IL PRIMATO SPIRITUALE DI ROMA (5).

IL PRIMATO SPIRITUALE DI ROMA (5)

P. Andrea Oddone s. j.

IL PRIMATO SPIRITUALE DI ROMA SECONDO LA COSTITUZIONE PASTOR ÆTERNUS – S. E. I. MILANO, – 1937

V

L’INFALLIBILITÀ PONTIFICIA

Il punto più importante definito dalla Costituzione Pastor Æternus è l’infallibilità del Papa, intorno alla quale si ebbero lunghe e forti discussioni durante il Concilio Vaticano. (Oddone: I Concili ecumenici, pag. 126.) Avversari di questa dottrina sono tutti coloro che negano il primato del Romano Pontefice. Giovanni Gersone e Pietro d’Ailly dell’Università di Parigi, insegnarono, come abbiamo già accennato; che solo la Chiesa o il Concilio ecumenico, rappresentante di essa, sono giudici infallibili nelle questioni di fede. (Il Gersone nell’opera: Quomodo et an liceat in causis fidei a Summo Pontifice appellare. — ll D’arivy nell’opera: Tractatus de Ecclesia.) All’infallibilità pontificia si opposero in modo speciale i Galliani, secondo i quali il giudizio del Papa non è irreformabile, se non vi si aggiunge il consenso della Chiesa.Essi furono seguiti nel sec. XVIII dai Febroniani e dai Giansenisti. Nello stesso Concilio Vaticano esisteva il partito degli antiinfallibilisti; ma per la verità bisogna dire che la maggior parte di essi impugnarono piuttosto la opportunità della definizione. Dopo il Concilio Vaticano continuarono ad opporsi al dogma dell’infallibilità, i così detti Vecchi Cattolici, guidati dal Déllinger. (De Guibert: De Ecclesia, pag. 247).

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Precisiamo innanzi tutto, per evitare equivoci ed ovviare a difficoltà, la natura dell’infallibilità. Infallibilità significa in generale immunità dell’errore o incapacità di errare in un soggetto intelligente. Se questa impossibilità di errare si prende nella sua maggiore ampiezza, e come attributo naturale e radicato nell’essenza stessa dell’essere intelligente, non appartiene che a Dio solo, perchè Egli solo è verità per essenza, nella quale per ragione della sua perfezione infinita, non può cadere ombra di errore. Questa infallibilità di Dio è assoluta, universale e imparticipata. Ma Dio può comunicare anche alle sue creature intelligenti una infallibilità condizionata e limitata ad un determinato ordine di verità: avremo in tal caso l’infallibilità anche nell’uomo, ma participata. (Così possiamo dire che le creature sono infallibili intorno ai primi principi del ragionamento e della legge morale, che non possono essere ignorati né fraintesi dall’uomo. – Cf. FERRÉ, l. c., Vol. III, pag. 196).  È chiaro che l’infallibilità della Chiesa e del Papa è una infallibilità partecipata. – L’infallibilità ecclesiastica è una prerogativa soprannaturale secondo la quale: la Chiesa, per una speciale assistenza divina, viene sempre e necessariamente custodita immune dall’errore nel proporre la dottrina rivelata, in modo che non solo non erra, ma non può errare. L’elemento formale della infallibilità è la immunità dall’errore; l’elemento materiale si trova nelle cose di fede e di costumi, che ci vengono comunicate dalla Rivelazione e che si devono custodire intatte; la causa efficiente è l’assistenza dello Spirito Santo. – L’infallibilità, quindi, come risulta dalla definizione; esclude nonsolo il fatto dell’errore (inerrantia facti) ma anche la possibilità dell’errore (inerrantia iuris). Si tratta non di infallibilità essenziale, che compete a Dio solo, ma di infallibilità participata; si tratta di infallibility soprannaturale, che supera cioè le forze e le esigenze della natura, comunicata da Dio per una speciale causa, e che differisce quindi da quella infallibilità naturale di cui è fornito il nostro intelletto per riguardo ai primi principi speculativi e pratici. Dio potrebbe in molti modi preservare la sua Chiesa dall’errore, ma di fatto sceglie l’assistenza, cioè quegli aiuti della sua divina provvidenza, mediante i quali non si permette che la Chiesa erri nell’esercizio del suo Magistero. Tali aiuti possono riferirsi alle stesse facoltà dell’uomo, la volontà e l’intelletto, che vengono applicate direttamente nella ricerca della verità, o possono trovarsi nelle cose esterne, che distolgano il Papa da una falsa definizione. L’infallibilità non importa per sé sempre un influsso divino positivo; quando le cose procedano bene, lo Spirito Santo può lasciare a se stessa l’attività e l’industria umana. Il dono dell’infallibilità non esclude l’opera e l’indagine propria di colui che definisce, anzi la presuppone, come si deduce chiaramente dalla parola assistenza: si suppongono gli sforzi del Magistero ecclesiastico; ai quali Dio possa assistere e cooperare. Sappiamo che per la prima definizione della Chiesa, gli Apostoli e i Seniori si radunarono in assemblea e molto discussero per trovare la verità e comporre la controversia (Act. XV, 6). La infallibilità differisce dalla rivelazione e dall’ispirazione: la rivelazione è la stessa manifestazione di una qualche verità in quanto tale; l’ispirazione è l’impulso divino a scrivere la verità rivelata; l’infallibilità invece consiste nell’assistenza a trovare la verità rivelata: suppone quindi la rivelazione, ma non è rivelazione. Distinguiamo ancora l’infallibilità attiva e passiva: la infallibilità attiva è propria della Chiesa docente e consiste nell’immunità dall’errore nell’insegnare; la infallibilità passiva compete ai fedeli che sono ammaestrati, e consiste nell’immunità dall’errore nel credere. La prima fa sì che i dottori autentici della Chiesa non possano mai insegnare il falso quando definiscono: la seconda, quasi effetto della prima, non permette che tutta la Chiesa aderisca ad un errore di fede. – Da questa breve analisi del concetto di infallibilità, si comprende quanto stoltamente e ingiustamente. Si confonda da alcuni la infallibilità con l’impeccabilità o con la omniscienza o scienza universale e assoluta.

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L’infallibilità della Chiesa è innanzi tutto un corollario della sua indefettibilità. Se la Chiesa, infatti, potesse universalmente errare nella vera fede, non sarebbe più la vera Chiesa di Gesù Cristo, la quale deve essere apostolica di apostolicità di dottrina; le porte dell’inferno prevarrebbero allora contro di essa. La indefettibilità ecclesiastica importa immutabilità nelle cose sostanziali; ora il dogma e la morale appartengono alle cose sostanziali. In modo più esplicito e diretto la infallibilità della Chiesa si deduce dalle promesse che fa Cristo, di essere con gli Apostoli sino al termine dei secoli, e di mandare loro lo Spirito Santo, affinché con loro rimanga e continui ad ammaestrarli. Cristo inoltre ha imposto a tutti di credere agli Apostoli sotto pena di dannazione eterna: « Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo; chi non crederà, sarà condannato ». (Marc. XVI, 16) Dunque se non si vuol dire che Cristo abbia potuto obbligare gli uomini all’errore, bisogna ammettere il Magistero infallibile della Chiesa. Gli Apostoli nel loro insegnamento esigono un assenso irreformabile e chiamano la Chiesa « colonna e base della verità ». (Columna et firmamentum veritatis – 1 Tim. III, 15). L’infallibilità del Papa è una forma dell’infallibilità della Chiesa, è la stessa infallibilità della Chiesa considerata in un soggetto determinato, che è il Romano Pontefice. « Il Romano Pontefice, dice il Vaticano, quando parla ex cathedra, gode di quella infallibilità di cui il Redentore divino volle essere fornita la sua Chiesa nel definire una dottrina sulla fede e sui costumi, e perciò le definizioni del Romano Pontefice sono irreformabili per se stesse e non in virtù del consenso della Chiesa ». (« Pastor Æternus », Cap. IV). Si tratta d’infallibilità nell’insegnamento e non nell’azione, molto meno ancora nella condotta personale del Papa. Non è questione di un insegnamento qualunque, ma di un atto dottrinale proprio ad impegnare la Chiesa. L’infallibilità non appartiene dunque ai sentimenti privati dell’uomo, ma alle decisioni ufficiali del capo. Essa non si estende a tutto il dominio del sapere, ma unicamente alle materie di fede e di costumi, le sole sulle quali ha competenza il Magistero ecclesiastico… Come quella della Chiesa, l’infallibilità del Papa deve la sua origine ad un privilegio divino, che consiste in una grazia di assistenza e non di ispirazione. Per conseguenza non esenta il Papa dalle leggi comuni della prudenza umana:essa garantisce soltanto dall’errore il risultato definitivo delle sue deliberazioni. Il suo scopo quindi non è quello di accrescere di nuove verità il tesoro della rivelazione divina; ma di assicurare la perfetta conoscenza e conservazione delle verità rivelate. L’infallibilità è un privilegio individuale in questo senso che appartiene al Papa solo e non potrebbe egli delegarla ad un altro. Tuttavia non è un carisma destinato all’esaltazione della sua persona, ma un mezzo per lui di compiere la sua missione di Pastore supremo: tende così tutta intera al bene comune delle anime cristiane. Quando si parla dell’infallibilità della Chiesa e dell’infallibilità del Papa, non si vogliono già designare due autorità separate e rivali, di cui si possa temere l’opposizione, ma di due organi differenti, l’uno collettivo, l’altro personale, per comunicare ai credenti la verità, di cui Gesù Cristo è la fonte e il custode. La medesima protezione e assistenza divina si estende al Corpo e al Capo. –  Così intesa, l’infallibilità del Papa è una verità che risulta chiaramente dalla Scrittura e dalla Tradizione. L’infallibilità è distinta dal primato, come appare dalla definizione. Ma se si segue lo sviluppo teorico e pratico di questi due dogmi, si constata che essi si affiancano e si implicano vicendevolmente. L’infallibilità è intimamente connessa con il primato: deriva dal primato come una conseguenza da un principio o piuttosto si identifica con il primato come una proprietà necessaria. L’infallibilità è, nel dominio della giurisdizione dottrinale, il coronamento logico del primato: poiché il Papa è il capo supremo della Chiesa, egli è pure il supremo dottore e possiede per questa ragione la infallibilità. Perciò lo studio intorno alla infallibilità pontificia utilizza gli stessi documenti e gli stessi fatti recati per il primato. (Hervé: Théol. Dogm., Vol. I, pag. 443.).

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Un argomento generale a favore della infallibilità pontificia si deduce dalle verità già dimostrate di sopra. AI Pontefice fu data la piena e suprema autorità sulla Chiesa, e d’altra parte la Chiesa è infallibile nell’insegnare. Ora se la potestà magisteriale del Romano Pontefice  fosse fallibile, non potrebbe più dirsi piena e suprema, perché dovrebbe completarsi con quella dei Vescovi e del Concilio: cioè sarebbe più piena la potestà di tutto l’episcopato che quella del Papa solo. Si cadrebbe in uno di questi due assurdi, o la Chiesa dovrebbe rinnegare il suo Capo supremo per rimanere fedele alla verità da lui falsificata, o perdere il possesso della verità per rimanergli fedele. Alla stessa conclusione ci conducono i testi del primato, che abbiamo a suo luogo esaminati. Il Romano Pontefice è fondamento visibile di tutta la Chiesa, principio efficiente della sua unità e della sua fermezza, principio quindi efficace della fede, che è l’elemento essenziale e precipuo dell’edificio della Chiesa. (Matth. XVI, 18) Ma il Papa non potrebbe essere principio e causa della ferma fede della Chiesa, se egli non fosse di per sé fermissimo nella fede, se potesse insegnare a tutta la Chiesa un errore in questioni di fede. Similmente Cristo ha assicurato che gli assalti dell’inferno, tra i quali sono specialmente le eresie, non avranno mai ragione contro la Chiesa: dunque molto meno prevarranno contro la Pietra, sopra la quale si appoggia la Chiesa e la fermezza della fede. Ora prevarrebbero certamente, se il Pontefice nell’adempiere l’ufficio di supremo maestro, non fosse di per sé fermo nella fede. Ancora dallo stesso testo di S. Matteo sappiamo che Dio ha promesso di legare e ratificare in cielo tutto ciò che il Papa lega in terra: ma Dio non può ratificare in cielo ciò che il Papa lega in terra, se egli nell’emanare un decreto dottrinale obbligante tutta la Chiesa, erra nella fede. Più espliciti sono gli altri testi del Vangelo. « Io ho pregato per te, dice Cristo rivolto a Pietro, affinché la tua fede non venga meno… Conferma i tuoi fratelli ». (S. Luc. XXII, 31). Viene così scartato ogni indebolimento, ogni danno nella fede di Pietro: viene formalmente assicurata, nonostante i pericoli, la indefettibilità di Pietro nella fede, cioè l’infallibilità. E questo affinché egli possa consolidare e fortificare i suoi fratelli. Pietro dunque e i suoi successori sino al termine dei secoli, parlando o insegnando come capi della Chiesa, devono confermare nella fede tutti i fedeli considerati isolatamente o collettivamente, facendoli partecipare alla loro propria indefettibilità. Ma affinché la promessa di Gesù non sia vana e che i fedeli non siano trascinati nell’errore, bisogna che questo insegnamento di S. Pietro e dei suoi successori, quando parlano come capi della Chiesa, sia, in virtù della promessa divina, assolutamente e costantemente garantito contro ogni possibilità di defezione nella fede. Sappiamo pure dal Vangelo che Gesù Cristo diede a Pietro e ai suoi successori l’incarico di pascere gli agnelli e le pecorelle, cioè di dirigere e di nutrire con dottrina salutare, tutto ilo gregge di Cristo, Vescovi e fedeli, e d’allontanarli dai pascoli velenosi: ora quest’ufficio importa necessariamente la infallibilità nel senso che abbiamo esposto. (S. G. XXI, 15). Supponiamo infatti che il Papa errasse nel definire la dottrina cristiana: in tal caso o tutta la Chiesa accetterebbe la sua sentenza, e verrebbe allora a mancare la infallibilità e indefettibilità della Chiesa; o la Chiesa protesterebbe contro la decisione del Papa e la correggerebbe, e cesserebbe allora l’ordine gerarchico istituito da Cristo: il gregge pascerebbe il pastore. – La infallibilità del Papa, benché non sia così esplicitamente e categoricamente asserita dai Padri della Chiesa, tuttavia fu realmente riconosciuta e in pratica e in teoria fino dai tempi più antichi, come appare dalle testimonianze degli stessi Padri, dal modo di agire dei Romani Pontefici, dagli atti dei Concili. Si confronti tutto ciò che abbiamo detto parlando del primato del Romano Pontefice nella parte III. La tradizione anzi illumina sempre meglio gli stessi fondamenti evangelici. Nei primi tre secoli la dottrina dell’infallibilità è implicitamente contenuta nell’autorità sovrana, che si riconosce nei giudizi della Chiesa di Roma, nella credenza universale che la integrale dottrina apostolica sia presso i Romani. Per S. Ignazio d’Antiochia i Romani sono quelli che « ammaestrano gli altri »; per S. Ireneo « bisogna far decidere a Roma le questioni che sorgono tra i Cristiani »; secondo S. Cipriano di Cartagine, « a Roma non ha accesso la perfidia e l’errore ». L’infallibilità pontificia risplende maggiormente nelle controversie trinitarie e cristologiche dei secoli IV e V, mediante numerosi interventi dei Papi soprattutto nei Concili e attraverso alle eloquenti affermazioni dei Padri, specialmente di S. Agostino, di S. Ambrogio e di S. Gerolamo, che furono riportate ed esaminate altrove. Nel Medio evo questa autorità suprema dottrinale del Papa continua ad affermarsi e a precisarsi nello sviluppo dottrinale scolastico. S. Bernardo rimanda Abelardo a Roma « dove la fede non può mai provare alcun eclisse »: (Epist. CXC. P. L., Vol. 182, col. 1053). S. Tommaso sentenzia che appartiene al Papa stabilire dei Simboli, perché è « proprio della sua missione decidere in ultimo luogo le questioni della fede ». (Summ. Theol.,, II, II, q.1 a 15. — Cf. Bricout: Pape, p. 246). Gli assalti del Gallicanesimo non oscurano né scuotono questa magnifica tradizione, ma provocano i Cattolici ad uno studio più profondo di essa, che culmina nella definizione dogmatica del Vaticano.

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Il Concilio Vaticano definendo il dogma dell’infallibilità pontificia, ha precisato le condizioni che deve presentare un atto del Papa, per beneficiare di questo privilegio. Secondo un’espressione da lungo tempo in uso nelle scuole, « il Romano Pontefice è infallibile quando parla ex cathedra ». La cattedra è in generale simbolo di autorità soprattutto dottrinale: le formule « parlare ex cathedra », « definire ex cathedra », sono adoperate per designare il pieno esercizio del magistero pontificale. Affinché si abbia una definizione infallibile, si richiede dapprima che il Papa si pronunzi ufficialmente come tale, che eserciti cioè l’ufficio di Pastore e di Dottore pubblico di tutti i Cristiani. Se il Papa parla come persona privata, discorrendo con i suoi familiari, come dottore privato, stampando un libro di materia religiosa; se opera come re temporale; se parla come Vescovo della diocesi di Roma, tenendo un’istruzione pubblica per esempio in una chiesa della città, non deve dirsi infallibile. Anzi non basta un modo qualunque di proporre una dottrina anche quando il Papa esercita l’ufficio di dottore e pastore pubblico, ma si richiede che adoperi la sua autorità pienamente, in tutta la sua forza ed estensione, emanando una sentenza perentoria, irreformabile, che ponga fine ad ogni incertezza e turbamento di animo. – Si richiede che la sua sentenza riguardi tutta la Chiesa, sia imposta cioè a tutti i Cristiani. Non sembra tuttavia necessario che il documento contenente la definizione, sia immediatamente diretto alla Chiesa universale: basta che sia destinato a tutta la Chiesa, benché direttamente sia forse indirizzato al Vescovo di qualche regione, dove è più diffuso l’errore che il Papa vuole condannare. – È necessario che l’intenzione di definire sia mafesta. Si tratta infatti di imporre una legge a tutta la Chiesa; la quale legge, finché rimane dubbia, non può imporre obbligazione. Il Diritto Canonico decreta: « Nessuna cosa si intende dogmaticamente dichiarata o definita, se ciò non appare manifesto ». (Can. 1323). Non è per sé determinata alcuna formola speciale per rendere manifesta la intenzione del Papa: soltanto si richiede che venga fatta conoscere in modo chiaro o esplicitamente o con termini equivalenti. (Van Noort, l. c., pag. 183). – È necessario, infine, che si tratti di un insegnamento intorno alla fede e ai costumi: res fidei et morum. Oggetto primario o diretto del Magistero infallibile del Papa, sono tutte e singole le verità religiose contenute formalmente nelle fonti della rivelazione. (Una verità può essere rivelata formalmente o virtualmente. Si dice rivelata formalmente se è rivelata in se stessa, sia esplicitamente sia implicitamente, cioè nel suo concetto: si dice rivelata virtualmente, quando in se stessa non è rivelata né esplicitamente né implicitamente, ma si può dedurre da una verità formalmente rivelata mediante un raziocinio deduttivo. Sulle verità rivelate virtualmente i Teologi non hanno però tutti la stessa nozione. (Cf. I Problemi della fede). Oggetto secondario e indiretto dell’infallibilità sono tutte quelle verità, che sono talmente connesse con la rivelazione, che, se intorno ad esse non si potesse portare un giudizio assolutamente certo, la stessa rivelazione patirebbe detrimento. Alcune di queste verità sono presupposte alla rivelazione, come i preamboli della fede filosofici e storici; altre derivano come necessaria conseguenza dalle verità rivelate; altre sono necessarie o sommamente convenienti, affinché si possa ottenere il fine della rivelazione. L’infallibilità del Papa quindi si estende a verità filosofiche, alle conclusioni teologiche, ai fatti dogmatici, alla disciplina generale della Chiesa, all’approvazione degli Ordini religiosi e alla Canonizzazione dei Santi. L’ambito dell’infallibilità del Papa è quello stesso della Chiesa. (Per lo sviluppo di questa dottrina rimandiamo il lettore alla nostra opera: « I Problemi della fede ». — Cf. ZAPELENA: De Ecclesia, pag. 314. — VAN Noort, l. c., pag: 90).

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Precisiamo in ultimo il nostro atteggiamento davanti al Magistero del Papa. Dobbiamo aderire con consenso interno, assoluto e irreformabile a tutto ciò che il Papa insegna infallibilmente come rivelato da Dio o come connesso con le verità rivelate. Ogni opposizione a questo riguardo ci separa dalla Chiesa. Non possiamo quindi ammettere dottrine contrarie alle definizioni pontificie. Siamo pure obbligati a sottometterci in coscienza alle decisioni dottrinali dell’autorità ecclesiastica, benché non infallibili. Il magistero della Chiesa non è una pura e semplice esposizione della verità, ma ha inseparabilmente congiunto il potere di comandare ai suoi sudditi l’ubbidienza dell’assenso intellettuale a ciò che viene insegnato. Ogni insegnamento autentico della Chiesa, per l’autorità da cui promana, per la luce che proviene alla Chiesa dall’assistenza dello Spirito Santo, per la ponderatezza dei suoi processi dottrinali, per la prudenza dei suoi giudizi, è così ragionevole e grave, che ogni Cattolico gli deve docile soggezione. Questa soggezione non importa per sé un’adesione irreformabile, ma però domanda, oltre l’esteriore sottomissione, un interno virtuoso assenso. Dovesse questo atteggiamento in qualche caso rarissimo e « per accidens », costare un reale sacrifizio allo scienziato; questo è ben dovuto a beni di ordine immensamente superiore, quali sono l’unità e l’incolumità della fede e la pace della coscienza. Allo scienziato credente è lecito presentare nelle debite forme, alla competente autorità della Chiesa, le ragioni del suo interiore dissidio, attendendo sereno dalla Divina Provvidenza, che veglia sulla Chiesa, l’immancabile trionfo della verità. Sottomissione piena ed umile alla parola del Papa riconosciuta divina, è la grande semplificazione dello spirito cattolico, è la via breve che mena alla soluzione di tutti i grandi problemi che tormentano la nostra ragione. « Dove è il Papa, è la Chiesa; dove è il Papa, non vi è la morte, ma la vita eterna; non vi è l’errore, ma la verità ». (S. Ambrogio).