LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE (19)

ADOLFO TANQUEREY

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE CHE GENERANO NELL’ANIMA LA PIETÀ (19)

Vers. ital. di FILIPPO TRUCCO, Prete delle Missioni

ROMA DESCLÉE & C. EDIT. PONTIF. – 1930

NIHIL OBSTAT – Sarzanæ, 8 Maji 1930 J. Fiammengo, Rev. Eccl.

IMPRIMATUR Spediæ, 8 Maji 1930 Can, P. Chiappani, Del. Generalis.

SECONDA PARTE

CAPITOLO IV.

In che senso il popolo cristiano partecipa al sacerdozio di Gesù Cristo.

L’Apostolo san Pietro, volendo esortare i primi Cristiani a unirsi a Nostro Signore Gesù Cristo per progredir nella santità, richiama i loro titoli di nobiltà : « Voi siete, egli dice, una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una nazione santa, un popolo di acquisto, per predicare le perfezioni di Colui che vi ha chiamato dalle tenebre all’ammirabile sua luce; voi che una volta non eravate suo popolo e che siete ora il popolo di Dio » (S. Petr. II, 9-10). Bellissime parole molto atte a farci intendere tutta la dignità del Cristiano. Se il popolo di Israele era detto una volta il popolo eletto per le tante meraviglie che per lui operò il Signore, che dire ora del popolo cristiano che lo stesso Figlio di Dio si acquistò col prezzo del suo sangue? Incorporandoselo col Battesimo, Gesù volle farlo partecipare in un determinato grado anche al regale suo Sacerdozio. Riserba, è vero, il carattere sacerdotale ai soli suoi Sacerdoti, come già sopra spiegammo, ma vuole che anche ogni Cristiano abbia vera parte, sebbene secondaria, ai poteri e agli uffici del Sacerdozio, e che non si contenti di ricevere i doni. divini, ma che concorra attivamente, sempre però subordinatamente, alla celebrazione del santo Sacrificio della Messa, all’amministrazione di certi sacramenti e all’esercizio dell’apostolato; il che lo obbliga ad essere egli pure nello stesso tempo ostia e sacrificatore. Ecco ciò che intendiamo ora spiegare, affinché i pii fedeli divengano sempre più collaboratori del sacerdote.

ART. I. — PARTE CHE HA IL CRISTIANO NELLA CELEBRAZIONE DEL SANTO SACRIFICIO DELLA MESSA.

L’asserzione che il semplice Cristiano concorre attivamente anch’esso alla celebrazione del santo sacrificio della Messa è fondata sul dogma della nostra incorporazione a Cristo, che abbiamo già precedentemente esposto. Quando Gesù per mano dei suoi Sacerdoti offre il santo Sacrificio, essendo Capo di un Corpo mistico di cui i Cristiani sono le membra, anche tutti i Cristiani offrono il Sacrificio con Lui. Difatti le membra di un corpo non sono puramente passive; ma, ricevendo dal capo il moto e la vita, reagiscono a loro volta e partecipano attivamente a tutti gli atti del capo; avviene ciò che dice san Paolo « se patisce un membro, tutte le membra patiscono con lui; se Gioisce un membro, tutte le membra gioiscono con lui! » I. Ep. Cor., XII, 26). Specialmente nel santo Sacrificio della Messa, dice sant’Agostino (De civ. Dei, 1. X, 6), i Cristiani, unendosi col loro Capo e tra loro in una stessa preghiera, offrono il corpo e il sangue della vittima divina e con Lei offrono se stessi alla santissima Trinità. Così il Pontefice eterno trae a sé e a sé unisce l’intiera sua Chiesa, con tutti e singoli i suoi membri, e s’immola con Lei in un medesimo olocausto.

1° Ne abbiamo bella prova nelle preghiere e nei riti della Messa  (« Conviene tener presente il carattere speciale della sinassi religiosa nella Chiesa primitiva. A differenza dei moderni che, in chiesa, senza intender nulla, si contentano di unirsi in ispirito al Sacerdote che prega, gli antichi volevano he l’actio (la Messa e la parte precipua della santa Messa, cioè il canone) fosse veramente sociale, collettiva, eminentemente drammatica, così che non soltanto il Vescovo, ma il presbitero, i diaconi, il clero, i cantori, e il popolo, ciascuno avesse la propria parte distinta da rappresentare » (SCHUSTER, Op. cit., Vol. I, p. 7).

a) Se consideriamo le preghiere, vediamo che il celebrante non parla che raramente in proprio nome, ma che si volge a Dio e offe il santo Sacrificio in nome di tutti i fedeli, in nome dell’intero popolo cristiano, di cui è il rappresentante ufficiale. – Che l’offerta del santo Sacrificio sia fatta in nome di tutta la Chiesa, è chiaro specialmente dalle preghiere dell’Offertorio. Elevando il calice il Sacerdote dice; « Ti offriamo, o Signore, il calice salutare, supplicando la tua clemenza che,al cospetto della divina tua Maestà, tu lo riceva in odore di soavità per la salute nostra e per quella di tutto il mondo ». E subito dopo offre associato alla vittima divina l’intero popolo cristiano: « In ispirito di umiltà e con animo contrito, deh! siamo da te accolti, o Signore, e così si faccia oggi il nostro sacrificio al tuo cospetto che piaccia a te, o Signore Iddio ». Il popolo cristiano è dunque anch’esso, sebbene in modo secondario, sacrificatore e vittima. Risulta di qui imperiosa la necessità per ogni Cristiano di conformare la vita alle parole, ossia di avere un cuore veramente contrito e umiliato onde offrire degnamente col sacerdote la materia del Sacrificio. – Viene poi la preghiera alla santissima Trinità, fatta essa pure in nome di tutti, « in memoria dei vari misteri di Nostro Signore, in onore della Vergine Santissima e dei Santi ». Quindi il Sacerdote, baciato l’altare, si volta al popolo e gli dice queste significative parole: « Pregate, o fratelli, affinché il sacrificio mio e vostro sia accettevole presso Dio Padre onnipotente ». A nome di tutti i fedeli in generale e di ciascuno in particolare, l’inserviente risponde: « Riceva il Signore il sacrificio dalle tue mani, a lode e a gloria del nome suo, e a vantaggio pure nostro e di tutta la Chiesa sua santa ». – Nel momento solenne del Prefazio, prima di cominciare il Canone, corre tra il Sacerdote e i fedeli un sublime dialogo, che mostra quale parte attiva prenda il popolo cristiano al Sacrificio. « In alto i cuori », dice il Sacerdote: « lì teniamo sollevati al Signore », rispondono i fedeli. « Rendiamo grazie al Signore Dio nostro », ripiglia il celebrante: « È cosa degna e giusta », risponde il popolo. Allora con volo sublime il Sacerdote penetra i cieli e si associa a Gesù glorioso, mediatore di Religione, e per mezzo di Lui agli Angeli e ai Santi e a tutti i fedeli della terra, e, in nome loro, proclama la santità e la gloria della santissima Trinità e benedice Colui che dall’alto dei cieli sta per discendere sull’altare. Poi il Sacerdote offre anticipatamente la Vittima divina per tutta la Chiesa, pei suoi capi, per tutti i suoi membri, e in particolare per certe persone da lui designate: « Ricordati, o Signore, dei tuoi servi e delle tue serve… e di tutti i circostanti, i quali ti offrono questo sacrificio di lode ». – Disceso Gesù sull’altare nella consacrazione, il Sacerdote lo leva in alto fra le sue mani e tutta l’assemblea si prostra ad adorarlo; quindi, associandosi nuovamente i fedeli, continua a pregare: « Memori, o Signore, noi tuoi servi, ma anche il santo tuo popolo, della passione, risurrezione e ascensione di Cristo Figlio tuo e Signor Nostro, offriamo alla preclara tua Maestà l’ostia pura, l’ostia santa, l’ostia immacolata… Supplici ti preghiamo, o Dio onnipotente, ordina che queste cose (Gesù vittima divina e con Lui il suo Corpo mistico) siano portate per mano del santo Angelo tuo sul tuo sublime altare, nel cospetto della divina tua Maestà, affinché quanti parteciperemo a questo Sacrificio, siamo riempiti di ogni benedizione celeste e « di grazia ». Un venerando autore del secolo XII, sant’Oddone di Cambrai (In exposit, Can., dist. III), così commenta queste parole: « L’ostia dev’essere portata sopra il sublime altare di Dio. Ora che cosa può voler dire questo se non che per mezzo dell’offerta di noi stessi, unita a quella del Verbo, vogliamo essere ricevuti e come assorbiti in Dio? » È chiaro quindi che nella santa Messa il Cristiano non solo offre a Dio la materia del Sacrificio, ma diviene in qualche modo vittima con Gesù Cristo nella perfettissima unità del suo Sacrificio.

b) Se dalle preghiere della Messa passiamo ai riti che le accompagnano, ne vediamo uscir fuori in modo efficacissimo la parte attiva dei fedeli nel santo Sacrificio. L’uso di infondere alcune gocce di acqua nel vino, che deve poi essere cangiato nel sangue di Cristo al momento della consacrazione, fu sempre costante nella Chiesa latina, la quale vede in questo rito il simbolo dell’unione dei fedeli con Cristo sacrificatore. « Quando nel calice l’acqua viene mescolata col vino, dice san Cipriano (Epist. LXII ad Cæcilium, 12-13), tutto il popolo si unisce col Signore. Non si può offrire acqua sola o solo vino; se si offrisse solo vino, significherebbe che il sangue di Cristo comincia ad essere senza di noi; se acqua sola, significherebbe che il popolo comincia ad essere senza Cristo; quando invece l’uno e l’altro si mescolano insieme, allora il Sacramento spirituale e celeste si compie ». I membri di Cristo, che sono i fedeli rappresentati nell’acqua, vengono allora collegati col loro Capo che è Cristo, significato nel vino. Senza questa unione infatti, come spiega bene il P. Giraud (Prétre et hostie, cap. XXIII), il mistero pare incompleto; perché  o Cristo rimane solo, quasi che il capo potesse essere separato dalle membra, oppure la Chiesa è isolata da Cristo; il che sarebbe la sua morte e la sua rovina. Anche altri riti esprimono quest’unità di Cristo e dei suoi fedeli nel Sacrificio della Messa. Quando – dice Bossuet  (Explication de quelques avi difficoultée sur les  prières a de la Messe, L’Eglise s’offre elle-meme)  – il Sacerdote poco prima della consacrazione stende le mani sui sacri doni, lo fa per indicare che offre se stesso e i Cristiani colle oblate che sta per consacrare; come una volta, nell’antica Legge, si poneva la mano sulla vittima per dire che l’offerente si univa con lei e con lei si consacrava a Dio. Risulta chiaro da questo complesso di preghiere e di cerimonie che tutti i fedeli hanno una parte attiva nella celebrazione del santo Sacrificio.

2° Tuttavia vi sono di quelli che vi prendono parte in modo più speciale e che ne colgono quindi frutti più copiosi; e sono coloro che danno al Sacerdote la elemosina perché celebri secondo la loro intenzione. Ad intelligenza di questa pratica, richiamiamo brevemente ciò che si faceva nell’antica Legge e nei primi tempi della Chiesa. Quando un Israelita voleva offrire un sacrificio a Dio, conduceva al sacerdote la vittima, per esempio una pecora; e il sacerdote la immolava e la offriva al Signore a nome del fedele. Qualche cosa di simile avveniva nei primi secoli cristiani; molti fedeli portavano al Sacerdote la materia del Sacrificio, il pane e il vino; era quindi in un certo senso la loro vittima e il loro sacrificio che il Sacerdote offriva onde essi venivano ad averci parte più attiva di coloro che, non avendo portato nulla, si contentavano di assistere alla Messa. Ora, nella presente disciplina ecclesiastica, ciò che tiene il posto dell’offerta fatta dai Cristiani dei primi secoli è l’onorario, o elemosina o stipendio che si voglia dire, che i pii fedeli danno al Sacerdote; ecco perché il Sacerdote, pur dicendo la santa Messa per tutta la Chiesa, la applica in modo speciale secondo l’intenzione di chi dà l’elemosina. Di qui si spiegano le parole del Canone:« Ricordati, o Signore… di coloro che ti offrono questo sacrificio di lode ». – Ci riesce ormai facile l’intendere come il fedele che assiste alla santa Messa o dà l’onorario, non è soltanto un semplice spettatore, ma vi prende parte attiva, verissima, nobilissima, vantaggiosissima, di cui deve ben persuadersi e rendersi ben conto. Egli è in un certo senso sacerdote, perché prende parte alla celebrazione del Sacrificio, e, benché non rivestito del carattere sacerdotale, viene però ad avere alcune delle prerogative sacerdotali. Assistere alla Messa il più spesso possibile, dare la corrispettiva limosina per aver più larga parte ai frutti del Sacrificio, associarsi intimamente al celebrante nell’offerta che fa della vittima divina, comunicarsi frequente e con Gesù offrire se stesso al Padre, tale deve essere la sincera brama di un Cristiano pio e la più grande delle sue consolazioni.

ART. II. — PARTE CHE HA IL CRISTIANO NELL’AMMINISTRAZIONE DI CERTI SACRAMENTI.

Sebbene la parte che gli spetta nell’offerta del sacrificio della Messa sia importantissima, il fedele non può, a rigor di termini, essere detto ministro del Sacrificio, essendo questo titolo riserbato al Sacerdote. Ma ci sono due Sacramenti in cui il semplice fedele è veramente ministro; e sono i sacramenti del Battesimo e del Matrimonio.

a) Infatti ogni fedele può, in caso di necessità, amministrare il battesimo, e, purché segua la forma essenziale prescritta dalla Chiesa, l’atto da lui compiuto avrà tutto il suo valore sacramentale. Verrà rimesso il peccato originale e Dio prenderà possesso dell’anima del battezzato per farsene un tempio prediletto. Non è lecito, è vero, a una persona secolare di amministrare il Battesimo fuori del caso di necessità, perché è ufficio riserbato al Sacerdote e al diacono; ma, se lo amministrasse, ne produrrebbe certamente l’effetto. Or chi non vede qui quanto sia grande il potere anche del semplice fedele, dacché, con poche gocce d’acqua versate sulla fronte di un bambino e con una breve formola, diviene la causa ministeriale di cui Dio si serve per causare la rigenerazione di un’anima, per renderla figlia di Dio, sposa di Cristo, abitazione dello Spirito Santo?

b) Ma se il fedele non è ministro del sacramento del Battesimo se non in casi straordinari, è invece ministro ordinario del sacramento del Matrimonio. È bene richiamare spesso ai Cristiani questa verità, perché molti purtroppo, anche fra le persone colte, hanno su questo punto idee assai confuse. E ciò proviene dal fatto che ignorano come Nostro Signore volle che il sacramento del Matrimonio fosse essenzialmente costituito dal consenso degli sposi e che ne fossero veri ministri le due parti contraenti. La Chiesa, per ottime ragioni, ha stabilito sotto pena di nullità che tale consenso sia dato dinanzi a persone che ne possano ufficialmente attestare l’esistenza, cioè dinanzi al proprio parroco e a due testimoni. Ma, ripetiamolo, i veri ministri del sacramento sono gli sposi stessi; e per mezzo loro, col loro ministero, Dio conferisce la grazia sacramentale che li aiuterà poi ad adempiere cristianamente i doveri del proprio stato. – Chi dunque non vede l’alta dignità del matrimonio, che dev’essere, come dice san Paolo, « onorato in tutto »? (Ep. Ebr., XII, 4). Oggi, che tanto si deplora la decadenza di questo stato di vita, è bene ricordarsi che, se presso certe classi di persone il matrimonio gode poca stima, nel pensiero di Dio rimane sempre cosa sacra, e che è un vero sacramento, e che l’amore scambievole che gli sposi si debbono deve modellarsi sull’amore di Nostro Signore per la sua Chiesa: « L’uomo è capo della donna, come Cristo è capo della Chiesa… Voi, o mariti, amate le vostre spose come Cristo amò la Chiesa e diede se stesso per lei, per santificarla… onde presentarsela gloriosa, santa e immacolata » (Ep. Efes, V, 23-27). Gli sposi quindi si considerino come persone destinate all’eterna felicità del paradiso dove non può entrar nulla di inquinato e di sozzo, come « templi dello Spirito Santo » (I Ep. Cor., VI, 19), e serbino quindi la debita modestia, badando di non offuscare né nell’anima né nel corpo quel limpido oro della purità in cui il Signore vuole ravvisare la sua immagine. Restino insomma sempre degni di quel sacramento di cui sono stati ministri. – Partecipando dunque, in modo limitato ma vero, ad alcuni degli uffici sacerdotali, i Cristiani non debbono dimenticare che è anche obbligo loro di partecipare pure alla santità del sommo Sacerdote e imitarne le virtù, ognuno secondo il proprio stato. Così s’accosteranno ogni dì di più all’ideale proposto da san Pietro: « Voi siete una stirpe eletta, un regale sacerdozio, una nazione santa, per celebrare le perfezioni di Colui che vi vi ha chiamati dalle tenebre all’ammirabile sua luce ».