DOMENICA VI DOPO PENTECOSTE (2022)

DOMENICA VI DOPO PENTECOSTE (2022)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Un solo pensiero domina tutta la liturgia di questo giorno: bisogna distruggere in noi il peccato con profondo pentimento e chiedere a Dio di darci la forza per non ricadervi. Il Battesimo ci ha fatto morire al peccato e l’Eucarestia ci dà la forza divina necessaria per perseverare nel cammino della virtù. La Chiesa, ancora tutta compenetrata del ricordo di questi due Sacramenti che ha conferito a Pasqua e a Pentecoste, ama parlarne anche « nel Tempo dopo Pentecoste ». – Le lezioni del 7° Notturno, quali si leggono nel Breviario, raccontano, sotto la forma di apologo, la gravità della colpa commessa da David. Per quanto pio egli fosse, questo grande Re aveva lasciato entrare il peccato nel suo cuore. Volendo sposare una giovane donna di grande bellezza, di nome Bethsabea, aveva ordinato di mandare il marito di lei Uria, nel più forte del combattimento contro gli Ammoniti, affinché restasse ucciso. Così sbarazzatosi in questo modo di lui, sposò Bethsabea che da lui già aveva concepito un figlio. Il Signore mandò il profeta Nathan a dirgli: « Vi erano due uomini nella città, uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva pecore e buoi in gran numero, il povero non aveva assolutamente nulla fuori di una piccola pecorella, che aveva acquistata e allevata, e che era cresciuta presso di lui insieme con i suoi figli, mangiando il suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno: essa era per lui come una figlia. Ma essendo venuto un forestiero dal ricco, questi, non volendo sacrificare nemmeno una pecora del suo gregge per imbandire un banchetto al suo ospite, rapì la pecora del povero e la fece servire a tavola ». David sdegnatosi, esclamò: « Come è vero che il Signore è vivo, questo uomo merita la morte ». Allora Nathan disse: « Quest’uomo sei tu, poiché hai preso la moglie di Uria per farla tua sposa, mentre potevi sceglierti una sposa fra le giovani figlie d’Israele. Pertanto, dice il Signore, io susciterò dalla tua stessa famiglia (Assalonne) una disgrazia contro di te ». David, allora, pentitosi, disse: Nathan: « Ho peccato contro il Signore ». Nathan riprese: « Poiché sei pentito il Signore ti perdona; tu non morrai. Ma ecco il castigo: il figlio che ti è nato, morrà ». Qualche tempo dopo infatti il fanciullo morì. E David umiliato e pentito andò a prostrarsi nella casa del Signore e cantò cantici di penitenza (Com.). « David, questo re cosi grande e potente, dice S. Ambrogio, non può mantenere in sé neppure per breve tempo il peccato che pesa sulla sua coscienza: ma con una pronta confessione, e con immenso rimorso, confessa il suo peccato al Signore. Così il Signore, dinanzi a tanto dolore, gli perdonò. Invece gli uomini, quando i Sacerdoti hanno occasione di rimproverarli, aggravano il loro peccato cercando di negarlo o di scusarlo; e commettono una colpa più grave, proprio là dove avrebbero dovuto rialzarsi. Ma i Santi del Signore, che ardono dal desiderio di continuare il santo combattimento e di terminare santamente la vita, se per caso peccano, più per la fragilità della carne che per deliberazione di peccato, si rialzano più ardenti alla corsa e, stimolati dalla vergogna della caduta la riparano coi più rudi combattimenti; cosicché la loro caduta invece d’essere stata causa di ritardo non ha fatto altro che spronarli e farli avanzare più celermente » (2° Nott.). Da ciò si comprende la scelta dell’Epistola nella quale S. Paolo parla della nostra morte al peccato. Nel Battesimo siamo stati seppelliti con Cristo, la nostra vecchia umanità è stata crocifissa con Lui perché noi morissimo al peccato. E come Gesù dopo la risurrezione è uscito dalla tomba, così noi dobbiamo camminare per una nuova via, vivere per Dio in Gesù Cristo (Ep.). E qualora avessimo la disgrazia di ricadere nel peccato, bisogna domandare a Dio la grazia di esserci propizio e di liberarcene (V. dell’Intr., Crad., All., Secr.), ridonandoci la grazia dello Spirito Santo, poiché da Lui parte ogni dono perfetto (Oraz.). Poi bisogna accostarci all’altare (Com.) per ricevervi l’Eucaristia la cui virtù divina ci fortificherà contro i nostri nemici (Postcom.) e ci manterrà nel fervore della pietà (Oraz.), poiché il Signore è la forza del suo popolo che lo condurrà per sempre (Intr.). Per questo la Chiesa ha scelto per Vangelo la narrazione della moltiplicazione dei pani, figura dell’Eucaristia, che è il nostro viatico. La Comunione, identificandosi con la vittima del Calvario, non solamente perfeziona in noi gli effetti del Battesimo, facendoci morire con Gesù al peccato, ma ci fa trovare al santo banchetto la forza che ci è necessaria per non ricadere nel peccato e per « consolidare i nostri passi nei sentieri del Signore » (Offert.). E in questo senso S. Ambrogio, commenta questo Vangelo. Cristo disse: « Io non voglio rimandarli digiuni per paura che essi muoiano per via. Il Signore pieno di bontà sostiene le forze; se qualcuno soccomberà non sarà per causa del Signore Gesù, ma per causa di se stesso. Il Signore pone in noi elementi fortificanti; il suo alimento è la forza, il suo alimento è il vigore. Così, se per vostra negligenza, avete voi perduta la forza che avete ricevuta, non dovete incolpare gli alimenti celesti che non mancano, ma voi stessi. Infatti Elia, quando stava per soccombere, non camminò per quaranta giorni ancora, avendo ricevuto il cibo da un Angelo? Se voi avete conservato il cibo ricevuto, camminerete per quarant’anni e uscirete dalla terra d’Egitto per giungere alla terra immensa che Dio ha promesso ai nostri Padri.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVII: 8-9 Dóminus fortitudo plebis suæ, et protéctor salutárium Christi sui est: salvum fac pópulum tuum, Dómine, et benedic hereditáti tuæ, et rege eos usque in sæculum.

[Il Signore è la forza del suo popolo, e presidio salutare per il suo Unto: salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici i tuoi figli, e govérnali fino alla fine dei secoli.]

Ps XXVII: 1 Ad te, Dómine, clamábo, Deus meus, ne síleas a me: ne quando táceas a me, et assimilábor descendéntibus in lacum.

[O Signore, Te invoco, o mio Dio: non startene muto con me, perché col tuo silenzio io non assomigli a coloro che discendono nella tomba.]

Dóminus fortitudo plebis suæ, et protéctor salutárium Christi sui est: salvum fac pópulum tuum, Dómine, et benedic hereditáti tuæ, et rege eos usque in sæculum.

[Il Signore è la forza del suo popolo, e presidio salutare per il suo Unto: salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici i tuoi figli, e govérnali fino alla fine dei secoli.]

Oratio

Orémus.

Deus virtútum, cujus est totum quod est óptimum: ínsere pectóribus nostris amórem tui nóminis, et præsta in nobis religiónis augméntum; ut, quæ sunt bona, nútrias, ac pietátis stúdio, quæ sunt nutríta, custódias.

[O Dio onnipotente, cui appartiene tutto quanto è ottimo: infondi nei nostri cuori l’amore del tuo nome, e accresci in noi la virtú della religione; affinché quanto di buono è in noi Tu lo nutra e, con la pratica della pietà, conservi quanto hai nutrito.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom. VI: 3-11

“Fratres: Quicúmque baptizáti sumus in Christo Jesu, in morte ipsíus baptizáti sumus. Consepúlti enim sumus cum illo per baptísmum in mortem: ut, quómodo Christus surréxit a mórtuis per glóriam Patris, ita et nos in novitáte vitæ ambulémus. Si enim complantáti facti sumus similitúdini mortis ejus: simul et resurrectiónis érimus. Hoc sciéntes, quia vetus homo noster simul crucifíxus est: ut destruátur corpus peccáti, et ultra non serviámus peccáto. Qui enim mórtuus est, justificátus est a peccáto. Si autem mórtui sumus cum Christo: crédimus, quia simul étiam vivémus cum Christo: sciéntes, quod Christus resurgens ex mórtuis, jam non móritur, mors illi ultra non dominábitur. Quod enim mórtuus est peccáto, mórtuus est semel: quod autem vivit, vivit Deo. Ita et vos existimáte, vos mórtuos quidem esse peccáto, vivéntes autem Deo, in Christo Jesu, Dómino nostro”.

[“Fratelli, quanti siamo stati battezzati in Gesù Cristo, siamo stati battezzati nella morte di Lui. Per il battesimo siamo stati, dunque, sepolti con Lui nella morte; affinché a quel modo che Gesù Cristo risuscitò dalla morte, mediante la gloria del Padre, così, anche noi viviamo una nuova vita. Infatti, se siamo stati innestati a Lui per la somiglianza della sua morte, lo saremo anche per quella della resurrezione; ben sapendo che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso in Lui, affinché il corpo del peccato fosse distrutto, sicché non serviamo più al peccato. Ora, se siamo morti con Cristo crediamo che vivremo pure con Cristo; perché sappiamo che Cristo risuscitato da morte non muore più: la morte non ha più dominio su di Lui. La sua morte fu una morte al peccato una volta per sempre; e la sua vita la vive a Dio. Alla stessa guisa, anche voi consideratevi morti al peccato e viventi a Dio in Cristo Gesù Signor nostro”.]

NOVITÀ MONDANA E NOVITA’ CRISTIANA.

La novità è una delle sollecitudini, potremmo anche dire delle manie del giorno. Dalla donna vana, che cerca la novità della moda, al letterato ambizioso che cerca la novità dell’arte, all’uomo grave che vuole la novità in politica, novità si vuole su tutta la linea. Povere cose vecchie! e come siete: screditate oggi! e come diventate vecchie e spregevoli rapidamente! Il Cristianesimo ha l’aria di non assecondare troppo questi fremiti di novità, queste ansie per la novità, il Cristianesimo colla santa immutabilità dei suoi dogmi, il Cristianesimo con la forza delle sue vetuste tradizioni. Qualcuno lo dipinge volentieri per metterlo alla berlina, tutto volto al passato, imbalsamatore di cadaveri. E certo il Cristianesimo non folleggia, come il mondo irrequieto, dietro la novità e le novità. Il mondo ha la mania di correre, muoversi, agitarsi, come un epilettoide: il mondo… il Cristianesimo, pacato senza essere ozioso, ha la preoccupazione ben più sacra di arrivare. Il suo ideale non è il nuovo, è il vero, è il bene. Diversità di temperamenti e di orientazioni. Ma nella epistola di quest’oggi ai Romani troviamo una frase che mostra la unilateralità di quella rappresentazione arcaica, la cui mercè altri vorrebbe far onta al Cristianesimo. « Camminiamo (dice San Paolo ai primi Cristiani) nella novità della vita… morti a ciò che c’è in noi di vecchio e di stantio…» La parola di San Paolo ci riporta per incanto ai giorni in cui il Vangelo apparve e fu una grande novità nel mondo… Novità assoluta, profonda di fronte al mondo pagano, novità, non allo stesso modo e nello stesso senso, ma novità anche di fronte al mondo giudaico. Aria nuova che irrompe in un ambiente chiuso parve il Vangelo ai Giudei, aria nuova in un ambiente chiuso, mefitico, così parve ai pagani il Vangelo. Novità la stessa unità di Dio, nonché è molto più il mistero della Trinità, mistero l’amore della Incarnazione, Redenzione, cose non mai più udite, cose contrarie a quelle che si erano udite fino allora. – E nuovi sentieri tracciava questa novità ideale alla vita della umanità. L’umanità operosa da secoli, colla sua operosità, aveva scavato false strade simili a quelle carreggiate che nel fango della strada mal fatta scavano i veicoli. Erano ormai antichi quei sentieri, infossati. Si chiamavano i sentieri dell’orgoglio, della voluttà, dell’egoismo: roba consolidata dal tempo, staremmo per dire dal tempo consacrata. C’era un tipo d’uomo fatto così, orgoglioso, sensuale, egoista, violento. Il Cristianesimo è venuto a scancellare, a disfare, a seppellire questo tipo in nome e a vantaggio d’un altro tipo, altro in tutto e per tutto altro, diverso e perciò nuovo. E nuovo perché fresco, perché vivo davvero. Questa vita d’orgoglio, di sensualità, d’egoismo, era una parvenza di vita, una illusione: febbre più che vita vera e propria. Il febbricitante non s’accorge sempre della sua febbre, non se ne accorge subito: ma a poco a poco sì: l’organismo si strugge; si fiacca. Nostro Signore Gesù è venuto ad uccidere e vivificare; uccidere quella vecchia infelicissima incrostazione di cattive consuetudini ch’era la umanità, e far vivere su quelle rovine, di quelle rovine una umanità nuova… nuova di zecca, e nuova per sempre. Noi siamo, noi dobbiamo essere questa umanità, perennemente viva e fresca, perché perennemente buona, vittoriosa del male e sul male. Il battesimo fa questa morte e questa vita nuova, ma dal battesimo in poi noi non dobbiamo invecchiare, tornando indietro, ringiovanire dobbiamo, andando avanti, andando in su « in novitate vite ambulemus ». E la nostra novità è la nostra giovinezza perenne.

[P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. – Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Ar.Mediolani, 1-3-1938]

Graduale

Ps LXXXIX: 13; LXXXIX: 1 Convértere, Dómine, aliquántulum, et deprecáre super servos tuos.

V. Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne et progénie. Allelúja, allelúja.

[Vòlgiti un po’ a noi, o Signore, e plàcati con i tuoi servi.

V. Signore, Tu sei il nostro rifugio, di generazione in generazione. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps XXX: 2-3 In te, Dómine, sperávi, non confúndar in ætérnum: in justítia tua líbera me et éripe me: inclína ad me aurem tuam, accélera, ut erípias me. Allelúja.

[Te, o Signore, ho sperato, ch’io non sia confuso in eterno: nella tua giustizia líberami e allontanami dal male: porgi a me il tuo orecchio, affrettati a liberarmi Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Marcum.

Marc. VIII: 1-9 In illo témpore: Cum turba multa esset cum Jesu, nec haberent, quod manducárent, convocatis discípulis, ait illis: Miséreor super turbam: quia ecce jam tríduo sústinent me, nec habent quod mandúcent: et si dimísero eos jejúnos in domum suam, defícient in via: quidam enim ex eis de longe venérunt. Et respondérunt ei discípuli sui: Unde illos quis póterit hic saturáre pánibus in solitúdine? Et interrogávit eos: Quot panes habétis? Qui dixérunt: Septem. Et præcépit turbæ discúmbere super terram. Et accípiens septem panes, grátias agens fregit, et dabat discípulis suis, ut appónerent, et apposuérunt turbæ. Et habébant piscículos paucos: et ipsos benedíxit, et jussit appóni. Et manducavérunt, et saturáti sunt, et sustulérunt quod superáverat de fragméntis, septem sportas. Erant autem qui manducáverant, quasi quatuor mília: et dimísit eos.

(In quel tempo: Radunatasi molta folla attorno a Gesú, e non avendo da mangiare, egli, chiamati i discepoli, disse loro: Ho compassione di costoro, perché già da tre giorni sono con me e non hanno da mangiare; e se li rimanderò alle loro case digiuni, cadranno lungo la via, perché alcuni di essi sono venuti da lontano. E gli risposero i suoi discepoli: Come potremo saziarli di pane in questo deserto? E chiese loro: Quanti pani avete? E risposero: Sette. E comandò alla folla di sedersi a terra. E presi i sette pani, rese grazie e li spezzò e li diede ai suoi discepoli per distribuirli, ed essi li distribuirono alla folla. Ed avevano alcuni pesciolini, e benedisse anche quelli e comandò di distribuirli. E mangiarono, e si saziarono, e con i resti riempirono sette ceste. Ora, quelli che avevano mangiato erano circa quattro mila: e li congedò).

Omelia

G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956).

LA FAME DELLE TURBE

Migliaia di persone avevano seguito Gesù in un luogo deserto, lontano dall’abitato. Eran tre giorni che lo seguivano: eppure non sentivano che il desiderio di rimanere con Lui, di udire la sua parola, di imparare le opere di salvezza. Ma al terzo giorno il Signore ebbe pietà di loro: « Da tre giornate sono con me e ora non hanno di che mangiare! Se li rimandassi digiuni perirebbero nel ritorno, poiché molti sono venuti da lontano ». Ordinò allora di farli sedere tutti in terra, sull’erba verde. Ma non si trovarono che sette pani e pochi pesciolini, ed erano migliaia di bocche. Non importa: Gesù benedice quel poco che c’era e lo distribuisce. Ecco: quattro mila persone si saziano e sopravanzano sette panieri di roba. In questo episodio evangelico, più che la miracolosa moltiplicazione dei pani, ci deve stupire come le turbe per tre giorni non abbiano avuto fame che di Gesù, della sua parola, delle sue opere. Oggi invece il mondo non ha che una brama sola: arricchire e godere. I luoghi di divertimento e di traffico brulicano giorno e notte, mentre Gesù Eucaristico è abbandonato nel suo tabernacolo, mentre i sacerdoti invano ripetono le parole di Dio, mentre le opere che dànno gloria al Signore sono trascurate. Bisogna ridestare in noi la mirabile fame di quelle turbe, Fame dell’Eucaristia: perché chi non mangia di questo Cibo morrà in eterno. Fame della parola di Dio: perché non di pane materiale soltanto ha bisogno l’uomo, ma anche e soprattutto di una parola che scende dalle labbra del Signore. Fame di opere buone, perché sono l’unico tesoro che la morte non distruggerà. – 1. FAME DELL’EUCARISTIA. Nei primi decenni del sec. XV, predoni di terra e di mare avevano invaso la Groenlandia, messo a fil di spada una parte della popolazione cristiana, e il rimanente tratto in schiavitù. Tutte le chiese erano state rase al suolo e tutti i Sacerdoti uccisi. Più volte i poveri Groenlandesi avevano ricorso a Roma, dov’era Papa Innocenzo VIII, ma inutilmente. Il mare tutto all’intorno della loro inospite spiaggia s’ara agghiacciato così che da ottant’anni nessuna nave straniera aveva potuto approdare. Privi di Vescovo e di Sacerdoti, molti già avevano dimenticata la fede dei loro padri, ritornando ai vizi del paganesimo. Solo pochi avevano saputo conservarsi fedeli alla Religione. Essi avevano ritrovato un corporale, quello su cui nell’ultima Messa celebrata dall’ultimo prete groenlandese aveva riposato il Corpo del Signore. Ogni anno lo esponevano alla pubblica venerazione: intorno ad esso i vecchi tremando e piangendo pregavano, intorno ad esso le mamme conducevano i loro figliuoli perché imparassero a conoscere Gesù. Intorno ad esso, tutti si stringevano come affamati intorno a una bianca mensa su cui non era rimasto più se non il profumo della vivanda: «Signore! — esclamavano — mandaci presto il Sacerdote che consacri, dacci ancora, una volta almeno, la tua Carne da mangiare e il tuo Sangue da bere, altrimenti anche noi perderemo la fede, e morremo da pagani » (L. PASTOR, Storia dei Papi, vol. III, pagg. 448-449). – Come ci deve far meditare quest’episodio commovente! Noi abbiamo Gesù sempre vicino a noi. Eppure pensate quante chiese rimangono deserte per tutta la giornata, senz’altro segno di vita che una fiammella che trema sull’altare. Pensate al numero grande dei Cristiani che nelle città tumultuose ha dimenticato perfino di fare Pasqua. Pensate a tutti quelli che lo ricevono senza voglia, una volta all’anno, con il cuore freddo e immerso nei desideri mondani e magari peccaminosi. Pensate a tutte le volte che noi avremmo potuto riceverlo e non l’abbiamo ricevuto. Non l’abbiamo ricevuto per la pigrizia di levarci mezz’ora prima dal sonno, non l’abbiamo ricevuto per rispetto umano, temendo quasi d’apparire bigotti; non l’abbiamo ricevuto perché a Gesù preferimmo tenere in cuore quella relazione illecita, quell’affetto impuro; quel rancore vendicativo. Gli uomini non hanno più fame del Pane di vita: come faranno a vivere? – 2. FAME DELLA PAROLA DI DIO. S. Efrem, stando in orazione, sentì una voce che diceva: « Efrem, mangia ». Stupito di quel grido e non sapendo donde venisse, il santo rispose: « E che cibo mi darai? ». La voce allora aggiunse: « Va’ da Basilio: egli ti istruirà e ti porgerà il cibo eterno ». Subitamente corse in cerca del Vescovo Basilio e lo trovò in chiesa che predicava. Allora conobbe che la parola di Dio era il cibo che doveva mangiare. Come il pane materiale è necessario per sostentare il corpo, così la divina parola è necessaria per sostentare l’anima. Un’anima priva di questo spirituale alimento si consuma di fame e va miseramente a perire. Perché in tanti Cristiani la fede è illanguidita, così da far temere per la loro eterna salvezza? Perché non hanno più fame della parola di Dio. Come non si può tenere accesa una lampada senza versarci ogni giorno un po’ d’olio, così in mezzo ai pericoli del mondo è impossibile conservare la fede senza ascoltare le prediche e la spiegazione della dottrina cristiana. E senza la fede non si può né piacere a Dio né entrare in paradiso. La parola di Dio non solo è necessaria per illuminare la mente, ma anche per fortificare la nostra volontà nel bene. La terra, quando non è bagnata dall’acque isterilisce e non produce che rovi e spine; così anche il nostro cuore, quando la celeste rugiada della parola di Dio non lo fecondi più. Eppure ci sono dei Cristiani che non solo hanno dimenticato l’obbligo della dottrina cristiana, del quaresimale, delle Missioni, ma non vogliono ascoltare più nemmeno la spiegazione del Vangelietto festivo. A costoro ripeterò alcune terribili parole di s. Ilario. Mentre saliva il pulpito s’accorse che alcune persone uscivano dalla chiesa per non annoiarsi della predica che stava per fare. Egli le fermò sulla soglia e gridò: « Ora potete ben fuggir dalla Chiesa, ma un giorno non potrete più uscir dall’inferno ». – 3. FAME DI OPERE BUONE. S. Benedetto aveva preannunciato il momento della sua morte. I discepoli lo sostenevano, ed egli, levate le mani in cielo, pregando morì. Due frati in quel momento ebbero una visione: videro una via piena di molti stendardi tutta splendente; essa partiva dalla cella di Benedetto e allungandosi verso oriente attingeva il cielo. Intanto s’udì una voce dall’alto che disse: « Questa è la via che Benedetto si è preparato con le sue opere durante la vita: per essa ora ascenderà al Cielo ».  Se la morte ci colpisce quest’oggi, quali stendardi ci sarebbero sulla via dell’eternità a dir le nostre opere buone? Che cosa abbiamo fatto finora di bene? Tanta smania di riempire i granai, di mettere danari alle banche, di farci un posto più comodo nel mondo e nessuna briga di radunare qualche cosa per la vita eterna, e farci un posto nel cielo. Eppure, di tutte le cose terrene non una ci potrà confortare nel terribile momento della morte, mentre invece anche il più piccolo atto buono assumerà allora un gran valore. Dobbiamo desiderare di farci dei meriti presso il Signore, dobbiamo aver fame delle opere di giustizia e di misericordia. Voi forse vi abbandonate ai balli, ai teatri; e intanto ci sono degli orfani che muoiono di fame, e intanto c’è un missionario che vede le anime perire e non le può salvare per mancanza di mezzi. Voi forse passate la vita nei caffè, nei ritrovi, e bevete fino a sazietà e più ancora; e intanto c’è un povero vecchio infermo che desidererebbe una goccia di vino per scaldarsi le vene e non l’ha. – Voi forse tutta la domenica consumate in gite sui monti o sui laghi e poi non c’è tempo di visitare un ammalato, e di fargli dimenticare almeno per un istante la sua infelicità. Voi forse sprecate danaro e danaro in abiti sfarzosi, in feste magnifiche, in profumi, in fiori e ci sono le opere della vostra parrocchia che languiscono per mancanza di chi le sostenga. Intanto che possiamo, facciamo opere buone, che tutte le troveremo, come San Benedetto sulla splendida strada che ci condurrà alla vita eterna. Imitiamo le turbe. Cerchiamo prima Gesù; la sua parola, il suo regno, ed il pane materiale ci verrà dato per giunta. – LA PROVVIDENZA. Si studiassero i miracoli di Cristo! Ognuno vi sentirebbe la voce di Dio — dice S. Agostino, — ognuno vi troverebbe un profondo insegnamento per la sua anima. Interrogemus ipsa miracula Christi; habent enim, si intelligantur, linguam suam. Quand’è così, rivolgiamo la nostra attenzione al miracolo che oggi il Vangelo ci ricorda, e raccogliamo la voce e l’insegnamento del Signore, in esso racchiuso. Gesù si trovò circondato da moltitudine grande, che per tre giorni lo seguì bramosa d’udire ogni parola che dicesse, di vedere ogni gesto che facesse. Allora il Signore disse ai discepoli raccolti vicino a Lui: « Sentite: io ho compassione di questo popolo che da tre giorni si trattiene con me, ed ora non ha più da mangiare. Con che cuore posso io rimandarli a casa digiuni, se molti venuti da lontano cadranno sfiniti lungo la strada del ritorno?… ».— « Maestro! — obiettarono i discepoli tristemente. — Siamo nel deserto e son quattro mila bocche… ». Ma Dio non udiva nemmeno questi dubbi umani e piccini. « Ditemi: avete con voi qualcosa? ». « Sette pani e scarsi pesciolini di companatico ». Oh Cristiani, com’è buono il Signore; non ha sopportato nemmeno che stessero in piedi; e come li vide comodamente seduti all’ombra e sulla fresca erbetta, diede a ciascuno pane e pesce a sazietà. A colazione finita, si raccolsero nientemeno che sette ceste di roba avanzata. Ed ora, secondo il consiglio di S. Agostino, interroghiamo il miracolo di Cristo per sentire che insegnamento ci dà. Migliaia d’uomini che per seguire Gesù abbandonano le loro case, senza pensare al vitto e alle altre mondane faccende; un Dio che, mosso a compassione di loro, provvede miracolosamente, sovrabbondantemente alla loro fame: tutto ciò non ci predica ad alta voce che la Provvidenza c’è e che nostro indispensabile obbligo è di confidare in Lei?1. LA PROVVIDENZA C’È. Troverete moltissimi Cristiani che, fino a quando tutto va bene, se la spassano allegramente: e non riflettono che ogni loro fortuna è dono della Provvidenza. Perciò non un pensiero mai di gratitudine per il Signore, non uno sforzo di corrispondenza a tante grazie, non un’offerta… Ma lasciate che la miseria bussi alla porte della loro casa; che la disoccupazione inaridisca le fonti d’entrata; che la malattia li costringa in un letto di sofferenze per settimane lunghe, che la morte strappi a loro dintorno qualche persona cara, allora si ricorderanno tosto della Provvidenza, ma per mormorare contro di essa, ma per calunniarla, ma per bestemmiarla, ma per negarla. « La Provvidenza perché non m’aiuta? che cosa ho fatto di male da meritarmi queste tribolazioni? son io solo peccatore su questa terra? O la Provvidenza è ingiusta o non c’è… ». La Provvidenza non c’è!? credono che uno Stato non si possa possa ben governare senza la saviezza e il consiglio di uno che lo diriga; credono che una casa non possa mantenersi senza la vigilanza ed economia d’un padre di famiglia; credono che una nave non possa navigare l’oceano senza l’attenzione e la perizia del pilota; eppure affermano che il mondo — questo grande stato, questa grande famiglia, questa nave immensa che solca gli spazi — possa andare avanti così, senza Provvidenza alcuna. Ma non è a codesta gente illogica e senza coerenza, che noi andiamo a chiedere se la Provvidenza esista. Ben altri ce ne fanno testimonianza sicura e autorevole. È Giobbe, privato di terra e di casa, senza più danaro né figli, senza nemmeno la salute e l’onore, che a Sofar, uno dei tre amici venuti a trovarlo, così afferma la Provvidenza: … interroga le bestie e ti ammaestreranno, / gli uccelli dei cieli e te lo mostreranno; / parlane alla terra, ed essa ti risponderà / e te lo spiegheranno i pesci del mare. / Chi non sa che tutte queste cose / le ha fatte la mano del Signore? / Egli nel cui potere è l’anima d’ogni vivente / e lo spirito d’ogni uomo formato di carne. (Giob., XII, 7-10) – È il santo re Davide che, raccogliendo il suo popolo, diceva: « Son vecchio ormai, e dalla mia giovinezza ne sono passati degli anni!… eppure vi garantisco che un uomo giusto non lo vidi mai abbandonato, né vidi mai un suo figliuolo mendicare un tozzo di pane » (Salmo XXXVI, 25). L’amabilissimo Gesù riprese l’invito di Giobbe e interrogò le bestie della terra e gli uccelli dell’aria. « Non v’angustiate per il vostro vivere: di quel che mangerete. Né per il vostro corpo: di quel che vestirete. Guardate gli uccelli dell’aria che non seminano, né mietono, né colmano granai, eppure il Padre celeste li nutre. Pensate i gigli come crescono, eppure né lavorano, né filano: or vi dico che nemmeno Salomone, in tutta la sua splendidezza, fu vestito mai come uno di essi… « Considerate i corvi che non hanno campi né granai, e di fame non muoiono, poiché Dio li mantiene… « Del resto cinque passerette non si possono comprare sul mercato con un solo quattrino? eppure neanche una di essa è dimenticata da Dio. Non temete dunque! voi costate assai più d’infiniti passeri… « Ma io vi dico che tanta e tale è la cura della Provvidenza per voi, che i vostri capelli sono contati fino all’ultimo, e non uno vi sarà tolto dal capo senza che Dio lo sappia… ». Dio!… Nessuno ha potuto mai dubitare della sua potenza e della sua sapienza. Ma Gesù ci ha svelato che Egli è misericordiosissimo, Gesù ha voluto che noi levassimo gli occhi e le mani a Lui e lo chiamassimo: — Padre! Padre nostro che sei in cielo…. Si può ancora essere increduli della Provvidenza, se Dio è nostro Padre? C’è un padre che a suo figlio dà uno scorpione, se gli domanda un pesce? a sua figlia dà un sasso, se gli domanda un pezzo di pane? Dunque la Provvidenza c’è. – 2. AFFIDIAMOCI AD ESSA. Una volta che Santa Caterina era assai tribolata, Gesù le apparì e disse: « Tu pensa a me! Io, sollecito d’ogni tuo cruccio, penserò a te ». Ecco il segreto per metterci nelle mani della Provvidenza. Quando le croci, le disgrazie, le persecuzioni ci fanno pressura d’ogni parte, dimentichiamole per un momento e mettiamoci a pensare seriamente al Signore; a pregarlo, ad onorarlo con opere buone, ad ubbidirlo nelle sue leggi, ed Egli, che tutto può, comincerà a pensare alle nostre croci, alle disgrazie nostre, alle persecuzioni che ci tormentano. Guardate i quattromila Giudei che seguirono il Maestro nel deserto: quando si accorsero d’aver fame e di non aver pane e di essere lontani d’ogni panettiere, forse che incominciarono a temere di morir affamati, e fuggirsene indietro, a bestemmiare contro il Figlio di Dio che li aveva ingannati? No: essi pensarono solo ad ascoltare la parola di Gesù, a imparare i suoi esempi; così furono provveduti di tutto e ne sopravanzò. Se Dio è con noi, chi potrà essere contro di noi? non la fame, non la miseria, non la malattia, non la calunnia, non la morte. Ricordate del resto che alla Provvidenza sapientissima è bastato un filo di ragno per difendere un santo da frotte di omini con lancia e spada. Uditelo l’esempio di S. Felice di Nola, di cui vi gioverà, nei momenti di sfiducia, il ricordarvi! Già da tempo era cercato a morte, ed egli costretto a fuggire da un luogo all’altro, era giunto a ripararsi in un nascondiglio tra le muraglie sfasciate. Era appena entrato che sopraggiunsero i nemici; ma intanto un ragno s’era calato da una crepa e distendeva i primi fili attraverso l’ingresso del rifugio di S. Felice. « Qui è impossibile sia entrato! — esclamarono. — Non vedete come sono intatti i fili del ragno? », e passarono via. E Felice fu salvo una volta ancora. Senza una illimitata fiducia nella Provvidenza, come vi spieghereste le imprese dei santi, la loro forza, la loro serenità? S. Giovanni Crisostomo viveva abbandonato nelle braccia di Dio, come un bimbo sul seno materno. Si era fatto un motto di questo suo stato d’animo: « sia glorificato Iddio in ogni evento » e lo ripeteva con la stessa pace nei giorni più oscuri e nei più luminosi della vita. « Glorificato Iddio! » disse quando nell’entusiasmo del popolo lo consacrarono Vescovo. « Glorificato Iddio! » disse ancora quando le folle traevano al suo pulpito bramose d’ascoltarlo e gli stilografi raccoglievano velocemente ogni parola che cadesse dalla sua bocca d’oro. « Glorificato Iddio! » ripeté anche quando cacciato in esilio dalla perfida imperatrice Eudossia, volgendosi indietro vide la sua chiesa di S. Sofia, il suo palazzo ruinare in fiamme tra le urla del popolo e dei soldati. E quando, il 14 settembre 407, legato e malmenato mentre lo spingevano verso Pitio sul Mar Nero, fu sorpreso dai dolori di morte, raccolse le ultime forze e disse ancora: « Glorificato Iddio in ogni evento ». – Senza la fiducia nella Provvidenza, come S. Camillo de Lellis, S. Gerolamo Miani, S. Giovanni Bosco, il Cottolengo avrebbero potuto ricoverare e mantenerne migliaia di persone, migliaia di infelici? Leggete le loro storie: giungevano certe sere in cui il danaro mancava, il vestito mancava, la farina mancava: soltanto non mancava la fiducia nella Provvidenza. E la Provvidenza provvedeva farina, vestito, danaro. Considerate infine chi sono quelli che negano la Provvidenza: o sono i disperati incapaci di sopportare il peso della loro vita, incapaci di avere un po’ di coraggio per qualsiasi cosa buona, o sono gente che pone la propria fiducia in altri uomini. Scuotono il giogo di Dio, grande e paterno, per imporsi il giogo di omuncoli, gretti e invidiosi. Maledictus homo qui confidit in homine (Gerem., XVII, 5). – Ho serbato, in ultimo, la difficoltà più grave: quella che ciascuno di voi aveva sulla punta della lingua e m’avrebbe già rivolto fin dal principio, se l’avesse potuto. « Se la Provvidenza c’è, perché allora mi ha messo in queste angosciose circostanze? Se Dio è padre, perché non m’aiuta? ». Dici bene: Dio è padre. Anzi è madre. Ma qualche volta anche le madri, per addestrare i loro bambini, fingono di abbandonarli, correndo a rimpiattarsi in qualche luogo vicino. E il loro cuore materno freme di gioia udendosi chiamare con tanta forza d’amore dalla loro creatura spaurita, e non tardano a volare ad essa, stringendosela fortemente, levarle dagli occhi con le dita le lagrime grosse. Così, mi pare, Dio fa talvolta con noi. Si nasconde, finge di abbandonarci nella solitudine: ma i nostri gemiti spauriti fanno fremere il suo Cuore misericordiosissimo. Coraggio; noi non lo vediamo: ma ci è vicino, e non tarderà a riabbracciarci più fortemente, a rasciugarci colle sue mani onnipotenti e materne le nostre lagrime grosse. « Oh se io avessi un segno — dirà forse qualcuno di voi, — se io avessi almeno un segno che mi rassicurasse che è proprio così, sentirei la forza necessaria a portare la mia croce, aspettando in tranquillità… ». E il segno l’avete: il Crocifisso. Guardate il Crocifisso. Se il Padre che è nei cieli ha lasciato il suo Unigenito morire inchiodato per nostro amore, forse che non avrà provvidenza di noi? — LA MISERICORDIA DI DIO. Misereor super turbam. Ho compassione di questo popolo che cammina e non ha da mangiare. La Storia Sacra ci presenta spesso gli uomini stanchi in cammino. Ora sono gli Israeliti per quarant’anni vaganti verso una terra di beatitudine promessa: e Dio li sostentò di manna. Ora è il vecchio profeta perseguitato che, spossato dalla fuga, si abbandona sulla terra, sotto un albero, aspettando la morte; e Dio lo confortò con pane e con vino. E nel Vangelo, due volte le turbe sono sorprese dalla fame nel deserto: e due volte Gesù le nutre di pane e di pesce. Questa gente in viaggio verso un arduo destino è un simbolo dell’umanità che ascende verso la salute eterna. Ma nessuno vi potrebbe giungere, se Dio non avesse misericordia di noi, Consideriamo le tre espressioni più grandi di questa divina misericordia: la pazienza col peccatore; la confessione; la comunione. – 1. LA PAZIENZA DI DIO COL PECCATORE La vita del Venerabile Queriolet, contemporaneo di S. Vincenzo de’ Paoli, ne è la più bella prova: si direbbe inventata per questo se non fosse veramente testimoniata dai suoi biografi. Fino a 30 anni, quest’anima impetuosa aveva vissuto in una continua alternativa di confessioni e di peccati. Poi fu preso da un tale odio satanico contro Cristo, che partì verso Costantinopoli per farsi maomettano. Dio l’aspettava sul cammino: in una foresta di Germania fu assalito dagli assassini, che uccisi i due compagni suoi, lui pure volevano finire. Davanti alla morte Queriolet tremò e fece voto alla Vergine di convertirsi se avesse potuto scampare. E scampò. Ma non si convertì: e non avendo potuto farsi maomettano, tornò in Francia e si fece ugonotto. Ma Dio lo rincorreva come il pastore dietro all’agnello che disvia. Una notte oscura di temporale è svegliato da un fragore scrosciante; il fulmine era caduto sulla sua casa ed abbruciava il tetto e il soffitto; pioveva dentro. Queriolet balza come una belva, stringe i pugni e bestemmia. Ma Dio non è sfiduciato, non è stanco di lui, lo persegue anche quando il più umile degli uomini già si sarebbe vendicato almeno col disinteressamento. A Loudun una povera donna sconosciuta lo ferma e gli dice: « Tu hai un voto senza compimento: ti ricordi la foresta di Germania quando ti volevano finire? ». Queriolet trema come in quel giorno tra le mani dei briganti. Come mai quella donna sapeva quello che egli a nessuno aveva svelato? Forse Dio suscitava quella donna per lui? Ma Dio, dunque, aveva ancora misericordia da chiamarlo così? Questo pensiero lo vinse: finalmente. E dopo alcuni anni Queriolet, risorto per non più cadere, meraviglia tutti con le sue virtù. Quel Dio che, agli angeli caduti una sola volta, non diede perdono, ha compassione dell’uomo ogni volta che lo vede traviare. Questo pensiero vinca pure ogni nostra diffidenza: in qualsiasi foresta di peccati ci fossimo smarriti, avessimo incappato anche nel demonio assassino d’anime, torniamo a Dio, Egli ci aspetta. – 2. LA MISERICORDIA DI DIO NELLA CONFESSIONE. I poeti antichi cantavano di una fontana misteriosa che gli dei avevano largito agli uomini: la fontana della giovinezza. I vecchi, quando v’entravano, lasciavano le rughe e gli acciacchi e riuscivano brillanti di giovinezza, cinti del diadema del loro ventesimo anno. Gli ammalati pallidi e stremati riuscivano col colore e col vigore della sanità. Oh, con quanto ardore i vegliardi tremuli si volgevano indietro, dal freddo orlo della tomba, sospirando a questa fontana misteriosa. Quante volte gli inquieti infermi dal loro letto vi sospiravano! Ma invano. Questa fontana zampillava solo nella mente dei poeti e distendeva le sue acque solo nei loro carmi. Quello però che gli dei falsi non avevano saputo dare ai loro amici, il nostro Dio vero l’ha preparato per i suoi nemici. Sì, l’uomo che col peccato, diventando nemico di Dio, diventa pure vecchio, rugoso, brutto e malato, ha nella Confessione una fontana di giovinezza che facendolo amico di Dio, lo rifà giovane e brillante. I Giudei avevano molta superbia per una vasca con cinque portici, a Betsaida. Talvolta lo Spirito scendeva a commuovere lo specchio dell’acqua: chiunque si fosse allora gettato dentro nel bagno, sarebbe stato guarito da qualsiasi male. Ma Dio è stato più misericordioso con noi: ci ha dato una vasca, dove, non appena in certe rare ore, ma sempre, facilmente ci guarisce dal male del peccato: la Confessione. S. Giovanni nella sua prima lettera afferma: «Il sangue di Gesù Cristo ci lava da ogni peccato » e nell’Apocalisse dice: « Ci ha lavati dai nostri peccati nel suo sangue ». Il romanziere francese, Paolo Bourget, prima della sua conversione scriveva: « Mio Dio! se ci fosse qualche acqua salutare in cui annegare il ricordo di tutte le febbri malsane!… Ma quest’acqua non esiste ». Sì, sì! esiste. La Confessione, – 3. LA MISERICORDIA DI DIO NELLA COMUNIONE. Ci fu una volta un figliuolo, che nonostante fosse idolatrato da suo padre, pure fuggì di casa, e con i suoi amici se ne andò in terra lontana. Fuori dallo sguardo paterno, senza freno e senza ritegno, commise ogni turpitudine, e accontentò il capriccio di ogni passione. Ma in quella terra lontana passò la carestia, e quel figliuolo fu sorpreso senza un soldo e senza un pane. E dovette girare di paese in paese, stracciato, lurido, famelico, cercando un mestiere. E trovò soltanto un uomo che gli fece fare il porcaio. E quel figliuolo fuggito da una ricca casa faceva il porcaio e aveva fame: di soppiatto allungava le mani nel trogolo e rubava le ghiande. Avrebbe desiderato, riempirsi il ventre anche con le ghiande che mangiavano i porci, e nessuno glie ne dava, neppure una manata. – Un giorno che la fame lo martoriava si ricordò che nella casa del suo ricco padre c’era pane bianco: tanto pane bianco. Si ricordò che tutti, perfino i servi ne potevano mangiare a sazietà… Non ne poté più. Buttò il suo bastone in mezzo ai porci che grugnivano e fuggì attraverso i prati lanciando un grido sublime. « Basta, tornerò da mio Padre ». Cristiani! quand’anche noi fossimo fuggiti dalla paterna casa di Dio verso la città dei peccati, quand’anche avessimo riempito la nostra anima col cibo dei porci e avessimo tuffato le nostre mani nel loro trogolo, gridiamo: « Basta! ». Il pensiero del Pane che la misericordia di Dio con tanta abbondanza distribuisce nella sua casa, il pensiero di questo Pane, che solo ci può sfamare, ci spinga ritornare sopra un via di santità e di purezza. Dio ci aspetta nella Comunione: nella Comunione che è il segno supremo del suo amore. Nella Comunione ha voluto rimanere con noi: « le mie delizie sono tra i figli dell’uomo ». Nella Comunione ha voluto sacrificare tutto per noi: la sua gloria divina, la sua maestà umana. E da infinito si fece piccolo come un boccone di pane. Nella Comunione ha voluto darci da mangiare la sua carne e da bere il suo sangue. – Meditando la misericordia di Dio, S. Caterina esclamava: « Oh, s’io potessi salire la vetta più eccelsa e di là gridare a tutto il mondo addormentato nei peccati: — O uomini! l’Amore non è amato! — ». Davvero. L’amore di Dio è troppo spesso un pretesto per abusare. E si abusa della sua pazienza, della Confessione e della Comunione.

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Ps XVI: 5; XVI: 6-7 Pérfice gressus meos in sémitis tuis, ut non moveántur vestígia mea: inclína aurem tuam, et exáudi verba mea: mirífica misericórdias tuas, qui salvos facis sperántes in te, Dómine.

[Rendi fermi i miei passi sui tuoi sentieri, affinché i miei piedi non vacillino: porgi l’orecchio ed esaudisci la mia preghiera: fa risplendere le tue misericordie, o Signore, Tu che salvi quelli che sperano in Te.]

Secreta

Propitiáre, Dómine, supplicatiónibus nostris, et has pópuli tui oblatiónes benígnus assúme: et, ut nullíus sit írritum votum, nullíus vácua postulátio, præsta; ut, quod fidéliter pétimus, efficáciter consequámur.

[Sii propizio, o Signore, alle nostre suppliche, e accogli benigno queste oblazioni del tuo popolo; e, affinché di nessuno siano inutili i voti e vane le preghiere, concedi che quanto fiduciosamente domandiamo realmente lo conseguiamo.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XXVI: 6 Circuíbo et immolábo in tabernáculo ejus hóstiam jubilatiónis: cantábo et psalmum dicam Dómino.

[Circonderò, e immolerò sul suo tabernacolo un sacrificio di giubilo: canterò e inneggerò al Signore].

Postcommunio

Orémus.

Repléti sumus, Dómine, munéribus tuis: tríbue, quæsumus; ut eórum et mundémur efféctu et muniámur auxílio.

[Colmàti, o Signore, dei tuoi doni, concédici, Te ne preghiamo, che siamo mondati per opera loro e siamo difesi per il loro aiuto.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (211)

LO SCUDO DELLA FEDE (211)

LA VERITÀ CATTOLICA (IX)

Mons. ANTONIO MARIA BELASIO

Torino, Tip. E libr. Sales. 1878

ISTRUZIONE IX

L’uomo

Siamo creati da Dio, che ci ama da padre; e siamo creati, per conoscerlo, amarlo, per adorare insomma il Creatore, il Padre, il Sommo Bene che è Dio, e per essere con Lui beati per sempre in Paradiso. Ecco tutto quello che ci debba più importar di sapere; questo è il principio della vera sapienza. La ragione nostra, contenta di aversi sentito a dire dalla cara parola di Dio che il Signore creò tutte le cose nel mondo, per sua bontà, per avere poi noi sempre con Lui felici, allarga il cuore consolandosi di questa speranza, che poi infine è poi tutta la grande nostra speranza. Ben potrei dirvi qui: o figliuoli, andate là, conservatevi sempre nel cuore questa gran verità di Dio. Non ci resta che attaccarci a Gesù Cristo, Figliuol di Dio, che, come vi ho detto, si è fatto uomo e morì sulla croce, per condurci salvi con Dio. Viviamo secondo la sua santa legge: e in tutto quello che facciamo nella nostra vita diamo gloria a Dio, che vuole usarci tanta misericordia. Ma ahi, che alcuni disgraziati, abbandonato Iddio che è benedetto in eterno, come il demonio, si arrabattono per strascinare anche noi col demonio lontani da Dio! Non par da credersi, ma è pur troppo vero, gli svergognati!… tentano di darci d’intendere, che veniam dalle bestie noi! e ci vorrebbero avvoltolare nel fango con loro. – Oh i tristi! non pensano che ci renderebbero troppo più miserabili delle bestie istesse; perché, almeno le bestie non conoscendo niente, non si trovano disperate alla morte. Ma noi uomini!… senza Dio in vita!… ma noi uomini… senza Dio poi nella morte!… Ah Gesù benedetto, salvate me e questi miei cari figliuoli dalla disperazione di morir senza fede in Voi! Noi sì, noi vogliamo morire nel bacio del vostro amore! E Voi con quella parola che vien dai palpiti del Vostro cuore, fatemi spiegar chiaramente, quanto sia contro la fede, contro la ragione, contro il buon senso, il dir che la terra si sia da se sola trasmutata in piante, che le piante si siano poi mutate in animali, e che gli animali si siano cambiati in uomini. Oh Maria nostra Madre benedetta, ma sentite, che tenterebber di farci!…. Eh vorrebbero strapparci via da Gesù nostro che vuol condurci con Voi al Padre in Cielo, e buttarci giù colle bestie nel fango, e mandarci a perdere in vita bestiale! – E voi, o figliuoli, fissatevi ben in mente ciò che io voglio dimostrarvi, cioè che Dio, creato il mondo, le piante e gli animali, creò noi superiori a tutte le creature in terra ad immagine sua per servirlo in terra, e poi per averci seco beati in Paradiso. Fatemi grazia a ripeterlo (si fan ripetere) vi ho da dimostrare che Dio creato il mondo; le piante, gli animali, creò noi superiori ecc. Intanto ascoltatemi con attenzione, perché qui si tratta d’imparare a difendere le nostre persone contro questi nemici del genere umano, che tentano di farci il più indegno insulto, col confonderci colle bestie, e farci imbestiare con quelle. Io vi ho già spiegato nella istruzione precedente come Dio creata e disposta la terra, per mantenere in essa tutte le creature terrene, creò poi le piante e gli animali. Ma lì per creare l’uomo, per farci intendere come l’uomo è tutt’altra creatura ben diversa dalle altre tutte, e come le altre cose create in terra sono anzi ordinate per l’uomo, prima di crearlo (per parlare umanamente), Dio Stesso sì consigliò col Figliuol suo e coll’Eterno Amore, lo Spirito Santo col dire « Ora che son create tutte queste cose, facciamo l’uomo che comandi a loro; ma facciamolo ad immagine e somiglianza nostra – faciamus hominem ad immaginem et similitudinem mostram, quasidire « egli creato così, ci conoscerà, eseguirà i nostricomandi; e Noi ammetteremo lui servo fedele, agodere della nostra eterna felicità. »Per questo, tutt’altro che confonderci colle bestie,e farci dell’istessa natura, ci creò anzi ad immaginesua per poter Egli amar Noi, come padre; e noi amare Lui, come i figli amano naturalmente i padri loro. Quindi ci collocò in mezzo di questo mondo di cose, da Lui preparate, come un padre colloca i suoi figliuoli in mezzo ai possedimenti suoi che provvide per loro. Volendo poi Egli che noi le governassimo vivendo secondo la sua santa volontà, la quale fu tanto buono di farci conoscere, ci mise in mezzo a questo visibilio di creature terrene e senza ragione; quindi per metterci in relazione a trattare con loro, ci diede il corpo; ma poi ci diede l’anima ragionevole, per innalzarci a trattare con Lui e rendergli onore e gloria, e adorazione in nome ditutto. Onde noi pel corpo camminiamo coi piedi in terra; ma coll’anima siam destinati a comunicare con Dio in cielo. Siamo, è vero, grevi qui col peso del corpo materiale attaccati alla terra; ma coll’anima nostra spirituale voliam oltre le basse cose del mondo, liberi e ragionevoli, come gli Angioli, capaci con essi ad amare il sommo bene Iddio in Cielo. Così tutte noi creature insieme, cominciando dai granelli di polvere (atomi) e salendo su sempre le une sopra le altre, fino a’ più grandi Angioli Serafini in Cielo, formiamo una gran catena, che dal più basso della terra, arriva fino a’ piedi del Trono dell’altissimo Iddio. Su, su, dunque noi di grado in grado, su dal tempo all’eternità sempre a lodare, ad amare la somma bontà di Dio. Ah via da noi la brutta gente, che ci vuol gettar giù a vivere, come le bestie. E per tutta ragione ci dicono che siam simili agli animali. Ben è vero che tutte le creature hanno una certa somiglianza fra di loro; ma restano divisi in ordini diversi nella diversa natura lor propria: si avvicinano, dirò così, tra di loro per somiglianza; ma si allontanano per l’essere lor naturale tutto diverso. Quindi non si mischiano mai, né si confondono da cambiarsi le une nelle altre di specie di diversa classe. E siccome abbiamo detto che tutte le creature formano come una catena; bene appunto, come gli anelli di una catena avvicinandosi gli uni agli altri si legano insieme, ma non sì confondano; così le diverse specie di creature si trovan vicine, si aiutano, si sostengono le une colle altre, sempre distinte e diverse fra loro: sicché sassi e terra la materia morta insomma non diventano mai piante: né le piante non si cambian in bestie: e tanto più poi le bestie non si trasmutano in uomini. – Ora vi spiegherò, come una classe di creature può essere simile, ma resta sempre diversa dalle creature di altra classe. Vedete difatti che le piante sono vicine alla terra, anzi vi penetran dentro, e paiono talvolta simili alla terra; ma non son terra morta, no; perché le piante sono vivaci, e germogliano altre simili piante: così gli animali hanno delle somiglianze colle piante, poiché han dentro di loro tanti fili, fibre, costole, e vene come quelle; ma non son piante, no; perché gli animali senton di vivere, vanno da loro in cerca, coll’inclinazione, che si sentono dentro, (istinto), di tutto quello che li può soddisfare. Quindi pure noi uomini abbiamo un corpo animato, come hanno gli animali; ma siam ben al tutto diversi e da loro lontani, perché abbiamo la forza della ragione da dominar sopra di loro. Sicché al considerarci tanto superiori a quelli, noi siamo obbligati ad esclamare « Oh! Signore, quanto è ammirabile la vostra bontà con noi! – Domine quam admirabile est Nomen tuum: Voi avete assoggettate  a’ nostri piedi tutte le creature della terra, e poco men che gli Angioli ci avete innalzati verso il Cielo; minuisti paulo minus ab Angelis (Psal. VIII.). Eh noi, collocati in tanto onore da Dio, vorremmo noi lasciarci mettere insieme colle bestie brutte senza ragione? Homo cum in honore comparatus est iumentis ‘insipientibus? (Sal.) Figliuoli di bestie voi, che m’intendete per bene, spiegherò meglio e metterò sott’occhio come le creature di specie diverse e di ordini superiori possono aver somiglianza fra loro; benché sieno di tutt’altra natura. Voi forse avrete veduto come d’inverno l’umidità e i vapori gelati hanno sui vetri delle finestre la somiglianza di tanti rami, e saprete come dentro le montagne, dove si scavano i metalli, il rame, l’argento, l’oro si trovano dispersi in mezzo del sasso in forma di ramificazioni, che somigliano le piante: ma anche voi sapete però che quei giri giri di gelo sui vetri, che quei rami di metallo sparsi nelle viscere dei monti non sono né rami, né piante; poiché non hanno dentro quella forza di crescere, di vegetare, di far sementi, di germogliare altre piante simili a loro. Hanno un bel somigliare alle piante; ma sono cosa morta e non mai pianto vivaci. Ascoltate ancora: le piante hanno filamenti sottili di dentro che sembrano nervi, hanno delle vene come i corpi degli animali: e vi sono delle piante che hanno costoline e fili così sottili, che, appena toccate, restano scomposte e piegano giù le foglie, (come fa l’erba sensitiva, che si chiama sensitiva appunto, perché par che senta; benché non senta in modo alcuno) Ma perché non vi è dentro quella forza di vita animale, per cui gli animali hanno l’istinto di conservarsi, e vanno a cercare ciò che sentono che fa bene a loro, si ritirano da ciò che fa male, così mostrano di sentirsi di vivere: le piante con tutte le lor fibre e vene saran sempre piante; e non animali mai. Finalmente possono gli animali imitar le operazioni degli uomini. Lo stordo e il pappagallo possono articolare parole, altri animali fan versi e moine che somigliano agli atti degli uomini; ma perché non hanno la forza della ragione, saranno sempre bestie. Questa forza poi di germogliare nelle piante non può venire in loro dalla terra; perché la terra non l’ha; ma viene dalla parola di Dio Che le creò: questa forza degli animali di sentire ciò che vedono, toccano, fiutano, assaggiano, e di muoversi al piacer loro, non può venir dalla terra e dalle piante; perché esse non l’hanno; ma viene da Dio che li creò tali. Così questa forza della ragione per cui noi siam creati sopra gli animali e li dominiamo è una comunicazione di un Lume che viene da Dio. Sì veramente è Dio che diede all’uomo colla sua parola, che creò la potenza di eseguir quello che Egli vuole, e di comandare a tutte le creature. E fu sempre così. Mentre non vi fu mai animal così svelto, così ardito, così forte, da poter neppure tentare di assoggettare il più meschinello di uomo, a prestargli i suoi servigi. Gli uomini sempre maneggiarono le cose create secondo la lor volontà, gli uomini dominarono sempre sugli animali. –  Eppure ci vorrebbero darci d’intendere che discendiam dalle bestie!… Oh! ma voi, mi direte, chi è matto così da poterlo sognare? — Chi?… Vel dico io, per non lasciarvi ingannare. Sono uomini, che si vantano di essere sapienti, e perdono la testa, da parlar come stolti — dicentes se esse sapientes, stulti facti sunt. E siedono fin sulle cattedre delle più grandi scuole (le università), e vendono certi lor strani sogni, come fossero oro colato di prette verità da loro scoperte. E a vederli! e a sentirli! con quel loro gran fare in robone da professori, dettare in nome della scienza, stranezze da far spiritare i nostri più eletti giovani. Buon, che i giovani non sono come i paperi, i quali bevono grosso nel guazzo fangoso delle loro grandi oche. Quindi è vero che i bravi giovani danno la berta a quei venditori di favole; ma è poi anche purtroppo vero che alcuni pochi, e voi li conoscete che sono i più grami, ritornati da quelle scuole, per darsi l’aria di sapere un gran che più che la buona gente, la quale ha più giudizio di loro, pretendendo di far aprire gli occhi agli ignoranti dicono le più brutte, le più matte cose del mondo. Quasi il buon popolo non avesse, per grazia di Dio, tanto di cognizione, da non sapere distinguere gli uomini dalle bestie; si vantano di aver tanto studiato, figuratevi! fino a credersi bestie essi stessi. Per me, mi consolo con voi, benedetti figliuoli, perché venite alla dottrina; poiché fin anco quel povero incredulo di Voltaire, ci dice chiaro, che in fatto di sapere come furono create le cose, e per qual fine siamo creati noi uomini, ne sa più la vecchiarella contadina, che va tutte le feste alla dottrina del Parroco, e ne sanno di più anche i fanciulletti, che cinguettano appena il catechismo. Sì proprio, ne sanno di più di coloro che si vantano di saperlo di propria testa; i quali, se si ascoltassero, ci farebbero disperare coi loro, lasciatemi dire, spropositi da cavallo: come questo che dicono che la terra si mutò in piante; e che le piante si mutarono in animali; e poi gli animali in noi: così da trovarci poi noi uomini belli fatti dalle bestie in noi trasformate! Ebbene ecco adunque quel che insegna la dottrina cristiana: e voi lo intenderete bene; perché va tanto d’accordo colla nostra ragione. La quale ben debba restar soddisfatta nel conoscere come fummo creati noi, consolandosi dal sentirci tanto amati da Dio. Vi ricorderete che nella passata istruzione vi ho già detto, come Dio creò la terra, le piante, gli animali: ed ora per non lasciare darvi d’intendere che dalla terra vennero le piante e che dalle piante gli animali e che da loro poi nascessero gli uomini; vi dirò come è Dio Onnipotente, che creò nelle piante e negli animali la forza di produrre altre piante, altri animali della istessa natura di loro, quando disse colla sua parola: che crescessero e si moltiplicassero; ma ciascuno di essi nella loro propria specie, secondo il proprio genere: in species:… secundum genus suum; cioè secondo lanatura in cui Egli ha creato le diverse classi diloro. Dimodoché dalle piante si producessero altre piante, dagli uccelli nascessero simili uccelli, daipesci simili pesci, da tutti gli altri animali animali di simil natura. E poi già anche voi colla vostra ragione e col vostro buon senso conoscete, come vedete coll’esperienza di tutti i di, che le cipollenon producono mai cavoli, che dai cavoli non nascono serpenti, né dai serpenti nascono colombe, come da tutte bestie nascono sempre bestie della natura di quelle che le generarono. Questo sì è sempre veduto dacché mondo è mondo. Si trovano difatti negli antichi sepolcri (massime nelle montagne d’Egitto, dove si scavarono degli antichi sepolcrico sì grandi che si chiamano necropoli, cioè le città de’ morti) si trovano grani, serpenti, gatti e scimmie. Ebbene? sono proprio gli stessi grani, che ancor seminati da noi danno gli stessi grani, gli stessi serpenti, che strisciano ancor là nelle sabbie abbruciate dell’Africa, sono gli stessi gatti delle nostre cucine e le scimmie colle quattro zampe istesse, che sì arrampicano sugli alberi ai nostri dì. Le quali, si vede, che non si sognarono mal nel lunghi, almeno sei mila anni, di farsi scimmie un po’ migliori. – Ma insomma anche noi, per poco che vogliamo pensarvi, vedendo che le piante e gli animali sono così ben formati, e come dentro di loro son così ben congegnate tutte le parti, che formano i loro organi con cui possono vivere, ben conosciamo che tutto fu disposto da chi li voleva far vivere nel loro modo; cioè furono creati da Dio, che solo poté pensarle colla sua Mente Divina e colla sua Onnipotenza le poté formare. Eh si che dobbiamo esser ben certi, che la terra, per sognarsi un dì di cambiar se stessa in piante, che prima non aveva, bisognava bene che avesse pensato avanti come dovevano essere fatte le piante (figuratevi se la terra poteva pensare!): poi che le piante, per sentirsi la voglia di diventare animali, bisognava, che avessero anch’esse pensato che cosa fossero gli animali, e che avessero potuto crearli animati così, mentre esse animate non erano. Ascoltate ancora: anche gli animali poi per sentir l’ambizione di diventare uomini, sì che dovevano studiar ben la maniera di crearsi dei figliuoli un po’ migliori, e di quella bellezza, che non avevano ancora mai veduto tra quei brutti ceffi, e che inventassero delle anime le quali avessero la ragione, da mettervi dentro: perché già di ragione gli animali non seppero averne mai. Bisognava insomma che la terra, le piante, gli animali avessero una mente capace d’immaginarsi col pensiero creature al tutto nuove, diverse, e che poi avessero la forza onnipotente da poter essi crearle!….. Oh vedete disgrazia di coloro che non vogliono credere in Dio Eterno Creatore di ogni cosa! diventano matti così, da credere che la terra sia essa l’onnipotente creatore; creatori sian le piante, e creatori degli uomini, sian le bestie! non sono pazzi frenetici che hanno perduto il bene della ragione? Noi, che per grazia di Dio siamo ragionevoli ancora, facciamo il più bell’uso della ragione umana col dire insieme con tutto il genere umano « io credo in Dio Creatore del cielo e della terra. » Via adunque tante stranezze mostruose, cui si trovano ridotti ad inventare quei poveri disgraziati che non vorrebbero confessar che Dio creò noi uomini tanto superiori, come v’ho detto finora, a tutti gli animali: poiché ci creò ad immagine sua: come vi spiegherò adesso. – Vi ho già detto come Dio ci ha fatto intendere che ci voleva creare superiori a tutte le creature in terra, da comandare ad esse. Perciò volendoci creare colla ragione ad immagine sua, ci formò un corpo appunto adattato a servire all’anima ragionevole: parlerò del corpo nostro e poi dell’anima. – Anche qui Dio, per adattarsi al modo di pensare di noi, ci fa intendere come volendo creare l’uomo ragionevole gli formò, o quasi per dir così, impastò di sua mano la creta, per formare questo corpo nostro. Dio fece come un ingegnoso architetto. Questi nel costruire un grande edifizio, dispone in esso in bell’ordine tutte le membra di dentro, per servire ai bisogni di chi è destinato ad abitarlo; ma poi il bravo, di fuori in sulla facciata, coi più belli ornamenti esprime tutto il suo pensiero, e fa sì, che al solo contemplar quella, s’intenda e il fine per cui l’edificio è fabbricato, e s’indovinino le membra ben disposte di dentro: improntando così su di essa tutto il suo pensiero, e lasciandovi vedere sopra un lampo del suo genio. Così Iddio formò di terra il corpo umano facendo, che tutte le parti del corpo fossero esattamente adattate a servire ai bisogni dell’anima che pensa, che ragiona, e dispone di tradurre in atto i suoi pensieri, diversa in tutto dall’anima sensitiva degli animali. Egli lasciò in tutto in tutto quello l’impronta della sua sapienza, ma nel volto come una figura dell’Immagine sua, però la fece trasparire più viva. Contemplate di fatto come ebbe formato il corpo; in modo di stare sulla pianta de’ piedi fermo e sicuro, colla vita dritta che posa sui larghi fianchi con dignità; colle braccia snelle e le mani pronte ad eseguire i più industriosi e delicati lavori; con quella bella testa che posa con grazia sulle spalle in aria di comandare, e la gira con scioltezza a tutto d’intorno in ogni a lì per dire, che egli ha da tener d’occhio i suoi interessi per tutta la terra, e poi fare eseguire i suoi comandi a tutte le creature. Ci ha fatto poi il petto più largo in proporzione, perché il cuore dovea palpitar più forte, quanto sarebbero più vivi gli affetti dell’anima, capace di amar senza fine. Ma sul volto poi vuol che si esprima tutto che vi è dentro nell’uomo. Nel volto quegli occhi che girano inquieti sopra tutte le creature; ma per essi l’anima uscirà fuori ben sovente, come a cercare nel cielo il ben che non trova sopra la terra. Sul volto poi i più teneri sentimenti di lei ed i gravi pensieri ed i dolori di lei che non ha consolazione qui e la maestà di re della terra: mentre in quel sorriso di pudica bellezza si esprime l’anima innocente che ride in terra, come un angelo in cielo. Insomma nel volto traluce un raggio della bellezza di Dio, perché Dio v’infuse dentro ad abitarvi un’anima immagine di sé medesimo, poiché è ragionevole. Formatolo così, quando poi l’ebbe vivificato poté pigliarlo per mano, farlo sorgere in piedi, e dirgli: « piglia possesso e signoria di questo mondo che io assoggetto al tuo dominio.» – Ora vi ho da cercar di spiegarvi come l’anima è immagine di Dio e ragionevole. Dio bontà infinita voleva avere delle creature in terra, come vi ho già spiegato, le quali lo conoscessero e lo amassero; per potere amarle anch’Esso coll’amore di padre. Ora vedete ben voi come i padri amano nei figli l’immagine propria, e come sono capaci di far tutto il bene per loro, care immagini di sé medesimi; ebbene, Dio appunto creò noi uomini proprio ad immagine sua, per amarci, come il padre ama i suoi figliuoli. Fa Iddio di noi come tanti ritratti di Sé, piccole immagini, e come in miniatura; ma veri ritratti, che al possibile in qualche modo gli somigliamo. Ora vi spiegherò alla meglio come siamo creati somiglianti a Dio. Come nella piccolissima pupilla dell’occhio umano si vedono in piccolo tutte le cose dell’orizzonte, e fino una parte del cielo di sopra; così nell’anima, quale è creata da Dio si vede un’immagine proprio sua, e fino una somiglianza degli attributi di Lui. Difatti Dio è un Lume Eterno che conosce Se Stesso; e noi abbiam le anime, che conoscono anch’esse. Creandole par dica Iddio « creature mie, voi mi conoscete colla ragione in qualche modo, almen che Io sono: ebbene, cercatemi, che Io mi vi lascerò trovare; diliges Dominum ex tota mente tua » Dio è una Volontà benevolissima, é tutto amore eterno: ebbene Dio ci ha creati capaci d’amare, e par che ci dica « amatemi, che io vi amerò ». Dio fa tutto colla sua santa volontà, a sua libera elezione; ebbene Dio nel crearci, affinché gli diamo la prova di amarlo di buona volontà, ci mise in mezzo a queste cose create, che domandano anch’esse di essere da noi amate; onde noi dicessimo alle creature « tacete, tacete perché noi più che voi, vogliamo amare Iddio, l’amiam più di tutto, più di noi stessi; poiché Egli è il Sommo Bene diliges ex toto corde tuo ». Dio è somma Giustizia, e ci dice« siate giusti; perché, se non siete giusti, non possoamarvi: » e noi per essere giusti, dobbiamo amare più Dio, che lo merita più che tutte le creature.Ma io voglio dirvi qui ciò, che veramente deve farci tremare il cuore della tenerezza più viva. Voi lo sapete che Dio è così grande nella sua Divina Bontà da amarci tanto, fino a farsi uomo e morire per noi. Ebbene anche in questo ha voluto che l’anima nostra gli rendesse immagine della sua bontà. Poiché quando colla grazia sua divina conosciam Dio che merita d’essere stimato, d’essere amato infinitamente, più di noi medesimi: pere ssere giusti verso di Lui, lo vogliamo amare ditanto amore, da voler morire e dare la vita per provache l’amiam più di noi medesimi!…. Ora potremo capire un poco come Dio creandoci con tanta bontà così, ci debba dire (lasciatemi parlar così col cuore n mano) « creature del mio amore, care immaginette di Me Medesimo, figliuoli miei, la mia bontà divina non è contenta mai, per vostro riguardo, finché Io non vi avrò a vivere con me beati in Paradiso ». Ma come potrete farlo, o Signore?… E Diorisponde: « V’immergerò nella mia beatitudine infinita, eterna, vi darò tutto Me Stesso, Ego ero merces tua ». Ecco adunque che siam creati ragionevoli, cioè coll’anima capace di conoscere, di amare e di essere beati con Dio: ah maledetta la bestemmia che troppo insulta Dio ed insulta noi creati che siamo come figliuoli di Dio, capaci d’imitarlo nella sua bontà, destinati a vivere eternamente con Dio, maledetta a bestemmia, che ci dice figliuoli di bestie! No: gli uomini non soffrirono mai un insulto peggiordi questo di sentirci a dire figliuoli di bestie. AImeno i pagani, benchè, meschinelli! non adorassero il vero Dio tutt’altro, che far bestia l’uomo, volevano dell’uomo fare un dio; e quando volevano adorare il dio della bellezza dicevano che quel dio era una bella creatura umana: e quando poi volevano figurarlo, non scolpivano l’immagine d’una brutta scimmia, no; ma scolpivano un’immagine di persona umana risplendente di tale bellezza, che per loro pareva divina. Quando poi essi volevano rappresentare il dio re del loro cielo, non scolpivano un gran bestione, no!….; ma si scolpivano nel Giove di Fidia un uomo sfavillante di un lampo di bellezza ancora che pur pareva divina. Adunque anche i poveri pagani credevano anch’essi, o almeno avevano un sentore, che I’uomo creato da Dio rappresentava l’immagine di Dio Stesso. E noi Cristiani abbiam da star lì tranquilli e senza sdegno a sentirci dire, che noi siamo le più grandi bestie? Ah costoro che non vogliono intendere, che noi uomini ragionevoli capaci di essere amati come figliuoli da Dio, costoro sì, che meritano di esser chiamati, come li chiama s. Paolo uomini animali: animalis homo non percipit quæ Dei sunt.Deh! facciamo almeno il viso dell’armi, e vogliodire, ributtiamo da noi questi indegni bestemmiatori; e se li sentiamo abbaiarci appresso tali bestialità, corriamo a coprire le venerate immagini deinostri Santi; affinché non vi mettano su il grugnoquesti uomini imbestiati, ad insudiciarle della loro orrida bava! Deh, che s. Luigi Gonzaga, quell’angelo in carne, com’era, non si senta dire che egliè figliuolo dello schifoso macaco! Deh, che quella grand’anima di s. Carlo Borromeo tutto carità,com’era, immagine della bontà di Dio, non si senta dire che egli è figliuolo di quell’orsaccio di orangotano! Deh che quelle angeli che vergini sante,Agnese, Cecilia, Catterina e Rosa, fiori del Paradiso che spuntarono su questa aiuola della terra innaffiate dal Sangue di Gesù Cristo, non si sentano dire che sono sorelle carnali di quel mostro di scimpanzè,che fa orrore a vederlo! E quelle sante Margherita ed Elisabetta, care madri dei poveri e tutti i santi immagini viventi di Dio, che Egli fece veder sulla terra nella sua misericordia, per guidarci col loro esempio per mano dove ci aspettano in Paradiso, deh deh che non si sentano a dire di Paradiso che esse sono carne d’ossa dei feroci gorilla, che hanno il grugno di jena! Eh noi figliuoli di questi orrendi mostri? ah no! Dio li ha fatti troppo brutti e schifosi e troppo orrendi, per avvisare noi, che noi siamo da loro al tutto diversi, e che le dobbiamo sdegnosamente ributtare lontane da noi come brutte bestie; mentre noi siamo immagini viventi di Dio. Noi, che abbiamo, come figliuola di nostra famiglia, e per madre dell’anime nostre, Maria. Oh Madre benedetta Maria, la più bella immagine del Ss. Iddio in persona umana! Certo che pensava a voi il Creatore Iddio, quando impastava, per dir così, la creta da formare il corpo umano da infondervi poi l’anima ragionevole, e così creare l’uomo ad immagine di Sé Medesimo. – Dio fin d’allora nel principio del tempo contemplava Voi, che sareste nata Immacolata, e si compiaceva di Voi, come dell’opera sua più bella in figliuola dell’uomo. Noi pensiamo che Dio dicesse « questa creatura sarà così santa, e al possibile degna di Voi, o Figliuol mio, sicché Voi la potrete pigliare per Madre e formarvi in quel seno, puro come il Paradiso, il Vostro Corpo e infondervi Anima per opera del Nostro Amore Eterno; e così nascere Uomo e Dio in una sola Persona: come l’uomo in anima ed in corpo forma una persona sola. Ah intendiamo adesso che cosa è l’uomo! è creatura ragionevole, immagine viva di Dio, destinato a mostrar sulla terra una figura, un’immagine insomma, che aiutasse a fare intendere in qualche modo il miracolo più grande della bontà di Dio: e come noi siamo anima e corpo in una sola persona umana, così rappresentassimo Dio fatto Uomo in una sola Persona Divina, Gesù nostro Salvatore benedetto, Dio fatto uomo, per far noi uomini beati in Dio. Viva Dio! che per Gesù suo Figlio siamo immagini non solo di Dio; ma siamo anche figliuoli del Sangue suo Divino.

Pratica.

Amiamo Dio sopra ogni cosa e viviamo come Figliuoli uniti di sangue al Figliuolo Eterno Sostanziale di Dio.