LA GRAZIA E LA GLORIA (52)

LA GRAZIA E LA GLORIA (52)

Del R. P. J-B TERRIEN S.J.

II.

Nihil obstat, M-G. LABROSSE, S. J. Biturici, 17 feb. 1901

Imprimatur: Parisiis, die 20 feb. 1901 Ed. Thomas, v. g.

LIBRO X

LA PERFEZIONE FINALE DEI FIGLI DI DIO CONSIDERATA DAL LATO DEL CORPO

CAPITOLO II

La condizione dei corpi resuscitati dal punto di vista dell’essere. – Cosa sarà in comune per tutti: identità, integrità, incorruttibilità.

1 « Ecco – dice San Paolo ai fedeli di Corinto – vi dichiaro un mistero: tutti saremo elevati alla verità, ma non tutti saremo trasformati. » (I Cor, XV, 51. Il testo greco recita: « Non tutti dormiremo, ma tutti saremo trasformati  ». S. Paolo, seguendo questa lezione, parla a nome dei soli eletti, come se dicesse: Noi discepoli di Cristo non moriremo tutti. Quando Cristo apparirà nella sua gloria, ci saranno alcuni che Egli troverà vivi e che passeranno senza morire da questa mortalità alla gloriosa immortalità. Questa è l’opinione comune dei Padri greci, e diversi Padri dell’Occidente l’hanno adottata come propria. Inoltre, non è in contrasto con la sentenza di morte pronunciata su tutti i figli di Adamo. « Anche se i giusti che sopravvivono (alle catastrofi degli ultimi tempi) non morissero prima dell’arrivo del Signore, sarebbe comunque vero che la legge della morte pesa su di loro e che ne subirebbero la pena, se Dio non la rimettesse loro come può fare grazia anche di quella dei peccati attuali. » S. Thom, 12, q. 81, a. 3, ad. 3). – Non ignoro che il testo greco presenta un altro significato; ma nulla ci vieta di accettare quello della Vulgata: perché, oltre a non essere contrario all’altro, esprime una verità dogmatica, chiaramente enunciata dallo stesso Apostolo nel versetto immediatamente successivo, quando aggiunge: « Suonerà la tromba ed i morti risorgeranno incorruttibili e noi, eletti di Cristo, saremo trasformati » (1 Cor., XV. 52). Il pensiero contenuto nei due testi è evidente: c’è nella resurrezione finale un duplice fatto: uno, comune a tutti gli uomini; l’altro, proprio solo dei figli di Dio; un fatto di restaurazione corporea, omnes resurgemmus, mortui resurgent incorrupti; un fatto di glorificazione soprannaturale, non omnes immutabimur, et nos immutabimur. È questa doppia condizione dei risorti che resta da spiegare secondo l’insegnamento della Scrittura, dei Dottori e dei Padri. – Ora, per iniziare con la restaurazione comune, si deve ritenere una verità certa che tutti i corpi degli uomini risorgeranno nella loro identità, con l’integrità delle loro membra, e non torneranno mai più alla corruzione della tomba. – Si eleveranno nella loro identità, cioè saranno gli stessi in modo specifico e numerico. Ho detto: specificamente. Sarebbe una follia sognare corpi che diventino letteralmente spirituali dopo la risurrezione, da materiali che erano nel tempo della prova; e Sant’Agostino (S. August., De Civit., L. XIII, c. 20) giustamente deride coloro che pensavano di poter interpretare in questo senso il testo dell’Apostolo: « È stato seminato come un corpo animale, risorgerà come un corpo spirituale » (1 Cor., XV, 44). Non sarebbe meno contrario alla fede affermare, secondo lo stesso testo, che i corpi risorti, pur rimanendo materiali nella loro sostanza, saranno di una fluidità simile a quella dell’aria, fantasmi senza densità né consistenza. San Gregorio Magno (Moralia, L. XIV, C. 29), che riporta questa strana opinione, la confuta nelle sue opere. Nostro Signore, il giorno stesso della sua gloriosa Risurrezione, l’aveva condannata in anticipo, quando, per rassicurare i suoi discepoli, spaventati dalla sua improvvisa apparizione, disse loro con adorabile condiscendenza: « Perché vi turbate? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio Io; toccatemi e vedete, perché uno spirito non ha né carne né ossa come vedete che Io ho » (Lc. XXIV, 7). Inoltre, l’idea stessa della risurrezione è sufficiente ad escludere un simile errore. Risorgere, infatti, significa riprendere il proprio corpo, quello stesso corpo che la morte aveva separato dall’anima, e non un’altra sostanza materiale, con qualsiasi nome la si voglia chiamare. – Ora questo stesso fatto, indipendentemente da tutte le altre prove, dimostra con evidenza che il corpo dei risorti non solo sarà identico dal punto di vista specifico, ma anche individuale. Supponiamo per un attimo che si tratti di un corpo umano, ma diverso da quello che la morte ha ridotto in polvere: così non c’è più una surrezione della carne, ma una sostituzione. Qual corpo, Gesù Cristo, modello della nostra futura resurrezione, fa toccare a San Tommaso? Quello stesso le cui mani e i cui piedi erano stati trafitti dai chiodi, il cui fianco era stato squarciato da una lancia (Gv XX, 25-27). Vedrò il mio Redentore e il mio Dio nella mia carne – grida Giobbe – vedrò me stesso e non un altro (Giobbe XIX, 25-27). Anche la Chiesa, interprete infallibile del pensiero divino, ha definito, in uno dei suoi Concili, che « tutti, eletti e reprobi, risorgeranno con i corpi che ora possiedono » (Conc. Later. IV, Firmiter.) e richiedeva, in un altro, la solenne professione di « fede nella resurrezione di questa carne che ora abbiamo. Credimus etiam veram resurrectionem hujus carnis quam nunc gestamus (Confessione fid., Mic. Paleologi, ipsi a Clem. VI proposita, et ab ipso in Conc. Lugd. II Gregor. X oblata). – Sì, ci troveremo, per quanto riguarda la sostanza e la disposizione organica delle nostre membra, come siamo e cosa siamo. Lo stesso cuore che l’amore di Dio ha fatto battere nel tempo dell’esilio condividerà in cielo le ardenti emozioni dell’amor gaudente; gli stessi occhi, che erano chiusi per non vedere le vanità della terra, contempleranno un giorno gli splendori del paradiso; le stesse labbra che hanno così spesso baciato i piedi del Crocifisso, si poseranno sui piedi del Salvatore vivente e glorificato; questa bocca che si è aperta alla preghiera, canterà in una lingua divina l’eterno Alleluia. Questa è la nostra speranza e la nostra fede: nessun figlio della Chiesa oserebbe contraddirla. – La piena identità dei corpi risorti con i corpi mortali non è una questione controversa; ciò che è controverso è il modo in cui questa stessa identità debba essere intesa, perché mentre la Chiesa ha definito la risurrezione dell’uomo con il proprio corpo e la carne che ora possiede, da nessuna parte ha determinato più esplicitamente ciò che costituisce l’identità individuale dei corpi. – Tra gli scrittori cattolici del nostro tempo, e parlo soprattutto degli apologeti e dei polemisti, ci sono molti che credono che potremmo risorgere con il nostro stesso corpo, anche se non conserveremmo più una sola molecola che abbiamo posseduta durante la nostra esistenza terrena, a condizione, però, che il corpo del risorto riproduca la stessa forma, le stesse caratteristiche e, per il bene della risurrezione, le stesse caratteristiche e, per dirla in una parola, gli stessi caratteri individuali della nostra mortalità. – Per convincerci di questo, ci invitano a considerare il corpo umano così come l’esperienza ce lo mostra durante questa vita di prova. Da un lato, è certo che le molecole che costituiscono i nostri organi sono in perenne mutamento: tanto che, dopo poco tempo, il rinnovamento è completo. Quelle che possiedo oggi, appartenevano ieri ad altri composti, e torneranno domani nel fondo comune, dove altri esseri verranno ad assimilarle a loro volta. L’organismo umano è come un fiume che scorre sulla stessa sabbia e nello stesso letto, irrigando la stessa campagna, ma i cui flussi si spingono e si succedono continuamente; o meglio, come un fiume che scorre nella stessa direzione o, meglio ancora, come un popolo che, conservando le sue leggi, le sue istituzioni e le sue frontiere, vede, circa ogni trent’anni, nuove generazioni prendere il posto di quelle passate: così è il corpo dell’uomo. D’altra parte, non è meno evidente che, in mezzo a questo incessante flusso e riflusso, il corpo umano non perda affatto la propria individualità. Il corpo dell’anziano è lo stesso di quello che aveva nella culla, che portava nel grembo di sua madre. Un occhio esperto, avendolo visto in questi due periodi della sua esistenza, non potrebbe sbagliarsi. – Cos’è, dunque, che mantiene l’identità di questo organismo, attraverso queste alternative e perpetui scambi di materiali con la natura che lo circonda e lo avvolge? È l’anima che si appropria di tutti questi elementi materiali, che li penetra, li informa e li vivifica; l’anima che è sempre la stessa e che con la sua unione sostanziale li fa partecipare alla sua identità. Se si rompe questa unione, l’idea di permanenza del corpo non ha basi solide. Supponiamo, ad esempio, che uno spirito angelico, come il compagno celeste di Tobia, unisca a turno due corpi assolutamente simili per mostrarsi visibilmente agli uomini; se non ci fosse un intervallo apprezzabile tra l’una e l’altra unione, si potrebbe avere l’illusione di un unico corpo, ma, in fondo, sono due corpi e l’uno non sarà mai l’altro. Il motivo è che lo spirito puro, non entrando nella costituzione dei corpi, è di conseguenza impotente a dare loro l’unità che non trovano nei materiali che li compongono. – Che cosa ci vorrà, dunque, perché l’uomo, nell’ultimo giorno, ritrovi il suo corpo, il suo proprio corpo? Dovrà riprendere le molecole materiali che ne facevano parte durante la sua vita terrena? Niente affatto, quand’anche tutti i materiali fossero diversi, se è la stessa anima che anima il corpo rinnovato; se gli stessi principii, rimanendo in quest’anima allo stato di radice feconda, le restituiscono la pienezza delle sue facoltà di sentire; se la stessa virtù riproduce in esso la stessa forma e gli stessi tratti; è il mio corpo, e ho il diritto di riconoscerlo come mio; perché non è più diverso da quello che ho deposto nella tomba, di quanto l’organismo in decomposizione non differisca da quello dal neonato. Così ragionano questi autori, e la Chiesa, custode della fede, non ha condannato le loro dottrine. – Tuttavia, lo dirò, per quanto questa opinione possa sembrare plausibile a prima vista, non posso darle il mio assenso. A fermarmi non è tanto il peso di considerazioni metafisiche, quanto il rispetto per il pensiero dei nostri antichi Dottori e Padri. Da sempre gli increduli, nel loro desiderio di rovesciare il dogma della Risurrezione, hanno avanzato presunte impossibilità. Come farà Dio a trovare la polvere che era il corpo di un uomo sepolto da migliaia di anni, per farne un organismo identico a quello che ha perso? Qual è la storia di questi atomi umani che, depositati nella terra, passano dall’uomo all’erba dei campi, per essere mangiati dagli animali, e da questi animali ad altri uomini che se ne nutrono; poi, tornando di nuovo a degradarsi, vengono divorati questa volta dai vermi, con i quali diventano preda degli uccelli, per ritornare nella sostanza di questi ultimi all’organismo dell’uomo; e tutto questo senza fine o tregua in cambiamenti e metamorfosi? Che cosa sarebbe allora se ipotizzassimo un uomo abbastanza crudele da nutrirsi solo della carne dell’uomo, così che ogni molecola che entra nel suo corpo appartenga ad un altro uomo? Ancora una volta, si chiede il non credente, chi può dipanare elementi così confusi, e come possiamo restituire a ciascuno ciò che forse era patrimonio di tanti altri? – Non conosco nessun apologeta dei primi secoli, né nessuno dei grandi maestri della teologia, che abbia risolto queste ridicole obiezioni come gli autori di cui ho appena esposto le opinioni. Tutti, all’unisono, suppongono che gli uomini nella Risurrezione riprenderanno gli elementi materiali di cui erano composti i loro corpi (tra gli scolastici, trovo solo Durand che fa eccezione. Ecco perché Suarez, dopo aver ricordato questa particolare opinione, aggiunge: « Communis vero sententia est, de necessitate resurrectionis esse ut corpus resurgentis constet ex eadem numero-materia ex qua prius constitit, Ita D. Thomas… et cæteri scolastici hanc sententiam amplectuntur ». Suar, in II Pa, D. 44, 1. 2, n. 2 e 3). Ma sanno che nulla perisce per Dio: che nulla sfugge al suo sguardo, così come nulla si sottrae al suo sguardo, nulla fuoriesce dalla sua mano onnipotente. Per questo essi non temono che Egli non possa un giorno distinguere ciò che appartenga a ciascuno di noi in mezzo alle ceneri, sparse da mille fortune diverse ai quattro angoli del mondo. Inoltre, le ipotesi formulate dai loro avversari non hanno nulla che li metta in imbarazzo. Infatti, non siamo affatto obbligati a credere che la materia di cui i nostri corpi saranno riformati sia la stessa che avevano nel momento preciso della loro decomposizione; ancor meno, che sia una materia che il turbinio della vita non abbia mai fatto passare in un altro organismo. – Inoltre, sarebbe palesemente assurdo supporre che l’integrità dei corpi rianimati richieda che essi riprendano in sé tutte le molecole successivamente scartate dal momento della nascita a quello della morte. Diciamo di più: l’identità del corpo è nella sua sostanza, e non nelle dimensioni maggiori o minori che può ricevere. Ora, la sostanza corporea può rimanere la stessa, non solo sotto l’andirivieni di molecole, ma con un’incredibile differenza di volume e di massa. Prima di essere il gigante di cui parla la Scrittura, Golia era un bambino molto piccolo; e la stessa quercia che tiene orgogliosamente la testa tra le nuvole era all’inizio solo un umile alberello. Negherete a Dio il potere di recuperare abbastanza elementi primitivi per ricostituire la sostanza umana; e dal centro che le era proprio, l’anima non sarà forse in grado, sotto l’azione dell’Onnipotenza, di rifarsi in un attimo un organismo a misura dell’uomo rinnovato? Le difficoltà non sono quindi di natura tale da costringerci a guardare solo all’anima per l’identità che è oggetto della nostra fede. – A questa testimonianza degli antichi maestri, aggiungiamo quella fornita dalla Risurrezione del Salvatore, esempio e pegno della nostra. Gesù Cristo non ha forse tolto dal sepolcro il corpo che i fedeli discepoli vi avevano preziosamente deposto? Sarebbe inutile rispondere che si trattava di un privilegio proprio di questa carne, perché essa rimaneva, anche separata dall’anima, personalmente unita al Verbo della vita: vi mostrerei infatti il corpo glorioso della sua divina Madre, e vi chiederei se c’è qualcuno nella Chiesa che non riconosca in esso questa stessa carne che non si trovava più nel sepolcro della Vergine immacolata. Perché Dio, che non ha voluto che i resti mortali di sua Madre cadessero in preda alla corruzione nemmeno per un momento, dovrebbe consegnare eternamente quelli dei suoi figli alla decomposizione sempre crescente del cadavere?  – Inoltre, ci sarebbe una grande differenza tra l’identità che persiste nel Corpo vivente, attraverso tutte le mutazioni che non cessa di subire, e quella che avrebbe il Corpo risorto, se la materia dell’uno e dell’altro fosse totalmente diversa. Nel fenomeno del rinnovamento quotidiano, le molecole del Corpo vengono sostituite solo lentamente e in successione: è come un edificio da cui si staccano una ad una alcune pietre che vengono presto sostituite da altre. Ma un organismo ricostruito nella sua interezza, senza che nessuno degli atomi che lo compongono ritorni ai propri tessuti, sarebbe come una casa crollata ricostruita interamente sulla stessa pianta, ma con materiali totalmente diversi. Per me, più medito su questa questione, più mi aggrappo al sentimento dell’antichità cristiana; tanto più che è anche la persuasione comune del popolo fedele. Sì, nei disegni di Dio, l’identità dei corpi risorti non prescinde dal recupero più o meno completo dei principi materiali che li componevano nella loro precedente esistenza, anche se la permanenza dello stesso principio formale è il fattore primario.

2. – Con l’identità affermiamo l’integrità. Ciò che crediamo dei corpi glorificati, non può lasciare dubbi sugli eletti di Dio: non mancherà loro nulla di ciò che rende la perfezione naturale dell’organismo umano. I Santi, le cui membra sono state mutilate dagli incidenti della vita o dalle mani degli uomini o dalla furia dei carnefici, rinasceranno come la natura, o meglio l’Autore della natura, ha concepito l’uomo e lo ha modellato fin dall’inizio. Ciò che Dio fa da sé, non lo fa a metà: come potrebbe allora decidere di lasciare incompleti i corpi che fa rinascere dalla loro polvere, per formarne l’ornamento più bello della Gerusalemme celeste? – Ciò che abbiamo appena detto sul corpo degli eletti, San Tommaso lo afferma su quello dei reprobi. Anch’esso recupererà tutto ciò che fa parte della sua integrità naturale, non per premio ma come castigo (S. Thom., c. Gent., L. IV, c. 89.). È così che il Santo Dottore intende le parole dell’Apostolo: « I morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati » (1 Cor., XV, 52). Così questa corruzione parziale, che risulterebbe dalla privazione di una parte dell’organismo, non coglierà nessuno tra i morti, nemmeno tra coloro che non avranno parte alla risurrezione gloriosa. Questo è anche il pensiero di Sant’Agostino che commenta lo stesso testo. « Cosa significa questa distinzione dell’Apostolo – egli dice – se non che tutti risorgeranno incorruttibili (incorrupus, incorrupti), ma che solo i giusti avranno un’incorruttibilità che nessun tipo di corruzione potrà mai più raggiungere? E perciò, chi non è trasformato, risorgerà nell’integrità delle sue membra, ma per soffrire in esse i morsi del dolore » (S. August., ep. 205, al 446, n. 15.). – A cosa serve, dicevano gli oppositori del dogma, trasportare nella vita futura arti che non esercitano più le loro funzioni, denti che non hanno più nulla da masticare, uno stomaco che non digerisce più, dei piedi che non dovranno più lottare contro la gravità? Questa obiezione, confutata nel II secolo da San Giustino (S. Giustino, Fragmenta ex l. de Resurrect., n. 3. P. Gr., t. VI, col. 1576), altri miscredenti l’hanno ripresa ai nostri giorni, o per attaccare la nostra fede cattolica, o per sostenere singolari fantasticherie (J. Reynaud, nella sua opera “Terre et Ciel”, ha trasportato nella vita futura da lui immaginata, la maggior parte delle funzioni della vita presente, e persino quelle che tendono alla conservazione della specie, perché non comprende un organo che non avrebbe più il suo funzionamento naturale). Sì, lo ammettiamo subito, molte delle funzioni proprie dei nostri organi non saranno più adatte alla vita perfetta che è la nostra speranza. Perché degli alimenti, quando il corpo dell’uomo incorruttibile e immortale non sentirà più né la fame né la sete (Apoc. III, 16), né la perdita di sostanza e di forza che li esigono? Perché questi rapporti, destinati per loro natura a riempire i vuoti fatti dalla morte, quando il numero dei figli di Dio sarà completo, e nulla potrà far scomparire il più piccolo di loro dalla terra dei viventi (S. Matth. XXII, 30)? Ma se le funzioni più o meno grossolane a cui le esigenze della vita mortale li avevano sottoposti sulla terra, devono cessare per i nostri organi, non è questo un motivo per sopprimerle nella vita perfetta. – Io lo comprenderei per alcuni, se ci fosse del vero nel principio di certi filosofi, che non sanno distinguere l’idea del bello dalla nozione dell’utile. Ma chi non vede quanto sia bassa e falsa una dottrina che misura la bellezza dall’utilità? Perché, dunque, le membra dei beati sussisteranno nella loro perfetta integrità, anche quando non saranno più necessarie per le operazioni a cui la natura le aveva principalmente destinate? Rimarranno per condividere la felicità di cui sono stati strumenti e per essere una testimonianza permanente dei meriti acquisiti nell’uso della loro attività. Rimarranno, perché la loro presenza è necessaria per la perfezione del corpo che Dio vuole glorificare (« Cætera ergo membra (quæ deserviunt vel nostræ conservandæ individuæ vel speciei propagandæ), erunt ad speciem, non ad usum; ad commendationem Pulchritudinis, non ad indigentiam necessitates. Numquid quia vacabunt, ideo indecora erunt? Erunt ibi membra integra, etiam quæ hic pudenda sunt, sed ibi pudenda non erunt. Non ibi erit sollicitum integritatis decus, ubi non erit libidinis dedecus ». S. Agost.., serm. 283 in dieb. pasch. 14, n. 4, 6 – Il Santo sottolinea nello stesso testo che, anche nel nostro attuale stato di mortalità, non tutto nell’uomo è per l’utilità. « Barbæ quis usus nisi sola pulchritudo? Speciem video, usum non quæro ». – Cfr. Tertull, de Resurr. carn, c. 60, 61. ): infatti, la costituzione dell’organismo umano è tale che tutte le parti si tengono insieme e che nessuna, di conseguenza, può essere tagliata senza danneggiare l’armonia dell’insieme  (« Deus autem ita est artifex magnus in magnis, ut minor non sit in parvis“): Quæ parva non sua granditate, nam nulla est, sed artificis sapientia metienda sunt: sicut in specie visibilis hominis, si unum radatur supercilium, quam propemodum nihil corpori, et quam multum detrahitur pulchritudini: Quoniam non mole constat, sed parilitate ac dimensione membrorum ». S. Augus, de Civit. Dei, L. XI, c. 22). Rimarranno, perché l’anima stessa non dispiegherebbe tutta la sua perfezione, priva come sarebbe di questi organi. – Un testo di Aristotele, spiegato da San Tommaso, ce lo farà capire meglio. Questo grande filosofo disse dell’anima « che essa è per il Corpo, non solo una causa formale e finale, ma anche una causa efficiente » (Arist., de Anima. I, II, testi 36 e 37). Le bellezze che l’opera rivela all’esterno, l’arte le conteneva già implicitamente in sé, ed è per questo che era in grado di produrle. Così è per l’anima: tutto ciò che vediamo nel corpo e nelle sue varie parti, l’anima lo contiene allo stato latente, come fonte da cui emana. – Come l’opera d’arte sarebbe imperfetta, e l’arte stessa potrebbe essere accusata di impotenza, se l’opera mancasse di una parte della bellezza contenuta nell’arte, così l’uomo non sarebbe perfetto né nell’anima né nel corpo, se lo sviluppo di quest’ultimo non rispondesse pienamente alla potenza formativa contenuta nella prima (S. Thom., Supplem., q. 80, a. 1). Non volete organi senza funzioni, e condannate l’anima, la parte più nobile di noi stessi, a non creare per sé, con l’aiuto di Dio, un organismo che si armonizzi con la sua natura e la sua stessa virtù. Ma, inoltre, quale uomo ha sufficiente dimestichezza con i misteri dell’altra vita per affermare che le membra spiritualizzate potrebbero avere, in assenza delle funzioni grossolane che svolgono quaggiù, una destinazione più consona alla loro nuova condizione?

3. – All’identità e all’integrità dei corpi risorti va aggiunta l’incorruttibilità. Sì, tutti questi corpi estratti dal sepolcro saranno incorruttibili, nel senso che questa parola designa l’immortalità. « E non ci sarà più la morte » (Apoc. XXI, 4) e i morti risorgeranno incorruttibili (I Cor. XV, 52). La sentenza è generale e si estende universalmente a tutti, ai riprovati come agli eletti. Perché questa corruzione che dividerebbe l’anima dal corpo, quando non v’è più lo stato di cambiamento e di cammino, ma quello di immobilità nel termine? Il corpo è unito all’anima perché l’uomo possa subire la punizione dei suoi crimini o ricevere la ricompensa dei suoi meriti; eppure, come insegna la fede e approva la ragione naturale, né la punizione né la ricompensa avranno fine. È ai risorti e non alle sole anime che si dirà: « Venite, benedetti del Padre mio… e…: Via da me, maledetti, andate nel fuoco eterno » (Mt. XXV, 34, 41). – Io so che l’inferno non è la dimora dei vivi, come il Paradiso, ma dei morti. « E il mare rese i morti che aveva; e furono giudicati secondo le loro opere. E l’inferno e la morte furono gettati nel lago di fuoco. Questa è la seconda morte » (Ap. XX, 13, 14). Come sono morti coloro la cui anima è stata unita alla carne; e come possono vivere se sono morti? Non risolverebbe del tutto la difficoltà dire che sono morti, e per sempre, perché hanno perso la vita naturale, eternamente separati come sono da Dio, la vita delle anime. Né basterebbe rispondere che una vita di torture e di sofferenze, senza riposo né godimento, non è tanto una vita quanto una morte (S. Augus., de Civit., L. XIII, c. 2) – C’è, mi sembra, nelle parole dell’Apostolo un significato ancora più profondo. La morte per noi uomini mortali, cioè questa lacerazione suprema in cui si spezzano i legami, in cui avviene la separazione, è solo di un istante. Per gli sfortunati dannati, il morire è eterno. Tale è la forza del tormento che basterebbe a distruggere milioni di vite; ma tale è la potente virtù di Dio che tiene queste anime maledette legate ai loro corpi, che la divisione non può essere completata. È un’agonia senza nome che non è né il tranquillo possesso della vita né la consumazione della morte. Non vivono e non sono morti; stanno morendo, moriranno sempre; ed è per questo che la seconda morte, lungi dall’essere incompatibile con l’unione del corpo e dell’anima, la richiede come sua condizione essenziale.

4. – I teologi, dopo aver affrontato le questioni principali dell’identità, dell’integrità e dell’immortalità, ne sollevano incidentalmente una quarta a cui è meno facile rispondere. Quanti anni avranno i risorti o, per meglio dire, a qual età della vita corrisponderà il loro sviluppo organico? Se dovessimo prendere troppo alla lettera alcune espressioni delle Scritture e dei nostri Libri liturgici, sembrerebbe che essi avranno proprio l’età in cui dovranno lasciare la terra. L’Apocalisse parla di anziani seduti su troni, con corone d’oro sul capo, che circondano il trono su cui siede l’Altissimo (Ap. IV, 4 Segg.); e la Chiesa, in uno dei suoi inni più graziosi, rappresenta i bambini, massacrati da Erode, che giocano sotto l’altare con le palme e le corone. Ma si tratta di immagini che non possono fornire argomenti solidi. Lo stesso testo dell’Apocalisse non mostra forse, accanto agli anziani, quattro misteriosi animali che, notte e giorno, non cessano di glorificare il Dio tre volte Santo? Alcune anime, favorite da visite celestiali, hanno avuto la felicità di vedere Gesù apparire loro nella figura incantevole di un bambino; non concludiamo pertanto che questo sia lo stato di Nostro Signore in cielo. – Due illustri dottori, San Tommaso e Sant’Agostino, sono entrambi dell’opinione che gli eletti, dovendo risorgere nella perfezione della loro natura, rinasceranno tutti all’età in cui l’uomo raggiunge la pienezza del suo sviluppo fisico; cioè all’età in cui Gesù Cristo, il loro esemplare, uscì glorioso e vittorioso dalla tomba. Inoltre, questa regola non deve essere intesa con precisione matematica. Sembra opportuno che nell’aspetto esteriore dei risorti ci sia qualcosa che ricordi la loro vita quaggiù. Ci piace pensare che un Santo Stanislao, per esempio, conservi le grazie della sua giovinezza, e l’anziano Simeone la nobile maestà che lo caratterizzava quando accolse tra le sue braccia il Salvatore del mondo. Questo è tutto ciò che si può dire su un argomento in cui lo Spirito Santo non ha voluto definire nulla. – Anche Sant’Agostino conclude ciò che scrive al riguardo con questa importante osservazione: « Tutti risorgeranno con lo sviluppo corporeo che hanno avuto, o che avrebbero acquisito, nel pieno della loro giovinezza; tuttavia nulla impedisce di ritrovare le forme esteriori dell’infanzia e della vecchiaia, dove non ci sarà né l’ombra di infermità né la minima traccia di caducità. Pertanto, se qualcuno pensasse che ciascuno degli eletti riapparirà nello stato corporeo in cui lo ha sorpreso la morte, non ci sarebbe bisogno di preoccuparsi di contraddirlo » (S. August, de Civit., L. XXII, c. 16; S. Thom, Suppl., q. 81,a, 1). – Ho già sottolineato che la differenza tra i sessi non sarà soppressa, come alcune menti poco equilibrate hanno pensato di poter concludere da un testo di San Paolo, erroneamente interpretato (Ef., XIII, 4.). La donna, come l’uomo, è la creatura di Dio; ella entra, come lui, nel piano primitivo della creazione; come lui, sarà l’ornamento di quella Gerusalemme celeste, di quel regno in cui l’uomo regnerà in Gesù e la donna in Maria, sua e nostra Madre (S. Agostino, De Civit., L. XXII, c. 20; S. Thom, Suppl., q. 81, a.3). – Poniamo un’ulteriore duplice domanda che i più grandi Dottori non hanno considerato come oziosa. Quale sarà l’altezza e la fisionomia degli eletti, reintegrati nella perfezione della loro natura? La risposta alla prima domanda è la seguente: non tutti saranno di uguale statura. Infatti, ciò che la risurrezione deve riparare in ognuno di loro non è solo la natura specifica, ma l’individuo. Ora, sebbene la specie umana abbia dei limiti che sarebbe imperfetto superare o non raggiungere, non richiede di per sé alcuna dimensione specifica. Tali non sono le nature individuali. Ognuno, tra i termini estremi che sono appropriati alla natura specifica, ha un suo sviluppo normale. E poiché i principii individuali differiscono nelle diverse persone, non dobbiamo aspettarci di vedere negli eletti quell’uniformità di dimensioni che sarebbe non meno contraria alle leggi della loro costituzione che a quelle dell’estetica. Ciò che possiamo affermare è che tutti raggiungeranno quella giusta misura al di sopra o al di sotto della quale la bellezza delle forme cederebbe alla minima deformità (S. Thom., Suppl., q. 8l, a d: S August, l. c.). – La risposta è simile per l’altra parte della domanda. Né la differenza di fisionomia sarà distrutta, né le imperfezioni che li contraddistinguono li seguiranno oltre la tomba. Ogni volto dell’eletto, manterrà, anche dopo la sua trasfigurazione, il suo carattere distintivo; ma, pur conservando i suoi tratti fondamentali, raggiungerà l’ideale della sua perfezione. E questa non è una meraviglia così difficile da concepire. L’arte umana, per soddisfare un vano compiacimento, sa realizzare qualcosa di simile. Chi può ostacolare l’opera dell’Operatore onnipotente che riformerà i suoi figli a somiglianza di Gesù Cristo il Primogenito? -Colui che trasforma le anime e conferisce una bellezza divina ai più deformi, sarebbe impotente a idealizzare un corpo senza privarlo del suo carattere distintivo? Per aiutare la nostra fede, ha voluto darci un’anticipazione di questa gloriosa metamorfosi nella vita e nella morte dei suoi Santi. Quante volte ha diffuso sui loro volti, emaciati dal digiuno o sfigurati dalla malattia, uno splendore di bellezza che ha deliziato i felici testimoni di questi miracoli! Eppure, nessuno si sbagliava: erano davvero gli stessi uomini, la stessa espressione facciale, la stessa fisionomia, ma idealizzata, trasfigurata. – Sarebbe temerario aggiungere di sfuggita che anche gli eletti del cielo, con la loro fisionomia, conservano la loro caratteristica naturalezza? Questo, almeno, è ciò che credo sia espresso in un testo di Sant’Agostino. Quando arriva all’esposizione dell’ultimo salmo, il Santo ama riconoscere i beati abitanti del Paradiso nella moltitudine di strumenti che il sacro Cantore chiama a far risuonare la lode di Dio. « Così – egli dice – i Santi avranno ancora le loro differenze in cielo; ma proprio in questa varietà ci sarà consonanza e non dissonanza; ci sarà unità e non divisione. Non vediamo forse il concerto più gradevole derivare da suoni diversi ma non discordanti? Habebunt etiam tunc sancti Dei differentias suas consonantes non dissonantes, id est; consentientes non dissentientes: sicut fit suavissimus concentus ex diversis quidem sed non inter se adversis sonis » (S. August. Enarr. In psalmis 150, n. 7 e 8). – Soffermiamoci su queste considerazioni più generali. – A prima vista, sembrerebbe che non abbia raggiunto l’obiettivo che mi ero prefissato, perché invece di parlare della restaurazione comune a tutti i risorti, ho insistito soprattutto su quella dei benedetti dal Padre. Ma se guardiamo bene, quello che ho appena detto vale, tutto sommato, sia per i reprobi che per i salvati: con la differenza, però, che nel caso di alcuni questa identità e questa perfetta integrità si trasformeranno in punizioni eterne, e nel caso di altri in eterne delizie (« È necessario che i corpi dei morti siano in proporzione alle loro Anime. Ora, le anime dei malvagi sono buone, considerate nella loro natura, poiché questa è la creatura di Dio; ciò che è disordinato in loro è la volontà perennemente deviata dal suo fine proprio. Perciò i loro corpi, per quanto riguarda la loro natura, saranno restituiti alla loro integrità; saranno risuscitati all’età perfetta, con la totalità delle loro membra e senza i difetti che potevano essere introdotti in precedenza o dall’errore della natura o dalle loro infermità. » S. Thom, c. Gent, L. IV, c. 89).

LA GRAZIE E LA GLORIA (53)