LA GRAZIA E LA GLORIA (1)

LA GRAZIA E LA GLORIA (1)

O

La filiazione adottiva dei figli di Dio studiata nella sua realtà, nei suoi principi, il suo perfezionamento e il suo finale coronamento.

Del R. P. J-B. TERRIEN S.J.

I.

Nihil obstat, M-G. LABROSSE, S. J. , Biturici, 17 feb. 1901

Imprimatur: Parisiis, die 20 feb. 1901 Ed. Thomas, v. g.

Opera depositata conformemente alle leggi, nel maggio, 1901

Nuove edizione riveduta e corretta

TOMO PRIMO

PARIS – P. LETHIELLEUX, LIBRAIRE-ÉDITEUR 10, RUE CASSETTE, 10

INTRODUZIONE

Non c’è discendente di una stirpe nobile che non legga con compiacimento i titoli e le gesta dei suoi antenati. Se ha un cuore grande, il legittimo orgoglio che concepirà delle sue origini, lo stimolerà più energicamente di qualsiasi altro motivo a vivere una vita che corrisponda al lustro della sua nascita. Come erede degradato di un grande nome, non dimenticherà ciò che furono i suoi padri, e si lusingherà di trovare nel loro merito un brillante velo per coprire la propria nullità. Perché, per uno strano contrasto, noi Cristiani che siamo, in virtù del nostro Battesimo, della razza di Dio, i suoi figli adottivi, i fratelli di Gesù Cristo il Verbo Incarnato suo unico Figlio, ignoriamo, o almeno conosciamo così poco la grandezza e la gloria contenute in questi titoli? Dove sono quelli che li meditano, quelli che sanno apprezzarsi e glorificarsi, come dovrebbero? Si scires donum Dei. Se tu conoscessi il dono di Dio, disse Nostro Signore a quella donna di Samaria (Gv. IV, 10)! Ahimè, non ci sono forse molti, non nelle tenebre in cui questa donna era nata, ma nella piena luce del Vangelo, che meritano sia questo rimprovero che questa lamentela? Chiedete non a quegli uomini che non hanno nulla di cristiano se non il carattere del loro Battesimo e il loro nome, ma a quelli che si vantano di mantenere la loro fede, e persino di praticarla, come intendano la loro filiazione divina e questo stato di grazia, il più stimabile dei doni dopo quello della gloria celeste. Alla loro risposta, Gesù Cristo non potrebbe ancora ripetere: « Se tu conoscessi il dono di Dio! »? Quello che di solito pensano è che si sia in pace con Dio, che i peccati siano perdonati e che un giorno, se nuove gravi colpe non lo impediranno, si godrà della felicità eterna. Ma per quanto riguarda questo rinnovamento, così meraviglioso e così divino che avviene nei cuori, questa rigenerazione che trasforma la natura e le facoltà dei figli adottivi nel loro intimo, questa deificazione che fa dell’uomo un dio, tutti questi doni che sono prerogativa della creatura giustificata, della creatura glorificata, quanti pochi fedeli li conoscono, e quanti pochi li meditano ancora! La conseguenza che ne segue naturalmente è che stimiamo poco ciò che conosciamo troppo poco; e che non abbiamo né energia né vigore per acquisire, conservare e aumentare questo tesoro misconosciuto. Un figlio di re che non conosca né i suoi natali, né i pensieri elevati che essi esigono da lui è l’immagine di troppi Cristiani. Ecco perché il grande Papa San Leone fece questa forte esortazione ai fedeli del suo tempo: « Riconosci, o Cristiano, la tua dignità e, divenuto partecipe della natura divina, non tornare alla tua antica bassezza con una condotta sregolata. Ricorda di quale corpo tu sia membro e qual sia la tua testa. Ricordati come sei stato tratto dal potere delle tenebre al regno della luce, e come il santo Battesimo ti abbia consacrato come tempio dello Spirito Santo » (S. Leone, Serm. 21, par. 20, in nativit. Dom. 1, c. 4). Figlio di Dio, renditi degno con la tua vita di un tale Padre e di un’origine così regale! – Devo proprio dirlo? Mi sembra che se il popolo fedele sia troppo ignorante di questi tesori soprannaturali, di cui il Padre delle misericordie lo ha così liberalmente riempito, potremmo senza ingiustizia darne la colpa, almeno in parte, a coloro che per vocazione sono responsabili della loro istruzione: essi parlano troppo poco di questi misteri della grazia e della gloria; e, quando ne parlano, lo fanno in termini così generali, così vaghi, così imprecisi, a volte così torbidi, che l’ascoltatore è spesso più affascinato dalla bellezza del loro linguaggio, che penetrato dai pensieri che dovrebbe esprimere. – Non si dica, come a volte accade, che questi argomenti siano troppo sublimi per essere messi alla portata dei semplici fedeli: … essi non hanno né il tipo di cultura intellettuale né le abitudini di riflessione necessarie per afferrare le idee che si cercherebbe di comunicare loro. Questa è una scusa che non regge all’esempio degli Apostoli e alla loro esplicita dottrina. – Le epistole di Paolo, per non parlare delle altre, cosa sono se non una costante predicazione dei misteri ineffabili della grazia e della filiazione divina? Ed è per tutti i Cristiani che il grande Apostolo ha scritto le sue lettere ispirate. Io so bene che, secondo l’istituzione del Maestro, Egli ha affidato ai pastori la missione di interpretarli ai comuni credenti. Ma questo dimostra chiaramente quale dovrebbe essere, oggi come allora, il ruolo di coloro che sono incaricati dell’ufficio di promulgare e spiegare il contenuto dei nostri Libri sacri. – Indicare la mancanza di cultura della maggior parte dei Cristiani come motivo per non entrare in queste profondità, è ignorare la parentela che queste verità hanno in qualche modo con la loro fede; è dimenticare che tutti noi “non abbiamo ricevuto lo spirito di questo mondo, ma lo Spirito che è di Dio, affinché conosciamo i doni che Dio ci ha dato” (1 Cor: XI,-42); è infine trascurare l’azione dello Spirito divino, che apre interiormente l’intelligenza dei fedeli per far loro ascoltare le sante verità che vengono loro annunciate. So bene che la scienza della fede non è un privilegio di molti. Ma quello che so anche è che, se non spetta a tutti entrare ugualmente nella comprensione dei misteri della grazia e della gloria; se gli stessi più dotti non possono, senza avventata presunzione, sperare di penetrare tutti i segreti quaggiù, c’è certamente un grado di conoscenza a cui tutti i Cristiani possano arrivare, purché siano istruiti con il tipo e la chiarezza di linguaggio che si adatti alla loro debolezza. Questo è quello che pensavano i Padri, e tra tutti l’immortale dottore S. Agostino, che non aveva paura di mostrare gli splendori del Verbo e le profondità di Dio davanti agli occhi dei suoi pescatori di Ippona. Era anche lo stesso pensiero che ispirava San Paolo quando pregava « … il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di Lui. Possa Egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi abbia chiamati, quale tesoro di gloria racchiuda la sua eredità fra i santi e quale sia la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti secondo l’efficacia della sua forza » (Efesini I, 17-19). – Se è sempre stato necessario pregare affinché lo Spirito Santo desse ai Cristiani questa luce divina e insegnasse loro con cura diligente le verità che essa deve incidere nei loro cuori, forse mai questa necessità è apparsa più urgente di quanto lo sia al momento attuale, perché mai i doni soprannaturali della grazia e della gloria sono stati più universalmente attaccati, distorti o fraintesi come ai nostri giorni. Per non parlare dell’eresia razionalista che li considera come un beneficio di Dio che si è liberi di ricevere o rifiutare, quand’anche non distorca la loro natura o neghi del tutto la loro esistenza, per cui c’è stata nel nostro secolo, anche all’interno del Cattolicesimo, una scuola di pensiero che vede nell’ordine della grazia poco più di un aiuto dato da Dio per l’adempimento dei suoi precetti, e non so quale stato di perfezione morale, privo di qualsiasi dono soprannaturale insito nel profondo delle anime (Hermes e la sua scuola Cf. P. Kleutgen, Theol. der Vorzeit, II Band, 1). Anche se questo errore, combattuto vittoriosamente dai sostenitori della pura dottrina, non ha più un posto al sole, Dio voglia che non se ne trovi mai traccia nelle opere destinate a dare ai fedeli i precetti della vita cristiana. Essi errori conservano ancora tutta la loro attualità. Le gravi parole che uno dei più notevoli interpreti dei nostri libri sacri, Cornelio della Pietra, scrisse nel XVII secolo nel suo commentario al profeta Osea « pochi uomini apprezzano il dono della grazia per il suo valore. I predicatori e gli insegnanti di scienza sacra dovrebbero spiegarla, come abbiamo fatto noi, e inculcare una profonda conoscenza di essa nel popolo. In questo modo i fedeli e i santi imparerebbero che essi sono i templi viventi dello Spirito Santo, e che portano Dio stesso nei loro cuori; che essi debbano, quindi, camminare divinamente alla sua presenza, e vivere una vita degna di un tale Ospite che li accompagna tutti e li guarda ovunque » (Cornel. a Lap., in Osee, 1, 10). Si dirà che in un’epoca in cui il genio dell’uomo si sforza di sollevare i veli che ci nascondono i misteriosi segreti della terra e del cielo, in cui persino i bambini, a torto o a ragione, vengono iniziati a tante conoscenze profane, la scienza delle grandi opere che Dio fa o prepara nel cuore dell’umanità rigenerata, cioè la più bella, la più alta delle scienze, oltre che la più feconda, una scienza infine che racchiude l’intera economia della Religione fondata da Dio fatto uomo, sia fra tutte la più negletta? – Io non ignoro che siano state scritte opere eccellenti su questo argomento. Credo, tuttavia, che quello che propongo al lettore sarà di qualche utilità, non fosse altro che per il merito di abbracciare in tutta la sua ampiezza un soggetto così fecondo. – È ai miei fratelli nel Sacerdozio che mi rivolgo più in particolare. La conoscenza che essi hanno della scienza sacra non mi permetterebbe di offrire loro un’esposizione semplice e rudimentale, tale da essere appropriata per il fedele comune. Per questo mi sforzerò di approfondire le verità della nostra fede, di trarne le conseguenze e di spiegarle, nella misura compatibile con la loro profondità e la mia debolezza. È anche per questo che mi appellerò così spesso ai nostri Libri santi, ai decreti dogmatici della Chiesa, agli scritti dei Padri, ai principali dottori della scienza teologica, e specialmente al maestro per eccellenza, San Tommaso d’Aquino. Se a volte ci sono questioni che siano così astratte da richiedere teologi professionisti per capirle correttamente, saranno o totalmente scartate o più spesso rigettate in appendice. Non so se mi stia lusingando, ma mi sembra che, grazie a questa precauzione, la presente opera non rimarrà inavvicinabile per coloro che non hanno frequentato le nostre scuole teologiche. Spero che essi vi troveranno cibo per la loro intelligenza e considerazioni per i loro cuori che alimenteranno in loro i sentimenti di una solida pietà. Papa S. Leone Magno ha riassunto in due parole tutto il mistero della nostra elevazione soprannaturale per la grazia e la gloria: « Il dono che supera tutti i doni è che Dio chiami l’uomo suo figlio, e che l’uomo chiami Dio suo Padre » (S. Leo, Serm. VI de Nativit. Domini). Queste due parole riassumeranno anche tutto il soggetto di questo lavoro: perché è alla nostra filiazione divina che intendo collegare ciò che Dio ha fatto e farà per noi in questo ordine della grazia, il capolavoro della sua sapienza, della sua potenza e della sua bontà. – Per non superare i limiti di questa introduzione, indicherò brevemente i punti fondamentali che dobbiamo affrontare. Prima di tutto, stabiliremo il fatto della nostra filiazione soprannaturale e mostreremo l’altezza incomparabile a cui la grazia ci innalza. Diremo poi qual sia la natura di questa stessa filiazione, e su quali principi, sia creati che increati, essa poggi. Poi studieremo la perfezione che essa può ricevere nelle anime giuste, e i mezzi con cui la crescita spirituale avvenga in noi; infine considereremo la perfezione finale dei figli di adozione, cioè il completo compimento della grazia del tempo nella gloria dell’eternità. – Un esame su tutto l’insieme delle materie, ci permetterà di stabilire chiaramente le nozioni tanto necessarie ai tempi d’oggi, della natura e della grazia, del gratuito e del soprannaturale. – Indubbiamente, tutto ciò che avremo da dire nella continuazione delle nostre spiegazioni, non sarà dogma cattolico. La fede che cerca la comprensione di ciò che crede “fides quærens intellectum“, senza mai smettere di avere gli occhi invariabilmente fissi sulla verità rivelata, non teme di fare appello ai lumi della ragione scientifica e di proiettare i suoi raggi sull’oggetto della sua fede, per illuminarne il senso e la portata. Ma, a Dio piacendo, non trarremo alcuna conclusione, né daremo alcuna teoria che sia in contrasto con gli insegnamenti dello Spirito Santo, tanto avremo in cuore di affidarci costantemente, in tutto ed ovunque, alla dottrina dei Padri e Dottori più autorevoli della Chiesa di Dio. Permettetemi di concludere prendendo in prestito alcune delle parole che Sant’Agostino rivolgeva ai suoi lettori all’inizio della sua grande opera sulla Trinità: « Che ognuno di coloro che leggono queste pagine vada avanti con me, se condivide la mia certezza; se esita dove io esito, cerchi con me; se riconoscerà di essersi smarrito, torni da me, e mi richiami alla verità se mi vede in errore. Entriamo dunque insieme e, per così dire, mano nella mano, nella via della carità, raggiungendo Colui del quale è scritto: “Cercate sempre il suo volto: Quærite faciem ejus semper” (Salmo, CIV, 4). Perciò, nel nome del Signore, iniziamo l’opera intrapresa per la sua gloria » (S. August, de Trinit.: L. I, n. 5-6).

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