FAR FRUTTI DEGNI DI PENITENZA

FRUTTI DEGNI DI PENITENZA

(Da un’omelia di p. Francesco Maria Zoppi  sulle parole di S. Giovanni Battista “facite ergo fructos” in Ev. S. Luca III, 8; in Omelie, prediche sermoni. – Milano, 1841)

Prendendo Giovanni il figliuolo di Zaccaria a preparare le strade al venturo Messia, ad appianarle e raddrizzarle in compimento della profezia di Isaia, a disporre cioè gli uomini tutti a ricevere con un cuore umile, retto e mansueto il loro Salvatore; non fa altro che gridare e nel deserto e per tutto il paese che circonda il Giordano, la penitenza per la remissione de peccati, giusta l’ordine del Signore: Fauctum est verbum Domini super Joannem Zachariæ filium, in deserto: et venit in omnem regionem Jordanis prædicans baptismum pœnitentiæ in remissionem peccatorum. Questo è l’unico argomento di tutta la sua predicazione. E ben di leggieri potremmo da ciò solo argomentare di quanta importanza sia la virtù che predica. Ma egli stesso non esorta o consiglia solo a praticarla, ma il comanda apertamente? Facite ergo fructus dignos pœnitentiæ: e sì la reputa necessaria e indispensabile, che dichiara vana la confidenza in altro merito benché singolarare, in altro protettore, benché il più potente: Ne cœperitis dicere, Patrem habemus Abraham. Né si accontenta egli di una penitenza qualunque, ma esige una penitenza, che renda de’ frutti buoni, che si mostri ne’ fatti, che risponda il più che sia possibile al numero e al peso delle colpe, alla forza degli abiti malvagi inveterati; alla misura della collera provocata e della irritata giustizia di Dio: Fructus dignos pœnitentiæ: Vuole finalmente che la penitenza sia altrettanto pronta, quanto perfetta ed efficace; non accorda un sol momento di indugio, ed assomigliando coloro che non fanno compiuta penitenza ad alberi i quali, non dando alcun buon frutto, si tagliano e si gettano nel fuoco, intima loro che la scure è già levata sopra la loro radice, e che loro è imminente il taglio fatale: Jam securis ad radicem arborum posita est. – Cose tutte son queste che io vi ho già fatto rimarcare; allorché presi a spiegarvi questa prima predica del santo Precursore registrata nell’odierno. Vangelo, esortandovi io pure caldamente ed anche in nome di Dio altamente comandandovi di fare penitenza. Ma lo avrò io fatto con qualche profitto? Posso io lusingarmi d’averne riportato tanto da ascoltatori cristiani, quanto egli ne l’importò da ascoltatori pagani? Questo è invero il fine a cui ardentemente aspiro, o miei devoti, né so bramare compenso più consolante per qualunque mio ministero. Poiché adunque il santo Precursore vi fu già maestro della necessità, perfezione e prontezza onde si deve praticare la penitenza; gli ascoltatori di lui sianvi oggi maestri della docilità di mente e di cuore; onde dovete prestarvi alla voce di chi ve la predica e ve la comanda. Anche a’ Giudei era stata predicata da’ profeti la penitenza: ma ben di raro avevano essi ascoltate di queste prediche: si era da qualcuno di loro anche praticata, ma ben da pochi. Quindi novello quasi e certamente duro doveva sembrar loro il sermone, che lor tenne sulla penitenza Giovanni Battista; e sì che il santo predicatore non usò, come sogliono fare gli oratori; né di arte per persuaderlo, né di grazie per raddolcirlo anzi pare che li rimbrottasse ben aspramente allorché, secondando l’impeto del suo zelo, diceva loro liberamente: o razza di vipere, chi vi ha insegnato a fuggire lo sdegno del Signore che vi sovrasta? Fate adunque frutti degni di penitenza: Genimina viperarum, quis ostendit vobis fugere a ventura ira? Facite ergo fructus dignos pœnitentiæ. – Nondimeno qual breccia fece sull’animo loro questo parlare? Lo hanno appena ascoltato che gli si affollarono all’intorno per essere da lui battezzati, e sollecitamente lo interrogarono, Che cosa adunque abbiamo a fare? Quid ergo faciemus? Come se volessero dire: Sì, che temiamo la collera del Signore; ed Egli il sa, se noi bramiamo di fuggirla: diteci solo che cosa abbiamo a fare, ed eccoci pronti ad obbedirvi: Quid ergo faciemus? E non fu soltanto taluno di cuore o tenero o timido, che parlasse così; no, ma fu tutta la turba degli ascoltatori: Interrogabant cum turbæ dicentes, Quid ergo feciemus? Ma furono i finanzieri, avvezzi alle animosità ed alleestorsioni: Venerunt et publicani ut baptizarentur, et dixerunt ad illum, Magister, quid faciemus? Ma furono gli stessisoldati, che sogliono avere il cuore incallito dal frequentemirare ed esercitare le stragi: interrogabant eum et milites dicentes, Quid faciemus et nos? – Qual consolazione pel santo Precursore al vedere turbe intere cangiate quasi in altrettanti suoi figliuoli, che non attendevano se son i cenni di lui per onorarli ed eseguirli prontamente? al vedere uomini per condizione i più duri ed i più fieri, resi dalle sue parole più docili e mansueti degli agnelli, al vederli tutti avidi di sapere e di intraprendere un genere di vita poco conosciuto, meno praticato, austero, ripugnante alla corrotta loro natura, e molto più alle passioni signore già dei loro cuori? – Toccò pure simile consolazione ne’ primi giorni della Chiesa al principe degli Apostoli, a suoi colleghi, e di tempo in tempo a qualcuno de’ suoi successori. Ma avviene mai, che tocchi a qualcuno de’ sacri predicatori della penitenza a’ nostri giorni? Eppure parliamo a Cristiani ben educati, e parliamo di una virtù la più celebrata non meno dalla bocca di chi l’ha predicata, che dall’esempio di chi l’ha praticata; e ne parliamo colle maniere più dolci e le più atte a nasconderne od a toglierne le asprezze. Ma sospendiamo per poco i rimproveri, mentre io amo per ora che gli ascoltatori di Giovanni ci siano piuttosto maestri che censori. – Che cosa ci insegnano adunque colla sollecita domanda, che gli uni dopo gli altri si affrettano di fare al novello loro predicatore, dicendo questi, Che cosa dunque abbiamo a fare? Quid ergo faciemus? e tosto ripigliando quelli, È noi che cosa abbiamo a fare? Quid faciemus et nos? Come meglio potremmo conoscere, che tutti erano veramente tocchi da Dio; e che per loro era giunto il tempo della misericordia? E da chi meglio potremmo apprendere, quale debba essere lo spirito di un vero penitente? Io vi scorgo qui primieramente uno spirito umile, che o rinunziando ai propri lumi, o non fidandosene, o dandosi anche per cieco, si abbandona interamente ai lumi ed alla guida altrui. – Eccoci il primo importante ammaestramento che ci danno codesti veri penitenti, d’essere cioè docili di mente ai giudizi ed alle istruzioni de nostri direttori, scelti che li abbiamo secondo il voler di Dio, illuminati, saggi, disinteressati. E per verità non sono eglino per una parte da Dio destinati pel carattere della loro vocazione ad illuminare il mondo? Voi siete la luce del mondo, dice loro Gesù Cristo: vos estis lux mundi. E non dobbiamo noi credere che Dio sparga sopradi loro questa luce, perché essi la diffondano in quelli chesono da loro diretti; e che più copiosa e più splendida lasparga, dove più dense sono le tenebre che hanno a diradare,dove più scabrosi e più difficili sono i casi a cui devonoprovvedere? Non dobbiamo noi credere, che, non avendoeglino verun interesse di ingannare, avendo anzi tutto il doveree l’interesse di guidare rettamente per non rendersi appressoDio colpevoli delle loro direzioni, delle quali sonopresso Lui responsali, siano imparziali e giusti i loro documentied i loro giudizj?Dall’altra parte per quanto illuminati si credano i penitenti,devono pur confessare di non esserlo per l’ordinario tantoquanto il dev’essere chi è da Dio posto sul candeliere, e daLui trascelto ad essere dottore in Israele. Quanto è facileinoltre che parziali siano. questi giudici che giudicano incausa propria? Quanto è facile che ne’ loro esami e nelle loro sentenze non abbia qualche parte il loro amor proprio;benché si propongano di sorvegliare sopra di lui e di contrariarlo?Quanto è da temere che quelle passioni stesse chehanno gettato tante volte il loro spirito nel bujo della notte,benché siano ora da loro castigate e frenate, non oscurinoalquanto ancora i lumi della ragione e della fede? Quantoèda temere che non si prendano i falsi lumi per veri, lelucciole notturne per ardenti lucerne, e le immagini d’una riscaldatafantasia per divine illustrazioni, e per sante ispirazionile suggestioni affatto umane? Siccome adunque sarebbetemerità il volersi dirigere secondo i propri lumi scarsi edincerti; così diviene necessario che i penitenti, pronti a volersottomettere pienamente il loro giudizio a quello del direttore,e ricevere da lui la legge; si gettino nelle braccia dilui e a lui domandino umilmente; Che cosa abbiamo a fare: Quid faciemus?Ma, mentre predichiamo la penitenza, abbiamo noi la bellasorte di piegare e guadagnarci per egual maniera le menti de’nostri ascoltatori? Accade pur talvolta che il Signore benedicele fatiche del nostro ministero, e ci conduce ai piedi qualchenostro ascoltatore, tocco dalle nostre parole, o a dir megliodalla grazia divina. Ma depone poi egli sempre a’ nostri pieditutti i suoi pregiudizi? Al che spesso dobbiamo col più vivonostro rammarico persuaderci, che molti penitenti siano guidatia noi piuttosto da un timor vano e passeggero, che da unsincero pentimento, perciò appunto che ci spiegano prevenzionitroppo favorevoli alle particolari loro opinioni, e ideefalse e sinistre del nostro ministero! Ah che spesso dobbiamoaccorgerci, che non si presentano a noi come a loro giudici,ma tutt’al più ci reputano loro consiglieri, riservandosi inoltreil pieno arbitrio di accettare e rifiutare a loro piacere inostri consigli! Ah che spesso ci tengono al confessionaleun linguaggio, che forse non ardirebbero di tenerci in casa,o nella conversazione, dove fossero da altre persone prudentiascoltati; e chiunque li ascoltasse, non li direbbe già ammalati,che si mettono nelle mani del medico per essere da luiguariti, ma medici che sono a consulta con altri medici!O se pure alle prime ci danno la consolazione di vederliavanti noi genuflessi a chiederci nell’aria la più umile, Checosa abbiamo a fare: Quid faciemus? e mostrano di abbandonarsi ciecamente alle nostre direzioni, e ci pregano a consigliarli non solo, ma a non risparmiare loro i comandi, eci protestano di voler fedelmente attenersi a quanto loro prescriveremo; sono poi senza alcuna loro replica le nostre ammonizioni, i nostri suggerimenti, gli stessi nostri. Comandi? Quante volte un momento dopo li sottopongono al sindacatodelle loro passioni? Quante volte ci sentiamo rispondere, chei nostri consigli non sono atti alla loro indole e condizione,e che le nostre medicine non sono fatte per la loro malattiae pel loro temperamento? Quante volte dobbiamo argomentaredalle loro risposte, che ci hanno in conto di direttori oignoranti o rigidi o scrupolosi? Quante volte la voglionocon noi disputare nel tribunale di penitenza, quasi fosseroin un contraddittorio innanzi ad un tribunale umano? Voilo sapete, o Signore, qual pericolo corre talvolta la pazienzae la prudenza de’ vostri ministri posta da costoro a cimento,se non fosse sostenuta dalla vostra divina grazia; e da quelluogo ove non dovremmo che porgervi ringraziamenti perle vittorie riportate sugli ammolliti loro cuori, voi il sapetequante preghiere vi mandiamo perché rompiate la pertinaciadelle caparbie loro menti.Tuttavia, non è così frequente il caso di chi porta al tribunaledi penitenza una cervice sì dura quanto di chi vireca un cuore incirconciso. E che razza di penitenti sono quelli che, quantunque siano docili di mente, nol sono di cuore? La docilità del cuore è tanto essenziale al penitente, che senza di essa ogni altra dimostrazione di pentimento è finta e bugiarda; e questo è il secondo e più importante ammaestramento che ci danno gli ascoltatori di Giovanni Battista coll’offerirglisi pronti a fare tutto quanto avrebbe loro ordinato, dicendo tutti e quasi a gara richiedendo, Che cosa abbiamo a fare: Quid faciemus? – Come infatti si potrebbe dire che un penitente sia veramente convertito di cuore, se pretendesse ancora regolarsi secondo i suoi voleri? Per qual altra via si è egli reso colpevole, se non col ripugnare alla volontà di Dio per fare la propria? Per qual altra via adunque potrà egli dimostrarsi veramente pentito delle sue colpe, se non col negare pienamente la propria volontà per fare in tutto quella di Dio? Ciò costa, ciò è amaro, ma sana. Altrimenti che direste voi di un ammalato; che ricusasse di ricevere le medicine certamente efficaci per guarirlo? Costui, direste, ama di restar ammalato. Chi ama veramente di guarire, non v’ha medicina benché amarissima che non sia disposto a ricevere. Che direste se un reo di morte non volesse dare al giudice la soddisfazione che gli impone a sconto del delitto e a scampo della morte? Non è vero, direste, che a costui dolga veramente di aver commessi i suoi misfatti: chi vuole davvero placare la giustizia e conseguire perdono, non v’ha pena anche grave che non sia pronto a sopportare. – Sia dunque duro quanto si voglia il comando che vi fa un direttore discreto e prudente che vi conosce per ogni riguardo appieno, sia aspra quanto più il possa essere la penitenza che vi ingiunge; qual ragione potete addurre a dispensarvene? Se dite che le prescrizioni di lui non vi sembrano necessarie, o in tutto conformi al volere di Dio, voi mostrate ben poco docilità di mente: se dite che troppo ripugnano alla vostra volontà, voi mostrate ben poca docilità di cuore: se per l’una e per l’altra pretesa vostra ragione ricusate di obbedire: al comando e di compiere la penitenza, voi mostrate di non avere un pentimento verace delle vostre colpe. – Eppure troviamo tutta la docilità ne’ nostri penitenti, finché non ingiungiamo loro che la recita di alcuni Pater o del piccolo Rosario, o di altre brevi orazioni; ma sono pur pochi quelli che, disposti a fare ogni cosa per espiare i loro peccati, ci dicano come conviene, e coll’animo col quale il dicevano i penitenti del santo Precursore, Che cosa fa bisogno che noi facciamo? Siamo pronti a tutto: Quid ergo faciemus? O per lo meno sono ben pochi che pur dicendolo, e avendo anche in animo di farlo, siano poi fedeli, fermi e  costanti nell’adempirlo. Oh strano rovescio di cose! – Succede pur troppo nel tribunale di penitenza ciò che forse non succede mai ne’ tribunali profani, che il colpevole cioè, anziché chinare il capo sotto gli ordini del giudice, e dimandargli, Che cosa devo io fare? pretenda che il giudice assecondi il genio di lui, e gli dica, Che cosa volete voi fare? Se non sono queste le parole, questa è certamente la disposizione dell’animo di coloro che per propri direttori sì scelgono, a bello studio de maestri di una morale facile ed arrendevole, i quali sogliono mettere de capezzali sotto il capo e de cuscinetti sotto ogni gomito de loro penitenti, per valermi delle immagini del profeta Ezechiele; di coloro che a forza di eccezioni forse immaginarie, di scuse chi sa se veraci, e di pretesti mendicati, cercano di sottrarsi dalla severità del santo Vangelo, e di entrare quasi col sacro ministro in umani accomodamenti; di coloro i quali, perché il medico spirituale trova necessario di adoperare nelle loro invecchiate ed incancrenite loro piaghe il ferro o il fuoco a prevenire un guasto maggiore ed una certa morte, partono da lui disgustati, né più ritornano a lui. – Ma succede ancor. di peggio. V’hanno pur di quelli che, invece di chiedere con sommessione al sacro giudice, Che cosa abbiamo a fare: Quid ergo fuciemus? replicano col fatto, e talvolta anche in faccia al comando di lui, No, nol voglio fare; e tanto ardire spiegano avanti il giudice eterno Gesù Cristo, quanto non ne spiegherebbe mai colpevole qualunque avanti un giudice umano. E non sarà già che rispondano così perché li carichiamo di troppo rigida penitenza. Così rispondono quando pure li vogliamo richiamare al solo e preciso loro dovere; quando, esigiamo da’ Cristiani penitenti nulla più di quanto esigesse il santo, Precursore da’ Giudei, da’ pubblicani, da’ soldati. Che cosa rispose egli alla premurosa domanda che gli fecero le turbe? Chi ha due vesti, una ne dia a chi n’è senza, e lo stesso faccia chi ha da mangiare: Qui habet. Duas tunicas, det non habenti, et qui habet escas, similiter faciat. Ora si provi un ministro del Signore di ordinare a certiricchi o avari od inumani; che facciano limosina, che vestanoil nudo con qualcuna delle vesti onde vanno piene le loroguardarobe, che ristorino il famelico con qualche vivandaond’è copiosamente imbandita la loro mensa; certo che costuinon sarà più il loro confessore.Che cosa rispose il santo Precursore ai pubblicani? Non esigetedi più di quello che vi è stato stabilito: Nihil amplius quam quod constitutum est vobis, faciatis. Ebbene ordini ilconfessore a certi genitori, padroni o superiori di usare carità.discrezione nel comandare ai loro figliuoli, servitori osubalterni, e di non imporre loro più di quanto possanoportare le loro spalle. Forse non replicano parola, ma giuntia casa, proseguono a comandare a bacchetta come prima, ed a misurare gli ordini loro non dalle forze altrui, ma dalleindiscrete loto voglie.Che cosa rispose finalmente il santo Precursore ai soldati? Non togliete cosa per forza né con frode ad alcuno, e contentatevidella vostra paga: Neminem concutiatis, neque, calumniam faciatis; sed contenti estote stipendiis vestris. Oracomandi il confessore al negoziante ed al padron di bottega dinon commettere usure ed estorsioni, e di moderare i suoi guadagnie i suoi desiderj tra i limiti della giustizia e dell’onestà.Forse il promette, ma, tornato appena al negozio od alla bottega,seguita ad abusare della semplicità e della buona fededegli avventori, e a cavar loro la pelle come prima. E voiben vedete che codeste non sono penitenze o arbitrarie otroppo severe che loro impongono i confessori, ma indispensabiliobbligazioni che già sono tenuti di adempiere. Ah mieicari, non potrebbe dirsi perciò a ragione, che l’indocilità. de’penitenti sia una delle cause principali degli ostinati mali ondeil Signore ci castiga a’ nostri giorni, e ci manifesta ognora lasua collera?Siate adunque docili di mente e di cuore nell’attendere umilmenteil giudizio, e nel compiere esattamente il comando de’vostri direttori e dove aspre e dure vi sembrino le penitenzeche vi ingiungono, misurate solo, se il potete, l’onta che voifaceste al Signore, e poi ditemi, se v’ha penitenza che possiatericusare. Chi vi ha insegnato a fuggire altrimenti la colleradi Dio? Aspre penitenze appunto vi vogliono ad allontanarla,così, interpretando le parole del santo Precursore, diceva sanBernardo, co’ sentimenti. del reale Profeta, a’ suoi tempi noncertamente peggiori de’ nostri: Apprehendite disciplinam, ne quando irascatur Dominus; immaginatevi poi se vi voglia dimeno per placarla. Sia dunque il vostro direttore che vi percuota,sia Dio stesso, sopportate la verga che corregge, perché  non abbiate a sentire il martello che stritola: Sustinete Virgam corripientem, ne sentiatis malleum conterentem.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.