VITA E VIRTÙ CRISTIANE (Olier) 15

VITA E VIRTÙ CRISTIANE (15)

GIOVANNI G. OLIER

Mediolani 27-11 – 1935, Nihil obstat quominus imprimetur. Can. F. LONGONI

IMPRIMATUR: In Curia Arch.Mediolani die 27 – II – 1935 – F. MOZZANICA V. G.

CAPITOLO X.

Della dolcezza

Perfezione della dolcezza. — È partecipazione della dolcezza medesima di Dio.  – E il contrassegno del vero zelo — non si trova per lo più che nelle anime innocenti. – Dio per comunicarci le sue virtù segue due vie, quella dell’effusione e quella dell’acquisto.

La virtù di dolcezza è fa più alta perfezione del Cristiano; essa, infatti, presuppone in noi l’annientamente da tutte quanto è nostro e la morte di ogni interesse proprio; dimodochè il disprezzo non ci irrita più e neppure la perdita dei beni e della tranquillità della vita vale a farci perdere la nostra pace. – In voi, dice S. Paolo, sia soffocata e consumata qualsiasi radice di amarezza (Ephes. IV, 31; Hebr. XII, 15). Ora, questo si fa per mezzo di Gesù Cristo Nostro Signore; perché Gesù Cristo, abitando nel fondo dell’anima nostra con la pienezza della divinità, assorbe nella sua carità il nostro amor proprio, il quale è la causa dell’ira. In tal modo, l’anima nostra trovasi nella pace e nella dolcezza; ed anche nei casi in cui l’interesse proprio in apparenza sembra ferito, essa non ha né asprezza né amarezza. L’amor proprio si irrita e si accende tutto di vivissimo fuoco, quando si ha la pretesa di rapirgli ciò che gli appartiene, Perciò, se vogliamo che l’anima nostra goda la vera dolcezza, è necessario che tutto quel fondo di amor proprio che si estende e si porta verso la creatura, sia inabissato in Dio. Come vi sono parecchi gradi di umiltà, vi sono pure varie sorte di dolcezza. Ma la dolcezza vera, fondata e perfetta, è quella del cuore: di essa parlava Nostro Signore, quando diceva: Imparate da me, ch’io sono dolce ed umile di cuore. Ora, questa dolcezza di cuore deve essere talmente radicata in noi che niente la possa alterare, e non le rimanga più nulla né della carne né di sé medesima, ma sia tutta immersa e come perduta in Dio, ossia nell’essere, nella vita, nella sostanza, nelle perfezioni di Dio. In tale stato, l’anima tutto opera nella dolcezza; quando pure agisce con zelo, è sempre con dolcezza, perché l’amarezza e l’acrimonia non hanno più luogo in essa, come non possono aver luogo in Dio. – La carne e l’uomo vecchio hanno uno zelo falso e contraffatto. il quale per quanto esteriormente abbia qualche somiglianza con lo zelo dell’uomo nuovo, in fondo ne è molto dissimile: il primo è sempre pieno di amarezza e di asprezza, il secondo è tutto animato dalla dolcezza. Uno dei maggiori contrassegni per discernere lo zelo della carne da quello dello Spirito Santo è appunto questo; il vero zelo di Dio viene acceso in noi dalla considerazione del bene del prossimo, mentre lo zelo falso dell’uomo vecchio trovasi sempre eccitato dal nostro interesse proprio; e questo viene chiamato la collera, la quale è un appetito, una tendenza, un moto di ardore per ritenere o cercare ciò che ci appartiene. La vera dolcezza non si trova quasi mai che nelle anime innocenti, nelle quali Gesù ha stabilito la sua dimora continua fin dalla loro santa generazione e nelle quali è cresciuto nel complesso di tutte le sue perfezioni. Nelle anime penitenti, la dolcezza si trova raramente; perché il peccato le ha private di un’infinità di perfezioni, ed ha fatto regnare in esse il disordinato interesse di mille cose di cui l’abitudine si è formata e contratta con una fervente attività; anime penitenti sono quindi obbligate lavorare con molta fatica e violenza, per distruggere l’uno dopo l’altro tutti questi vizi della carne, riacquistare le Virtù contrarie, e così, in Gesù Cristo, riparare quanto avevano perduto. Siccome poi per ottenere questi effetti ci vuole molto tempo e occorrono molte mortificazioni, pochi ve ne soro che siano perseveranti e che lavorino all’acquisto della virtù con quella grande fedeltà che è necessaria onde ricuperare quanto hanno perduto col far getto della grazia del loro battesimo, e quindi ristabilirsi, in Gesù Cristo, nella pienezza delle vie divine.

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Vi sono due vie differenti per le quali Dio comunica agli uomini le sue virtù. Nella prima, Egli le comunica per un puro effetto della sua bontà e liberalità, senza esigere alcun lavoro da parte della sua creatura. Nell’altra, esige fatica nella creatura, e non concede la virtù se non dopo violenti sforzi e in seguito ad una prolungata fedeltà. La prima può chiamarsi via di infusione: la seconda via di acquisto. La prima è rara nella Chiesa, a meno che Dio non abbia qualche disegno particolare sopra qualche anima, e per lo più, non viene usata che per gl’innocenti; la seconda non è meno rara, perché sono pochi quelli che perseverano con costanza e fedeltà. – La via d’infusione è dolce: ciascuno vorrebbe possedere per questa via le virtù non meno che gli altri doni: ma la via di acquisto è dura e nessuno la vorrebbe. Quest’ultima nondimeno è per tutti i peccatori e per tutta la Chiesa; mentre l’infusione è soltanto per gli innocenti e per poche altre anime su fa terra. Gli innocenti mentre crescono in Gesù Cristo, crescono pure in tutte le virtù, a motivo che Gesù Cristo nelle loro anime gode di un dominio estesissimo, per cui le riveste, le copre, le investe delle sue proprie virtù, col dono continuo e privilegiato della sua presenza. Egli in queste anime opera tale una trasformazione ch’esse non sono più sé medesime ma sono Gesù Cristo vivente e regnante in esse, Gesù Cristo che possiede e consuma tutto il loro essere. E siccome Egli è tutto consumato e trasformato in Dio perché Dio è perfettamente stabilito in Lui, così delle anime nelle quali Egli vive; Egli le consuma e le trasforma interamente in sé medesimo. Orbene, poche sono le anime in cui Gesù Cristo operi questi effetti, poche le anime nelle quali non rimanga qualche fondo di amor proprio, sorgente dell’amarezza e dell’ira che si accende per il proprio interesse; donde avviene che vi sono pochi Cristiani animati da perfetta dolcezza.

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