LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE (14)

ADOLFO TANQUEREY

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE CHE GENERANO NELL’ANIMA LA PIETÀ (14)

Vers. ital. di FILIPPO TRUCCO, Prete delle Missioni

ROMA DESCLÉE & C. EDIT. PONTIF. – 1930

NIHIL OBSTAT – Sarzanæ, 8 Maji 1930 J. Fiammengo, Rev. Eccl.

IMPRIMATUR Spediæ, 8 Maji 1930 Can, P. Chiappani, Del. Generalis.

SECONDA PARTE

CAPITOLO I

Gesù nostro sommo sacerdote!

ART. II- GESU SACRIFICATORE E VITTIMA

Negli antichi sacrifici il sacerdote era distinto dalla vittima. Nei sacrifici cruenti, considerati come i più perfetti, si sceglieva per vittima un essere vivente, specialmente un animale domestico, il quale, appartenendo all’uomo, gli si poteva più legittimamente sostituire. Veniva dapprima offerto a Dio col separarlo da ogni uso profano e consacrarlo al servizio e all’onore della divinità. Poi era immolato, per indicare che il peccatore, avendo offeso Dio, non ha più il diritto di vivere e merita la morte. Bruciata, in certi sacrifici, una parte della vittima, si mangiava l’altra, per mettersi, a questo modo, in comunione colla vittima e per lei colla divinità. L’unione con Dio, rotta dal peccato, era dunque, dopo la glorificazione della divinità, lo scopo a cui tendeva il sacrificio. – Il sacrificio era dunque costituito da tre atti principali: l’offerta, l’immolazione, la comunione, che era anche detta consumazione. Questi antichi sacrifici non erano che figure e simboli che preparavano il vero sacrificio, quello che doveva essere offerto dall’Uomo-Dio, dal sommo sacerdote della nuova Legge, per glorificare Dio e salvare i fratelli. Ora, avendo Dio diritto ad ossequi infiniti, a porgerglieli e a riparare l’offesa fattagli col peccato, occorreva un Sacrificio di valore morale infinito. Perché tale fosse il suo sacrificio, Gesù, nostro sommo Sacerdote, volle esserne non solo il sacrificatore ma anche la vittima; onde, sotto questo doppio aspetto, il sacrificio da lui offerto venne veramente ad avere un valore infinito. Infatti la dignità di un sacrificio dipende dalla dignità della persona che l’offre e della vittima che viene offerta: ora Gesù, sacerdote e vittima, è Uomo-Dio, cioè Persona infinita. Il che ci si farà anche più chiaro se considereremo a parte ognuno dei tre grandi atti che costituiscono questo sacrificio: l’offerta, l’immolazione e la consumazione o comunione.

1° L’offerta della vittima.

A) II Figlio di Dio, come già sopra dicemmo, fu costituito sommo Sacerdote in quello stesso istante in cui s’incarnava nel virgineo seno di Maria. Ben sapendo che i sacrifici dell’antica Legge non potevano glorificar suo Padre come si merita, gli si presenta dinanzi e si offre vittima, prendere il posto di tutti gli antichi olocausti: Non volesti né vittime né offerte, mi formasti invece un corpo… Allora dissi: ecco io vengo a fare, o Dio, la tua volontà » (Hebr. X, 5-9). E comincia così il primo sacrificio degno veramente di questo nome: sull’altare purissimo del seno di Maria il Verbo incarnato offre, come sacrificatore, una vittima: se stesso. Offre il suo corpo, che un giorno immolerà sulla croce e che intanto sacrificherà colla pratica della mortificazione. Offre la santa sua anima con tutti i suoi pensieri, i suoi desideri, i suoi affetti, i suoi voleri, che assiduamente immolerà colla spada dell’ubbidienza fino al dì che compirà sul Calvario il suo Sacrificio con un atto supremo di ubbidienza e di amore.

B) Tutta la sua vita è ormai rivolta a quell’immolazione finale che costituirà l’atto essenziale del suo Sacrificio; onde l’autore dell’Imitazione dice che fu un perpetuo martirio: « Tota vita Christi crux fuit et martyrium ». Gesù è già martire nella piccola prigione del seno di Maria ove se ne sta rinchiuso per nove mesi. Là il primo suo sguardo è per il Padre, cui assiduamente offre, in nome suo e nostro, i più perfetti atti di religione: l’adorazione, la lode, la riconoscenza, l’amore; e vi aggiunge l’espiazione in nome degli uomini suoi fratelli. Il secondo suo sguardo è per tutti i suoi fratelli: sguardo di commiserazione e di amore pei peccatori, che viene a salvare a costo dei suoi sudori e del suo sangue; sguardo di affettuosa tenerezza pei giusti, che già ama come membra del suo Corpo mistico e in cui vuol crescere e divenir adulto, onde comunicar loro i tesori della sua vita divina. Per gli uni e per gli altri offre ardenti suppliche che non possono non essere esaudite a causa della dignità della sua persona, « exauditus est pro sua reverentia » (Hebr. V, 7). Ecco le sue occupazioni per nove mesi. C’è forse bisogno di aggiungere che l’umile Vergine, che lo porta in seno, si associa alle sue adorazioni e alle sue Preghiere, e inizia così il suo ufficio di collaboratrice secondaria nell’opera della redenzione, il suo ufficio di mediatrice universale di grazia? – I nove mesi sono ormai trascorsi e il Verbo fatto carne compare finalmente agli occhi degli uomini. Si daranno essi premura di accoglierlo? San Giovanni fa questa mesta osservazione, che i suoi, quelli stessi che costituivano il popolo eletto, non l’accolsero: « In propria venit et sui eum receperunt? »; e san Luca fa dolorosamente rilevare che nasce in una Stalla, perché per sua Madre e per Lui non c’era posto nell’albergo: «Quia non erat eis locus in diversorio ». Nel suo ingresso nel mondo, deve dunque patire il freddo della stagione, le privazioni della povertà, e, che è più, l’ingratitudine degli uomini. – E continuerà ad esser vittima: nel giorno della circoncisione versa le prime gocce di sangue per affermare la sua volontà di versarlo un dì tutto per noi. Perseguitato da Erode, è costretto a prender la via dell’esilio; e quando, dopo la morte del tiranno, torna in Palestina, va a rinchiudersi in una casetta di Nazareth, ignoto paesello della Galilea, e vi passa trent’anni nell’oscurità, nell’ubbidienza, nel lavoro manuale, tanto che i suoi compatrioti lo considerano come un falegname ordinario. – La sua vita pubblica non sarà, salvo poche gioie  e qualche passeggero trionfo, che un lungo martirio. Subito, fin da principio gli Scribi e i Farisei lo inseguono coi loro sospetti, colla loro gelosia, e presto col loro odio; gli tendono continuamente insidie; e lavorano a screditarne l’autorità presso il popolo e ad ostacolarne l’apostolato. Riesce, è vero, a farsi alcuni discepoli e a convertire alcuni peccatori insigni, ma il grosso del popolo rimane indifferente ed ostile, perché, aspettandosi un Messia glorioso e potente, non può ravvisarlo in quel piovane Rabbi così umile, così modesto, che, in cambio di bazzicar coi grandi e preparare il trionfo temporale suo popolo, frequenta i piccoli, gli afflitti, i poveri, persino i pubblicani e i peccatori. Che strazio per il cuore di Gesù vedersi così frainteso e così misconosciuto, nonostante i miracoli che andava moltiplicando a provare la divinità della sua missione e della sua Persona! Eppure, questo non è che il preludio del suo sacrificio!

2° L’immolazione della vittima.

Quest’immolazione ha principio colla dolorosa passione del Salvatore nell’orto degli Olivi e finisce sul Calvario.

A) Ma, prima di lasciarsi immolare dai carnefici, Gesù vuole offrirsi di nuovo vittima, questa volta però in un vero sacrificio accompagnato da riti misteriosi, nel Sacrificio della Cena. Celebrata che ebbe cogli Apostoli la Pasqua antica, vuole celebrare la nuova e istituire un sacrificio che si perpetuerà sui nostri altari sino alla fine del mondo. Prende del pane, lo benedice, e lo dà agli Apostoli, dicendo « Mangiate: questo è il mio corpo, dato, rotto per voi ». E, prendendo la coppa del vino, aggiunge: « Bevetene tutti: è il mio sangue, il sangue della nuova alleanza, che è versato per voi e per molti in remissione dei peccati ». Si notino le espressioni « corpo dato » e « sangue versato », perché dicono abbastanza chiaramente che Gesù si dà e si consegna come vittima, che versa già misticamente il suo sangue a remissione dei nostri peccati. Ei sa infatti, che dimani sarà immolato e offre anticipatamente al Padre quell’immolazione, quell’effusione di sangue, quella morte, per affermare pubblicamente dinanzi agli Apostoli che liberamente e volontariamente si consacra alla morte espiatrice e ai tormenti fisici e morali che l’accompagneranno. La Cena è quindi un vero sacrificio, perché Gesù v’immola incruentamente la vittima che cruentamente immolerà il giorno appresso. Come ben osserva il De la Taille (Squisse du mistère de la Foi, Paris, 1924, p. 10.), « C’è già nella Cena il sacrificio del Calvario: la Cena guarda la Croce e vi consacra il divino Agnello ». È anzi per questa ragione che Nostro Signore è chiamato sacerdote secondo l’ordine di Melchisedecco; questi, infatti, aveva offerto a Dio del pane e del vino, ora appunto sotto queste stesse specie del pane e del vino il Salvatore si offre al Padre e si dà agli Apostoli. La santa Messa, che oggi si celebra sui nostri altari, è la ripetizione del sacrificio della Cena, con questa differenza che il sacerdote ora offre la vittima che fu immolata sul Calvario tanti anni fa, mentre Nostro Signore nel Cenacolo offriva la vittima che doveva essere immolata sul Calvario il domani.

B) Gesù può dunque principiare la dolorosa sua Passione; anzi deve, perché colle parole della Cena si è votato alla morte.

a) Eccolo, infatti, che varca il torrente Cedron e si apparta nell’Orto degli Ulivi. Qui si scatena nell’anima sua quella lotta terribile che è detta l’agonia dell’Orti. Gesù permette alla sua immaginazione di vivissimamente rappresentargli tutti i tormenti e le umiliazioni che patirà il giorno appresso; la sua sensibilità ne è così fieramente scossa che è invaso dalla paura, dalla nausea, dalla noia, dalla più profonda tristezza (S. Marco, XIV, 33). Ma in modo più particolare, quale capo di un corpo mistico di cui noi siamo le membra, si vede carico del peso dei nostri peccati, si sente come travolto da quella crescente marea di tutte le umane iniquità, e ciò al cospetto di quel Dio la cui santità Egli profondamente conosce: una mortale tristezza si impadronisce dell’anima sua e un sudore di sangue gli scorre pel corpo e bagna la terra. Volentieri allontanerebbe da sé quell’amaro calice! Va per due volte a cercare un poco di consolazione presso i tre suoi più cari discepoli: ahimè! li trova addormentati. A confortarlo, gli è inviato un Angelo dal cielo, il quale certamente gli rappresentò le molte anime generose che avrebbero un giorno compatito i suoi dolori; e la dolce visione gli solleva il cuore addolorato dalla chiara visione delle ingratitudini degli uomini. Si rassegna quindi una seconda volta alla volontà di Dio e dice; « Padre mio, se non può questo calice passare senza ch’io lo beva, sia fatta la tua volontà » (S. Matt., XXVI, 42).

b) E il martirio incomincia. Tradito da Giuda, rinnegato da Pietro, capo dei dodici; abbandonato da quasi tutti i discepoli; Gesù è schernito, insultato, percosso dai servi del pontefice; sentenziato reo di morte dal Sinedrio per essersi detto Figlio di Dio; condannato alla croce da Pilato che pure ne aveva pochi istanti prima proclamato l’innocenza. Flagellato, coronato di spine come re da burla, carico di pesante croce, Gesù sale penosamente il Calvario, stende sulla croce le doloranti sue membra, si sente traforare da chiodi le mani e i piedi, ode gli insulti e i motteggi degli Scribi e dei Farisei che ironicamente lo invitano a scendere dal patibolo se è davvero il Messia e il Figlio di Dio; e, in cambio di vendicarsi, come avrebbe ben potuto fare, supplica il Padre di perdonarli, perché, dice, non sanno quello che fanno (S. Luc. XXIII, 34). E che fa sull’altare della Croce il sommo sacerdote Gesù mentre il suo corpo è tormentato dai carnefici e l’anima è oppressa al pensiero che molti non trarranno vantaggio dal suo sangue così generosamente versato? Gesù rinnova l’offerta della sua vita, fatta già tante volte: « Io sono il buon Pastore. Il buon Pastore dà la vita per le sue pecorelle… Nessuno me la toglie, ma sono io che la dò da me stesso; sono padrone di darla e sono padrone ,di riprenderla: questo è l’ordine che io ebbi dal Padre mio » (S. Giov. X, 11, 18), E quest’ordine Gesù eseguì così bene che può ora dire con ogni verità: « Tutto è compiuto, consummatum est » (S. Giov. XIX, 30). Sì, tutto è compiuto: i sacrifici figurativi dell’Antica Legge sono ormai sostituiti dal solo vero ed unico Sacrificio; le profezie sono avverate; avverata è specialmente la profezia d’Isaia che prediceva i patimenti e la morte dell’uomo dei dolori. Gesù ha fatto bene l’opera sua: adempì ogni giustizia; soffrì senza lamentarsi i tormenti più orribili del corpo e dell’anima; li tollerò per amore, per amore del Padre che voleva glorificare, e per amore di noi che voleva salvare. Non resta più se non ch’Ei permetta alla morte di ghermire la volontaria sua preda; e lo fa offrendosi un’ultima volta come ostia a suo Padre: « Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio: Pater, in manus tuas commendo spiritum meum » (S. Luca XXIII, 46).E spira. Dio è glorificato come non fu mai,gli uomini sono salvati. Salvati almeno in diritto;non rimane se non che, colla fede, collacarità, colle opere buone, colla frequenza dei saramenti,si approprino i meriti e le soddisfazionidel divin Redentore: sarà questa per Gesù laconsumazione del suo sacrificio e per loro la comunionecon Gesù vittima.

3° La consumazione del sacrificio e la comunione.

A) Nei sacrifici antichi, immolata la vittima, si desiderava un segno che mostrasse che l’ostia era stata accettata da Dio e che gli era riuscita gradita. Il Signore si degnava di inviare talora fuoco dall’alto a consumar la vittima, che saliva allora al cielo come sacrificio di grato odore, in odorem suavitatis. Vi fu qualche cosa di simile dopo l’immolazione del Calvario. Ma, in cambio di inviare fuoco materiale dal cielo a consumar la vittima, Dio risuscitò suo Figlio e consumò col fuoco dell’amore le imperfezioni del suo corpo mortale conferendogli in sommo grado tutte le doti dei corpi gloriosi, cosicché questo corpo, divenuto in qualche modo spirito vivificante, potesse avere sulle anime un’efficacia santificatrice 1 Specialmente nell’Eucarestia si vede questa efficacia santificatrice: « Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna, e io lo risusciterò nell’ultimo giorno » (S. Giovanni, VI, 54). Ecco quindi che Gesù risorto appare in modo mirabile in mezzo agli Apostoli nel Cenacolo, a porte chiuse; poi rapidamente scompare; indi torna a riapparire, sempre in modo mirabile, in diversi tempi e in diversi luoghi, onde compiere la sua missione di confermare gli Apostoli nella fede e dare ad essi tutte le spiegazioni e tutte le istruzioni necessarie intorno a un quel regno di Dio che dovevano diffondere per tutta la terra, sotto la guida e coll’aiuto dello Spirito Santo. – Passati così quaranta giorni sulla terra, spicca il volo al cielo e si asside alla destra del Padre, dove perora continuamente la nostra causa e prega continuamente per noi. Tale è la dottrina di san Paolo, il quale, dopo aver osservato che i sacerdoti antichi avevano bisogno di successori perché erano mortali, aggiunge: « Ma Gesù, perché dura in eterno, ha un sacerdozio che non si trasmette; onde può anche perfettamente salvare quelli che si accostano per suo mezzo a Dio, sempre vivo ad intercedere per loro, semper vivens ad interpellandum pro nobis » (Hebr. VII, 24). Gesù adunque continua ad essere in cielo il nostro sommo Sacerdote; e continua pure ad esservi in istato di vittima. Non che vi offra Sacrificio in quel senso che già fece sul Calvario e fa ora sui nostri altari; ma sta dinanzi al Padre come immolato per l’addietro, vi sta con le gloriose cicatrici delle sue piaghe, e con quella tal qualità di vittima che non può perdere come non può perdere quella di Sacrificatore : « Vedete, dice Bossuet (Sermon pour l’Ascension, ed. Lebarcq., t. I, p. 529,), come si appressa al trono del Padre, mostrandogli le ancor fresche ferite, tutte colorite, tutte vermiglie di quel sangue divino, di quel sangue della nuova alleanza, versato per la remissione dei nostri delitti ». Il sacrificio di Cristo inaugurato sulla terra consegue dunque nel cielo la sua consumazione, in questo senso che Gesù non solo vi riceve la ricompensa dei suoi patimenti, ma vi continua il suo ufficio di mediatore e di sacerdote, offrendosi continuamente e continuamente intercedendo per noi (Ep. Hebr., VII, 25.). E fa pure dal cielo scendere su di noi una pioggia di celesti benedizioni che ci dà modo di entrare a parte dei frutti della redenzione.

B) In certi sacrifici antichi i sacerdoti e i fedeli che avevano presentato la vittima, mangiavano una parte di questa vittima, onde entrare in comunione con essa e colla divinità a cui fra stata consacrata. Era un puro simbolo, che non si trova perfettamente avverato se non nel sacrificio offerto da Nostro Signore. Se Gesù è risalito al cielo, lo fece, secondo la sua promessa, per prepararci un posto e comunicarci intanto le innumerevoli grazie che ci ha meritate. Queste grazie noi otteniamo coi sacramenti e specialmente coll’Eucaristia, che dandoci Gesù, nostro Sacerdote e nostra Vittima, ci fa entrare in comunione coi suoi pensieri, coi suoi sentimenti interiori, colle sue virtù. Ma le otteniamo pure con quella comunione spirituale che perenna gli effetti della Comunione sacramentale col farci, in tutto il corso della giornata, pensare, parlare, operare in unione con Gesù. Di questa comunione parla san Paolo quando scrive: « La mia vita è Cristo (Gal. II, 20). Vivo, ma non più io, vive in me Cristo » (Fil. I, 21). Beate le anime che vivono a questo modo in unione abituale con Gesù sacerdote e vittima! Si vedono ben presto trasformate: in cambio di lasciarsi guidare da pensieri egoisti, dal desiderio di piacere, dalla curiosità, dalla vanità e dalla sensualità, tengono lo sguardo abitualmente fisso sul divino Sacrificatore: a Lui, a lui solo vogliono piacere; è Lui il centro dei loro pensieri e dei loro affetti; con Lui e per Lui pregano, lavorano, si sacrificano; diventano così simili a Lui e adempiono i loro doveri verso il Sommo Sacerdote.

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE (15)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.