LA DOTTRINA SPIRITUALE TRINITARIA (3)

M. M. PHILIPPON

LA DOTTRINA SPIRITUALE DI SUOR ELISABETTA DELLA TRINITÀ (3)

Prefazione del P. Garrigou-Lagrange

SESTA RISTAMPA

Morcelliana ed. Brescia, 1957.

CAPITOLO PRIMO

ITINERARIO SPIRITUALE

Carmelitana:

Tutto, in lei, porta l’impronta di questa predestinazione. Prima di penetrare nelle profondità di quest’anima per analizzarla, uno sguardo d’insieme si impone. Elisabetta della Trinità non è divenuta santa che dopo undici anni di lotta e incessanti ritocchi di cesello. Anche dopo aver trascorsi al Carmelo molti anni di silenzio e di fedeltà, dovrà subire dalla mano divina le supreme purificazioni con le quali Iddio introduce le anime eroiche nella pace immutabile dell’unione trasformante, al di sopra di ogni gioia e di ogni dolore.

I

VITA INTERIORE NEL MONDO

1) Capricci di bimba — 2) Conversione — 3) Feste mondane

— 4) Opere di apostolato — 5) Vacanze estive —

6) L’«agere contra» — 7) Prime grazie mistiche —

8) L’incontro col Padre Vallée.

1) Figlia e nipotina di militari, Elisabetta Catez portava nelle vene un sangue combattivo, pronto alla reazione. Aveva ereditato un’indole focosa. Un giorno — aveva appena tre o quattro anni — si chiuse da sé in una stanza, e percuotendo la porta con tutta la forza dei suoi piedini, strepitava fino all’esasperazione. La sua prima infanzia, fino ai sette anni, fu attraversata da questi grandi scoppi di collera, indomabili. Bisognava aspettare che l’uragano si quietasse da sé. Allora la mamma le faceva capire il suo torto, e le insegnava a vincersi per amore. « Questa bimba ha una volontà di ferro — diceva la sua istitutrice. — Quando vuole una cosa, deve ottenerla, ad ogni costo ». La morte del babbo, quando era tanto piccola ancora, la lasciò sola con la mamma e con la sorella Margherita, creatura timida e soave, che le fu compagna indivisibile di tutte le ore, fino alla sua entrata al Carmelo. Nessun altro grave incidente familiare venne a turbare il corso della sua vita che si svolgeva, sempre a Digione, in un’atmosfera serena e cristiana.

2) La prima Confessione operò nell’anima di Elisabetta ciò che lei chiamerà la sua conversione, quella scossa benefica che risvegliò in lei il senso del divino e ad esso la orientò (« Ricordi »). Da quel giorno, cominciò a lottare risolutamente contro i suoi difetti dominanti: la collera e la sensibilità; e persisterà in questo rude combattimento spirituale fino ai diciott’anni. Il Sacerdote che la preparava alla Prima Comunione e la conosceva bene, diceva ad un’intima amica della mamma sua: « Con un temperamento simile, Elisabetta Catez diventerà una santa o un demonio ». Il primo contatto con Gesù nascosto nell’Ostia santa fu decisivo. « Nelle profondità dell’anima, ella sentì la voce di Lui ». « Il Maestro divino prese così bene possesso del suo cuore che da allora ella non aspirò che a donargli la sua vita» (Poesie – « L’anniversario della mia Prima Comunione », 7-9 aprile 1898). Avvenne allora in lei un mutamento così rapido e profondo, che sorprese quanti l’avvicinavano. Elisabetta progrediva a gran passi verso quel calmo dominio di sé che doveva ben presto emanare da tutta la sua persona. Un giorno, dopo la S. Comunione, le parve di udir pronunciare, in fondo all’anima, la parola: « Carmelo ». Fu una rivelazione. Un’altra volta, ancora nel suo quattordicesimo anno, sentirà una chiamata interiore del divino Maestro, durante il ringraziamento della Comunione; e senza indugio, per essere sua e unicamente sua, fece il voto di verginità. Morirà ad esso fedele, pura come un giglio. – Le poesie che compose dai quattordici ai diciannove anni non risuonano che dei nomi di Gesù tanto amato, della sua Mamma celeste, del suo buon Angelo custode, dei santi, di Giovanna d’Arco, « la vergine che non può essere offuscata » (Poesie – « Giovanna d’Arco», ottobre 1895). Ma l’attrattiva più irresistibile è il Carmelo; e i suoi versi cantano gli attributi della carmelitana; la veste di saio e il bianco velo, il rosario dai poveri grani di legno, il cilicio che martoria le carni, l’anello di sposa di Cristo (Poesie – « Agli attributi della Carmelitana », 15 ottobre 1897). Abitando vicinissima al suo diletto Carmelo, spesso se ne va sulla terrazza, e a lungo « triste e pensosa » (Poesie – « Ciò che vedo dal mio balcone », ottobre 1897) – s’immerge con lo sguardo anelante, nel Monastero. Tutto le parla al cuore: la Cappella ove si cela il suo Signore, il suono dell’Angelus, i mesti rintocchi dell’agonia che si odono talvolta. e le celle dalle finestrine minuscole, dal mobilio poverissimo, le celle che accolgono il riposo delle vergini dopo una lunga giornata di preghiera redentrice. Lontana ancora dal sogno — ha soli diciassette anni — sente che la sua anima langue. Un Sacerdote amico di famiglia si fa mediatore fra lei e la mamma; ed Elisabetta tenta di evadere da questo triste mondo seduttore. Ma non è che un istante. La mamma rimane inflessibile; non le resta che attendere l’ora di Dio nella preghiera e nella fiducia. E l’attenderà.

3) Ricominciano, allora, le feste mondane e le riunioni più svariate che si moltiplicavano ininterrottamente. La signora Catez vi spingeva la figliola, ma con discrezione, pur senza volerla distogliere dalla sua vocazione, forse accarezzando segretamente la speranza che Dio non gliel’avrebbe pesa. Elisabetta non si faceva pregare; le bastava che quella fosse la volontà della mamma, e prendeva parte a tutte le riunioni, con spigliatezza elegante e serena, « non mostrando affatto di annoiarsi », come ripetono concordemente i testimoni della sua vita. Nessuno avrebbe potuto supporre in Elisabetta Catez la futura carmelitana, la cui vita interiore così intensa e tutta celata nell’intimo del suo Cristo doveva dare alla Immutabile Trinità una testimonianza sì commovente di silenzio e di raccoglimento. Elegante sempre, il suo vestire era semplice, ma irreprensibile. Ripetutamente fu chiesta in isposa. Per una delle sue ultime serate, non volendo lasciar supporre la sua partenza, comprerà dei guanti nuovi. Così Elisabetta partecipava serenamente alla vita della società in cui viveva, non rifuggendo che da un’unica cosa: dal peccato.

4) A Digione, nel corso dell’anno, Elisabetta si dedica alle opere parrocchiali: canto corale, catechismo ai bambini o a qualche piccola neocomunicanda un po’ tarda d’ingegno, oggetto di canzonatura da parte delle compagne minori; ed altre opere di beneficenza che sollecitano il suo concorso. S’incarica persino del patronato per le povere bimbe della manifattura tabacchi; e quelle monellucce le si affezionano al punto, che bisogna tener loro nascosto il suo indirizzo perché non le invadano la casa. Divenuta poi suor Elisabetta della Trinità, continuerà a seguirle nella vita e a proteggerle con la sua silenziosa preghiera di Carmelitana. – Con tatto squisito, Elisabetta si adatta a tutto ed a tutti. Ama l’infanzia per la sua purezza, e Dio le ha dato un’attrattiva meravigliosa per interessare i piccoli. In occasione di riunioni familiari, ne ha talvolta una quarantina intorno a sé, e li diverte in tutti i modi. Le piacciono tanto i quadri viventi, specialmente di Gesù fra i dottori; compone lei stessa piccole rappresentazioni musicali, ma soprattutto ha un’arte insuperabile nel combinare danze di bimbi. Ed eccola, intenta ad abbigliare tutto quel mondo che deve comparire sulla scena. Poi, quando i nervi si sono calmati, si preparano le seggiole in giardino, e si incomincia la lettura; tutti i visetti sono intenti ascoltando avidamente. Qualche volta, i più piccoli l’assediano di inviti perché vada a giocare con loro; ed ella accondiscende, sorridendo. Durante il mese di Maria, la schiera piccina che Elisabetta trae seco alle sacre funzioni, la costringe negli ultimi banchi, il più vicino possibile all’uscita. « E appena il Tabernacolo viene rinchiuso — racconta un’amica d’infanzia — la tiravamo fuori, con noi, a passeggio; e allora, con un’immaginazione vivissima, ci raccontava storie fantastiche. Elisabetta Catez era sempre pronta ad adattarsi a tutti ». – Rileviamo quest’ultimo particolare: nel Chiostro, come già nel mondo, suor Elisabetta rifuggirà da ogni singolarità. Insieme agli altri invitati, saprà apprezzare le squisite torte di Francina, la cuoca più brava in tutta Digione, e riderà di cuore degl’interminabili pranzi, così abbondanti da far invocare pietà, perché si faranno sentire almeno per tre giorni.

5) Le vacanze riconducono regolarmente la partenza da Digione e il periodo dei lunghi viaggi. Ed ecco come Elisabetta visitò la Svizzera, le Alpi, il Giura, i Vosgi, i Pirenei, e gran parte della Francia. Le sue lettere ce la mostrano, gaia e festeggiata, nel turbine delle visite di, i familiari ed amici, talvolta più strettamente unita a qualche anima eletta che le è dato incontrare, ma più spesso amica di tutte indistintamente le giovinette della sua età; con tutte, per sentimento di carità e finezza di educazione, ella conversa e ride gaiamente. – « Il nostro soggiorno a Tarbes (Alti Pirenei.) non è stato che un succedersi ininterrotto di divertimenti: concerti, danze, gite. Gli abitanti di Tarbes sono molto piacevoli: ho conosciuto parecchie signorine, tutte carissime, una più dell’altra. Con X…, squisita intenditrice di musica, non sapevamo distaccarci dal pianoforte, e i negozi di Tarbes non bastavano a fornirci nuova musica da leggere » (Lettera alla signorina A. C. – Tarbes, 21 luglio 1898). – « Oggi partiamo per Lourdes; e mi si stringe il cuore al pensiero di lasciare la mia Yvonne. Se sapessi quanto è cara; e che carattere, veramente ideale! Quanto alla signorina X… è guarita perfettamente, anzi è più giovane, più elegante che mai e, soprattutto, è sempre immensamente buona. Ieri l’altro ha festeggiato i miei diciott’anni regalandomi una graziosissima guarnizione per abito, color pervinca. Scrivimi presto. Ora devo lasciarti per chiudere le valigie; ma ti penserò tanto, a Lourdes. Di là, faremo un giro nei Pirenei. Sono innamorata di queste montagne che contemplo mentre ti scrivo; mi sembra che non potrò più rinunciarvi » (Lettera alla signorina A. C. – 21 luglio 1898). – Luchon l’entusiasma più di ogni altra città. « Essa merita davvero la sua definizione di regina dei Pirenei. La posizione è incantevole; vi abbiamo trascorso due giorni, in un entusiasmo sempre crescente. Abbiamo potuto fare la escursione della valle del Lys, in un grande landò a quattro cavalli, con le cugine di R…, le Di-S…, che abbiamo ritrovate a Luch Le signore ci hanno affidato a persona di conoscenza che faceva anch’essa quella escursione fino all’Orrido. Eravamo a 1801 metri, affacciate a quell’abisso spaventoso; eppure, Maddalena ed io lo trovavamo così bello, che desideravamo quasi di lasciarsi portare da quelle acque. Ma la nostra guida, per quanto entusiasta. non era dello stesso parere; e si mostrava molto più prudente di noi che camminavamo sull’orlo del precipizio senza menomamente soffrire di vertigini. Le signore che, durante la nostra escursione, erano state tutt’altro che tranquille, ebbero un sospiro di sollievo, vedendoci tornare » (Lettera alla signorina D. Agosto 898). Elisabetta passa, così, dagli uni agli altri amici, godendo di una vita quanto mai piacevole, come a Lunéville, invitata a colazione dagli uni, a pranzo dagli altri, partecipando a numerose partite di tennis con delle signorine gentilissime » (Lettera alla signorina A. C. – Luglio 1897), ma senza che le rimanga per sé nemmeno un istante. Il 14 luglio, al Campo di Marte, assiste alla rivista cui l’hanno invitata le numerose amicizie di famiglia nell’ambiente militare. Figlia di ufficiali, si entusiasma per le esercitazioni della cavalleria… « Immaginatevi tutti quei caschi e quelle corazze scintillanti al sole… Questo abbagliante spettacolo si completa, a sera, nei boschetti del parco, con un’illuminazione fiabesca, un po’ alla veneziana… ». – Ma in mezzo a queste feste mondane, il suo cuore serba la nostalgia del Carmelo. Partiti gl’invitati, Elisabetta senza sforzo alcuno, si ritrova col suo Cristo che non ha lasciato mai. A Tarbes, per sottrarsi un istante alla rumorosa allegria mondana, si rifugia presso il Carmelo, e la suora commissionaria la trova dietro la grata del parlatorio, in ginocchio. Ella bacerebbe volentieri tutte le mura di quella Casa di Dio. Lourdes è vicinissima, e per tre giorni vi si raccoglie presso la Vergine della Grotta. Vacanze e mondanità si allontanano dal suo spirito senza alcun sforzo; inabissata nella preghiera, immobile dinanzi alla Grotta, supplica a lungo l’Immacolata di custodirla pura come Lei, e si offre vittima per i peccatori (Poesie – « L’Immacolata Concezione  » 8 dicembre 1898.). Niente può distrarla dal suo Dio. Più tardi, dal suo Carmelo di Digione, potrà scrivere alla mamma nel post-scriptum di una lettera: « Venerdì, quando sarai in treno, non dimenticarti di fare orazione; è molto vantaggioso, me ne ricordo » (Lettera alla mamma – Luglio 1906.). Parlerà così per  esperienza. – Le ricchezze profane delle grandi città che attraversa la lasciano indifferente. Per lei, Marsiglia è Nostra Signora della Guardia (Lettera a M. L. M… – 6 ottobre 1898), e Lione si riduce a Fourvières (Lettera ad A. C. – Estate 1898. ). A Parigi, dove si reca con la mamma e la sorella per la celebre Esposizione Universale del 1900, due cose sole attirano la sua attenzione: Montmartre e Nostra Signora delle Vittorie: « Siamo andate due volte all’Esposizione; è molto bella; ma io detesto tutto quel chiasso, quella  folla, Margherita rideva di me e diceva che avevo l’aria di chi viene dal Congo » (Lettera a M. L. M. – Estate 1900.).

6) L’agere contra fu la generosa parola d’ordine di questo primo periodo della sua vita. A diciannove anni, segna ancora nel suo diario: « Oggi, ho avuto la gioia di offrire al mio Gesù molte vittorie sul mio difetto dominante; ma quanto mi sono costate! E proprio in questo riconosco la mia debolezza… Quando ricevo un’osservazione che mi sembra ingiusta… sento il sangue ribollirmi nelle vene, tanto il mio essere si ribella… Ma Gesù era con me; sentivo la sua voce in fondo al cuore, e allora ero pronta a tutto sopportare per amor Suo » (Diario – 30 gennaio 1899). Ogni sera, per constatare se veramente progredisce nella via della perfezione, segna in un quadernetto le vittorie e le sconfitte. Cerca di digiunare all’insaputa della mamma; ma dopo tre giorni, la vigile signora Catez se ne accorge e la rimprovera severamente; e, ancora una volta, Elisabetta obbedisce. Dio non vuole condurla per il cammino delle grandi mortificazioni dei santi, né ora né durante tutto il suo soggiorno al Carmelo. La silente Trinità attende da lei un’altra testimonianza. « Dato che non posso impormi delle mortificazioni devo persuadermi che la sofferenza fisica non è che un mezzo — quantunque eccellente — per giungere alla mortificazione interiore e al distacco completo da se stessi. O Gesù, mia vita, mio amore, mio sposo, aiutami! Bisogna che io giunga, a qualunque costo, a fare sempre, in tutto il contrario della mia volontà» (Diario – 24 febbraio 1899).

7) Dio non poteva tardare a ricompensare con tocchi segreti della grazia i continui sforzi di Elisabetta per trionfare della sua natura. L’ascetica conduce alla mistica e ne costituisce la necessaria salvaguardia. Con l’abituale suo buon senso, santa Teresa diceva: « Orazione e mollezza non vanno d’accordo » (Cammino di perfezione – Capitolo IV.). Ed è naturale. La Viva Fiamma d’amore suppone la dolorosa salita del Monte Carmelo con le sue notti oscure, con le sue purificazioni attive e passive, tali da far tremare i più risoluti. Ma troppo si dimenticano anche le lunghe estasi contemplative dell’autore degli Esercizi Spirituali nella sua cella di Roma, dove sant’Ignazio mormorava, rapito: « O beata Trinitas! ». Non già che si debba negare in modo assoluto ladiversità di tendenze e di indirizzi nelle vie dello spirito;ma la verità evangelica riassume tutte queste sfumature,e i Santi di tutte le scuole si ricongiungono, oltrepassandole.Giunti alla vetta, tutti sono trasformati nel Cristo,immedesimati nella sua beatitudine di Crocifisso.Il combattimento spirituale contro i suoi difetti e iltrionfo sulla natura condussero Elisabetta alle prime manifestazionidi quelle grazie mistiche che dovevano trasformarela sua vita, dapprima lentamente e con tocchi successivi,quasi passo per passo; poi, dopo la sua professione,con movimento calmo e ininterrotto; finalmente, nell’ultimafase dei sei mesi di infermeria, a grandi voli verso lepiù alte cime dell’unione trasformante.Ella stessa non si rese conto di queste prime mozionidivine, (ricevute nel corso di un Ritiro nel gennaio 1899) che parecchi mesi dopo, leggendo le opere di santa Teresa.Questa rivelazione del suo diario è di capitale importanzanella storia della sua vita spirituale; segna, per lei, l’iniziodella vita mistica, dopo un duro combattimento spiritualeche durava da più di quindici anni e che, in realtà, noncesserà mai.« Leggo, in questo momento, il Cammino di perfezione di santa Teresa; m’interessa immensamente e mi fa un gran bene. Santa Teresa dice cose sì belle sulla orazione ela mortificazione interiore, quella mortificazione interiore acui voglio giungere ad ogni costo, con l’aiuto di Dio. Se,per ora, non posso impormi grandi sofferenze corporali,posso almeno, ad ogni istante, immolare la mia volontà…L’orazione! Come mi piace il modo in cui la santa trattaquesto argomento, là dove parla della contemplazione, quel grado di orazione in cui Dio fa tutto, e noi non facciamonulla, in cui Egli unisce a sé l’anima nostra così intimamente,da non essere più noi che viviamo, ma Dio che vive in noi… Oh, io vi ho riconosciuto gli attimi di rapimento sublimea cui il Maestro divino si è degnato elevarmi così spessodurante questo Ritiro e anche dopo. Che cosa potrò dargliio, in cambio di tanti benefici? Dopo queste estasi, questisublimi rapimenti nei quali l’anima dimentica tutto il restoe non vede che il suo Dio, come par dura e penosa l’orazioneordinaria, e quanta fatica ci vuole per raccogliere leproprie potenze! Come costa e come sembra difficile! » (Diario – 20 febbraio 1899). – Dio elevava già Elisabetta Catez ai gradi superiori di orazione; lo si vedeva sensibilmente nell’ora della preghiera. Entrava nella Chiesa parrocchiale; si dirigeva lentamente, per la navata di centro, fino al suo posto; s’inginocchiava e subito appariva invasa da un raccoglimento profondo: e restava a lungo così, immobile, tutta piena di Dio. La sua amica più intima fu sempre colpita dal mutamento improvviso che si manifestava in Elisabetta, appena entrata in Chiesa e in preghiera: « Non era più lei ». Inoltre, da qualche tempo, esprimeva in fondo all’anima dei fenomeni strani che non sapeva spiegarsi. Si sentiva abitata. « Quando vedrò il mio Confessore — diceva — gliene parlerò ».

8) In quest’epoca, incontrò, al monastero del Carmelo, un Religioso Domenicano che doveva dare alla sua vita interiore un orientamento decisivo. La Madre Germana di Gesù, priora e maestra di noviziato di suor Elisabetta, autrice dei Ricordi, ha giustamente notato che « questo incontro provvidenziale » ricorda, per i suoi effetti soprannaturali, quello che riferisce santa Teresa nel Capitolo Castello dell’Anima (Cap. I). La santa scrive, infatti, che un grande teologo dell’Ordine di san Domenico (il celebre prof. Banez dell’Università di Salamanca) nel confermarle, dal punto di vista dottrinale, la presenza di Dio da lei sperimentata nell’orazione, le dette, con la completa sicurezza che porta seco la verità, una grande consolazione. Mentre Elisabetta timidamente interrogava l’eminente Religioso sulla natura dei movimenti della grazia che esperimentava da qualche tempo, e che le davano l’impressione dell’inabitazione divina, il Padre Vallée, con la potenza della parola ispirata che lo caratterizzava, le rispose: « Ma certamente, figliola mia; il Padre è in te; il Figlio è in te, lo Spirito Santo è in te ». E le spiegò, da teologo contemplativo quale egli era, come, per la grazia del Battesimo, noi diveniamo quel tempio spirituale di cui parla san Paolo: e come, insieme allo Spirito Santo, la Trinità tutta intera vi è presente con la sua virtù creatrice e santificatrice, facendo sua dimora in noi, venendo ad abitare nel segreto più intimo dell’anima nostra, per ricevervi, in una atmosfera di fede e di carità, il culto interiore di adorazione e di preghiera che Le dobbiamo. – Questa esposizione dogmatica la rapì. Ella poteva dunque, seguendo con tutta sicurezza l’impulso della grazia, abbandonarsi alla sua attrattiva interiore e abitare nel più profondo dell’anima sua. Durante questo colloquio, si sentì presa da un raccoglimento irresistibile. Il Padre parlava ancora, ma Elisabetta Catez non lo ascoltava più. « Ero ansiosa che tacesse », dirà più tardi, alla Priora. – In questo particolare, c’è già suor Elisabetta della Trinità tutta intera: avida di silenzio sotto l’effusione della grazia. Da parte sua, il Padre Vallée diceva di quest’ora decisiva: « L’ho vista slanciarsi verso la mèta come una freccia ». – Elisabetta era una di quelle anime che, una volta incontrata la luce, non se ne allontanano più. Da quel giorno, tutto si trasforma e s’illumina; ella ha trovato la sua via. D’ora innanzi, la Trinità sarà l’unica sua vita.

(Ricevuto il consenso definitivo della mamma alla sua vocazione religiosa (26 marzo 1899), Elisabetta aveva potuto riprendere le sue visite al Carmelo, interrotte per otto anni; e furono esse, il suo sostegno negli ultimi due anni passati nel mondo. Vi ritrovava, come priora, la Madre Maria di Gesù che, la sera della sua Prima Comunione, le aveva dato in parlatorio un’immagine dove aveva scritto questo pensiero per spiegarle il significato del suo nome: (Elisabetta, cioè « Casa di Dio»). « Nasconde, il tuo nome, un mistero — che in te si compie in questo dì solenne. — Figliola, il tuo cuore è sulla terra, — la casa di Colui che è Dio d’amore ». – La Madre Maria di Gesù era una anima trinitaria. La sua ardente devozione alla Trinità santa era scaturita improvvisamente da una grazia ricevuta a 14 anni, durante una processione delle Rogazioni. Mentre si univa alle prime invocazioni al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, le fu rivelata interiormente questa misteriosa, ma reale presenza delle Tre Persone divine nell’anima. « Da allora — dirà più tardi — ho cercato sempre di raccogliermi nel profondo in cui Esse dimorano ». Fondatrice del Carmelo di Paray-le-Monial, intitolò il suo bel monastero alla SS. Trinità a cui si accede attraverso il Cuore di Gesù. E fu la Madre Maria di Gesù colei che dette a Elisabetta Catez il nome di Suor Elisabetta della Trinità, quel nome di grazia divenuto tutto il programma della sua vita religiosa. Elisabetta si recava regolarmente dalla Madre, come il piccolo gruppo delle postulanti extramuro che si stringevano intorno alle grate del Carmelo. Madre Maria di Gesù le formava allo spirito carmelitano e la futura novizia le rendeva conto della sua vita di orazione. Poi, anche quando poté essere un po’ divezzata da una direzione spirituale continuata e stabile, Elisabetta era però felice di andare a chiedere alla Maria e consigli e lumi per il progresso della sua vita spirituale. Prima di stabilire i suoi propositi del santo Ritiro, la consultava; e le sembrava che le decisioni di Lei venissero da Dio stesso. Così quelle ore re di parlatorio le facevano tanto bene.