LA GRAZIA E LA GLORIA (25)

LA GRAZIA E LA GLORIA (25)

Del R. P. J-B TERRIEN S.J.

I.

Nihil obstat, M-G. LABROSSE, S. J. Biturici, 17 feb. 1901

Imprimatur: Parisiis, die 20 feb. 1901 Ed. Thomas, v. g.

TOMO PRIMO

LIBRO V

LA FILIAZIONE ADOTTIVA CONSIDERATA NELLA SUA RELAZIONE CON CIASCUNA DELLE PERSONE DIVINE.

LA RELAZIONE CON IL PADRE E IL FIGLIO.

CAPITOLO III

La relazione dei figli adottivi con il Figlio di Dio. MGesù Cristo, il nostro fratello primogenito.

1. – Poiché il Padre è nostro padre, e noi siamo fatti secondo il Figlio come secondo il nostro modello, niente è più naturale a prima vista che chiamarlo con il dolce nome di fratello. Eppure la Sacra Scrittura sembra proibirci di dargli questo titolo. Infatti, Egli non solo è nato dal Padre, ma è l’unigenito Figlio del Padre; e lo Spirito di Dio, per mostrarci tutta la forza e la verità di quest’ultimo nome, lo ha fatto registrare almeno cinque volte negli scritti dell’evangelista S. Giovanni. Ora, chi dice unico, esclude ogni fratello dalla casa dell’unico. Ma, d’altra parte, le stesse Scritture ci insegnano a guardare questo medesimo Figlio unigenito come un fratello; perché leggo in San Paolo: « Egli non si vergognava di chiamarli fratelli, dicendo: Proclamerò il tuo nome ai miei fratelli » (Ebr., II, 11; cfr. Salmo, XXI, 26.). Gli Apostoli si contraddirebbero a vicenda, l’uno negando ciò che l’altro conferma? Dio non voglia! Inoltre, la stessa Scrittura in cui abbiamo letto espressioni così apparentemente opposte, le concilia in una parola: Il Figlio unigenito è il primogenito del Padre, “Primogenitus” (Hebr. I, 6); il primogenito tra molti fratelli, « Primogenitus in multis fratribus » (Rom. VIII, 29). – Primogenito, non solo perché esiste prima di tutti gli altri, ma soprattutto perché è di un ordine, di un grado e di una maestà a cui nessuno degli altri può aspirare; ed è questo che gli merita anche il nome di Unico. Così la prerogativa di essere l’unico Figlio è in armonia con la moltitudine dei fratelli, così come la semplicissima unità di Dio nell’essenza è in armonia con il numero sempre crescente di dei divinizzati. Ecco perché l’Apostolo nella sua epistola agli Ebrei, dove tratta magnificamente della nostra fratellanza con Cristo, ha potuto scrivere del Verbo incarnato, il nostro grande Pontefice,  … « che Egli è tanto più esaltato sopra gli Angeli perché ha ricevuto un Nome molto più diverso dal loro. Perché a quale Angelo Dio ha mai detto: “Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato”? E ancora: “Io sarò suo Padre ed Egli sarà mio Figlio? » (Hebr. I, 4-5). Angeli e uomini, in virtù della loro nascita soprannaturale, sono elevati all’onore di essere fratelli di Cristo, ma fratelli che lo riconoscono come loro Dio, loro principio e il loro Re. È davvero il vero Giuseppe, amato da suo padre più di tutti i suoi figli, che può veramente dire loro: « Ascoltate la visione che ho avuto: mi sembrava che stessimo legando dei covoni nel campo, e ho visto il mio covone in piedi, e tutto intorno i vostri covoni che lo adoravano » (Gen. XXXVII, 4-8). Inginocchiandoci davanti a Lui, meditiamo ancora su questo nome di primogenito, per gustare pienamente e nella loro totalità tutti i significati che contiene. Primogenito, perché è uscito dalla bocca dell’Altissimo prima di qualsiasi creatura. Primogenito, perché è l’espressione adeguata del Dio invisibile; che per mezzo di Lui e per Lui sono state create tutte le cose, e che Egli stesso è prima di tutte le cose, e che tutte le cose sussistono per mezzo di Lui (Col. I, 15-18). Primogenito, perché ha dei fratelli sotto di Lui, che sono per imitazione accidentale ciò che Lui è per natura e sostanzialmente. Primogenito, perché questi fratelli che il Padre ha dato nel tempo a questo Figlio la cui nascita è eterna, è in Lui e per mezzo di Lui che hanno ricevuto l’adozione di figli (Gv. I, 11-12). Primogenito, perché se noi speriamo nell’eredità del Padre, coeredi come siamo del suo Figlio, è ancora per mezzo di Lui che abbiamo questa speranza e questo diritto (Ebr. X, 19-26). – « Diciamo dunque a Dio: Padre nostro! Osiamo dirlo, perché Lui stesso ce lo ordina; ma viviamo in modo tale che Egli non possa rimproverarci: Se io sono vostro Padre, dov’è l’onore che mi dovete (Mal. I, 16)? A chi diciamo Padre nostro? Al Padre di Cristo. Chi dice al Padre di Cristo, nostro Padre, cosa dice a Cristo, se non che è nostro fratello? Eppure, non è il Padre di Cristo così com’è nostro Padre. Cristo stesso, presentandoci con Lui davanti a questo Padre comune, ha sempre mantenuto la distinzione tra Lui e noi. Egli è il Figlio uguale al Padre; noi siamo stati fatti tali dal Figlio, adottati da questo “Unico”. Ecco perché nessuno ha mai sentito Gesù Cristo Nostro Signore parlare ai suoi discepoli di Dio, suo Padre, e dire di Lui: Padre nostro. Ha detto: o il Padre mio o il Padre vostro. Il Padre nostro è quanto non ha da nessuna parte detto; è una verità così indiscutibile che in una data circostanza in cui doveva esprimere sia la sua relazione con il Padre che la loro, ha detto: Salgo al mio Dio e al vostro Dio; Padre mio e Padre vostro. Vedete: unisce ma distingue; distingue ma non separa. Vuole che siamo uno in Lui; ma vuole essere uno con suo Padre » (S. Aug. Tr. XXI in Joan, n. 3). – O gloria incomparabile del Primogenito! Oh, la stupefacente elevazione della famiglia umana, rigenerata in Cristo! È veramente essa che può dire in tutta verità: « Ipsius enim et genus sumus » (Atti XVII, 28-29). Sì, io sono della razza di Dio e porto sul volto della mia anima il carattere di una così alta fratellanza. Vedendomi, il Padre può contemplare in me le sembianze del suo Unico, e di conseguenza versare su questa povera creatura un fiume dell’oceano d’amore in cui avvolge il Figlio della sua dilezione.

2. – Finora non abbiamo affatto considerato Gesù Cristo se non nella eterna filiazione senza dare alcuna speciale attenzione alla sua santa umanità. Quanto più intimo e dolce diventa questo carattere di fratellanza quando contempliamo in Gesù Cristo il Figlio di Dio diventato Figlio dell’uomo attraverso l’incarnazione. È a questa considerazione che il grande Apostolo ci invita all’inizio della sua epistola agli Ebrei. Ascoltiamolo per la nostra più grande consolazione: « Dunque – egli dice – poiché i figli sono stati partecipi della carne e del sangue, Egli stesso ne è stato allo stesso modo partecipe, affinché con la sua morte distruggesse colui che aveva il dominio della morte, cioè il diavolo, e liberasse coloro che la paura della morte aveva sottomesso per tutta la vita alla schiavitù. Poiché Egli non discende dagli Angeli, ma dal seme di Abramo; perciò doveva essere in tutto e per tutto come i suoi fratelli… » (Hebr. II, 14-17). Aveva già detto qualche riga prima: « Era opportuno che Colui attraverso il quale e per il quale tutte le cose sono, che voleva condurre molti figli alla gloria, consumasse con la sofferenza l’Autore della loro salvezza. Perché Colui che santifica e coloro che sono santificati discendono tutti da uno solo; perciò non si vergogna di chiamarli fratelli » (Ibid., II, 10. 11). Eccolo, questo primogenito, questo primogenito della famiglia dei Santi, che si offre a noi sotto un nuovo aspetto. Io ero suo fratello, perché sono il figlio adottivo di Dio; Egli diventa mio fratello in modo nuovo, poiché è disposto ad assumere la mia carne e a discendere come me dallo stesso padre mortale. Il maggiore della famiglia di Dio diventa il maggiore della famiglia umana; di conseguenza, è il fratello degli uomini, come non lo è degli Angeli, non solo perché gli Angeli non sono stati rigenerati nel suo sangue, ma anche perché, dando loro una parte della sua natura divina, non si è rivestito della loro natura angelica. Così siamo fratelli a Lui in modo intimo; e gli siamo anche fratelli in un modo più dolce ed amorevole. Che gioia è per noi vederlo come un piccolo bambino, avvolto in fasce e portato nel grembo di sua Madre; sentirlo, incoraggiato da Lei, balbettare le sue prime parole; contemplarlo infine come uno di noi, provato come siamo in tutto tranne che nel peccato (Hebr., II, 17-18; IV, 15)! Egli ha un cuore per amare e per compatire le mie pene; vedo le sue braccia aperte per stringermi al suo petto. Quando guardo questa natura divina in Lui, alla quale partecipo per il dono della grazia, non dimentico che sono entrato con Lui per adozione nella società del Padre (I Giovanni I, 3). Ma proprio questa grandezza, che è la mia gloria, mi ispira non so qual timore. O Gesù, come avete indovinato bene ciò di cui la mia debolezza aveva bisogno per darmi fiducia e attirarmi tra le vostre braccia fraterne, quando, senza deporre la forma di Dio, vi siete annientato fino a prendere la mia forma, quella di schiavo (Fil. II, 6-7). Tanto più che non vi è bastato scegliere una Madre della nostra razza e del nostro sangue. Per un prodigio di bontà ineguagliabile, ci avete dato questa Madre, benedetta tra tutte le donne, per essere nostra Madre. Voi eravate il primogenito del Padre in mezzo ai figli d’adozione: Voi siete diventato il primogenito della Vergine, e noi siamo dopo di Voi e attraverso di Voi i figli di Maria. Lo confesso, e darei tutto il mio sangue per sostenerlo, Ella è la Madre di Dio; ma ripeto con un cuore solo, Ella è anche mia Madre. Perciò, o Gesù, siamo doppiamente fratelli, e Voi siete doppiamente il mio primogenito! Come potrei non amarvi, così vicino a Voi, così pieno delle vostre misericordie, cullato, per così dire, con Voi, nelle braccia e nel seno di una Madre comune, e che Madre! – Sento intorno a me parlare di fratellanza universale. Dio sa cosa ci sia nel cuore di tanti Apostoli che lo predicano, e come pratichino la dottrina che talvolta insegnano così tumultuosamente. Quello che so, quello che non può essere messo in dubbio da un Cristiano, è che la vera fratellanza, quella che ci onora, quella che non conosce invidia né cambiamento, quella, in una parola, che può rendere tutti i cuori un solo cuore, tutte le anime un’anima sola, è la fratellanza in Cristo. Un solo Padre, una sola Madre, un solo Fratello, il primogenito di entrambi, che ci avvolge nello stesso amore e ci riunirà un giorno, eredi della stessa gloria, allo stesso banchetto eterno: cosa serve di più per avere un popolo di fratelli?

CAPITOLO IV

Dei rapporti tra i figli adottivi e la Seconda Persona. Nostra incorporazione nel Cristo. Conseguenze dogmatiche e pratiche.

1. – Essendo fratelli di Gesù Cristo, poiché figli dello stesso Padre in cielo, possiamo aspettarci un’unione più stretta con Lui? La ragione, nella sua ignoranza di misteri così profondi, risponderebbe di no. Ma appartiene alla fede rivelarci un legame ancora più intimo tra il Figlio per natura ed i figli per adozione, e mostrarci così la mirabile eccellenza della nostra filiazione divina. Dio, dunque, nella sua infinita condiscendenza per gli uomini, si degnò di incorporarli nel suo Unico, oggetto eterno della sua compiacenza, per includerci con Lui in uno stesso amore paterno. « Io in loro e Tu in me, affinché si consumino in uno solo; e il mondo sappia che Tu mi hai mandato e che li ami come hai amato me » (Gv., XVII, 23). Di Lui e di noi ha fatto un solo corpo, di cui suo Figlio è il capo e noi le membra. È l’Apostolo che lo afferma per noi: « Per quanto numerosi – egli dice – siamo in Cristo Gesù un solo corpo, e tutti membra gli uni degli altri » (Rom. XII, 5, Of. S. Leon. M. Serm. in Nativ., D. 3 C. 5). Gesù Cristo, capo e testa dei Cristiani, ma chi vi ci pensa seriamente? Chi comprende l’importanza e la realtà di questa incorporazione in Cristo? Non pensiamo che meditare su questo nuovo mistero ci allontani dal nostro soggetto principale, cioè il beneficio dell’adozione divina. S. Paolo, parlando del Sacramento del Battesimo, usa un’espressione ben rimarchevole: « In Lui (Gesù Cristo) noi siamo stati battezzati » (Gal. III, 27). Tra i significati che si possono trovare in questo testo, voglio conservarne qui solo uno, perché si presta meravigliosamente alla presente questione. Siamo stati battezzati in Cristo, dice; e quindi, poiché il Battesimo è la rigenerazione spirituale che ci rende figli di Dio, noi siamo nati alla vita divina nel Cristo. Perciò, se volete trovare il battezzato, il nuovo figlio di Dio, uscito vivo e puro dalle acque del Battesimo, non cercatelo fuori di Cristo: perché è in Lui, vivificato dal suo Spirito, carne della sua carne, osso del suo osso, parte integrante del suo Corpo mistico. Questa è una magnifica e toccante dottrina che San Paolo ha spiegato divinamente sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. Chiedetegli il perché di Apostoli, profeti, evangelisti, pastori e insegnanti? « Perché lavorino per la perfezione dei Santi, per l’opera del ministero, per l’edificazione del Corpo di Gesù Cristo » (Ef., IV, 11, 12). E quando finirà questa grande opera? « Quando saremo giunti all’unità della stessa fede e conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, alla misura dell’età della pienezza di Cristo  » (Ibid., 13). In altre parole, quando il Corpo di Cristo, attraverso l’adesione e lo sviluppo di tutti i suoi membri, avrà la pienezza dell’uomo perfetto che deve raggiungere, in virtù delle preordinazioni paterne. Fino ad allora il corpo di Cristo è incompiuto; è un corpo in formazione. « Io vi genero di nuovo, figlioli miei, finché il Cristo sia formato in voi » (Gal., IV, 19), scrive ancora San Paolo ai Galati. È la stessa idea che esprimeva ai fedeli di Efeso. Il corpo naturale di Cristo è da tempo pienamente sviluppato. Per lui, non c’è nessun altro cambiamento, nessuna crescita, nessun perfezionamento possibile, da quando è uscito dalla tomba vivo e glorioso. Ma quest’altro Corpo, che il Figlio unigenito sta modellando nel seno della Chiesa, Sposa immacolata del suo Spirito, è più nobile nella sua sostanza, più vasto nella sua estensione; questo Corpo, per il quale si è degnato di rivestirsi del primo, deve essere l’opera dei secoli. Cristo è formato e cresce in noi; noi cresciamo nel Cristo (I. Pet., I, 2), e si può dire in un senso molto vero della crescita soprannaturale che avviene nell’unione delle membra con il Capo, che è come un accrescimento di Dio, del Dio incarnato, incrementum Dei (Col., II, 19). Per coloro che conoscono le sacre Scritture, queste considerazioni, così gloriose per noi, non avranno nulla di straordinario o di forzato. Se noi camminiamo nelle vie divine, se siamo saldi nella fede, vivi nell’amore, è nel Cristo (Ibid., 6, 7); e viceversa; è Lui che soffre è Lui che si perseguita in noi (Atti, V).

2. – Nessuno, dopo l’Apostolo San Paolo, ha sviluppato così frequentemente e così eloquentemente questa dottrina come Sant’Agostino in quasi tutte le sue opere. Tra centinaia di testi, permettetemi di scegliere il suo commento a queste parole di Nostro Signore in S. Giovanni, per la ragione che è originale e meno conosciuto di altri: « Il Padre ama il Figlio, e gli mostra tutto ciò che fa, e gli mostrerà opere ancora più grandi, perché siate in ammirazione » (Gv. V., 20). « Ascoltiamolo come Fratello dopo averlo ascoltato come Creatore: Fratello, perché è nato dalla Vergine Maria; Creatore prima di Abramo, prima di Adamo, prima della terra, prima del cielo, prima di tutte le cose corporee e spirituali… Se, dunque, sappiamo che Colui che ci parla è sia Dio che uomo, distinguiamo tra le parole del Dio e quelle dell’uomo: perché a volte ci dice ciò che è appropriato alla maestà divina, e a volte ciò che è appropriato alla bassezza umana. È grande Colui che si è fatto così piccolo perché noi potessimo elevarci dalla nostra piccolezza alla sua grandezza. – « Che cosa dice Egli allora? Il Padre mio mi mostrerà cose più grandi, in modo che voi siate in ammirazione. Deve dunque mostrarli a noi, non a se stesso, poiché aggiunge: sarete in ammirazione. Ma perché allora dice: Il Padre mostrerà al Figlio, invece di dire: … vi mostrerà? Perché noi siamo le membra del Figlio, e ciò che le membra apprendono, lo impara Egli stesso in un certo senso (È dalla stessa idea che certi Padri pensavano di poter rispondere agli eretici che si basavano su due passi del Vangelo per negare a Nostro Signore una conoscenza perfetta, la scienza divina. Se cresceva in se stesso, dicevano; se ignorava il giorno del giudizio finale, è perché questa crescita ed ignoranza non si addicono a Lui, ma ai membri del suo corpo mistico – Marco, XIII, 42; Luca, I, 52 – non ho bisogno di dire che questa soluzione non sia comune, e che i Padri ce ne abbiano date di più soddisfacenti). Egli soffre in noi; perché non dovrebbe apprendere in noi? Ma chi ci dimostra che soffre in noi? La voce dal cielo: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Ricordiamoci che nell’ultimo giorno, dopo che come Giudice avrà posto i giusti alla sua destra e i peccatori alla sua sinistra, dirà: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete il regno; perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare… E quando risponderanno: Ma, Signore, quando ti abbiamo visto affamato, egli dirà loro: Quello che avete dato a uno di questi più piccoli, lo avete dato a me. « Allora interroghiamolo anche noi per domandargli: Signore, quando avete imparato Voi, il Maestro universale? E sentiremo la risposta nella nostra fede: Quando uno dei miei piccoli impara, Io stesso imparo in lui. Allora congratuliamoci con noi stessi, offriamo azioni di grazie: noi siamo diventati non solo Cristiani, ma il Cristo. Capite, fratelli miei, la grazia di Dio su di noi? Ammiriamo e gioiamo: siamo diventati il Cristo! Lui è il capo; noi siamo le membra; l’uomo intero: Lui e noi. Christus facti sumus. Si enim caput ille, nos membra; totus homo, ille et nos. Questo è ciò che dice l’Apostolo Paolo: Finché non raggiungiamo lo stato dell’uomo perfetto, la misura dell’età della pienezza di Cristo… La pienezza di Cristo è dunque il Capo e le membra. Cos’è la testa e quali sono le membra? Cristo e la Chiesa. Una pretesa scioccamente orgogliosa, se Egli stesso non si fosse degnato di prometterci questa gloria, quando per bocca dello stesso Apostolo disse: Voi siete il corpo di Cristo e le sue membra (I Cor., XII, 27). – « Quindi ciò che il Padre mostra alle membra di Cristo, lo mostra al Cristo stesso. Grande meraviglia, ma tuttavia reale: si mostra al Cristo ciò che Cristo sapeva, e gli viene mostrato dal Cristo, perché è la Testa che mostra alle membra » (S. Aug. Tract. XXI in Joan, n. 8-9. 1). Non sto esaminando se il commento sull’interpretazione delle parole del Salvatore non sia un po’ sottile. Ciò che certamente non è sottile sono i principii proposti dal grande Vescovo, e così felicemente espressi. Non è raro sentire dalle labbra dei nostri oratori la nota formula: Christianus alter Christus; il Cristiano è un altro Cristo. – Senza guardare se la lettera di questa affermazione si trovi in un monumento autorizzato della Tradizione, mi sembra che sia meno forte e meno vera dell’altra affermazione fatta in precedenza da Sant’Agostino: « Noi siamo diventati non solo Cristiani, ma il Cristo. Perché questa preferenza? Perché c’è un solo Cristo, e quindi portare il nome di Cristo non significa essere nient’altro che Lui, entrare cioè nel suo Corpo ed essere parte delle sue membra. – Non trovo espressioni meno forti in un altro Dottore della Chiesa: Sant’Anselmo di Canterbury. « Quanto è grande, dunque, l’eccellenza del Cristiano, dal momento che può fare tali progressi in Cristo da portare il suo Nome! E questo fu il pensiero di quel fedele dispensatore della famiglia di Dio che disse: Noi Cristiani siamo tutti un solo Cristo in Cristo. E quale meraviglia, visto che Egli è il capo e noi il corpo; insieme marito e moglie; marito in se stesso, moglie nelle anime sante che Egli unisce con l’eterno vincolo dell’amore » (S. Anselmo, L. Medit, et Orat. Med., 1, n° 6). Inoltre, la comunicazione degli idiomi che la fede ci obbliga ad ammettere in Gesù Cristo Nostro Signore, come conseguenza necessaria dell’unione ipostatica tra il Verbo e la sua carne, la ritrovo in una certa misura nell’unione del Dio fatto uomo con il suo Corpo mistico. E prima di tutto, secondo la testimonianza delle Sacre Lettere, tutti i suoi misteri ci appartengono: misteri dolorosi, misteri gioiosi, misteri gloriosi. Se muore e viene sepolto, siamo stati battezzati con Lui (Rom., VI 2; Col., II, 12); se risorge, sale in cielo, siede alla destra del Padre suo, siamo chiamati alla vita, usciamo dal sepolcro, siamo elevati al cielo con Lui (Ef., I, 5-6). E d’altra parte, Egli completa con le nostre sofferenze ciò che manca alla sua passione (Col., I, 24); in noi persegue la totalità della sua eredità; i nostri dolori sono i suoi dolori; le nostre gioie, le sue gioie. Quando siamo perseguitati, è Lui stesso il perseguitato; il bene che ci viene fatto per causa sua, è Lui stesso che lo riceve (Atti IX, 4-5; ecc.). Egli è – dicono i Padri – qui in basso e su in alto: in alto col capo coronato dai raggi della gloria; qui in basso, con le sue membra che ancora si trascinano lungo i rudi sentieri della vita mortale. E noi stessi siamo sia della terra che del cielo, anche più ancora di questi e di quelli; perché sebbene noi membra siamo attaccati per un certo tempo alla terra, il nostro cuore e soprattutto la nostra testa, cioè la parte migliore e più nobile del Corpo a cui apparteniamo, è in cielo. È l’unione della Testa e delle membra che fa questo nell’unità dello stesso Corpo, il Cristo totale.

3. – Abbiamo spiegato a sufficienza il fatto della nostra incorporazione. Cerchiamo di spiegarne la natura; e, per farlo con maggior sicurezza di dottrina, prendiamo ancora una volta come guida San Tommaso d’Aquino (cfr. S. Thom., 3 p., q. 8, a. I, seq.; III D. 13, q. 2, ecc.). Dire di Nostro Signore che Egli sia il capo e che noi siamo le membra, non è solo affermare la sua sovrana regalità. Ne ho la prova nei testi stessi della Sacra Scrittura che ce lo presentano in questa veste. « Dio – dice l’Apostolo – ha messo tutte le cose sotto i suoi piedi, tutto ciò che ha un nome in cielo e sulla terra. Questo è il privilegio della sua regalità. Ascoltate ciò che segue: « E gli ha dato di essere il Capo di tutta la Chiesa, che è il suo corpo » (Ef., I, 21, 22). Così tutto è soggetto al suo potere, senza nemmeno escludere i demoni con i loro complici e le loro vittime; ma solo per la Chiesa Egli è un capo oltre che un re. Questo perché la testa, nel senso stretto della metafora, esprime un’intima influenza da parte del capo, e da parte dei membri una salutare dipendenza che non si trova nella nozione di padrone, e nemmeno in quella di re. Inoltre, in quale lingua si è mai detto che i sudditi siano i membri del loro sovrano, e che ognuno di loro abbia il principe per capo? Sarebbe, è vero, manifestamente infantile immaginare, tra Nostro Signore e il Suo corpo, un’unione in tutto e per tutto simile a quella che lega le varie parti del corpo umano al capo. Nessuno ignora, a meno che non sia cieco in materia di fede, che non ci sia identità di persona né unità di natura tra Gesù Cristo e noi; e di conseguenza, che noi non siamo e non possiamo essere un corpo fisico e materiale di cui Gesù Cristo è il capo. Ma, d’altra parte, sarebbe troppo poco vedere in questo, solo un’unione morale, come lo sono tra gli uomini le unioni basate sui diritti ed i doveri reciproci, e il perseguimento dello stesso fine sotto un’autorità comune. Ed è per questo che la Chiesa non è solo il corpo morale di Gesù Cristo; è chiamata il suo Corpo mistico, affinché la singolarità stessa del nome ci avverta che questo corpo e la relazione in cui si trova con il capo non hanno equivalenti né tra gli esseri materiali né tra i composti dell’ordine morale a noi noti. A questa prima osservazione ne aggiungo una seconda, ugualmente necessaria per la comprensione della dottrina da sviluppare. È che non si tratta di una semplice appropriazione. Ciò che affermiamo del Dio fatto uomo chiamandolo nostro capo è esclusivamente proprio, nel senso in cui parliamo, della seconda Persona, poiché, essendosi rivestito della nostra carne, solo Lui ha in proprio ciò che gli è proprio nella carne. – Fatte queste osservazioni preliminari, studiamo le relazioni della testa con il corpo e le membra in un essere vivente, poiché la verità che stiamo meditando ci viene offerta sotto questa analogia. La testa si distingue dalle altre membra per tre proprietà principali. Primato della posizione; perché è la testa che nell’organismo umano si eleva sopra tutto il corpo e lo domina con tutta la sua altezza. Primato dell’attività vitale: solo essa possiede la sensibilità in tutta la sua pienezza. Sotto di essa non trovo altro senso che quello del tatto, mentre essa li concentra tutti senza che ne manchi uno. È il primato dell’influenza: è, infatti, attraverso i fasci nervosi di cui è il centro e il punto di partenza, che riversa, come attraverso tanti canali, movimento e sensibilità in ognuna delle altre parti del nostro organismo. E queste sono anche le tre qualità principali che fanno di Gesù Cristo il nostro capo, o meglio, la nostra testa. A Lui spetta il primato dell’elevazione e della grandezza; perché, se ha come noi la natura umana, questa stessa natura non è il primato nell’ordine della vita soprannaturale, poiché tutti i tesori di sapienza e di santità, tutti i doni dello Spirito Santo, tutti i tipi e le forme di grazia che possono fluire dal seno di Dio su una natura creata, sono uniti in Lui in una pienezza ineffabile e quasi infinita. A Lui appartiene il primato dell’influenza: nell’ordine soprannaturale, tutto emana da Lui. Qualunque beneficio la bontà divina conceda alle anime e ai corpi, e con qualunque nome lo si voglia chiamare, riconciliazione, remissione dei peccati, potere di fare opere degne del cielo, glorificazione finale, non ce n’è uno che non sia il prezzo dei suoi meriti, nessuno che non dipenda molto dalla sua influenza necessaria (Gv. XV, 4-6): tanto che, se il vincolo che ci lega a Lui si spezzasse del tutto, cadremmo avvizziti e morti, come un ramo separato dal tronco che lo nutre e lo vivifica » (S. Thom. in ep. ad Col, c. 1, lect. 3. Cfr. 1 p., q. 8, tot. Cum II. paral.). – Aggiungiamo, per completezza, che questa relazione delle membra con il capo comporta gradi di perfezione molto diversi, secondo la misura delle grazie e la condizione attuale delle persone che le ricevono. Senza menzionare quegli sfortunati che sono eternamente tagliati fuori dal Corpo di Cristo, così da morire nell’impenitenza finale, ci sono alcuni che sono uniti a Gesù Cristo, il loro capo, solo in potenza e per destinazione: sto parlando di coloro che nessun legame, nemmeno quello della fede, unisce al Capo divino. In altri, come i peccatori che credono e sperano, ma non hanno ancora ricevuto la grazia santificante e la carità attraverso la giustificazione, l’unione è ancora solo in abbozzo. Per essere perfetti, sii ha bisogno del nodo sacro dell’amore divino. La coesione del capo con le membra, dei Cristiani con il Cristo, avrà la sua suprema perfezione solo nella gloria, perché è solo lì che il capo influenza in ogni membro tutta la perfezione della vita soprannaturale, e che le membra sono unite al loro Capo da legami eternamente indissolubili.

4. – I teologi si chiedono se si possa dire che gli Angeli abbiano come capo Gesù Cristo, così come gli uomini. La risposta non può essere messa in dubbio. «  In Gesù Cristo – dice l’Apostolo – abita tutta la Divinità corporalmente, e voi siete riempiti in Lui, che è il capo (la testa) di ogni potenza e principato », cioè, manifestamente, delle Gerarchie angeliche  (Col. II, 9-10). All’inizio della sua epistola agli Efesini, San Paolo ci ricorda ancora più magnificamente la stessa idea, quando dice che Dio « si è proposto di ricapitolare nel suo Cristo ciò che è in cielo e ciò che è sulla terra », cioè gli Angeli e gli uomini (Ef., 1, 10). La Vulgata, è vero, usa la parola ripristinare; ma per rendere la piena forza del termine greco ἀυακεφαλαιῲσασθαι (=auakefalaiosastai), è con ricapitolare che deve essere tradotto. Ora cos’è ricapitolare, se non riportare allo stesso capo (caput), e riunire sotto lo stesso principio ciò che prima era sparso e diviso. – Così Gesù Cristo Nostro Signore è il Capo adorato, sotto il quale la terra e il cielo, l’Angelo e l’uomo, uniti nella comunione dello stesso Corpo mistico, compongono in vari modi la Chiesa universale di Cristo. « Voi lo sapete – dice S. Agostino su questo argomento – voi lo confessate che il nostro Capo è Cristo, e noi siamo il corpo di questo Capo. Ma la saremmo noi soli, ad esclusione di coloro che ci hanno preceduto? Tutti i giusti, fin dall’inizio del mondo, hanno avuto Gesù Cristo come Capo. Noi crediamo che sia venuto; loro credevano che un giorno sarebbe venuto. La fede che ci giustifica li ha guariti. Egli è dunque il Capo di tutta la città santa, di quella Gerusalemme che nel suo vasto seno deve includere tutti i fedeli, dal principio del mondo fino alla fine dei secoli, e non solo gli uomini, ma tutte le legioni e gli eserciti degli Angeli. E così ci sarà una sola città sotto un solo Re, un solo impero con un solo Imperatore, in pace nella salvezza eterna, lodando Dio senza fine, e senza fine beato » (S. Aug., serm, 3 in ps. XXXVI, n° 4; cfr. de Catech. Rud., c. 19, n° 33). Anche se gli spiriti angelici appartengono come noi al Corpo mistico di Gesù Cristo, bisogna ammettere che non hanno lo stesso diritto che abbiamo noi di proclamarlo loro Capo. Una delle ragioni è che solo noi siamo uniti a Lui in una comunità di natura, poiché Egli è uomo come noi. Quindi l’analogia non può avere per gli spiriti puri tutta la verità che ha per noi, grazie a questa somiglianza che ci è propria. Una seconda ragione, non meno forte secondo me, anche se molti teologi la contraddicono, è fondata sulla disuguaglianza di influenza esercitata dal Verbo fatto carne, sugli Angeli e sugli uomini. Per quanto ci riguarda, tutto quello che possiamo avere di buono nell’ordine della grazia e in quello della gloria, lo abbiamo da Gesù Cristo. Tale non sarebbe la condizione degli spiriti angelici, secondo la testimonianza di San Tommaso (S. Thom, III. D. 13, q. 2, a. 2) e dei teologi che sono più strettamente legati alla sua dottrina. Gli Angeli non ricevettero né la sostanza della loro grazia né quella della loro gloria dal Dio fatto uomo, perché la loro santificazione non entrò, allo stesso modo della nostra, nel consiglio eterno che ci diede l’incarnazione del Verbo. « Porgete l’orecchio al Vangelo. Il Figlio dell’Uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perito. Se l’uomo non fosse morto, il Figlio dell’uomo non sarebbe venuto nel mondo » (S. Aug., serm. 174). Questo è ciò che dice costantemente Sant’Agostino, e non conosco nessun Padre greco o latino che, sullo stesso argomento, non fosse in pieno accordo con lui. Gli stessi la cui testimonianza è talvolta citata a sostegno dell’opinione contraria, sono anche in accordo con lui. S. Atanasio e S. Cirillo di Alessandria, per esempio, vi si rivoltano contro, quando, invece di tagliare questo o quel frammento dai loro testi, li riportano nella loro interezza. Il sentimento opposto si presta senza dubbio a magnifici sviluppi oratori, e questa è forse una delle cause principali della sua fortuna. Ma se si crede con il Dottore Angelico che nelle questioni in cui tutto dipende dalla libera volontà di Dio, è alla sola rivelazione di Dio che bisogna chiedere le soluzioni, difficilmente si esiterà a non schierarsi con la sua opinione, cioè con quella dei Padri e dei Dottori più antichi. – Ora, per tornare al nostro argomento, insegnare che la salvezza degli uomini o, il che equivale alla stessa cosa, la gloria di Dio realizzata nella nostra salvezza, è l’unico motivo determinante dell’incarnazione, è affermare in modo equivalente che la beatitudine e la santità degli Angeli non sono di Gesù Cristo, (Ciò che diciamo della grazia degli Angeli deve essere inteso allo stesso modo della giustizia originale con cui piacque a Dio di arricchire il nostro primo padre al momento della sua creazione: giustizia che avrebbe dovuto essere nostra fin dal primo momento della nostra vita, se la colpa originale non avesse invertito questo primo ordine della provvidenza. Da qui la distinzione così spesso fatta tra la grazia di Dio e la grazia di Cristo: vale a dire, tra la grazia concessa fin dall’inizio al genere umano nel suo insieme, e la grazia di riparazione meritata dalla passione del Salvatore). Questo, tuttavia, non porta alla conclusione che Gesù Cristo non sia il capo (caput) degli Angeli: poiché Egli conserva su di loro il primato di dignità, potenza e pienezza (Hebr. I, 4-7). Il primato stesso dell’influenza non è sterile nei loro confronti. Riuniti, annessi a noi sotto il suo impero onnipotente, principi della corte del re Gesù, partecipano al fulgore che scaturisce dal suo trono; decimati un tempo dalla rivolta di lucifero, vedono per mezzo di Lui la ricostituzione delle loro falangi; gloriosi ministri dei suoi disegni di salvezza degli uomini, ricevono da Lui comunicazioni, direi confidenze speciali, che sono una nuova luce per la loro intelligenza (Hebr. I, 7, 14); e, per dire tutto in una parola, Gesù Cristo nella sua umanità diventa la loro beatitudine accidentale. « Gli Angeli – diceva Bossuet parlando della Chiesa – sono i ministri della sua salvezza; e attraverso la Chiesa si fa il reclutamento delle loro legioni desolate dalla diserzione di satana e dei suoi complici. In questa assunzione, non siamo tanto noi che siamo incorporati agli Angeli, quanto gli Angeli che confluiscono nella nostra unità, a causa di Gesù Cristo nostro Capo comune, più nostro che loro » (Bossuet. Lettera a una giovane donna di Metz). – Può sorprendere che parlando, come ho fatto, degli elementi che costituiscono il Corpo di Cristo, e della vita che circola dal capo alle membra, non abbia detto nulla dello Spirito Santo, lo Spirito del Figlio, anima e cuore di questo Corpo mistico. La mia scusa è che sarebbe stato necessario sviluppare qui troppo a lungo considerazioni che troveranno il loro posto naturale nei capitoli seguenti. Ciò che diremo allora basterà pienamente a farci capire quale sia il ruolo dello Spirito santificatore e vivificatore nel corpo e nelle membra (cfr. inf. L. VI, c. 6).

5. – Conclusioni dogmatiche. Questa incorporazione del Cristiano in Gesù Cristo è così considerevole che San Paolo e i Padri non hanno temuto nel definirla come uno dei fondamenti più solidi della nostra fede. Infatti – così argomenta l’Apostolo – se non c’è risurrezione, se dunque abbiamo speranza in Gesù Cristo solo per questa vita, siamo i più miserabili di tutti gli uomini. Perché? Perché se i morti non risorgono, nemmeno Gesù Cristo è risorto. E se Gesù Cristo non è risorto, la predicazione apostolica è vana, e così la nostra fede: siamo ancora nei nostri peccati. Ma qual è il fondamento di una connessione così necessaria tra la risurrezione dei morti e quella di Gesù Cristo, che la negazione della seconda comporti il rifiuto della prima? È, in una parola – risponde S. Paolo – che i « nostri corpi sono le membra di Cristo » (I Cor. VI, 14, 15). Non vedremo questa mostruosità di una testa vivente coronata di gloria con membri, incorporati in questa testa, che sono l’eterna preda della decadenza e dei vermi. Non proseguirò oltre questa prima conclusione, perché dovremo riprenderla quando ci occuperemo della resurrezione finale. – Una seconda conclusione, non meno dogmatica né meno certa, è la necessità di appartenere alla Chiesa per ottenere la salvezza eterna. « Voi mi chiedete –  scrive Bossuet – che cosa sia la Chiesa? La Chiesa è Gesù Cristo diffuso e comunicato; è Gesù Cristo nella sua interezza, è Gesù Cristo uomo perfetto, Gesù Cristo nella sua pienezza » (Bossuet, Lettera a una giovane donna di Metz.). Egli aveva imparato questa risposta da San Paolo, che la dà, direi quasi a sazietà, nelle sue lettere. « Dio – dice questo Apostolo – ha messo tutte le cose sotto i piedi di Cristo e lo ha posto come capo (caput, capo) di tutta la Chiesa, che è il suo corpo e la sua pienezza » (Ef., II, 22-23). La Chiesa è il corpo e noi le membra: « Perché come il corpo è uno solo e ha molte membra, e le membra del corpo, pur essendo molte, sono un solo corpo, così è Cristo » (I Cor., XII, 12). Su questo San Giovanni Crisostomo fa la seguente osservazione: « Sembrerebbe che si sarebbe dovuto dire: Così è la Chiesa »; e l’Apostolo, invece della parola Chiesa, usa la parola “Cristo”. È come se dicesse: « Così è il corpo di Cristo, che è la Chiesa » (S. Giovanna Crisostomo in I Cor., hom. 30, n. 1). S. Agostino nelle sue Regole per l’interpretazione delle Scritture, nell’articolo: “del Signore e del suo corpo“, dà conto del modo di parlare che S. Paolo usa in questo luogo. Ricordando – dice – che per capo e corpo, Cristo e la Chiesa, la Scrittura intende una sola e medesima persona, non turbiamoci quando passa dal capo al corpo o dal corpo al capo: discerniamo ciò che sia appropriato al Capo, cioè a Cristo, e ciò che sia appropriato al corpo, cioè alla Chiesa » (S. Aug. de Doct. Christ, L. I, c. 31). Da questa relazione tra Cristo e la Chiesa, il Capo e il corpo, segue chiaramente che nessuno è incorporato a Cristo se non è incorporato alla Chiesa. Può un membro di Cristo essere separato dal corpo di Cristo? Ecco perché il Battesimo, rendendoci membri di Gesù Cristo, ci rende anche membri della Chiesa. Se è vero che la Chiesa ci genera come suoi figli quando ci battezza, questa nascita è unica in quanto la madre conserva nel suo seno i figli che vi forma. Lasciare il suo grembo non sarebbe andare nella luce per respirare liberamente, ma nelle tenebre per morirci. Così l’unigenito Figlio di Dio, concepito da tutta l’eternità nel Padre, rimane eternamente nel seno dello stesso Padre – Unigenitus qui est in sinu Patris (Joan. I, 18), – e la sua venuta nel mondo, facendolo uno di noi nella nostra natura umana, non lo strappa per un momento da queste profondità divine. – Coloro che, per la sfortuna della loro nascita o per qualsiasi altra ragione, ricevono il Battesimo esternamente al di fuori della Chiesa, nascono in essa e per mezzo di essa, e rimangono uniti ad essa come membri del corpo, nella misura in cui sono uniti a Gesù Cristo stesso: tanto è vero che una incorporazione non va senza l’altra, o, per parlare più precisamente, che c’è una sola e medesima incorporazione. Sostenere dopo questo che si possa essere salvati senza appartenere alla Chiesa è sostenere che si può essere un membro di Cristo senza appartenere al suo Corpo, o che si possa vivere la vita di Cristo e partecipare un giorno alla sua felicità e gloria senza averlo avuto per Capo: due proposizioni ugualmente insostenibili. – E non ditemi che ci sono Santi in cielo che non hanno mai conosciuto né la Chiesa né il suo Battesimo. La stessa Chiesa da cui traggo questo assioma: “fuori della Chiesa non c’è salvezza”, mi insegna anche che, per essere interiormente nella Chiesa, non sia sempre indispensabile essere esteriormente parte della Chiesa. Questa madre ha dei figli secondo lo spirito, che il suo Sposo divino le dà senza che essa li riceva nelle sue braccia di carne, e dei quali potrà dire in cuor suo, il giorno delle grandi manifestazioni: “Quis genuit mihi istos? ego sterilis et non pariens… et istos quis enutrivit? (Isa. XLIX, 21). Qui ci sono figli che sono miei. Pensavo di essere sterile per loro. Chi me li ha dati, chi me li ha nutriti? Lo Spirito Santo che, operando nelle loro anime al di fuori dei mezzi ordinari che avrebbero usato, se li avessero conosciuti, li mette invisibilmente nel seno della Chiesa, e similmente li inserisce nel Corpo di Cristo. – Una terza conseguenza della nostra incorporazione è la molteplicità delle grazie, dei doni e dei ministeri che Dio distribuisce tra i membri della Chiesa militante. Un corpo in cui tutte le parti fossero uguali, in cui tutte avessero le stesse funzioni e lo stesso fine, non potrebbe che essere una massa informe e senza vita. La bellezza armoniosa del mondo fisico non è forse dovuta alla diversità degli esseri che lo compongono? E si può concepire un corpo vivente in cui tutti i membri si distinguano solo per la loro posizione nello spazio? Non ci sarebbe nessun ordine, nessuna armonia; nessun organismo e nemmeno bellezza, perché non ci sarebbe unità nella varietà. Era dunque Dio, l’artista infinitamente perfetto, di cui la Chiesa, il Corpo di Cristo suo Figlio, è l’opera più meravigliosa dopo Cristo stesso, a seminare in essa a profusione i diversi tipi di doni e usi soprannaturali? Ha fatto Egli questo? Leggete la risposta in S. Paolo (1 Cor. XII, tot.), e ditemi se fosse stato possibile fare una distribuzione più abbondante, o descriverla in termini migliori. Ecco le grazie gratuite, cioè le prerogative che vanno meno direttamente alla santificazione personale del soggetto che all’utilità di tutto il corpo: il dono della profezia, il dono delle lingue, il dono delle guarigioni miracolose, il discernimento degli spiriti, e il resto che si vede nel testo indicato dall’Apostolo. Qui, invece, ci sono le funzioni gerarchiche: diaconi, semplici pastori, Vescovi, in una parola, tutto il Ministero sacro. Infine, ci sono le disuguaglianze nella grazia, cioè nella santità. Sebbene sia volontà di Dio che tutti diventiamo Santi (1 Tess., IV, 3), non è meno vero che Egli non dispensi uniformemente i tesori della Sua grazia. « La causa di questa diversità – dice San Tommaso (San Tommaso, 1. 2, q. 112, a. 4) – si trova in parte nell’uomo: infatti, secondo che egli si prepari più o meno perfettamente alla grazia (santificante), la riceve anche in misura maggiore o minore. Tuttavia, non è nella creatura che dobbiamo cercare la prima ragione della disuguaglianza: perché la preparazione alla grazia viene dall’uomo solo nella misura in cui il suo libero arbitrio sia esso stesso preparato da Dio. Bisogna dunque risalire a Dio per arrivare alla causa suprema di questa diversità; a Dio che dispensa i tesori della sua grazia in modo disuguale, affinché proprio da questa gradazione derivi la bellezza e la perfezione della sua Chiesa. Ed è per questo che l’Apostolo, dopo aver detto che la grazia sia stata data a ciascuno di noi secondo la misura del dono di Cristo (Ef. IV, 7), conclude la sua enumerazione delle varie grazie in questo modo: « per la consumazione dei santi, per l’edificazione del corpo di Cristo » (Ib., 12). A chiunque mi chiedesse perché, in questa disuguaglianza provvidenziale, uno riceva meno, l’altro più, quando entrambi sono ugualmente capaci di ricevere i doni di Dio, ed ugualmente privi del diritto di esigerli, leggerei la risposta data da San Paolo a una domanda simile: « Quanto sono profondi i tesori della sapienza e della conoscenza di Dio, quanto sono incomprensibili i suoi giudizi e imperscrutabili le sue vie! Perché chi ha conosciuto il proposito del Signore e chi è stato il suo consigliere? » (Rom., XI, 33-34,2). Ci basti sapere che per tutti questi gradi di grazia, di ministeri, di santità, di virtù, concessi alle sue membra, Gesù Cristo si completa nel suo Corpo mistico che è la Chiesa (Ef., I, 23). Lasciamo il resto all’Autore di tutti i doni, e non siamo così sciocchi da discutere le opere di Dio (Rom. IX, 20).

6. – È tempo di passare dall’insegnamento dottrinale alle conseguenze pratiche. Il primo di questi è una lezione di carità reciproca. Membri di uno stesso corpo, uniti sotto lo stesso Capo, chiamati per vocazione alla stessa speranza, con quale sollecitudine non dobbiamo sforzarci in ogni cosa e in ogni luogo di conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace? (Ef. IV, 2-5). Fomentare la discordia, non soffrire con chi soffra né gioire con chi gioisca, disprezzare le membra meno onorevoli agli occhi del mondo, negare l’onore o la legittima subordinazione ai più eccelsi, sarebbe introdurre il disordine nel Corpo organico di Cristo, disturbare la sua divina armonia, e renderci indegni di occupare il posto che ci è dato (1 Cor., XII, 21, e seguenti; Rom., XII, 4-20; Col, III, 14-46). S. Agostino, nelle sue lotte contro lo scisma dei donatisti, che al suo tempo desolò l’Africa, non conosce motivo più potente per combattere le divisioni e riportare i dissidenti all’unità che questa dottrina: La Chiesa è il corpo e Gesù Cristo il Capo. Chi separa i fedeli dalla Chiesa, non strappa la veste inconsuntile del Salvatore, ma il suo Corpo mistico. Questo è un crimine più enorme dello stesso omicidio, perché l’autore dello scisma versa il sangue delle anime, strappando le membra di Cristo e gettandole al nemico di Cristo (Sant’Agostino, passim). – Un’altra conclusione, più generale e non meno importante, ci è suggerita, o meglio, energicamente e frequentemente inculcata, da San Paolo. Questo pensiero: io sono un membro di Gesù Cristo, vi ritorna sempre nuovo, sia che voglia distoglierci da ogni azione malvagia, sia che voglia esortarci alle più alte virtù. « Non sapete – ci dice nella persona dei Corinzi – che le vostre membra sono le membra di Cristo? Ecché, io prenderei le membra di Cristo per farne strumenti dei più vergognosi piaceri? » (Cor., VI, 45.). E ancora: « Non sapete che le vostre membra (essendo del corpo di Gesù Cristo) sono il tempio dello Spirito Santo che è in voi? Perciò glorificate e portate Dio nel vostro corpo » (bid., 19-20), come Gesù Cristo lo ha glorificato nel suo. Un tempo, quando eravate della razza del diavolo, davate queste membra al peccato come strumenti di iniquità; ora che siete vivi nel Cristo vivente, offrite queste stesse membra a Lui come strumenti di giustizia (Rom. VI, 13). I vostri corpi sono le membra di Cristo, quindi mortificatele (Col. III, 5), e nella vostra carne compite ciò che manca alle sofferenze di Cristo (Col. I, 24). Non che la passione del Salvatore sia di troppo poco valore per la redenzione del mondo, né che abbia bisogno di essere completata, ma perché, se non manca nulla in Lui che è il Capo, finché non abbiamo sofferto, manca qualcosa in noi che siamo le membra. « Impletæ erant omnes passiones, sed in capite: restabant adhuc Christi passiones in corpore. Vos autem estis corpus Christi et membra », dice S. Agostino su questo passo (S. Aug. Enarr. in psalm. LXXXVI, n. 5). « Vi scongiuro dunque – fratelli miei – di offrire i vostri corpi come un’ostia vivente, santa e gradita a Dio » (S. Anselmo. L. Medit. et orat. med., 1, n. 5,). Questi sono i pensieri forti e salutari che l’Apostolo delle genti ha nutrito e che vuole che seguiamo sul suo esempio. Essi hanno trovato la loro eco nel cuore dei grandi Cristiani e nei racconti dei Padri e dei maestri di vita spirituale. Se solo Dio può sapere tutto ciò che il sentimento della nostra incorporazione in Gesù Cristo ha fatto nascere in virtù meravigliose, le opere ascetiche ci mostrano chiaramente quanto i loro autori l’abbiano sempre considerato molto efficace per elevare le anime e rafforzare i cuori.  « Voi, voi siete il corpo stesso di Cristo, è l’Apostolo S. Paolo che ce lo dichiara – scrive Sant’Anselmo nelle sue Meditazioni – quindi conservate sia questo corpo che queste membra con tutto l’onore loro dovuto. I vostri occhi sono gli occhi di Cristo: volgerete gli occhi di Cristo, che è la verità, alla vanità, alle sciocchezze e alle menzogne? Le vostre labbra sono le labbra di Gesù Cristo: le aprirete, non dico solo per parole cattive o calunniose, ma anche a discorsi inutili, a conversazioni frivole, queste labbra dedicate al servizio del vostro Dio e all’edificazione dei vostri fratelli? Con quanta vigilanza e riverenza dobbiamo governare tutti i nostri sensi e tutte le membra del nostro corpo, poiché il Signore stesso presiede come capo alla loro azione! ».

LA GRAZIA E LA GLORIA (26)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.