LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE (2)

ADOLFO TANQUEREY

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE CHE GENERANO NELL’ANIMA LA PIETÀ (2)

Vers. ital. di FILIPPO TRUCCO, Prete delle Missioni

ROMA DESCLÉE & C. EDIT. PONTIF.1930

NIHIL OBSTAT – Sarzanæ, 8 Maji 1930 J. Fiammengo, Rev. Eccl.

IMPRIMATUR Spediæ, 8 Maji 1930 Can, P. Chiappani, Del. Generalis.

PARTE PRIMA

Gesù vivente in noi per comunicarci la sua vita

CAPITOLO I.

Il Verbo incarnato fonte della nostra vita spirituale.

Per conoscere bene la vita cristiana è evidente che bisogna risalire alla sua fonte. Ora questa fonte è la stessa santissima Trinità, perché nessuno può farci partecipi della vita divina fuori di Colui che ne possiede la pienezza. Tutte e tre le divine Persone concorrono a questa grande opera; ma fu eletto il Figlio a discendere in terra, a divenir nostro Capo, a incorporarci al suo Corpo mistico e farci così partecipare alla sua vita. Per intendere meglio questa verità, vediamo che cos’è il Verbo divino: 1° nel seno del Padre; 2° nel mistero della sua incarnazione; 3° nelle sue relazioni con noi; 4° onde poi conchiuderne che dev’essere il centro della nostra vita spirituale.

ART. I. – IL VERBO NEL SENO DEL PADRE.

Chi ci descrive la vita del Verbo nel seno del Padre è San Giovanni (S. Giov. I, 1-6).

 « In principio era il Verbo

e il Verbo era presso Dio

e il Verbo era Dio.

Egli era, al principio, presso Dio.

Tutto si fece per mezzo di lui

e senza di lui non si fece nulla

di quanto esiste. –

In lui era la vita

e la vita era la luce degli uomini.

E la luce splende fra le tenebre

e le tenebre non la ricevettero ».

In questo magnifico prologo sono poste in luce due grandi verità: 1° La vita del Verbo in Dio: 2° la sua azione sul mondo.

I° La vita del Verbo in Dio.

In principio, cioè, prima della creazione del mondo, come altrove spiega Nostro Signore stesso, il Verbo era. San Giovanni adopera questo modo di dire per farci capire la preesistenza o l’eternità del Verbo; infatti, prima della creazione, prima dell’inizio del tempo, quando Dio esisteva nella sua eternità, il Verbo era, ed era senza principio. E dov’era? Nel seno di Dio. Dio, che dà la fecondità alle creature, è Egli stesso eternamente fecondo, di fecondità tutta spirituale. Dio pensa da tutta l’eternità: ma a che cosa può mai pensare Dio se non a sé stesso? Pensando a se stesso, produce un’immagine della divina sua sostanza, immagine perfettamente simile, immagine sostanziale di incantevole bellezza e di perfezione infinita. Questa immagine sostanziale è una vera Persona, perché in Dio nulla è di imperfetto; è quindi un’immagine infinita, viva, operosa, una persona come lo stesso Padre; dal quale è distinta perché ne riceve la vita; ma al quale è perfettamente uguale perché questa vita la riceve intiera. Questa Persona è il Figlio di Dio, è il suo Verbo, è un altro Lui stesso, è lo splendore della sua gloria (Hebr. I, 3), è il suo Unigenito (S. Giov. I, 18). Il Padre ama questo suo Figlio con amore infinito e ne è infinitamente riamato; da tale mutuo amore sorge una terza Persona uguale alle altre due, lo Spirito Santo, vincolo sostanziale tra il Padre e il Figlio, che procede dall’uno e dall’altro e che si chiama Amore o Divina Carità. – Tale è il mistero della santissima Trinità, mistero che non possiamo ora comprendere ma che contempleremo un giorno nel cielo; e sarà la sua chiara visione quella che ci renderà eternamente beati. – Questo mistero, rivelato da Gesù stesso, cioè da Colui che continuamente lo contempla, spande già una viva luce sull’interna vita di Dio. Se non avessimo che il debole lume della ragione, Dio ci apparirebbe come in un’oscura lontananza e noi potremmo chiedere che cosa stia mai facendo così solo nel cielo. Ora la fede ci rivela che Dio non è solitario nell’eterna sua dimora: ce lo mostra uno certamente nella natura ma trino nelle Persone: Padre, Figlio e Spirito Santo. – Sono quindi tre a possedere quest’unica natura, tre a vivere in famiglia nella più perfetta intimità: il Padre pensa continuamente al Figlio e L’ama con amore infinito; il Figlio gli ricambia amore per amore; il Padre e il Figlio amano infinitamente lo Spirito Santo; e questi, che è l’amore sostanziale, li ricambia di pari affetto. Quale unione! Qual perfetta unità! e quanto sono felici questi tre di amarsi così con amore infinito! Ora proprio questo Dio uni-trino abita e vive nell’anima che è istato di grazia; cosicché anche noi possiamo dire con Suor Elisabetta della Trinità: « O miei Tre, o mio lutto, o mia beatitudine, o solitudine infinita, o immensità ov’io mi perdo, io mi abbandono a Voi come una preda; seppellitevi in me, affinché io mi seppellisca in voi, aspettando il momento di venire a contemplar nella vostra luce l’abisso delle vostre grandezze ». È poiché qui ci occupiamo soprattutto della Persona del Verbo, a Lui ripeteremo pure la preghiera della pia Carmelitana: « O Verbo eterno, o Parola del mio Dio, io voglio passar la vita ad ascoltarvi, voglio farmi a Voi perfettamente docile onde imparar tutto da Voi: e poi, nonostante tutte le notti, tutti i vuoti, tutte le impotenze, voglio sempre fissar Voi e restare sotto la fulgida vostra luce. O astro mio diletto, affascinatemi, onde non abbia mai più a sottrarmi dai vostri raggi ». (Preghiera composta dalla pia Carmelitana, che si trova in fine della sua biografia).

2° Il Verbo Creatore.

Dopo aver contemplato il Verbo in sé stesso e nelle sue relazioni con le altre due Persone della santissima Trinità, diciamo ora qualche cosa sulle sue relazioni con le creature. « Tutto si fece per mezzo di Lui e senza di Lui non si fece nulla di quanto esiste (S. Giov. I, 3). Queste parole ci dicono che il Verbo è, col Padre e collo Spirito Santo, la causa efficiente della creazione. La creazione è, infatti, un’opera esterna, ad extra come dicono i teologi, e quindi opera comune alle tre divine Persone. Se indaghiamo la parte più particolarmente attribuita al Verbo in questa opera comune, possiamo dire, con san Giovanni, che per mezzo di lui, per ipsum, fu creato tutto. Dio, infatti, opera per mezzo del suo pensiero; onera quindi per mezzo del suo Verbo che, come dicemmo, altro non è che il suo pensiero sussistente. Così appunto parla il Libro dei Proverbi: ci presenta la divina Sapienza, generata da Dio all’inizio delle sue vie, e in atto di assisterlo in quest’opera di sapienza che è la creazione: « Quando fissava i cieli, io ero presente, quando gettava una volta sulla superficie dell’abisso, quando assodava in alto le nubi, quando dava forza alle sorgenti sotterranee, quando fissava al mare i suoi termini perché non li oltrepassasse, quando posava le fondamenta della terra, io ero all’opera accanto a Lui; compiacendomi ogni giorno e ricreandomi in sua presenza, scherzando sull’orbe (in orbe) della terra e trovando le mie delizie tra i figlioli degli uomini (Prov. VIII, 27-31) ». È facile ravvisare sotto le frasi di questo linguaggio poetico l’azione del Verbo che, essendo la Sapienza del Padre, tutto previde, tutto ordinò in peso, numero e misura, perché tutto cooperi alla gloria di Dio e al bene delle creature. – Ne segue che il Verbo è la causa esemplare di tutte le creature. Prima di produrre cli esseri, Dio, come dice san Tommaso, forma in sé l’idea o il modello di ciascuno (Sum, Theol., I, q. 15; q. 34, a. 3, 5.). Come l’architetto, prima di costruire un palazzo, ne concepisce idea e ne fa il disegno, così, ma in maniera infinitamente più perfetta, Dio, prima di creare questo grande palazzo del mondo, ne concepisce il disegno e l’ordinamento fin nei più minuti particolari; perché nulla sfugge alla sua scienza universale e infinita. – Noi, dunque, esistiamo in Dio, nel pensiero di Dio, da tutta l’eternità. Dio vede fino a qual punto ogni essere parteciperà, in modo certamente limitato ma reale, del suo essere divino. Dio quindi è il modello, l’esemplare sul quale noi siamo formati: ecco perché si dice che siamo creati a sua immagine. « Facciamo l’uomo immagine e somiglianza nostra? ». Ora, appunto nel suo pensiero, nel suo Verbo interiore, Dio concepisce tutti gli esseri. il Verbo è quindi il modello, il prototipo, la causa esemplare di tutte le creature. – Quanto è efficace questa considerazione a darci un’idea così della nostra grandezza come della nostra dipendenza! Della nostra grandezza, perché l’essere nostro, per quanto imperfetto, è una partecipazione dell’Essere divino, è l’attuazione di un’idea divina: da tutta l’eternità Dio concepì il grado di perfezione che dobbiamo conseguire, e questo grado, qualunque esso sia, è qualche cosa di nobilissimo e di altissimo, perché è conforme a un pensiero divino e ci avvicina al Verbo di Dio. Della nostra dipendenza: essendo evidente che non possiamo attuare l’ideale concepito da Dio se non col suo soccorso e sotto la mozione divina. Creati da Lui secondo un tipo da Lui stesso concepito, noi non possiamo conseguire questo ideale se non lasciandoci plasmare da Lui: è Lui che opera in noi il volere e il fare (Fil. II, 13).  Il che è necessario; perché il consenso della nostra volontà è cosa che, in ultima analisi, non può venire che da Dio: è Dio che, dopo aver creato le nostre facoltà, le inclina verso il bene e ci fa acconsentire alla grazia. Dipendenti da Lui nel nostro essere, ne dipendiamo anche nelle nostre azioni. – Io godo, o mio Dio, di questa mia assoluta dipendenza da Voi, perché ho infinitamente fiducia in voi che in me. Voi siete, o Verbo. divino, la Sapienza infinita, ed è un onore per me il chiedere a voi i consigli di cui ho bisogno: voi siete la luce del mondo, ed è cosa dolce per me, in mezzo alle tenebre che mi circondano, partecipare alla vostra luce; Voi siete la fonte della vita, e io sono lieto di dissetarmi a quest’acqua viva che zampilla su alla vita eterna; voi siete il Figlio per eccellenza ed io godo di essere adottato da Voi nella divina famiglia. Siate per sempre benedetto, o Verbo di Dio, di avermi fatto partecipare, per quanto era a me possibile, alla vostra Sapienza, alla vostra Vita, al vostro De Essere divino! L’unica mia ambizione sarà ormai di accostarmi al divino esemplare che mi è proposto come modello. Tale è del resto, il dovere che più specialmente ci viene imposto dal fatto della vostra Incarnazione.

Art. II. — IL VERBO NEL MISTERO DELLA SUA INCARNAZIONE.

« E il Verbo si fece carne e abitò tra noi,

e noi abbiamo contemplata la sua gloria,

gloria come di Unigenito del Padre,

pieno di grazie e di verità » (S. Giov. I, 14)..

Parole sublimi che dicono l’infinita condiscendenza del Verbo, di cui abbiamo descritto l’origine eterna e le parti di Creatore! Il Verbo era beato nel seno del Padre; viveva nella sua intimità, era da Lui amato con amore infinito e Lui riamava con reciproco amore; sostanzialmente unito allo Spirito Santo che procede da Lui e dal Padre, trovava in questa divina Famiglia l’eterna sua beatitudine. Eppure, volle abbassarsi fino a noi: « Il Verbo si fece carne, e abitò tra noi ». Perché questo abbassamento? Fu certamente, come ultimo scopo, per glorificare il Padre: « gloria in altissimis Deo (S. Luc.) ». Nella sua natura divina il Verbo è uguale al Padre e non può abbassarsi dinanzi a Lui per porgergli ossequio; ma, dal giorno in cui si è personalmente unito a una natura. umana, può curvare questa natura creata avanti alla divina maestà, ad adorarla, lo darla, benedirla, glorificarla. Allora per la prima volta Dio riceve ossequi di valore infinito, perché gli sono offerti da una persona infinita, dalla persona del Verbo incarnato.Ma, come la Chiesa c’insegna nel Credo, il Verbo, facendosi uomo, ebbe pure un altro scopo: volle riscattarci, volle salvarci e ridarci i nostri diritti al Paradiso perduti per il peccato originale; in altre parole, volle comunicarci quella vita divina che attinge nel seno del Padre. L’uomo, creato da Dio, elevato da Lui all’ordine soprannaturale, aveva per sua colpa perduta quella partecipazione alla vita divina che Dio gli aveva si graziosamente largita al principio. Incapace di riparare da sé l’offesa infinita fatta a Dio col peccato e di riacquistare la grazia e la gloria del cielo, l’uomo pareva ormai in uno stato disperato.Ma ecco che l’eterno Figlio di Dio si offre al Padre per riscattare la caduta umanità: senza cessare d’essere Dio, si farà uomo e diverrà così il nuovo capo dell’umanità; si assumerà di espiare, a nome di lei, l’offesa infinita, e, incorporano a sé gli uomini divenuti suoi fratelli, li farà di nuovo partecipare alla vita divina. È opera di amore, se altra mai, perché il Verbo dà se stesso, se stesso abbandona ed immola per salvarci. Ma è anche opera di giustizia, perché l’offesa divina sarà così abbondantemente e sovrabbondantemente riparata colle soddisfazioni dell’Uomo-Dio, che rendono alla santissima Trinità maggior gloria che non glie ne abbia tolta il peccato. Tale è il mistero che dobbiamo esporre, studiando; 1° il fatto dell’unione tra il Verbo e la natura umana; 2° la natura e le conseguenze di questa unione.

1° Il fatto dell’unione fra il Verbo e la natura umana.

Quando san Giovanni dice : « Il Verbo si fece carne », non adopera questa parola nel senso ristretto di corpo umano, ma nel senso più generale, spesso usato nella Scrittura, di tutto il composto umano (corpo e anima). A preferire la parola carne l’indusse il pensiero di far meglio rilevare la condiscendenza e l’umiliazione del Figlio di Dio, che si degnò di unirsi non solo a ciò che è nobile nell’uomo, ma anche a ciò che è più meschino e più debole. Infatti, secondo la dottrina di san Paolo (Hebr. IV, 15), « noi non abbiamo un Pontefice incapace di compatire le nostre miserie; ei volle provarle tutte, eccetto il peccato ». Conveniva che, incarnandosi, « diventasse in tutto simile ai fratelli, onde riuscire pietoso e fido Pontefice presso Dio, ad espiare i peccati del popolo. Appunto perché ha Egli stesso sofferto e fu Egli stesso tribolato, è pronto a venire in aiuto a chi  è nella tribolazione – Hebr. II., 17-18 ». Il Verbo incarnato è dunque insieme vero Dio e vero uomo, tanto veramente uomo quanto è veramente Dio. Da tutta l’eternità possiede, secondo che abbiamo spiegato, la natura divina: ma, a partire dal giorno dell’Incarnazione, possiede anche tutta la natura umana, il corpo e l’anima. È quindi una stessa Persona, la Persona del Verbo, del Figlio eterno di Dio, che possiede le due nature, la divina e l’umana, che è Dio e che è uomo. Questa Persona si chiama Nostro Signor Gesù Cristo. Essendo Dio, è il nostro sommo padrone e Signore; avendoci salvati, si chiama Gesù, cioè Salvatore: vi si aggiunge il nome di Cristo, che significa unto, perché Gesù nella sua umanità è stato unto con l’unzione, o comunicazione della divinità. – Che Gesù sia insieme Dio e uomo, è una verità che troviamo affermata a ogni pagina evangelica. Se contempliamo Gesù al suo entrare nel mondo, lo vediamo concepito nella infermità della carne, giacente su poca paglia, fasciato come si fascia il bambino appena nato, incapace di parlare, intirizzito per il freddo e più per l’ingratitudine dei Giudei: Egli è dunque uomo come noi, soggetto alle nostre miserie. Ma è concepito da una Vergine per opera arcana dello Spirito Santo, è chiamato il Santo, il Figlio dell’Altissimo, il Figlio di Dio, e cominciano così a sfolgorare i primi raggi della sua divinità. Nell’inaugurazione del suo ministero, si fa battezzare da san Giovanni nelle acque del Giordano e compare quindi come uomo che ha preso su di sé la somiglianza del peccato; ma nello stesso tempo lo Spirito Santo scende su di Lui e dall’alto dei cieli il Padre lo proclama suo Figlio diletto, in cui ha riposto tutte le sue compiacenze. Nel deserto digiuna e soffre la fame, ed è perfino tentato dal demonio, per mostrarci che ha preso la nostra umanità con tutte le sue debolezze; ma trionfa dell’astuzia del demonio e gli Angeli scendono a servirlo come loro Signore. Nel corso del suo ministero, mena una vita povera e laboriosa, si affatica ed ha bisogno di riposarsi, si lascia calunniar dai nemici e contrariare nei suoi disegni, avvicenda vittorie e sconfitte, umiliazioni e trionfi, affermando così la realtà della sua natura umana. Ma nel medesimo tempo, come Dio, opera miracoli in proprio Nome col proprio potere; comunica anche ai discepoli la potestà di far miracoli in Nome suo; insegna alle turbe con un’autorità tutta divina, si dichiara padrone del sabato, proclama leggi nuove che debbonsi accettare sotto pena di perdere la vita eterna; anzi rimette i peccati e guarisce un paralitico per dimostrare che questo potere divino di perdonare gli appartiene come cosa propria; a meglio affermarlo, delegherà più tardi questo stesso potere ai suoi Apostoli e ai loro successori: si attribuisce la potestà di giudicare i vivi e i morti: chiede che gli uomini lo ubbidiscano come si ubbidisce a Dio; che lo amino sopra tutte le cose, anche più del padre e della madre; e che si diano e si consacrino interamente a Lui come si consacrano a Dio.  Soprattutto nella dolorosa sua Passione si manifesta la doppia sua natura. Nell’orto di Getsemani, Gesù agonizza ed è triste fino alla morte, un sudore di sangue gli bagna le membra, prega che l’amaro calice si allontani da lui; ma, quando vengono a catturarlo, opera un miracolo riattaccando a Marco l’orecchio che Pietro gli aveva tagliato. Dinanzi al Sinedrio si lascia insultare, schernire, percuotere, ma proclama altamente di essere il Figlio di Dio, il giudice dei vivi e dei morti; e fu appunto l’affermazione della sua divinità il titolo per cui venne dal Sinedrio condannato a morte. Sul Calvario, è inchiodato a una croce tra due ladroni; soffre la sete più acerba; ha l’anima desolata; muore mandando due volte un grande grido; è deposto e chiuso nel sepolcro. Ma ecco che la sua divinità tosto si manifesta; il sole si oscura come a far lutto per la morte del suo Creatore: il velo del tempio viene arcanamente lacerato: molti morti risorgono: e il terzo giorno Gesù stesso esce redivivo e glorioso dalla tomba, per attestare con quell’inaudito miracolo che è l’Autore della vita, il Dio del cielo e della terra. – È dunque impossibile a un uomo di buona fede che legga attentamente il Vangelo, di non riconoscere che Gesù è uomo e Dio, che parla ed opera nello stesso tempo come un semplice mortale e come il Re immortale. Ond’è da conchiudere che ha, nell’unità di una stessa Persona, la natura umana e la natura divina. Or questa Persona è proprio la Persona del Verbo o del Figlio eterno di Dio, il quale, pur conservando interamente la sua natura divina e rimanendo uguale a Dio, prende una natura umana pari in tutto alla nostra, tranne il peccato! Gesù, dunque, ha un corpo passibile e mortale come il nostro, un corpo che soffre il freddo e le intemperie delle stagioni, la fatica, la fame, la sete, e risente vivamente tutti i colpi, tutte le ferite che gli vengono inflitte nella Passione. L’anima sua è come la nostra, dotata di intelligenza e di volontà, ornata di tutti i tesori di sapienza e di scienza, ma ricca specialmente della grazia divina in tutta la sua pienezza, di guisa che a questa fonte inesauribile dobbiamo andare ad attingerla noi. Ma è pure anima dotata di squisita sensibilità, capace di gustare le gioie più vive, come di patire le tristezze, le angosce, le impressioni più dolorose. Egli quindi nella sua natura divina è uguale a Dio, ma nella sua natura umana è veramente nostro fratello. – Oh! quanto siamo fortunati di aver per fratello l’eterno Figlio di Dio! Non potremo mai ringraziarlo abbastanza di questa condiscendenza infinita. E che cosa ci chiede in cambio del dono che ci fa di tutto se stesso? Una cosa sola: il nostro cuore. Questo cuore che Egli ha creato, che lavato nel suo sangue, che gli appartiene per tante ragioni, ei ce lo chiede dolcemente, cortesemente, affettuosamente, per lasciarci il merito di darglielo liberamente; ce lo chiede per infondervi una partecipazione della vita divina da Lui attinta nel seno del Padre.

O Verbo Incarnato! o Gesù! o mio fratello! prendetelo, sì, questo povero mio cuore e infiammatelo talmente del vostro amore che mai si allontani da Voi e che possa aumentare sempre più il tesoro di vita che vi degnate di comunicargli.

2° Natura e conseguenze dell’unione tra il Verbo e la natura umana.

A) Or come avviene in Gesù Cristo l’unione tra le due nature e quali ne sono le caratteristiche? L’unione delle due nature in Gesù Cristo non è una semplice unione morale, quale corre tra due amici che siano un cuore e un’anima sola; ma è una unione sostanziale, cioè a dire l’unione di due sostanze che formano un tutto sostanzialmente uno, un unico principio di essere, di vita, di operazione. È quindi unione assai superiore all’unione che corre tra l’anima in stato di grazia e la santissima Trinità: le tre divine Persone sono per la grazia sostanzialmente in noi, ma la loro unione non forma con noi un tutto sostanziale. Dio e l’anima rimangono molto bene distinti e distinte pure le loro operazioni, sebbene Dio operi in noi e con noi per farci fare atti meritori. Ed è unione superiore – anche all’unione che corre tra il corpo e l’anima. Nell’uomo il corpo e l’anima sono nature incomplete, nel senso che né l’una né l’altra, prese da sole, costituiscono l’uomo; unendosi, formano una sola e medesima natura, la natura umana, come formano pure una sola persona. Or tale non è l’unione tra la natura umana e la natura divina nella Persona del Verbo; queste due nature sono complete in se stesse e rimangono distinte anche dopo l’unione; non si fa in Gesù Cristo fusione di due sostanze incomplete in una sola, ma unione di due nature perfette in una sola e medesima Persona. Questa Persona non è già il risultato dell’unione, ma le preesiste; è la Persona del Verbo, il quale, possedendo da tutta l’eternità la natura divina, comunica nel tempo la sua sussistenza e la sua esistenza a una natura umana in tutto simile alla nostra, tranne il peccato. Ecco perché si chiama unione personale, unione ipostatica, nome speciale che non conviene di fatto che all’Incarnazione. Onde possiamo definirla: « l’unione singolare e mirabile della natura divina e della natura umana nell’unica Persona del Verbo, unione dalla quale risulta quell’essere unico e adorabile che è Gesù Cristo » (E. Hugon, Le mystère de l’Incarnation, 2° ediz., p. 11). Se ne esaminiamo i tratti caratteristici, vedremo che questa unione è la più intima, la più soprannaturale, la più sostanziale, la più indissolubile di tutte le unioni.

a) L’unione è tanto più intima quanto più la persona in cui avviene è una in sé, e quanto in questa persona è intimamente unita a ognuno dei suoi due termini. Ora la Persona del Verbo nella quale avviene l’unione ipostatica, è in sé unità perfetta, l’unità assoluta; ed è poi intimamente unita a ognuna delle sue nature: a quella divina perché con lei realmente si identifica, e a quella umana perché le comunica la propria sussistenza ed esistenza. Unione tanto più mirabile quanto più i due termini fra cui avviene erano lontani tra di loro e il loro avvicinamento è più immediato; infatti, le due nature così distanti, la natura divina e la natura umana si uniscono in Gesù Cristo l’una all’altra senza confondersi e si uniscono nell’unica Persona del Verbo.

.b) È la più soprannaturale di tutte le unioni. Le altre forme di soprannaturale non sono che partecipazioni accidentali di Dio; mentre la unione ipostatica è la comunicazione sostanziale di Dio a una natura umana, la quale non ha altra sussistenza ed esistenza che quella del Verbo. È dunque la più perfetta delle comunicazioni divine, è il dono immediato di una Persona divina all’umanità.

c) È quindi la più indissolubile delle unioni: né il supplizio della croce né la morte stessa riuscirono a spezzarla. La ritroviamo nell’Eucarestia, dove, sotto le specie del pane e del vino, l’umanità santa di Gesù resta unita alla divinità del Verbo; e la ritroveremo in cielo, dove giubilando contempleremo il Verbo divino indissolubilmente unito per tutta l’eternità alla natura umana risorta e gloriosa.

B) Le conseguenze di questa unione sono onorevolissime per quella natura umana che è unita sostanzialmente al Verbo e per noi tutti.

a) La natura umana unita al Verbo è da questa unione incomparabilmente nobilitata. Quando un re sposa una persona, costei, qualunque sia il suo grado sociale, partecipa immediatamente alla dignità regia. A più forte ragione, quando il Verbo sposa una natura umana, la innalza alla dignità divina. Infatti, l’unione matrimoniale, per quanto intima, non è sostanziale e non toglie alla sposa la sua personalità; mentre l’unione del Verbo con la natura umana è unione sostanziale, cosicché questa natura non ha altra personalità che quella del Verbo divino. Ascoltiamo su questo punto il Cardinal di Berulle, l’apostolo del Verbo incarnato (Discours de l’état et des grandeurs de Jésus, disc. XI) « Il Verbo, entrando in questa umanità, non la distrugge, non la converte nella sua divina essenza… vuole elevarla a uno stato di dignità nuova, singolare, ineffabile. La trae a sé e la fa entrare nel suo essere divino e increato. La riceve come la sua unica e la sua diletta nel seno della sua Divinità… La riceve e la colloca per sempre nella sua grandezza, nella sua divinità, nella sua propria Persona, non avendo essa più sussistenza che nella sussistenza di Lui. Tutto ciò porta una comunicazione così alta e così grande, così particolare e così divina, che Dio si fa uomo e l’uomo diviene Dio… ». In altre parole, il Verbo incarnato, comunicando la propria personalità alla natura umana, la innalza fino a sé: quel Gesù che vediamo steso su un poco di paglia nel presepio, quel Gesù che lavora nella bottega di Nazareth, quel Gesù che si affatica nelle apostoliche sue corse, quel Gesù che nell’orto degli ulivi è triste fino alla morte, quel Gesù che viene inchiodato sulla Croce, che è tormentato dalla sete e insultato dai Giudei e che perdona ai suoi offensori, quel Gesù che spira rimettendo l’anima sua nelle mani del Padre, è veramente il Figlio eterno di Dio, Dio egli stesso; che, impassibile nella sua natura divina, patisce e muore nella sua natura umana. Onde il Padre vuole che il suo Cristo sia adorato ed amato come è Egli stesso; vuole che ogni ginocchio si pieghi davanti a Lui in cielo, in terra e nell’inferno, e che ogni lingua confessi che il Signore Gesù è nella gloria del Padre! (Fil. II, 10-11) – A queste divine premure l’anima umana di Gesù corrisponde col vivere in un’intiera e amorosa dipendenza dal Verbo. Nei suoi giudizi si lascia guidare non dalla propria ragione ma dalla luce divina; e questo è il senso di quelle profonde parole: « Voi giudicate secondo la carne, io non giudico nessuno. È se pur giudico, il mio giudizio è vero, perché Io non sono solo, ma con me è il Padre che mi ha inviato (S. Giov. VIII, 15-16) ». Quando Gesù parla, non esprime la dottrina sua e il pensiero suo, ma quello di Dio che lo ha inviato (Id. VII, 16). Quando opera, non fa la volontà sua, ma quella di Dio (S. Luc. II, 42). Né cerca mai la gloria sua, ma quella del Padre. Quindi, quando Dio gli chiede duri sacrifici, quando gli presenta l’amaro calice, le umiliazioni e i tormenti della Passione, Egli, dopo une dolorosa agonia, assoggetta la sua volontà a quella di Dio (S.Matth. XXVI, 42). Oh! beata dipendenza che trasforma le sue azioni, anche le più semplici, in atti di amore e dà loro un valore incomparabile!

b) Ma non la sola anima umana di Gesù viene nobilitata dall’incarnazione, veniamo con lei nobilitati anche noi. Perché questo Gesù, ché è Dio, è nel medesimo tempo nostro fratello, ed incorporandoci al suo Corpo mistico, ci fa partecipare, sebbene in grado minore, alla sua divina nobiltà; diventiamo per mezzo di Lui figli adottivi di Dio e partecipi della vita divina. Deh! quale onore! e quale immenso beneficio! Infatti, come il Verbo si dà a Gesù, così, sebbene in modo meno perfetto, Gesù si dà a noi. Membra del suo Corpo mistico, noi abbiamo il diritto di appropriarci le sue soddisfazioni, i suoi meriti, le sue preghiere, e di offrirle a Dio, per espiare i nostri peccati ed ottener grazie; è le nostre domande, le nostre aspirazioni, i sacrifici nostri acquistano per questo verso un valore incomparabile. Come potrebbe Dio respingere coloro che si presentano a Lui rivestiti di Gesù Cristo e dei suoi meriti infiniti? – Il nostro dovere è quindi di attaccarci a Gesù, fonte di vita sovrannaturale, e di darci a Lui per attingere copiosamente da Lui quella vivificante acqua della grazia che Egli tanto desidera di comunicarci. Quanto più strettamente ci uniamo a Lui col dono totale di noi stessi, tanto più riceviamo dalla sua pienezza, perché Gesù non si lascia mai vincere in generosità. Gli diremo dunque di gran cuore: O Verbo incarnato, io mi dò tutto intero a Voi con tutto ciò che posseggo, che è vostro, perché me l’avete dato Voi. A Voi il mio corpo, i miei lavori, le mie fatiche, le mie pene, i miei affanni; a Voi tutti i respiri del mio cuore. Come Dio, Voi siete la pienezza dell’essere, della bellezza, della bontà, della sapienza, della potenza, dell’amore misericordioso; Voi siete il mio tutto, Deus meus et omnia, e voi solo potete appagare tutti i desideri del mio cuore. Voi possedete, come uomo, tutti i tesori della scienza e della sapienza (Col. II, 3), la pienezza della grazia creata (S, Giov. I, 14); e da questa pienezza io ho ricevuto tutto ciò che sono e tutto ciò che possiedo: « de plenitudine ejus nos ommes accepimus » (S, Giov. I, 15). Voi dunque adunate nella vostra Persona tutte le amabilità divine e umane. A chi potremmo andare fuori di Voi? Voi solo avete parole di vita eterna. – Or questo capiremo anche meglio. Quando avremo considerato il Verbo incarnato nelle sue relazioni con noi, vivente ed operante nei nostri cuori.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.