LA VITA INTERIORE (20)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (20)

  • Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione – Riveduta.

LUCE DIFFUSA

L’AMORE PER DIO

L’AMORE PURO.

Dio è per noi il Padre più affettuoso. Tanto ci ha amato, e ci ama, che non esitò a permettere, e volere, il sacrificio del suo unico Figliuolo. Ci ha colmato di benefizi che non è possibile numerare. Ci ha perseguitato, e ci perseguita, col suo amore. Per noi ha creato il premio eterno e ci vuole salvi nell’eternità felice, in unione con lui. Dovremmo volere e sapere amarlo tanto non da riuscire a ricompensarlo, ché sarebbe impossibile, ma in modo da potergli dire: eccomi, o Signore, sono tutto tuo, e ti voglio amare ad ogni costo, per sempre, interamente e unicamente. Tu sei l’unico Amore, la sola Realtà. Poiché l’amor puro è l’amore di Dio interamente staccato è liberato dall’amor proprio, dovremmo sentirci tanto generosi da ripetere l’atto di amore puro espresso da santa Teresa: « Se io vi amo, o Signore, non è punto per il Cielo che mi avete promesso; se io temo di offendervi, non è neppure per l’inferno che avete minacciato: ciò che mi attrae verso di Voi, o mio Dio, siete Voi, Voi solo: è di vedervi inchiodato sulla croce col corpo straziato, nelle angosce della morte. E il vostro amore si è fatto così padrone del mio cuore che se anche non vi fosse il Cielo, io vi amerei ugualmente; quando anche non vi fosse l’inferno, io avrei timore di Voi. Nessun vostro dono può provocare il mio amore: perché anche non sperando ciò che spero, io vi amerei ugualmente come vi amo » (Storia di santa Teresa dei Bollandisti. Tomo II, cap. 31). Con questa espressione di amore non v’è in atto, nessun sentimento di speranza, né un desiderio di ricambio o di ricompensa; perciò così si ama Dio soltanto per il bene di lui stesso e non per il nostro. Se non che, questo è solo possibile, momentaneamente, cioè come atto transitorio. L’amore, cioè la carità, non può esistere nella nostra volontà se non come conseguenza della speranza. Non solo, dunque, noi dobbiamo cercare di amare Dio per sé, per le sue perfezioni, ma anche perché è il mostro vero bene; perché a Lui dobbiamo tendere continuamente, e in Lui dobbiamo vivere. Cioè: per la nostra unione con Lui!

ATTRAZIONE E SACRIFICIO GENEROSO DEL CUORE.

Trovo, in un libro (G. MAINETTI, Una educatrice nella luce di S. Giovanni Bosco. Torino – L.I.C.E.) molto interessante, riflessi di un’anima ardente di amore pel suo Dio, fino all’immolazione. Narra l’autrice: « È un mattino ardente di sole nel cielo puro e su la terra lussureggiante di vegetazione: 5 agosto: primo anniversario della vestizione religiosa di Madre Maria Mazzarello (ora Venerabile) e delle sue prime compagne. – 5 Agosto 1873. – Nelle mani del Fondatore S. Giovanni Bosco, la giovine discendente dei Conti Bellegarde de Saint Lary, depone il suo passato di speranze, di umiliazioni, di lotte, di patimenti, e anche di aspirazioni che non hanno più ragione di essere, nel suo cuore, per incominciare una nuova vita; fu una tappa, una sosta: ora bisogna riprendere il cammino scabro ancora, ma illuminato da un’altra luce, da un’altra speranza… Depone gli ornamenti del mondo, per rivestire quelli della vergine sposa di Dio. Suor Emilia Mosca è novizia. – Un anno dopo: 14 giugno 1874. – Fuori biondeggiano le spighe; luccicano i pampini sotto il bel sole che ricerca i grappoletti ancor verdi sui tralci; dentro la cappellina ornata a festa della bianca solitaria casa, otto giovani novizie pronunciano i sacri voti di povertà, castità, obbedienza: voti temporanei avanti alla Chiesa; perpetui nel sentimento, nel desiderio, nella volontà delle otto giovani suore. Li riceve don Bosco, il Fondatore santo. Poi la voce di lui si leva dolce e solenne nel trepido silenzio, a commentare il detto del divino Maestro: Nessuno che, dopo aver messo mano all’aratro, volga lo sguardo indietro, è atto per il Regno di Dio (Luca, IX, 62). – Una protesta si dipinge sui visi ombrati dal sacro velo; una protesta di fedeltà, per sempre). Per ogni anima, la vera letizia che non ha confine è questa: sentirsi figlia e sposa dell’Amore Divino!

LE STIGMATE DELL’AMORE.

La prova dell’amore è nel dolore serenamente accettato dalle mani di Dio: è nel compimento della sua santa volontà, qualunque essa sia, con tutte le nostre forze. Il dolore suol essere, sempre, la vera tempera dell’amore. L’amore per Gesù ha sostenuto i martiri e le vergini nel duro cimento. Parlo di Agnese, di Cecilia, di Sebastiano… L’amore per Gesù attrasse i giovani cuori a seguirlo generosamente nell’abbracciare la croce, e nel rinnegarsi; l’amore di Gesù fu luce e conforto inenarrabile, insuperabile alle anime desiderose di rivivere le sofferenze e la passione del maestro Divino. – Nella Messa di san Francesco d’Assisi v’è una sequenza molto bella che desidero qui ricordare (Cfr. il Messale Francescano; e OLGIATI, La pietà cristiana. Milano, 1935.): «La sequenza canta Francesco che, ritiratosi nella caverna di un monte, prega, proteso a terra, sino a che la serenità non sia concessa alla sua anima. Con la mortificazione egli riduce in tal modo il suo corpo, da non essere più se non l’ombra di sé; il suo cibo è la Scrittura; le cose della terra egli respinge con disdegno. Mentre in una profonda e silenziosa tristezza medita i misteri della Passione, un personaggio celeste, che porta i segni di Gesù Crocifisso, glieli imprime nella carne. Il suo corpo è piagato dalle sante stigmate; egli è ferito alle mani ed ai piedi e, trafitto nel lato destro, è tutto coperto di sangue». Ed ecco la mirabile dichiarazione: Non impressit hos natura, Non tortura mallei. Queste stigmate non gli furono fatte dalla natura; i chiodi non vi furono conficcati dal martello. Tutto è opera dell’amore… Dell’amore di Francesco per l’unico, vero, intero, perfetto Amore, per Gesù! – Ricordiamo ancora. Nel maggio 1920, Benedetto XV canonizzò undici suore Orsoline martiri della Rivoluzione Francese. Le vergini spose di Gesù, andarono al patibolo colla più grande gioia dello spirito per l’incontro, tanto bramato, dello sposo celeste. « Il Commissario della Rivoluzione le aveva condannate alla morte. Intorno al loro piccolo Crocifisso, avevano per tutta la notte implorato da Gesù la forza e la grazia per sostenere il martirio. Nelle loro anime la preghiera aveva portato la fortezza. E la più schietta e serena letizia splendeva sui loro volti. AI mattino furono condotte le sante vergini dinanzi ai loro carnefici, per venir trasportate al patibolo. Era costume che i condannati a morte dovessero essere spogliati di tutto: solo una tunica era ad essi lasciata. Ed i carnefici strapparono alle suore le sacre vesti, indossate nella primavera della vita, quando l’anima giovanile brilla d’amore verginale. Come vittime innocenti, esse non si opposero; ma tra le mani tenevano quasi un tesoro prezioso: la loro corona del santo Rosario. « Lasciateci la nostra corona », risposero ai carnefici che volevano strappare loro anche questo caro segno della loro pietà. « A che vi servirà un Rosario sopra il patibolo? », osservarono i carnefici. Anche il giudice rise; e diede ordine che venissero loro legate le mani e che i Rosari fossero posti sopra il loro capo, a formarne una corona. Le sante vergini ne furono contente… Andarono al martirio, collo stesso entusiasmo col quale, un giorno, dopo il noviziato, avevano offerto al Signore i loro voti solenni. Quando raggiunsero la ghigliottina, vollero baciare le mani dei carnefici, salutarono come trionfatrici la folla che assisteva commossa. Poste in fila onde ascendessero con ordine i gradini insanguinati del patibolo, era tanto il desiderio del martirio, che il boia dovette usare la sua forza, perché tutte volevano essere le prime a morire per Gesù, E mentre le anime delle sante eroine volavano in cielo a ricevere il premio della loro virtù, cadevano le loro teste, incoronate dal bell’emblema della Vergine del Rosario » (Cfr. OLGIATI, o. c., pag. 382-3). « NON VIVITUR IN AMORE NISI PER DOLOREM… » Sia benvenuto sempre il dolore: è la vera strada dell’amore. Solo così potremo ripetere con salda convinzione e totale aderenza l’espressione paolina: sovrabbondo di gioia nelle mie tribolazioni. Queste conducono all’Amore di Dio; l’amore di Dio ci porta all’unione con Dio!

L’abbandono, cioè l’amorosa sottomissione ai voleri di Dio, è condizione essenziale del vero progresso nell’Unione con Dio.

C. MARMION