DOTTRINA SPIRITUALE TRINITARIA (12)

M. M. PHILIPPON

LA DOTTRINA SPIRITUALE DI SUOR ELISABETTA DELLA TRINITÀ (12)

Prefazione del P. Garrigou-Lagrange

SESTA RISTAMPA

Morcelliana ed. Brescia, 1957.

CAPITOLO QUARTO

LA LODE DI GLORIA

(II)

3) Ma questo carattere negativo di spogliamento assoluto, carattere distintivo della dottrina spirituale di suor Elisabetta e dei grandi mistici, non è che una fase preliminare. Questo annientamento che l’anima si studia di raggiungere, questo « niente » è la condizione che prepara al possesso del «Tutto », possesso nel quale consiste positivamente la nostra vita spirituale: infatti, lo spirito del Vangelo si manifesta prima di tutto come una religione essenzialmente positiva. Si glorifica Dio nella misura dei suoi doni; ecco perché la Vergine e Cristo Lo hanno più di tutti glorificato: perché più di tutti Essi hanno ricevuto. Questa dottrina à fondamentale, nella buona spiritualità. Si sente dire spesso: Purché io arrivi in Cielo, mi accontento dell’ultimo posto… Significa non aver capito niente del vero amore di Dio e della Sua gloria. Questo è un punto di massima importanza nella dottrina spirituale di suor Elisabetta della Trinità e nella concezione cristiana dell’universo. Che cos’è la gloria di Dio? La manifestazione stupenda di ciò che Egli è, la rivelazione delle Sue perfezioni infinite. Vi è una duplice gloria di Dio: la sua gloria intima, dentro di Lui, e la sua gloria esterna, al di fuori, nell’universo da Lui creato. Non si tratta, qui, della sua gloria essenziale, quella che Dio trova in Se stesso, nel suo Verbo, Pensiero unico, eterno, che esprime adeguatamente tutto ciò che Egli è, nell’indivisibile Unità della sua Essenza e nella Trinità delle Persone. Il Verbo dice tutto: dice la inesauribile fecondità del seno del Padre, e la bellezza del Figlio, e l’Amore che li fonde nell’Unità; tutto, anche l’universo che è scaturito dalla loro potenza creatrice ed è nelle mani di Dio come un trastullo di bimbo. Così, il Padre manifesta al Figlio la sua propria gloria. Nel Verbo, immagine e splendore della sua gloria, il Padre risplende; il Verbo manifesta al Padre tutto ciò che è Egli stesso; nel Verbo, il Padre e il Figlio conoscono l’Amore eterno che li unisce. Tale è la gloria essenziale di Dio, quella gloria intima, intratrinitaria. che è il Verbo. L’universo non aggiunge nulla a questa gloria infinita; e, dinanzi alla Trinità santa, l’anima stessa di Cristo deve confessare il suo niente. Nella Società trinitaria delle divine Persone e nell’indivisibile Unità della loro Essenza, Dio basta a se stesso. Tutto quello che può venire dal di fuori, anche da parte di Cristo, non è che accidentale. E, tuttavia, Dio ci tiene, in modo assoluto: perché così esigono la gerarchia dei valori e l’ordine delle cose. Al Creatore: onore, sapienza, potenza e gloria. Per un equilibrio ammirabile della divina Sapienza e degli altri attributi divini, Dio non trova questa gloria accidentale che nella nostra felicità e nella misura di questa felicità. « La gloria del Padre esige che voi portiate copiosi frutti » (San Giovanni, XV-8.), insegnava Gesù. Chi è più santo Lo glorifica di più; e, in questo senso, il Verbo Incarnato è la più perfetta lode di gloria di tutti i Suoi doni, a causa delle incomprensibili ricchezze della sua umanità santa. Dopo di Lui, ad una distanza infinita, l’anima della Vergine, la creatura che ha ricevuto di più, dopo Cristo; e così, via via, tutti gli altri santi. Significa, dunque, avere un falso concetto della gloria divina, volersi accontentare di una santità mediocre. – Suor Elisabetta della Trinità, con una profondità di pensiero sorprendente in una fanciulla, si è elevata senza sforzo, sotto l’impulso della grazia, a questa altissima luce di Sapienza, la più deiforme nella quale possa porsi uno sguardo creato per considerare l’universo alla luce di Dio. Essa ha perfettamente compreso che deve essere santa, prima di tutto per Dio; tanto santa quanto le è possibile, perché la gloria di Dio è strettamente legata alla sua santità. Nel suo diario di fanciulla, scrive: « Voglio essere santa »; segue una cancellatura, quindi: «Santa per Te ». La fine della sua vita fu la magnifica realizzazione del desiderio concepito a 19 anni. Ha compreso che, quanto più un’anima si innalza sulle vette dell’unione trasformante, tanto meglio compirà il suo ufficio di lode di gloria. Dio è glorificato nella misura in cui « la bellezza » delle sue perfezioni si riflette nelle anime. E i beati l’hanno raggiunta questa trasformazione suprema, essi che « contemplano Dio nella semplicità della Sua Essenza, essi che « Lo conoscono nel modo stesso che sono da Lui conosciuti », cioè per mezzo della visione intuitiva. Ecco perché « sono trasformati, di chiarezza in chiarezza, nella immagine di Lui, dalla potenza del suo Spirito », divenendo così lode incessante di gloria all’Essere divino che in essi contempla il proprio splendore… « A sua immagine e somiglianza »; tale fu l’ideale del Creatore: potersi contemplare nella « creatura, vedere irradiate in essa tutte le sue perfezioni, tutta la sua bellezza, come attraverso un cristallo limpido e terso; non è questa, in certo modo, una estensione della sua propria gloria? L’anima che permette all’Essere divino di riflettersi in lei, questa anima è veramente la lode di gloria di tutti i suoi doni, e in ogni occupazione, anche nelle più ordinarie, canta il canticum magnum, il canticum novum che fa esultare il cuore di Dio nelle sue profondità » (Ultimo ritiro III). – Dare a Dio la testimonianza di tutte le proprie potenze, orientandole verso di 9Lui solo: ecco ciò che suor ,Elisabetta intende per lode di gloria di tutti i suoi doni. Secondo lei, una vera lode di gloria è avida di ricevere Dio al maximum, è un’anima che se ne sta come un’arpa sotto il tocco divino, e tutti i doni che Egli le ha elargiti sono corde armoniose che vibrano giorno e notte per cantare la lode della sua gloria. Siamo ben lontani dalla visuale ristretta di tutte quelle concezioni meschine che, invece di liberare le anime slanciarle in pieno verso Dio, le ripiegano su di sé, le deprimono, paralizzando in esse la libera espansione del  perfetto amore.

4) Attirata sempre verso le alte cime, suor Elisabetta della Trinità va a cercare i suoi modelli di « lode di gloria » fra i beati che stanno continuamente dinanzi al Trono dell’Agnello in preghiera e in adorazione. Sotto l’influenza della sua lettura del Cantico e della Viva fiamma, la visione beatifica diviene il pensiero dominante degli ultimi suoi giorni, comunicando a tutti gli slanci dell’anima sua quasi un ritmo di eternità. Negli ultimi capitoli dell’Apocalisse (nell’ultimo soprattutto), che erano divenuti l’alimento più familiare dell’anima sua, essa attingeva quel senso di eternità che anima quasi tutte le pagine dell’ultimo suo ritiro. A chi le stava vicino in quei giorni ripeteva: «Il mio Maestro non mi parla più che di eternità ». Viene così a congiungersi, con un senso dottrinale sempre impeccabile, ad un’altra dottrina spirituale che è familiare alla teologia cattolica: che, cioè, la nostra vita divina sulla terra è già « la vita eterna incominciata ». « Mi pare — scrive che esercitarsi nel cielo della propria anima in questa occupazione dei beati, sarebbe dare una gioia immensa al cuore di Dio» ( Ultimo ritiro III). « Ieri san Paolo, sollevando un poco il velo, mi permetteva di spingere lo sguardo nell’eredità dei santi, nella luce, perché io vedessi la loro occupazione e procurassi, quanto è possibile, di conformare la mia vita alla loro, per adempiere il mio ufficio di « laudem gloriæ ». Oggi san Giovanni, il discepolo che Gesù amava, mi schiude le porte dell’eternità perché l’anima mia possa riposarsi nella « santa Gerusalemme, dolce visione di pace ». E, prima di tutto, mi dice che non ha bisogno di lumi, la Città, perché lo splendore di Dio la illumina e sua luce è l’Agnello. Ora, se voglio che la mia città interiore abbia qualche tratto di conformità e di somiglianza con quella del Re dei secoli immortali e riceva la grande irradiazione di Dio, bisogna che io estingua ogni altro lume e che l’Agnello ne sia l’unica face » (Ultimo ritiro IV). La vita dei beati è una vita di luce e di amore. Su questo duplice movimento, suor Elisabetta traccia il programma della lode di gloria che vuole, nel cielo dell’anima sua, imitare l’occupazione dei beati. Alla visione beatifica, impossibile sulla terra, supplisce la virtù della fede. « Ecco, mi appare la fede, la bella luce della fede; questa sola deve illuminarmi per andare incontro allo Sposo. Il salmista canta che « Egli si occulta nelle tenebre »; poi in un altro punto, sembra contraddirsi con queste parole: « La luce l’avvolge come una veste ». L’insegnamento che per me risulta da questa contraddizione apparente è che io devo immergermi nella «sacra tenebra », facendo la notte e il vuoto in tutte le mie potenze. Allora incontrerò il mio Signore, e la luce che lo avvolge come una veste avvolgerà me pure, perché Egli vuole che la sposa sia luminosa della Sua luce, della sola Sua luce, ed abbia la chiarezza di Dio. Si dice di Mosè che « era incrollabile nella sua fede, come se avesse veduto l’Invisibile ». Mi sembra che tale debba essere la disposizione di una lode di gloria che vuol proseguire, malgrado tutto, il suo inno di ringraziamento: « Incrollabile nella sua fede, come se avesse visto l’Invisibile », incrollabile nel credere all’« eccessivo amore» … «abbiamo conosciuta la carità di Dio per noi, e vi abbiamo creduto » (I san Giovanni, IV-16.). « La fede è sostanza delle cose che speriamo e convinzione di quelle che non vediamo » (Ebrei, XI-1). Raccolta nella luce che accende in lei questa parola, che cosa importa ormai all’anima sentire o non sentire, essere nel buio o nella luce, godere o non godere? Ella si vergogna, quasi, di fare tali distinzioni… Mi sembra che a quest’anima che possiede una sì grande fede in Dio-Carità, si possano rivolgere le parole del Principe degli Apostoli: « Poiché credete, sarete ricolmi di un gaudio immutabile e sarete glorificati » (Ultimo ritiro IV). Ma la « lode di gloria » che vuole imitare l’occupazione dei beati, deve essere animata da un altro sentimento: l’attività adoratrice dell’amore. Tutta la psicologia della « lode di gloria » deve modellarsi sullo stato d’animo dei beati. – « Essi non hanno riposo né giorno né notte, e ripetono: — Santo, santo, santo, è il Signore, Dio onnipotente che era, che è che sarà nei secoli dei secoli… — Si prostrano, adorano e depongono le loro corone dinanzi al trono, dicendo: Degno Tu sei, o Signore, di ricevere la gloria e l’onore e la potenza…» (Apoc., IV-8… 11.). Come imitare nel cielo dell’anima mia questa occupazione incessante dei beati nel Cielo della gloria? « Essi si prostrano, adorano, depongono le loro corone ». Prima di tutto, l’anima deve prostrarsi, immergersi nell’abisso del proprio niente; penetrarvi così a fondo, da trovare — secondo l’ineffabile espressione di un mistico — la pace vera, invincibile e perfetta che nulla può turbare, perché si è precipitata così in basso, che nessuno andrà a cercarla, laggiù. Allora, potrà adorare… L’adorazione ah, è una parola di cielo, mi sembra che possa definirsi: l’estasi dell’amore. È l’amore schiacciato dalla bellezza, dalla forza, dall’immensa grandezza dell’oggetto amato: « Adorate il Signore, perché Egli è santo », dice il Salmista; e ancora: « Sempre l’adoreremo a motivo di Lui stesso» (Ultimo ritiro VIII.). – Così, questa psicologia dei beati nell’eternità diviene per lei l’esemplare vivente della santità sulla terra. « L’anima che si raccoglie in questi pensieri, che li penetra col « senso divino » di cui parla san Paolo, vive in un paradiso anticipato, al di sopra di tutto ciò che passa, al di sopra di se stessa. Sa che Colui che ella adora possiede in sé ogni felicità ed ogni gloria, e gettando come i beati dinanzi a Lui la sua corona, si disprezza, si perde di vista e, in mezzo a qualunque sofferenza e dolore, trova la sua beatitudine in quella dell’Essere adorato, perché ha abbandonato se stessa ed è passata in un altro. In questo atteggiamento di adorazione, l’anima non somiglia forse a quei pozzi di cui parla san Giovanni della Croce, in cui si radunano le acque che scendono dal Libano? Vedendola, si può dire: « La città di Dio è rallegrata dal corso di impetuosa fiumana » (Ibidem.).

5) La vita spirituale di suor Elisabetta della Trinità, anima essenzialmente trinitaria, rimane però sempre, e con un crescendo continuo, incentrata in Cristo Gesù. Il sogno che « Laudem gloriæ » accarezza durante le lunghe penose insonnie, è di morire, « non solo pura come un Angelo, ma trasformata in Gesù Crocifisso ». Questo modello » divino è dinanzi al suo sguardo, sempre; unico suo ideale è contemplarlo per riprodurlo; vorrebbe potere esprimerlo agli occhi del Padre. Ma, lo sa bene, la conformità suprema dell’immagine del Cristo conduce « alla conformità alla sua morte ». Nel corso dell’ultimo suo ritiro, questo pensiero non l’abbandona un istante; e mentre scrive le sue riflessioni sulla inabitazione della Trinità e sulla lode di gloria, ripete spesso, cuore a cuore, alla sua Madre Priora, con voce languente di malata: « Madre, sento che Egli mi conduce sul suo Calvario ». Ed è qui che si compie ogni santità. Una lode di gloria è essenzialmente un’anima crocifissa: ha contemplato, nel cielo, « la grande moltitudine che nessuno può enumerare », sa che « sono coloro che vengono dalla grande tribolazione, che hanno lavato e reso candide le loro stole nel sangue dell’Agnello; per questo, stanno dinanzi al trono di Dio e lo servono dì e notte nel suo tempio; e Colui che è assiso sul trono stenderà sovr’essi la sua tenda. Non avran più fame né sete, non li colpirà il sole né ardore alcuno, perché l’Agnello sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque di vita; e Dio asciugherà ogni lacrima dei loro occhi ». « Tutti questi eletti che hanno in mano la palma e che sono bagnati dalla grande luce di Dio, hanno dovuto prima passare per la grande tribolazione, conoscere il dolore « immenso come il mare » cantato dal Profeta. Prima di contemplare svelatamente la gloria del Signore, essi hanno partecipato agli annientamenti del suo Cristo; prima di essere trasformati, di chiarezza in chiarezza, nella immagine dell’Essere divino, sono stati conformi all’immagine del Verbo incarnato, il Crocifisso per amore. – « L’anima che vuol servire Dio notte e giorno nel suo tempio, cioè in quel santuario interiore del quale parla san Paolo quando dice: « il tempio di Dio è santo, e questo tempio siete voi », quest’anima deve essere risoluta di partecipare realmente alla passione del suo Signore. Essa è una riscattata che deve a sua volta riscattare altre anime; e canterà perciò sulla sua lira: «Io mi glorio nella Croce di Gesù Cristo. Con Cristo sono confitta alla croce… » ed ancora: « Do compimento, nella mia carne, a ciò che manca alla passione di Cristo, per il corpo di Lui, che è la Chiesa ». « Alla tua destra sta la Regina »: tale è l’atteggiamento di quest’anima. Essa procede sulla via del Calvario, alla destra del suo Re crocifisso, che, annientato, umiliato, eppure così forte, calmo e pieno di maestà, va alla sua passione per far risplendere « la gloria della sua grazia », secondo l’espressione così forte di san Paolo. Ed Egli vuole associare la sua sposa all’opera di redenzione; ma la via dolorosa in cui la fa camminare le sembra la via della beatitudine, non solo perché alla beatitudine conduce, ma ancora perché il Maestro santo le fa comprendere che deve superare quello che vi è di amaro nel dolore, per trovarvi, come Lui, il suo riposo. Allora, può veramente servire Dio « notte e giorno nel suo tempio »; le prove interne ed esterne non possono farla uscire dalla santa fortezza in cui Egli l’ha rinchiusa; non ha più « né fame, né sete » perché, malgrado il suo struggente desiderio della beatitudine, si sente saziata dal nutrimento che fu quello del suo Maestro divino: la volontà del Padre; non sente più « il sole che su lei dardeggia », cioè non soffre più di soffrire; e l’Agnello può condurla, ora, alle sorgenti della vita, dove Egli vuole, come gli pare, perché lei non guarda per quali sentieri passa, ma tiene lo sguardo fisso semplicemente, sul Pastore che la guida. Dio, chinandosi su quest’anima, sua figlia adottiva, così conforme all’immagine del suo « Figlio primogenito fra tutte le creature », la riconosce per una di quelle da Lui « predestinate, chiamate, giustificate »; ed esulta nelle sue viscere di Padre, pensando di consumare l’opera sua, cioè di glorificarla, trasferendola nel suo regno, perché vi canti nei secoli senza fine la lode della sua gloria » (Ultimo ritiro V. 25).

6) Fedele al pensiero dominante degli ultimi suoi giorni, adempiere cioè, fin da questa vita, la sua vocazione eterna di « Laudem gloriæ », suor Elisabetta della Trinità vuol cercare di compiere nel « cielo dell’anima sua » ciò che fanno i beati nel « cielo della gloria ». È lo sviluppo supremo della sua vocazione interiore di « Casa di Dio ». La sua grazia fondamentale fu di vivere raccolta interiormente, nel più profondo dell’anima, con l’intimo Ospite; aveva trovato, in questo, il suo cielo sulla terra. Per una evoluzione normale, ella vivrà pure interiormente la sua vocazione suprema di « lode di gloria »: « Poiché l’anima mia è un cielo dove vivo nell’attesa della celeste Gerusalemme, bisogna che anche questo cielo canti la gloria dell’Eterno, niente altro che la gloria dell’Eterno » (Ultimo ritiro VII.). – In questo cielo interiore, tutte le attività intime, tutto l’esercizio dell’amore e della pratica della virtù è una lode di gloria al Dio che vi abita, come le opere del Signore narrano al di fuori la gloria dell’Eterno. Questa glorificazione divina nel silenzio dell’anima è la lode più sublime che possa salire dalla creatura a Dio. « Cœli enarrant gloriam Dei ». Ecco che cosa narrano i cieli: la gloria di Dio. « Il giorno trasmette al giorno questo messaggio ». Tutti i lumi interiori, tutte le comunicazioni di Dio all’anima mia, sono questo giorno che trasmette al giorno il messaggio della sua gloria. « Il precetto di Jahveh è puro », canta il Salmista, « ed illumina lo sguardo ». Per conseguenza, la mia fedeltà nel corrispondere ad ogni suo precetto, ad ogni suo interno comando, mi fa vivere nella luce sua; anch’essa è un messaggio che annunzia la sua gloria. Ma, ecco la dolce meraviglia: « Jahveh, chi ti guarda, risplende », esclama il Profeta. L’anima che, con la profondità del suo sguardo interiore, nella semplicità che la distacca da ogni estranea cosa, contempla attraverso a tutto il suo Dio, quest’anima è risplendente; essa è un giorno che annunzia al giorno il messaggio della sua gloria » (Ultimo ritiro VII). – Nel cielo interiore, tutto canta la gloria dell’Eterno: gioie e consolazioni spirituali, come pure tutto ciò che crocifigge. « La notte l’annuncia alla notte »: ecco una cosa davvero consolante: le mie impotenze, i miei disgusti, le mie oscurità, persino le mie colpe, narrano la gloria dell’Eterno; e le mie sofferenze fisiche e morali celebrano anch’esse la gloria del mio Signore. David cantava: « Che cosa renderò io al Signore per tutti i suoi benefici? — Prenderò il calice della salute ». Se io lo prendo, questo calice imporporato dal Sangue del mio Maestro, e se, nel mio ringraziamento pieno di gioia, unisco il sangue mio a quello della Vittima santa che lo rende in qualche modo partecipe del suo « infinito », esso può dare al Padre una magnifica lode; allora, il mio dolore è un messaggio che annunzia la gloria dell’Eterno. « Là, (nell’anima che narra la sua gloria), Egli ha posto una tenda per il sole ». Il sole è il Verbo, è lo Sposo. Se Egli trova l’anima mia vuota di tutto ciò che non rientra in queste due parole: il suo amore, la sua gloria, allora la sceglie per sua camera nuziale; « vi si slancia come un gigante che si precipita trionfatore nella corsa… ed io non posso sottrarmi al suo calore ». Questo « fuoco consumante » opererà la felice trasformazione di cui parla san Giovanni della Croce: « Ciascuno — egli dice — sembra essere l’altro, e tutti e due non sono che uno », per essere lode di gloria al Padre» (Ultimo ritiro VII.).

7) Curioso è il fatto che, mentre l’ultimo ritiro di « Laudem gloriæ » termina con un movimento dell’anima verso l’inabitazione della Trinità, invece il piccolo trattato composto per la sorella, per insegnarle come trovare il paradiso sulla terra, si chiude con un’elevazione che riassume tutto l’ufficio di una lode di gloria; variazione, questa, che trova però la sua spiegazione nell’unità concreta della psicologia religiosa di suor Elisabetta della Trinità negli ultimi giorni della sua vita. Questa pagina, meno nota della sua preghiera, merita tutta la nostra attenzione. Sotto l’azione irresistibile della grazia, suor Elisabetta ci scopre, nell’ultima ora della sua vita, il suo ideale supremo di santità. Riprendendo il testo di san Paolo agli Efesini da cui era stata così fortemente colpita e che si può considerare, infatti, come il punto classico della teologia sul senso ultimo della nostra predestinazione in Cristo, la sua squisita anima di artista canta su quel tema, con ritmo fortemente accentuato, il suo ufficio supremo, quaggiù. Nulla v’è da aggiungere al suo pensiero così denso e dottrinale, che si può considerare come il testamento del suo cuore, non solo alla sorella, ma anche a tutte le anime che vorranno realizzare, a suo esempio, l’ufficio di una lode di gloria. – « In Lui siamo stati predestinati, per decreto di Colui che tutto opera secondo il consiglio della sua volontà, ad essere la lode della sua gloria » (Ephes. I, 11-12). È san Paolo che ce lo dice, san Paolo istruito da Dio stesso. Come attuare questo grande ideale del cuore del nostro Dio, questa sua volontà immutabile riguardo alle anime nostre? Come, in una parola, rispondere alla nostra vocazione e divenire lodi perfette di gloria alla santissima Trinità. In cielo, ogni anima è una lode di gloria al Padre, al Verbo ed allo Spirito Santo, perché ognuna è stabilita nel puro amore e non vive più di vita propria, ma di quella di Dio. Allora, essa Lo conosce, dice san Paolo, come è conosciuta da Lui. In altri termini: Lode di gloria è un’anima che ha posto la sua dimora in Dio, che Lo ama con amore puro e disinteressato, senza cercare se stessa nella dolcezza di questo amore; un’anima che Lo ama al di sopra di tutti i suoi doni, anche se nulla avesse ricevuto da Lui, e che desidera il bene dell’oggetto a tal punto amato. Ma come si può desiderare e volere effettivamente del bene a Dio, se non compiendo la sua volontà? Poiché questa volontà dispone tutte le cose per la sua maggior gloria. Quest’anima deve dunque abbandonarvisi pienamente, perdutamente, fino a non poter volere altra cosa se non ciò che Dio vuole. Lode di gloria è un’anima di silenzio che se ne sta come un’arpa sotto il tocco misterioso dello Spirito Santo, perché Egli ne tragga armonie divine. Sa che il dolore è la corda che produce i suoni più belli; perciò è contenta che vi sia questa corda nel suo strumento, per commuovere più deliziosamente il cuore del suo Dio. Lode di gloria è un’anima che contempla Dio nella fede e nella semplicità; è un riflesso di tutto ciò che Egli è; è come un abisso senza fondo nel quale Egli può riversarsi ed espandersi; è come un cristallo attraverso il quale può irradiare e contemplare le proprie perfezioni e il proprio splendore. Un’anima che permette in tal guisa all’Essere divino di saziare in lei il bisogno che Egli ha di comunicare tutto ciò che è e tutto ciò che possiede, è veramente la lode di gloria in tutti i suoi doni. Finalmente, una lode di gloria è un’anima immersa in un incessante ringraziamento; tutti i suoi atti, i suoi movimenti, i suoi pensieri, le sue aspirazioni, mentre la fissano più profondamente nell’amore, sono come una eco del Sanctus eterno. Nel cielo della gloria, i beati non hanno riposo né giorno né notte, ma sempre ripetono: — Santo, santo, santo, il Signore onnipotente… — e prostrandosi, adorano Colui che vive nei secoli dei secoli. Nel cielo dell’anima sua, la lode di gloria inizia già l’ufficio che sarà suo in eterno; il suo cantico è ininterrotto e, benché non ne abbia sempre coscienza perché la debolezza della natura non le consente di fissare il suo pensiero in Dio senza distrazioni, pure rimane sempre sotto l’azione dello Spirito Santo che opera tutto, in lei. Canta sempre, adora sempre, è, per così dire, interamente trasformata nella lode e nell’amore, nella passione della gloria del suo Dio. – Nel cielo dell’anima nostra, procuriamo di essere lode di gloria della Trinità santa, lode d’amore della nostra Madre Immacolata. Un giorno il velo cadrà, e saremo introdotte negli atri eterni; ivi canteremo nel seno stesso dell’Amore infinito, e Dio, ci darà il nome nuovo promesso al vincitore. E quale sarà questo nome? « Laudem gloriæ » (Il Paradiso sulla terra, 13° orazione.).