LA GRAZIA E LA GLORIA (22)

LA GRAZIA E LA GLORIA (22)

Del R. P. J-B TERRIEN S.J.

I.

Nihil obstat, M-G. LABROSSE, S. J. Biturici, 17 feb. 1901

Imprimatur: Parisiis, die 20 feb. 1901 Ed. Thomas, v. g.

TOMO PRIMO

LIBRO IV.

L’ABITAZIONE SINGOLARE DI DIO NELL’ANIMA DEI SUOI FIGLI ADOTTIVI. IL FATTO E LA NATURA DI QUESTA ABITAZIONE

CAPITOLO VI.

Due corollari da trarre dai capitoli precedenti; immanenza reciproca tra i figli adottivi e Dio loro Padre; realtà dell’adozione per i giusti vissuti prima di Gesù Cristo.

.I. – La fede ci insegna che il Padre e il suo Figlio unigenito, pur conservando la loro distinzione personale, siano tuttavia uno nell’altro. « Non credete che io sono nel Padre e il Padre in me? » (Joan. XIV, 10-11) Questa è l’immanenza misteriosa espressa tra i teologi con la parola Circuminsessione: il Figlio nel Padre, il Padre nel Figlio, l’uno e l’altro nello Spirito Santo, e lo Spirito Santo in entrambi. Lungi da noi l’interpretazione bassa e volgare che farebbe riposare il dogma di questa immanenza reciproca sull’immensità delle Persone divine. È nel doppio articolo della nostra fede, l’unità della natura divina e la distinzione delle ipostasi, che dobbiamo cercarne la ragione fondamentale. « Io e il Padre mio siamo uno », cioè una sola e medesima cosa (Gv. X, 30). Si veda la distinzione tra il Padre e il Figlio: “Io e il Padre mio“; ma vedi anche l’unità della natura: “noi siamo uno; unum sumus“. Da qui questa conclusione che il Salvatore ha tratto nella continuazione dello stesso discorso: « Il Padre è in me e Io sono nel Padre mio » (id. X, 38). Diciamo meglio: non è una conclusione, ma la stessa verità che Egli afferma in termini diversi: tanto è manifesto che l’unità di natura nel Padre e nel Figlio non si possa spiegare senza la loro reciproca immanenza, e che la stessa immanenza richieda questa stessa unità. – Ecco perché i Padri del IV secolo, nelle loro controversie con gli ariani, provarono la consustanzialità del Figlio con il Padre con queste parole del Maestro: Io sono nel Padre e il Padre è in me. « Dio – diceva il grande Vescovo di Poitiers, Sant’Ilario – Dio non è in una natura estranea alla sua; Egli abita nel suo Figlio, il Figlio generato dal suo seno: Dio in Dio, perché Dio è da Dio » (« Non enim Deus in diversæ atque alienæ a se naturæ habitaculo est, sed in suo atque a se genito manet: Deus in Deo, quia ex Deo Deus est ». – S. Hilar. de Trinit. L V n-40). Da tutta l’eternità, il Padre comunica la sua natura al Figlio, e la sua natura è nel Figlio; o piuttosto è il Figlio, come è inseparabilmente il Padre. La natura del Padre nel Figlio e la natura del Figlio nel Padre, cos’altro è se non il Figlio nel Padre e il Padre nel Figlio, poiché entrambi sono identici alla loro natura? – Dal mistero di immanenza che è in Dio, scendiamo al mistero di immanenza che dobbiamo considerare nella creatura divinizzata dalla grazia. « Chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui. » » (I Joan. IV, 16) (Anche qui, non ci appelleremo all’immensità dell’universo per avere l’intuizione di parole così divine e consolanti. Questo sarebbe, ancora una volta, sminuire il mistero; infatti, l’Apostolo S. Giovanni non affermerebbe del giusto ciò che è universalmente appropriato per ogni creatura. Ancor meno attribuiremo a non so quale ſusione di nature l’esistenza reciproca di Dio nell’uomo e dell’uomo in Dio: poiché immaginare solo una tale mescolanza, sarebbe follia, insegnarla sarebbe blasfemia. Cosa dovremmo fare allora? Ricordarci che Dio per grazia fa entrare i suoi figli adottivi nella partecipazione della sua stessa natura. Se l’Essere soprannaturale che Egli infonde nelle loro anime non è certo la sua stessa natura, è almeno però la più alta espressione creata di essa: tant’è che basta a costituire dei figli che portino l’immagine del Padre celeste, che vivano della Sua vita, dèi da Dio. Perciò, in quanto sono figli, la natura divina e Dio con la sua natura è in loro; e viceversa, essi stessi sono in Dio, poiché la natura di cui partecipano è la natura di Dio. « Filippo – disse Gesù – chi vede me vede il Padre. Come dici allora: mostraci il Padre? Non credete voi che Io sia nel Padre e il Padre in me?… Il Padre, che è in me, compie Egli stesso le opere ». (Joan. XIV, 9-19). Queste parole del Figlio unigenito, l’uomo giusto, figlio di adozione, soprattutto colui in cui le opere corrispondono alla nascita, può, in una certa proporzione, applicarle a se stesso, non certo per glorificare se stesso, ma per esaltare Colui che fa cose così grandi in lui. Chi mi vede conosce Dio, mio Padre, perché io sono uno specchio in cui brilla il volto divino, un ritratto di se stesso che Lui solo ha fatto in me, comunicandomi la sua grazia. Chi vede Dio vede me, se non nella mia individualità, almeno nell’ideale divino che ha contemplato e che si è degnato di riprodurre in me. E quando opero come figlio di Dio, quando non sono io che vivo, ma Gesù Cristo che vive in me, è Lui stesso dentro la mia anima che compie le opere per mezzo del Suo Spirito divino. – Mi si potrebbe forse obiettare che questo ragionamento cerchi di dimostrare che ogni padre è nel figlio e ogni figlio nel padre; la sostanza dell’uno non è più distinta dalla sostanza dell’altro di quanto la grazia, la natura partecipata, sia distinta dalla natura increata da cui deriva. Non voglio tanto meno contraddire questo fatto, poiché l’uso universale qui testimonia la voce del sangue. Quale padre c’è che non si senta ravvivato in suo figlio; e quale figlio c’è che non si senta onorato o ferito in suo padre? Confesso anche che, dal punto di vista della comunità di natura, l’unione di un padre mortale con suo figlio prevalga sull’unione dell’uomo giusto con il suo Dio. Ma, d’altra parte, quest’ultima unione si presenta con un privilegio incomparabile. Nell’ordine della natura, niente è più transitorio nel suo atto, che la comunicazione da parte di un padre a suo figlio della sua stessa sostanza. Ma quando si tratta del Padre che è Dio, l’azione generativa con la quale Egli procrea i figli adottivi, essendo sovranamente intima, è anche sovranamente permanente da parte di Dio, poiché solo il peccato può fermarne gli effetti. – I Padri, per darcene un’idea, la paragonano all’impressione di un sigillo su di una cera essenzialmente morbida. Se si vuole che la figura che si forma su questa cera a sua somiglianza rimanga lì, non si deve togliere il sigillo. È così – essi dicono – che Dio fa i figli che adotta a sua immagine, ma con la differenza che la cera e il sigillo si toccano solo in superficie, mentre Dio penetra e fa penetrare con sé nella cera la sua impronta viva e attiva, come il sigillo divino di cui è la copia. – « Mettimi come un sigillo sul tuo cuore », dice lo sposo alla sposa nel Cantico (Cant. VIII, 6). Cosa voleva egli? Perfezionare la somiglianza e l’unione con un’applicazione sempre più intima di sé. E questo, mi sembra, sia il significato profondo rivelatoci da San Paolo nei testi in cui ci presenta come sigillati (signati = segnati con un sigillo) da Dio nello Spirito Santo (II Cor. 1-22; Ef. I, 13; 1V, 30). – Non vedete Dio doppiamente immanente in noi? Immanente attraverso la grazia creata, l’immagine vivente della sua natura. Immanente per la sua stessa natura, cioè per la grazia increata, poiché l’una è inseparabile dall’altra, come l’impronta del sigillo che la forma e la conserva. Egli segue la partecipazione della sua natura con la sua essenza; la segue con il suo amore: infatti, secondo la bella parola di S. Dionigi l’Areopagita: « Amor divinus est extasim ſaciens, l’amore di Dio è estatico » (S. Dionigi. Ar. de div. Nom, 6. IV, § 13), come se Dio, in forza di questo amore, uscisse in qualche modo da se stesso verso l’oggetto delle sue compiacenze divine e si donasse a lui. – Abbiamo detto a lungo su quali basi e in che modo abbiamo Dio in noi. Anche se abbiamo avuto occasione di mostrare più di una volta come siamo in Lui, è ancora necessario mettere questa verità in una luce maggiore. Non c’è bisogno di lunghe considerazioni o di nuovi principi. Ripercorriamo semplicemente nella nostra mente ciò che Dio fa per i suoi figli e come li ami. « Dio non è lontano da ciascuno di noi, perché in Lui abbiamo vita, movimento ed essere » (Act. XVII, 28-28). – L’Apostolo, quando parlava così, si poneva soprattutto dal punto di vista dell’ordine naturale. Quanto più vere appariranno queste stesse parole se applicate all’ordine della grazia! – Sì, siamo in Dio: perché in quest’ordine Dio, Dio solo, non solo è la prima causa efficiente dei suoi doni, ma non c’è, né può esserci, nessun’altra causa principale con Lui. Se Egli si degna di impiegare le creature nell’opera della nostra santificazione, è come degli strumenti che da soli non hanno alcuna proporzione con l’effetto da produrre. Noi siamo in Dio: perché in quest’ordine Egli ci avvolge da ogni parte e nella nostra interezza, sostanza, facoltà spirituali, corpo medesimo; ci avvolge, io dico, e mille e mille altri con noi, nell’unità della stessa famiglia adottiva. Noi siamo in Dio, immersi e riscaldati nel suo cuore, perché Egli ci ama come suoi figli adottivi, come amici, come altri se stesso, fatti a sua immagine, generati dal suo seno paterno e vivi della sua vita. Noi siamo in Dio; perché se l’Apostolo San Paolo, nel suo amore per i fedeli di Corinto, poteva scrivere loro: « Vi porto nel mio cuore, in vita e in morte: o Corinzi il mio cuore si è dilatato per ricevervi » (II Cor., VIII, 3; VI, 11-12.), come potremmo essere allo stretto nel cuore del nostro grande Dio? Noi siamo in Dio: poiché Egli ci circonda con la sua potenza per proteggerci; con la sua infinita saggezza per dirigerci; con la sua misericordiosa bontà per inondarci di ineffabili benefici, mentre aspettiamo che ci porti nella sua eterna beatitudine che è Lui stesso, “intra in gaudium Domini tui“. (Matt. XXV. 23). Noi siamo in Dio: infatti, se lo amiamo come figli, questo amore ci condurrà naturalmente a Lui, poiché l’amore è estatico, cioè lega intimamente al suo oggetto sia i pensieri che i cuori di coloro che possiede (S. Thom. 1. 2, q. 28, a. 2 e. 3). – Questa mutua immanenza dei figli adottivi in Dio loro Padre, e del Padre nei figli, è il benedetto frutto millenario della preghiera del Figlio unigenito: « Come tu, Padre mio, sei in me e io in te, siano essi consumati in uno » (Gv. XVII. 21-23). E ancora: « Padre mio, voglio che là dove sono Io, siano con me anche quelli che Tu mi hai dato, perché vedano la gloria che Tu mi hai dato » (Ibib. 24). Ora, la dimora del Figlio è il seno del Padre (Gv. I, 18). – San Bernardo è ammirevole quando parla dell’immanenza reciproca che nasce dall’amore di Dio per la sua creatura e della creatura per il suo Dio. Dopo aver ricordato il famoso testo in cui Nostro Signore dice ai Giudei: « Io e il Padre mio siamo una cosa sola (unum) » (Gv. X, 30), continua in questi termini: « Poiché il Padre è nel Figlio e il Figlio nel Padre » nulla manca alla loro unità; essi sono veramente e perfettamente uno. L’anima, dunque, per la quale è bene aderire al Signore (Ps. LXXII, 28), non si lusinghi di essere perfettamente unita a Lui, finché non abbia sentito che inabiti in essa e che essa stessa abita in Lui. Non che essa sia allora una cosa sola con Dio, come il Padre e il Figlio sono una cosa sola, sebbene aderire a Dio sia essere un solo spirito con Lui (1 Cor. VI. 17). Questo l’ho letto, ma quello non l’ho mai letto. Io non parlo di me stesso, che non sono niente; ma nessuno in cielo o in terra, a meno che non sia un pazzo, oserebbe applicare a se stesso questa parola del Figlio unigenito: Io e il Padre siamo una cosa sola. – Eppure io, uomo fatto di polvere e di cenere, basandomi sull’autorità della Scrittura, non temo di dichiararmi un solo spirito con Dio; sì, lo dirò, se per segni certi so di aderire a Dio, come uno di quelli che, per la carità, dimorano in Dio e in cui Dio dimora… perché è di questa unione che sta scritto: « Chi aderisce a Dio è un solo spirito con Dio. » Che dunque? Il Figlio unigenito dice: « Io sono nel Padre e il Padre è in me » (Gv. XIV, 11), e noi siamo uno; e l’uomo a sua volta dice: « Io sono in Dio e Dio è in me, e noi siamo un solo spirito » (I Cor. VI, 17). – San Bernardo spiega poi magistralmente ciò che distingue la doppia immanenza: l’una fondata sull’unità della natura, l’altra sulla comunione delle volontà e dei cuori. Continua, parlando della seconda: « unione felice, se l’hai sperimentata, nulla, se la confronti con la prima. Lo sapeva per esperienza, colui che gridava: « È bene per me aderire a Dio » (Salmo, LXXII. 28). Sì, è buono, che si aderisca a Lui con tutto il cuore. Chi allora aderisce perfettamente a Dio? Colui che, dimorando in Dio, perché è amato da Dio, attira Dio in sé con un amore reciproco. Perciò, poiché l’uomo e Dio sono in ogni modo attaccati l’uno all’altro; poiché un amore reciproco e il più intimo, li fa passare, per così dire, l’uno nel grembo dell’altro, come si può dubitare che Dio sia nell’uomo e l’uomo in Dio?» (« Quis est qui perfecte adhæret Deo, nisi qui in Deo manens, tanquam dilectus à Deo, Deum nihilominus in se traxit vicissim diligendo. Ergo eum undique inhærent sibi homo et Deus, inhærent autem undique intima mutuaque dilectione, inviscerali alterutrum sibi, per hoc Deum in homine, et hominem in Deo esse haud dubie dixerim. » – S. Bernard. serm,. 71 in Cant. n. 6, 10.).

2. – Dalle considerazioni precedenti emerge una conclusione molto importante: non si può ammettere come assolutamente vera l’opinione che farebbe della missione dello Spirito Santo, o, il che equivale alla stessa cosa, della dimora della Trinità nelle anime, e di conseguenza dell’adozione, il privilegio esclusivo del Nuovo Testamento. Perché o dobbiamo negare la grazia santificante ai giusti che hanno preceduto la consacrazione della nuova legge con la morte del Salvatore, o questi giusti erano essi stessi i templi viventi dello Spirito Santo. È impossibile sfuggire a questo dilemma: perché questa dimora divina è essenzialmente legata al possesso della grazia. Come non c’è e non può esserci alcuna dimora soprannaturale della Trinità in un’anima, se non nella grazia e attraverso la grazia, così la stessa grazia presuppone assolutamente la presenza sostanziale di Dio, sia come suo principio efficiente, sia come termine a cui questa grazia unisce chi la possiede. Non c’è bisogno di ritornare su affermazioni pienamente dimostrate negli ultimi capitoli (L. IV, c. 3 in fine). Inoltre, non ci mancherebbero testimonianze esplicite, se avessimo bisogno di ricorrere ad esse, per rafforzare la nostra conclusione. Ecco, come esempio, un testo di Sant’Agostino che cito tanto più volentieri perché è esso stesso basato sull’autorità delle Scritture. Il grande Vescovo chiede quale significato si debba dare a queste parole dell’evangelista: « Lo Spirito Santo non era ancora stato dato, perché Gesù non era ancora entrato nella sua gloria ». – Cosa intendere con queste parole, se non che ci sarebbe stata, dopo la glorificazione di Cristo, una missione dello Spirito Santo, come quella che non aveva avuto luogo fino ad allora? Certo, lo Spirito Santo era già venuto, ma non in questo modo. Se non fosse stato dato fino a quel momento, che cos’è Colui che ha riempito i Profeti e li ha ispirati con oracoli divini? Non fu forse detto di Giovanni il Battista: « Egli sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre »? Non era forse Zaccaria, suo padre, anche lui pieno di Spirito Santo? Vogliamo negare questo Spirito divino a Maria, quando parla profeticamente del Figlio del suo grembo; a quei due santi vecchi, Anna e Simeone, quando riconoscono la grandezza del Cristo bambino? Non vedo cosa possa essere addotto per invalidare queste testimonianze della Scrittura. Il testo evangelico non ci permette di rispondere che si parli solo dell’operazione dello Spirito Santo per questi giusti, mentre poi a Pentecoste si fece presente con la sua propria sostanza. Come allora – egli continua – lo Spirito non è stato ancora dato, perché Gesù non era ancora glorificato? Perché questo dono o missione dello Spirito Santo doveva avere, nell’avvento promesso, una proprietà mai vista prima. Da nessuna parte, infatti, si legge che gli uomini, alla discesa dello Spirito Santo in loro, parlarono in lingue a loro sconosciute fino ad allora, come si vide nel giorno di Pentecoste » (S. Agostino de Trinit., L. 1, n°29; Cf. S. Leone M., Serm. de Pent. 3, a.1) Così, per S. Agostino la differenza non va cercata nella venuta dello Spirito Santo stesso, ma nella natura dei doni che lo accompagnano e lo manifestano. – Anche se l’opinione che ho riportato è inammissibile in sé, dobbiamo tuttavia riconoscere, dal punto di vista che ci occupa, una doppia prerogativa per la nuova Alleanza. È, prima di tutto, una verità del tutto indubbia che la inabitazione di Dio nelle anime e la missione dello Spirito Santo appartengano al Nuovo Testamento e non all’Antico, se consideriamo l’uno e l’altro in ciò che sono esclusivamente propri. L’antica Legge, da sola, era impotente a produrre la santità interiore che è la prerogativa e la norma dei figli di Dio. Essa generava per la servitù, in servitutem generans; e la sua missione pedagogica era di condurre gli uomini alla legge della grazia, a Cristo, (Galat., III, 24 – VI. 24 « Quamvis nec lex per Moysen data potuerit a quoquam homine regnum mortis auferre, erant amen et legis tempore homines Dei, non sub lege terrente, convincente, puniente, sed Sub gratia delectante, sanaute, tiberante. rant qui dicerent : côr mundum crea in me, Deus, et Spiritum rectum innova in visceribus meis, et Spiritu principali confirma me, et Spiritum sanctux tuum ne auferas à me… Neque enim qui nobis ista fideli dilectione prophetare potuerunt, eorum ipsi participes non fuerant.….. et illi per gratiam D. N. Jesu Christi Salvi facti Sunt, non per legem Moysi, per qua non sanatio sed cognitio facta est peccati. Nunc autem sine lege justitia Dei manifestata est. Si ergo nunc manifestata est, etiam tunc erat, sed occulta ». S. August., de Pecc. orig. cont. Pelag., n. 29). Se essi parteciparono, come noi, alla filiazione divina, è perché il Sangue della nuova alleanza che doveva scorrere un giorno, sul Calvario, si rifletteva in qualche modo sui credenti delle età precedenti per renderli, in anticipo, altrettanti Cristiani (August, Retract. I, c. 13). – Inoltre, per quanto abbondante possa essere stata l’effusione della grazia e dello Spirito Santo in alcuni dei giusti, poiché tuttavia, il prezzo della salvezza nostra non era ancora stato pagato; poiché Dio stava elargendo, come a credito, i benefici soprannaturali che dovevano essere acquistati dal sangue del Redentore; poiché  i nostri Sacramenti, queste fontane della grazia, non la versavano a fiotti; in una parola, poiché l’economia dei figli non aveva ancora sostituito quella degli schiavi della Legge, Dio versava comunemente la sua grazia con più parsimonia nei cuori. Ora, poiché l’inabitazione divina è commisurata alla grazia, ne consegue naturalmente anche che l’unione dello Spirito Santo con le anime dovesse essere, in generale, più rara e meno perfetta di quanto sia diventata sotto la nuova Legge. C’è ancora un’altra causa di inferiorità per i tempi che precedettero il Sacrificio cruento compiuto sul Calvario e la fondazione della Chiesa. È che la dimora di Dio nelle anime si presenta nel Cristianesimo con caratteristiche sconosciute ai tempi antichi. Da tempo immemorabile, l’uomo in stato di grazia è il tempio di Dio; ma chi può dire quanto più nobile e sacro sia diventato questo tempio da quando l’eterno Figlio di Dio ne abbia fatto la dedicazione con l’attuale aspersione del suo sangue divino? – Voi avete in voi la carità: siete per questo stesso fatto un tempio, e questo vi è comune con tutti i giusti; ma di quale maestà, di quali privilegi non si arricchisce questo tempio, incorporato com’è dal Battesimo nel tempio vivente che è l’umanità di Cristo; consacrato dall’olio santo nella Cresima; santificato nell’Eucaristia dalla carne stessa di Cristo, di cui diventa il tabernacolo; dedicato dall’Ordine a funzioni così sublimi che sarebbero l’invidia degli Angeli? – Ecco il tempio della nuova Alleanza, e la singolare dignità che ci autorizza a dire che la grazia dell’inabitazione divina è, in una maniera ed in una misura speciale, per i Santi e per il tempo della legge di Cristo, sebbene nella sostanza essa appartenga a tutti i Santi come a tutti i tempi (Cfr. Franzelin, de Deo trino, thes. 48; S, Thom. 1. p, q. 43, to. 6 ad 1; I D. 15, q. 5 a. 2.). Ora, quello che abbiamo detto sulla grazia e sul tempio deve essere inteso per adozione, poiché la qualità dei figli è proporzionata allo splendore dell’una e all’abbondanza dell’altra (Pur essendo in verità figli di Dio, aspettiamo l’adozione – Rom. VIII, 23 -, perché gemiamo in esilio, lontani dalla dimora e dall’eredità del Padre. Come noi non siamo ancora figli se paragonati ai beati abitanti del cielo, così i giusti vissuti prima di Cristo, per i quali il cielo era chiuso, possono essere chiamati servi e non figli, se paragonati a noi). – Tutta questa dottrina potrebbe essere confermata dall’autorità di mille testimonianze oltre a quelle già riportate (Cfr. ad esempio S. Leon. M., Serm. di Pent. 2, c. 3; 3, c. 1. S. Thom. 1 p. q. 95 a, 1, ad 2). Ma ne voglio aggiungere solo una, quella di Leone XIII, nella sua lettera Enciclica sullo Spirito Santo, dove è esposto con mirabile chiarezza. (« È verissimo che anche nei giusti vissuti prima di Cristo vi fu lo Spirito Santo con la grazia, come leggiamo dei profeti, di Zaccaria, del Battista, di Simeone e di Anna, giacché non fu nella pentecoste che lo Spirito Santo incominciò ad abitare nei Santi la prima volta, in quel dì accrebbe i suoi doni, mostrandosi più ricco, più effuso. (Leo M.. hom. 3 de Pentec.).Erano sì figli di Dio anch’essi, ma rimanevano ancora nella condizione di servi, perché anche il figlio « non differisce dal servo, finché è sotto tutela » (Gal. IV,1-2); e poi mentre quelli furono giustificati in previsione dei meriti di Cristo, dopo la sua venuta molto più abbondante è stata la diffusione dello Spirito Santo nelle anime, come avviene che la mercé vince in prezzo la caparra e la verità supera immensamente la figura. La qual cosa è espressa da san Giovanni là dove dice: « Non era ancora stato dato lo Spirito Santo, perché Gesù non era stato ancora glorificato » (Gv. VII, 39); ma non appena Cristo, “ascendendo al cielo”, ebbe preso possesso del suo regno, conquistato con tanti patimenti, subito ne « dischiuse con divina munificenza i tesori, spargendo sugli uomini i doni dello Spirito Santo » (Ef. IV, 8); non già che prima non fosse stato mandato lo Spirito Santo, ma certo non era stato donato come fu dopo la glorificazione di Cristo. La natura umana è essenzialmente serva di Dio: “La creatura è serva, noi per natura siamo servi di Dio“;anzi, infetta dall’antico peccato, la nostra natura cadde tanto in basso che noi divenimmo odiosi a Dio: « Eravamo per natura figli d’ira » (Ef. II, 3). E non vi era forza che bastasse a rialzarci da tanta caduta, a riscattarci dall’eterna rovina. Ma quel Dio, che ci aveva creati, si mosse a pietà, e per mezzo del suo Unigenito sollevava l’uomo ad un grado di nobiltà maggiore di quella donde era precipitato. (Aug. De. Trinit., L. IV, x. 20) » Encycl. Leonis XIII, Divinum illud munus 1897).

LA GRAZIA E LA GLORIA (23)

FESTA DEL SS. NOME DI MARIA (2022)

FESTA DEL SS. NOME DI MARIA (2022)

Doppio magg. – Paramenti bianco

Questa festa fu istituita da Innocenzo XI in ricordo della vittoria riportata contro i Turchi sotto le mura di Vienna il 13 settembre 1683. La Messa esalta la grandezza e la potenza el Nome di Maria, al quale anche i grandi della terra chiedono aiuto e protezione (Intr. – Oraz.). Perfino l’Arcangelo Gabriele pronunziò questio nome con sommo rispetto e venerazione (Vang. – Offert.). Tu pure saluta ed invoca Maria in ogni bisogno della tua vita; parla spesso di Ella che ha promesso la vita eterna a chi illustrerà il suo Nome (Epist.)

[A, Mastrorigo: Messale romano quotidiano. Vicenza – Casa editrice Favero, 1953]

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

 V. Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.

Confíteor

… Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
M. Misereátur tui omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
S. Amen.
S. Indulgéntiam, ✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps XLIV:13;15-16
Vultum tuum deprecabúntur omnes dívites plebis: adducéntur Regi Vírgines post eam: próximæ ejus adducéntur tibi in lætítia et exsultatióne.

Ps XLIV: 2
Eructávit cor meum verbum bonum: dico ego ópera mea Regi.

V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in sǽcula sæculórum. Amen.

Vultum tuum deprecabúntur omnes dívites plebis: adducéntur Regi Vírgines post eam: próximæ ejus adducéntur tibi in lætítia et exsultatióne.

[I ricchi del popolo implorano il tuo volto. Dal re sono introdotte le vergini con lei: le sue compagne ti sono portate con festevole esultanza.

Vibra nel mio cuore un ispirato pensiero, mentre al Sovrano canto il mio poema.

V. Gloria al Padre, e al Figlio, e allo Spirito Santo.
R. Come era nel principio e ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen.

I ricchi del popolo implorano il tuo volto. Dal re sono introdotte le vergini con lei: le sue compagne ti sono portate con festevole esultanza].

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Orémus.

Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut fidéles tui, qui sub sanctíssimæ Vírginis Maríæ Nómine et protectióne lætántur; ejus pia intercessióne a cunctis malis liberéntur in terris, et ad gáudia ætérna perveníre mereántur in cœlis.
Per Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.
R. Amen.

[Concedi benigno, o Dio onnipotente, che i tuoi fedeli, che si rallegrano del Nome e della protezione della Vergine Maria, per la sua protezione, siano liberati da ogni male in terra e meritino di pervenire ai gaudi eterni in cielo.]

Lectio

Léctio libri Sapiéntiæ.
Eccli 24:23-31
Ego quasi vitis fructificávi suavitátem odóris: et flores mei fructus honóris et honestátis. Ego mater pulchræ dilectiónis et timóris et agnitiónis et sanctæ spei. In me grátia omnis viæ et veritátis: in me omnis spes vitæ et virtútis. Transíte ad me, omnes qui concupíscitis me, et a generatiónibus meis implémini. Spíritus enim meus super mel dulcis, et heréditas mea super mel et favum. Memória mea in generatiónes sæculórum. Qui edunt me, adhuc esúrient: et qui bibunt me, adhuc sítient. Qui audit me, non confundétur: et qui operántur in me, non peccábunt. Qui elúcidant me, vitam ætérnam habébunt.
R. Deo grátias.

[Come una vite, io produssi pàmpini di odore soave, e i miei fiori diedero frutti di gloria e di ricchezza. Io sono la madre del bell’amore, del timore, della conoscenza e della santa speranza. In me si trova ogni grazia di dottrina e di verità, in me ogni speranza di vita e di virtù. Venite a me, voi tutti che mi desiderate, e dei miei frutti saziatevi. Poiché il mio spirito è più dolce del miele, e la mia eredità più dolce di un favo di miele. Il mio ricordo rimarrà per volger di secoli. Chi mangia di me, avrà ancor fame; chi beve di me, avrà ancor sete. Chi mi ascolta, non patirà vergogna; chi agisce con me, non peccherà; chi mi fa conoscere, avrà la vita eterna].

Graduale

Benedícta et venerábilis es, Virgo María: quæ sine tactu pudóris invénta es Mater Salvatóris.
V. Virgo, Dei Génitrix, quem totus non capit orbis, in tua se clausit víscera factus homo. Allelúja, allelúja.
V. Post partum, Virgo, invioláta permansísti: Dei Génitrix, intercéde pro nobis. Allelúja.

[Tu sei benedetta e venerabile, o Vergine Maria, che senza offesa del pudore sei diventata la Madre del Salvatore.
V. O Vergine Madre di Dio, nel tuo seno, fattosi uomo, si rinchiuse Colui che l’universo non può contenere. Allelúia, allelúia.
V. O Vergine, anche dopo il parto tu rimanesti inviolata; o Madre di Dio, prega per noi. Alleluia].

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam.
R. Glória tibi, Dómine.
Luc 1:26-38
In illo témpore: Missus est Angelus Gábriel a Deo in civitátem Galilææ, cui nomen Názareth, ad Vírginem desponsátam viro, cui nomen erat Joseph, de domo David, et nomen Vírginis María. Et ingréssus Angelus ad eam, dixit: Ave, grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus. Quæ cum audísset, turbáta est in sermóne ejus: et cogitábat, qualis esset ista salutátio. Et ait Angelus ei: Ne tímeas, María, invenísti enim grátiam apud Deum: ecce, concípies in útero et páries fílium, et vocábis nomen ejus Jesum. Hic erit magnus, et Fílius Altíssimi vocábitur, et dabit illi Dóminus Deus sedem David, patris ejus: et regnábit in domo Jacob in ætérnum, et regni ejus non erit finis. Dixit autem María ad Angelum: Quómodo fiet istud, quóniam virum non cognósco? Et respóndens Angelus, dixit ei: Spíritus Sanctus supervéniet in te, et virtus Altíssimi obumbrábit tibi. Ideóque et quod nascétur ex te Sanctum, vocábitur Fílius Dei. Et ecce, Elisabeth, cognáta tua, et ipsa concépit fílium in senectúte sua: et hic mensis sextus est illi, quæ vocátur stérilis: quia non erit impossíbile apud Deum omne verbum. Dixit autem María: Ecce ancílla Dómini, fiat mihi secúndum verbum tuum.

[In quel tempo, l’angelo Gabriele fu inviato da Dio in una città della Galilea, di nome Nazareth, ad una vergine sposa di un uomo di nome Giuseppe, della stirpe di Davide; e il nome della vergine era Maria. L’angelo, entrando da lei, disse: «Ave, piena di grazia; il Signore è con te; tu sei benedetta fra le donne». Mentre l’udiva, fu turbata alle sue parole, e si domandava cosa significasse quel saluto. E l’angelo le disse: «Non temere, Maria, poiché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai nel tuo seno e partorirai un figlio, e gli porrai nome Gesù. Egli sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, e il Signore Iddio gli darà il trono di Davide, suo padre: e regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno, e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». L ‘angelo le rispose, dicendo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’ Altissimo ti coprirà della sua ombra. Per questo il Santo, che nascerà da te, sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, ha concepito anch’essa un figlio nella sua vecchiaia ed è già al sesto mese, lei che era detta sterile: poiché niente è impossibile a Dio ». Allora Maria disse: « Ecco la serva del Signore: sia fatto a me secondo la tua parola ».

Omelia

(Otto Hophan: MARIA; Trad. G. Scattolon, Imprim.Treviso 1953. Marietti ed. Torino, 1955).

Maria

Una colomba candida dall’eternità di Dio spiccò il suo volo nell’angusta vastità dei terreni millenni, lungo il succedersi delle umane generazioni e sopra le profondità dei cuori umani, la colomba volò e volò e, come quella di Noè, cercò una terra risparmiata dai flutti ed un ramo di olivo verdeggiante; non riposò nel suo volo, finché non li ebbe trovati tutti e due. La candida colomba è lo Spirito Santo di Dio, il ramo di olivo verdeggiante su terra non tocca è Maria. Maria! Il suo nome ci è familiare come il nome di mamma nostra e come le campane della patria e come le candide vette dei nostri monti, che in maestà salutano le sottostanti vallate. Maria! Mille volte abbiam ripetuto questo nome nella preghiera, nel canto, nel pianto, nei giorni lieti e tristi. Mille donne prendono nome dalla Benedetta. Nessun nome fra il popolo cattolico torna più frequente e più amato; esso intesse fili d’oro anche intorno alla più semplice donnetta. Maria! Nell’oscurità della vita e della morte voglio appoggiarmi a questo nome; esso è la promettente aurora, che annunzia il sorgere del sole, Gesù, nel Vangelo e nell’anima. Ti saluto, o Maria! Una folta edera di interpretazioni — sino a settanta! — si è attorcigliata al nome di Maria; quasi tutte però hanno avuto origine più dalla devozione che dalla conoscenza delle lingue. Probabilmente il nome di Maria risale al patrimonio linguistico egiziano: la sorella di Mosè e di Aronne, nata come i due fratelli in Egitto, è l’unica fra tutte le donne ricordate nel Vecchio Testamento che porti il nome Maria. Lo possiamo far derivare dalla radice egiziana “mr = amare” e da “Jam = Jahu (Jahve) ”, così da significare “Mirjam” l’amante di Dio o l’amata da Dio. Quando visse la beatissima Vergine, questo senso originario non era forse più evidente per la cultura del popolo israelitico; in quel tempo era più comodo spiegare “ Maria” con “màròm” = l’augusta, la sublime, interpretazione che corrisponde alle nostre espressioni “Madonna” “Notre Dame”, “Unsere liebe Frau”. «Nomen est omen — ogni denominazione ha la sua importanza », sin dai tempi di Adamo”. Quando i genitori imposero il nome Maria alla piccola Bambina, non sapevano che così esprimevano in modo eccellente la natura e la missione di quella creaturina, poiché non v’è persona che come Maria sia “amata da Dio” e come Lei sia “Donna eccelsa, cara” e Signora dell’umanità. Nel Nuovo Testamento sono ricordate anche altre Marie, ma, a differenza della Madre di Dio, esse non son dette nella versione greca ‘“ Mariam ”, bensì “Maria”, certamente per esplicita intenzione degli Evangelisti, che vollero riservare solo alla Benedetta la forma del nome di Maria, veneranda per antichità, come lo aveva portato la sorella di Mosè. Prevista! Il nome della beatissima Vergine splende nel Vangelo per la primissima volta alla fine di quella lunga serie di generazioni del Vecchio Testamento, che Matteo adduce come “albero genealogico di Gesù Cristo” nel primo capitolo del suo Vangelo: « Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda », e così continua per tre gruppi di quattordici generazioni ciascuno, sino che alla fine rifulge mite il nome di Maria come una luce finale di quella serie di generazioni veterotestamentarie: «…. Giacobbe generò Giuseppe, lo Sposo di Maria, dalla quale nacque Gesù, che è detto il Cristo ». Non è un caso fortuito, ma superiore disposizione che ci si faccia incontro per la prima volta il nome di Maria proprio qui, all’estremo lembo dell’Antico Testamento; i vincoli fra quella storia e Maria sono intimi e vari: quelle generazioni elencate da Matteo, vigorose e principesche alle origini, gravi, stanche, oscurate ed incomprese verso il tramonto, quali vigili che nella notte attendono la prima leggera luce, hanno spiato questa sublime Signora, e questa amata Signora con molte parole e immagini han previsto e predetto. Sino dalle prime pagine della Scrittura risuona Maria quale una canzone da terra lontana. Dopo il primo fallo, quando il Signore Iddio dovette scagliare la prima maledizione contro la sua recente e bella creazione, la maledizione contro il serpente seduttore che aveva tratto in inganno riguardo al paradiso la prima coppia umana, allora, nella tragedia e nel lutto di quell’istante, risuonò pure una prima melodia confortatrice: « Allora il Signore Iddio apostrofò il serpente:… Porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua schiatta e la schiatta di Lei. Essa ti schiaccerà il capo, mentre tu non le ferirai che il calcagno ». La lotta fra l’umanità e il serpente, iniziatasi già nel paradiso, prenderà un giorno una piega favorevole all’umanità, verrà giorno in cui un discendente di quella prima misera donna, che soccombette al serpente, lo vincerà pienamente; non è rivelato ancora chi sarà questo trionfatore del serpente, alla luce però del compimento della profezia sappiamo che è Cristo; Egli stesso infatti disse immediatamente prima della sua passione: « Adesso il principe di questo mondo è cacciato fuori ». Nella passione Cristo ha vinto il demonio e in essa Egli è stato anche “ferito” da quel maligno, e proprio alla lettera, “al calcagno”, ché i suoi piedi sono stati trafitti. Accanto alla Croce sta una donna, Maria; l’inimicizia fra questa “Donna” e il serpente è dura come il diamante, assoluta, implacabile, inestinguibile e non affatto paragonabile con la opposizione compiacente di Eva di fronte al seduttore. Col Figlio suo e grazie al Figlio suo, può anch’Ella affermare: « Il principe di questo mondo non può nulla contro di me »; Lei è la Donna, che è nemica del serpente molto più decisamente che non ogni altra. Giustamente, quindi, i Dottori della Chiesa, sin dai primi tempi, hanno colto in quella antichissima espressione biblica l’intonazione del cantico a Maria. Persino l’antica traduzione latina della Bibbia, la Volgata, legge: « Ella ti schiaccerà la testa »; “Ella” invece di “Egli”, come propriamente si legge nel testo originale; la Chiesa quindi esprime la sua fede nella inesorabile e vittoriosa inimicizia anche di Maria contro il demonio. – Pio IX nella proclamazione della verità dell’Immacolata Concezione riferisce questo testo scritturistico, riguardante Cristo, anche a Maria, scrivendo: « Come Cristo, il mediatore fra Dio e gli uomini… cancellò il chirografo avverso a noi e lo inchiodò alla croce vittoriosamente, così in pari tempo la beatissima Vergine, con Lui e per mezzo di Lui, stritolò con immacolato piede il capo al velenoso serpente, cui La oppone eterna inimicizia, riportandone pieno trionfo ». La prima immagine di Maria delineataci dalla Sacra Scrittura è vigorosa, combattiva: è la Donna in veste di nemica trionfatrice del serpente! Come è consolante per noi questa minaccia contro il nostro più rabbioso nemico! –  Delicata e anche molto più chiara è la seconda immagine di Maria offertaci dal Vecchio Testamento, abbozzata già nell’ottavo secolo prima di Cristo da Isaia, il più grande dei Profeti del popolo eletto: Maria, la Vergine-Madre. « L’Onnipotente stesso vi darà un segno: ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio e gli imporrà il nome di Emmanuele ». Isaia disse queste parole profetiche al re Achaz, che in mentita pietà verso Iddio non voleva nessun “segno” per la sua imminente battaglia con i re nemici, sotto pretesto « di non tentare il Signore »; fu allora che Iddio stesso gli impose un “segno”, un segno inaspettato e singolare: una donna gravida e partoriente che è nello stesso tempo “almàh”, che significa “vergine”. Nel vangelo di Matteo l’Angelo dell’Incarnazione rinvia esplicitamente l’esitante Giuseppe a questo testo profetico di Isaia, che s’adempiva nella sua Sposa: « Giuseppe, figlio di David, non temere di accogliere presso di te Maria, la tua sposa, perché quello che ha concepito è dallo Spirito Santo…”. Tutto questo è avvenuto perché si adempisse quello che era stato detto dal Signore per mezzo del Profeta:  “Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio, e gli si imporrà il nome di Emmanuele, che significa Iddio con noi”».  Maria è la “ha almàh ”, la vergine. Che questo ebraico “ ‘almàh ” risuonasse all’orecchio dell’amabile poeta e monaco Germano lo Zoppo a Reichenau (7 1054), quando diede inizio a un bellissimo Inno in onore di Maria con le parole: « Alma Redemptoris Mater — augusta Madre del Redentore »? Con la profezia di Isaia l’Antico Testamento ha già presagito e predetto di Maria i doni più eccelsi, i suoi due privilegi essenziali, quello più soave e quello più augusto, la verginità e la divina maternità, poiché il Bambinello che Ella partorisce è “Emmanuele — Iddio con noi”. E qualche cos’altro ancora di giocondo si cela nell’aurea profondità di questo vaticinio: quale importanza non avrà Maria per l’umanità, se Iddio stesso, fra tutte le dimostrazioni possibili della sua onnipotenza « nelle profondità o nelle altezze », sceglie qual suo “segno” per l’umanità la Vergine-Madre! Nel Vecchio Testamento ricorre anche una terza parola profetica riferentesi a Maria, un passo del profeta Michea. È breve, eppure corona d’un’ultima aureola l’immagine di Maria delineataci nel Vecchio Testamento. Nella tribolazione del suo popolo Michea grida le profetiche parole: « Ma tu, Betlemme in Efrata, la minima fra i distretti di Giuda, da te Mi uscirà Colui, che sarà il dominatore in Israele. La sua origine è dal principio dei giorni dell’eternità. Per questo Egli li abbandonerà sino al tempo, nel quale la partoriente partorirà. Allora le reliquie de suoi fratelli ritorneranno ai figli di Israele. Egli si stabilirà e dominerà con la potenza del Signore… Abiteranno allora sicuri; Egli starà grande e sarà la salvezza » (Mi. V.,1 seg.). Questo misterioso vaticinio, cui d’intorno aleggia eternità, colloca Maria accanto al Dominatore e Salvatore del mondo; ivi abbiamo un primo sommesso accenno al posto regale di Maria, “la partoriente”, a fianco di Colui che « dominerà con la potenza del Signore ». Nemica del serpente, vergine-madre, genitrice del Dominatore del mondo: con queste poche parole il Vecchio Testamento ha espresso profondi presagi riguardo a Maria. Ma queste tre profezie così parche non dicon tutto quello che l’Antico Testamento annunzia di Lei; dalle venerande torri delle Scritture veterotestamentarie pendono silenti molte campane, che al nome di Maria emettono note soavi. Nel libro dei Proverbi, ad esempio — la Chiesa usa il brano come lettura nella festa della Concezione di Maria e della sua nascita —, leggiamo: « Il Signore mi ebbe con sé dall’inizio delle sue imprese, prima che facesse cosa alcuna, da principio. Ab æterno sono stata costituita, anteriormente alla formazione della terra. Io già era generata e gli oceani non esistevano e le fonti delle acque non scaturivano ancora, né i monti ancora si ergevano sulla loro grave mole; prima dei colli io fui generata… Quando gettava i fondamenti della terra, io Gli ero a fianco plasmatrice… Mi trastullavo dinanzi a Lui continuamente, mi trastullavo nel cerchio della terra, e le mie delizie eran starmene con i figli degli uomini » (VIII, 22-35). Queste parole direttamente convengono al Verbo, alla Sapienza personale di Dio, che fatto uomo pose la sua tenda fra gli uomini; ma frattanto lo Spirito Santo non avrà avuto dinanzi in questo testo, come in un gioco d’amore, anche Maria? – Nella festa della Visitazione di Maria, in questo giorno tutto fragranza e intimità, quando la Benedetta si affrettò a recarsi alla regione montana, il sole sul volto e i fiori e il vento sui capelli inanellati, la Chiesa chiede a prestito al Cantico dei Cantici le parole: « Sorgi, affrettati, amica mia, colomba mia, bella mia, e vieni! Perché, ecco, l’inverno è passato, è cessata la pioggia e se n’è andata; i fiori son riapparsi sulla nostra terra… I vigneti in fiore spandono il loro profumo. Sorgi dunque, amica mia, vieni, bella mia! Colomba nei crepacci della rupe, celata nei dirupi, fammi vedere il tuo viso, fammi sentire la tua voce! Perché soave è la tua voce, delizioso il tuo viso » (II, 8-14). Da capo, si pensa che lo Spirito Santo abbia qui eseguito, secoli prima, una melodia in onore della Beatissima Vergine, anzi tutto il Cantico dei Cantici, infuocata canzone di amore fra fidanzati e sposi, ha avuto il suo sublime compimento in Maria, la Madre e la Sposa dell’eterna Parola. Nella festa della Maternità di Maria la Chiesa coglie la sua lettura nel giardino del libro di Gesù, figlio di Sirach, e noi dobbiamo nuovamente ammirare come queste antiche espressioni adornano in modo tanto appropriato Maria, quasi siano state scelte per Lei già molto tempo prima: « Io uscii dalla bocca dell’Altissimo… Sulle altezze eressi la mia tenda… L’orbita del cielo percorsi io sola… Presso ogni popolo, in ogni tribù cercai una dimora… Allora mi comandò il Creatore di tutte le cose, e Quegli che mi creò mi diede una stabile dimora. Diss’Egli: “Drizza la tua tenda in Giacobbe, in Israele procurati un’eredità”… Come una vite feci sbocciare soavità di profumo e i miei fiori germogliarono vaghi e belli. Io son la madre del bell’amore, del timore e della scienza e della santa speranza. In me è la grazia di ogni via e di ogni verità, in me è tutta la speranza di vita e di virtù. Venite a me, o voi tutti che mi desiderate, e saziatevi de’ miei frutti» (Eccl. XXIV). Questi tratti del Vecchio Testamento e molti altri ancora — incontreremo i significativi versi del Salmo XLIV nell’ultimo capitolo — valgono direttamente per Gesù, che è il sublime termine di tutta la Sacra Scrittura, non per Maria; essi ebbero “ compimento ” in Gesù; non possono quindi queste frasi bibliche essere addotte come prove a se stanti per Maria; pure la loro applicazione alla Vergine non è un pio giochetto soltanto, è invece intimamente fondata. Per questo la Liturgia e i Dottori della Chiesa non hanno esitato ad interpretare molte parole del Vecchio Testamento anche di Maria, il che conferisce ad esse di nuovo un peso particolare. Maria, infatti, sta in stretta armonia col suo Figlio; quando dunque nelle Scritture Sante risuona il potente accordo Gesù, entra nel concerto anche l’arpa deliziosa, Maria. Il Vecchio Testamento quindi, possente preludio del futuro e sublime Redentore, è ricco di segrete armonie mariane, che un cuore amante può ascoltando cogliere facilmente. Possiamo completare la stessa considerazione con un’altra immagine. Vi sono nel Vecchio Testamento numerose pre-figure, tipi, che in santa televisione fan vedere in anticipo persone e avvenimenti. La Sacra Scrittura stessa riguardo a Cristo rinvia ripetutamente ai tipi dell’Antico Testamento; Adamo, Melchisedech, Isacco, il serpente di bronzo, David, Giona e molti altri ancora furono contemplazioni di Cristo da lontano, televisioni di Cristo. – Nel Vecchio Testamento vi son pure televisioni di Maria, che l’attento e pio senso della Chiesa ha percepite per tempo. Maria è il giardino del paradiso, nel quale fiorisce l’albero della vita; Maria è l’arca di Noè, che sta alta sui flutti del diluvio; Maria è la colomba col ramo di olivo, che annunzia al mondo la pace; Maria è la scala di Giacobbe, per la quale Iddio scese in terra; Maria è il roveto ardente, che circondato dal fuoco non brucia; Maria è l’arca dell’alleanza, sulla quale riposa la maestà di Dio; Maria è il santo tabernacolo, nel quale troneggia Iddio stesso; Maria è la suppellettile aurea, sacra unicamente al servizio di Dio; Maria è la città di Sion, fabbricata sul monte santo, Maria è il tempio del Signore, più prezioso di quello di Salomone. Maria è il vello di Gedeone, irrorato dalla grazia, preservato da macchia; Maria è la nuvoletta dal mare, che dissigillò il torrente della misericordia; Maria è il giardino chiuso, nel quale nessuno può metter piede se non il Signore solo; Maria è la torre robusta dalla quale risplendono mille scudi. Quanta parte occupa Maria già nella lontana visione del Vecchio Testamento! – Le Litanie Lauretane riflettono nelle loro invocazioni parecchie di queste figure: « Sede della Sapienza », « Vaso spirituale », «Vaso degno d’onore », « Vaso insigne di devozione », « Rosa mistica », «Torre di David», «Torre d’avorio », « Casa d’oro », « Arca dell’Alleanza », « Porta del Cielo ». – Maria, per seguire un raffronto che è vecchio quanto il Cristianesimo stesso, è la vera Eva, la Madre dei viventi; Maria è la coraggiosa Giuditta, che superò il nemico di Dio; Maria è l’avvenente Ester, che gode sempre dell’accesso al Re. Veramente nel Vecchio Testamento già si avvera quanto canta il pio poeta protestante Novalis: « Ti veggo in mille immagini, Maria, graziosamente espressa e dolce e pura, pur nessuna fra tutte Ti figura qual intender Ti può l’anima mia ». – Preparata! L’annoso albero, fra i cui rami v’è misterioso stormir di Maria, ha fornita alla Vergine anche l’origine. Ella sta alla fine di quelle lunghe generazioni, è il frutto più squisito e regale dell’umanità precristiana. Quelle generazioni giunsero a maturare in Maria, il loro ultimo significato e la loro più intensa aspirazione han trovato compimento in Lei, poiché « da Lei nacque Gesù, che è detto il Cristo ». Maria è emersa dal fiume di sangue, che scorse attraverso Abramo, Giacobbe, Giuda, David, sì che il popolo israelitico non Le ha intessuto soltanto una immagine spirituale, ma anche la veste corporea; sia pure la sua dignità al di sopra del creato, Lei stessa non è una creazione eterea, dal cielo per caso libratasi quaggiù; Ella è sangue da quel sangue, figlia di quel popolo e vincolata in venerazione e fedeltà a quelle generazioni, alle quali deve il suo essere. Maria, secondo l’accenno dell’Evangelista stesso, dev’esser vista insieme con quelle generazioni; Ella non appartiene solo al Nuovo Testamento; è vero, è la prima del Nuovo Testamento, la prima cristiana; però è anche — già nel primo capitolo del Vangelo Ella annunzia la sua comunanza col popolo di Dio prima e dopo Cristo — il frutto più delicato dell’Antico Testamento, la perfetta donna israelita, la figlia di David, di Abramo, di Adamo. Maria… la figlia di David. La genealogia di Matteo presenta direttamente gli antenati di Giuseppe, non quelli di Maria; all’Evangelista infatti stava a cuore di provare subito, sin dall’inizio del Vangelo, ai suoi lettori giudeo-cristiani l’origine davidica di Gesù: solo se Gesù aveva per antenato David i Giudei potevano discutere se in linea di massima Egli fosse il Messia; a David infatti era stata fatta la profezia che un frutto delle sue viscere avrebbe posseduto in eterno il trono di Israele; ora i Giudei potevano ritenere Gesù quale “figlio di David” soltanto se suo “padre” Giuseppe discendeva dalla stirpe di David. Per questo Matteo fu costretto a proporre l’albero genealogico di Giuseppe, padre legale di Gesù, quale prova dell’origine di Lui da David; presso gli Ebrei la parentela e persino la paternità non si fondavano solo sul sangue, ma anche sul titolo giuridico. Non si tessevano genealogie per le donne, almeno dalla Sacra Scrittura non se ne può dedurre nessun esempio; però anche Maria per conto suo era una figlia di David. Paolo infatti sottolinea che Gesù « secondo la carne » — non dunque solo secondo una discendenza legale! — « è figlio di David », ma « secondo la carne » Gesù poteva risalire a David solo per mezzo di Maria, sua Madre fisica, perché Giuseppe non era padre di Gesù « secondo la carne », ma solo secondo la legge; anche Maria quindi doveva essere figlia di David; del resto, almeno sino a David, gli antenati di Giuseppe son pure gli antenati di Maria. « Noi riteniamo che Maria « discenda dalla stirpe di David », scrive Agostino, « perché crediamo alle critture; or due cose dicono le Scritture: che Cristo secondo la carne è del seme di David, e che sua Madre Maria era una vergine, che non ebbe relazioni con nessun uomo ». I Vangeli stessi del resto alludono all’origine davidica di Maria in vari luoghi. Nel racconto, per esempio, dell’Annunciazione si dice: « Nel mese sesto l’Angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine fidanzata a un uomo di nome Giuseppe, della casa di David »; questo inciso « della casa di David » può riferirsi a Giuseppe, ma può ben, e più probabilmente, riferirsi anche a Maria, perché Lei è qui la protagonista del racconto. E questa impressione è confermata dal seguito del discorso angelico: « Il Signore Iddio Gli (a Gesù) darà il trono di David suo padre ». Anche l’altra circostanza notata dall’Evangelista: « Giuseppe ascese dalla Galilea, dalla città di Nazaret, in Giudea, alla città di David, chiamata Betlemme, perché era della casa e della famiglia di David, per farsi iscrivere insieme a Maria », fa pensare che Maria sia stata indotta ad ascendere a Betlemme per il censimento perché Lei pure « discendeva dalla casa e dalla famiglia di David ». A buon diritto quindi già nella prima epoca cristiana il martire Ignazio di Antiochia (f 107), il martire Giustino (f 165) sottolineavano che Maria era una figlia di David. Anzi l’antico profeta Isaia stesso richiamò l’attenzione sull’origine davidica della Vergine nel passo conosciuto: « Uscirà un pollone dalla radice di Jesse e un germoglio ascenderà dalla sua radice »; Jesse era padre di David. « Il Profeta », spiega Agostino, « dicendo “pollone”’ indica Maria la vergine, dicendo “germoglio dalla radice” indica il Figlio della Vergine, il Signore Gesù Cristo ». Perché questo lungo discorso per l’origine davidica di Maria? Perché aveva per Lei stessa una grande importanza. Ella manifesta sin dall’Annunciazione una regale riservatezza, prudenza, chiaroveggenza e magnanimità, e mai e poi mai si scopre traccia in Lei della minima scipitezza e affettazione. Donde in questa modesta fanciulla un portamento così elevato? Certamente dalla grazia; ma la grazia anche in Maria costruisce sopra la natura. Scorreva nelle sue vene sangue regale; per quanto la stirpe di David fosse divenuta nel corso dei secoli e povera e insignificante, in quella semplice fanciulla s’era conservata la regale nobiltà dei suoi lontani antenati. Quella fanciulla di stirpe regale fu scelta da Dio a Regina del Cielo e della terra: anche nel regno della grazia non si deve stimare da poco l’origine di una persona da una tribù e casa piuttosto che da un’altra. – Il nostro tempo crea e vuole e assiste il “proletario”, non l’aristocratico, e così il livello dello spirito e del cuore si è abbassato, in qualche luogo sino alla barbarie. Forse il compito sociale più importante consiste oggi nel risvegliare nuovamente nel così detto “proletario” l’elemento aristocratico, la sua nobiltà interiore, e dalle banalità o anche dalle volgarità elevarlo di nuovo alla regalità, alla coscienza cioè della sua dignità e del suo valore. Abramo fu scelto a capostipite del popolo di Dio, e per questo la Scrittura lo dice « principe di Dio», « amico di Dio », « prediletto di Dio », «servo di Dio ». A lui fu fatta la promessa: « Nel tuo seme saranno benedette tutte le genti della terra » . Maria è Colei, che partorì al mondo questa Benedizione. Ella, quindi, non è una qualunque fra le molte figlie di Abramo, ma di quell’eletto è la più eletta, il preziosissimo nocciolo di quel venerando guscio. Il Vangelo ci mette dinanzi quanto questa Figlia eletta sia stata degna di quell’eletto padre. Abramo fu l’uomo della fede eroica e di una tale dedizione a Dio, che fu pronto a offrire in sacrificio al Signore persino il suo unico figlio Isacco, sul quale riposava tutta la divina promessa. Ancor più grande di suo padre Abramo nella fede e nel sacrificio fu la sua figlia Maria: Lei pure, sostenuta dalla fede, accompagnò al luogo del sacrificio il suo Unigenito; ma a Lei non venne in aiuto nessun Angelo, che impedisse col suo comando l’uccisione: Ella dovette condurre a termine il sacrificio nella persona del suo unico e amato Figlio. Il quadro sarebbe degno d’un artista: Abramo e Maria, il canuto Patriarca con la sua benedetta Figlia; Abramo dovrebbe imporre le sue vecchie mani su questa Fanciulla per significare che le promesse a lui fatte si son adempiute in Lei; poi dovrebbe lentamente inginocchiarsi dinanzi a Maria e adorare in Lei, ostensorio vivente di Gesù, quel Sublime, che, come vero Melchisedech, offre a Dio pane santo e vino consacrato. Ancor più commovente, ancor più profondo è l’ultimo quadro: Maria… la figlia di Adamo. Le chiarissime parole del libro veterotestamentario della Sapienza riguardanti l’umana esistenza valgono anche per Maria: «Sono anch’io un uomo mortale al pari di tutti, e rampollo di colui che primo fu plasmato di terra. Nel seno di mia madre fui formato uomo, nello spazio di dieci mesi coagulato in sangue per virtù di uomo, secondo il piacere sensibile. Anch’io, nato che fui, respirai l’aria comune, e caddi sulla medesima terra di tutti gli altri, e la prima voce emessa, come quella di tutti, fu un vagito. Fui nutrito in fasce e con grandi cure. Nessun re ebbe altro principio del suo essere, ma tutti hanno lo stesso ingresso alla vita come anche uguale l’uscita ». Maria non fu una fanciulla favolosa, deposta su questa terra da un altro mondo; la sua origine umana è uguale alla nostra: non fu generata dai suoi genitori in modo miracoloso o addirittura senza uso del matrimonio, come van favoleggiando graziose leggende; il Mistero del suo immacolato concepimento e anche quello della virginale concezione di Gesù non han nulla da che vedere con questo fatto umano, come talora pensano delle anime pie. Maria, come ne fan cenno Matteo e Luca nelle genealogie, sta nella stessa fila con noi, anche Lei è un membro di quella lunga catena, che comincia col primo uomo; Adamo è suo padre e la povera Eva è sua madre. Maria è così perfettamente figlia di Adamo, che il Figlio di Dio per mezzo di Lei e solo per mezzo di Lei divenne pure Figlio dell’uomo; solo per mezzo di Lei la seconda Persona divina fece ingresso nella stirpe umana, per mezzo di Maria soltanto. Il Verbo eterno di Dio non ebbe nessun padre umano che Lo potesse congiungere con Adamo; anello di congiunzione col nostro progenitore fu per il Verbo Maria; Ella introdusse quell’augusto divino Germoglio nella nostra stirpe; senza Maria Gesù non sarebbe affatto in relazione con Adamo, non sarebbe uno di noi, sarebbe al di fuori della nostra schiatta. D’altra parte, questo collegamento con Adamo fu per la redenzione del genere umano estremamente significativo e prezioso: il Figlio di Dio assunse la natura umana per strapparla al peccato e ricondurla alla grazia; come il medico deve entrare dagli ammalati, così e ancor più volle il Redentore entrare, penetrare nella discendenza ammalata di Adamo per poterla risanare sin dalla sua radice. Nessuna minaccia per Lui stesso, nessuna infezione rendeva pericoloso questo suo ingresso; Gesù è il Santo, il Figlio di Dio per natura; Egli, qual nuova creazione, fu miracolosamente plasmato in Maria dallo Spirito Santo. Ma come van le cose per Lei? Ella infatti è una figlia di Adamo, sangue del suo sangue, e lo dovette essere proprio a motivo di Gesù stesso; ora il torrente di questo sangue, cui Lei deve la sua origine, è avvelenato nella Sua stessa sorgente, in Adamo ed Eva: potrà mai essere che non venga travolta in questo vortice intorbidato? Quanto il peccato abbia reso pesante il torrente del sangue umano da Adamo in poi lo prova, e non senza sconcertare, quella genealogia, che sfocia ansiosa nei sublimi nomi di Maria e di Gesù. Perché veramente in quei gruppi di generazioni non sfilano soltanto venerandi Patriarchi, nobili re e santi sacerdoti; non v’è anzi vizio, non v’è crimine, che non abbia insudiciato quel succedersi di generazioni. Persino i più eletti fra quei personaggi — Abramo, Giacobbe, Giuda, David — pagarono un grosso contributo al peccato; e questo vale in modo speciale per le donne che quell’albero genealogico ricorda; rimase sorpreso lo stesso Girolamo, così competente in campo biblico, che la tavola genealogica di Matteo non nomini nessuna delle nobili donne d’Israele — non Sara, non Rebecca, non Rachele —, e invece ricordi Tamar, che commise incesto col proprio suocero Giuda; Rahab, che era una nota meretrice; Ruth, che non apparteneva al popolo eletto; la moglie di Uria, come Matteo stesso scrive con pudica riservatezza a causa del delitto che perpetrò David commettendo adulterio con Betsabea, il cui sposo egli fece poi vilmente uccidere. Che vi è mai in Maria di comune con questa società, perché il suo nome quale astro errante risplenda su quelle torbide generazioni? Noi solleveremmo dei gravi dubbi per un uomo, che ereditariamente fosse gravato di così triste carico. Maria discende da questo sangue curvo sotto la maledizione; David, Giuda, Giacobbe sono i suoi progenitori; Tamar, Rahab, Ruth, Betsabea son le sue progenitrici. Eva, l’infelice madre, abbraccia piangente la più eletta delle sue creature e le confessa la propria colpa; e Adamo tace e piange, perché non può trasmettere alla più nobile delle sue figlie se non un’eredità macchiata. Maria è intrecciata alla generazione di Adamo; come potrà sfuggire al suo destino? La radice è malata: avvizziranno anche i rami; la sorgente è inquinata: tutte le acque saran contaminate… A questo punto però avvenne qualche cosa; proprio qui, alle origini di Maria, capitò qualche cosa: all’oscura ombra della sua genealogia sbocciò un giglio; a questo primo e importante capitolo del Vangelo si appoggia il suo primo soave Mistero, siccome un delicato fiore a una frana, che s’è arrestata improvvisamente dinanzi ad esso: un fiore tutto bianco, un fiore tutto miracolo, il fiore della sua Immacolata Concezione.

IL CREDO

Offertorium

Orémus.
Luc 1:28; 1:42
Ave, María, grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus, et benedíctus fructus ventris tui.

Secreta

Tua, Dómine, propitiatióne, et beátæ Maríæ semper Vírginis intercessióne, ad perpétuam atque præséntem hæc oblátio nobis profíciat prosperitátem et pacem.
[Per la tua clemenza, Signore, e per l’intercessione della beata vergine Maria, l’offerta di questo sacrificio giovi alla nostra prosperità e pace nella vita presente e nella futura].

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de Beata Maria Virgine

…. Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Et te in Festivitáte beátæ Maríæ semper Vírginis collaudáre, benedícere et prædicáre. Quæ et Unigénitum tuum Sancti Spíritus obumbratióne concépit: et, virginitátis glória permanénte, lumen ætérnum mundo effúdit, Jesum Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Cæli cælorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admítti jubeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes:
[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Te, nella Festività della Beata sempre Vergine Maria, lodiamo, benediciamo ed esaltiamo. La quale concepí il tuo Unigenito per opera dello Spirito Santo e, conservando la gloria della verginità, generò al mondo la luce eterna, Gesú Cristo nostro Signore. Per mezzo di Lui, la tua maestà lodano gli Angeli, adorano le Dominazioni e tremebonde le Potestà. I Cieli, le Virtú celesti e i beati Serafini la célebrano con unanime esultanza. Ti preghiamo di ammettere con le loro voci anche le nostre, mentre supplici confessiamo dicendo:]


Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus:

Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster, qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei,

 qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Beáta víscera Maríæ Vírginis, quæ portavérunt ætérni Patris Fílium.

[Beato il seno della Vergine Maria, che portò il Figlio dell’eterno Padre].

Postcommunio

Orémus.
Sumptis, Dómine, salútis nostræ subsídiis: da, quǽsumus, beátæ Maríæ semper Vírginis patrocíniis nos úbique protegi; in cujus veneratióne hæc tuæ obtúlimus majestáti.
[Ricevuti i misteri della nostra salvezza, ti preghiamo, o Signore, di essere ovunque protetti dalla beata sempre vergine Maria, ad onore della quale abbiamo presentato alla tua maestà questo sacrificio].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)