall’inizio dell’era cristiana, apparvero uomini che furono i veri antenati di Socino. Invece di accogliere in ginocchio ed adorare la dottrina che il Verbo incarnato si è degnato di rivelarci su Dio e sui misteri della Verità eterna; invece di ascoltare umilmente gli Apostoli e la Chiesa, che lo Spirito divino ha illuminato con la sua luce, i falsi gnostici si misero a dogmatizzare. Essi volevano sondare la natura di Dio, creare un Dio tutto loro, un Dio che fosse figlio della loro ragione, proprio come fanno tutti i nostri moderni sociniani, e si sono persi nelle insensate invenzioni del loro orgoglio. – Gli attacchi dei primi secoli contro Gesù Cristo e la sua dottrina furono feroci. Lo spirito dell’errore, schiacciato sul Calvario, rialzava la testa. Esso aizzava tutti i partigiani del paganesimo contro la croce, mostrando loro i sacrifici imposti alla natura dal Dio dei Cristiani, e diceva loro: “Come potete voi vivere sotto un tale padrone e con tali leggi?” E subito i sofisti si misero al suo servizio per inventare sistemi religiosi uno più assurdo dell’altro. La follia dell’orgoglio, nel III secolo, aveva raggiunto il punto in cui Manes, l’eresiarca Manes, sosteneva che lo Spirito Santo si fosse incarnato in lui, e il manicheismo, diffondendosi da ogni parte, moltiplicava le sue vittime. Fu allora che apparve Ario. Questi negava sfacciatamente la divinità di Gesù Cristo, al quale tuttavia aveva consacrato la sua vita con giuramenti solenni. L’Arianesimo ebbe un certo splendore e poi si spense. – Esso ebbe lo stesso destino di tutti gli attacchi a Gesù Cristo; gli Imperatori romani erano stati sconfitti: anche lui lo fu. Così che il Cristianesimo aveva smussato la spada dei persecutori e messo a tacere i filosofi e gli eresiarchi, quando apparve Maometto, la cui grande massima: « Non c’è altro Dio all’infuori di Dio », era anch’essa anticristiana, perché negava le Persone divine del Figlio e dello Spirito Santo. Conosciamo la brillante storia del Maomettanesimo, che combinava la forza delle armi con le attrattive di una religione intrisa di orgoglio e di voluttà, con alcune verità prese in prestito dall’Antico e dal Nuovo Testamento. La mezzaluna ebbe giorni di trionfo passeggiero; ma la Croce rimase vittoriosa, proteggendo i popoli che la difendevano. E Cristo Gesù, sempre sotto attacco nella sua Chiesa e nei suoi figli, passava tra le folle, acclamato, adorato e servito con amore sconfinato. Fu allora che i nostri padri costruirono quelle mirabili Chiese e quelle impareggiabili Cattedrali che coprirono, dice un illustre oratore, il Dio dell’Eucaristia con l’ombra e la gloria, Si aprì il secolo XIII e con esso la verità cattolica riversò torrenti di luce sul mondo.  – Questo significa che Gesù Cristo ha cessato di essere un segno di contraddizione? Tutt’altro: non è mai più attaccato da una parte che quando è più adorato dall’altra. Così cominciò in quest’epoca, contro il Cristianesimo una guerra di genere nuovo: fu come un’epidemia o una rinascita del paganesimo, di cui fu autore l’arabo Averroè attraverso il suo commento alla filosofia panteista di Aristotele.  Questo errore fu formulato a metà del XIII secolo, tanto da attirare la seria attenzione di San Tommaso d’Aquino, che lo combatté a fondo nelle sue opere immortali.  Sconfitto dal Dottore angelico, si è tuttavia rialzato e ha continuato la sua marcia, sotto il nome di Rinascimento, sempre grazie all’attrazione dei piaceri sensuali ed alla sete di godimento che divora la povera umanità decaduta. I secoli XIV, XV e XVI ne furono infettati; il XVII non riuscì a preservarsene; il XVIII lo nascose sotto il mantello dei suoi sofisti, e ora nel XIX i franco-massoni, consapevoli o meno della loro opera malsana, cercano di farci ripiombare negli abissi del paganesimo.  –  Lelio e Fausto Socino non ebbero che a coagulare in un sistema gli errori pagani del loro tempo per mettere in luce la loro eresia, la cui essenza non è che la negazione della divinità di Gesù Cristo ed il ritorno al paganesimo attraverso l’adozione del sistema razionalista. Ora, c’è una legge in natura in virtù della quale le acque zampillanti aspirano a salire all’altezza da cui scendono, e si direbbe che questa legge esista anche nel mondo morale; in particolare, per il socinianesimo massonico. Sì, l’eresia sociniana è nata in un ambiente impregnato di paganesimo; è pagana nella sua natura, pagana nelle sue aspirazioni, pagana nelle sue conseguenze e nei suoi risultati. Questo è ovvio, perché se eliminiamo Gesù Cristo e la sua dottrina dal mondo morale, inevitabilmente facciamo ripiombare l’umanità nello stato in cui si trovava prima dell’era cristiana, cioè nel paganesimo. Se gli Imperatori romani fossero riusciti a sterminare tutti i Cristiani, il paganesimo avrebbe trionfato; e se ai nostri giorni la Massoneria, che persegue lo stesso scopo, dovesse raggiungere il fine che si propone, il risultato di questa vittoria sarebbe identico: sarebbe il nuovo regno del paganesimo, con i suoi errori e le sue dissolutezze. – Queste considerazioni meritano di essere portate alla luce, ed è necessario farlo per non lasciare ombre nella mente del lettore. – Nella sua opera intitolata: Gli Eretici d’Italia, Cesare Cantù, che abbiamo già citato e che, giustamente, è ben lontano dall’ignorare le qualità brillanti ed il genio della sua nazione, non teme tuttavia, da storico fedele, di mostrarci gli studiosi italiani del XVI secolo come appassionati ammiratori del paganesimo. « La letteratura – egli dice – che allora non si limitava che ad illustrare la nuova società, pretendeva di modificarne le credenze e la condotta, riportandola in teoria ed in pratica al paganesimo. Le scienze, cresciute nel santuario e disciplinate dagli Scolastici come un esercito, sotto la direzione della Parola di Dio, cominciavano ora a dissertare e, diffondendosi attraverso la stampa, mordevano il seno che le aveva nutrite. Passando dal periodo della credenza a quello della controversia, l’uomo con il ragionamento era arrivato a credersi autore delle verità che prima aveva ricevuto come dono della fede, e mentre fino ad allora la Religione era rimasta, come la definiva Grozio, l’unico principio di giustizia universale, ora era più esclusivamente alla Chiesa che si chiedeva il modo migliore di servire Dio ed il prossimo. Platone aveva detto, secondo Sant’Agostino: « La filosofia è imparare a conoscere Dio – fare filosofia è imitare Dio ». Questo ragionamento lo fece preferire ad altri filosofi dai primi Cristiani, ma sfociò facilmente nell’idealismo. La filosofia scolastica, armata di logica, aveva preso come oracolo Aristotele, un ottimo maestro, in effetti, poiché in lui si trovavano anche le critiche agli altri sistemi, mentre Platone dava solo i propri dogmi. Anche Aristotele proclamava e dimostrava un Dio supremo, una fede monda, un’anima immortale; ma il Cristiano, che si aspetta tutto da Dio, poteva seguire come guida un maestro che esagerava la potenza della natura e l’efficacia della volontà umana? Il maestro che pone la natura come principio assoluto può rimanere l’oracolo di una scienza tutta religiosa? Il maestro che erigeva a principio assoluto la natura, poteva restare l’oracolo di una scienza tutta religiosa? A questo si aggiunga il fatto che egli arrivava in Europa tradotto e commentato dai musulmani, che gli hanno prestato sentimenti assurdi e idee piene di sottigliezza; questi infedeli, traducendolo, hanno fatto dell’autore un teosofo e, osservando il mondo alla loro maniera fantastica, hanno confuso l’astronomia con l’astrologia e quest’ultima con la medicina. Gli italiani, traducendo sulla loro traduzione, vi avevano sovrapposto nuovi errori; ed i critici non erano in grado di accorgersi dell’alterazione, mentre l’idolatria professata per Aristotele impediva loro di considerarlo colpevole; ne nacque un amalgama di filosofia araba, scolastica e cristiana, una concezione bastarda e sterile, un enigma indecifrabile per coloro che volevano conciliarla con la teologia dogmatica. » – « Gli arabi, dopo aver ricevuto la rivelazione di Maometto, avevano iniziato le loro discussioni teologiche con l’eterna questione del libero arbitrio e della predestinazione (kadariti e giabariti), da cui passarono a quella degli attributi di Dio. Ma anche tra loro c’erano scettici, c’erano miscredenti; le menti oscillavano tra l’entusiasmo religioso ed il libero pensiero; e il ruolo che la Scolastica aveva svolto tra noi fu ricoperto da Kalain, un sistema di discussione razionale, per esaminare o difendere con la dialettica i dogmi attaccati. La filosofia araba, plasmata da tali esercizi, allargò il cerchio dei problemi posti dai Peripatetici e ammise il principio dell’eternità della materia e la teoria dell’unità dell’intelligenza. » – « Questo perché la filosofia di Averroè si basa proprio sul panteismo, secondo il quale esiste una sola anima e Dio è il mondo. La generazione (secondo questo filosofo) è solo un movimento. Ogni movimento presuppone un soggetto. Questo soggetto unico, questa possibilità universale, è la materia prima. » – « Questa unità delle intelligenze fu vittoriosamente confutata da San Tommaso e, nel XIV secolo, da Egidio di Roma, le cui opere furono pubblicate agli albori della stampa, e successivamente da Gerardo da Siena e Raimondo Lullo. Questi filosofi non fanno che aborrire questo autore empio, che identifica l’anima di Giuda con quella di San Pietro, che nega la creazione, la rivelazione, la Trinità, l’efficacia della preghiera, dell’elemosina e delle pie invocazioni, la resurrezione e l’immortalità, e che fa consistere il Bene sovrano nel godimento. Egidio Colonna di Roma, nel suo trattato De erroribus philosophorum, accusa Averroè di aver rinnovato tutti gli errori di Aristotele, e di essere molto meno scusabile di quest’ultimo, perché egli attacca direttamente la nostra fede e biasima tutte le religioni, sia quella dei musulmani che quella dei Cristiani, per aver ammesso che la creazione sia succeduta al nulla; chiama le opinioni dei teologi pure immaginazioni e sostiene che nessuna legge sia vera, anche se può essere utile. » – « È proprio una delle principali critiche mosse ad Averroè, quella di aver messo in parallelo le leggi di Mosè, quelle di Cristo e di Maometto. I musulmani li avevano mescolati per sostenere la loro religione; ma Averroè vi ritornava sempre attraverso le sue allusioni dogmatiche al Très loquentes trium legum, che lo facevano ritenere l’autore del libro dei Tre Impostori, divenuto un’arma usata per colpire tutti coloro che si vogliono screditare. » – Da queste citazioni possiamo concludere, innanzitutto, che Averroè aveva i suoi estimatori nel XIII secolo, poiché San Tommaso ed i dotti del suo tempo si preoccuparono di combatterlo e dedicarono buona parte delle loro opere a confutare la sua dottrina; poi, dobbiamo aggiungere che Averroè sopravvisse ai colpi ricevuti e alle condanne subite, come testimonia l’illustre poeta Petrarca, nato nel 1304: « Per me, quanto più sento denigrare la legge di Cristo, tanto più ho in mente Cristo e tanto più mi confermo nella sua dottrina, come un figlio la cui tenerezza filiale si è raffreddata, si riscalda quando apprende che si attenta all’onore di sua madre ». « Questi filosofi erano soliti – dice altrove – portare all’incontro qualche problema aristotelico o qualche altro sulle anime; ed io tacevo, o ridevo di loro, o cominciavo a discutere di qualsiasi altro argomento, o chiedevo con un sorriso come Aristotele potesse mai conoscere cose in cui la ragione non ha alcun ruolo e in cui l’esperienza sia impossibile. Uscirono confusi per lo stupore, risentendosi silenziosamente e guardandomi come un bestemmiatore ». – Uno di loro, « uno di quelli che pensano che non si possa fare nulla di buono – dice il Petrarca – se non si versano calunnie su Gesù Cristo e sulla sua dottrina sovrumana », andò a cercare il poeta a Venezia, e lo disprezzò, perché aveva citato questa parola di San Paolo: “Ho il mio Maestro e so in chi ho riposto la mia fede”. E aggiungeva: « Tenetevi il vostro Cristianesimo per voi, quanto a me, io non ne credo nemmeno uno jota; il tuo Paolo, il tuo Agostino e tutti gli altri dottori hanno blaterato e nulla più! Vi prego di darmi il piacere di leggere Averroè, e vedrete come supera in volo tutti i vostri buffoni. » Petrarca ne fu indignato e, pacifico com’era nel carattere, prese per mano l’incauto filosofo e lo cacciò da casa sua. Altri quattro di questi filosofi gli rimproverano di prendere sul serio il Cristianesimo e concludevano che Petrarca fosse un uomo buono, ma dalla mente ignorante: « Se questa gente – esclama il poeta – non temesse i castighi degli uomini più di quelli di Dio, attaccherebbe in pubblico la Genesi e la dottrina di Cristo. Quando la paura non li trattiene più, combattono direttamente la Verità; nei loro conciliaboli ridono di Cristo e adorano Aristotele senza capirlo. Nelle loro dispute confessano pubblicamente di non tenere conto della fede, che è come dire che cercano la verità rifiutando la Verità, che cercano la luce voltando le spalle al sole. Dopo questo, c’è da meravigliarsi se ci chiamino analfabeti, visto che chiamano Gesù un pazzo? ». – Leggendo il confronto di Petrarca con i filosofi del suo tempo, si potrebbe pensare di leggere i verbali delle sedute massoniche del nostro tempo. Da entrambe le parti, Gesù Cristo è oltraggiato. Quindi diciamo che è in questo pantano che è nata la setta sociniana o massonica, per mostrarsi presto, con il suo odio contro il nostro divino Salvatore e Maestro. Non c’è dunque nulla di nuovo nel sistema massonico: essi pensano e parlano come Averroè, « questo cane – diceva Petrarca – quel pazzo che non cessa di abbaiare contro Cristo e la Religione cattolica. ». – « Ma se Aristotele ha portato al materialismo, dice Cesare Cantù, Platone ha portato al misticismo, ed entrambi all’incredulità. Gemisthe Plêthon di Costantinopoli, venuto a Firenze per ostacolare l’unione della Chiesa greca con quella latina, diffuse le fantasie del neoplatonismo; affermò che la religione di Maometto e quella di Gesù Cristo sarebbero presto tramontate per far posto ad un’altra più vera e con molte analogie con il paganesimo. Nel suo riassunto dei dogmi di Zoroastro e Pitagora, mette in parallelo la teologia pagana con quella cristiana, ecc. ». – « Ancora più numerosi erano i filosofi le cui dottrine oscillavano tra Aristotele e Platone, tra paganesimo e Cristianesimo, e in materia di religione, l’eclettismo si avvicina molto all’eresia, quando non è propriamente tale. Abbiamo già nominato Egidio di Roma, della nobilissima famiglia dei Colonna, discepolo di San Tommaso, generale degli Agostiniani, poi Arcivescovo di Bourges, molto erudito nella scienza delle Sacre Scritture e nella filosofia aristotelica, soprannominato il Doctor fundatissimus. Ora egli dichiarava che ci sono alcune cose che sono vere agli occhi del filosofo, e che non sono vere agli occhi della Fede cattolica: come se potessero esistere due verità contrarie allo stesso tempo. Questa proposizione fu condannata sotto Giovanni XXII, e l’autore la ritrattò; ma questa eresia divenne comune nel XV secolo, e si arrivò a sostenere puri errori – insegnati oggi nelle nostre logge, nel XIX secolo – come la mortalità dell’anima, l’unicità dell’intelligenza, l’ispirazione individuale, salvo dire che si trattava di conseguenze tratte dalle premesse di Platone ed Aristotele, che non pregiudicavano in alcun modo i dogmi di Cristo. Così le due scuole opposte si sono trovate d’accordo nel non ammettere la Rivelazione, non combattendola, ma fingendo di non tenerne più conto, per così dire, come se non fosse mai esistita; hanno eliminato la fede ed ogni forza o aiuto soprannaturale, ed hanno seguito solo il loro modo di vedere i problemi dell’ordine religioso, la cui soluzione è importante tanto per la morale quanto per il benessere della società. » – « Marsilio Ficino adorava Platone; arrivava a bruciare una lampada davanti alla sua immagine; non lo separava da Mosè, e trovava in lui l’intuizione dei misteri più profondi…. Secondo lui, tutte le religioni sono buone, e Dio le preferisce alla irreligione; la Religione cristiana è la più pura, ma ci sono profeti e poeti in ogni nazione, come Orfeo, Virgilio, Trismegisto, i Magi, ecc. ». Ovviamente, a Fausto Socino sarebbe bastato ricordare le idee di Marsilio Ficino per portare tutte le sette immaginabili nel tempio della religione naturale e dichiarare il dogma massonico della Libertà di coscienza, e possiamo così convincerci sempre di più che i Sozzini o Socini dovevano solo raccogliere i vari errori seminati intorno a loro e coordinarli in un sistema per portare alla luce l’errore massonico che porta il loro nome. Potremmo limitarci a questa panoramica sommaria, che già mostra fino a che punto il paganesimo cercasse di soffocare il Cristianesimo in piena Europa all’epoca di cui stiamo parlando. Quanto abbiamo detto basterebbe a spiegare come la folle ammirazione per l’antichità pagana, provocata da Averroè, si sia diffusa dall’Italia alla Francia e ad altre Nazioni, dove ha dato un posto d’onore alla favola pagana ed ai suoi ricordi nelle lettere e nelle arti, per non parlare della morale e delle idee. Tuttavia, riteniamo utile aggiungere qualche sviluppo a questa considerazione, per dimostrare che il piano massonico contro Gesù Cristo non è nuovo. – « La filosofia era sempre più in contrasto con la fede, dice Cesare Cantù. Alla fine del XV secolo, non si era considerati gentiluomini e buoni cortigiani se non si avessero opinioni errate o eretiche sui dogmi. I moderati pensavano di rendere omaggio alla fede astenendosi da qualsiasi riflessione su di essa, accettando i dogmi senza esaminarli, con quella voluttuosa pigrizia che, in tempi vicini ai nostri, una mente forte chiamava indifferenza e disinvoltura che si addormenta con un bicchiere in mano spegnendo le luci ». « C’erano alcuni filosofi che bruciavano una candela davanti all’immagine di Platone; tale Accademia celebrava le feste alla maniera antica, sacrificando una capra; Molti cambiavano il nome di battesimo, come se si vergognassero d i portare il nome di un Santo, e di Antonio, Giovanni, Pietro, Luca, si faceva Aonio, Gianni, Pierio, Lucio; cambiavano Vittore in Vittorio o Nicio, Murino in Glauco, Marco in Callimaco, Martino in Marzione e così via. » – « Paolo II era spaventato da questo paganesimo e fece intentare processi contro alcuni dei suoi propagatori, tra cui Pomponio Lieto e Bartolomeo Sacchi, detto il Platina. L’accusa si basava sul fatto che questi uomini latinizzavano i nomi di battesimo e che, seguendo le dottrine platoniche, sollevavano dubbi sull’anima e su Dio. » Dal profondo della sua prigione, Platina scrisse al cardinale Bessarione, e dalle sue lettere, dice il nostro autore, « possiamo vedere come l’Accademia istituita da questo Pomponio Leto tendesse a trasformare il paganesimo letterario in paganesimo religioso, dato che i suoi membri celebravano con sacrifici pagani l’anniversario della fondazione di Roma;  poiché Pomponio si inginocchiava ogni giorno davanti ad un altare dedicato a Romolo, e non voleva leggere alcun libro con una data posteriore alla decadenza dell’impero, fossero anche la Bibbia o i Padri. Quand’anche questo paganesimo si fosse limitato alla letteratura, non è con spirito retto che si concepisse il torto notevole che si arrecava alla logica, alla morale e all’estetica da una dottrina che voleva che Gesù Cristo e la Redenzione cedessero il passo alla voluttà pagana ed agli scherni contro le virtù domestiche e sociali. » – « Il ritorno al paganesimo si manifestò non solo nella scienza, ma ancor più nelle belle arti e nella letteratura, dove il tipo convenzionale era stato sostituito dalla raffinatezza plastica. La passione per l’antichità ha fatto credere che la rinascita non potesse realizzarsi senza ristabilire il culto delle idee che il Vangelo aveva dissipato e senza innalzare le rovine della Roma pagana sugli edifici della Roma cristiana. » Sugli altari si ammiravano i ritratti di famose cortigiane che rappresentavano la Vergine; per dipingere Santa Caterina da Siena, Tiziano dipinse il ritratto della regina Cornaro, tutta raggiante di finezza e bellezza; Correggio dipinse le Grazie, senza alcun velo, nella sacrestia di Siena; Carlo Pinti, nell’epitaffio della famosa Isotta, dichiarò che ella fosse l’onore e la gloria delle cortigiane.  La stessa eloquenza sacra pagò un grande tributo a questo entusiasmo generale per il paganesimo. Ne ha preso in prestito non solo lo stile, ma anche le citazioni e gli esempi. Un autore racconta che l’Angelo Gabriele trovò la Vergine Maria che leggeva i libri sibillini, e quando ella acconsentì a diventare la Madre di Dio, le ombre dei Patriarchi sussultassero di gioia. Girolamo Vida, il dotto e santo Vescovo di Cremona, che spesso digiunava e non mangiava altro che radici, nella sua Arte poetica parla solo delle Muse, di Febo e di Parnaso. Giacomo Sannazaro, celebrando la nascita del Salvatore, invoca le Muse, adducendo la scusa di chiamarle per festeggiare un bambino nato in una mangiatoia.  Tutti questi splendori pagani mettono in ombra il Cristianesimo. – « Per quindici secoli – dice Cesare Cantù – c’era stato un solo idioma per parlare di Dio, una sola autorità morale, una sola convinzione; tutta l’Europa, alla stessa ora, nello stesso giorno, usava le stesse parole per inviare a Dio le sue suppliche, le sue aspirazioni e le sue gioie. Ora – nei secoli XV e XVI – invece di presentare questo bello spettacolo, abbiamo visto la società decomporsi nel profondo, poiché aveva sostituito la fede con il ragionamento, la credenza assoluta con le religioni composte; il dubbio, inoculandosi nelle anime, aveva portato alla corruzione della morale, e questa morale aveva agito sulle credenze. Questo sintomo si manifesta in tutti gli scrittori, e in particolare in Niccolò Machiavelli ed in Francesco Guicciardini. Quest’ultimo mira al successo, mai alla giustizia di una causa…. « Non mettetevi mai in opposizione alla Religione, né alle cose che sembrano dipendere da Dio, perché questo oggetto ha troppa influenza sugli stolti ». Non ci si pronunziava tra Mosè e Numa, tra Giove e Gesù Cristo. » – « Dopo questo, non si saprebbe più vedere – dice il nostro autore – uno strano fenomeno e un mito in Machiavelli, quest’uomo che aveva preso come modello della nuova civiltà la civiltà pagana dei Greci e dei Romani, mettendo Cristo e il Vangelo sotto il moggio ». – Ascoltate ciò che segue, cari lettori, e smettete di stupirvi di ciò che viene detto, scritto, fatto e preparato nel nostro tempo. Machiavelli, nei primi anni del XVI secolo, insegnò ai suoi contemporanei una lezione che è ben nota ai nostri moderni sociniani. «  La natura – scriveva Machiavelli – ha creato gli uomini con la facoltà di desiderare tutto e l’impotenza di ottenere tutto, cosicché dirigendo i loro desideri verso gli stessi oggetti, si trovano condannati ad odiarsi l’un l’altro. Per sfuggire a questa guerra di tutti contro tutti, tutto è permesso e tutti i diritti ed i doveri possono essere violati. Perciò la società è stata istituita per sopprimere l’anarchia con la forza organizzata. » – « In breve, la dottrina di Machiavelli è la dottrina dello Stato ateo, che non ha paura di andare all’inferno, ed è fine a se stesso ed è propria legge. Non c’è nulla di superiore ai sensi; l’idea di giustizia è nata negli uomini il giorno in cui hanno capito che il bene fosse utile ed il male dannoso; solo la necessità li spinge al bene; il principe deve farsi temere piuttosto che amare; lo scopo dei governi è la loro conservazione, e questo può essere raggiunto solo con la repressione, perché gli uomini sono per natura ingrati, ingannevoli e litigiosi, per cui è consigliabile frenarli con il timore della punizione… È una disgrazia che alla religione degli antichi, piena di orgoglio, che aveva i suoi gladiatori, un culto per i suoi eroi, un’apoteosi per i suoi conquistatori, e che mescolava la preghiera con il rumore delle battaglie, il sangue con le cerimonie religiose, sia succeduta un’altra Religione tutta umiltà e abiezione, incurante dei propri interessi. Se si può sperare in qualche bene per l’umanità, verrà dalla rivoluzione delle sfere, che potrà far rivivere un qualche culto simile a quello degli antichi. » Se Machiavelli tornasse sulla terra ed esaminasse le nostre leggi atee, il modo in cui viene trattata la Religione di Gesù Cristo, l’odio per il vero Dio che cresce di giorno in giorno; se entrasse nelle logge massoniche ed inventasse un nuovo culto molto simile a quello dei pagani, potrebbe congratularsi con se stesso per essere stato letto, capito ed obbedito alla lettera; forse ne sarebbe addirittura geloso, vedendo che su certi punti sia stato superato, e su altri troppo obbedito; perché fu Machiavelli a dire: « Nelle esecuzioni non c’è pericolo, perché chi è morto non può più pensare alla vendetta. Così parlavano i nostri terroristi; così agiscono nei confronti dei deboli coloro che dicono, sempre con Machiavelli, « La legge suprema è la salvezza dello Stato », mentre Gesù Cristo ha detto: « Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia ».  – Per concludere queste considerazioni, citiamo un ultimo fatto, raccontato dagli storici, che mostra come questa rinascita del paganesimo sia avvenuta quasi del tutto dopo la morte di Leone X, avvenuta nel 1521: essendo scoppiata improvvisamente una violenta pestilenza a Roma, il popolo fu trascinato da ogni sorta di disordine. Un certo Demetrio di Sparta voleva far rivivere le cerimonie dell’antica superstizione. Dopo aver incoronato un bue con gli allori, lo condusse per le strade della città, poi lo condusse all’anfiteatro, dove lo sacrificò. Il popolo, tuttavia, si rese presto conto che si trattasse di un culto a satana e cominciò a temere un aumento delle disgrazie pubbliche e a chiedere solenni espiazioni. « Una folla di uomini, donne e bambini seminudi è stata vista andare in processione da una chiesa all’altra, flagellandosi e chiedendo pietà. Erano seguiti da lunghe file di matrone, ognuna con una candela in mano, anch’esse in atteggiamento di supplica e afflizione. » (I precursori della Riforma. – Cantù.). – Da quanto precede, dobbiamo concludere che Socino non abbia inventato nulla e che i moderni sociniani o massoni propaghino errori comuni ai protestanti, agli averroisti, ai maomettani, agli ariani, ai manichei, agli gnostici, ai Giudei deicidi, ai romani, ai greci, agli egizi e al paganesimo in generale, da quando esistono pagani nel mondo. Bossuet, parlando del paganesimo dei popoli antichi, diceva: « Lì tutto era Dio, tranne Dio stesso ». Questo è ciò che rivedremmo senza indugio, se Gesù Cristo, la Luce del mondo morale, scomparisse dalla nostra società moderna, portando con sé la bellezza della fede. Non sarà così, naturalmente, perché la Chiesa deve rimanere fino alla consumazione dei secoli e nella nostra amata Francia, nonostante gli errori di molti dei suoi figli, i giusti sono ancora numerosi. Dove sono coloro che osano bestemmiare dicendo che Gesù Cristo non è Dio? Su quali labbra troviamo queste parole empie? Quale parte dell’umanità non ha paura di pronunciarle, e quale parte, al contrario, grida con San Pietro che parla al suo Maestro: « Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivente? » Tutti lo sanno: la dignità della vita, la nobiltà dei sentimenti, l’amore per la verità, la giustizia, la modestia, la devozione gratuita, le virtù più delicate e più nobili fioriscono e fruttificano all’ombra della croce e dell’altare; e se nel campo opposto si trovano qua e là qualità umane e caratteri elevati, se si risale alla loro culla, si trova spesso una madre cristiana, e più tardi insegnanti cristiani, una moglie e talvolta una famiglia cristiana.  Cristo non è Dio! Questa bestemmia, ripetuta oggi da uomini che non sanno dubitare, perché non hanno mai studiato né provato, la troviamo in bocca ai criminali, agli assassini del 1793; sulle labbra di Weishaupt, nell’ora delle sue devianze, mentre aspettava la fine della sua vita per andare a chiedere l’elemosina per costruire una chiesa cattolica; negli scritti di Voltaire, che si confessava, nei suoi momenti migliori; nei discorsi insidiosi di Cromwell, schiavo della sua ambizione; nella bocca di Socino, cacciato dalla sua patria; di un Averroè, di un Maometto, di un Giuliano l’Apostata, che si segnava di notte; dei falsi gnostici, discepoli senza dubbio dei farisei e degli scribi, che si allearono con Caifa, Erode e Pilato per condannare a morte Nostro Signore Gesù Cristo e per immolarlo per mano dei carnefici. Questi sono gli antenati dei nostri massoni atei e questa è, in breve, la storia del loro empio progetto, concepito da Erode l’Ascalonita. No, non è una novità, ha quasi mille e novecento anni, ma non è ancora riuscita ad avere successo fin ad ora.

II.In futuro, questo progetto trionferà?

Nel quinto capitolo degli Atti degli Apostoli leggiamo che i Giudei volevano mettere a morte Pietro e Giovanni perché annunciavano al popolo la divinità di Gesù Cristo. Allora un fariseo di nome Gamaliele, dottore della legge, onorato da tutto il popolo, si alzò in consiglio e ordinò che i due Apostoli venissero messi fuori per un po’ di tempo. Poi disse all’assemblea: « Uomini d’Israele, state attenti a ciò che fate a questi uomini. In effetti, prima di questi giorni, apparve Teuda, affermando di essere un personaggio, e circa quattrocento uomini si unirono a lui. Fu ucciso e tutti coloro che credevano in lui furono dispersi e ridotti a nulla. Dopo di lui sorse Giuuda galileo, nei giorni del censimento, e attirò il popolo dietro di sé. Anche questo perì e tutti quelli che si unirono a lui furono dispersi. Ora dunque vi dico: non immischiatevi più con questi uomini e lasciateli in pace; perché se questa impresa o opera è degli uomini, sarà distrutta; ma se al contrario essa è di Dio, non riuscirete a distruggerla. Così potreste trovarvi a combattere contro Dio stesso. Essi seguirono il suo parere. » Il ragionamento di Gamaliele è quello del buon senso e della vera esperienza; non può essere contraddetto, a meno che non si sia persa la ragione. Da Gamaliele a noi, l’opera di Gesù Cristo e dei suoi Apostoli ha perseverato, è cresciuta e ora copre la terra: viene da Dio, perché se venisse dagli uomini sarebbe già scomparsa da tempo. Quindi possiamo dire ai massoni, non più di Gamaliele, che essi si espongono a combattere contro Dio, anzi che sicuramente è Dio che stanno combattendo. Gli Imperatori romani tentarono per trecento anni di distruggere quest’opera, e le vittime superarono i carnefici; vennero poi gli eretici, che cercarono di pervertirne la dottrina, e vani furono i loro tentativi; Maometto apparve e si gettò sull’Europa cristiana con le sue terribili orde di saraceni, nella speranza di sostituire la croce con la mezzaluna, e Carlo Martello completò, a Poitiers, lo sbaragliamento della potenza musulmana; il protestantesimo, di cui Fausto Socino si mostrò il terribile figlio, nacque con Martin Lutero come padre. Nella mente dei suoi fondatori doveva prendere il posto del Cattolicesimo ed ora, grazie al sistema del libero esame, non ha più nemmeno un dogma come dottrina ed è fatalmente condannato a fondersi con il razionalismo. – Ora, nel XVIII secolo, il razionalismo aveva al suo servizio una falange di filosofi che non hanno più i loro eguali tra noi, eppure essi non hanno schiacciato quello che chiamavano l’Infame. Essi pensavano di avergli inferto dei colpi mortali ed ora, dopo un secolo, bisogna ricominciare le loro impotenti fatiche. I nostri massoni dell’ora presente, oggi si credono per caso più potenti degli Imperatori romani, più abili dei primi eresiarchi, più saggi di Giuliano l’Apostata, più terribili di Maometto, più potenti in filosofia degli averroisti, più considerati di Lutero e di Calvino, più sicuri di trionfare dei rivoluzionari del 1793? Quale forza sconosciuta hanno? Se ne avessero, per quanto grandi, non vincerebbero mai, perché combattendo contro Gesù Cristo combattono contro Dio: Christus vincit. Cristo è sempre stato vittorioso sui suoi grandi e piccoli nemici per quasi diciannove secoli: il loro piano fallirà.

2° Esso fallirà perché sta combattendo anche contro lo Spirito Santo. Ricordiamo in poche parole questa dottrina fondamentale, di cui il mondo non ha comprensione, e che è il motivo per cui il mondo ripete costantemente i suoi attacchi alla Chiesa Cattolica. – Prima di lasciare i suoi Apostoli, Nostro Signore predisse che essi e i loro successori sarebbero stati perseguitati, come Lui stesso era stato perseguitato. « Il servo – diceva loro – non è superiore al suo padrone… Hanno odiato me, odieranno anche voi … Ma non temete, Io ho vinto il mondo…. Io pregherò il Padre mio ed Egli vi darà un altro Paraclito che abiterà con voi per sempre, lo Spirito di verità, che vi insegnerà tutta la verità e vi suggerirà tutto ciò che vi ho detto… Riceverete il suo potere quando scenderà su di voi e mi renderete testimonianza a Gerusalemme e fino agli estremi confini della terra. » Così la Chiesa porta nel suo seno lo Spirito di Dio, che è la sua anima; e poiché questo Spirito divino non lascia e non lascerà mai la Chiesa, che è il Corpo di Cristo, essa è immortale, come lo sarebbe un corpo umano sempre unito alla sua anima. Voler uccidere la Chiesa significa voler uccidere lo Spirito Santo: è un sogno folle! « Tuttavia, è necessario che ci siano scandali, a causa della malizia umana; ma guai a colui attraverso il quale viene lo scandalo », dice il Signore. Questi scandali mettono a nudo i pensieri ed i sentimenti nascosti di ogni persona, portando i credenti a testimoniare la loro fede e gli altri ad agire nell’incredulità. L’anziano Simeone parlò in questo modo alla Vergine quando le disse: « Una spada di dolore trafiggerà la tua anima, perché siano svelati i pensieri di molti ». E San Paolo: « È necessario che ci siano eresie, affinché si conoscano quelli di provata virtù. In una parola, Dio usa il male dei malvagi per santificare i giusti e per far brillare le loro virtù nascoste. Dio permetterebbe il male, se il male non avesse la sua ragion d’essere? Questa è la spiegazione delle eresie e, in particolare, della massoneria sociniana, la peggiore di tutte, poiché va ben oltre le altre; non è il tetto della Chiesa Cattolica che essa cerca di rovinare, né le sue mura, ma le sue stesse fondamenta. Il nostro dovere è quello di resistere. Questa lotta tra il bene e il male ha la sua grandezza, poiché lo spettacolo più bello sulla terra è quello dell’uomo giusto che lotta con il dolore, come ha detto un saggio dell’antichità. Gesù Cristo ci ha offerto questo spettacolo in tutta la sua sublimità, soprattutto durante la sua vita e nell’ora della sua morte. – Ora ha dato alla Chiesa, sua Sposa mistica, un destino simile al suo, per continuare la propria vita attraverso i secoli. Appena nata, Essa ci ha offerto lo spettacolo dei suoi figli che si scontravano con gli Imperatori ed i carnefici romani; poi quello dei Dottori, i suoi nobili figli, che che fulminarono l’eresia; poi quello della sua figlia maggiore, la Francia, che schiacciava, a Poitiers, i seguaci di Maometto; i suoi grandi e santi missionari che ricacciavano la barbarie con la conversione dei popoli del Nord, che si precipitavano nel Sud dell’Europa, come per rovinare per sempre l’opera cristiana. Nel XIII secolo, San Francesco d’Assisi, con il suo celeste amore per Dio, distrusse la falsa povertà dei Fraticelli, e San Domenico, con la vera scienza, schiacciò l’Averroismo. Ignazio di Loyola incise sul suo stendardo il Sacro Nome di Gesù, proprio quando Socino stava per insorgere e bestemmiarlo; Gesuiti e massoni, d’ora in poi, cammineranno fianco a fianco, questi maledicendo Cristo, quelli orgogliosi di portare il suo Nome, di vivere, lavorare, soffrire e morire per Lui. Sì, questa lotta tra il bene e il male è uno spettacolo bellissimo, in cui si dispiega e si esprime la volontà libera dell’uomo, il dono più grande che Dio abbia fatto all’umanità, dice Dante, il poeta sublime. – Sarebbe interessante vedere come la Chiesa oppone la carità di San Vincenzo de’ Paoli, dei suoi eroici figli e figlie, alla filantropia massonica, che si rivolge solo ai propri membri; come Sant’Alfonso de’ Liguori combatte con la sua consolante dottrina il disperato rigorismo dei giansenisti, sempre alleati alla setta massonica, come Erode e Pilato, quando si tratta di perseguitare Gesù Cristo. Questo è il ruolo dei massoni sociniani. Come il tentatore, la loro setta dice alle generazioni che stanno nascendo: « Se, cadendo ai miei piedi, mi giurerete fedeltà, vi riempirò di piaceri, ricchezze e onori ». io vi proteggerò dai vostri rivali e dai vostri nemici. In verità, bisognerebbe essere accecati dalla passione per non capire che la Massoneria, soprattutto ai nostri giorni, svolge l’ufficio di tentatore all’interno della nostra società. Quanti sfortunati Cristiani sono stati messi in catene dalla setta sociniana! Quanti sfortunati Cattolici sono diventati suoi schiavi! Ora si accorgono dell’imprudenza che hanno commesso, ma non sanno come riparare al loro errore, ammesso che ne abbiano il desiderio. Questa lotta che dura da diciannove anni dimostra che la Chiesa è invincibile e che l’errore non ha mai una vittoria completa su di Essa: la verità rimane e l’errore passa. – La Chiesa è una nave misteriosa su cui veglia lo Spirito di Dio; è il suo soffio che gonfia le sue vele e la spinge verso tutti i lidi per portare i tesori del cielo. No, la muratoria non la farà affondare. Il popolo ha bisogno di ricevere da essa la verità ed anche la libertà, la vera libertà dei figli di Dio, alla quale la dottrina massonica è ostile.

DISCORSO SUL SEGRETO DELLA FRANCO-MASSONERIA (7)

DISCORSO SOPRA IL SEGRETO DELLA MASSONERIA (5)

DISCORSO SUL SEGRETO DELLA FRANCO MASSONERIA (5)

DI MONSIGNOR AMAND JOSEPH FAVA

VESCOVO DI GRENOBLE

LIBRERIA OUDIN, EDITORE – 1882

PRIMA PARTE

IL SEGRETO DELLA FRANCO-MASSONNERIA CONSISTE NEL DISTRUGGERE IL CRISTIANESIMO E SOSTITUIRLO CON IL RAZIONALISMO.

LUIGI FILIPPO. – Non era solo in Italia che si trovavano complotti contro il Papato; in Francia, e soprattutto in Inghilterra, il Papa-Re era il principale oggetto di odio da parte delle società segrete. « Luigi Filippo – dice padre Deschamps – che si era disinteressato della Massoneria attiva solo per paura di vedersi rivoltare contro le potenze legittime e le stesse società segrete più avanzate, volle dare a queste ultime una qualche soddisfazione, senza però rompere apparentemente con l’Europa monarchica. Ben convinto, per esperienza personale, che le denunce avanzate dal carbonarismo italiano per giustificare l’insurrezione fossero meri pretesti, sembrò prenderle sul serio davanti ai tribunali ed al popolo. Sostenuto, o meglio diretto, dall’Inghilterra e da Palmerston, capo supremo delle società segrete e per lungo tempo ministro onnipotente nel suo Paese, egli attirò in questa campagna diplomatica i ministri massoni conservatori di Austria, Prussia e Russia. Tutti osarono chiedere riforme al Sovrano Pontefice. » – « L’Europa, sgomenta, trema davanti alla Rivoluzione – ha scritto l’autore di: l’Eglisc romaine en face de la Révolution, [La Chiesa romana di fronte alla Rivoluzione], non osa né combatterla né affrontarla: al massimo, nel panico, ha la forza di offrirle il Pontificato in pasto. La Rivoluzione annuncia che essa finirebbe con la Chiesa. L’Europa colse questo momento per chiedere alla Santa Sede le riforme che il carbonarismo aveva proclamato indispensabili. L’Austria, che cerca di mantenere la pace nella penisola italiana a tutti i costi, è del parere che il Papa possa benissimo, vista l’imminenza del pericolo, prestarsi a concessioni inoffensive. La Francia ne propone un simulacro, per chiudere, se possibile, la bocca agli oratori ed ai giornali che disputano in nome delle società segrete. » Si sa che si tenne una conferenza e che ne uscì un Memorandum in quattro articoli, fonte delle future disgrazie di Pio IX, e questo atto proveniva dalle logge massoniche d’Europa, più che dalla diplomazia stessa. Quando fu presentata a Gregorio XVI, questi sorrise: « Oh – esclamò – la barca di Pietro ha attraversato prove ben peggiori di queste. Noi sicuramente affronteremo la tempesta. Che il re Filippo d’Orléans tenga per sé la bonaccia che vorrebbe venderci al prezzo dell’onore: il suo trono crollerà, ma questo no! » E Bernetti rispose all’ambasciatore di Luigi Filippo che la garanzia francese sembrava molto preziosa per la Santa Sede, ma che il Papa riteneva impossibile acquistarla con misure che avrebbero rappresentato una vera e propria abdicazione dell’indipendenza pontificia; poi agli altri, che la garanzia delle corti è acquisita di diritto alla Santa Sede, ma che questa Sede romana, apparentemente così debole, non acconsentirà mai a sancire riforme che le verrebbero dettate in modo imperioso ed in un giorno prestabilito; che Essa si riserva la sua libertà d’azione e la sua totale indipendenza; che inoltre ha dimostrato per lungo tempo, con la sua condotta, di cercare di realizzare tutti i miglioramenti desiderabili e compatibili con la pubblica sicurezza.  (Società segrete, vol. II, p. 268). Nubius, quando era capo dell’Alta Vendita, diceva: « Se potessimo avere un Papa con noi, farebbe più lui con il suo dito mignolo che tutti noi insieme ». Nubius aveva ragione, perché in questa ipotesi irrealizzabile, colui al quale era stata affidata la difesa della Chiesa di Cristo sarebbe diventato il suo più mortale nemico; colui al quale era stato detto: « Conferma i tuoi fratelli nella fede », li avrebbe lui stesso sviati; colui al quale era stata affidata la cura del gregge lo avrebbe crudelmente avvelenato. Anche questo è un sogno insensato. Ci sono capi di Stato che sono così ciechi da gettare il loro Paese nello scisma e nell’eresia, da tradirne gli interessi più sacri per seguire l’impulso della loro passione antireligiosa: non sarà mai così per il Vicario di Gesù Cristo. Se guardiamo indietro nei secoli da S. Pietro a Leone XIII, vedremo i Romani Pontefici, divinamente aiutati dallo Spirito di Dio, mantenere la Chiesa nella verità e far trionfare l’unità dottrinale in ogni tempo ed in ogni luogo, nonostante tutti gli ostacoli. Questo è davvero il più grande di tutti i miracoli che uno spirito elevato possa desiderare per incoraggiare la sua fede, e questa prova avrà per lui una forza invincibile, se si ricorderà della debolezza e dell’incostanza comuni a tutti gli uomini, per quanto dignitosi essi siano. Gli stessi cospiratori romani sanno che è così, eppure hanno cercato di attirare a sé il successore di Gregorio XVI. [Per realizzare questo “sogno” insensato, la massoneria degli illuminati, corrotta la maggioranza dei Cardinali, molti dei quali direttamente affiliati alle logge ai vari livelli, nel corso del Conclave del 1958, fece eleggere all’unanimità S. S. Gregorio XVII, Giuseppe Siri, al quale fu impedito l’accesso al Soglio di S. Pietro, e, dopo aver dichiarato che l’elezione dovesse ritenersi nulla per un guasto (sic!) del camino della Cappella Sistina e dovesse ripetersi, lo relegarono – controllandolo con microcamere di sorveglianza e pseudosegretari-carcerieri – al finto ruolo di Arcivescovo di Genova. In tal modo poterono insediare due giorni dopo, un loro adepto, il XXXIII° :. A. Roncalli e poi i suoi successori, così da poter manovrare i fili del burattino falso-papa (o se preferite antipapa) ed indurlo gradualmente – indicendo pure un invalido conciliabolo – ad introdurre tutte le desiderate “riforme”, da quella liturgica, a quella dottrinale, dalla canonica alla morale pubblica, dalla organizzazione dei seminari, all’assetto delle diocesi, e così via, fino all’ecumenismo, all’indifferentismo religioso ed all’attuale aperta apostasia con la negazione della divinità di Cristo ed alla prossima confluenza in una religione unica mondiale, quella del “signore dell’universo”, il baphomet-lucifero! – ndr. -]. « Dal momento della sua elezione – dice padre Deschamps – Pio IX fu acclamato da un capo all’altro del mondo, come il Papa tanto desiderato, il restauratore della libertà ed il liberatore dei popoli. A Roma, in Francia, in Germania, in Inghilterra e perfino nelle Repubbliche americane, le sue virtù furono esaltate, il suo liberalismo fu proclamato, il suo busto ed il suo ritratto furono moltiplicati, stampati e mostrati perfino su sciarpe e scialli. A Roma furono eretti archi di trionfo ad ogni suo passo; ogni sua parola fu applaudita con un entusiasmo senza precedenti; fu ricoperto di applausi e di fiori; non si erano mai viste manifestazioni simili ed ovazioni così universali. ». – « Un uomo di fede, di preghiera, di lavoro, di virtù e di scienza, di una bontà ineffabile, di un candore e di una amenità veramente celeste, che si dipingevano in tutti i suoi lineamenti, Pio IX univa alla rettitudine e alla carità che non sospetta il male, come dice l’Apostolo, una fermezza d’animo e di coscienza che nulla era in grado di far deviare dalla linea del dovere conosciuto. Con tali eminenti qualità, non poteva che pensare, come Pontefice-Re, a fare del bene ai suoi Stati ed a riportare, per mezzo della libertà veramente cristiana, sia i popoli che i re alla verità e alla pratica delle virtù che, preparando alla vita eterna, solo possono portare la felicità quaggiù. » – « Ben presto si vide che le bande che si riunivano al Quirinale non seguivano più il sentimento di gratitudine e devozione verso la Santa Sede, ma che obbedivano ad un impulso segreto, che avevano un’organizzazione occulta e capi riconosciuti ». Il Santo Padre rimandava il popolo al lavoro e Mazzini, nel suo manifesto agli amici d’Italia del novembre 1846, raccomandava loro il contrario. « Approfittate – egli diceva – della minima concessione per riunire le masse, anche solo per mostrare la loro gratitudine”. Feste, canti, raduni, numerosi contatti stabiliti tra uomini di tutte le opinioni, sono sufficienti a far emergere le idee, a dare al popolo il senso della propria forza ed a renderlo esigente. La difficoltà non sta nel convincere il popolo; per questo bastano alcune grandi parole: libertà, diritti umani, progresso, uguaglianza, fraternità, dispotismo, privilegi, tirannia, schiavitù; la difficoltà sta nel riunirlo. Il giorno in cui si riunirà sarà il giorno della nuova era. » E Pio IX, in quello stesso mese di novembre, indirizzò al mondo cattolico la sua Enciclica Qui pluribus jam, in cui diceva: « Nessuno di Voi ignora, Venerabili Fratelli, quanto acerba e terribile guerra muovano, in questa nostra età, contro la Chiesa Cattolica uomini congiunti fra loro in empia unione, avversari della sana dottrina, disdegnosi della verità, intenti a tirare fuori dalle tenebre ogni mostro di opinioni, e con tutte le forze accumulare, divulgare e disseminare gli errori presso il popolo. Con orrore certamente e con dolore acerbissimo Noi ripensiamo tutte le mostruosità erronee e le nocive arti e le insidie con le quali si sforzano questi odiatori della verità e della luce, peritissimi artefici di frodi, di estinguere ogni amore di giustizia e di onestà negli animi degli uomini; di corrompere i costumi; di sconvolgere i diritti umani e divini; di scuotere e, se pur potessero, di rovesciare dalle fondamenta la Religione Cattolica e la società civile. Voi sapete, Venerabili Fratelli, che questi fierissimi nemici del nome Cristiano, miseramente tratti da un cieco impeto di folle empietà, sono giunti a tale temerità di opinioni che “aprendo la bocca a bestemmiare Iddio” (Ap. XIII, 6) con inaudita audacia, non si vergognano d’insegnare apertamente che i sacrosanti misteri della nostra Religione sono invenzioni umane; accusano la dottrina della Chiesa Cattolica di contraddire al bene ed ai vantaggi della società umana; né temono di rinnegare la divinità di Cristo medesimo. E per potere più facilmente sedurre i popoli ed ingannare gl’incauti e gl’inesperti, si vantano che solo a loro siano note le vie della prosperità umana; né dubitano di arrogarsi il nome di filosofi, quasi che la filosofia, che si aggira tutta nella investigazione delle verità naturali, debba rifiutare quelle che lo stesso supremo e clementissimo Autore della natura, Iddio, per singolare beneficio e misericordia si è degnato di manifestare agli uomini, affinché conseguano vera felicità e salvezza. Quindi con fallace e confuso argomento non cessano mai di magnificare la forza e l’eccellenza della ragione umana contro la fede santissima di Cristo, e audacemente blaterano che la medesima ripugna alla ragione umana. Del che niente si può pensare od immaginare né di più stolto, né di più empio, né di più ripugnante alla ragione medesima. Sebbene infatti la fede sia al di sopra della ragione, pur tuttavia fra di esse non si può trovare nessuna vera discordanza e nessun dissidio, quando ambedue prendono origine da una stessa fonte d’immutabile ed eterna verità, da Dio Ottimo Massimo; e per tale motivo vicendevolmente si aiutano, di modo che la retta ragione dimostra e difende la verità della fede, e la fede libera la ragione da ogni errore e mirabilmente la illustra, la rafforza e la perfeziona con la cognizione delle cose divine. – Né con minore fallacia certamente, Venerabili Fratelli, questi nemici della divina rivelazione, con somme lodi esaltando il progresso umano, vorrebbero con temerario e sacrilego ardimento introdurlo perfino nella Religione Cattolica; come se essa non fosse opera di Dio, ma degli uomini, ovvero invenzione dei filosofi, da potersi con modi umani perfezionare. » In poche parole, il Santo Pontefice riassunse l’empia dottrina della setta massonica, che nega Cristo e Dio; fu colto da orrore, versò lacrime: e a stento si spense per le strade di Roma il frastuono dei trionfi e dei festeggiamenti di cui era stato l’eroe. Come abbiamo detto altrove, altre lacrime avevano preceduto le sue. Una Madre augusta, una Madre divina, aveva pianto e piangeva sulle nostre montagne delle Alpi, unendo le sue parole ed il suo dolore a quelli del Vicario di suo Figlio. Disse (La Salette, 19 settembre 1846): Bestemmiano mio Figlio! Lo abbandonano, lo lasciano solo sugli altari! E Pio IX, nello stesso periodo, nel Quirinale, senza conoscere le lamentele del Messaggero celeste, le fa eco, ripetendo: Aprendo la bocca alle bestemmie… non temono di negare Cristo e Dio. Non è il caso di ripercorrere qui la vita di Pio IX. Sappiamo del suo esilio a Gaeta, del suo ritorno a Roma, da dove era dovuto fuggire; non ignoriamo che fu attaccato e crocifisso moralmente, durante tutto il suo Pontificato, dai moderni sociniani, che non seppero nemmeno rispettare le sue ceneri e la sua bara. È vero che durante la sua vita non smise di criticare e condannare le loro massime. Ricordiamo, in particolare, il suo discorso nel concistoro segreto del 25 settembre 1865, in cui diceva: « Venerabili Fratelli, tra le tante macchinazioni e i mezzi con cui i nemici del nome Cristiano hanno osato attaccare la Chiesa di Dio e hanno cercato, anche se invano, di abbatterla e distruggerla, va senza dubbio annoverata quella perversa società di uomini, volgarmente chiamata massonica, che, contenuta dapprima nelle tenebre e nell’oscurità, è infine venuta alla luce in seguito, per la comune rovina della Religione e della società umana. .,. Se i monarchi avessero ascoltato le parole del nostro predecessore, se avessero agito con meno pigrizia in una questione così seria! Sicuramente non avremmo mai dovuto, né i nostri padri avrebbero dovuto, deplorare tanti movimenti sediziosi, tante guerre incendiarie che misero a ferro e fuoco l’Europa, né tanti mali amari che hanno afflitto e affliggono ancora oggi la Chiesa…. E così non abbiamo visto senza dolore le società cattoliche, così ben fatte per eccitare la pietà ed aiutare i poveri, essere attaccate e persino distrutte in alcuni luoghi, mentre al contrario l’oscura società massonica, così ostile alla Chiesa e a Dio, così pericolosa persino per la sicurezza dei regni, è incoraggiata, o almeno tollerata…. » Questo è il linguaggio apostolico di Pio IX, che rinnova le istruzioni e le scomuniche pronunciate dai suoi venerati predecessori, da Clemente XII, di cui abbiamo ricordato l’Enciclica del 1738, allo stesso Pio IX. Seguendo le orme di questi coraggiosi Pontefici, il nostro Santo Padre Leone XIII ha indicato al mondo, con accenti non meno energici ed in piena luce, quegli uomini che, dopo aver bestemmiato Cristo e Dio, sono arrivati a voler distruggere la proprietà e la famiglia, trascinati come sono dal corso logico dell’errore, che va di abisso in abisso. Nella sua ultima Enciclica del 15 febbraio 1882 (Etsi nos), Sua Santità, scrivendo ai suoi Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi d’Italia, affermava: « Una dannosissima setta, i cui autori e corifei non celano né dissimulano affatto le loro mire, già da gran tempo ha preso posto in Italia e, intimata la guerra a Gesù Cristo, si propone di spogliare in tutto i popoli di ogni cristiana istituzione. Quanto abbia proceduto nei suoi attentati non occorre qui ricordarlo, tanto più che Vi stanno innanzi agli occhi, Venerabili Fratelli, il guasto e le rovine già recate sia alla Religione, sia ai costumi. – Presso i popoli italiani, che in ogni tempo si tennero fedeli e costanti nella Religione ereditata dagli avi, ristretta ora ovunque la libertà della Chiesa, di giorno in giorno si tenta il più possibile di cancellare da tutte le pubbliche istituzioni quella impronta e quel carattere cristiano in forza dei quali fu sempre grande il popolo italiano. Soppressi gli Ordini religiosi; confiscati i beni della Chiesa; considerati validi come matrimoni le unioni contratte fuori del rito cattolico; esclusa l’autorità ecclesiastica dall’insegnamento della gioventù: non ha fine, né tregua la crudele e luttuosa guerra mossa contro la Sede Apostolica. Pertanto la Chiesa si trova oppressa oltre ogni dire, ed il Romano Pontefice è stretto da gravissime difficoltà. Infatti, spogliato della sovranità temporale, cadde necessariamente nel potere di altri. – E Roma, la più augusta città del mondo cristiano, è divenuta campo aperto a tutti i nemici della Chiesa, e si vede profanata da riprovevoli novità, con scuole e templi al servizio dell’eresia. Anzi, pare che addirittura in questo stesso anno sia destinata ad accogliere i rappresentanti ed i capi della setta più ostile alla Religione Cattolica, i quali vanno appunto pensando di radunarsi qui in congresso. È abbastanza palese il motivo che li ha spinti a scegliere questo luogo: vogliono con un’ingiuria sfrontata sfogare l’odio che portano alla Chiesa, e lanciare da vicino funesti segnali di guerra al Papato, sfidandolo nella sua stessa sede. Non è certamente da dubitare che la Chiesa esca alla fine vittoriosa dagli empi assalti degli uomini: è tuttavia certo e manifesto che essi con siffatte arti intendono colpire, insieme con il Capo, l’intero corpo della Chiesa, e distruggere, se fosse possibile, la Religione. » E questo, possiamo aggiungere, è il segreto della Massoneria. Coloro che non leggono i resoconti delle logge massoniche sono all’oscuro di ciò che accade lì e non vedono il male così com’è. Ascoltino quindi il seguente estratto di una riunione della Gran Loggia Simbolica Scozzese tenutasi a Parigi nel dicembre 1882; « Tenuta il 21 dicembre. Il  F. :. Gaston, membro della loggia, ha tenuto una conferenza molto interessante sul tema: Dio davanti alla scienza.  L’ordine dei lavori, molto fitto, ha purtroppo limitato il tempo di cui il relatore avrebbe avuto bisogno per sviluppare il suo argomento, e ha dovuto racchiudere in mezz’ora il materiale di una conferenza di un’ora e mezza. « Ci auguriamo che questo sia solo un rinvio e che il nostro F. :. Gaston avrà presto l’opportunità di affrontare nuovamente la questione, ma questa volta in condizioni migliori e forse davanti ad un pubblico molto più numeroso. « In ogni caso, gli applausi del pubblico hanno ripetutamente sottolineato il discorso serio e spirituale, ma soprattutto convinto, dell’oratore, nonché le citazioni, felicemente inserite, che ha portato a sostegno della sua tesi. « Non c’è abbastanza spazio per entrare nei dettagli di questo argomento. Inoltre, come abbiamo già annunciato, il nostro F. :. H. Gaston pubblicherà tra pochi giorni un’opera dal titolo: Dieu, voilà l’ennemi! (Dio, ecco il nemico) in cui espone in modo molto chiaro le idee che ha potuto solo sfiorare in questa conferenza. « Il nostro prossimo bollettino conterrà un articolo bibliografico su questo libro, che abbiamo sotto gli occhi in questo momento e che vorremmo vedere in tutte le mani. » (Comunicazione di F. :. Dumonchel. – Bollettino Massonico della Gran Loggia Simbolica Scozzese, 2° anno, n. 22, gennaio 1882, p. 295. Dopo questo grido di empietà: Dio, ecco il nemico! Non restava altro da fare che richiamare la dea Ragione e porla nuovamente sugli altari di Gesù Cristo; errore! Trovarono un modo per superare tutte queste empietà e, nella loro gioia trionfale, ricordarono istintivamente il loro padre. Ascolta, lettore, ascolta, tremante, l’inno che hanno appena cantato quest’anno, in pieno teatro a Torino: « Ecco, che egli passa, o popoli, ecco satana il grande. Egli passa, beneficando, di luogo in luogo, sul suo carro di fuoco… Salve, o satana, salve, rivoltato! Fa’ che il nostro incenso e i nostri voti salgano a te sacri! Tu hai vinto il Jéhovah dei preti! … » E la folla, dice il giornale da cui prendiamo in prestito questo resoconto, ha applaudito l’infame lavoro di Giosuè Carducci. – Bergier aveva ragione: il libero esame del protestantesimo avrebbe dovuto portare a queste negazioni ed empietà. L’uomo ha bisogno di un padrone: o Dio o satana, e non può servire entrambi allo stesso tempo. O apre il cuore al suo Creatore, o glielo chiude. Se glielo chiude, diventa schiavo del peccato, da cui è stato sconfitto; schiavo di colui che Gesù Cristo ha chiamato Princeps hujus mundi, il principe di questo mondo, e San Paolo Deus hujus sœculi, il dio di questo tempo. Possiamo concludere, ci sembra, che l’obiettivo della Massoneria sia proprio quello che abbiamo indicato: la distruzione del regno di Gesù Cristo, da un lato, e, dall’altro, il trionfo del razionalismo. Questo disegno è stato concepito da Fausto Socino: lo abbiamo provato storicamente, basandoci sulla testimonianza di autori seri, e nonostante gli sforzi fatti dalla setta per attribuire alla sua origine una remota antichità, l’occhio della storia ha scorto la verità e si è preoccupato di indicarcela. Gli storici seri, senza risalire a Socino, hanno visto in Cromwell il padre della Massoneria: egli fu solo il suo abile e potente protettore in Inghilterra, il suo organizzatore segreto ed il suo discepolo sanguinario. Per un momento, dopo la terribile vendetta compiuta da Carlo II su Cromwell, la Massoneria cadde nel silenzio e, senza dubbio, fu costretta a nascondersi per motivi di prudenza, ma nella persona di Ashmole, l’illustre antiquario, la Massoneria trovò un protettore che la accolse e la prodigò con le sue cure. Presto fu abbastanza forte da decollare in tutto il mondo. Voltaire la conduce in Francia. Con il potente aiuto dei sofisti, propaganda l’eresia sociniana in tutte le parti e penetra in tutte le menti del suo tempo. Dotato di un raro genio organizzativo, Adam Weishaupt, in Germania, riassunse i diversi lavori massonici precedenti, ai quali unì i sistemi dei sofisti inglesi e francesi. Egli compose un insieme che chiamò Illuminismo ed in quest’opera, unendo la sua anima settaria con quella del panteista Spinosa, preparò il coronamento della Massoneria universale. Ma già la setta era cresciuta e aveva spinto i suoi seguaci all’azione. Le armi erano state alzate per colpire crudelmente la Compagnia di Gesù, l’avanguardia del Cattolicesimo, in Portogallo, Spagna, Napoli ed anche in Francia. Da questa azione combinata e da tutte queste opere che si moltiplicavano tra le varie nazioni, sotto mille forme diverse, agitando tutti gli spiriti, depravando i cuori, mettendo in ridicolo ciò che era di più sacro, accendendo, soprattutto nei ranghi della più alta società francese, la sete di voluttà pagana, da tutte queste folli dissolutezze della mente e dei sensi, doveva scaturire una tempesta sociale: fu la grande Rivoluzione francese, dalla quale l’intero universo fu scosso. Essa fu per la Chiesa Cattolica ciò che l’agonia dell’Orto degli Ulivi era stata per Cristo, suo Sposo, e persino, si potrebbe dire, come un nuovo Calvario. Pio VI fu catturato, incatenato e portato in prigione, dove morì come il suo divino Maestro, in mezzo ai criminali. Cristo stesso fu nuovamente processato e condannato. Fu buttato giù dai suoi altari per essere sostituito dal razionalismo di Socino, sotto il nome di: Dea Ragione, rappresentata da una prostituta. Quel giorno, lo ammettiamo, la Massoneria dottrinale e sanguinaria, atea e ubriaca di crimini, ha veramente trionfato. La Rivoluzione del 1793 fu opera sua, come abbiamo dimostrato. Poi abbiamo dimostrato che la setta non era stata disarmata dalle innumerevoli vittime cadute sotto i suoi colpi e che, fedele al piano dei suoi capi, aveva ripreso la sua cospirazione contro il Cristianesimo, che era uscito vivo e glorioso dalla sua tomba; contro la Chiesa, che era tornata ad essere oggetto del rispetto e dell’amore del popolo. Ma la vita del Cattolicesimo, come quella del suo divino Fondatore, è una vita di continue sofferenze; e così abbiamo visto la Chiesa trovare in colui che l’aveva protetta il suo più terribile nemico; potente in armi, dispotico nella volontà, capace di forgiare catene a chi non si piegava di fronte alla sua ambizione smisurata e ai suoi modi di uomo maleducato: Napoleone divenne per Pio VII lo strumento crudele della massoneria, fino al giorno in cui, stanca del suo domatore, gli si rivoltò contro e gli preparò, sui campi di battaglia, il tradimento e la sconfitta. Egli capì da dove provenivano questi misteriosi rovesci della sua fortuna; si ricordò dell’Inghilterra, madre adottiva della Massoneria, ed andò ad affidarsi ad essa. La sua sorte non fu del tutto uguale a quella dei traditori: fu ripagato da un lontano esilio a Sant’Elena. Abbiamo poi visto la setta risollevarsi per un momento, per poi riprendere presto le sue trame contro la Chiesa ed ogni autorità legittima. Abbiamo scoperto che chiede al sistema educativo di corrompere nuovamente le menti, soprattutto le giovani generazioni, senza risparmiare le classi lavoratrici, alle quali ha deciso di gettare la proprietà in pasto ai cani, pur di preparare una nuova rivoluzione. In effetti, il 1848 vide la caduta del re Luigi Filippo ed il crollo del suo trono. Non aveva egli capito nemmeno che … chi semina vento raccoglie tempeste. Ovviamente, la rivoluzione del 1848 non ebbe come protagonista l’odio religioso che aveva caratterizzato quella del 1793. Durante il movimento rivoluzionario si vide persino apparire un Crocifisso, portato con riverenza tra la folla nelle mani di un giovane, ed il popolo trionfò su questa immagine sacra. La massoneria aveva ritenuto che fosse nel suo interesse non voler rovesciare gli altari subito dopo il 1793. Ha riservato ad un secondo momento questo odioso compito, per il quale si sta ora preparando. L’abbiamo detto: essa non si è ricordata di Giuliano l’Apostata e La Chalotais. Prima di tutto, distrugge i templi spirituali, portando via la fede dalle anime e i Crocifissi dalle scuole. Essa prepara un grande movimento. Abbiamo davanti a noi le risoluzioni prese l’11 giugno 1879, dove si legge quanto segue: « Scristianizzare la Francia con tutti i mezzi, ma soprattutto strangolando il Cattolicesimo a poco a poco, ogni anno, con nuove leggi contro il clero!… per arrivare infine alla chiusura delle chiese… Tra otto anni, grazie all’educazione secolare senza Dio, avremo una generazione atea. Creeremo quindi un esercito e lo lanceremo sull’Europa. Ci aiuteranno tutti i fratelli e gli amici dei Paesi che questo esercito invaderà… ». Questo piano è ben eseguito. Esistono scuole senza Dio e l’esercizio del fucile ha sostituito quello del Catechismo. Ci sono ancora scuole in cui al bambino vengono insegnate le verità cristiane: la pazienza. Gli italiani dicono che con il tempo e la pazienza si può ottenere tutto; ma in Francia per il momento seguiamo il metodo Ricciardi, che ci porterà dove vuole la setta, a meno che i padri di famiglia non aprano finalmente gli occhi e gridino: “quando è troppo è troppo!” Che Dio li ispiri con questo nobile sentimento! – Per incoraggiarli a fare il loro dovere e anche per assolvere al nostro compito pastorale, continueremo questo studio, dicendo ai nostri lettori cosa pensare del progetto della Massoneria: sarà la seconda parte di questo lavoro.

DISCORSO SUL SEGRETO DELLA FRANCO-MASSONERIA (6)

FESTA DEL SS. NOME DI GESÙ (2023)

MESSA DELLA FESTA DEL SS. NOME DI GESÙ (2023).

Doppio di II cl. – Paramenti bianchi.

La Domenica tra la Circoncisione e l’Epifania, oppure il 2 di Gennaio se in tale tempo non cade la domenica.

Dopo averci manifestato l’Incarnazione del Figlio di Dio, la Chiesa ci rivela tutta la grandezza del suo nome. Durante il rito della Circoncisione i Giudei davano un nome ai bambini. Cosi la Chiesa usa lo stesso Vangelo del giorno della Circoncisione, insistendo sulla seconda parte, che dice: « il Bambino fu chiamato Gesù » (Vang.) « come Dio aveva ordinato che si chiamasse » (Or.) ». (L’Angelo Gabriele fu mandato da Dio a Maria e le disse: lo Spirito Santo scenderà sopra di te, « partorirai un figliuolo e gli porrai nome Gesù » (S. Luca, 1, 31). « Un Angelo del Signore gli apparve in sogno, dicendo: Giuseppe, ciò che in Maria tua sposa è stato concepito, è dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio al quale vorrai nome Gesù; perché Egli libererà il suo popolo dai peccati » – S. Matteo. I, 20). Questo nome significa Salvatore poiché spettava a Gesù di salvarci; «nessun altro nome è stato dato dagli uomini con il quale noi dovessimo essere salvati » (Ep.). Le prime origini di questa festa risalgono al XVI secolo, e la si celebrava nell’ordine di S. Francesco. Nel 1721 la Chiesa, retta da Innocenzo XIII, estese al mondo intero questa solennità. Se vogliamo « rallegrarci di vedere i nostri nomi scritti con quello di Gesù nel cielo » (Postc.) abbiamolo spesso sulle nostre labbra quaggiù. Venti giorni d’indulgenza sono accordati a quelli che curvano il capo con rispetto pronunciando o ascoltando il nome di Gesù e di Maria, e Pio X ha concesso 300 giorni a quelli che li invocheranno piamente con le labbra o almeno con il cuore.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Phil II:10-11
In nómine Jesu omne genu flectátur, cœléstium, terréstrium et infernórum: et omnis lingua confiteátur, quia Dóminus Jesus Christus in glória est Dei Patris [Nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, in cielo, sulla terra e nell’inferno, e ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo regna nella gloria di Dio Padre.]
Ps 8:2.
Dómine, Dóminus noster, quam admirábile est nomen tuum in univérsa terra!

[Signore, Signore nostro, quant’è ammirabile il Nome tuo su tutta la terra!]


In nómine Jesu omne genu flectátur, cœléstium, terréstrium et infernórum: et omnis lingua confiteátur, quia Dóminus Jesus Christus in glória est Dei Patris

[Nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, in cielo, sulla terra e nell’inferno, e ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo regna nella gloria di Dio Padre.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Deus, qui unigénitum Fílium tuum constituísti humáni géneris Salvatórem, ei Jesum vocári jussísti: concéde propítius; ut, cujus sanctum nomen venerámur in terris, ejus quoque aspéctu perfruámur in cœlis.

[O Dio, che l’Unigenito tuo Figlio hai costituito Salvatore del genere umano, e hai voluto chiamarlo Gesù, concedici propizio di volerci beare in cielo della vista di Colui di cui sulla terra veneriamo il santo Nome.]

Lectio

Léctio Actuum Apostolorum
Act IV: 8-12
In diébus illis: Petrus, replétus Spíritu Sancto, dixit: Príncipes pópuli et senióres, audíte: Si nos hódie dijudicámur in benefácto hóminis infírmi, in quo iste salvus factus est, notum sit ómnibus vobis et omni plebi Israël: quia in nómine Dómini nostri Jesu Christi Nazaréni, quem vos crucifixístis, quem Deus suscitávit a mórtuis, in hoc iste astat coram vobis sanus. Hic est lapis, qui reprobátus est a vobis ædificántibus: qui factus est in caput ánguli: et non est in alio áliquo salus. Nec enim aliud nomen est sub cœlo datum homínibus, in quo opórteat nos salvos fíeri.

[In quei giorni: Pietro, pieno di Spirito Santo, disse loro: Capi del popolo e anziani, ascoltate: Giacché oggi siamo interrogati sul bene fatto ad un uomo ammalato, per sapere in qual modo sia stato risanato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo di Israele, che in virtù del Nome del Signore nostro Gesù Cristo Nazareno, che voi crocifiggeste e Iddio risuscitò dai morti, costui sta ora qui sano alla vostra presenza. Questa è la pietra rigettata da voi, costruttori, la quale è divenuta testata d’angolo. Né c’è salvezza in alcun altro. Poiché non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini in virtù del quale possiamo salvarci.]

Graduale

Ps CV: 47

Salvos fac nos, Dómine, Deus noster, et cóngrega nos de natiónibus: ut confiteámur nómini sancto tuo, et gloriémur in glória tua.

[Sàlvaci, o Signore, Dio nostro, e raccoglici di mezzo alle nazioni: affinché celebriamo il tuo santo Nome e ci gloriamo della tua gloria. ].

Isa LXIII:16

Tu, Dómine, Pater noster et Redémptor noster: a sǽculo nomen tuum. Allelúja, allelúja

[Tu, o Signore, Padre nostro e Redentore nostro: dall’eternità è il tuo Nome. Allelúia, allelúia].

Ps CXLIV: 21

Laudem Dómini loquétur os meum, et benedícat omnis caro nomen sanctum ejus. Allelúja.

[La mia bocca annuncerà la lode del Signore: e ogni vivente benedirà il suo santo Nome. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam
Luc II:21
In illo témpore: Postquam consummáti sunt dies octo, ut circumciderétur Puer: vocátum est nomen ejus Jesus, quod vocátum est ab Angelo, priúsquam in útero conciperétur.

[In quel tempo: Passati gli otto giorni, il bambino doveva essere circonciso, e gli fu posto il nome Gesù: come era stato indicato dall’Angelo prima di essere concepito.]

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

« Gesù », Cioè il « Salvatore »

Nessuno poteva dare un vero nome al figlio di Dio fatto uomo, se non l’eterno Padre, perché Egli lo conosceva. E l’eterno Padre gli diede un nome che è sopra ogni altro nome, e per mezzo d’un Arcangelo lo comunicò alla Vergine Madre: « Il Figlio che nascerà da te, lo chiamerai Gesù » . Jesus! Perciò, dopo otto giorni dalla sua mnascita, fu circonciso secondo la legge di Mosè e gli fu imposto il nome di Gesù. Jesus! Gli altri uomini assai spesso hanno nomi a cui la realtà non corrisponde: 98 tutti quelli che si chiamano Fortunato sono poi nella vita fortunati; né tutti quelli che si chiamano Carlo sono poi valorosi come Carlo Magno, o santi come il Borromeo. Non così il Figlio di Dio: quel suo nome disceso dal cielo non è parola vuota, ma significò il valore della sua vita terrena fin dal primo istante. Fin dal primo istante della incarnazione, egli poté dire al Signore: « Padre, i sacrifici delle bestie e degli uomini non ti furono graditi, ma la tua giustizia volle il sacrificio del tuo Figliuolo per salvare il mondo. Eccomi, son qui, io sono il Salvatore del mondo ». Orbene la parola Salvatore tradotta in ebraico suona: Gesù. Jesus! L’umanità era caduta nell’abisso: una distanza incolmabile disgiungeva Dio dall’uomo peccatore. Ed ecco un ponte divino fu lanciato tra noi e il Signore sdegnato: questo ponte è Gesù. Per lui solo fu rifatta la strada che permette di ascendere dalla disperazione mondana alla salvezza eterna. Gesù stesso parlando ai suoi discepoli svelò a loro il significato del proprio nome: « Io sono colui ch’è venuto a salvare ciò ch’era perito » (Mt., XVIII, 11). Venit salvare quod perierat. – Per meglio comprendere il mistero racchiuso in questo nome, facciamoci due domande: – che cosa era perito?; – come fu salvato? – 1. QUOD PERIERAT. Noi non possiamo rifarci all’origine delle nostre disgrazie senza che sulle labbra ci torni un nome. Adamo. Quando Iddio creò Adamo, il primo uomo, non solo volle farlo uomo perfetto, ma volle adottarlo per suo figlio. Pensate quale sublime dignità entrare a far parte della famiglia delle Tre infinite Persone, partecipare a quella divina società, essere destinati a godere del loro gaudio stesso! Ma per poter essere a dottati è necessario appartenere alla medesima specie dell’adottante: l’uomo non può adottare se non uomini, e Dio non poteva adottare se non esseri divini. Ora l’uomo non era della natura di Dio: anzi la natura umana è lontana da Dio molto più di quanto una bestia disti da noi. E allora? … allora ecco Dio infondere una forza interiore e inerente all’anima nostra, la quale, pur lasciandoci uomini, ci fa degli esseri divini, partecipi della vita di Dio, e per ciò da Lui adottabili in figli: la grazia. O Signore! come furono inesauribili le tue ricchezze e come impensabili le tue vie d’amore! – La grazia! essa fa dell’uomo un figlio di Dio. Notate: Se voi adottate un trovatello, voi lo dichiarate figlio, non lo fate figlio vostro perché non potrete far scorrere in lui il vostro sangue e la vostra vita. La grazia invece immette nell’anima nostra una partecipazione della stessa vita di Dio, per cui gli diventiamo veri figli, benché non per natura, ma per adozione. Videte, qualem charitatem dedit nobis Deus ut filii Dei nominemur et simus (I Joan., III, 1). La grazia! non solo fa l’uomo figlio di Dio, ma gliene dà pure tutti i diritti. Come i figli hanno il diritto di ereditare i beni del padre, così l’uomo in grazia ha diritto di ereditare il regno del Padre celeste, il Paradiso, ove si gode il godimento di Dio. La grazia! non solo fa l’uomo figlio di Dio, ma gliene dà pure tutti i diritti così che Dio stesso n’è rapito. Quando il patriarca, presago della morte vicina, abbracciò Giacobbe per benedirlo, sentì che dai vestimenti del suo figliuolo, tra piega e piega, si svolgeva un profumo deliziosissimo. In un rapimento di gioia esclamò: « Sento l’olezzo di un campo di fiori: io t’amo, figlio mio. Su te la rugiada del cielo! E te la fecondità della terra! Per te il frumento e il vino! Maledetto chi ti maledirà e benedetto chi ti benedirà » . Questa scena ti può rappresentare la delizia di Dio quando abbraccia un’anima in grazia. Davanti a queste verità, noi possiamo comprendere la vertiginosa dignità a cui l’uomo fu elevato, ma possiamo anche misurare l’abisso in cui è poi decaduto. Ah, il peccato d’Adamo quale tesoro ci ha fatto perdere! – Non più figliuoli di Dio, ma uomini soltanto, e per giunta maledetti. Non più vita divina in noi, ma soltanto vita umana, e per giunta amareggiata da passioni prepotenti e da croci pesanti. Non più grazia, luce, profumo, soprannaturale bellezza nell’anima, ma invece la macchia del peccato originale che, con la natura umana, da Adamo si trasmetteva di generazione in generazione. Non più diritti alla divina eredità del Paradiso. Ecco quello che avevamo perduto: Quod perierat. L’uomo sentiva ancora una angosciosa brama verso il destino soprannaturale da cui si era escluso: ma gli mancavano assolutamente i mezzi per ritornarvi: sospirava alla vetta del monte baciata dal sole e carezzata dall’azzurro, ma egli era nel profondo d’un baratro, affondato nel fango, avvolto dalle nebbie. Questo era il dramma dell’umanità. E venne il Salvatore. – 2. VENIT SALVARE. Il peccato è un’ingiuria fatta a Dio: e la giustizia divina esigeva che fosse espiata. Ma l’uomo, semplice creatura, è incapace di soddisfare a un debito contratto col Signore per una colpa la cui malizia è infinita. Infatti la gravità d’un’ingiuria si misura dalla dignità della persona offesa, e qui l’offeso era Dio: Dio solo dunque poteva dare una giusta riparazione. D’altra parte, per riparare occorre soffrire umiliazione e sacrificio: e Dio necessariamente beato non poteva soffrire per noi. E allora? La soluzione dell’arduo problema venne attuata dal nostro Salvatore. Il quale si fece uomo come noi per poter soffrire, e rimase Dio per dare alla sua sofferenza un valore infinito che bastasse alla riparazione dell’offesa divina. Dunque sia a gloria a Gesù, il Salvatore! 1) Egli è il figlio di Dio che s’è fatto uomo, perché l’uomo tornasse ad essere figlio di Dio, che prese la nostra natura perché noi fossimo partecipi della sua natura divina; che visse la nostra vita umana perché noi vivessimo la sua vita divina. Gloria a Gesù, il 9Salvatore! 2) Egli è l’innocente che s’è messo al posto del malfattore. Toccava a Barabba, l’assassino, morire in croce, ma Gesù, il Figlio di Dio, s’è messo al suo posto tra due ladroni. Toccava all’uomo espiare il peccato, ma Gesù prese sopra le sue spalle e peccato e pena. Gloria a Gesù, il Salvatore! 3) Egli è l’eterno beato che si è fatto l’uomo dei dolori. Vedetelo nascere nel gelo della notte invernale, in una stalla; vedetelo dopo otto giorni che già versa sangue nella circoncisione; vedetelo in tutta la sua vita d’umiltà e di dolore, ma specialmente vedetelo nella sua morte. In tutta la sua carne appesa al patibolo non v’è una fibra intatta, ed un soldato con la lancia gli apre il fianco. – Da quel fianco squarciato ascese al cielo la soddisfazione per noi; attraverso a quel fianco squarciato poté discendere all’umanità il perdono e la salvezza. Sia gloria a Gesù, il Salvatore! Per lui noi siamo liberi di raggiungere il fine soprannaturale a cui fummo elevati; per lui noi abbiamo riavuto la grazia che ci fa figli di Dio, che ci dà diritto al Paradiso, che ci rende templi della Divinità. Dio è tornato ad abitare nell’uomo. Si racconta che quando Temistocle, eroe di Atene, si rifugiò presso il re dei Persiani, fu tale la gioia di questo sovrano che l’andava dicendo a tutti. E nella notte balzava in sonno a gridare: « Ho meco Temistocle Ateniese ». Pensate, Cristiani, che dopo la salvezza portataci da Gesù, noi abbiamo nel nostro cuore non un mortale, ma Dio stesso immortale. Eppure ce ne dimentichiamo! E ci sono di quelli che scacciano l’Ospite divino con nuovi peccati per ritornare nella schiavitù del demonio! – Quando S. Bernardino ebbe la grazia di comprendere il mistero racchiuso nel nome di Gesù, lo prese tanta ardenza d’amore che parve pazzo. « Gesù! Gesù!» andava dicendo migliaia di volte al giorno. E per le piazze di Firenze, di Ferrara, di Padova spessissimo predicò il nome di Gesù. Ed istillò da per tutto la devozione, sì che gli italiani ponevano questo Nome celeste sulle loro case, sulle loro porte, sul loro cuore. Sul nostro cuore mettiamolo anche noi, per tutti i giorni della vita, e ci sia fatta grazia di ripeterlo come ultima parola, morendo: « Gesù ». E il Salvatore ci salverà dall’inferno. — IL NOME DI GESÙ E LA VITA SOPRANNATURALE. Capita non di rado che dalla bocca d’un bambino escano parole profonde e vere che stupiscono i grandi e i sapienti. Or questo avvenne in una scuola elementare d’Italia. Aveva insegnato il maestro a distinguere i tre regni della natura: minerale, vegetale e animale. Toccava con la mano la pietra nera della lavagna e chiedeva alla scolaresca: « A che regno? ». E tutti prontamente: « Al regno minerale ». Additava il pioppo che si alzava dal cortile sottostante fino a guardar con la vetta dentro la finestra dell’aula, e tutti. « Al regno vegetale ». Poi colla punta dell’indice posata sull’allievo del primo banco, ripeté l’interrogazione. E la risposta fu ancora pronta e piena: « Al regno animale ». Ma l’allievo del primo banco, alzatosi in piedi rosso rosso, scoppiò a piangere. E diceva tra i singhiozzi: « Non voglio; Non voglio! ». Tutti risero. Anche il maestro: ma poi riprese, e cercò di convincerlo, spiegandogli che non c’era timore di venir confuso coi conigli e coi gatti perché possedeva la ragione che da sola bastava a collocarlo molto più in alto. Ma l’altro non si consolava, e persisteva, benché con più rari singhiozzi, nella medesima protesta: « Non voglio ». « Allora, dillo tu a che regno vorresti appartenere » . E l’allievo d’impeto rispose: « Al regno di Dio ». Fosse ispirazione di Dio che si compiace di parlare per la bocca di candidi fanciulli, o fosse il germe deposto in quel cuore dal santo Battesimo che, non soffocato dalle colpe, in quel momento prendeva coscienza di sé, certo l’allievo del primo banco disse una grande realtà: la più grande, la più consolante realtà del mondo. In ogni uomo battezzato che è senza peccato mortale c’è una vita divina per cui trascende tutti i regni della natura e partecipa del regno e della famiglia di Dio. Chi ci ha dato questa realtà? Gesù. Sia benedetto in eterno questo Nome. « Avrai un figliuolo, — diceva l’Arcangelo alla Vergine Maria, — e lo chiamerai Gesù… » perché Gesù in ebraico vuol dire Salvatore. Egli appunto ci salvò dalla morte dandoci la Vita. Che vita? Quella soprannaturale, quella divina, che ci fa appartenere al regno di Dio. Chi non capisce questa vita, non capisce il Nome di Gesù: per lui è un bisillabo senza senso. Chi non ama questa vita, non ama il Nome di Gesù: per lui è un nome d’un illustre forestiero. Cerchiamo con opportuni pensieri di capire e di amare la vita soprannaturale. – 1. CAPIRE IL NOME DI GESÙ: CIOÈ LA VITA SOPRANNATURALE. Nel Nome di Gesù i due Apostoli Pietro e Giovanni, avevano guarito lo storpiato che elemosinava sulla porta del tempio. Per questo fatto, furono messi in prigione. Davanti al Sinedrio che voleva condannarli, Pietro, infiammato dallo Spirito Santo, esclamò: « Faccio noto a tutti voi, e a tutto il popolo, che nel Nome del Signore nostro Gesù Cristo, quello che voi uccideste e che poi risuscitò, lo storpio è qui davanti a voi, diritto e sano. E sappiate pure che sotto la volta del cielo non c’è nessun altro nome in cui gli uomini possano sperare la salvezza » (Atti, IV, 1-12). Infatti Gesù stesso aveva detto: « Io sono la Vita ». Se solo Gesù è la salvezza e la vita, senza di Lui o fuori di Lui c’è la morte e la perdizione. E in altra occasione aveva pur detto: « Io sono venuto a portare la Vita e a portarne tanta ». (Giov., X, 19). Che vita? Forse quella per cui respiriamo, mangiamo, lavoriamo, e poi moriamo? Questa è la vita naturale, ed essa pure viene in origine da Dio, ed a ciascuno di noi è comunicata per tramite dei suoi genitori. Ma non era necessario, perché vivessimo di questa vita, che il Figlio dell’Onnipotente si facesse creatura come noi, prendendo umana carne nel seno di una Vergine. Che vita allora? una nuova e diversa vita, incomparabilmente più intensa, infinitamente più preziosa, e che perciò chiamiamo vita soprannaturale: essa è la stessa vita divina che nella sua pienezza è contenuta in Gesù, e che Gesù fa defluire in quelli che si uniscono a Lui. C’è dunque nell’uomo redento una duplice vita: naturale e soprannaturale. Come l’uomo redento ha una doppia vita, così ha una duplice nascita. Per la prima nasce dai suoi genitori figlio d’Adamo; per la seconda nasce figlio di Dio da Gesù Cristo. Una notte Gesù aveva concesso un colloquio ad una persona istruita ed influente, a Nicodemo; e gli diceva: « Se non rinasci, non ti salvi » . Si meraviglia il saggio Nicodemo e risponde: « Come faccio a ritornare nel grembo di mia madre, se ho già tanti anni sulle spalle?! ». « Hai tanti anni sulle spalle, ma di vita naturale; c’è però un’altra vita, la mia vita divina, e in questa non sei ancor 0nato. Per nascervi, bisogna farsi battezzare. Nelle acque del Battesimo, per virtù dello Spirito Santo, la mia vita divina viene in te, tu vivi con la mia vita, tu pure diventi figlio di Dio… ». (Giov., III, 3-6). Il Battesimo è un atto di morte e di vita. Di morte, al ceppo d’Adamo, il padre decaduto, dal quale siamo rampollati; di vita nel Corpo di Cristo, viventi in Lui, come il tralcio vive della linfa che sale nel tronco della vite, come la mano vive della vita che viene dalla testa e dal cuore. Due vite, due nascite, due diverse dignità. Ma che cosa sono i valori e le dignità umane anche le più alte in confronto a quelle della vita soprannaturale? San Paolo ha detto che sono « una spazzatura ». S. Tommaso ha detto che la più piccola particella di questa vita soprannaturale vale di più dell’universo intero. Perciò meglio è perdere tutto, anche la vita naturale, ma non la Grazia. – 2. AMARE IL NOME DI GESÙ: CIOÈ LA VITA SOPRANNATURALE. S. Paolo ritornava in Gerusalemme da un lungo viaggio. Essendosi fermato in Cesarea a riposare in casa d’un amico, venne quivi un profeta di nome Agabo a fargli una dolorosa profezia. Agabo infatti si fece dare da Paolo la cintura, e mentre tutti guardavano stupefatti, si legò le mani e i piedi; poi disse all’Apostolo: « L’uomo a cui appartiene questa cintura così sarà legato dai Giudei di Gerusalemme e consegnato ai Gentili ». Si può immaginare la costernazione che la strana profezia sparse in quella casa, tra i compagni e gli amici di Paolo. Parecchi non poterono tenere le lagrime, e lo scongiurarono a non andare a Gerusalemme. Ma Paolo disse: « Perché piangete, perché mi straziate il cuore così? Io per me sono pronto non solo a essere legato, ma anche a morire in Gerusalemme per il Nome del Signore Gesù ». Propter nomen Domini Jesu. E pronunciò il Nome di Gesù con una tale forza d’amore, che tutti compresero che non c’era più speranza di rimuoverlo dal suo proposito, e mormorarono: « Sia fatto quello che Dio vuole ». (Atti, XXI, 8-14). Questa di Paolo è la vera devozione al Nome santo di Gesù. « Dio — scriveva ai Filippesi (II, 9-10) — ha dato al nostro Salvatore un nome che è sopra ogni altro nome ». E perciò egli ha voluto amarlo sopra ogni altra cosa: a costo d’ogni tribolazione, d’ogni angustia, a costo d’andare in giro per il mondo affannato, nudo, perseguitato, cercato a morte (Rom. VIII, 35-36; II Cor., XI, 23-33). Di fronte alla devozione di Paolo, ognuno consideri quale e quanta sia la propria devozione a questo Nome divino. . Il Nome di Gesù stia come un sigillo sul nostro cuore, sulle nostre labbra, sulle nostre mani. Sul nostro cuore: a conservare la vita soprannaturale della Grazia, da ogni assalto del mondo, delle passioni, del demonio. Sulle nostre labbra: ad avvalorare le nostre preghiere, a impedire qualsiasi parola contro la carità o la purità. Sulle nostre mani: perché possiamo eseguire i nostri doveri con cristiana onestà e dignità. Dobbiamo imitare San Vincenzo de’ Paoli, chiedendoci spesso: « Che cosa farebbe Gesù se fosse al mio posto? ». – I sette figliuoli di certo Sceva, sacerdote ebreo, avendo visto che Paolo operava miracoli invocando il Nome di Gesù, credettero anch’essi con quel Nome di guarire ammalati ed ossessi e guadagnare mucchi di denaro. Il primo caso che loro capitò era di un povero indemoniato. Cominciarono lo scongiuro: « In nome di quel Gesù che Paolo predica, esci da questo corpo ». Ma lo spirito malvagio rispose: « Conosco Gesù, e conosco Paolo, ma voi chi siete? » . E improvvisamente l’ossesso saltò addosso a quei sette disgraziati, stracciò i loro panni, li picchiò a sangue. A stento riuscirono a scamparla fuggendo. (Atti, XIX, 13-17). Cristiani, non c’è altro Nome di salvezza che quello di Gesù. Non basta però non bestemmiarlo, per salvarsi. – E neanche basta ripeterlo con le labbra, per salvarsi; come non è bastato ai sette figli di Sceva. Che gioverà dire « Gesù, Gesù! » se poi si sta placidamente in peccato mortale? Se non si vive in Grazia, se non si distacca il cuore dalle abitudini peccaminose, non gioveranno neanche i nove primi venerdì del mese. « Conosco Gesù; — dirà il demonio; — conosco San Paolo e tutti i Santi e i buoni Cristiani che si sono salvati invocando con la sincerità della vita questo Nome divino. Ma tu sei mio: sulla tua anima c’è il mio nome e il segno del mio possesso ». E travolgerà l’illuso nella perdizione eterna.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXXV: 1; 5
Confitébor tibi, Dómine, Deus meus, in toto corde meo, et glorificábo nomen tuum in ætérnum: quóniam tu, Dómine, suávis et mitis es: et multæ misericórdiæ ómnibus invocántibus te, allelúja.

[Confesserò Te, o Signore, Dio mio, con tutto il mio cuore, e glorificherò il tuo Nome in eterno: poiché Tu, o Signore, sei soave e mite: e misericordiosissimo verso quanti Ti invocano, allelúia.]

Secreta

Benedíctio tua, clementíssime Deus, qua omnis viget creatúra, sanctíficet, quǽsumus, hoc sacrifícium nostrum, quod ad glóriam nóminis Fílii tui, Dómini nostri Jesu Christi, offérimus tibi: ut majestáti tuæ placére possit ad laudem, et nobis profícere ad salútem.

[O clementissimo Iddio, la tua benedizione, che dà vita d’ogni creatura, santífichi, Te ne preghiamo, questo nostro sacrificio, che Ti offriamo a gloria del Nome del Figlio tuo e Signore nostro Gesù Cristo: affinché torni gradito e di lode alla tua maestà e profittevole alla nostra salvezza.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de Nativitate Domini

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Quia per incarnáti Verbi mystérium nova mentis nostræ óculis lux tuæ claritátis infúlsit: ut, dum visibíliter Deum cognóscimus, per hunc in invisibílium amorem rapiámur. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cæléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes.

veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Poiché mediante il mistero del Verbo incarnato rifulse alla nostra mente un nuovo raggio del tuo splendore, cosí che mentre visibilmente conosciamo Dio, per esso veniamo rapiti all’amore delle cose invisibili. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps LXXXV:  9-10
Omnes gentes, quascúmque fecísti, vénient et adorábunt coram te, Dómine, et glorificábunt nomen tuum: quóniam magnus es tu et fáciens mirabília: tu es Deus solus, allelúja.

[Tutte le genti che Tu hai fatto, o Signore, vengono e Ti adorano e glorificano il tuo Nome: poiché grande Tu sei e fai meraviglie: Tu solo sei Dio, allelúia.]

Postcommunio

Orémus.
Omnípotens ætérne Deus, qui creásti et redemísti nos, réspice propítius vota nostra: et sacrifícium salutáris hóstiæ, quod in honórem nóminis Fílii tui, Dómini nostri Jesu Christi, majestáti tuæ obtúlimus, plácido et benígno vultu suscípere dignéris; ut grátia tua nobis infúsa, sub glorióso nómine Jesu, ætérnæ prædestinatiónis titulo gaudeámus nómina nostra scripta esse in cœlis.

[Onnipotente eterno Iddio, che ci hai creati e redenti, guarda propizio i nostri voti: e degnati di ricevere benignamente il sacrificio della Vittima salutare che offriamo alla tua maestà in onore del Nome del tuo Figlio, Gesù Cristo, nostro Signore; affinché, per la tua grazia, in virtù del glorioso Nome di Gesù, godiamo di vedere i nostri nomi scritti in cielo in eterno.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA