LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE (6)

ADOLFO TANQUEREY

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE CHE GENERANO NELL’ANIMA LA PIETÀ (6)

Vers. ital. di FILIPPO TRUCCO, Prete delle MissioniROMA DESCLÉE & C. EDIT. PONTIF. – 1930

NIHIL OBSTAT – Sarzanæ, 8 Maji 1930 J. Fiammengo, Rev. Eccl.

IMPRIMATUR Spediæ, 8 Maji 1930 Can, P. Chiappani, Del. Generalis.

PARTE PRIMA

Gesù vivente in noi per comunicarci la sua vita

CAPITOLO II.

La nostra partecipazione alla vita divina

Incorporati a Cristo, veniamo a parteciparne la vita, perché è una medesima vita quella che circola nel capo e nelle membra. Ora la vita di Gesù è vita veramente e altamente divina: come Verbo, possiede la pienezza di questa vita che attinge da tutta l’eternità nel seno del Padre; come uomo, riceve un’abbondante partecipazione di questa stessa vita, la maggior pienezza possibile; da questa pienezza attingono tutte le sue membra, secondo la parola di san Giovanni: E il Verbo si fece carne e abitò tra noi, e abbiamo contemplata la gloria di lui… pieno di grazia e di verità… E dalla pienezza sua noi tutti abbiamo ricevuto e grazia sopra grazia » (Giov. I, 14). Noi dunque partecipiamo per mezzo della grazia alla vita di Gesù Cristo e quindi alla vita di Dio. Dio, secondo la vigorosa espressione di san Pietro, per riguardo di suo Figlio, « ci fece dono di grandissime e preziose promesse a fine di renderci per esse partecipi della natura divina » (II, Petr. I, 4). Che grandezza, che nobiltà è mai la nostra! Fratelli di Gesù, a cui siamo incorporati, partecipiamo alla stessa sua vita e diventiamo quindi figli adottivi di Dio. – Sono verità che è necessario approfondire, perché, oltre ad essere consolantissime, hanno il loro influsso sulla vita quotidiana. È infatti evidente che, se siamo fratelli di Gesù e figli adottivi di Dio, non possiamo condurre una vita ordinaria come i figli del secolo, ma dobbiamo elevarci al Padre celeste e vivere una vita che non sia di Lui troppo indegna. La nobiltà impone dei doveri: figli di Dio dobbiamo essere « perfetti come è perfetto il nostro Padre celeste » (Matth. V., 48) . Per studiare a fondo questa vita divina in noi, mostreremo:

1° che la stessa santissima Trinità viene ad abitare in noi per comunicarci una partecipazione della sua vita;

2° che abbiamo doveri speciali da adempiere verso questo ospite divino;

3° che Dio pone in noi un organismo soprannaturale per farci vivere una vita simile alla sua;

4° che dobbiamo quindi vivere una vita soprannaturale, una vita deiforme.

ART, I. — ABITAZIONE DELLA SANTISSIMA TRINITÀ NELL’ANIMA,

.1° Che le tre divine Persone abitino nell’anima in istato di grazia è una di quelle verità che Nostro Signore volle insegnarci prima di lasciar questa terra, onde consolarci delia sua assenza e darci un pregustamento del cielo. Si era all’ultima Cena, Gesù aveva promesso agli Apostoli la venuta dello Spirito Santo, del divino Paraclito o consolatore, che sarebbe rimasto sempre con loro (Giov. XIV, 16); aveva detto che tornerebbe Egli stesso in mezzo a loro per vivere in loro (ivi, 19-20). Ed ecco che aggiunge quella promessa e sarà l’eterna consolazione delle anime giuste: « Chi mi ama osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e verremo a lui e faremo dimora presso di lui (ivi, v. 23) ». Dunque ogni anima che ama Gesù e osserva i suoi comandamenti è amata dal Padre, e il Padre viene in lei col Figlio e collo Spirito Santo, non per una semplice visita ma per fissarsi in lei e far di lei la sua dimora. Abbiamo più di una volta invidiato certamente la fortuna dell’umile Vergine di Nazareth, che per trent’anni possedette nella sua casetta l’eterno Figlio di Dio; ma, se ben riflettiamo, nulla abbiamo da invidiarle, perché noi nell’anima nostra non riceviamo soltanto il Figlio ma con Lui il Padre e lo Spirito Santo, riceviamo tutta la SS. Trinità, e non per un dato tempo ma per sempre, fino a che non ci colga la disgrazia di cacciare col peccato mortale questo ospite divino.

2. Ma in che modo viene in noi la santissima Trinita? – Dio, dice san Tommaso (Summ. Theol., I, q, 8, a. 3), è naturalmente nelle creature in tre modi diversi: per la sua potenza, nel senso che tutte le creature sono soggette al suo impero; per la sua presenza, in quanto vede tutto, fino i più secreti pensieri dell’anima nostra; per la sua essenza, perché opera da per tutto ed è da per tutto la pienezza dell’essere e la causa prima di quanto è di reale nelle creature, e continuamente comunica loro non solo il moto e la vita ma l’essere stesso: « poiché in Lui abbiamo la vita, il moto e l’essere » (Atti, XVII, 28). –  Ma la sua presenza in noi per la grazia è di ordine assai più alto e assai più intimo. Non è la sola presenza del Creatore e del Conservatore che regge gli esseri da Lui creati: è la presenza della santissima e adorabilissima Trinità quale ci è rivelata dalla fede. Il Padre viene in noi e continua a generarvi il suo Verbo; con Lui riceviamo il Figlio, perfettamente eguale ai Padre e sua immagine vivente e sostanziale, che ama continuamente e infinitamente il Padre e ne è parimente riamato; da questo mutuo amore sorge lo Spirito Santo, Persona eguale al Padre e al Figlio, mutuo vincolo tra i due, ma distinto da entrambi. Quante meraviglie in un’anima in istato di grazia! – Questa unione – dice Bossuet (Médit. sur l’Ecangile, La Cène, Ie Partie, 93° jour) – è intimissima. « Chi ci dirà quale sia quella segreta parte dell’anima, di cui il Padre e il Figlio fanno il loro tempio e il loro santuario? Chi ci dirà quanto intimamente vi abitino; come la dilatino, quasi a spassarvisi, e, da questo intimo fondo dell’anima, diffondersi per tutto, occupar tutte le potenze, animare tutte le azioni? Chi ci indicherà questo luogo segreto, onde vi ci possiamo continuamente ritirare e trovarvi il Padre e il Figlio? ». – Volendo esprimere in due parole la essenziale differenza che corre tra la presenza di Dio in noi per la natura e la sua abitazione in noi per la grazia, possiamo dire che per la sua presenza naturale Dio è ed opera in noi; ma che per la sua presenza soprannaturale dà se stesso a noi perché godiamo della sua amicizia, della sua vita e delle sue perfezioni: « L’amor di Dio è diffuso nei nostri cuori per lo Spirito Santo che ci fu dato » (Rom. V, 5). – Dunque lo Spirito Santo ci è dato e con Lui tutta la santissima Trinità, perché le tre divine Persone sono inseparabili; Egli è nostro, e se ne avessimo coscienza viva e profonda, intenderemmo che la grazia è già un principio della vita eterna, di quella gioia ineffabile che si gode nel possesso di Dio.

3° A indagare questa intima divina presenza, raccogliamo qua e là dai nostri Libri santi i passi che ne parlano, e vediamo quali relazioni ponga la grazia tra noi e ognuna delle tre divine Persone.

a) Per la grazia il PADRE ci adotta per figli. Questo insigne privilegio deriva dalla nostra incorporazione a Gesù Cristo; essendo noi le membra di Gesù Cristo e quasi un prolungamento e un’estensione della sua Persona, il Padre ci abbraccia col medesimo sguardo paterno che ha per il Figlio, non con amore uguale ma con amore simile. È quanto dichiara il discepolo prediletto, san Giovanni, che più degli altri aveva penetrato i segreti del Maestro: « Vedete quale amore ci diede il Padre, che siamo chiamati e siamo anche di fatto figli di Dio ? » (1 Ep. Giov., III, 1). –  Dio dunque, secondo la testimonianza di san i Giovanni, ci adotta per figli in modo assai più perfetto di quello che facciano gli uomini con l’adozione legale. Gli uomini possono certo trasmettere ai figli adottivi il nome e le ricchezze, ma non il sangue e la vita. L’adozione legale, come osserva bene il Cardinal Mercier (La Vita interiore, Società editrice « Vita e Pensiero », Miano, 1921), è una finzione. Il figlio adottato viene considerato dai genitori adottivi come se fosse loro figlio e ne riceve quell’eredità a cui avrebbe avuto diritto il frutto della loro unione: la società riconosce questa finzione e ne sanziona gli effetti; però l’oggetto della finzione non si trasforma in realtà… Ma la grazia dell’adozione divina non è una finzione, è una realtà. Dio largisce a coloro che credono nel suo Verbo la filiazione divina, dice san Giovanni. Cotesta filiazione non è nominale ma effettiva: « siamo chiamati figli di Dio e lo siamo di fatto » (1 S. Giov., I, 12.). Certo questa vita divina non è che una partecipazione, una somiglianza, un’assimilazione, che ci fa, non dei, ma esseri deiformi, ossia simili a Dio. Non è però men vero che questa vita è, non una finzione, ma una realtà; è una vita nuova, pari no ma simile a quella di Dio, e che, secondo la testimonianza delle Sacre Scritture, suppone una nuova generazione o una rigenerazione: « Chi non rinascerà di acqua e di Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio » (S. Giov. III, 5). Onde il battesimo viene chiamato sacramento della rigenerazione, perché ci fa nascere alla vita della grazia, alla vita divina (Tit. III, 5). Tutte queste espressioni ci dicono che la nostra adozione non è puramente nominale ma vera e reale, sebbene distinta dalla filiazione del Verbo incarnato. Onde noi diventiamo di pieno diritto eredi del regno celeste e coeredì di Colui che è il nostro fratello primogenito (Rom. VIII, 17). Dio avrà dunque per noi la premura e la tenerezza di un padre. Si paragona Egli stesso a una madre che non può mai dimenticare il figlio. « Una donna dimenticherà forse suo figlio? Non avrà ella pietà del frutto delle sue viscere? Ma quand’anche le madri dimenticassero i loro figli io mai ti dimenticherò » (is. XLIX, 15). — « Dio ha tanto amato il mondo che diede il Figlio suo unigenito, affinché ogni credente in Lui non perisca ma abbia la vita eterna » (S, Giov. III, 16). Poteva Dio darci una maggior prova di amore? e potremo noi ricusar mai nulla a Colui che, per salvarci e santificarci, ci dà il proprio Figlio, l’unico suo Figlio, un altro se stesso?

b) Questo FIGLIO viene Egli pure ad abitare nell’anima nostra, e, Figlio eterno del Padre, Verbo generato da tutta l’eternità, in tutto uguale al Padre, non esita a chiamarci fratelli e trattarci da intimi amici.

1) Apparendo, dopo la risurrezione, a Maddalena che lo aveva seguito fino al Calvario e parlandole dei discepoli, le dice: « Va dai miei fratelli e di’ loro: Ascendo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro » (S. Giov. XX, 17). Dunque Gesù risorto ci considera come suoi fratelli. Ne è da meravigliarne; se siamo sue membra, dobbiamo pur essere figli dello stesso Padre, fratelli suoi e suoi coeredi. Onde l’apostolo san Paolo lo chiama « il primogenito di molti fratelli ». Avrà quindi per noi quella tenerezza, quella premura che un primogenito ha pei fratelli minori; giungerà persino a sacrificarsi per loro, affinché, lavati e purificati nel suo sangue (Apoc. I, 5), possiamo partecipare alla sua vita ed entrare un giorno con Lui nel regno di suo Padre. Che ventura per noi di avere un tal fratello! Se Egli diede il sangue e la vita per sentificarci, potremo noi ricusargli l’intiero dono di noi stessi e i piccoli sacrifici che ci chiede per renderci conformi a Lui?

2) Gesù vuole anche essere nostro amico. Nell’ultima Cena dichiara agli Apostoli, e in essi a quanti crederanno in Lui; « Voi siete miei amici se fate quello che vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa che cosa fa il suo padrone, ma vi ho chiamati amici, perché v’ho manifestato tutto quello che udii dal Padre mio » (S. Giov. XV, 14-15). Gesù non ha dunque segreti per noi; ci comunicò quelle verità che attinse nel seno del Padre; queste verità verrà a ripetercele nel segreto del cuore, ce le farà intendere e gustare, sarà veramente la luce che illumina ogni uomo di buona volontà; ascoltandolo, saremo i figli della luce ed entreremo in comunione col suo pensiero. – Ma Gesù ci diede una prova anche più grande di amore: « Non c’è, Egli dice, amore più grande che il dar la vita per i propri amici » (ivi, XV, 13). Ora Gesù diede appunto la vita per noi e la diede proprio quando, per il peccato, eravamo suoi nemici. Che cosa non farà dunque per noi ora che siamo con Lui riconciliati per la virtù del suo sangue? – Ascoltiamo la dolce sua parola: « Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno sente la mia voce e apre la porta, io entrerò in casa sua e cenerò con lui ed egli con me » /Apoc. III, 20). Avremmo mai osato pensare a tanta intimità? Gesù batte delicatamente alla porta del nostro cuore. Avrebbe diritto di entrarvi da padrone; ma aspetta che noi gentil.mente gli apriamo; non vuole sforzare l’ingresso, vuole che gli apriamo noi liberamente, Aperto che gli abbiamo, entra da amico. E avvengono allora le effusioni della più tenera amicizia, i dolci colloqui che durano fino a tarda notte. Ben le conosceva queste intime relazioni l’autore dell’Imitazione quando descriveva le frequenti visite che Gesù fa alle anime interiori, le dolci conversazioni con loro, le spirituali consolazioni che loro concede, la pace che fa regnare in loro, la familiarità stupenda con cui le tratta! (Imit. Lib. II, cap. I). Queste meraviglie le ritroviamo tutte nella vita di santa Teresa del Bambin Gesù, che diceva con graziosa ingenuità: « Gesù io vorrei amarlo tanto, amarlo come non fu amato mai ». (L’Esprit de sainte Thérèse de l’Enfant Jésus, p. 3). Senza pretendere di levarci tant’alto, oh perché, nelle nostre meditazioni, nelle comunioni, nelle visite al santissimo Sacramento, non tentare di conversar dolcemente coll’ospite divino, col fratello affettuosissimo, coll’amico intimo, che viene, per dir così, a mendicare un po’ di amore da noi: « Figlio, dammi il tuo cuore » (Prov. XXIII, 26).

c) Appunto per aiutarci in questa via di amore viene lo Spirito Santo ad abitare nel nostro cuore, onde santificarlo e lavorar con noi a ornarlo di tutte le virtù. Vi spande la divina carità e dà a noi se stesso: « L’amor di Dio è diffuso nei nostri cuori per messo dello Spirito Santo che ci fu dato (Rom. V, 5). Non gli basta compartirci i suoi più preziosi doni: ci dà pure se stesso, perché possiamo godere della sua presenza e della sua amicizia.

1) Dandosi a noi, trasforma l’anima nostra in un tempio santo. « Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?… Santo è il tempio di Dio, che siete voi » (1 Cor. III, 16-17). Egli è infatti il Dio di ogni santità e quando viene nell’anima, l’anima diventa un sacro recinto riservato al culto di Dio, diventa un santuario ove Dio vuol essere adorato e dove gode di spandere le sue grazie con santa profusione.

2) Lo Spirito Santo si fa dunque nostro collaboratore nell’opera della nostra santificazione e ci aiuta a coltivar quella vita soprannaturale che ci ha comunicata. Da noi non possiamo nulla nell’ordine della grazia, ma viene lo Spirito Santo a supplire alla nostra impotenza. Abbiamo bisogno di luce? Ecco che, secondo la promessa di Gesù, viene a farci capire e gustare gli insegnamenti del Maestro: « Il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel Nome mio, vi insegnerà ogni cosa e vi rammenterà tutto quanto già vi dissi Io » (S. GIOV. XIV, 26). Abbiamo bisogno di forza per mettere in pratica le sue divine ispirazioni? Lo stesso Spirito « opera in noi il volere e il fare » (Fil. III, 13), ossia ci dà la grazia non solo di volere ma anche di eseguire le fatte risoluzioni. Se da noi non sappiamo neppur pregare, « lo Spirito sostiene la nostra debolezza; perché quello che abbiamo convenientemente da chiedere non sappiamo; ma lo stesso Spirito sollecita per noi con gemiti inesplicabili » (Rom. VIII, 25). Ora le preghiere fatte sotto l’azione dello Spirito Santo e da Lui avvalorate non possono essere rigettate. – Se abbiamo da combattere le nostre passioni e da vincere le tentazioni che ci assediano, è pur Lui che ci darà la forza di resistere e di trarne partito per rassodarci nella virtù: « Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre quel che potete, ma con la tentazione darà anche la via di uscita, onde la possiate sopportare » (1 Cor. X, 13). Quando, affaticati e stanchi nel fare il bene, ci sentiremo tratti allo scoraggiamento e trepidanti della nostra perseveranza, Egli ci si avvicinerà a sorreggerci l’animo affranto, sussurrandoci affettuosamente: « Chi ha cominciato l’opera buona, la compirà anche, fino al giorno di Cristo Gesù » (Fil. I, 5). Non abbiamo dunque nulla da temere, purché mettiamo la nostra confidenza in queste tre divine Persone che vivono e operano in noi appunto per consolarci, per fortificarci, per santificarci. Non siamo mai soli: abbiamo in noi Colui che è la beatitudine degli eletti! Ecco perché, se avessimo fede viva, potremmo ripetere con suor Elisabetta della Trinità: « Ho trovato il paradiso sulla terra, perché il paradiso è Dio e Dio è nell’anima mia. Il giorno che capii questa verità tutto divenne luce in me, ond’io vorrei ridir questo segreto a tutti coloro che amo ». Quante anime vennero, come questa pia Carmelitana, trasformate il giorno in cui, per virtù dello Spirito Santo, capirono che Dio abita in loro! Un nuovo indirizzo si scorse nella loro vita, una continua ascensione verso Dio e verso la perfezione, un principio della beatitudine celeste, specialmente quando vi aggiunsero lo studio di vivere nell’intimità dell’Ospite divino.

ART. II. — I NOSTRI DOVERI VERSO L’OSPITE DIVINO.

Poiché le tre divine Persone abitano in noi e ci ammettono alla loro intimità (Fil. I, 5), è evidente che dobbiamo porgere loro i doveri religiosi che loro spettano. E quali sono questi doveri? Li possiamo dedurre dalle relazioni che esse hanno con noi. Ora esse:

1° pensano costantemente a noi e si occupano dei nostri spirituali interessi; quindi noi dobbiamo spesso pensare riconoscenti ad esse;

2° ci trasformano l’anima in un tempio, e richiedono quindi le nostre adorazioni;

3° non ristanno dall’amarci coll’amore più disinteressato, quindi noi dobbiamo ricambiarle di amore;

4° sono il più compito modello di perfezione, quindi noi dobbiamo imitarle, per quanto ce lo permette la nostra debolezza.

Il primo dei nostri doveri è di pensare spesso a quel Dio che vive in noi e tenergli compagnia. Quando una Persona di riguardo ci fa l’onore di visitarci, noi siamo tutti premura per consacrarle il meglio del nostro tempo e ci studiamo di renderle più gradito che sia possibile il soggiorno. Or non dovremo fare altrettanto verso l’Ospite divino che ci fa l’insigne onore di visitarci e di fissare in noi la sua dimora? Ei s’occupa assiduamente degli interessi dell’anima nostra e noi avremo il coraggio di dimenticarlo? – Santa Teresa si rimproverava di aver per troppo tempo vissuto senza pensare frequentemente ala santissima Trinità. « Ben sapevo, ella scrive, di avere l’anima, ma che cosa meriti quest’anima e chi stia dentro di lei io non capiva, perché mi tappavo gli occhi con le vanità della vita per non vederlo. Mi pare che, se avessi capito, come capisco ora, che in questo palazzo piccolino dell’anima alloggia un Re così grande, io non l’avrei lasciato tante volte solo e avrei cercato che la mia anima non fosse tanto sudicia! » (Camino de Perfeccion, Cap. XXVIII, n. 11, p. 466, delle Obras de Santa Teresa de Jesus, edizione minore curata dal P. Silverio; e T. II, p, 214-215 delle Opere di S. Teresa, trad. dal P. Federico di S. Antonio). Quanti lettori dovranno farsi il medesimo rimprovero e si studieranno ormai di tenere compagnia all’Ospite divino dal mattino alla sera.

a) Il mezzo è semplice, consiste nel raccogliersi al principio di ogni azione, nel dire a se stesso: Dio vive in me, e nel consacrare alle tre divine Persone l’azione che si sta per incominciare. Ciò in sostanza è poi quello che viene suggerito dalla Chiesa. La Chiesa fin dai primi secoli raccomanda ai fedeli di farsi il segno della croce al principio delle principali azioni, dicendo: « Nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo ». Il che è quanto dire: io voglio che questa azione ridondi a gloria del Padre, il quale non solo mi creò, ma anche mi adottò per figlio; a gloria del Figlio, che si fece uomo per me e mi riscattò a prezzo del suo sangue; a gloria dello Spirito Santo, che viene nell’anima mia, a spandervi colla carità tutte le grazie meritatemi da Gesù Cristo.

b) Ma le anime interiori vanno ancora più oltre: riflettendo che l’Ospite divino è per noi fonte di luce, di forza, di consolazione, nel corso delle loro azioni gli volgono spesso gli occhi della mente e del cuore. Quando l’oscurità invade l’anima e pare che le verità della fede non facciano più impressione, ricorrono subito al Padre dei lumi, dicendogli dal fondo del cuore: « Fino a quando mi nasconderai la tua faccia? Guarda, o mio Dio, rispondimi, dà luce ai miei occhi! » (Ps. XII, 2-4). – Se si sentono deboli e impotenti, invocano Colui che è la loro forza e la loro protezione: « In te ho posto il mio rifugio: deh! ch’io non sia confuso in eterno!.., Sii per me rupe protettrice, fortezza ov’io trovi scampo » (Ps. XXX, 2-3). Se la desolazione e l’aridità ne straziano l’anima, corrono all’orto degli ulivi, e inginocchiandosi accanto al Salvatore che patì per loro l’angoscia, la paura, la tristezza mortale, si offrono con Lui vittime, pronte a fare la sua santa volontà: « Padre, se questo calice non può passare senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà » (Matt. XXVI, 42).

c) Specialmente nelle preghiere richiamano la parola di Gesù: « Tu poi, quando preghi, entra nella tua camera, e, chiuso l’uscio, prega tuo Padre che è presente nel segreto » (Matt. VI, 6). La camera ove si ritirano è la celletta del loro cuore: qui trovano queste anime la santissima Trinità; qui, unite e incorporate al Verbo incarnato, adorano e pregano in silenzio.

Il secondo dovere è infatti quello dell’adorazione. E come non glorificare, benedire, lodare, ringraziare quest’Ospite divino che, essendo Dio, trasforma l’anima nostra in un vero santuario? « Magnificat anima mea Dominum: l’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore… perché grandi cose ha fatto in me Colui che è potente, e il cui nome è santo » (S, Luc. I, 47-48). Tali devono essere i sentimenti di un’anima che diviene consapevole dell’abitazione in lei delle tre divine Persone; capisce che, essendo tempio di Dio, deve continuamente offrirsi ostia di lode alla gloria della santissima Trinità. Con quale amore quindi ripete nel cuore quella dossologia che i primi cristiani recitavano così volentieri: « Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo ». Non è questa per lei una vana formola, ma vi trasfonde tutti i suoi sentimenti di lode, di adorazione e di amore, riconoscendo con ogni sincerità che Dio solo merita di esser glorificato, perché Egli solo è l’autore di ogni bene. Quando assiste alla santa Messa, si diletta di recitar posatamente, di assaporare, a così dire, tutte le preghiere che riguardano l’adorabile Trinità: il Kyrie eleison, flebile grido del peccatore che implora la pietà e la misericordia delle singole tre Persone divine; il Gloria in excelsis, che esprime così bene i sentimenti religiosi verso queste tre divine Persone e specialmente verso il Verbo incarnato; il Sanctus, che proclama la ineffabile santità di Dio in unione con gli Angeli e coi santi del cielo. Il Pater le rammenta ci sto Dio è suo padre, onde lo recita con tutta filiale confidenza, associandosi a Colui che, avendocelo insegnato, continua a ripeterlo con noi. E quando, alla fine della Messa, il sacerdote china il capo sull’altare per supplicare la santissima Trinità che si degni di accettare il sacrifizio da lui offerto, l’anima pia vi unisce l’offerta del proprio cuore e ne risente conforto per tutto il giorno.

3° E allora più facile le diviene l’AMORE; si sente echeggiar spesso all’orecchio quel dolce invito di un Padre amantissimo che, chinandosi verso di lei, le dice: « Figlia mia, dammi il tuo cuore » (PROV. XXIII, 26). E lei, piena di confidenza e di abbandono tutto filiale, spontaneamente risponde: « Eccomi, o Signore, perché mi avete chiamata; eccomi con tutto ciò che posseggo; tutto volentieri io consegno a voi ». – Essendo l’amore che Dio ci porta essenzialmente generoso e attivo, il nostro non dovrà manifestarsi soltanto con pii sentimenti ma con atti e con sacrifizi. Sarà un amor penitente, per espiare le nostre troppo numerose infedeltà; un amor riconoscente, per ringraziare l’insigne benefattore, il collaboratore devoto, che lavora in noi e con noi con tanta attività e costanza; e per ringraziarlo dei suoi benefici, gli prometteremo di usar meglio delle copiose grazie che così largamente ci concede. Sarà un amor di amicizia, che alle divine premure ci farà corrispondere con santa letizia, e conversar dolcemente col più fedele e più generoso degli amici; che ci farà caldeggiare tutti i suoi interessi, procurarne la gloria, benedire e far benedire il santo suo Nome. Sarà infine un amor generoso, che arriva fino al sacrifizio, all’oblio di se stesso, alla cordiale accettazione di tutte le prove che gli piacerà inviarci. Diremo sinceramente con santa Teresa del Bambin Gesù: « Non sono egoista io : amo il Signore e non me stessa… L’anima mia è sempre tra gli affanni, ma io ne sono lieta, sì, molto lieta di non avere nessuna consolazione… Teresa, la fidanzatina di Gesù, ama Gesù per se stesso ». (L’Esprit de saînte Thérèse de l’Enfant Jésus, p. 35-36).

L’amore generoso conduce all’IMITAZIONE, perché si vuole assomigliare il più possibile a Colui che si ama. Ma in che modo imitare la santissima Trinità la cui santità è infinita? In doppio modo: coll’evitare premurosamente tutto ciò che potrebbe appannare la purità dell’anima nostra; e coll’ornarla di tutte quelle virtù che ci fanno rassomigliar di più a Dio.

a) Essendo tempii vivi della santissima Trinità, è chiaro che dobbiamo serbar gelosamente la purità del corpo e dell’anima. Questo inculcava san Paolo ai discepoli, richiamando il gran dogma dell’abitazione dello Spirito Santo nell’anima loro: « Non sapete che siete il tempio Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno profanerà il tempio di Dio, Dio disperderà costui, perché santo è il tempio di Dio, che siete voi » (1 Cor. III, 16-17).  Quando dunque ci sentiamo assaliti dalla tentazione, quando la tentazione si fa più insistente e più perfida, diamo uno sguardo alla celletta dell’anima nostra abitata dalla santissima Trinità, e, fidenti nell’aiuto divino, diciamo con santa energia: « Piuttosto morire, o mio Dio, che macchiare il vostro santuario! piuttosto morire che cacciarvi dal mio cuore coll’introdurvi il peccato e il demonio! ». L’esperienza dimostra che, per le anime nobili e generose, non c’è motivo più potente di questo per allontanarle dal peccato.

b) Ed è pure stimolo efficacissimo per indurle alla pratica delle virtù. Non è infatti dicevole che si adorni il tempio ove risiede il Dio tre volte santo? ma come ornarlo senza accostarci a questo divino Esemplare con la pratica delle virtù? Questo ci chiede Nostro Signore nel proporci a modello lo stesso suo Padre: « Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste » (Matt. V, 48). A prima vista pare ideale troppo alto per noi; ma dacché Dio è nostro Padre per adozione, non dobbiamo forse rassomigliargli? Del resto, a facilitarci il lavoro, il Figlio di Dio si fece uomo come noi, visse la nostra vita, assunse le nostre miserie e le nostre debolezze eccetto il peccato, e diventò così la via che dobbiamo battere per andare al Padre. Si potrebbe dire che Dio è troppo alto da poterlo noi imitare, ma non possiamo più addurre questo pretesto quando si tratta del Figlio, il ,quale, nella vita nascosta, nella vita pubblica, nella vita dolorosa, ci diede l’esempio di tutte le virtù che dobbiamo praticare nelle varie condizioni in cui la Provvidenza ci pone. Ora imitare il Figlio è imitare il Padre, perché il Figlio opera sempre in perfetta conformità col Padre.

c) Vi è poi una virtù di cui Nostro Signore ci raccomanda in modo particolare la pratica onde imitare l’unità perfetta che regna tra le tre divine Persone; è la carità fraterna. Fatta l’ultima Cena, nel momento in cui Gesù, prima di lasciar gli Apostoli, rivolge per loro al Padre una speciale preghiera, una delle grazie che chiede pei suoi discepoli è l’unione fraterna fra loro: « Che siano tutti una cosa sola, come tu, o Padre, sei in me e Io in te, che siano anche essi una cosa sola in noi » (S. Giov. XVII, 21). Tenera preghiera che san Paolo ripeterà un giorno, supplicando i cari suoi discepoli di non dimenticare che, essendo un sol corpo e un solo spirito, avendo un solo e medesimo Padre che abita in tutti i giusti, debbono serbare l’unità dello spirito col vincolo della pace (Efes. IV, 3-6). – Nei primi secoli della Chiesa questa preghiera fu esaudita; sappiamo infatti che i pagani stessi non potevano tenersi dal dire: Vedete come questi Cristiani si amano fra loro! Deh! che, in questi tristi tempi in cui le menti ed i cuori sono così divisi, possiamo appagare anche noi il più caro desiderio del Cuor di Gesù, ed esser talmente uniti coi vincoli di una santa carità che i nostri stessi avversari siano obbligati a riconoscerlo! Del resto, sarebbe pur questo il mezzo migliore per far rispettare i nostri diritti, perché l’unione fa la forza. – È dunque chiaro che non c’è nulla di più santificante quanto il pensiero frequente e affettuoso delle tre divine Persone che abitano in noi. Non c’è nulla che più ci muova alla virtù della religione, alla vera e soda pietà; non c’è nulla che ci faccia meglio praticare le virtù, specialmente quella carità fraterna che è il distintivo dei veri Cristiani, e il pegno più sicuro che siamo figli di Dio.

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE (7)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.