LA GRAZIA E LA GLORIA (9)

LA GRAZIA E LA GLORIA (9)

Del R. P. J-B TERRIEN S. J.

I.

Nihil obstat, M-G. LABROSSE, S. J. Biturici, 17 feb. 1901

Imprimatur: Parisiis, die 20 feb. 1901 Ed. Thomas, v. g.

TOMO PRIMO

LIBRO II

LA NATURA DELLA NOSTRA FILIAZIONE ADOTTIVA. – IL PRINCIPIO COSTITUTIVO CREATO, VALE A DIRE LA GRAZIA SANTIFICANTE CON LE VIRTÙ ED I DONI.

CAPITOLO III

La Grazia creata secondo gli insegnamenti dottrinali dei Concili e dei Sovrani Pontefici.

.I. – Questi insegnamenti, che non devono mai essere persi di vista quando si tratta di questioni così delicate, confermano sotto ogni aspetto la dottrina esposta nei capitoli precedenti. Ascoltiamo, prima di tutto, il grande Concilio di Trento. Sarebbe difficile leggere qualcosa di più decisivo sull’esistenza della grazia abituale, cioè di una forma permanente, il fondamento e la ragione della nostra filiazione divina, il termine formale della generazione nell’ordine divino, come la natura è il termine formale della generazione nell’ordine della paternità comune. È nel settimo capitolo della Sesta Sessione che il Concilio afferma la sua dottrina. Ma per comprenderlo appieno, è necessario fare un’osservazione importante: la giustificazione di cui parla il santo Concilio e la filiazione adottiva, sono la stessa cosa. Adottarci è giustificarci: il Concilio lo insegna chiaramente nel terzo e quarto capitolo della stessa sessione. Dopo aver riportato le parole con cui l’Apostolo ci invita a rendere eternamente grazie a Dio Padre per averci salvato dal potere delle tenebre, chiamati alla sua luce meravigliosa e fatti entrare nel regno del Figlio suo diletto (Col. I, 12, 13), esso aggiunge immediatamente: « Queste parole ci insinuano la descrizione della giustificazione dell’empio: è come un passaggio dallo stato in cui l’uomo nasce figlio del primo Adamo, allo stato di grazia e all’adozione dei figli di Dio da parte del secondo Adamo, Gesù Cristo nostro Salvatore » (Conc. Trid., Sess. VI, c. 4). – Quindi, se vogliamo sapere cosa, secondo il Concilio, renda i figli adottivi, chiediamogli la causa intrinseca e formale della giustificazione. La risposta si trova nel capitolo successivo dello stesso Concilio. Esso afferma: « Queste sono le cause della giustificazione. La causa finale è la gloria di Dio e del Cristo e la Vita eterna; la causa efficiente, è Dio che nella sua misericordia ci lava gratuitamente, ci santifica..; la causa meritoria, il Figlio unico e diletto di Dio, Gesù.-Cristo Nostro Signore ….; la causa strumentale, il Sacramento del Battesimo… – Infine, l’unica causa formale è la giustizia di Dio, non quella giustizia con cui Dio stesso è giusto, ma la giustizia con cui ci rende giusti; cioè, questa giustizia ci rinnova anche nel profondo dello spirito, quando è infusa in noi interiormente: così che non siamo solo reputati giusti, ma siamo in realtà giusti, per la giustizia veramente ricevuta nelle nostre anime… « Demum, unica formalis Causa est justitia Dei, non qua ipse justus est, sed qua nos Justos facit, qua videlicet ab eo donati renovamur spiritu mentis nostræ; et non modo reputamur, sed vere justi nominamur et sumus, justitiam in nobis recipientes….. ». – Due righe più avanti, il Concilio aggiunge nello stesso capitolo: « È vero che giusti sono solo coloro ai quali sono comunicati i meriti della passione di nostro Signore Gesù Cristo; ma questo vale anche per la giustificazione degli ingiusti, quando per il merito di questa santissima Passione, la carità effusa dallo Spirito Santo nel cuore dei giustificati diventa inerente a loro. » Lungi dal diminuire il significato di queste formule, l’undicesimo canone, che risponde al nostro capitolo, le conferma: « Se qualcuno pretende che gli uomini siano giustificati o dalla semplice imputazione della giustizia di Cristo, o dalla semplice remissione dei peccati, ad esclusione della grazia e della carità che viene riversata dallo Spirito Santo nei loro cuori, e diventa inerente ad essi; oppure che la grazia che ci giustifica sia un puro favore di Dio, sia anatema. » – Nel XIV secolo, un Concilio ecumenico, quello di Vienne, aveva già emesso un notevole decreto sulla questione che ci riguarda. Clemente V, il Papa allora regnante, lo promulgò come segue: « Per quanto riguarda l’effetto prodotto nei bambini dal Battesimo, si trovano diverse opinioni tra i teologi. Alcuni hanno pensato che la virtù del Battesimo rimetta la colpa originale ai bambini, ma non conferisca loro la grazia; altri, al contrario, affermano che, oltre al perdono della colpa originale, essi ricevano la grazia informativa e le virtù infuse, quanto all’abitudine, ma non quanto all’atto, almeno per un certo tempo. Per noi, considerando l’efficacia universale della morte di Cristo che, attraverso il Battesimo, si applica ugualmente a tutti i battezzati, scegliamo, con l’approvazione del Concilio, la seconda opinione secondo la quale la grazia informante e le virtù sono conferite nel Battesimo agli infanti, non meno che agli adulti; la scegliamo come la più probabile e la più conforme agli insegnamenti dei Santi e dei Dottori moderni di teologia » (De Summa Trinit. et cath. fide, apud Denzing. Enchirid., n. 411). – Come prova che questa dottrina sia veramente, come afferma il decreto, basata sulla tradizione dei Santi, si potrebbero citare tra le altre queste rimarchevoli parole di Sant’Agostino: « Al Battesimo, i bambini ricevono in uno stato latente lo stesso principio di vita che più tardi si manifesterà con le sue operazioni quando saranno adulti. lllud autem eis datur principium vitæ, quarmvis latenter, quod in adultis prorumpit in actus ». De peccat. merit. et remiss., L. I, c. 2). Come abbiamo detto, questo decreto merita tutta la nostra attenzione. Vi vediamo, prima di tutto, che anche al tempo di Clemente V, l’infusione negli adulti battezzati di una grazia informante, assolutamente diversa dalle operazioni soprannaturali e dai tocchi di Dio sull’anima, era universalmente ammessa nelle scuole teologiche, poiché la controversia e la decisione che la conclude, riguardano solo i bambini. Inoltre, il termine “grazia informante” ci spiega in anticipo il significato delle parole « causa formale » usate più tardi a Trento. – Senza dubbio, di fronte ai riformatori che negavano qualsiasi rinnovamento interiore, qualsiasi santificazione positiva, il santo Concilio afferma soprattutto il rinnovamento ontologico e reale che ha luogo nell’anima del giustificato. Ma il significato naturale e completo dei termini va oltre. Precisando, per così dire, la natura del rinnovamento che esso insegna, il Concilio lo fa consistere in un’elevazione non solo immanente ma permanente; diciamo la parola, anche se i Padri di Trento non l’hanno usata, in una qualità fisica intrinseca inerente, infusa, dalla quale risulta un nuovo essere, l’essere di figlio di Dio (Conc. Trid…. Sess. VI, capp. 7, 10. 14, 16; can. 32, ecc,1). – Ne abbiamo come garanzia il Catechismo del Concilio, al quale l’approvazione del Papa S. Pio V ha dato tanta autorità nella Chiesa. « La nostra anima – esso dice – in virtù del Battesimo è riempita di grazia divina che, rendendoci giusti e figli di Dio, ci costituisce per lo stesso mezzo eredi della salvezza eterna… Ora questa grazia, come il Concilio di Trento ci ordina di credere sotto pena di anatema, non consiste unicamente nella remissione dei peccati; ma è anche una quintessenza divina, inerente all’anima, e come una luce il cui splendore avvolge le anime, cancella le loro contaminazioni e conferisce loro una bellezza radiosa. E questo è ciò che la Scrittura ci dà per concludere con evidenza quando dice che la grazia è versata nei nostri cuori, e che è il pegno dello Spirito Santo » (Catechismo. Conc. P. II, de Baptismo, § 6). – La forza di questa prova non viene meno quando si sottolinea che i Padri di Trento avevano come unico scopo la condanna degli errori dei protestanti sulla giustificazione. Che questo fosse il fine principale dei loro decreti non può essere negato. Ma non è meno vero che, per definire la verità cattolica, abbiano impiegato formule che non hanno alcuna spiegazione plausibile al di fuori di quella che noi difendiamo. – Che cosa è in effetti, una grazia infusa, una grazia inerente ai cuori, la grazia, infine, che svolge il ruolo di causa formale, se non questa partecipazione permanente della natura divina che rende figli di Dio? – Non dimentichiamo che, per i Padri di Trento, la giustificazione dei bambini non è di natura diversa da quella degli adulti, come chiarisce espressamente il capitolo 4 della quinta sessione. È vero che, per riceverlo, alcuni richiedono delle disposizioni che non sono richieste agli altri. Ma per gli uni e gli altri, le cause e l’essenza della giustificazione sono identiche. Per entrambi, essere giustificati è rinascere in Cristo; per entrambi, la giustificazione deve portare all’anima dei doni che sono infusi in essa, una forma che è inerente ad essa. Se, dunque, né questi doni, né questa forma possono essere per i bambini tocchi transitori di Dio sull’anima del giusto, ancor meno delle operazioni soprannaturali che questi tocchi divini ecciterebbero, né nell’intelligenza né nella volontà, non è in questo che dobbiamo collocare la grazia giustificante, e il principio formale dell’adozione per gli adulti. – Inoltre, questa dottrina, presa nel senso che andiamo dicendo, non era una novità nella Chiesa. Quando la guardiamo da vicino, vediamo chiaramente che essa riassume e chiarisce le affermazioni dei Padri; e presto vedremo anche come gli antichi Dottori della Scuola la insegnassero nei loro scritti, tanto che i Concili di Vienne e di Trento presero in prestito la maggior parte delle loro espressioni per definirla. – I più illustri maestri venuti dopo il Concilio di Trento hanno interpretato il suo insegnamento come noi. « I teologi – scrive uno dei più gravi tra loro – insegnano di comune e costante accordo che Dio infonde nelle anime un abito soprannaturale, ornamento intrinseco e perfezione dell’anima che lo riceve. E sebbene il Concilio di Trento non abbia voluto definire se la grazia che ci santifica sia un’abitudine (habitus) propriamente detta o qualche altra qualità, sembra tuttavia aver deciso chiaramente che è una qualità permanente alla maniera delle abitudini, e per questo, inerente all’anima. » (Bellarmin. de Grat. et liber. arbit.: L I, c. 3.). – Gli altri teologi non parlano in modo diverso, e li vediamo tutti, con poche eccezioni, appellarsi al Concilio di Trento. – Finanche i più accesi avversari del Concilio manifestano con i loro attacchi quello che era stato il suo vero pensiero. « È falso – dice Calvino nel suo Antidoto contro il Concilio di Trento – che la giustizia consista in minima parte in un’abitudine o qualità che risiede in noi; ciò che costituisce giusti, è unicamente un favore gratuito » (Calvin. Antid. Conc. Trident., c. 7, n. 6) – Anche un luterano, Martin Chemnitz, rimprovera ai Padri di Trento di aver messo la giustificazione tra le qualità e le virtù infuse (Chemnitz, Exam. Conc. Trid. ecc.). A queste testimonianze si può aggiungere quella del Card. Pallavicini – « Oservare est mentem Concilii fuisse statuere Speciatim habitum infusum justitiæ, et non generatim meram interiorem Iustitiam, nihil definendo ea ne sit actus an habitus. H. Conc. Trid. L. VIII, c. 14; col. Suar. d. Grat, L. c. 3, n. 6).

2. – Qualche tempo dopo il Concilio di Trento, la Chiesa ebbe occasione di tornare su questa importante questione. Essa lo fece con grande forza nella Costituzione promulgata da Pio V contro le Opinioni Temerarie di un innovatore del Protestantesimo (Ss. Pii V, Bulla “Ex omnibus afflictionibus” 1 ott: 1567; apud Denzin., Énchirid., n. 881, sqq.), confermata dalle bolle di Gregorio XIII e Urbano VIII. Bajo, che era l’innovatore, non attaccava direttamente l’esistenza della grazia abituale e delle virtù infuse, ma le considerava di pochissima importanza nel costituire lo stato di giustizia e di merito. Il rinnovamento interiore di cui parla il Concilio di Trento, e che costituisce la parte principale della giustificazione, era per lui interamente nella novità delle opere. E questo è ciò che è chiaramente espresso nella 42a proposizione tra quelle condannate del Pontefice: « La giustizia, con la quale l’empio è giustificato per la fede, consiste in modo formale nell’obbedienza ai comandamenti, che è la giustizia delle opere, e non invece in una qualche grazia infusa nell’anima, con la quale l’uomo viene adottato come figlio di Dio, viene rinnovato secondo l’uomo inferiore e viene reso compartecipe della natura divina, in modo tale che, così rinnovato per mezzo dello Spirito Santo, possa poi vivere bene e obbedire ai comandamenti di Dio. » – Questa sentenza dogmatica ha un grande peso nella presente questione: perché è sufficiente a rimuovere i dubbi che ancora rimanevano nella mente di alcuni teologi subito dopo il Concilio di Trento. E se non ci è permesso classificare la dottrina comune tra i dogmi della nostra fede, almeno ci dà il diritto di proporla non solo come universalmente ammessa, ma anche come assolutamente certa (Suar., de Grat., l. VI, c. 21, n. 4).

3. – Posso portare un ultimo documento che, senza avere l’autorità di una cosa autenticamente giudicata, merita una considerazione molto seria: perché contiene la dotta e lunga esposizione di una dottrina che doveva essere sottoposta ai Padri del Vaticano, in vista di una definizione della materia. Ecco i tre canoni che dovevano rispondere all’esposizione dogmatica della grazia del Redentore: « Se qualcuno dice che Cristo Redentore non abbia restaurato l’ordine della grazia soprannaturale, sia anatema! Se qualcuno dice che la giustificazione non sia altro che la remissione dei peccati, o che la grazia santificante sia solo il favore in virtù del quale Dio riceve l’uomo nelle sue buone grazie e gli prepara l’aiuto della grazia attuale, sia anatema! Se qualcuno nega che la grazia santificante sia un dono soprannaturale inerente e permanente nell’anima, sia anatema! » (Schema Constit. de doctrina cath. Acta et decr. SS. Concil. recent. Collectio Lacensis, vol. 7, p. 566. Il lettore sarà grato se gli poniamo davanti il capitolo del progetto, corretto e riformato dalla Commissione del Dogma, che si riferisce a questa questione. È il capitolo V della suddetta Costituzione. Si intitola: Sulla grazia del Redentore. « Per quanto riguarda la grazia che ci è stata data per i meriti del Santo Redentore, la Chiesa Cattolica professa che non è solo una grazia che ci liberi dalla schiavitù del peccato e dal potere del diavolo, ma anche una grazia che ci rinnova nell’anima, così che per mezzo di essa recuperiamo la giustizia e la santità che Adamo aveva perso per noi, come per lui. Così questa grazia non solo ripara le forze della natura, in modo che, aiutati da essa, possiamo conformare i nostri costumi ed i nostri atti alla regola della morale onestà, ma essa ci trasforma, oltre i limiti della natura, nell’immagine dell’Uomo celeste, Gesù Cristo nostro Signore, e ci rigenera con una vita nuova. – Dio, infatti, ci ha scelti in Cristo Gesù, prima della costituzione del mondo, e ci ha predestinati ad essere conformi all’immagine del suo Figlio, affinché Egli sia il primogenito tra molti fratelli. Era dunque la volontà dell’amore di Dio che noi, essendo nati da Dio, fossimo chiamati figli di Dio, e lo fossimo davvero. E con l’adozione di figli noi abbiamo recuperato quella comunione di natura che, cominciata nella grazia, sarà consumata nella gloria. Ora, unti i consacrati dallo Spirito del Figlio, che Egli stesso ha mandato nei nostri cuori, diventiamo il tempio della maestà divina, in cui la santissima Trinità abita e si comunica all’anima fedele, secondo questa parola del Signore: « Se qualcuno mi ama, osserverà i miei comandamenti, e il Padre mio lo amerà, e noi verremo a lui e faremo la nostra dimora in lui. » Perciò si deve ritenere, e tutti i seguaci di Cristo devono professare, che la grazia santificante che ci unisce a Dio, non sia costituita né da un favore puramente esterno di Dio, né da operazioni transitorie; ma che sia un dono soprannaturale, infuso da Dio nell’anima ed inerente in essa, senza alcuna eccezione per nessuno dei giustificati, sia adulto, sia semplicemente un bambino rigenerato nel Battesimo. Ora, questo rinnovamento dell’uomo per mezzo del Verbo Incarnato è il mistero nascosto per secoli, in virtù del quale ciò che Dio aveva formato in modo meraviglioso nel primo Adamo, fu riformato ancora più meravigliosamente nel secondo. (Ibidem, cap. V, p. 562).

LA GRAZIA E LA GLORIA (10)