FESTA DEL S. ROSARIO DELLA B. V. MARIA (2022)

Festa del S. Rosario della B. V. M. (2022)

Doppio di 2° classe – Paramenti bianchi

La festa odierna fu istituita da S. Pio V per ricordare la strepitosa vittoria riportata dai Cristiani sui musulmani a Lepanto il 7 ottobre del 1571, giorno in cui le numerose e diffuse confraternite del Rosario onoravano in modo particolare Maria SS. Sotto l’invocazione di Madonna del Rosario. Forma popolare di devozione e risultato d’una lunga evoluzione attraverso gli ultimi secoli del basso Medio evo, il Rosario – ad imitazione dei 150 Salmi del Salterio – consta di 150 Ave Maria, ogni decina delle quali è intercalata con un Pater e accompagnata dalla meditazione di uno dei principali episodi della vita di Gesù e di Maria. Questa forma altrettanto semplice che facile di preghiera, adatta anche ai meno colti, è divenuta una delle più care alla pietà privata, favorita ed arricchita da indulgenze da parte dei Papi. La festa odierna, celebrando una grande vittoria, celebra pure l’umile ma potente arma cui è dovuta: la preghiera e particolarmente quella del Rosario.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

V. Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.


Confíteor

Confiteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
M. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat te ad vitam ætérnam.
S. Amen.
S. Indulgéntiam, ✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Gaudeámus omnes in Dómino, diem festum celebrántes sub honóre beátæ Maríæ Vírginis: de cujus sollemnitáte gaudent Angeli et colláudant Fílium Dei.

[Rallegriamoci tutti nel Signore celebrando questo giorno di festa in onore della beata Vergine Maria! Della sua festa gioiscono gli angeli, e insieme lodano il Figlio di Dio]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.

Deus, cujus Unigénitus per vitam, mortem et resurrectiónem suam nobis salútis ætérnæ præmia comparávit: concéde, quǽsumus; ut, hæc mystéria sacratíssimo beátæ Maríæ Vírginis Rosário recoléntes, et imitémur, quod cóntinent, et quod promíttunt, assequámur.

[O Dio, il tuo Unico Figlio ci ha acquistato con la sua vita, morte e risurrezione i beni della salvezza eterna: concedi a noi che, venerando questi misteri nel santo Rosario della Vergine Maria, imitiamo ciò che contengono e otteniamo ciò che promettono.]

Lectio

Léctio libri Sapiéntiæ.
Prov VIII:22-24; VIII:32-35

Dóminus possédit me in inítio viárum suárum, ántequam quidquam fáceret a princípio. Ab ætérno ordináta sum et ex antíquis, ántequam terra fíeret. Nondum erant abýssi, et ego jam concépta eram. Nunc ergo, fílii, audíte me: Beáti, qui custódiunt vias meas. Audíte disciplínam, et estóte sapiéntes, et nolíte abjícere eam. Beátus homo, qui audit me et qui vígilat ad fores meas quotídie. et obsérvat ad postes óstii mei. Qui me invénerit, invéniet vitam et háuriet salútem a Dómino.


[Dall’inizio delle sue vie Iddio mi ha posseduta, dal principio dei tempi, prima di ogni opera sua. Fin dall’eternità io sono stata formata; dai tempi remoti, prima che la terra fosse. Ancora non c’era l’abisso, ma io ero già stata concepita. Or dunque, figlioli, ascoltatemi: beati coloro che custodiscono le mie vie. Ascoltate l’ammonizione e diventate saggi, e non vogliate disprezzarla. Beato l’uomo che mi ascolta, che veglia ogni giorno alle mie porte e custodisce la soglia della mia casa. Chi trova me, trova la vita: e dal Signore attingerà la salvezza.]

Graduale

Ps XLIV:5;11;12
Propter veritátem et mansuetúdinem et justítiam, et dedúcet te mirabíliter déxtera tua.
V. Audi, fília, et vide, et inclína aurem tuam: quia concupívit Rex spéciem tuam. Allelúja, allelúja.
V. Sollémnitas gloriósæ Vírginis Maríæ ex sémine Abrahæ, ortæ de tribu Juda, clara ex stirpe David. Allelúja.

[Per la tua fedeltà e mitezza e giustizia la tua destra compirà prodigi.
V. Ascolta e guarda, tendi l’orecchio, o figlia: il Re si è invaghito della tua bellezza.
Alleluia, alleluia.
V. Celebriamo la gloriosa vergine Maria, della discendenza di Abramo, nata dalla tribù di Giuda, nella nobile famiglia di Davide.
Alleluia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc 1:26-38

In illo témpore: Missus est Angelus Gábriel a Deo in civitátem Galilææ, cui nomen Názareth, ad Vírginem desponsátam viro, cui nomen erat Joseph, de domo David, et nomen Vírginis María. Et ingréssus Angelus ad eam, dixit: Ave, grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus. Quæ cum audísset, turbáta est in sermóne ejus: et cogitábat, qualis esset ista salutátio. Et ait Angelus ei: Ne tímeas, María, invenísti enim grátiam apud Deum: ecce, concípies in útero et páries fílium, et vocábis nomen ejus Jesum. Hic erit magnus, et Fílius Altíssimi vocábitur, et dabit illi Dóminus Deus sedem David, patris ejus: et regnábit in domo Jacob in ætérnum, et regni ejus non erit finis. Dixit autem María ad Angelum: Quómodo fiet istud, quóniam virum non cognósco? Et respóndens Angelus, dixit ei: Spíritus Sanctus supervéniet in te, et virtus Altíssimi obumbrábit tibi. Ideóque et quod nascétur ex te Sanctum, vocábitur Fílius Dei. Et ecce, Elisabeth, cognáta tua, et ipsa concépit fílium in senectúte sua: et hic mensis sextus est illi, quæ vocátur stérilis: quia non erit impossíbile apud Deum omne verbum. Dixit autem María: Ecce ancílla Dómini, fiat mihi secúndum verbum tuum.

[In quel tempo, l’angelo Gabriele fu inviato da Dio in una città della Galilea, di nome Nazareth, ad una vergine sposa di un uomo di nome Giuseppe, della stirpe di Davide; e il nome della vergine era Maria. L’angelo, entrando da lei, disse: «Ave, piena di grazia; il Signore è con te; tu sei benedetta fra le donne». Mentre l’udiva, fu turbata alle sue parole, e si domandava cosa significasse quel saluto. E l’angelo le disse: «Non temere, Maria, poiché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai nel tuo seno e partorirai un figlio, e gli porrai nome Gesù. Egli sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, e il Signore Iddio gli darà il trono di Davide, suo padre: e regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno, e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». L’angelo le rispose, dicendo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’ Altissimo ti coprirà della sua ombra. Per questo il Santo, che nascerà da te, sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, ha concepito anch’essa un figlio nella sua vecchiaia ed è già al sesto mese, lei che era detta sterile: poiché niente è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: sia fatto a me secondo la tua parola».]

OMELIA

« SALVE, PIENA DI GRAZIA »

(O. Hopfan: Maria – Marietti ed. 1953)

« Al sesto mese l’Angelo Gabriele fu da Dio mandato in una città della Galilea, detta: Nazaret, ad una vergine sposata ad un uomo, chiamato Giuseppe, della casa di David; e la vergine si chiamava Maria. Ed entrato da lei, disse: “ Salve, o piena di grazia! Il Signore è con te ».

In una piccola cappella di montagna una campanella suona per tre volte: “Ave, Ave, Ave!”. Allora i monti eterni paiono ergere le candide vette e irrigidiscono di stupore. In un’ampia cattedrale piange e giubila un violino, e un fanciullo puro canta: « Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine »; in quell’istante il popolo credente tutto si leva, s’inginocchia, riflette e ringrazia, tocco nel più profondo del suo essere. In Cielo, dalle auree schiere si stacca un Angelo e vola giù sulla misera terra; la madre terra ha un brivido per la gioia che il Cielo s’abbassi nuovamente verso di essa, e Giovanni nel suo Vangelo scrive il Mistero: « Il Verbo si è fatto carne ». O Angelo Gabriele, messaggero di Dio, quale scompiglio non provochi tu quaggiù col tuo messaggio! Il miracolo, che tu vieni ad annunciare, trascende e incorona tutti gli altri miracoli di Dio: Iddio stesso vuole unirsi alla sua creazione in maniera nuova, inaudita, e ricondurre a Sè la sconvolta umanità per mezzo di Sé, in Se stesso. Il primo uomo un dì richiese temerariamente di divenire come Dio stesso; ora quell’ardito sogno del paradiso dev’essere realizzato in altro modo, in modo divino: Iddio si fa uomo. Con lieve batter d’ala va Gabriele a un’umana dimora per invitare la Creatura eletta dallo stesso Santo Spirito di Dio, la quale in questa sublimissima opera divina deve dare il suo contributo. Vi è nel tuo “Ave”, o degnissimo Angelo, tanta fragranza e armonia e profondità, che d’or’innanzi alletterà gli artisti alle creazioni più splendide; e nondimeno tutte le immagini e melodie e parole d’amore intorno al mistero dell’Annunciazione non raggiungeranno mai l’armonia del primo “Ave”. O Angelo sublime, permetti che anch’io aggiunga alla rosa d’oro del tuo saluto il semplice fiore del mio “Ave” alla Benedetta; possa qualche po’ della riverenza e bellezza del tuo saluto avere un’eco sommessa anche nel mio! – Il Messaggero. Gli Angeli son esseri sublimi, puri spiriti, principi dell’al di là, lampi di scienza, eroi di potenza, rivestiti della dignità di dominatori; secondo i nomi misteriosi ricordati dalla Bibbia stessa essi sono “Troni ”, “Principati”, “Dominazioni”, “Virtù”, “ Potestà”. Essi costituiscono la guardia palatina della divina Maestà: « Migliaia e migliaia Lo servono, e miriadi a centinaia di migliaia stanno ai suoi cenni ». Essi sono avvolti dall’abbagliante luce dei divini splendori e grazie a questa partecipazione alla magnificenza di Dio stesso son divenuti “gloria”. Gli antichi libri apocrifi giudaici distinguevano « Angeli della faccia », i quali stanno sempre dinanzi al trono di Dio, e « Angeli del servizio », i quali sono convocati per servire alla creazione e specialmente all’umanità. I Libri Santi riferiscono molti esempi di Angeli, che furono inviati con missioni divine agli uomini, ad Abramo, a Lot e Giacobbe, a David, Elia, Isaia, Tobia, a Ezechiele, Daniele, Zaccaria, ai pastori all’inizio del Vangelo e alle pie donne al suo concludersi, la prima volta col “Gloria”, l’altra con l’ “Alleluja”. La fede cristiana inoltre sa persino che un Angelo cammina a fianco di ciascun uomo; essi se ne stanno non solo dinanzi al volto di Dio, ma anche sui nostri sentieri e alle svolte della nostra vita, essi sono « posti a servizio di coloro, che conseguiranno la salvezza ». Gli Angeli son dunque i ponti di Dio, che formano l’arco fra il regno del puro spirito e il mondo dei corpi. Gli Angeli sono i messaggeri di Dio, i quali dalle celesti dimore portano nelle valli degli uomini i divini decreti. Gli Angeli sono i raggi di Dio, che scendono col dono dell’eterna luce all’umanità priva del fuoco divino. Non quasi alla divina Onnipotenza difetti il potere di tutto operare da sola, ma conviene invece alla divina Sublimità uno sterminato esercito di spiriti che la servano; e conviene al divino Amore chiamare a parte della magnificenza del creato anche altri esseri, affinché la simmetria e la sinfonia governino i mondi di Dio. Ogni volta che gli Angeli vengono nei mondi visibili, appaiono rivestiti di sublimità; il loro corpo è luce e il loro parlare è come un fragore possente; nonostante tutta la loro bontà, hanno però con gli uomini la sostenutezza degli eterni e i terreni mortali si spaventano dinanzi a loro e sono tentati di adorarli come il Signore stesso. Come va dunque che un Angelo s’inginocchia umilmente dinanzi a Maria? Annuncia il messaggio non come un principe in atteggiamento di comando, no! ma come un servo; poi attende modestamente sino a che quella Creatura umana si compiace di rispondere alla sua richiesta, quasi fosse quella Fanciulla una regina, la sua regina. Non era uno qualunque delle miriadi di Angeli quegli che in quel giorno si piegò così riverente dinanzi a Maria, non un piccolo o un giovanissimo, sebbene anche il minimo fra gli Angeli per sua natura superi enormemente in potenza e scienza anche i più celebri fra gli uomini; era il potente e sublime Angelo Gabriele, uno dei tre grandi Angeli, che solo con Michele e Raffaele è chiamato nella Sacra Scrittura col proprio nome. Gabriele — da “géber” = uomo forte, e “el” = Dio — significa etimologicamente “uomo forte di Dio”, ma può essere tradotto anche con ‘confidente di Dio’ o “forza di Dio”. Gabriele presenta se stesso al sacerdote Zaccaria, dicendogli con nobile orgoglio: « Io son Gabriele, che sta dinanzi a Dio, e sono mandato a te per portarti questo lieto messaggio » ; e così egli stesso allude a quello che gli è proprio: egli è il nunzio del lieto messaggio. Iddio fra i miliardi di Angeli ha messo a parte del suo più profondo e tenero Mistero, che è l’Incarnazione, lui, proprio lui. Quando noi nell’ “Angelus Domini” preghiamo: «L’Angelo del Signore portò a Maria il messaggio », circoscriviamo insieme l’intera missione propria a Gabriele e ben anche la sua attitudine, poiché anche negli Angeli essere e operare si corrispondono. Gabriele è l’Angelo lieto e che allieta; è fra gli Angeli, ma in modo molto più sublime, quello che è Luca fra gli Evangelisti, il nunzio non dei giudizi, ma dell’amore misericordioso di Dio. Già seicento anni prima del suo invio alla Vergine egli ebbe una missione di manifesto conforto per il profeta Daniele, che nell’esilio di Babilonia era sprofondato «in grande tribolazione »; e a lui che attendeva ansiosamente la salvezza diede con la celebre profezia delle « settanta settimane di anni » un primo preciso indizio dell’era messianica, quando sarebbe « sorto l’Unto, il Principe »!. – I fiumi di Babilonia continuarono a rumoreggiare a lungo e tempi gravi passarono su quelle parole prima che si adempissero; ma adesso, « sei mesi » prima — l’Evangelista con questa indicazione cronologica intende riannodare eventi che si richiamano —, Gabriele aveva messo piede nuovamente sul suolo di questa terra e lassù nel Tempio aveva annunziato al sacerdote Zaccaria il precursore e l’araldo del Signore. E presto intonerà, qual corifeo del celebre esercito, il canto del lieto messaggio sulle campagne di Betlemme, perché è di nuovo Gabriele, l’Angelo dell’Incarnazione, che annunzia ai pastori « il grande gaudio »!. – Gabriele invita al nuovo paradiso non con la spada sguainata fatta per respingere, come il severo Angelo alle porte del primo paradiso, no, ma col giglio in mano e in atteggiamento benigno e incoraggiante. Visse il suo giorno più radioso quando portò il lieto messaggio a Maria; quell’ora fu per tutti e due, per Maria e per l’Angelo, la più importante della loro esistenza; soli e insieme vissero la più grande delle opere di Dio, l’Incarnazione; e quell’incontro dovette legare quei due Santi, Maria e Gabriele, in eterna amicizia. È una delle tante trovate intelligenti della Liturgia fare precedere immediatamente alla festa dell’Annunciazione di Maria, il 25 marzo, quella dell’angelo Gabriele. Maria — Gabriele! Si stenta quasi a togliere lo sguardo da questo quadro così ricco di grazia e di splendore e di musica, di purezza candida, di nobiltà umile e di perfetta prontezza per le opere di Dio. All’epoca dell’Annunciazione, Maria non era più lassù a Gerusalemme; i suoi genitori forse eran già morti ed Ella era orfana; si potrebbe intendere come accenno a questo il fatto che Lei stessa si portò a Betlemme per il censimento. Non si trovava neppure in casa di Giuseppe ancora, perché la sua partenza per la casa dello sposo seguì l’Annunciazione. – Nazaret era una cittadina in Galilea di nessuna importanza, così insignificante e così disprezzata, che più tardi il giovane apostolo Natanaele-Bartolomeo chiese sprezzante: « Che può venir di buono da Nazaret? ». Ma precisamente dal suolo di quest’angolo dimenticato doveva zampillare la sorgente, la cui sovrabbondanza avrebbe regalato al mondo tutto grazia su grazia; le opere infatti di Dio non dipendono dalle norme dell’umana grandezza. La casetta, nella quale entrò Gabriele, non era un lembo di Cielo, non un appartamento principesco, non l’ampio portico simile a una chiesa e neppure l’intimo idillio, che gli artisti creano bellamente e con riverenza verso la Benedetta; il colloquio più decisivo della storia umana sì svolse in una povera casupola, costruita probabilmente sul pendio del monte. La Fanciulla pure, che contava tredici o quattordici anni, si presentava senza alcun fasto, non era figlia di principi, non di notabili e ricchi del paese; sconosciuta a se stessa, era come una violetta sperduta che non sa della sua bellezza. Se Iddio ha una missione per questa Creatura umana, basta un sacerdote o un uomo illuminato per comunicarGliela, non c’è bisogno di un Angelo, tanto meno di uno di quei sette eccelsi spiriti che, come Gabriele, stanno al cospetto di Dio. Ma Maria è una meraviglia più sublime di un Angelo, Ella è un angelo in carne umana, per natura meno grande di Gabriele, ma per grazia e per dignità superiore a lui e a tutti gli altri Angeli, non esclusi i Serafini stessi. Al momento del suo primo ingresso nel Vangelo Maria ha al suo fianco un Angelo, e in questo v’è un importante significato simbolico: fra Maria e gli Angeli esiste profonda affinità di spirito; gli Angeli accanto a Maria e Maria accanto agli Angeli sono nel proprio ambiente; « Maria degli Angeli » è forse per la nobile Signora il titolo più amabile, è certamente il più originario, fiorito dallo stesso Vangelo, profumato dal giglio di Gabriele e avvolto nelle misteriose armonie dei nove cori degli Spiriti beati. Il quadro di Maria e Gabriele risveglia ancor altri e più gravi pensieri. Un Angelo e una donna stettero di fronte già un’altra volta, nel paradiso; veramente quello era un angelo decaduto e con la sua astuzia aggirò una debole donna. Quel fatale colloquio fra il serpente ed Eva fu la nostra rovina; Gabriele e Maria pensano alla nostra salvezza; I’ “Ave” a Maria capovolgerà il malanno di Eva. Che forse Gabriele si sia inchinato così profondamente dinanzi a Maria anche per risarcire in nome di tutti i nobili Spiriti il femmineo sesso per il misfatto perpetrato da uno del loro mondo ai danni d’una donna? Maria vide l’Angelo con gli occhi del corpo, come risulta evidente dalle parole evangeliche: « L’Angelo entrò da Lei »; in quell’ora non Le stette dinanzi uno svanito fantasma, non una splendida creazione della fantasia, e neppure una visione bella, ma puramente spirituale; Ella vide una figura ben distinta, rivestita di luce; a Maria fu regalata con la conoscenza spirituale anche una manifesta visione. Questo farsi visibili dei mondi invisibili stava in strettissima connessione con la nota caratteristica di quell’ora densa di mistero: Iddio era sul punto di uscire dalla sua eterna invisibilità e di rivestirsi d’un corpo umano, affinché noi uomini, vedendolo sensibilmente, fossimo così accesi d’amore anche per le cose invisibili. In quell’ora del grande mistero dell’incarnazione di Dio, Gabriele, il rappresentante dei puri Spiriti, per rendere omaggio allo stesso Mistero, assunse con una specie di finissima incorporazione la figura eterea del corpo umano: tanto onore celeste, divino anzi, fu reso allora al corpo dell’uomo! Gabriele in forma umana s’inginocchia dinanzi a Maria, che presto concepirà Iddio non solamente secondo lo spirito, ma anche secondo il corpo; per questo non solo il suo spirito, ma per l’apparizione dell’Angelo anche i suoi sensi dovettero essere beatificati e assicurati dell’evento imminente. – Gli uomini furono sempre storditi all’irrompere visibile dei Celesti in questa terra. Quando l’angelo Gabriele vi comparve per la prima volta — « era in vesti di lino, cinto i fianchi d’una fascia d’oro finissimo. Il suo corpo splendeva come crisolito, il suo volto mandava lampi, e aveva gli occhi come faci accese; le sue braccia e i suoi piedi scintillavano come bronzo lisciato, e il suono della sua Voce era come il rumore d’una moltitudine » —, allora, come racconta il profeta Daniele stesso, « sentii mancarmi le forze, mentre ebbi questa grandiosa visione, cambiai d’aspetto e tutte le forze svanirono; quando poi udii il suono della sua Voce, caddi stordito dinanzi a me, col volto aderente al suolo ». Anche la seconda apparizione di Gabriele, quella a Zaccaria, causò uno scompiglio: « Zaccaria si turbò alla visione dell’Angelo e s’impossessò di lui il timore ». E persino un eroe così valoroso qual era Gedeone, quando gli si fece dinanzi un Angelo, gridò sgomento: « Ahimè, onnipotente Signore, io ho visto l’Angelo del Signore faccia a faccia! ». E invece quale serenità placida e lieta alita nell’annunciazione di Maria! È vero che il Vangelo riferisce che anche Maria fu turbata, e anzi usa un’espressione forte, ma Ella non fu turbata per l’apparizione, bensì per il saluto dell’Angelo; all’Angelo stesso Ella guarda col tranquillo stupore d’un bambino, che vede venire a sé una stella d’oro; anzi sembra quasi che l’Angelo rimanesse più confuso dinanzi a Maria che non Maria dinanzi all’Angelo. Sulla fine del quinto secolo un predicatore orientale, l’abate Abramo di Efeso, descrive questo felice turbamento così: « Appena Gabriele fu entrato dalla Vergine e Le ebbe detto: “ Chaîre — Salve! ”, cominciò a tremare, perché scorse (già) in Lei Colui che lo aveva inviato e lo aveva prevenuto sulla via che dal Cielo scende sulla terra; e, come si fosse trovato sul trono dei Cherubini, non ardiva elevare a Lei i suoi occhi a motivo di Colui, che in Lei s’era fatto presente ». « Ecco, questo atterrisce! Ed essi rimasero turbati tutti e due. Poi l’Angelo cantò la sua melodia ». Oh sì, grande Angelo, canta ora la tua melodia! E Gabriele allora prese la parola e parlò e cantò, e in quel momento rifulsero sommessi tutti i Cieli, e in quell’istante risuonarono lontane tutte le campane, e in quell’ora giubilarono in impeto tranquillo tutti gli Spiriti, «e l’Angelo disse: “Ave — Ti saluto!” ».  – Il Saluto. Vi è qualche cosa di bello nel saluto. Esso è il gettar dell’àncora da un’anima a un’altra; è il ponticello di sbarco dall’io al tu: è l’inchinarsi dinanzi al bene dell’altro. Ove gli uomini non vogliono avvicinarsi, ove vogliono persistere a vicendevole distanza, ivi non si scambia il saluto; ove poi stanno gli uni contro gli altri ostilmente, ove nell’altro scorgono non il bene, ma solamente il male, ivi il saluto è impedito dal gelo, ivi « non si concedono il mutuo saluto », poiché il saluto significa affermare e riconoscere del bene nell’altro. Ora in ogni uomo, anche nell’ultimo, si trova una scintilla di bene; ogni uomo dunque merita anche il saluto; ma quanto più il bene in un uomo è puro e grande, tanto più egli è meritevole d’esser salutato. Nell’Annunciazione fu l’Angelo che salutò Maria dicendoLe: “Ave!” e Già qui l’Angelo fa tacitamente capire la sua inferiorità rispetto alla Vergine, poiché è costume del Cielo e della terra, un costume veramente cosmico, che l’inferiore saluti il superiore. Altri Angeli avevano portato dei messaggi agli uomini prima che Gabriele venisse da Maria, ma mai avevan portato il saluto; Maria è la prima e anche l’unica, che sia degna persino del saluto degli Angeli, perché il bene ch’è in Lei oltrepassa persino quello d’un Angelo. E quell’ “Ave” dell’Angelo fu così timido, che egli non osò neppure chiamar la Benedetta col suo nome proprio “Maria”, quasi che questa immediata allocuzione fosse in qualche modo troppo confidenziale e ne restasse offesa la distanza conveniente all’augusta Signora. Gabriele dice soltanto: “Ave — Salve”; il nome “Maria” l’abbiamo aggiunto poi noi al suo “Ave”, perché per noi Lei è e resta anche nella sua ora più solenne una della nostra stirpe, la nostra eccelsa e buona Sorella; questa terrena parentela e le terrene necessità danno a noi il diritto di chiamarLa non con i suoi titoli, ma col suo nome, con quel nome, che Ella portò sulla terra e col quale L’avevan già chiamata i suoi genitori: Maria! Frattanto l’ “Ave” di Gabriele fu più che un semplice saluto, esso fu già un occulto augurio. La parola usata dai Greci per salutare, da Luca inserita nel suo Vangelo e corrispondente al latino “Ave”, era “chaîre”; “chaîre” alla lettera significa: « Rallégrati! »; e già i Padri greci interpretarono quel saluto, rivolto da Gabriele a Maria, quale invito alla gioia; in questo “chaîre” risuona il primo lieto accordo in maggiore del Magnificat. Nel saluto però in lingua aramaica vi è un senso anche più profondo; Gabriele infatti, rivolgendosi a Maria, ch’era una fanciulla ebrea ignara delle lingue straniere, dovette certamente parlare in lingua orientale e dirle: « Salòm »; “Salòm” significa pace, e veramente pace in ogni direzione della felicità, nella vita esterna e intima, felicità che si dispone intorno a una vera e profonda pace. « “Salòm”, “Chaîre”, “Ave”: quale ricca e lieta pienezza non si cela già nella primabe sola  paroletta dell’Angelo! un suono penetrante, che dà inizio al messaggio dell’Angelo. Pace a Te, letizia a Te, mezzo tuo pace e letizia a noi tutti, o Causa della nostra letizia! – «Tu sei piena di grazia ». Questa seconda parola è la radice dell’intero saluto angelico; se Maria infatti riceve dal Cielo un “Ave”, se Ella è benedetta, se diverrà la Madre del Signore, se è avvolta negli omaggi degli Angeli e degli uomini, tutto questo Le spetta solamente perché Ella è « piena di grazia ». Il testo originale, il testo greco cioè del Vangelo usa qui il termine “kecharitoméne”, che vuol dire la “graziosa”; la lingua greca non aveva un termine proprio per esprimere il nuovo concetto cristiano della “grazia”; nondimeno l’espressione greca scelta dall’evangelista Luca rende molto bene il senso cristiano: Colei che agli occhi di Dio è la “graziosa” per la leggiadria e la bellezza del corpo e dell’anima, è senz’altro “la donata di grazia”. Nel termine greco è già inclusa anche una “pienezza di graziosità”; giustamente quindi le versioni siriache e latine anche del secondo secolo tradussero quel kecharitoméne — donata di grazia” con “piena di grazia”. Maria è semplicemente “la donata di grazia”, “la graziosa”. Quell’esperto di Scrittura e di lingue che era Girolamo (m. 420) ammette: « Non ricordo di aver letto in altro luogo della Scrittura quello che dice l’Angelo ora; a nessun uomo mai è stato concesso di sentire simili parole: “Salve, o piena di grazia”; questo saluto è riservato a Maria ». Piena di grazia! Maria è un terso cristallo, rischiarato dal sole da parte a parte; Maria è un campo di fiori, sul quale posa una nube di profumo; Maria è una sala incantevole, che risuona di ogni melodia. La donata di grazia, la piena di grazia, questo è il nome essenziale di Maria. D’ora innanzi quando si fa parola della “piena di grazia”, ogni Angelo sa che con questo termine s’intende Maria, e lo sappiamo anche noi e non dobbiamo dimenticarlo. – Il profondo pensatore Tommaso d’Aquino propone una distinzione riguardo all’espressione « piena di grazia », e questa distinzione è necessaria per mettere in chiaro rilievo la pienezza della grazia di Cristo rispetto alla pienezza della grazia di Maria. In un determinato senso, infatti, è pieno di grazia Cristo, in tutt’altro Maria; un bicchiere può esser già pieno d’acqua, in altro modo è pieno un lago, e di nuovo in modo diverso, immensamente diverso è pieno d’acqua il mare. Tommaso insegna: « Quando si parla della pienezza della grazia, si deve badare alla grazia stessa e a chi riceve la grazia. La grazia si trova in pienezza dove essa raggiunge in chi la riceve la misura massima secondo l’essere e secondo l’operare; questa pienezza spetta unicamente a Cristo. Colui che riceve la grazia, la possiede in pienezza quand’essa corrisponde pienamente alle sue condizioni di vita, se lo rende capace di adempiere tutti i doveri del suo stato e i compiti della sua vita. « Ora la beatissima Vergine è chiamata “piena di grazia” non perché abbia posseduto la grazia nella misura massima e per tutte le opere; piuttosto la pienezza della grazia per Lei significa che la misura della sua grazia corrispondeva alla elezione alla dignità di Madre di Dio. Così anche Stefano è detto “pieno di grazia”, perché possedeva grazia bastante per essere martire di Dio e provarsi fedele diacono. Vista così, una “pienezza di grazia” può superare un’altra, secondo l’eccellenza dello stato a cui ciascuno è chiamato da Dio ». La pienezza di grazia di Maria è unica, infinitamente distante dalla pienezza di grazia di Cristo, e però essa oltrepassa immensamente la grazia partecipata a noi. Cristo è l’oceano della grazia; nelle Litanie del Sacro Cuore di Gesù professiamo che in Lui « abita tutta la pienezza della Divinità », che si trovano in Lui « tutti i tesori della sapienza e della scienza »; Cristo è così pieno di grazia, che non può più crescere in essa. Maria invece dovrà crescere nella grazia lungo tutto il corso della sua vita; anche se da Gabriele fu salutata come piena di grazia sin dal principio, Ella dovrà percorrere ancora dei tratti lunghissimi prima del suo rimpatrio. Ella pure è viatrice, giunge continuamente dinanzi ad altezze ancora più ardue, riceve sempre nuovi impulsi alla perfezione. Per tutto questo Maria è a noi così umanamente vicina; anche Lei è una creatura che si evolve, cresce e matura. Certamente Ella ricevette una grazia che è senza misura al di là della nostra, Ella è più di noi tutti “piena di grazia”; il suo posto e missione ne esigeva sin dal principio una sovrabbondanza, che nessuna creatura mai ricevette o potrà ricevere: « Maria è così bella e perfetta, Ella presenta una tale pienezza di purezza e di santità, quale, a prescindere da quella di Dio, non si può escogitare e comprendere da nessuno eccetto che da Dio ». Nonostante questi diecimila talenti, Maria, umile e grata alla grazia, si tiene aperta costantemente a nuovi incrementi, mai pensa d’essere abbastanza perfetta. Se dunque Lei, piena di grazia sin dal principio, mai pensa che sia finito, potremo noi supporre di esser perfetti con quei talenti, che ci sono concessi secondo la misura della nostra vocazione, e dimenticarci dell’ascesa a maggiore perfezione? – « Il Signore è con Te ». AI suo saluto « Piena di grazia » Gabriele si affrettò ad aggiungere sull’istante: « Il Signore è con Te ». Maria infatti non è “piena di grazia” da sé, anche Lei come noi tutti ha « ricevuto della sua pienezza grazia su grazia ». La pienezza della grazia di Maria è come la mite luce della luna, che deve al sole il suo splendore d’oro. Questi due tratti del saluto angelico: « Piena di grazia — il Signore è con Te » sono annodati insieme così saldamente, non solo nel seguito del saluto, ma anche nel loro contenuto, che non si potrebbe pensare l’uno senza l’altro: chi ha ricevuto grazia, ha il Signore con sé, e chi ha il Signore con sé, ha ricevuto grazia.  – Nella santa Messa le stesse parole dette a Maria vengono dette al popolo credente: « Dominus vobiscum! ». Eppure nel medesimo saluto si cela una sottile differenza; a Maria è detto: « Il Signore è con Te! », al popolo: « Il Signore sia con voi! »; la parola del sacerdote al popolo esprime un pio voto, quella dell’Angelo a Maria invece una sicura realtà. L’assicurazione « il Signore è con te » non la leggiamo unicamente e nella scena dell’Annunciazione, ma la ascoltiamo spesso nelle Scritture Sante. Questa parola incoraggiante è gridata talora dall’alto a uomini che Iddio ha scelti per un’opera grandiosa o difficile; così, ad esempio, con questa espressione: « Il Signore è con te, o prode valoroso! », è assicurato della soccorritrice presenza del Signore Gedeone, cui fu affidata la liberazione di Israele dalla oppressione dei Madianiti. Nessuna persona ebbe a compiere opera più sublime e più difficile di Maria; per questo subito, nella prima ora della sua comparsa, prima ancora che Ella possa sospettare il suo augusto compito, viene corredata della fortezza per camminare la sua via solitaria e sublime: « Il Signore è con Te ». Egli è con Maria in un modo nuovo, talmente inaudito ed ininterrotto, che d’or in poi non la si potrà pensare più senza il Signore. Il Padre è con Lei, perché la virtù di Dio L’adombrerà; il Figlio è con Lei, perché sarà il Frutto benedetto del ventre suo; lo Spirito Santo è con Lei, Egli con benignità e pazienza divina attende soltanto che Gabriele e Maria finiscano il loro santo dialogo per trasfigurarLa, dopo l’ultima parola, come un’Ostia dopo l’ultima parola della consacrazione. – In questa terza parola dell’Angelo quindi: « Il Signore è con Te » vibra già la prima nota e il silenzioso passaggio al Mistero stesso: il saluto dell’Angelo sta vicino al suo messaggio. Prima di ascoltare questo messaggio, concediamo alla Benedetta l’intervallo d’un minuto, perché possa riflettere su quel saluto che toglie il respiro; Gabriele stesso, dopo quelle prime battute sconvolgenti, fa un piccolo passo indietro, come il diacono all’altare nel supremo istante della solennità del Mistero. Il Vangelo stesso informa: « Maria si turbò a queste parole, e si domandava che potesse dire quel saluto »: così importante, così gravido è il saluto, che persino Maria deve sulle prime comporsi.  Queste prime parole di Gabriele son come i primi sonori accordi d’un preludio, che annunziano qualche cosa di ineffabilmente bello. Maria aveva certamente confidato l’ “Ave” di Gabriele al discepolo dell’amore Giovanni, che L’aveva pregata di aggiornarlo delle cose avvenute in principio; e Giovanni legò in eredità quell’ “Ave” come una preziosità delicata all’evangelista Luca, perché l’assicurasse nel suo Vangelo; ma può essere che Luca stesso l’abbia colto sulle labbra di Maria. Da quel giorno il saluto di Gabriele ha fatto suonare mille campane e mille cuori; milioni di uomini son divenuti Gabriele presentando alla Benedetta il saluto dell’Angelo giorno per giorno, al mattino, a mezzodì e alla sera nell’« Angelus Domini» e nella bella preghiera del Rosario, che non si può separare quasi dall’Ave: tanto spesso lo ripete in meditazione e amore. Tutta la terra è piena di “Ave — Ave Maria, Salve Regina, Ave Regina!”, e ciascuno di questi “Ave” saluta non solamente Maria, ma in Lei anche il Mistero, che sta all’inizio della nostra salvezza, l’Incarnazione del Verbo nel grembo verginale. Dovremmo quindi anche noi come Maria riflettere sul significato di questo saluto. Che forse l’ “Ave ” dell’Angelo sublime non esce spesso dalle nostre labbra troppo di volo? non si fa attenzione qualche volta più al numero che non al senso degli “Ave”? Quando ripetiamo il devoto e riverente saluto dell’Angelo, vediamo che esso non sia mai indegno dell’Angelo e della Piena di grazia! Molti fratelli Cristiani protestano contro ogni “Ave”. Strano che non s’accorgano della scortesia, che usano alla Donna del Vangelo rifiutandoLe il saluto. La maggior parte di essi agisce in questa materia in buona fede; pensano così di offrire un omaggio a Dio. Ma fu ben Iddio stesso che per mezzo di Gabriele fece rivolgere a Maria il saluto. Sarebbe un bel costume se noi fedeli cattolici offrissimo a Maria un duplice “Ave”: il primo in nome nostro, l’altro per supplire i nostri fratelli ancor muti dinanzi a Lei.

[Primo a introdurne l’uso e a diffondere la Salutazione Angelica e quello che chiamiamo il « Suono dell’Angelus » fu l’Ordine Francescano. Già S. Bonaventura nella sua qualità di Generale dell’Ordine e poi un Capitolo dell’Ordine tenuto nel 1295 ordinarono che le campanelle di tutte le chiesette francescane fossero suonate tre volte al giorno in onore della Beatissima Vergine e che in quel momento si recitassero tre Ave Maria. Per ricordare che la Porziuncola, la chiesa madre dell’intero Ordine, è dedicata a « Maria degli Angeli », i Francescani aggiunsero al saluto angelico anche la seconda parte: « Prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte ».]

Offertorium

Orémus.
Eccli XXIV:25; Eccli XXXIX:17
In me grátia omnis viæ et veritátis, in me omnis spes vitæ et virtútis: ego quasi rosa plantáta super rivos aquárum fructificávi

[In me ogni grazia di verità e dottrina in me ogni speranza di vita e di forza. Sono fiorita come una rosa, piantata lungo i corsi delle acque].

Secreta

Fac nos, quǽsumus, Dómine, his munéribus offeréndis conveniénter aptári: et per sacratíssimi Rosárii mystéria sic vitam, passiónem et glóriam Unigéniti tui recólere; ut ejus digni promissiónibus efficiámur:

[Rendici degni, Signore, di offrirti questo sacrificio: e concedi che, venerando nel santo rosario i misteri della vita, passione e gloria del tuo unico Figlio, diventiamo partecipi dei beni da lui promessi]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de Beata Maria Virgine

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Et te in Festivitate beátæ Maríæ semper Vírginis collaudáre, benedícere et prædicáre. Quæ et Unigénitum tuum Sancti Spíritus obumbratióne concépit: et, virginitátis glória permanénte, lumen ætérnum mundo effúdit, Jesum Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Cæli cælorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admítti jubeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Te, nella Festivitate della Beata sempre Vergine Maria, lodiamo, benediciamo ed esaltiamo. La quale concepí il tuo Unigenito per opera dello Spirito Santo e, conservando la gloria della verginità, generò al mondo la luce eterna, Gesú Cristo nostro Signore. Per mezzo di Lui, la tua maestà lodano gli Angeli, adorano le Dominazioni e tremebonde le Potestà. I Cieli, le Virtú celesti e i beati Serafini la célebrano con unanime esultanza. Ti preghiamo di ammettere con le loro voci anche le nostre, mentre supplici confessiamo dicendo:]

Sanctus

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:


Pater noster

Pater noster, qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

Communio

Floréte, flores, quasi lílium, et date odórem, et frondéte in grátiam, collaudáte cánticum, et benedícite Dóminum in opéribus suis.

[Fiorite, come gigli, o fiori, date profumo, spandetevi in bellezza: cantate in coro la lode divina e benedite Dio nelle sue opere.]

Postcommunio

Orémus.
Sacratíssimæ Genetrícis tuæ, cujus Rosárium celebrámus, quǽsumus, Dómine, précibus adjuvémur: ut et mysteriórum, quæ cólimus, virtus percipiátur; et sacramentórum, quæ súmpsimus, obtineátur efféctus:

[Ci aiutino, Signore, le preghiere della tua santissima Madre, nella festa del suo rosario: concedi a noi di sentire l’efficacia dei misteri che veneriamo, e di ottenere il frutto dei sacramenti che abbiamo ricevuto:]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA