LO SCUDO DELLA FEDE (234)

LO SCUDO DELLA FEDE (234)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (5)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

LA MESSA

PARTE I

LA PREPARAZIONE

CAPO III

ART. III.

Le Campane.

Solo la Chiesa Cattolica poteva, e doveva inventare le campane, od almeno introdurle al grande uso, per cui sono destinate. Abbiamo detto: almeno introdurle al grand’uso; perché troviamo antiche memorie de’ campanelli; ma le campane propriamente dette, come ora le abbiamo, pare s’introducessero sol dopo cessate le persecuzioni. Quando la Chiesa di Dio vivente non era altrove sicura che nell’oblio, possiam esser certi che non si convocavano i fedeli a suon di campane o di crotali. Dice taluno, che usassero di quella vece le raganelle; e potrebbe esserne un indizio il vederle anche fra noi adoperate nella settimana santa: pei quali giorni si conservarono ancora in uso i riti più antichi. Ma anche questo non si poteva fare, se non dopo ottenuta la pace. Nel tempo delle persecuzioni bisognava che si avvertissero i fedeli, di casa in casa, con rapidità, con modi che non gli scoprissero. – Troviamo presso i Romani fatta menzione di segni, che si davano con bronzi sonanti, e presso i Cristiani di segni, con cui si raccoglieva il popolo in Chiesa: e dagli storici di Venezia abbiamo, che il Doge Orso Partecipazio nell’anno 865 mandò le prime campane all’Imperatore Michele da mettere a Santa Sofia. Non se ne conosce però l’inventore. Il nome poi di campana pare venisse loro dato dalle fonderie, che si stabilirono nella Campania, celebre per l’eccellente bronzo, o forse anche perché là furono prima adoperate. Questo indicherebbe il nome loro dato indi aes Nolanum o Nolæ, cioè bronzo di Nola, da Nola città di Campania, a dodici miglia da Napoli (Cantù: Storia Universale). Certo è però che la Chiesa, questa società dei fedeli, sposata a Dio, quando uscì alla luce e poté respirare in libertà, e spiegare nei maestosi suoi riti i disegni della carità di Dio, da cui è informata, non poteva trovare strumento meglio adatto per comunicare continuamente, come in famiglia ai figliuoli sparsi d’intorno, i suoi pensieri. E in vero quanto sublime è questo concetto! Questa sposa del Signore, e ne diffonde il suo spirito per tutto 1° universo, dove trova un gruppo d’abitazioni, alcuni uomini raccolti in società, li lega in famiglia, e vi colloca in mezzo il centro dei suoi affetti, ponendovi da adorare nella loro chiesuola Gesù Cristo, amante nascosto sotto i veli del Sacramento nella misteriosa celletta del sacro ciborio. Quivi col cuore suo nel suo Tesoro, è dove propriamente vive d’amore. Ora, come il cuore dell’uomo diffonde coi suoi battiti per le membra quel calore di vita, di cui è focolare, così dalle chiese colle ripetute scosse delle campane si spandono intorno con rapida onda sonora in tutti i medesimi pensieri, i medesimi affetti; e si trasfonde sull’istante, come elettrica un’aura di carità. Oh si, la carità sa pure inventare i belli ingegni e più industriosi e delicati! Ella in mille arcane maniere infonde la vita anche nelle più morte cose, e, informandole, le travolge nei suoi movimenti, come il vortice della vita animale assorbe le molecole dei corpi inanimati, e se le incorpora alla vitalità, assimilandole. Ecco che qui obbliga sino il metallo, a dire parole, a cantare, a sospirare con essa; anzi costringe fino a pigliare sopra le loro ali a portare intorno a tutti i fedeli, colle soavi emozioni, ì cenni della Madre Chiesa. Dalla parte dell’arte poi (Chateaubriand.) non vi è più sublime cosa di questo suono di maestosa armonia. Un flauto ti molce l’animo, e lo riempie di soavità: un violino pare che assottigli un fil di voce delicatissimo per sposarsi al tuo pensiero e corrergli flessibile come esso, agile e presto; ma il suono di molte campane ti scuote potentemente, e ti rapisce in più sublime atmosfera, e ti fa sentire nella persona una vibrazione, che cerca inquieta d’intonarsi con un’armonia, la quale indovini dovere esistere, ma più in su, fuori della sfera di attrazione di questa bassa terra. – Hanno alcuni fatto prova d’introdurre la campana sulle scene dei teatri; ebbene, anche là, in mezzo agli svariati concerti, che ti rubano l’animo obbligato a correre dietro ed una scherzevole melodia; se si sente il rintocco d’una campana, l’animo ne resta sorpreso, è tarpato il volo ai fugaci pensieri; l’uomo è richiamato in se stesso da un’armonia più possente, che manda a nullo ogni altra impressione. Che se, nel silenzio di quel sublime incanto, l’uomo interrogasse sé stesso: anche là sul teatro, in mezzo a que’ spettacoli il cuor suo gli risponderebbe di grandi verità. E per vero quali segrete relazioni non ha il suono delle campane col nostro cuore? Quante volte in un’ora di mesta quiete, ti rimbombano intorno i rintocchi di un’agonia rassomiglianti alle lente pulsazioni di un cuor, che si spegne, e ti portano il pensiero agli aneliti di un boccheggiante morente! Tu ti segni di Croce, e corri colla tua preghiera a dare la mano al tuo fratello, che, sfinito di forze, sta nell’abbrivo dal tempo all’eternità! Hai pregato; ma la campana sospira ancora, e ti ripete all’orecchio: « dunque si more… si more… e dopo la morte?… Suono di terrore! eppure misto di tenerezza, anche quando senti l’intronar a stormo, con che la trepida campana grida ululando: « accorrete! » Allora ti pare in essa di udir la madre che grida: « coraggio, coraggio, o figliuoli; accorriamo, portiamo aiuto ai fratelli, in chi sa qual terribil frangente. » Ma poi, all’alba d’un di solenne, per cui l’aurora pare mandi una luce più gaia ad ornare di rose a festa il firmamento; mentre gli Angeli forse discenderanno in terra in devoto pellegrinaggio a visitare i benedetti luoghi consacrati dai divini misteri, e vedranno la luce rapida come il baleno inondar via via paesetti e campagne e città; le campane destano col suono di festa i fedeli a salutare con vergini pensieri insieme cogli angeli Maria. Maria, (la più bella idea di Dio incarnata in donna) ti sorride dinanzi come una visione di paradiso. Oltre a ciò non hai provato mai a trovarti sopra la vetta di un monticello sotto limpido cielo, quando tutti gli oesetti risplendono d’una cotal luce color di rosa, dalla quale pare che il sole accarezzi la terra per consolarla del suo partire? In quell’ora solenne e soave, da tutti quei paesetti, che incoronano i colli d’intorno, le campane in un istante, come se le inspirasse un comun pensiero, gareggian fra loro a salutar Maria. Allora l’anima tua con un casto affetto stende la mano a Maria, chiamandola soavemente come la bambina chiama di sera la mamma, perché la metta a riposo in seno a Dio. Sì, nella quiete dei campi, quando senti quell’argenteo tintinnio dalla torre della chiesuola, ti par che la religione ti spedisca l’Angelo della misericordia a quei popolani affaticati, per dir con essi: « Ave Maria; o Maria, il Figliuol di Dio è nato Bambino, ed abita qui tra noi poverini; » o mandi l’Angelo della giustizia a tuonar nel rintocco sul tumulto della città. » Sciagurati! voi correte a perdervi, se non date la mano alla Madre, che vi meni a salvarvi in seno a Gesù, che non curate d’avere con voi ». Ah! finalmente, se hai fede ancora, quando il suon di molte campane all’improvviso proclama nelle regioni delle nubi il trionfo del Dio delle battaglie; e quando in terra intuona gloria; o acclama tre volte santo il Dio fatto uomo, che abbiam tra le mani, od invita ad accogliere le benedizioni della sua bontà; allora colla potenza delle sacre onde sonore ti rapisce in cielo quell’armonia divina. – Ah! i protestanti quando non vollero più invocare per madre Maria, quando infransero il vincolo della carità, staccandosi dalla Madre Chiesa, allora abolirono le campane. Per loro 1’individuo basta a se stesso: e’ si foggia la religione che gli piace, e i figli della stessa famiglia possono aver diversa credenza: non hanno comunione, né società di spirituali interessi, non più relazioni cogli antichi amici in cielo, non più la comunione dei Santi: non più Gesù Cristo nel Sacramento. È spento tra essi il cuore della Chiesa; e non suona più la campana, che ne esprimeva il palpito. Vogliam dire che un avanzo di religione ammiserita, e spoglia di così care credenze, dovette rifiutare alla campana che le esprimeva sì bene. Ah! son forse i figli, che non vogliono più ascoltare la madre coloro, che fan guerra al suon delle campane nel nostro paese cattolico, in questa… miseria di tempi.

Dominus vobiscum.

Cessato il cantico della gloria di Dio, il Sacerdote si volta al popolo, e lo saluta, dicendo: Dominus vobiscum, » cioè: « il Signore sia con voi; » e il popolo gli risponde: « Et cum spiritu tuo; » ed anche collo spirito vostro. – Solo chi ha sortito dalla natura un cuor ben fatto, e chi è ritornato all’evangelica semplicità, è capace di gustare tutta la poesia d’un così caro saluto. Ella è questa una preghiera quanto più usitata e in bocca di tutti, altrettanto non curata e meno compresa. Perché col mal costume di esercitar le opere di Religione come pratiche esterne, senza che il cuor vi abbia parte, si mandano a male le istituzioni più sante. Noi ci fermeremo su questo saluto: e 1° ne daremo la storia; 2° studieremo le cerimonie che lo accompagnano, ed i suoi significati, per poterlo praticare collo spirito della Chiesa, che l’ha sempre in bocca. « Dominus tecum: il Signore sia con voi, o benedetta tra le donne; » disse anche 1’Angelo a Maria Santissima, quando entrò ad annunziarle, che ella era eletta da Dio all’altissima dignità di essere Madre del Figliuol suo. La grazia di Dio, la carità di Gesù Cristo, la comunicazione dello Spirito Santo sia con voi; questi e simili saluti usavano gli Apostoli, quando mandavano ai fedeli quelle loro lettere inspirate da Dio. Di qui adunque la pratica della Chiesa, che fa i suoi figliuoli salutare dal Sacerdote con questa bella orazione: « Dominus vobiscum. » Questo saluto fu già usato dai Patriarchi dell’antico testamento, uomini santi, che, camminando continuamente innanzi a Dio, pieni di Dio la mente e il cuore, col nome di Lui su tutto invocavano la benedizione celeste (Ruth II, 4; Judic. VI, 12.). Fino dai più antichi secoli fu in uso nella Chiesa. – I Vescovi nondimeno, ancora al tempo presente, invece di dire: « il Signore sia con voi, »- dicono: « Pax vobis, la pace sia con voi. » Questa differenza vuol essere derivata da ciò, che il Gloria în excelsis era nei tempi antichi riserbato da poterlo cantare nel Sacrificio, quando celebravano i Vescovi, i quali, finito il cantico, pregavano appunto sul popolo quella pace, che erasi dagli Angioli annunziata. Forse gli antichi Vescovi si ricordavano del beato Giovanni, apostolo della carità, quando, cadente di vecchiezza e stremo di vita, barcollando fra le braccia dei suoi discepoli e tremante di tenerezza si faceva portare in mezzo alla chiesa. Egli là non potendo predicare più a lungo; « 0 figliuoli miei, diceva, amatevi l’un l’altro, » e taceva; tornava ancora l’altro di a dire per tutta istruzione: « figliuoli miei, amatevi l’un l’altro; » e pensava aver detto tutto, che bastasse a farli buoni: quando i suoi discepoli, forse alquanto annoiati della solita predica: Maestro, dissero, diteci altre cose sublimi, voi che tante ne avete gustato, dormendo sul petto del Salvatore! No, risponde da uomo inspirato l’Apostolo d’amore, voglio dirvi solo questo, perché, se lo praticherete, vi basterà a tutto (S. Hier., De script. Eccl.). E voleva dire che la pace nelle famiglie, e la carità del prossimo, è l’anima di tutte le virtù. Osserviamo che il saluto, che fa qui il Sacerdote al popolo, e questo d’invocar Dio sopra di lui col « Dominus vobiscum » si prepone dal Sacerdote in tutte le pratiche di religione, e tutte le orazioni che deve recitare. Come una volta non pure i fedeli, ma anche i pagani non si vergognavano di pregare l’assistenza divina in tutte le pratiche della vita, e fino all’incontrarsi si salutavano, invocando un Dio, che li proteggesse; così la Chiesa ancora tiene vivo questo costume piissimo; e, quando il Sacerdote ha da innalzare in suo nome una preghiera, ella vuole che si ricordi essere egli costituito quale ambasciatore tra Dio e gli uomini, interprete dei voti suoi, ed incaricato di portar innanzi a Dio i bisogni di tutti i suoi figliuoli. Mentre adunque anche in privato recita le sue orazioni, il Sacerdote, rivestito dell’augusto carattere di ministro di Dio, si solleva tra il cielo e la terra, e prima di trattare con Dio, si rivolge al popolo, che in Dio vede tutto presente; abbraccia, per dir così, in unione di spirito colla Madre Chiesa in seno a lei i suoi fratelli, e dice loro tratto tratto: « Dominus vobiscum, » il Signore sia con voi, senza di cui voi non altro avrete che miserie, osserva qui s. Agostino; adunque non vi affannate dietro l’ombra dei beni, che vi lusingano i sensi; vi ricordi, o fratelli, che la vostra felicità voi troverete in Dio solo, innanzi a cui porto i voti, effondo i gemiti per me e per voi: « Dominus vobiscum, » il Signore sia nei vostri pensieri, e vi faccia a sé dirigere tutte le operazioni della vostra vita « Dominus vobiscum, » il Signore sia nel vostro cuore, e questo amore riscaldato dal santo amor suo arda dinanzi alla Divinità, ovunque presente, come il braciere dell’incenso davanti all’altare: « Dominus vobiscum; » il Signore sia nei vostri travagli della povera vita, e, quando sarete stanchi delle schiave fatiche della terra d’esilio, levate gli occhi alla Gerusalemme celeste, ché la redenzione vostra si avvicina: « Dominus vobiscum: » il Signore vi accompagni nelle vostre tribolazioni, e, mentre vi strascinate sulle spalle il peso delle vostre croci, confortatevi guardando il gran capo Gesù, che vi precede colla croce sul Calvario: « Dominus vobiscum » sia con voi il Signore, o fratelli, e, pensando sempre alla divina presenza, apritegli i vostri pensieri; comunicategli le vostre intenzioni; versategli in seno il vostro cuore: e mentre anche il peccatore vive spensierato alla divina presenza, e commette fra le braccia di Dio stesso le sue iniquità, voi nelle vostre case, di mezzo ai vostri sollievi, in mezzo alle vostre fatiche, nelle prospere e nelle avverse cose, in tutte le più minute azioni abbiate di mira la gloria di Dio, la salute dell’anima; così camminando voi sempre con gran rispetto dinanzi a Dio, vi accompagni dovunque la sua grazia. – Ora cercheremo di spiegare le cerimonie, che accompagnano il Dominus vobiscum, che sono queste:

1. Giunge le mani sul petto innanzi al Crocefisso; 2. Si ferma in mezzo all’altare, e s’inchina alla Croce; 3. Bacia l’altare; 4. Si volge al popolo; 5. Allarga le braccia; e le stende verso di lui; 6. Stringe ancora le mani sul petto, e colle braccia strette così, torna all’altare.

1. Giunge adunque le mani sul petto innanzi al Crocefisso; il che significa che egli col popolo si guarda innanzi a Dio come tutta cosa di Lui, e come vittima legata dalla luce divina e morta alla propria volontà, si dà tutta in mano al voler divino, in unione della gran vittima, che va col popolo ad offrire.

2. Si ferma in mezzo all’altare, e s’inchina. L’altare, che rappresenta Gesù Cristo, è come la gran coppa ripiena dell’abbondanza delle divine misericordie da diffondere sopra del popolo. In mezzo adunque all’altare, donde scaturiscono tutte le grazie, il Sacerdote s’inchina; e vuol significare, che da un luogo così santo, così sublime, mentre dev’egli benedire il popolo, prima di tutto ha bisogno di chiamare sopra se stesso colla sua Umiltà le celesti benedizioni.

3. Bacia l’altare: è un trasporto d’amore, con cui bacia di cuore le piaghe di Gesù Cristo, e, quasi mettendo il labbro al santo Costato, attinge a quella fonte del Salvatore quell’acqua, che, mista al santissimo Sangue, sale sino a vita eterna.

4. Si rivolge al popolo. Da quell’altare ci pare di vedere l’uomo del Signore circondato da una aureola di Divinità, che lo rende venerando al popolo prostrato ai piè. Si legge di Mosè, che scendendo dal monte, coronato aveva il capo di raggi fulgenti, così che il popolo non poteva fissarlo in volto. Il Sacerdote invece rappresentante di Gesù Cristo, più che della maestà di Dio, rende immagine della mite dolcezza del Salvatore; e dimostra la carità di Lui, che colle mani aperte sulla Croce, con grida potenti e lagrime per noi al Padre, meritò di essere esaudito (Hebr. V, 7); e si volge ai redenti per consolarsi con essi.

5. Stende le mani allargate verso il popolo. Con questo rivolgersi al popolo, gli fa invito a ricevere Gesù Cristo, che gli porta i doni (Mansi, Del vero ecc. v. 2, lib. 4. Dove osserva che si replica sette volte nella Messa il Dominus vobiscum, per esprimerei sette doni dello Spirito Santo.) dello Spirito Santo. Ah! non ci pare egli di vedere qui Gesù desideroso di effondere nelle anime nostre i tesori della sua misericordia nel Sacerdote, che con Gesù sulla Croce allarga le braccia, le sue mani quasi adattando sulle mani piene di sangue dell’Amor Crocefisso in quella forma disteso? Ecco il Sacerdote dinanzi a Dio: anche Egli venerato pel suo carattere in Cielo sotto le sue braccia protegge il popolo fedele. Avendo Egli questi figliuoli generati alla Chiesa colla virtù del sangue di Gesù Cristo, con Gesù divide i diritti e le tenerezze di padre; e come tale nel salutarli li vuole accogliere in braccio per dar loro la sua santa benedizione, e dice: Dominus vobiscum.

6. Poi serra le braccia al seno, dando vedere con quell’atto, come egli col cuor largo in carità, con Gesù Cristo, tutti teneramente ci abbraccia e con tutti i nostri bisogni ci porta in petto sull’altare innanzi a Dio. Deh! vi può essere pratica più mdevota, più tenera di questo saluto comunissimo della Chiesa? – Il popolo risponde al Sacerdote: « Et cum spiritu tuo: e sia collo spirito tuo. » Questa risposta è l’espressione naturale d’un sentimento di gratitudine, ed è una preghiera che fa il popolo pel Sacerdote, che ne ha gran bisogno in quel momento in mezzo a quei tremendi misteri (S. Jo. Crys. Hom. 18, in 2 Cor.). Qual risposta è più all’uopo di questa, con cui il popolo risponde al gran saluto del Sacerdote, pregando che lo Spirito del Signore l’assista, e lo accompagni? Santa unione nel Signore! Il Sacerdote allarga le braccia al popolo per eccitarlo ad aprire le anime a ricevere i doni di Dio; il popolo gli corre fra le braccia, e prega Dio d’investir l anima del sacerdote col suo Santo Spirito. Ah! sì diciamo anche noi: « il Signore sia collo spirito tuo! » Lavori la perfezione dell’anima tua, ché la perfezione del Sacerdote è un tesoro pel popolo fedele. Egli ti doni tal santità, quale è conveniente al più che angelico tuo ministero. Et cum spiritu tuo. Il suo spirito ti spiri sul labbro la parola di vita, che ha da pascolar l’anima nostra: Egli t’investa lo spirito, e sii tu l’operator di miracoli di carità, col dare la vita alle anime infracidite nel vizio. Et cum Spiritu tuo: o uomo del Signore, sull’altar del Dio vivente rinnoverai il prodigio della verginal purità di Maria Santissima; nelle tue mani discenderà il Verbo eterno per l’onnipotenza della parola divina, che ti ha comunicata. Scambiatesi così tra Sacerdote e popolo le benedizioni, il Sacerdote si mette da un lato dell’altare, ai piedi della Croce, in atto di presentare coi suoi i voti raccolti da tutto il popolo. Prega come Mosè colle braccia alzate; ma più di Mosè fortunato, perché nel suo pregare ripara a sicurtà sotto l’ombra della Croce di Gesù, e non ha più paura di cadere morto sfolgorato dalla presenza della Divinità; e dice con confidenza:

Oremus.

Innalza le mani nel dire « Oremus, » come il condottiere del popolo del Signore sul monte Raphidim, esortando anche s. Paolo di pregare in ogni luogo con alzare le mani pure (I Tim. II). Il sacerdote colle mani levate a capo di tutti presenta coi suoi i voti di tutti i fedeli, i quali pure colle mani giunte, pregano il Padre della bontà, con confidente abbandono attaccatisi alla Croce, disposti a lasciarvi la vita; e qui egli s’inchina per eccitare tutti ad appoggiarsi al Crocefisso, e come vittime anch’essi mettersi colle mani legate nelle mani della giustizia divina sotto di essa. – Ecco l’uomo chiamato da Dio sul monte Santo, che nel momento di entrare in colloquio col Signore, prova il peso della sua infermità, e prega il popolo di tenerlo sollevato fra le braccia della preghiera comune, e dice ad alta voce, perché  loda « Oremus: preghiamo, » invitandolo così a pregare con lui. Egli adunque, come Mosè, si sente mancare la lena in tenere sul santo monte alzate al cielo le mani; poiché uomo infermo anch’esso, in quell’atto, tra i fedeli e il Crocefisso, gli tremano le braccia nell’invocare la benedizione e le vittorie sopra il popolo, nella fiera battaglia intorno allo stendardo di Gesù Cristo. Teme non forse la sua indegnità frapponga ostacolo alle grazie di Dio, e si raccomanda alla carità di tutti, perché lo confortino con le loro supplicazioni. In certo qual modo, dicendo « Oremus, » par voglia dire: « sì io pregherò; ma promettetemi di accompagnarmi voi pure colle vostre suppliche, mentre vado a rappresentare innanzi a Dio ì comuni nostri bisogni. » Quindi recita orazioni volgarmente dette gli « Oremus, » che nella Liturgia sono chiamate collette. – Santa carità di Gesù Cristo! Il Sacerdote per essa comprende i bisogni di ciascuno dei fedeli. Anzi lo stesso Spirito di Gesù Cristo si fa interprete di tutti i cuori, e formola quelle suppliche, che rispondono ai bisogni di tutti. Negli antichi tempi il Sacerdote recitava pubblicamente quella preghiera, che gli suggeriva la sua pietà. Tutta piena la sua mente dei misteri della santa Fede, che si celebravano, rapito in ispirito nell’ammirazione delle virtù di Maria SS. e dei Santi, commosso dalle pubbliche e private necessità gli fluivano bene sul labbro le più devote preghiere, piene di unzione e di carità. Accadeva una disgrazia? I nemici minacciavano di devastare l’Impero? La mano del Signore scuoteva il flagello sulle teste del popolo, coi suoi castighi già lo colpiva? Una sventura anche particolare opprimeva in modo un fedele da far rumore? Ecco i gemiti dell’uomo di Dio esprimevano coi sentimenti i voti del popolo, di cui era l’umile e dignitoso rappresentante (Microlog. De Eccles. obsecr.). – Quando il popolo si sente interpretare i suoi bisogni per bene così, e pubblicamente trattare col Signore i suoi più cari interessi dal ministro della Chiesa, quando sente a chiamare sopra l’anima propria, sopra la sua famiglia, e fino sopra le sue sostanze terrene le benedizioni celesti, ed interporre per lui i meriti dei Santi, della Regina del Cielo; e a tutte queste suppliche, non che altro, aggiungere ì meriti e il sangue di Gesù Cristo, quasi sigillo, che le rende autorevoli ed efficaci; il popolo risponde in armonia d’affetto; « Amen: così sia. » Avete ben detto quello che ciascun di noi voleva. La Chiesa formulò poi e compose, e ora mette innanzi già preparate per tutte queste brevi orazioni o collette od oremus che dir vogliamo. – Quelli, che hanno spirito di orazione, troveranno un gran pascolo in meditarle. Oltre ad essere le più belle forme di preghiera, piene di spirituale unzione e soavità, sono pure le espressioni più genuine e sincere dei sentimenti e della credenza della santa Chiesa Cattolica. Anche da queste ben si comprende come con Dio non è da andare in molte parole, poiché i gemiti, in che si sfoga un’anima compenetrata dai santi misteri, sono le preghiere migliori. Di fatto per lo più la Chiesa presso a poco prega così: « Padre celeste, vedete ciò che ha operato il Figliuol vostro qui sulla terra, e la vostra beatissima Sposa e nostra Madre Maria bagnata di sangue sotto la Croce! Ecco le virtù dei vostri servi: per i loro meriti, e tutto sempre per i meriti di Gesù Cristo, concedeteci che, nell’imitare così sante azioni, giungiamo con essi alla gran mercede, che siete Voi in paradiso. » Ecco ciò che ben dicono insomma gli Oremus. –  Queste collette e benedizioni, o sommarii, come si chiamarono talvolta, perché contenenti i voti di tutti (Bened. XIV, lib. 2, cap. 5, n. 1, De sac. Miss.), erano in uso fino dai primi secoli. A queste preghiere s. Pietro deve la liberazione miracolosa dal carcere (Act. X1.). Insieme pregando si confortavano i fedeli perseguitati. S. Giustino martire nell’Apologia presentata all imperator Adriano diceva: (Apol. I) « noi preghiamo (prima dell’offerta) fervidamente in comune così per voi, come per tutti quelli, che sono dei vostri, sparsi per le varie parti del mondo, affinché, venuti in conoscimento della verità, possiamo tutti per mezzo dell’opera e dell’osservanza dei Comandamenti conseguire l’eterna salute. » – Tertulliano nel suo Apologetico a diversi magistrati dell’impero Romano: « Noi Cristiani, diceva, noi Cristiani alzando gli occhi al cielo, colle braccia aperte, perché innocenti, col capo scoperto, perché non abbiamo di che arrossire; senza bisogno di rammentatore, perché l’orazione nostra la facciamo di cuore; preghiamo sempre lunga vita a’ Cesari tutti, impero sicuro, casa senza disgrazia, eserciti forti, senato fedele, popolo costumato, l’universo intero in pace. Laonde, gli uncini di ferro ci sbranino pure, così a Dio rivolti ci tengan sospesi ed inchiodati le croci, ci scannino le spade, le fiere ci assalgano… il Cristiano sta orando. Via, voi fate questo da bravi, o presidenti, cacciateci di corpo l’anima, che supplica Dio per l’imperatore; sarà questo il nostro delitto. » Poi dice ancora: « Dio ci ha posto il comando di pregar per tutti, anche per i nostri persecutori: massimamente pei re e per le podestà. » Scena commovente! Popoli intieri di perseguitati alla morte, appiattavansi nelle caverne: spiati che erano, venivano strascinati sui patiboli.. Lì piegavano il collo sotto la mannaia; morivano senza una parola, se non per dire al manigoldo, che tagliava la testa: « taglia pure, o fratello, ché io continuerò in cielo a pregare Gesù, che salvi l’anima tua! » Codardi i Romani! colla spada che aveva vinto il mondo, tagliavano la gola a femminette, a fanciulli, che nel morire pregando vincevano i vincitori del mondo. Oh, se Dio accettava quel priego suo/… Sì, abbiamo detto suo, perché gli uomini non avrebbero mai pregato pei loro nemici così, senza la grazia dell’Uomo-Dio, che moriva pregando per chi l’aveva inchiodato in croce… Ecco il carattere più evidente dei veri Cristiani. Intanto rovinavano i tempii delle disoneste divinità, si piantava la Croce sulle rovine dell’idolatria. L’impero pagano diventava cristiano. Sì; questi prodigi operavano forse più che altro i voti, e le suppliche di coloro, che andavano il di vegnente a morire condannati da quelli, per cui avevano così pietosamente pregato la notte passata. – Ora noi dobbiamo ben essere vilissimi, se ci lasciamo mancare dinanzi tanta eredità di fede, e di virtù; se nel pericolo non facciam violenza al cuore della divina bontà, perché ci salvi per sua misericordia. Santi Sacerdoti, infervorate il popolo a pregare con voi. Della Chiesa le necessità sono estreme: e noi in tanta pressura staremo tranquilli, freddi, vuoti di desideri? senza sentire un bisogno? senza una grazia da chiedere intorno all’altare? Già le nazioni si agitano, si arrovellano, sì battono, rivolgono già le armi parricide contro il Cristo di Dio in terra; e noi?… Noi soffriamo, perdoniamo: ed accusandoci i primi per peccatori, popoli e Sacerdoti preghiamo insieme. Viva Dio! Il Signore regna ancora nei cieli, e tiene in mano il cuor delle nazioni e dei re: e il braccio della sua onnipotenza non è per niente accorciato. Egli ha fatto sanabili le cristiane nazioni, che col progredire senza religione si getterebbero nell’abisso della distruzione. Preghiamo che le ristori tutte nel seno della Chiesa Cattolica, intorno al medesimo altare, fra le braccia dell’istesso Padre comune, del sommo Pontefice. Chi non prega renderà forse conto un dì di tanti mali sofferti, di tante anime perdute per mancanza di quelle grazie, che erano promesse alle sante preghiere nel Sacrifizio. – Avvertiamo ancora che queste collette nei giorni di penitenza, o di maggior compunzione, sono più abbondanti. Anche nei giorni di maggior dolore il diacono invitava, come ancor adesso, il popolo a prostrarsi in ginocchio. « Flectamus genua, buttiamoci in ginocchio. » Il popolo sì gettava in ginocchio sul pavimento delle basiliche, ed in quella umiliazione supplicava il Signore che esaudisse il Sacerdote. Il suddiacono poi dava avviso di levarsi, dicendo: « Levate. » Nei giorni poi solenni si dice una sola orazione, perché troppo preme alla Chiesa che noi stiamo raccolti, e coll’anima tutta nei santi misteri, cui ella celebra con solennità. Perciò ella desidera in certo qual modo che ci dimentichiamo di tutto, perché le potenze del nostro spirito si concentrino in meditare, e gustare il santo mistero, che assorbir deve, per dir così tutti i nostri pensieri, come occupa di sé tutta la Chiesa a celebrarlo. – Noi abbiamo accennato, come il Sacerdote conchiude l’orazione o colletta colle parole, che mettono innanzi i meriti di Gesù Cristo, e come il popolo le ratifica, e quasi sottoscrive, dicendo: Amen, e così conferma la preghiera fatta a nome suo dal Sacerdote. Ma questa conclusione, questa conferma, essendo preghiere, le quali la Chiesa ha quasi ad ogni momento in bocca, vogliam dirne pure qualche cosa, per entrar meglio nello spirito di questa piissima madre; affinché queste parole che ella ci mette, come a bimbi sul labbro, valgano ad ottenerci tutto il bene che ella desidera. Termina adunque gli Oremus colle parole: Per Dominum nostrum Jesum Christum etc. – Quando il Sacerdote mortale porge a Dio le supplicazioni dei congregati fedeli che assistono all’altare, non è più l’uomo solo che prega; ma con lui è il Pontefice invisibile ed eterno, che intercede per noi, santo, innocente, immacolato, dai peccatori diviso, e più sublime dei cieli, unico mediatore tra Dio e gli uomini (Heb. V, 1.) Gesù, il quale aggiunge il suo merito ai sospiri della nostra povertà. Ma noi non comprendiamo l’ordine della divina provvidenza ed i disegni della misericordia, con cui il Signore da tutti i mali della terra cava il bene de’ suoi eletti. Perché noi uomini siamo proprio, come miopi; e non vediam più lungi d’una spanna nell’avvenire. Perciò, quando noi preghiamo, non si può far meglio per noi, che gettarci ai piedi di Gesù Cristo, e rimettere nelle sue mani tutti i nostri interessi, raccomandandoci ai meriti suoi; affinché per esso ponga Iddio quel che per noi sia il migliore: certi che ciò che cercheremo dal Padre in nome suo con queste disposizioni, per lo migliore ci sarà concesso (Jo. XVI, 26.). Quindi nel dire « per Dominum nostrum Jesum Christum etc., » veniamo a dire che Gesù Cristo ci ama infinitamente più che noi non amiam noi stessi, che sa, e conosce e porta scritto nel suo Cuore il nome nostro e tutte le cose nostre, e perciò ci rimettiamo a Lui, che Egli faccia secondo la nostra preghiera, se è bene quello che noi chiediamo: o che la corregga, come Egli è nostro avvocato, e raddrizzi i nostri desiderii, ed interpreti le nostre domande. Perché altro finalmente noi non desideriamo, che la nostra eterna felicità, a cui speriamo di giungere per i meriti di Gesù Cristo. Così pregare è pregare nella maniera più utile e santa, e vuol dire: ABBRACCIARCI A GESU’ NEL SS. SACRAMENTO QUI CON NOI, E GRIDARE: « PADRE; QUESTO CUORE DI GESU’ SQUARCIATO VI DICE TUTTI I NOSTRI BISOGNI. » Allora confidiamo, che ne abbiam ragione. Egli promise, che qualunque cosa chiederemo al Padre in Nome suo, ci sarà data. Le parole adunque « Per Dominum nostrum Jesum ChristumPer Christum Dominum nostrum etc., » cioè per li meriti di nostro Signor Gesù Cristo, che vive, e regna con voi, o Divin Padre, in unità dello Spirito Santo, con cui si terminano tutte le orazioni della Chiesa, sono come una certa quale autentica, o come una sottoscrizione apposta alle nostre suppliche, fatta col sangue di Gesù Cristo; e vogliamo dire: « il suo cuore qui in mezzo di noi vi dice tutto quello che noi non sappiamo dire. »

Amen.

« Il popolo, (diceva sino dal fine del secondo secolo s. Giustino martire) (Ap. I), il popolo conferma l’orazione e il rendimento di grazie coll’Amen, che è una parola della lingua ebraica, e significa: « così va bene, così è: approviamo ciò che si dice: accettiamo per noi ciò che si è detto, e proposto or ora: così sia: Sì, sì che noi abbiamo in somma per Gesù Cristo il paradiso! S. Giovanni (nell’Apocalisse) sentì, che, quando i ventiquattro misteriosi seniori e misteriosi animali, la Chiesa, gli Angeli ed i mille e mille segnati, tutte le legioni di Dio, caddero in ginocchio innanzi all’Eterno, chiusero il Cantico celeste, che orecchio e cuor di uomo mortale non può comprendere, coll’Amen. Anche quando Mosè innanzi all’altare di Dio, chiamando testimonio il Cielo e la terra, scongiurava il popolo di dire schietto, se voleva essere di Dio o degli idoli, e così scegliere tra la morte e la vita, e pregava da Dio benedizioni ai fedeli, e imprecava le più terribili maledizioni a chi non volesse alla legge obbedire; il popolo cosperso del sangue della vittima, accettava colla legge le benedizioni, e si sottometteva, in caso d’infedeltà, ai tremendi anatemi, ed a tutte le maledizioni, col dire: Amen. Che facciamo noi, quando rispondiamo « Amen ?» Noi, ai piè dell’altare, da cui sgorga sulle anime nostre niente meno che il Sangue di Gesù Cristo, accettiamo per detto da noi quel che dice il Sacerdote. Il Sacerdote chiede lagrime di contrizione, chiede aiuto e forza di cessare il peccato e rompere le catene per cui il demonio ci trascina a perdizione: ciascuno di noi risponde: « Amen. » Con ciò vuol dire: così mi aiuti Iddio, che v’impegno la mia parola, che darò mano a far tutto con la sua grazia. E una virtù, che egli presenta a Dio come un fiore germogliato sulla terra innaffiata dal Sangue divino, e chiede grazia a riprodurlo in ciascuno di noi? E noi col risponder « Amen » promettiamo a Dio di regolare i nostri costumi in ordine a quelle virtù, e di coltivarle con tutto l’impegno. Talora poi il Sacerdote ricorda un mistero, e professa di crederlo e ne chiede merito per noi di vita eterna, o si solleva coll’anima al paradiso, e di là confessa, che tutte le cose della terra cadono a nulla dinanzi a quelle del Cielo. Allora noi diciamo « Amen » cioè lo crediamo anche noi, e da quest’esilio alla beata patria andiamo sospirando. Così coll’Amen diamo parola di dare gloria a Dio coll’operare, come esigono le verità, che gli professiamo di credere. (S. August. ad Prosp. et Ilar. de Don Pers. Orig. in Ep. ad Rom. lib. 10. — S. Just. Apocal. 2. — S. Jeron. in Jerem.). –  Ora nel ripetere così facilmente col labbro questa protesta, è forse il cuore lontano, lontano da Dio? Ipocriti! L’Amen, allora sarebbe una solenne bugia, quando alle tante proteste fosse in contraddizione il costume! Qual menzogna sarebbe nel confessare coll’Amen, che Dio è tutto per noi; e poi con tutta l’anima a razzolare nella terra un po’ di polvere? Promettere coll’Amen di voler seguire Gesù, al mondo ed alla carne con Lui crocifissi; e poi ai sozzi vituperi della carne sacrificare l’anima e Dio: gridare coll’Amen, si, o Signore, Voi siete tutto il nostro bene, che sospiriamo di possedere in paradiso; ed intanto, abbietti in vita bestiale, quasi quasi desiderare, che non vi fosse né paradiso, né Dio, perché piace il goder sempre sulla terra? Santo Iddio! noi vogliamo forse accettar per nostre, le maledizioni scagliate contro coloro, che pur conoscendo il bene, fanno vista di approvarlo; ma poi corrono al male? Ah! diciamo dunque « Amen » con cuor sincero ed umiliato, e se non possiamo altro, almeno sia il nostro Amen l’espressione dei desideri di un’anima, che chiede aiuto: almeno una confessione della nostra miseria; volendo dire confidenti con questa parola: « Ah! Signore ispirateci la buona volontà, benedite ai nostri proponimenti, e colla vostra grazia adempite ciò, che non possiamo noi colle nostre forze così meschine. » Così gli Amen dal cuor compunto ci fluiranno sul labbro come gemiti di confusione salutare.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.