LA GRAZIA E LA GLORIA (42)

LA GRAZIA E LA GLORIA (42)

Del R. P. J-B TERRIEN S.J.

II.

Nihil obstat, M-G. LABROSSE, S. J. Biturici, 17 feb. 1901

Imprimatur: Parisiis, die 20 feb. 1901 Ed. Thomas, v. g.

LIBRO VIII

LA CRESCITA SPIRITUALE DEI FIGLI ADOTTIVI DI DIO. — I SACREMENTI, E SPECIALMENTE L’EUCARISTIA, SECONDO MEZZO DI CRESCITA.

CAPITOLO IV

In cui si mostra come l’Eucaristia, per la natura stessa del suo frutto, sia l’agente più efficace della nostra crescita spirituale, e in qual misura la operi.

1. – Non è senza un disegno che io abbia sviluppato così a lungo, forse troppo a lungo se ci atteniamo alle apparenze, i principali effetti della Santa Eucaristia. Era necessario esporli, per così dire, davanti agli occhi del lettore per mostrare che esso è, in modo eccellente per i figli di Dio, il Sacramento della crescita. Partiamo dal presupposto che, per ricevere questo nutrimento divino con frutto, bisogna avere regolarmente la grazia di Dio nel cuore (Un gran numero di teologi di ogni scuola, e dei più gravi, insegnano che, in alcuni casi particolari, si può, accostandosi alla sacra mensa con una colpa mortale che non sarebbe stata né accusata né perdonata, non solo non è peccare, – cosa su cui tutti sono d’accordo – ma anche si riceve la Comunione con frutto. Ma perché ciò avvenga, sono assolutamente necessarie due condizioni. In primo luogo, il colpevole non deve essere consapevole del suo peccato, perché se ne fosse consapevole dovrebbe innanzitutto presentarsi al Sacerdote per ricevere l’assoluzione. In secondo luogo, nel cuore non deve esserci nulla che si opponga al recupero della grazia, e di conseguenza nessun attaccamento al peccato commesso, poiché senza pentimento e senza un proposito è impossibile riconciliarsi con Dio. Quando queste due condizioni sono soddisfatte, l’Eucaristia produce i suoi effetti di grazia, cosicché chi l’ha ricevuta da peccatore torna ad essere quello che in buona fede avrebbe dovuto essere: un figlio e un amico di Dio. Essi sostengono questa opinione con autorità così forti e ragioni così convincenti che non ho alcuna esitazione ad essere del loro avviso). Prenderla consapevolmente e volontariamente con una di quelle colpe che ci renderebbero sacrileghi nemici di Dio, sarebbe un attacco sacrilego al corpo e al sangue di Gesù Cristo. Le ragioni di ciò, per non parlare del costante insegnamento della Chiesa, sono evidenti e numerose. Ricevere la Comunione significa mangiare. E mangiare è l’atto di un essere vivente. Vivete della vita spirituale e divina, prendete questo pane della vita, mangiatelo: è per voi, è vostro. Ma se voi siete morti, che diritto avete di avvicinarvi ad una tavola imbandita solo per i vivi, e che potere avete di ricevere e assimilare il suo cibo celeste? – Ricevere la Comunione significa agire da amico. Ascoltate coloro che la Sapienza chiama al banchetto: « Amici miei, mangiate e bevete, inebriatevi, miei diletti » (Cant. V., 1). Chi sono coloro che Gesù Cristo ha invitato per la prima volta al banchetto dell’Eucaristia? Gli Apostoli ai quali aveva appena detto: « Voi siete miei amici, ed è con questo nome che voglio chiamarvi » (Gv. XV, 14-15); gli Apostoli ai quali Egli aveva lavato i piedi, per insegnare loro la purezza di cuore che chiede ai suoi commensali. Il figliol prodigo che torna dai suoi lunghi errori non si siede al banchetto preparato per celebrare la gioia del suo ritorno, se non prima di aver ricevuto il bacio paterno ed aver scambiato la sua sordida veste con quella che indossava prima. Ricevere la Comunione significa prendere, sotto le sfumature appropriate al nostro stato di prova, il cibo divino, oggetto e fonte della beatitudine eterna. Ora alla cena beata delle nozze dell’Agnello non ci sarà posto per « cani, avvelenatori, fornicatori, assassini, idolatri, per chiunque ami e pratichi la menzogna » (Apoc. XXI, 8; XXII, 15). – Infine, ricevere la Comunione significa affermare che si appartiene a Cristo; diciamo di più, che si è, in una certa misura, Cristo stesso. « I fedeli conoscono il corpo di Cristo, se essi non dimenticano di essere del Corpo del Cristo. I fedeli conoscono il corpo di Cristo, se non trascurano di essere del corpo di Cristo. Che diventino il corpo di Cristo, se pretendono di vivere dello Spirito di Cristo: perché nulla vive dello Spirito di Cristo, se non il corpo di Cristo » (S. August., Tract. XXXVII in Joan. N. 13). Così parla Sant’Agostino. E altrove: « Chi mangia a questa tavola è tenuto ad essere ciò che viene a mangiare » (Sant’Agostino nel Salmo XLVIII, Serm. 1 n. 3). È per farci comprendere questa bella dottrina che il Salvatore, prima di dare il suo corpo ai suoi discepoli, se ne è nutrito per primo; e che, prima di distribuire il suo calice, vi intinse le sue divine labbra. Il corpo e il sangue di Gesù Cristo, che appartengono solo a Lui, abbiamo il diritto di prenderli solo a condizione di essere incorporati alla sua Persona mistica. Che cos’è il Cristiano che fa la Comunione? Un dio che si nutre di Dio (anche Giovanni Crisostomo parla della Comunione del Salvatore). La ragione che egli adduce, sebbene diversa, non ne è però contraria. « Egli non voleva che gli Apostoli lo sentissero dire: questo è il mio corpo, questo è il mio sangue; mangiate e bevete, e che fossero perciò turbati e pensassero: E che, mangeremo della carne e berremo del sangue? Perciò Egli stesso fu il primo a compiere ciò che li esortava a fare. Affinché potessero partecipare ai misteri con animo tranquillo, Egli stesso bevve il proprio sangue » – Homil. 82, al. 83 in Matth, n. 1. P. Gr., t. 5, p. 58, 79).

2. – Qual conclusione dobbiamo trarre da questo? Lo stesso che stiamo perseguendo dall’inizio della nostra meditazione sulla Santa Eucaristia. Poiché l’Eucaristia presuppone tutto ciò che fa lo stato di grazia e che tuttavia essa produce, ed è per questo che viene istituita non per introdurla nell’anima, ma per darle sviluppo e crescita. Quelle cose grandi e sublimi che si trovano nel profondo di ogni anima fedele, la grazia santificante, la carità con il suo corteo di virtù, l’unione più intima con Dio, l’immagine del Figlio eterno del Padre, la vita soprannaturale, in una parola: tutto questo, dico, attende dall’Eucarestia il suo complemento e la sua pienezza. Spetta all’Eucaristia farci passare con un continuo progresso dalle debolezze e dalle imperfezioni dell’infanzia spirituale alla maturità dei figli di adozione. Questa è la sua funzione propria, il suo privilegio e, per così dire, il suo destino, in quell’insieme incomparabile di mezzi di santificazione che sono chiamati i Sacramenti della Nuova Alleanza. – La teologia non si accontenta di affermarlo, fondandosi sulla Sacra Scrittura, sui Padri e sui Concili. Per rendere più evidente questa verità per contrasto, confronta il frutto del sacramento dell’altare con quello degli altri sacramenti. Questo frutto differisce dall’effetto del Battesimo: infatti il Battesimo ha come fine diretto non quello di farci crescere nella grazia, ma di darci una nascita spirituale, né quello di stringere i legami che ci incorporano a Cristo, ma di crearli. Non dico che se il catecumeno è già giustificato dalla carità perfetta, il Battesimo non operi in lui l’aumento della grazia in proporzione alla sua disposizione; affermo solo che il motivo determinante dell’istituzione del Battesimo non è stato quello di farne un sacramento di crescita ma di rigenerazione. Ecco perché nessuno può diventare figlio di Dio, per quanto perfetta sia la sua disposizione, senza aver fatto almeno il voto del Battesimo, e come il Battesimo stesso sia necessario per entrare nella partecipazione dei beni affidati alla nostra madre, la Santa Chiesa. San Tommaso riassume questa dottrina in poche parole: « La ricezione del Battesimo è necessaria per iniziare la vita spirituale; l’Eucaristia, per perfezionarla e consumarla. » – Sembrerebbe, a prima vista, che il contrasto non sia più lo stesso, quando si confronta la Confermazione e l’Eucaristia insieme. L’effetto della Confermazione non è forse come il passaggio dall’infanzia spirituale alla maturità dell’uomo fatto? È questa che, prendendo il bambino appena nato dalle acque del Battesimo, gli infonde quel vigore che si addice al soldato della fede. Quel che fa il progresso dell’età nell’ordine della natura per la formazione dell’essere umano la Confermazione lo fa nell’ordine soprannaturale per la perfezione del nostro essere di grazia. Attraverso di essa noi raggiungiamo lo sviluppo della forza e della vita che contraddistingue la maggiore età. Questo bambino di pochi anni, una volta cresimato, non è più un bambino nella sua anima e davanti a Dio: è un uomo (vir), ufficialmente arruolato nell’esercito di Cristo e consacrato a combattere le battaglie della fede. Questo, se non mi sbaglio, è il frutto proprio della Confermazione. – Ma per quanto possa sembrare simile a quella prodotta dalla Comunione, c’è comunque una grande differenza tra la crescita di cui i due sacramenti sono il principio. Infatti, dice San Tommaso d’Aquino, « la Confermazione aumenta la grazia in noi, in modo da rafforzarci contro i nemici esterni di Cristo; mentre nell’Eucaristia, l’aumento della grazia e della vita spirituale tende a rendere l’uomo perfetto in se stesso mediante un’unione sempre più stretta con Dio » (S. Thom. 3. P.; 4. 79, a. 1, ad 1.). E questa differenza si rivela anche nel modo di ricevere i due sacramenti. La Cresima viene data una sola volta, come il Battesimo, perché non si tende all’infinito verso la virilità. L’Eucaristia, invece, può essere l’alimento di tutti i giorni intimo tra l’uomo e la bontà divina, che può essere interrotta solo alla fine del cammino, cioè alla morte. Di per sé questi effetti non hanno limiti oltre i quali non possano essere perfezionati o estesi. – Passate in rassegna tutti gli altri sacramenti e non ne troverete uno che sia solo e direttamente un principio di crescita e che tenda a questo come a un fine proprio. Il sacramento della Penitenza restituisce la grazia o la aumenta, ma a scopo di riparazione: è il rimedio divinamente istituito per richiamare in vita i morti spirituali e per perdonare le colpe ai colpevoli. Essa presuppone il peccato nel Cristiano; così che chi, per un privilegio specialissimo, non ha macchiato con alcuna colpa il candore immacolato del suo Battesimo, pur potendo crescere nella grazia, non potrebbe chiedere la perfezione nella Penitenza. Non più di questa, l’Unzione dei morenti non è ordinata direttamente alla crescita dell’uomo interiore. Dio ce l’ha data come rimedio supremo contro le infermità e la debilità spirituale, gli sfortunati resti del peccato. Ma, poiché è la grazia a fortificarci contro queste debolezze, essa ce la conferisce e attraverso di essa rimette il peccato, se nulla si oppone al perdono (S. Thom. Q. 30, a.2). Da ciò risulta evidente che l’effetto dell’Estrema Unzione è ben diverso da quello dell’Eucaristia. – Finora ho parlato solo di quei sacramenti che riguardano il bene individuale dei Cristiani; ma ciò che ho detto di essi si applica ai due Sacramenti che per loro natura riguardano la vita sociale, i Sacramenti dell’Ordine e del Matrimonio. Quest’ultimo, infatti, riversa su di loro la grazia, affinché la loro alleanza sia fedele e santa, ad immagine dell’unione di Gesù Cristo con la sua Chiesa; e il primo, consacrando a Dio i suoi ministri, li santifica, affinché essi possano esercitare degnamente le funzioni sacre in mezzo al suo popolo. – Il Santo Concilio di Firenze, nel suo Decreto per gli Armeni, stabilisce con grande chiarezza questa differenza di effetto tra il Sacramento del corpo del Signore e gli altri sacramenti. « L’effetto dell’Eucaristia –  esso afferma – quello che produce nell’anima di chi la riceve degnamente è l’unione dell’uomo con Cristo. E poiché è la grazia che incorpora l’anima a Cristo e la unisce alle sue membra, questo Sacramento accresce in noi la grazia ed apporta un aumento di virtù » (Decreto pro Armenis, in Bulla Eugen. IV “Exultate Deo“). – Riassumiamo tutto questo insegnamento in un brano di un grande teologo e servo di Dio, padre Francis Suarez. « Il Sacramento dell’Eucaristia – egli ci dice – ha nei suoi effetti un carattere essenzialmente proprio. Gli altri non vanno solo e direttamente a nutrire la carità, per crescere nell’anima e unirci più strettamente a Gesù Cristo. Ma ognuna di essi ha un proprio fine speciale, per il quale conferisce un aiuto particolare con un aumento della grazia. Quanto a questo Sacramento, esso è ordinato di per sé a completare l’unione dei fedeli con Cristo e il Corpo di Cristo « (Suarez, de Euchar., D. 63, S. 1). – San Bonaventura aveva scritto con meno parole, un pensiero simile: « Questo Sacramento è quello dell’unione; di conseguenza il suo effetto primario è quello di unire, non producendo la prima unione, ma stringendo l’unione già fatta » (S. Bonav. in IV. D. 12, a. . a. 2). Pertanto, crescere in Gesù Cristo per grazia, per carità, per una sempre maggiore somiglianza di affetti, di operazioni, di vita soprannaturale, questa è la parola finale dell’Eucaristia. – E questa crescita dei figli di Dio non si ferma all’anima: come abbiamo visto, anche il corpo partecipa ai frutti del Sacramento. Ogni comunione le infonderà quindi un germe più potente di risurrezione: attraverso ognuna di esse diventerà più duttile e docile ai movimenti della grazia, e parteciperà di più, almeno in linea di principio, a quello stato beato che la attende nella gloria. E questo è ciò di cui Dio si è compiaciuto di darci segni e testimonianze nelle meraviglie che talvolta mostra ai corpi dei santi: luminosità, profumi celestiali, preservazione dalla corruzione della tomba, per non parlare delle altre ben note. E questo è di per sé una vera crescita per il corpo, poiché tutto ciò tende per sua natura ad assimilarlo al Corpo glorificato dell’uomo perfetto, Gesù Cristo Nostro Signore.

3. In che misura e secondo quali leggi l’Eucaristia produce questa crescita? Certamente, se guardiamo solo alla potenza del principio da cui emana, l’incremento spirituale proveniente dall’Eucaristia dovrebbe essere infinito, poiché la causa immediata e diretta è Gesù Cristo stesso in persona. Ma non dobbiamo dimenticare che questa causa è libera, e che l’alimento eucaristico non agisce per principio cieco ma per volontà. Come Dio, nel creare il mondo, pur essendo l’Onnipotente, ha saputo confinare le sue opere entro i limiti determinati dalla sua infinita bontà, così sa anche definire i limiti della sua volontà. Sa anche come definire la misura della grazia che deve rispondere ad ogni Comunione della sua sacra carne. Ci basti pensare che la Sua liberalità supera di gran lunga le nostre deboli concezioni. – Una cosa, però, che ci è estremamente utile sapere è che questo Agente divino produce i suoi effetti in noi in proporzione alle disposizioni che ci preparano a riceverli. Cosa facciamo quando andiamo a sederci alla sacra mensa? Portiamo il nostro cuore ad essa, come un recipiente immerso in una sorgente traboccante d’acqua. Più è grande la sua capacità, più sarà riempita con l’acqua vivificante che è il dono dell’Eucaristia. Ora, cosa determina nella nostra anima la prossima capacità di ricevere la grazia del Sacramento? La disposizione che Gesù Cristo Nostro Signore vi trova; diciamo meglio, che vi produce con la nostra cooperazione. – Conosciamo già la disposizione assolutamente indispensabile. « Innocentiam ad altare apportate; portate l’innocenza all’altare », diceva Sant’Agostino ai fedeli del suo tempo; e la Chiesa, allo stesso tempo, ripeteva per bocca dei suoi ministri: « Sancta sanctis, ai santi le cose sante ». Ma oltre a questa disposizione generale che purifica il vaso, ve ne sono altre che lo dilatano: e tra queste disposizioni la più eccellente e la più efficace è l’amore della carità. È la carità che ha fatto dire a San Paolo, scrivendo ai fedeli di Corinto: « Per voi la nostra bocca si è aperta ed il nostro cuore si è dilatato. Non siete allo stretto in noi »  (1 Cor. VI. 11). Che questa santa carità, dunque, venga ad allargarsi riscaldandola con i suoi fuochi e moltiplichi, per così dire, la capacità che il Dio dell’Eucaristia vuole riempire con la sua grazia. – Questa prerogativa della tua carità è dovuta alla natura stessa delle cose: esso è il sacramento dell’amore, perché nasce, per così dire, dall’eccesso di amore, e perché va con tutto il suo peso all’amore perfetto. Come ricevere l’Eucaristia in modo più fruttuoso se non con l’amore? Senza dubbio, l’amore è al fondo di ogni anima che si accosta ad essa con la necessaria preparazione: perché dove c’è la grazia santificante, c’è la carità, suo inseparabile accompagnamento. – Ma l’amore di cui parlo come la disposizione più eccellente non è un amore addormentato nell’anima. È un amore che si risveglia all’avvicinarsi del Diletto, che risponde ai suoi atti con degli atti: un amore vivo, che agisce e parla. « E lo Spirito e la Sposa dicono: “Venite”. E chi ascolta dica a sua volta: Venite, venite, Signore Gesù. E chi ha sete venga, e chi vuole riceva gratuitamente l’acqua della vita » (Ap., XXII, 17, 20). È un amore che si estende da Gesù ai fratelli di Gesù, che soffoca ogni avversione e dissipa ogni ira: perché Gesù viene a noi con tutto il suo Corpo; non entra nelle anime mutilate, e chi avesse solo indifferenza per le sue membra, si lusingherebbe invano di essere tutto amore per Lui. – Ma qual è questo amore che rende migliore e più fruttuosa la preparazione a ricevere l’Eucaristia? È una domanda di grande importanza, perché è proprio perché non ne conoscono, o almeno perché troppo spesso ne dimenticano la risposta esatta che tante anime confondono o si illudono nel giudicare le loro disposizioni. Ora, questa risposta io la trovo nella contemplazione di ciò che mi viene dato quando faccio la Comunione. Gesù Cristo è ora nel seno della gloria, impassibile, immortale nel suo corpo, come lo è nella sua anima. Così la carne che ricevo, è una carne glorificata che non soffre né può soffrire; come quella che è uscita trionfalmente dal sepolcro il giorno della risurrezione. Eppure, non è in questa forma e in questa gloria, anche se temperata per occhi mortali, che Gesù Cristo me la dà. « Questo è il mio corpo dato, spezzato per voi; questo è il mio sangue versato », ci dice il Salvatore nella persona dei suoi discepoli. – Le specie eucaristiche mi mostrano sia il corpo che il sangue nello stato indicato dalle parole del Maestro, cioè nello stato di vittima immolata. Non che la doppia formula consacratoria lo richieda, la vera separazione del corpo e del sangue di Gesù Cristo, avvenuta sul Calvario.  Ma ciò che non richiede o fa per l’essere fisico del Salvatore, lo richiede e lo fa per il suo essere sacramentale. In altre parole, Gesù Cristo, in virtù di queste formule divine, riveste per noi, sotto i simboli che lo manifestano, l’intero aspetto esteriore di una vittima: è infatti solo la sua carne che esse uniscono alle specie del pane, solo il suo sangue che esse pongono sotto gli accidenti visibili del vino. Se il corpo non è separato dal sangue, né il sangue dal corpo, la ragione di ciò va ricercata non nel significato delle parole sacramentali, ma nell’unione inseparabile stabilita tra loro dalla vita immortale del Salvatore. È questo che rende la Consacrazione un Sacrificio commemorativo dell’immolazione cruenta nella Passione. – Così « il Cristo, immolato una sola volta nella sua propria natura, viene immolato ogni giorno per il popolo nel Sacramento del suo corpo e del suo sangue divino » (S. August., ep. 99, n. 9. Cfr. Bossuet, Exposition de la doct. § 14; Explicat. De la messe, § 17). Questo è ciò che sentiamo nella stessa voce in tutte le Liturgie della santa Chiesa, anche quelle stesse che, separate da noi da scismi ed eresie, delle comunioni hanno conservato l’uso. Ovunque e sempre si parla del Sacrificio presente e perpetuo, dell’ostia propiziatoria, dell’agnello sgozzato, dell’immolazione che avviene sotto gli occhi dei fedeli, di Cristo che viene offerto, come se stesse ancora compiendo in se stesso l’opera di Dio.: « offertur, quasi recipiens passionem ». – Questa idea è così familiare nel Cristianesimo che si ritrova naturalmente anche nello stile epistolare: ne è testimonianza la conclusione di una lettera scritta da san Gregorio di Nazianzo al suo amico, il Vescovo Anfiloco: « O santissimo adoratore di Dio, non mancate di pregare o intercedere per noi, quando con la parola attirate la Parola eterna, quando, usando la vostra voce come una spada, separate con una sezione incruenta il corpo ed il sangue del Signore » (« O Dei cultor sanctissime, ne cuncteris orare et legatione fungi pro nobis, quando verbo Verbum attrahis, quando incruenta sectione secas corpus et sanguinem dominicum, vocem adhibens pro gladio ». – S. Gregorio Nazareno, 171, ad Amphil. P. Gr., vol. 37, p. 279). – Ecco, dunque, Gesù Cristo disteso sull’altare e rivestito dei sacri segni di una vittima sempre viva e sempre sacrificante; eccolo, dico, ed è in questo stato che mi viene presentato da mangiare, che lo ricevo e che devo assimilarlo nel riceverlo. – Posso, dopo questo, non capire il carattere dell’amore che mi dispone a mangiare questo Agnello di Dio, e dell’amore che sarà l’effetto naturale di tale cibo. Posso capire che i beati abitanti del cielo si nutrano del mio Salvatore nell’eccitazione di un amore piacevole: lo possiedono senza veli e nella sua gloria. Ma l’amore che ci si addice è quello che corrisponde allo stato di nostra ostia, un amore modellato su Colui che ce lo ha donato nell’Ultima Cena; un amore che si arrende, che è l’unico che può dirsi un amore per il Signore. È un amore che si dona, che si offre, che non si sottrae alla sofferenza e vive di rinuncia e sacrificio. E quanto più di questo amore portiamo al banchetto divino, tanto più la nostra anima sarà pronta a infiammarsi al contatto con la sacra carne del Salvatore; tanto più abbondanti saranno i frutti di grazia che speriamo dall’Eucaristia. – Quindi non è tanto il numero quanto il fervore delle Comunioni a far progredire la santità. Qual è l’effetto santificante di mille Comunioni di un’anima tiepida, rispetto a una sola comunione eucaristica della Vergine, Madre di Dio! Il corpo del suo Figlio unigenito che Lei ha ricevuto, lo ricevono pure queste anime e la sua virtù sacramentale non varia. Da dove deriva allora la differenza? Dalla preparazione d’amore. – Avremmo meditato solo in modo molto imperfetto su ciò che l’Eucaristia è per la crescita spirituale dei figli di Dio, se ci limitassimo all’effetto presente che essa produce. Ricordiamo che si tratta, secondo il pensiero dei Padri, di quel carbone ardente di cui parla Isaia (S. J. Damasc., de Fid. Orth, L. IV: c, 141). Il fuoco che essa accende non è quindi un fuoco che si spegne quando cessa la presenza sacramentale. La carità che ha vivificato nell’anima tende a crescere, a diffondersi. Essa moltiplica le sue azioni ed è necessario che estenda la sua influenza salutare su tutta la vita, tutte le opere, tutti i movimenti del fedele. –  A questo punto, le due cause principali del nostro sviluppo si uniscono per darsi un aiuto potente e reciproco. Infatti, da un lato, la cooperazione che diamo alla grazia è una disposizione tanto più perfetta per ricevere i frutti del Sacramento, in quanto più meritoria in sé; e dall’altro, il Sacramento per i frutti che porta, contribuisce direttamente a rendere le nostre opere buone non solo più numerose, ma soprattutto più meritorie, poiché sviluppa in noi il regno e l’azione della carità. – Da tutta questa dottrina sull’Eucaristia, emerge una grande e preziosa conclusione per la nostra vita spirituale: è della massima importanza che noi veniamo a questo banchetto celeste il più spesso possibile e, ancor più, di prepararci con scrupolosa applicazione a mangiare il cibo divino che l’amore vi serve all’amore. Non diamo retta a quei moralisti disperanti che respingono dalla santa mensa, o che ammettono solo a rarissimi intervalli chi non è grande in grazia e carità. In passato la Chiesa dava il corpo del Signore ai bambini piccoli. Lo offre ancora a coloro che sono piccoli e deboli, non per età ma per virtù. Per loro, se hanno un umile senso della loro infermità, se vengono con cuore sincero a cercare nell’Eucaristia ciò che manchi alla loro anima, il Sacramento diventerà l’alimento della grande “cibus grandium“, perché produrrà il suo effetto proprio e diretto, la crescita nel Cristo. Lo dirò dunque? All’estremo rigorismo che in passato faceva della Comunione, soprattutto di quella frequente, il premio di un’eminente perfezione, succede talvolta ai nostri giorni una facilità davvero eccessiva da parte di alcuni direttori d’anime. Li vediamo permettere quasi indistintamente alle persone che governano di venire a sedersi alla sacra mensa spesso, persino ogni giorno; e non solo lo permettono, ma addirittura li esortano a farlo. Eppure, nessun serio emendamento nella vita; nessuno sforzo nemmeno per superare se stessi e avanzare nella virtù. Cercate la preparazione del cuore per un mistero così grande, e troverete il più delle volte solo mollezza, divagazioni ostinate, lo stesso attaccamento alle cose vane, le stesse abitudini irregolari e gli stessi difetti caramente trattenuti nel fondo del cuore. Si arriva per consuetudine, per moda, sotto l’impulso di non so qual segreta vanità. Si tratta davvero di una risposta ai disegni del Salvatore e di « mettere alla prova se stesso », come chiede l’Apostolo? – Lungi da me sottolineare che queste Comunioni siano sacrileghe. So che c’è una sola disposizione assolutamente necessaria, lo stato di grazia, e la presumo nelle anime tiepide e codarde di cui parlo. Né affermo che non ne traggano un aumento di grazia, almeno abituale. Ma ciò che mi sembra indubbio è che ci sarebbe un vantaggio generale per le anime di questo tipo, se il permesso di ricevere la divina Eucaristia fosse saggiamente misurato per loro. – Avvicinandosi ad essa con maggiore riverenza, un umile pentimento, il raccoglimento e la santa avidità, troverebbero in un’unica Comunione ciò che non avrebbero ricevuto in tutte quelle di cui sono stati privati. Imparerebbero anche che la vita spirituale si nutre meno di pratiche facili che di sforzi generosi a cui ci prepara la grazia del Sacramento. Finalmente, per dire tutto in una parola, invece di vegetare miseramente, sempre deboli e quasi sterili nelle opere sante, pur mangiando il pane della vita, presto forse usciranno da questa deplorevole inerzia e si rinnoveranno nello spirito del fervore. Da quel momento in poi, potranno prendere parte al cibo celeste e, poiché nulla paralizzerà la virtù di questo cibo divino, si ammirerà in esso una crescita sempre nuova con una meravigliosa fecondità (Cfr. Bourdaloue. Essai d’Octave du S. Sacrament, 5° giorno. Sermone sulla comunione frequente).