LA DOTTRINA SPIRITUALE TRINITARIA (15)

M. M. PHILIPPON

LA DOTTRINA SPIRITUALE DI SUOR ELISABETTA DELLA TRINITÀ (15)

Prefazione del P. Garrigou-Lagrange

SESTA RISTAMPA

Morcelliana ed. Brescia, 1957.

CAPITOLO SESTO

JANUA CŒLI

« Tutto, in Lei, si svolge di dentro »

1) La Vergine del Carmelo — 2) La Vergine della Incarnazione 3) Janua coeli.

Era impossibile che suor Elisabetta della Trinità non riserbasse alla Madre di Dio un grande posto nella sua vita. Condizione essenziale per essere salvi è la devozione alla Madre di Cristo; e tutti i santi, infatti, hanno amato Maria con passione, ciascuno nella linea della propria grazia personale. San Paolo, in conformità alla sua missione, mette in evidenza il posto che, nell’economia della Redenzione, occupa la Vergine santa in funzione del mistero di Cristo « nato da una donna » (Gal. IV, 4), per essere il Salvatore dell’umanità decaduta. Nel cuore di Giovanni scolpito, indelebile, il ricordo dell’ora suprema in cui il morente ha lasciato Maria per Madre a lui e a tutti i predestinati; e, nella sua Apocalisse, ci rivela come questa dolce Madre non si disinteressa di noi, dopo la sua morte e gloriosa assunzione; anzi, più vigile, più madre che mai teneramente china su tutti i suoi figli, si vale della sua presenza dinanzi al volto dell’Onnipotente, per meglio intercedere in nostro favore. Sant’Agostino ce la mostra divenuta Madre del « Cristo totale » nel momento dell’Incarnazione, per la sua carità. I Padri greci hanno esaltato con grazia poetica e con ,magnificenza la « tutta santa », il tabernacolo vivente del Verbo Incarnato, il tempio purissimo della Trinità. Da venti secoli, la Chiesa d’Oriente e d’Occidente, con sant’Efrem, san Cirillo, sant’Anselmo, san Bonaventura, san Tommaso — bisognerebbe citare tutti i dottori e tutti i santi — non fa che proclamare la parte unica ed universale di Maria nell’opera della nostra salvezza. Madre di Dio e degli uomini, Maria adempie il disegno divino con la sua bontà materna. Non un movimento si produce in tutto l’insieme della redenzione senza che, dopo Gesù e con Gesù, Maria non vi abbia la sua parte: « Questa è la volontà immutabile di Colui il quale ha stabilito che tutto ci giunga per mezzo di Maria » (S. Bernardo: Sermo de Nativitate B. V. M.). – Nella sua devozione mariana, ogni santo serba la propria fisonomia. Estatico dinanzi alle grandezze della Vergine Madre, l’anima ardente di un san Bernardo, il citaredo di Maria, canta: « De Maria, numquam satis ». San Tommaso ferma il suo sguardo di teologo sulla divina maternità, chiave di volta di tutte le grandezze di Maria; e contempla la Madre del Verbo che, per questa maternità, tocca i confini della divinità, perché il Figlio dell’Eterno Padre è anche e veramente Figlio della Vergine. La devozione mariana di suor Elisabetta della Trinità non va ridotta ad una forma troppo determinata di « schiavitù », quale la concepiva, per esempio, il beato Grignon di Montfort. Non sappiamo nemmeno se ne avesse letto il « Trattato della vera devozione alla Vergine santa », capolavoro della nostra letteratura mariana. – Essa va alla Madonna con tutta la sua anima di contemplativa e trova in Lei la perfetta realizzazione del suo ideale interiore. Si sente attirata soprattutto dalla Vergine dell’Incarnazione, adoratrice del Verbo nascosto nel suo seno, che passa calma e maestosa sulle montagne della Giudea, raccolta nell’intimo col Verbo che abita in Lei, senza che nulla possa distrarla dalla sua visione interiore. La Vergine preferita da suor Elisabetta della Trinità è la Vergine del silenzio e del raccoglimento. Ma non è stato sempre così. Per molto tempo, la sua pietà verso Maria somigliava a quella di molte fanciulle la cui fisonomia spirituale non ha ancora delle note definite e personali. Andava alla Vergine santa come alla custode della sua purezza e, in ognuna delle feste di Maria. rinnovava il suo voto di verginità. Ricorreva a Lei in tutti i suoi bisogni, un po’ come fanno i bimbi che, istintivamente, cercano protezione presso la mamma; e, nei momenti difficili la implorava fervorosamente per il suo avvenire e per la sua vocazione. La Vergine di Lourdes la vide, supplice ai suoi piedi per tre giorni, offrirsi nelle sue mani come vittima per i peccatori, sotto il suo sguardo materno, per sempre. Mai Elisabetta sarebbe uscita di casa per recarsi ad una festa mondana, senza essere andata prima dalla Madonna a chiederle la benedizione. E la Madonna esaudisce sempre la preghiera dei cuori puri; la grazia che emana da Lei, Vergine, fa vergini le anime, le custodisce sante e immacolate nell’amore, sotto lo sguardo di Dio; e suor Elisabetta della Trinità deve alla sua speciale protezione la grazia di essere passata sulla terra pura come un giglio. Il suo « diario » di fanciulla è pieno del pensiero di Maria. In ogni occasione, lieta o triste, ricorre a Lei, invocandone l’intervento persino in certi particolari che ci farebbero quasi sorridere, ma i santi vedono le cose meglio di noi. Un giorno, per timore di essere applaudita, in un concerto e di provarne vana compiacenza, prega la Vergine santa di impedirle, in qualche modo, di partecipare a quella festa; ebbene, la sera della vigilia viene assalita da un mal d’orecchi così forte che, l’indomani, deve rinunciare a presenziare al concerto. A quattordici anni, va in pellegrinaggio, insieme ad una piccola amica, al santuario di Nostra Signora d’Etang in Borgogna, per impetrare la grazia di morire giovane: e lascerà la terra a 26 anni. Non si contano poi le preghiere e le novene, ogni volta che c’è una grazia nuova da ottenere. Nella sua vita di fanciulla, la Vergine santa c’entra sempre, in tutto. Citiamo a caso, il suo « Diario »: « 2 febbraio 1899 – Purificazione. Ad ogni festa di Maria, rinnovo la mia consacrazione a questa cara Madre. Oggi, dunque, mi sono donata a Lei, gettandomi di nuovo fra le sue braccia con la più assoluta confidenza. Le ho raccomandato il mio avvenire, la mia vocazione ». – « 12 marzo 1899. Maestro buono, se Tu non mi dai quest’anima, io ne morrò di dolore. Dammela, te ne scongiuro, a costo di qualsiasi tormento. Maria, Vergine di Lourdes, Nostra Signora del perpetuo soccorso, vieni in mio aiuto; tutto è perduto, se tu non fai un miracolo. E io conto su questo miracolo ». – « 24 marzo 1899. O Maria, Tu che io prego ogni giorno per ottenere l’umiltà, soccorrimi; schiaccia il mio orgoglio, mandami molte umiliazioni, Madre buona ». –  « 2 aprile 1899. Tutto è finito. Come è passata presto questa missione! Prima di lasciare la Chiesa, ho affidato il mio povero peccatore alla Vergine del perpetuo soccorso: le avevo promesso di invocarla ogni giorno per questa povera anima. Poi, mi sono nuovamente consacrata a Maria, abbandonandomi a Lei con fiducia piena; mi ha così bene esaudita riguardo alla mia vocazione, che io non potrò mai esprimerle come vorrei, tutta la mia riconoscenza e il mio amore. Sono felice, ho il cuore traboccante di gaudio; pregusto fin d’ora la mia prossima gioia. O Madre del perpetuo soccorso, ogni giorno ti invocherò per questa doppia intenzione: perché tu continui a sostenere la mia mamma car che ora a mi comprende così bene, e poi perché Tu sostenga anche me, in questa via della croce con Gesù, nella quale mi impegno con tanta gioia. Madre mia, fammi la grazia di perseverarvi, di divenire veramente perfetta; custodisci puro il mio cuore! ».

1) La sua pietà di Carmelitana verso la Vergine santa diviene ben presto vita di intimità profonda. In virtù di un processo psicologico del tutto normale, eppure degno di nota, si riscontrano nella devozione mariana dei santi gli stessi lineamenti generici della loro fisonomia spirituale. Suor Elisabetta della Trinità che, fin dal suo primo giorno al Carmelo, era « passata tutta quanta nella anima di Cristo », in virtù dei medesimi riflessi psicologici, fisserà il suo sguardo contemplativo sull’anima della Vergine. Soltanto pochi giorni dopo la sua entrata in Convento, scriveva alla mamma: « Ho messo l’anima mia in quella della Madre dei dolori e l’ho pregata di consolarti tanto. Abbiamo, in fondo al chiostro, una statua di « Mater dolorosa » per la quale ho molta devozione; amo tanto queste lacrime della Vergine Madre! Tutte le sere, vado a parlarle di te, mamma ». Il Carmelo è, per eccellenza. un Ordine mariano. « Le anime chiamate da Dio a servirlo nel nostro Ordine, sappiano che loro  primo e principale obbligo, come Carmelitano, è di onorare con particolare cura la santissima Vergine Maria: primieramente nella sua dignità suprema di Madre di Dio, in tutti i privilegi e le grandezze che questa dignità racchiude e nella sovranità che le conferisce sul cielo e sulla terra; in secondo luogo, nella bontà eccessiva e nella umiltà che hanno indotto la Vergine santa a farsi la Madre e la Patrona di questo Ordine. Per soddisfare a tale obbligo, ciascuna avrà cura di comunicarsi almeno una volta al mese, in onore della Santissima Vergine: e cioè, per il compimento dei suoi disegni sulla terra, per l’accrescimento. in tutte le anime, della devozione verso di Lei, e per ottenere che membri di questo Ordine la amino, la onorino, la servano e le appartengano, secondo tutta la estensione dei disegni di misericordia del suo divin Figlio e suoi » (Direttorio portato in Francia dalle Madri spagnole). – Notiamo la singolare elevatezza di questa devozione a Maria. La Carmelitana va diritta alla Madre di Dio per congratularsi con Lei di quella maternità. divina che spiega tutto in Maria: i privilegi e le grandezze e la sovranità sull’universo. – È l’atteggiamento normale di una Carmelitana: prima di tutto e sempre, Dio. Non c’è bisogno di aggiungere « Dio solo »; è sottinteso: l’anima della Carmelitana, dinanzi al mistero, si muove in una luce tutta divina, escludendo assolutamente ogni altra luce. La Vergine, come la Umanità santa del Cristo, ed ogni altra creatura, non sono considerate che in relazione a Dio. E soltanto in un secondo sguardo, discendendo dalla « suprema dignità di Madre di Dio », la Carmelitana penetra in quella Maternità di grazia « che, in un eccesso di bontà e di umiltà, ha indotto le Vergine santa a costituirsi Madre e Patrona del suo Ordine ». Ma non deve fermarsi qui; e, secondo la vocazione apostolica del suo Ordine, deve pregare e immolarsi « per il compimento dei disegni di Maria sulla terra », perché aumenti l’onore tributatole dalle anime, e perché i membri dell’Ordine, in particolare, la amino, la onorino, la servano e le appartengano, secondo tutta l’immensità dei disegni di misericordia del divin suo divin Figlio. Suor Elisabetta della Trinità seppe profittare in grado straordinario della devozione così equilibrata a cui i membri dei grandi Ordini religiosi – Sono iniziati durante la loro formazione. Una lunga tradizione di santità, una parola udita nel commentare un punto della Regola o del Direttorio, la silente correzione quotidiana operata dal semplice gioco degli avvenimenti della vita comune e cher ristabilisce le cose al vero posto, tutto questo fa sì che le anime fedeli, impegnandosi del più puro spirito del loro Ordine, avanzino rapidamente verso la perfezione. Ciò appare evidente, in modo particolare, in suor Elisabetta della Trinità, nello svolgersi della sua vita mariana. – Entrata nel Chiostro, la sua pietà verso Maria, assume rapidamente un carattere carmelitano. Per comprendere questa forma di devozione mariana, bisogna rendersi conto che, al Carmelo, la solitudine è tutto. E quale solitudine nell’anima della Vergine! In lei, più niente di umano. È l’essere puro, luminoso, trasparente, libero, che l’amore colpevole e soltanto troppo sensibile non sfiorò mai; è la tutta Vergine per eccellenza, separata da tutto.  È Colei che passò nella via «Sola col Solo », non volendo altri che Lui, nella gioia e nel dolore. Solitudine del cuore della Vergine, che il sensibile non avvinse mai, che attraversò gli affetti di questo mondo effimero « santa ed immacolata nell’amore ». – Solitudine dell’anima della Vergine in conversazione con Dio solo, seza dobbio in attiva partecipazione alla vita degli uomini, ma per compiervi un’opera ddivina, anima di Corredentrice, sempre più immedesimata con l’animo di Cristo  così solitario la sera, sulla montagna, o nell’orto del Gethsemani. Solitudine divina dell’anima della Vergine, elevata, col Verbo suo Figlio, sini al confine della Divinità, e là associata a tutti i disegni della Trinità a causa del suo posto universale nella salvezza del mondo; soprattutto, così infinitamente distante dal Dio suo Figlio. Sono abissi che fanno tremare. –  Giunti alle alte cime, i santi sono gli uomini più soli sulla terra. Che dire della Vergine e di Cristo? Chi pensa alla solitudine dell’anima del Verbo? In principio era il Verbo, e il Verbo in Dio, era nella propria dimora; e il Verbo si è fatto carne, è venuto ad abitare fra noi, ma i suoi non l’hanno ricevuto. E noi l’abbiamo visto, quale un Dio solitario, aggirarsi in mezzo alla sua creazione. È vero; dentro di « Lui c’era l’Unità col Padre e con l’Amore; ma chi avrebbe potuto supporlo, vedendolo? – Lo stesso, fatte le dovute proporzioni, era dell’anima di Maria, così sola in mezzo agli uomini a Nazareth, a Bethlem, ai piedi della croce; in realtà, tutta nascosta in Dio con Cristo del quale sempre, nel cuore, meditava il mistero.

2) Questa vergine del Carmelo, estranea a tutto il creato e adoratrice del Verbo ascoso nel suo seno, è la Vergine dell’Incarnazione, la Vergine che suor Elisabetta della Trinità predilige, perché anche il suo ideale è vivere silenziosa e adoratrice del Dio celato nelle intime profondità dell’anima sua. – « Pensiamo che cosa doveva provare l’anima della Vergine quando, dopo l’Incarnazione, possedeva in sé il Verbo Umanato, il Dono di Dio! Con quale silenzio, con quale raccolta adorazione doveva inabissarsi nel profondo dell’anima sua, per stringere a sé quel Dio di cui era Mamma! » (Lettera alla sorella – Novembre 1903). – Non devo fare nessuno sforzo per penetrare in questo mistero dell’inabitazione divina nella Vergine santa; mi sembra di trovarvi il movimento abituale dell’anima mia, che fu pure il suo: adorare in me il Dio nascosto » (Lettera alla sorella – Novembre 1903). – Leggendo san Giovanni della Croce, scopre in Maria il modello perfetto dell’unione trasformante, e sogna di passare sulla terra come la Vergine: silenziosa e adoratrice del Verbo, tutta perduta nella Trinità. « Leggo in questo momento delle pagine così belle nel nostro Padre san Giovanni della Croce, sulla trasformazione dell’anima nelle Tre Divine Persone. A quali abissi di gloria siamo chiamati! Ah! io comprendo i silenzi, il raccoglimento dei santi che non potevano più uscire dalla loro contemplazione. Perciò, Dio poteva condurli sulle divine altezze, dove l’« Uno » si compie e si perfeziona fra Lui e l’anima divenuta misticamente sua sposa. Il nostro beato Padre dice che, allora, lo Spirito Santo la eleva ad altezze così stupende, da renderla capace di produrre in Dio la stessa spirazione d’amore che il Padre produce col Figlio e il Figlio col Padre; spirazione che è lo stesso Spirito Santo. E dire che il Signore buono ci chiama, in nome della nostra vocazione, a vivere in queste luminosità sante. Che adorabile mistero di carità … Vorrei corrispondervi passando sulla terra, come la Vergine santa: « Custodendo tutte queste cose nel mio cuore » (S. Luc. II, 51), seppellendomi, per dir così, nel fondo della mia anima, affine di perdermi nella Trinità che ivi dimora, per trasformarmi in sé. Allora il mio nome, « mio ideale luminoso », sarà realizzato: io sarò veramente Elisabetta della Trinità » (Lettera al sacerdote Don Ch… 23 novembre 1903). – Nutriva particolare devozione per un’immagine che aveva ricevuta e che rappresentava la Vergine dell’Incarnazione, raccolta sotto l’azione della Trinità. « Nella solitudine della mia cella che io chiamo « il mio piccolo paradiso », perché è tutta piena di Colui del quale si vive in cielo, guarderò spesso la preziosa immagine, e mi unirò all’anima della Vergine allorché il Padre la copriva della sua ombra, il Verbo si incarnava in Lei e sopra di Lei scendeva lo Spirito Santo per operare il grande mistero. La Trinità tutta è in azione, si offre, si dona. E la vita della Carmelitana non deve forse svolgersi in questi amplessi divini? » (Lett. alla s De S… 1905). La Vergine dell’Incarnazione, tutta raccolta sotto la azione creatrice della Trinità « che opera in Lei grandi cose » è il più caro, il più intimo ideale della devozione mariana di suor Elisabetta, l’ideale a cui si sente attratta quasi per « connaturalità », diremo con la teologia. Da questa devozione lungamente vissuta doveva scaturire un giorno quell’elevazione così bella alla Vergine, scritta nel suo ritiro: « Come trovare il cielo sulla terra ».« Si scires domum Dei! Se tu conoscessi il dono di Dio! » (S. Giov. IV, 10), diceva una sera Cristo alla Samaritana. Ma che è mai questo dono di Dio, se non Lui stesso? Il discepolo prediletto ci dice: « Egli è venuto nella sua casa, ma i suoi non l’hanno ricevuto » (S. Giov. I, 11). E san Giovanni Battista potrebbe ripetere ancora a molti quel suo rimprovero: « C’è in mezzo a voi — in voi — uno, che voi non conoscete » (S. Giov. I, 26). « Se tu conoscessi il dono di Dio ». Ma una creatura c’è, che ha conosciuto questo dono di Dio, che non ne ha lasciato disperdere la minima particella; una creatura così pura, così luminosa, da sembrare, lei, la stessa luce: Speculum iustitiae; una creatura la cui vita fu tanto semplice, tanto nascosta in Dio, che non se ne può dire quasi nulla. Virgo fidelis: è la Vergine fedele, colei che « custodiva tutte le cose nel suo cuore » (S. Luc. II, 51). Se ne stava così piccola, così raccolta dinanzi a Dio nel segreto del Tempio che attirò le compiacenze della Trinità santa. « Perché Egli ha rivolto lo sguardo alla piccolezze della sua ancella, ormai tutte le generazioni mi chiameranno beata » (S, Luc. I, 48). Il Padre, chinandosi verso questa creatura così bella, così ignara della sua bellezza, volle che fosse nel tempo, la Madre di Colui di cui Egli è Padre nell’eternità. Intervenne allora lo Spirito d’Amore che presiede a tutte le opere divine; la Vergine disse il suo « fiat »: « Ecco la serva del Signore; si faccia di me secondo la tua parola » (S, Luc. I, 38), e il massimo dei miracoli si compì. Con la discesa del Verbo in Lei, Maria fu per sempre preda di Dio. – La condotta della Vergine nei mesi che passarono tra l’Annunciazione e la Natività mi pare debba essere di modello alle anime interiori, a quelle anime che Dio ha elette a vivere raccolte « nel loro intimo », nel fondo dell’abisso senza fondo. Con quanta pace, in quale raccoglimento Maria agiva e si prestava ad ogni cosa, Anche le azioni più ordinarie erano da lei divinizzate perché, in tutto ciò che faceva, la Vergine restava pur sempre l’adoratrice del dono di Dio; né questo le impediva di donarsi è attivamente anche nella vita esteriore, quando c’era da esercitare la carità: il Vangelo ci dice che « Maria percorse con grande sollecitudine le montagne della Giudea, per recarsi dalla cugina Elisabetta » (S. Luc. I, 39). La visione ineffabile che contemplava dentro di sé non diminuì mai la sua carità esteriore, perché se la contemplazione si volge alla lode e all’eternità del suo Signore, ha in sé l’unità e non potrà perderla mai » (Il Paradiso sulla terra, 12° orazione).

3) Una tale elevatezza di pensiero non scaturisce d’un tratto e a caso; suppone una lunga vita di intimità con Maria; e i documenti infatti la confermano. Bambina ancora, le sue prime poesie erano sbocciate per cantare la Vergine, « custode della sua purezza »; il suo diario di fanciulla era pieno del pensiero lei: e quando divenne Carmelitana, la Madonna rimase sempre inseparabile dai minimi particolari della sua vita. Spesso, firmava le sue lettere: « Suor Maria Elisabetta cella Trinità ». Compose la sua celebre preghiera nella festa della Presentazione, quella festa « tanto cara » in cui ritrovava il movimento più abituale del suo cuore: l’oblazione della Vergine alla Trinità, non più a Gerusalemme, ma nel tempio dell’anima sua. « O mio Dio, Trinità che adoro!… Pacifica l’anima mia, rendila tuo cielo, tua amata dimora, luogo del tuo riposo. Che, in essa, non ti lasci mai solo, ma tutta io vi sia, ben desta nella mia fede, immersa nell’adorazione, pienamente abbandonata alla tua azione creatrice ». Quando giunse la sera di questa vita così breve, suor Elisabetta si volse con raddoppiata tenerezza alla Immacolata, la Madonnina della sua vestizione. « È stata lei, l’Immacolata, a darmi l’abito del Carmelo; oggi la prego di rivestirmi con quella tunica di finissimo lino della quale si adorna la sposa per recarsi al banchetto di nozze dell’Agnello » (Lettera al Canonico A… – Fine luglio 1906.). Una notte — era in infermeria — mentre il suo sguardo si posava sopra un’immagine della Vergine addolorata appesa alla parete, sentì interiormente uno di quegli avvertimenti che Dio suole rivolgere all’anima dei suoi santi. Ricordandosi, allora, di una Vergine di Lourdes dalla quale aveva ricevuto tante grazie quand’era bambina, richiese alla mamma, affinché Colei che l’aveva vegliata nel suo ingresso alla vita, « la custodisse ancora al suo uscirne ». Da allora, la chiamò « Janua cœli », e quella statua non la lasciò più. Estenuata di forze, suor Elisabetta si trascinava ancora nella piccola tribuna prospiciente il coro, portando penosamente nelle mani quella statua alta più di trenta centimetri, quasi troppo pesante per le sue dita tremanti, prive di forza. Quando si vedeva Janua cœli, Laudem gloriæ non era lontana. Un giorno suor Elisabetta mise nella cella della sua Madre Priora una piccola costruzione in cartone rappresentante una fortezza col ponte levatoio. Vicino alla porta chiusa, una Vergine di Lourdes in rilievo: era Janua cœli. Ad un angolo della torre merlata, sventolava una bandiera recante questa iscrizione: « Castello del dolore e del santo raccoglimento, abitazione di Laudem gloriæ in attesa della Casa del Padre. Janua cœli (Janua cœli è un’invocazione della S. Vergine che significa “Porta del cielo”) era divenuta per lei la porta della Trinità. – Nelle ultime ore della sua agonia, si cercava di consolarla ricordandole la presenza della Vergine che amava tanto. « La Vergine santa sarà là, ti terrà la mano ». « Sì, è vero, Janua cœli Janu: lascerà passare Laudem gloriæ » L’antivigilia della morte, fu udita ancora mormorare: « Fra due giorni, sarò in seno ai miei Tre. « Lætatus sum in his quæ dicta sunt mihi » (Ps. CXXI, 1). È la Vergine, questo essere tutto luce, tutto purezza, della purezza di Dio, che mi prenderà per mano per introdurmi in cielo, in quel cielo così splendente …» – Volle sotto la protezione di Janua cœli l’ultimo suo ritiro sulla terra, e la sera del 15 agosto vì entrava come « nel noviziato del cielo, per prepararsi a ricevere la veste della gloria » (Biglietto di una consorella). Fino dal primo giorno di questo suo ritiro, si rivolgeva alla Vergine, per chiederle la realizzazione del supremo desiderio dell’anima sua: « Essere conforme a Cristo, crocifisso per amore, e divenire, a somiglianza di Lui, una perfetta lode di gloria della Trinità. « Nessuno ha veduto il Padre — ci dice san Giovanni — se non il Figlio e coloro ai quali è piaciuto al Padre di rivelarlo » (S. Giov. VI, 46); e mi pare che si possa soggiungere: Nessuno ha saputo comprendere il mistero di Cristo nella sua profondità, se non la Vergine santa. Giovanni e la Maddalena sono penetrate molto addentro in questo mistero; san Paolo parla spesso dell’« intelligenza » che gliene è stata data; eppure, come rimangono nell’ombra tutti i santi, quando si pensa alla chiarezza interiore della Vergine!… Essa è inenarrabile. Il segreto che « Maria custodiva e meditava nel suo cuore » nessuna lingua ha potuto mai esprimerlo, nessuna penna rivelarlo. Questa Madre di grazia formerà l’anima mia, farà sì che la sua figliolina divenga un’immagine vivente, « eloquente » del suo Primogenito, il Figlio dell’Eterno, Colui che fu la perfetta lode di gloria del Padre» (?Ultimo ritiro, I). Nell’ultimo giorno dello stesso ritiro, suor Elisabetta compose di getto, come un canto sgorgato dal cuore, una bella elevazione alla Vergine, di una sicurezza dottrinale impeccabile e di una profondità sorprendente. È l’ora della sua più evoluta dottrina mariana. Vi sono certe pagine dei santi, che bisognerebbe leggere in ginocchio: « Dopo Gesù Cristo e, s’intende, a quella distanza che passa tra l’infinito e il finito, vi è una creatura che fu anch’essa la grande lode di gloria della santissima Trinità; ella corrispose pienamente all’elezione divina di cui parla l’Apostolo: fu sempre pura, immacolata, irreprensibile agli occhi del Dio tre volte santo. – La sua anima è così semplice; i movimenti ne sono così profondi, che non si posson scorgere. Sembra riprodurre sulla terra la vita dell’Essere divino, l’Essere semplicissimo; quindi, è così trasparente, così luminosa, che si potrebbe crederla la stessa luce; eppure, non è che « lo specchio del Sole di giustizia: speculum iustitiæ ». « La Vergine custodiva queste cose nel suo cuore » (S. Luc. II, 51). tutta la sua storia può essere compendiata da queste parole; visse nel proprio cuore e a tali profondità che lo sguardo umano non può seguirla. Quando leggo nel Vangelo che « Maria percorse con tutta sollecitudine le montagne della Giudea » (S, Luc. I, 39) per andare a compiere un’opera di carità presso la cugina Elisabetta, io la vedo passare bella, calma, maestosa, intimamente raccolta col Verbo di Dio. La sua preghiera, come quella di Lui, fu sempre: « Ecce: eccomi! ». — Chi? — L’ancella del Signore, l’ultima tra le sue creature. Lei, sua Madre! –  Era così sincera nella sua umiltà! Perché fu sempre dimentica, libera di se stessa, sicché poteva cantare: « L’Onnipotente ha fatto in me grandi cose; tutte le generazioni mi chiameranno beata ». – Questa Regina dei vergini è anche Regina dei martiri; ma la spada la trafigge nel cuore, perché tutto, in Lei, si svolge nell’intimo. La contemplo. Oh, come è bella nel suo lungo martirio, circonfusa da una specie di maestà da cui emana e forza e dolcezza! Perché ha imparato dal Verbo stesso come dovevano soffrire quelli che il Padre ha scelti come vittime, quelli che ha deciso di associare alla grande opera della redenzione, « che ha conosciuti e predestinati ad essere conformi al suo Cristo », crocifisso per amore. È lì, ai piedi della Croce, diritta e forte nel suo coraggio sublime; e Gesù mi dice: « Ecce Mater tua ». Me la dà per Madre. Ed ora che è ritornata al Padre, che ha messo me al suo posto sulla croce, affinché « io soffra in me quello che manca alla sua Passione per il suo mistico Corpo che è la Chiesa », la Vergine è qui ancora, vicina a me, per insegnarmi a soffrire come Lui. per farmi sentire gli ultimi canti dell’anima di Gesù, che soltanto Lei, sua Madre, ha potuto intendere. – E quando avrò pronunciato il mio « consummatum est », sarà ancora Lei, Janua cœli, che mi introdurrà negli atrî divini dicendomi, piano, la misteriosa parola: « Lætatus sum in his quæ dicta sunt mihi: in domum Domini ibimus » (Ps. CXXI, 1 – Ultimo ritiro).