DOMENICA DELLE PALME (2022)

DOMENICA DELLE PALME [2022]

Semidoppio Dom. privil. di I cl. – Paramenti violacei.

La liturgia di oggi esprime con due cerimonie, l’una tutta piena di gioia, l’altra di tristezza, i due aspetti secondo i quali la Chiesa considera la Croce. Anzi tutto vengono la Benedizione e la Processione delle Palme. Esse traboccano di una santa allegrezza che ci permette, dopo venti secoli, di rivivere la scena grandiosa dell’entrata trionfale di Gesù in Gerusalemme. Poi c’è la Messa di cui i canti e le letture si riferiscono esclusivamente al doloroso ricordo della Passione del Salvatore.

I . — Benedizione delle Palme e Processione.

A Gerusalemme, nel IV secolo, si leggeva in questa Domenica nel luogo medesimo dove i fatti s’erano svolti, il racconto evangelico che ci descrive Cristo, acclamato come Re d’Israele, che prende possesso della sua capitale. In realtà, Gerusalemme non è che l’immagine del regno della Gerusalemme celeste. Poi un Vescovo,montato su un asino, andava dal sommo del Monte Oliveto alla chiesa della Risurrezione, circondato dalla folla che portava delle palme, cantando inni ed antifone. Questa cerimonia era preceduta dalla lettura del passo dell’Esodo riguardante l’uscita dall’Egitto. Il popolo di Dio, accampato all’ombra dei palmizi, vicino alle dodici fonti dove Mosè gli promette la manna, è il popolo cristiano che servendosi di rami dei palmizi attesta che il suo Re, Gesù,viene a liberare le anime dal peccato, conducendole al fonte battesimale e nutrendole con la manna eucaristica.La Chiesa di Roma, adottando questo uso, pare verso il IX secolo, ha aggiunto i riti della Benedizione delle Palme, da cui deriva ilnome di Pasqua fiorita dato a questa Domenica. Questa cerimonia è una specie di messa con Orazione propria, Epistola, Vangelo e Prefazio proprio. La consacrazione è sostituita dalla benedizione delle palme e la comunione dalla distribuzione di queste palme.Queste cerimonie hanno un significato simbolico. « Dio, — dice la Chiesa — per un ordine meraviglioso della sua Provvidenza, ha voluto servirsi anche di queste cose sensibili per esprimere l’ammirabile economia della nostra salvezza » poiché « questi rami di palme segnavano la vittoria che stava per esser riportata sul principe della morte e i rami d’ulivo annunciavano l’abbondante effusione della misericordia divina ». « Infatti la colomba annunciò la pace alla terra per mezzo d’un ramoscello d’ulivo », « e le grazie che Dio. moltiplicò su Noè all’uscita dall’arca, e su Mosè che abbandonava. l’Egitto con i figli d’Israele, sono una figura della Chiesa» «che muove incontro a Cristo con opere buone» «con le opere che germogliano dai rami di giustizia » (Orazioni della Benedizione delle Palme). Questo corteo di Cristiani che, con le palme in mano e con il canto dell’osanna sulle labbra, acclamano ogni anno, in tutto il. mondo, attraverso tutte le generazioni, la regalità di Cristo, è composta di tutti i catecumeni, dei penitenti pubblici, e dei fedeli che i sacramenti del Battesimo, della Eucaristia e della Penitenza associeranno, nelle feste di Pasqua, a questo trionfatore glorioso. « È noi, che con integra fede rammentiamo il fatto e il suo significato « …ti preghiamo, Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio, per lo stesso Signor Nostro Gesù Cristo affinché, ciò che il tuo popolo fa oggi esternamente, lo compia spiritualmente, riportando vittoria sul nemico ». Questo rappresenta la processione che si arresta alla porta della Chiesa. Alcuni coristi sono nell’interno, i loro canti s’alternano con quelli dei sacerdoti (Gloria, laus et honor). Processione delle Palme).: da una parte sono i « cori angelici », dall’altra i soldati di Cristo, ancora impegnati nel. combattimento, che acclamano per turno il Re della gloria. Ben presto la porta si apre allorché il suddiacono vi avrà bussato per tre volte con l’asta della croce; così la croce di Gesù ci apre il cielo e la processione entra in Chiesa, come gli eletti entreranno un giorno con Cristo nella gloria eterna. — Conserviamo religiosamente nella nostra casa un ramoscello di olivo benedetto. Questo sacramentale, in virtù della preghiera della Chiesa, ci farà ottenere i favori del cielo e renderà più ferma la nostra fede in Gesù che, pieno di misericordia (simboleggiata dall’olivo, di cui l’olio mitiga le piaghe), ha vinto (vittoria simboleggiata dalle palme) il demonio, il peccato e la morte.

2. — Messa della Domenica delle Palme.

La benedizione delle palme si faceva a Santa Maria Maggiore, che a Roma rappresenta Betlemme, dove nacque Colui che i Magi proclamarono « Re dei Giudei ». La processione andava da questa Basilica a quella di S. Giovanni Laterano nella quale si teneva altre volte la Stazione, poiché, essendo dedicata al Santo Salvatore, essa rievoca il ricordo della Passione di cui tratta la Messa . — Il trionfo del Salvatore deve essere preceduto dalla « sua umiliazione fino alla morte e fino alla morte di croce » (Ep.) umiliazione che ci servirà di modello « affinché mettendo a profitto gli insegnamenti della sua pazienza possiamo renderci partecipi anche della sua risurrezione » (Or.).

Benedictio Palmorum

Ant. Hosánna fílio David: benedíctus, qui venit in nómine Dómini. O Rex Israël: Hosánna in excélsis. [Osanna al Figlio di David, benedetto Colui che  viene nel nome del Signore. O Re di Israele: Osanna nel più alto dei cieli!]
Orémus.
Bene dic, quǽsumus, Dómine, hos palmárum ramos: et præsta; ut, quod pópulus tuus in tui veneratiónem hodiérna die corporáliter agit, hoc spirituáliter summa devotióne perfíciat, de hoste victóriam reportándo et opus misericórdiæ summópere diligéndo. Per Christum Dominum nostrum.

[Bene ☩ dici Signore, te ne preghiamo, questi rami di palma e concedi che quanto il tuo popolo ha celebrato materialmente in tuo onore, lo compia spiritualmente con somma devozione, vincendo il nemico e corrispondendo con profondo amore all’opera della tua misericordia. Per Cristo nostro Signore.]

De distributione ramorum

Ant. Púeri Hebræórum, portántes ramos olivárum, obviavérunt Dómino, clamántes et dicéntes: Hosánna in excélsisI

[I fanciulli ebrei, portando rami di olivo, andarono incontro al Signore, acclamando e dicendo: Osanna nel più alto dei cieli.].


D
ómini est terra et plenitúdo eius, orbis terrárum et univérsi qui hábitant in eo. Quia ipse super mária fundávit eum et super flúmina præparávit eum.
Ant. Púeri Hebræórum, portántes …

Attóllite portas, príncipes, vestras: et elevámini, portæ æternáles: et introíbit rex glóriæ.
Quis est iste rex glóriæ? Dóminus fortis et potens: Dóminus potens in prǽlio.
Ant. Púeri Hebræórum, portántes…

Attóllite portas, príncipes, vestras: et elevámini, portæ æternáles: et introíbit rex glóriæ. Quis est iste rex glóriæ? Dóminus virtútum ipse est rex glóriæ.
Ant. Púeri Hebræórum, portántes

Ant. Púeri Hebræórum, portántes

Ant. Púeri Hebræórum vestiménta prosternébant in via, et clamábant dicéntes: Hosánna filio David; benedíctus qui venit in nómine Dómini. .

[I fanciulli Ebrei stendevano le loro vesti sulla via e acclamavano dicendo: Osanna al Piglio di David! Benedetto Colui che viene nel nome del Signore!]


Omnes gentes pláudite mánibus: iubiláte Deo in voce exultatiónis.
Quóniam Dóminus excélsus, terríbilis, rex magnus super omnem terram.
Ant. Púeri Hebræórum  …
Subiécit pópulos nobis: et gentes sub pédibus nóstris.
Elegit nobis hereditátem suam: spéciem Iacob quam diléxit.
Ant. Púeri Hebræórum

Ascéndit Deus in iúbilo: et Dóminus in voce tubæ.
Psállite Deo nostro, psállite: psállite regi nostro, psállite.
Ant. Púeri Hebræórum …

Quóniam rex omnis terræ Deus: psállite sapiénter.
Regnávit Deus super gentes: Deus sedit super sedem sanctam suam.
Ant. Púeri Hebræórum vestiménta

Príncipes populórum congregáti sunt cum Deo Abraham: quóniam Dei fortes terræ veheménter elevati sunt.
Ant. Púeri Hebræórum vestiménta

Ant. Púeri Hebræórum vestiménta prosternébant in via, et clamábant dicéntes: Hosánna filio David; benedíctus qui venit in nómine Dómini.

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum.

[Matth. XXI, 1-9]

“In illo témpore: Cum appropinquásset Jesus Jerosólymis, et venísset Béthphage ad montem Olivéti: tunc misit duos discípulos suos, dicens eis: Ite in castéllum, quod contra vos est, et statim inveniétis ásinam alligátam et pullum cum ea: sólvite et addúcite mihi: et si quis vobis áliquid dixerit, dícite, quia Dóminus his opus habet, et conféstim dimíttet eos. Hoc autem totum factum est, ut adimplerétur, quod dictum est per Prophétam, dicéntem: Dícite fíliae Sion: Ecce, Rex tuus venit tibi mansuétus, sedens super ásinam et pullum, fílium subjugális. Eúntes autem discípuli, fecérunt, sicut præcépit illis Jesus. Et adduxérunt ásinam et pullum: et imposuérunt super eos vestiménta sua, et eum désuper sedére tecérunt. Plúrima autem turba stravérunt vestiménta sua in via: álii autem cædébant ramos de arbóribus, et sternébant in via: turbæ autem, quæ præcedébant et quæ sequebántur, clamábant, dicéntes: Hosánna fílio David: benedíctus, qui venit in nómine Dómini”.

[In quel tempo: avvicinandosi a Gerusalemme, arrivato a Bètfage, vicino al monte degli ulivi, Gesù mandò due suoi discepoli, dicendo loro: «Andate nel villaggio dirimpetto a voi, e subito vi troverete un’asina legata con il suo puledro: scioglietela e conducetemela. E, se qualcuno vi dirà qualche cosa, dite: il Signore ne ha bisogno; e subito ve li rilascerà». Ora tutto questo avvenne perché si adempisse quanto detto dal Profeta: «Dite alla figlia di Sion : Ecco il tuo Re viene a Te, mansueto, seduto sopra di un’asina ed asinello puledro di una giumenta». I Discepoli andarono e fecero come Gesù aveva loro detto. Menarono l’asina ed il puledro, vi misero sopra i mantelli e Gesù sopra a sedere. E molta gente stese i mantelli lungo la strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li spargevano sulla via, mentre le turbe che precedevano e seguivano gridavano: «Osanna al Figlio di Davide; benedetto Colui che viene nel nome del Signore».]

De processione cum ramis benedictis

Procedámus in pace.

Occúrrunt turbæ cum flóribus et palmis Redemptóri óbviam: et victóri triumphánti digna dant obséquia: Fílium Dei ore gentes prædicant: et in laudem Christi voces tonant per núbila: «Hosánna in excélsis».

[Con fiori e palme le folle vanno ad incontrare il Redentore e rendono degno ossequio al Vincitore trionfante. Le nazioni lo proclamano Figlio di Dio e nell’etere risuona a lode di Cristo un canto: Osanna nel più alto dei cieli!]

Cum Angelis et púeris fidéles inveniántur, triumphatóri mortis damántes: «Hosánna in excélsis».

[Facciamo di essere anche noi fedeli come gli Angeli ed i fanciulli, acclamando al vincitore della morte: Osanna nel più alto dei cieli!]


Turba multa, quæ convénerat ad diem festum, clamábat Dómino: Benedíctus, qui venit in nómine Dómini: «Hosánna in excélsis».

[Immensa folla, convenuta per la Pasqua, acclamava ai Signore: Benedetto Colui che viene nel nome del Signore! Osanna nell’alto dei cieli!]
Cœpérunt omnes turbæ descendéntium gaudéntes laudáre Deum voce magna, super ómnibus quas víderant virtútibus, dicéntes: «Benedíctus qui venit Rex in nómine Dómini; pax in terra, et glória in excélsis».

[Tutta la turba dei discepoli discendenti dal monte Oliveto cominciò con letizia a lodar Dio ad alta voce per tutti i prodigi che aveva veduti dicendo: Benedetto il Re che viene nel nome del Signore; pace in terra e gloria nell’alto dei cieli.]

Hymnus ad Christum Regem

Glória, laus et honor tibi sit, Rex Christe, Redémptor: Cui pueríle decus prompsit Hosánna pium.
Glória, laus et honor tibi sit, Rex Christe, Redémptor: Cui pueríle decus prompsit Hosánna pium.
Israël es tu Rex, Davidis et ínclita proles: Nómine qui in Dómini, Rex benedícte, venis.
Glória, laus et honor tibi sit, Rex Christe, Redémptor: Cui pueríle decus prompsit Hosánna pium.
Coetus in excélsis te laudat caelicus omnis, Et mortális homo, et cuncta creáta simul.
Glória, laus et honor tibi sit, Rex Christe, Redémptor: Cui pueríle decus prompsit Hosánna pium.
Plebs Hebraea tibi cum palmis óbvia venit: Cum prece, voto, hymnis, ádsumus ecce tibi.
Glória, laus et honor tibi sit, Rex Christe, Redémptor: Cui pueríle decus prompsit Hosánna pium.
Hi tibi passúro solvébant múnia laudis: Nos tibi regnánti pángimus ecce melos.
Glória, laus et honor tibi sit, Rex Christe, Redémptor: Cui pueríle decus prompsit Hosánna pium.
Hi placuére tibi, pláceat devótio nostra: Rex bone, Rex clemens, cui bona cuncta placent.
Glória, laus et honor tibi sit, Rex Christe, Redémptor: Cui pueríle decus prompsit Hosánna pium

[Gloria, lode e onore sia a te, Re Cristo Redentore, al quale i migliori fanciulli cantarono piamente: Osanna.
Gloria, lode e onore sia a te, Re Cristo Redentore, al quale i migliori fanciulli cantarono piamente: Osanna.
Tu sei il Re di Israele, il nobile figlio di David, o Re benedetto che vieni nel nome del Signore.
Gloria, lode e onore sia a te, Re Cristo Redentore, al quale i migliori fanciulli cantarono piamente: Osanna.
L‘intera corte angelica nel più alto dei cieli, l’uomo mortale e tutte le creature celebrano insieme le tue lodi.
Gloria, lode e onore sia a te, Re Cristo Redentore, al quale i migliori fanciulli cantarono piamente: Osanna.
Il popolo Ebreo ti veniva dinanzi con le palme, ed eccoci dinanzi a te, con preghiere, con voti e cantici.
Gloria, lode e onore sia a te, Re Cristo Redentore, al quale i migliori fanciulli cantarono piamente: Osanna.
Essi ti offrivano il tributo del loro omaggio, quando tu andavi a soffrire; noi eleviamo questi canti a te che ora regni.
Gloria, lode e onore sia a te, Re Cristo Redentore, al quale i migliori fanciulli cantarono piamente: Osanna.
Ti piacquero essi: ti piaccia anche la nostra devozione, o Re di bontà, Re clemente, a cui ogni cosa buona piace.
Gloria, lode e onore sia a te, Re Cristo Redentore, al quale i migliori fanciulli cantarono piamente: Osanna.]

Ant. Omnes colláudant nomen tuum, et dicunt: «Benedíctus qui venit in nómine Dómini: Hosánna in excélsis».

Psalmus CXLVII
Lauda, Jerúsalem, Dóminum: * lauda Deum tuum, Sion.
Quóniam confortávit seras portárum tuárum: * benedíxit fíliis tuis in te.
Qui pósuit fines tuos pacem: * et ádipe fruménti sátiat te.
Qui emíttit elóquium suum terræ: * velóciter currit sermo ejus.
Qui dat nivem sicut lanam: * nébulam sicut cínerem spargit.
Mittit crystállum suam sicut buccéllas: * ante fáciem frígoris ejus quis sustinébit?
Emíttet verbum suum, et liquefáciet ea: * flabit spíritus ejus, et fluent aquæ.
Qui annúntiat verbum suum Jacob: * justítias, et judícia sua Israël.
Non fecit táliter omni natióni: * et judícia sua non manifestávit eis.
Ant. Omnes colláudant nomen tuum, et dicunt: «Benedíctus qui venit in nómine Dómini: Hosánna in excélsis».

Fulgéntibus palmis prostérnimur adveniénti Dómino: huic omnes occurrámus cum hymnis et cánticis, glorificántes et dicéntes: «Benedíctus Dóminus».

[Di festosi rami ornati, ci prostriamo al Signor che viene: a Lui incontro corriamo tra inni e canti, Lui glorifichiamo dicendo: Benedetto il Signore!]

Ave, Rex noster, Fili David, Redémptor mundi, quem prophétæ praedixérunt Salvatórem dómui Israël esse ventúrum. Te enim ad salutárem víctimam Pater misit in mundum, quem exspectábant omnes sancti ab orígine mundi, et nunc: «Hosánna Fílio David. Benedíctus qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis».

[Ave, o nostro Re, Figlio di David, Redentore del mondo, preannunciato dai Profeti come Salvatore venuto per la casa d’Israele. Il Padre mandò Te come vittima di redenzione per il mondo; T’aspettavano tutti i santi sin dall’origine del mondo, ed ora: Osanna, Figlio di David. Benedetto Colui che viene nel nome del Signore. Osanna nel più alto dei Cieli!]

Oremus.
Dómine Jesu Christe, Rex ac Redémptor noster, in cuius honórem, hoc ramos gestántes, solémnes laudes decantávimus: concéde propítius ut, quocúmque hi rami deportáti fúerint, ibi tuæ benedictiónis grátia descéndat, et quavis dǽmonum iniquitáte vel illusióne profligáta, déxtera tua prótegat, quos redémit: Qui vivis et regnas in sǽcula sæculórum.

Ingrediénte Dómino in sanctam civitátem, Hebræórum púeri resurrectiónem vitæ pronuntiántes,
Cum ramis palmárum: «Hosánna, clamábant, in excélsis».
Cum audísset pópulus, quod Jesus veníret Jerosólymam, exiérunt óbviam ei.
Cum ramis palmárum: «Hosánna, clamábant, in excélsis».

[Mentre il Signore entrava nella città santa, i fanciulli ebrei proclamavano la risurrezione alla vita,
Agitando rami di palma e acclamando: Osanna nel più alto dei cieli!
Avendo il popolo sentito che Gesù si avvicinava a Gerusalemme, gli mosse incontro
Agitando rami di palma e acclamando: Osanna nel più alto dei cieli!]

Oremus.
Dómine Jesu Christe, Rex ac Redémptor noster, in cuius honórem, hoc ramos gestántes, solémnes laudes decantávimus: concéde propítius ut, quocúmque hi rami deportáti fúerint, ibi tuæ benedictiónis grátia descéndat, et quavis dǽmonum iniquitáte vel illusióne profligáta, déxtera tua prótegat, quos redémit: Qui vivis et regnas in sǽcula sæculórum.

[Signor Gesù Cristo, Re e Redentore nostro, in onore del quale abbiamo cantato lodi solenni, portando questi rami, concedi propizio che la grazia della tua benedizione discenda dovunque questi rami saranno portati e che la tua destra protegga i redenti togliendo di mezzo a loro ogni iniquità ed illusione diabolica. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.]

Introitus

Ps XXI: 20 et 22.

Dómine, ne longe fácias auxílium tuum a me, ad defensiónem meam áspice: líbera me de ore leonis, et a córnibus unicórnium humilitátem meam.

[Tu, o Signore, non allontanare da me il tuo soccorso, prendi cura della mia difesa: salvami dalla bocca del leone, e salva la mia debolezza dalle corna dei bufali.]

Ps XXI:2 Deus, Deus meus, réspice in me: quare me dereliquísti? longe a salúte mea verba delictórum meórum.

[Dio mio, Dio mio, guardami: perché mi hai abbandonato? La salvezza si allontana da me alla voce dei miei delitti].

Dómine, ne longe fácias auxílium tuum a me, ad defensiónem meam áspice: líbera me de ore leonis, et a córnibus unicórnium humilitátem meam.

[Tu, o Signore, non allontanare da me il tuo soccorso, prendi cura della mia difesa: salvami dalla bocca del leone, e salva la mia debolezza dalle corna dei bufali.]

Oratio

Omnípotens sempitérne Deus, qui humáno generi, ad imitandum humilitátis exémplum, Salvatórem nostrum carnem súmere et crucem subíre fecísti: concéde propítius; ut et patiéntiæ ipsíus habére documénta et resurrectiónis consórtia mereámur.

[Onnipotente eterno Dio, che per dare al genere umano un esempio d’umiltà da imitare, volesti che il Salvatore nostro s’incarnasse e subisse la morte di Croce: propizio concedi a noi il merito di accogliere gli insegnamenti della sua pazienza, e di partecipare alla sua risurrezione.]

Epistola

Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Philippénses. Phil II: 5-11

“Fratres: Hoc enim sentíte in vobis, quod et in Christo Jesu: qui, cum in forma Dei esset, non rapínam arbitrátus est esse se æqualem Deo: sed semetípsum exinanívit, formam servi accípiens, in similitúdinem hóminum factus, et hábitu invéntus ut homo. Humiliávit semetípsum, factus oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis. Propter quod et Deus exaltávit illum: ei donávit illi nomen, quod est super omne nomen: hic genuflectitur ut in nómine Jesu omne genuflectátur cœléstium, terréstrium et inférnorum: et omnis lingua confiteátur, quia Dóminus Jesus Christus in glória est Dei Patris.”

[“Fratelli: Siano in voi gli stessi sentimenti che furono in Gesù Cristo, il quale, essendo della natura di Dio, non ritenne come una preda la sua parità con Dio, ma spogliò se stesso, prendendo la natura dì servo, divenuto simile agli uomini, e all’aspetto riconosciuto quale uomo. Abbassò, se stesso facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce. Perciò Dio lo ha sublimato, e gli ha dato un nome superiore a ogni altro nome; perché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio in cielo, sulla terra e nell’inferno, e ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre”.]

LA GRANDE UMILIAZIONE.

Entriamo oggi nella Settimana Santa, durante la quale la Chiesa ci fa rivivere giorno per giorno; starei per dire ora per ora il mistero della passione e della morte di Gesù, segreto della nostra Redenzione. San Paolo nel brano della sua Epistola a quei di Filippi che forma la lettura di questa domenica ci dà la chiave, il segreto, la filosofia di questo mistero. Come ci redime N. Signore Gesù? Disfacendo pezzo per pezzo l’opera del peccato. Egli è il novello Adamo, antitesi dell’antico. La Passione è la negazione delle colpe antiche. Il riscontro ha persino dei lati materiali: da un giardino all’altro, dal giardino delle colpe all’orto dell’espiazione. Là e qua un albero; là l’albero della morte, qua l’albero della vita, la Croce. È la colpa d’Adamo la colpa classica e tipica, che cosa è essa mai? Due parole la descrivono, la definiscono, due brevi tremende parole: orgoglio e piacere, piacere ed orgoglio. L’orgoglio primeggia per chi approfondisce le cose. E la grande, la classica espiazione sarà il rovescio: umiltà e dolore. Un capolavoro di umiltà, come la colpa classica fu un capolavoro di orgoglio. Ci sono anche i capolavori del male. Paolo canta questa eroica umiltà del Verbo Incarnato, Gesù Cristo; l’accento del suo discorso è lirico, la sostanza è d’una logica stringente. L’umiltà è nei due poli: Verbo — Incarnato, Dio — uomo. Era nella forma di Dio, dice San Paolo, poteva senza scrupolo, senza timor di usurpazione dirsi uguale a Dio, senza timore d’ingiustizia e di usurpazione, non come Adamo che usurpò, volle usurpare quella uguaglianza. Era nella forma di Dio e volle prendere forma di schiavo. « Humiliavit semetìpsum formam servi accipìens ». Padrone, volle diventare servo. È la forma specifica e logicamente efficace della umiliazione espiatrice. Perché l’orgoglio del colpevole Adamo era stato un orgoglio ribelle, un orgoglio affermatosi proprio lì, non voler obbedire alla legge, accettare la servitù, sottostare alla padronanza e signoria divina: ribellione alla legge. La soggezione volontaria distrugge, disfà la volontaria ribellione. Tanto più e tanto meglio perché dalle due parti le cose si spingono all’eroismo, l’eroismo della morte. Adamo affrontala morte con la sua ribellione. C’è la taglia della morte come sanzione del precetto di Dio, ed Adamo malgrado questa sanzione calpesta questo divieto. Eroico, malamente, maeroico, eroico di un eroismo protervo, ma eroismo. Splendidamente, nobilmente eroica sarà l’espiazione di Gesù obbediente, nota San Paolo, fino alla morte, e che morte! La più ignominiosa e la più crudele. La più ignominiosa perché l’umiltà eroica del sacrificio ubbidiente sia autentica e perché all’umiltà il sacrificio del Martire del Golgota accoppi il dolore, lo strazio — antitesi e antidoto del piacere. Non si potrebbe essere più brevi, succosi e profondi di quello che è San Paolo in queste poche linee, le quali ci rivelano non solo il mistero intimo di quella colpa e di questa espiazione, ma di ogni colpa e di ogni espiazione, di ogni colpa per farla detestare, di ogni espiazione per farla amare. Ma l’antitesi continua anche nella catastrofe dei due drammi. Perché l’epilogo del dramma della colpa è un disastro: il ribelle è battuto, l’orgoglioso è, giustamente, umiliato. Nello sforzo di erigersi oltre misura, si esaurisce e si accascia il gigante, il Capaneo, Adamo. Nello sforzo nobile della sua umiliazione si aderge Gesù o, per usare la propria frase di San Paolo, quel Dio davanti a cui Gesù (nella sua e colla sua umanità) si è umiliato « lo esaltò e gli diede un Nome superiore ad ogni altro, affinché in quel Nome e davanti ad esso tutti genuflettano in cielo, in terra e negli abissi ». L’epilogo dell’apoteosi per l’umiltà. Cerchiamo di essere primi in questa genuflessione; cerchiamo di farla più che nessun altro, alla scuola di Paolo, conscia e profonda.

(G. Semeria: Epistole della Domenica – Milano – 1939)

Graduale

Ps LXXII:24 et 1-3 Tenuísti manum déxteram meam: et in voluntáte tua deduxísti me: et cum glória assumpsísti me.

[Tu mi hai preso per la destra, mi hai guidato col tuo consiglio, e mi ‘hai accolto in trionfo.]

Quam bonus Israël Deus rectis corde! mei autem pæne moti sunt pedes: pæne effúsi sunt gressus mei: quia zelávi in peccatóribus, pacem peccatórum videns.

[Com’è buono, o Israele, Iddio con chi è retto di cuore. Per poco i miei piedi non vacillarono; per poco i miei passi non sdrucciolarono; perché io ho invidiato i peccatori, vedendo la prosperità degli empi.]

Tractus

Ps. XXI: 2-9, 18, 19, 22, 24, 32

Deus, Deus meus, réspice in me: quare me dereliquísti?

Longe a salúte mea verba delictórum meórum.

Deus meus, clamábo per diem, nec exáudies: in nocte, et non ad insipiéntiam mihi.

Tu autem in sancto hábitas, laus Israël.

In te speravérunt patres nostri: speravérunt, et liberásti eos.

Ad te clamavérunt, et salvi facti sunt: in te speravérunt, et non sunt confusi.

Ego autem sum vermis, et non homo: oppróbrium hóminum et abjéctio plebis.

Omnes, qui vidébant me, aspernabántur me: locúti sunt lábiis et movérunt caput.

Sperávit in Dómino, erípiat eum: salvum fáciat eum, quóniam vult eum.

Ipsi vero consideravérunt et conspexérunt me: divisérunt sibi vestiménta mea, et super vestem meam misérunt mortem.

Líbera me de ore leónis: et a córnibus unicórnium humilitátem meam.

Qui timétis Dóminum, laudáte eum: univérsum semen Jacob, magnificáte eum.

Annuntiábitur Dómino generátio ventúra: et annuntiábunt coeli justítiam ejus.

Pópulo, qui nascétur, quem fecit Dóminus.

[Dio, Dio mio, volgiti a me: perché mi hai abbandonato?
V. La voce dei miei delitti allontana da me la mia salvezza.
V. Dio mio, grido il giorno, e non rispondi: la notte, e non c’è requie per me.
V. Eppure tu abiti nel santuario, o gloria d’Israele.
V. In te confidavano i nostri padri: confidavano, e tu li liberavi.
V. A te gridavano, ed erano salvati: in te confidavano, e non avevano da arrossire.
V. Ma io sono un verme, e non un uomo: lo zimbello della gente, e il rifiuto della plebe.
V. Tutti quelli che mi vedevano, si facevano beffe di me: storcevano la bocca e scrollavano il capo.
V. Ha confidato nel Signore, lo salvi, giacché gli vuol bene.
V. Essi mi osservarono e tennero gli occhi su di me: si spartirono le mie vesti, e tirarono a sorte la mia tunica.
V. Salvami dalle zanne del leone: dalle corna degli unicorni salva la mia pochezza.
V. Voi che temete il Signore, lodatelo: voi tutti, o prole di Giacobbe. glorificatelo.
V. Sarà chiamata col nome del Signore la generazione che verrà; e i cieli annunzieranno la giustizia di lui.
V. Al popolo che sorgerà, e che sarà opera del Signore.]

Evangelium

Pássio Dómini nostri Jesu Christi secúndum Matthǽum.

[Matt XXVI:1-75; XXVII:1-66].

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: J. Scitis, quid post bíduum Pascha fiet, et Fílius hóminis tradétur, ut crucifigátur. C. Tunc congregáti sunt príncipes sacerdótum et senióres pópuli in átrium príncipis sacerdótum, qui dicebátur Cáiphas: et consílium fecérunt, ut Jesum dolo tenérent et occíderent. Dicébant autem: S. Non in die festo, ne forte tumúltus fíeret in pópulo. C. Cum autem Jesus esset in Bethánia in domo Simónis leprósi, accéssit ad eum múlier habens alabástrum unguénti pretiósi, et effúdit super caput ipsíus recumbéntis. Vidéntes autem discípuli, indignáti sunt, dicéntes: S. Ut quid perdítio hæc? pótuit enim istud venúmdari multo, et dari paupéribus. C. Sciens autem Jesus, ait illis: J. Quid molésti estis huic mulíeri? opus enim bonum operáta est in me. Nam semper páuperes habétis vobíscum: me autem non semper habétis. Mittens enim hæc unguéntum hoc in corpus meum, ad sepeliéndum me fecit. Amen, dico vobis, ubicúmque prædicátum fúerit hoc Evangélium in toto mundo, dicétur et, quod hæc fecit, in memóriam ejus. C. Tunc ábiit unus de duódecim, qui dicebátur Judas Iscariótes, ad príncipes sacerdótum, et ait illis: S. Quid vultis mihi dare, et ego vobis eum tradam? C. At illi constituérunt ei trigínta argénteos. Et exínde quærébat opportunitátem, ut eum tráderet. Prima autem die azymórum accessérunt discípuli ad Jesum, dicéntes: S. Ubi vis parémus tibi comédere pascha? C. At Jesus dixit: J. Ite in civitátem ad quendam, et dícite ei: Magíster dicit: Tempus meum prope est, apud te fácio pascha cum discípulis meis. C. Et fecérunt discípuli, sicut constítuit illis Jesus, et paravérunt pascha. Véspere autem facto, discumbébat cum duódecim discípulis suis. Et edéntibus illis, dixit: J. Amen, dico vobis, quia unus vestrum me traditúrus est. C. Et contristáti valde, coepérunt sínguli dícere: S. Numquid ego sum, Dómine? C. At ipse respóndens, ait: J. Qui intíngit mecum manum in parópside, hic me tradet. Fílius quidem hóminis vadit, sicut scriptum est de illo: væ autem hómini illi, per quem Fílius hóminis tradétur: bonum erat ei, si natus non fuísset homo ille. C. Respóndens autem Judas, qui trádidit eum, dixit: S. Numquid ego sum, Rabbi? C. Ait illi: J. Tu dixísti. C. Cenántibus autem eis, accépit Jesus panem, et benedíxit, ac fregit, dedítque discípulis suis, et ait: J. Accípite et comédite: hoc est corpus meum. C. Et accípiens cálicem, grátias egit: et dedit illis, dicens: J. Bíbite ex hoc omnes. Hic est enim sanguis meus novi Testaménti, qui pro multis effundétur in remissiónem peccatórum. Dico autem vobis: non bibam ámodo de hoc genímine vitis usque in diem illum, cum illud bibam vobíscum novum in regno Patris mei. C. Et hymno dicto, exiérunt in montem Olivéti. Tunc dicit illis Jesus: J. Omnes vos scándalum patiémini in me in ista nocte. Scriptum est enim: Percútiam pastórem, et dispergéntur oves gregis. Postquam autem resurréxero, præcédam vos in Galilaeam. C. Respóndens autem Petrus, ait illi: S. Et si omnes scandalizáti fúerint in te, ego numquam scandalizábor. C. Ait illi Jesus: J. Amen, dico tibi, quia in hac nocte, antequam gallus cantet, ter me negábis. C. Ait illi Petrus: S. Etiam si oportúerit me mori tecum, non te negábo. C. Simíliter et omnes discípuli dixérunt. Tunc venit Jesus cum illis in villam, quæ dícitur Gethsémani, et dixit discípulis suis: J. Sedéte hic, donec vadam illuc et orem. C. Et assúmpto Petro et duóbus fíliis Zebedaei, coepit contristári et mæstus esse. Tunc ait illis: J. Tristis est ánima mea usque ad mortem: sustinéte hic, et vigilate mecum. C. Et progréssus pusíllum, prócidit in fáciem suam, orans et dicens: J. Pater mi, si possíbile est, tránseat a me calix iste: Verúmtamen non sicut ego volo, sed sicut tu. C. Et venit ad discípulos suos, et invénit eos dormiéntes: et dicit Petro: J. Sic non potuístis una hora vigiláre mecum? Vigiláte et oráte, ut non intrétis in tentatiónem. Spíritus quidem promptus est, caro autem infírma. C. Iterum secúndo ábiit et orávit, dicens: J. Pater mi, si non potest hic calix transíre, nisi bibam illum, fiat volúntas tua. C. Et venit íterum, et invenit eos dormiéntes: erant enim óculi eórum graváti. Et relíctis illis, íterum ábiit et orávit tértio, eúndem sermónem dicens. Tunc venit ad discípulos suos, et dicit illis: J. Dormíte jam et requiéscite: ecce, appropinquávit hora, et Fílius hóminis tradétur in manus peccatórum. Súrgite, eámus: ecce, appropinquávit, qui me tradet. C. Adhuc eo loquénte, ecce, Judas, unus de duódecim, venit, et cum eo turba multa cum gládiis et fústibus, missi a princípibus sacerdótum et senióribus pópuli. Qui autem trádidit eum, dedit illis signum, dicens: S. Quemcúmque osculátus fúero, ipse est, tenéte eum. C. Et conféstim accédens ad Jesum, dixit: S. Ave, Rabbi. C. Et osculátus est eum. Dixítque illi Jesus: J. Amíce, ad quid venísti? C. Tunc accessérunt, et manus injecérunt in Jesum et tenuérunt eum. Et ecce, unus ex his, qui erant cum Jesu, exténdens manum, exémit gládium suum, et percútiens servum príncipis sacerdótum, amputávit aurículam ejus. Tunc ait illi Jesus: J. Convérte gládium tuum in locum suum. Omnes enim, qui accéperint gládium, gládio períbunt. An putas, quia non possum rogáre Patrem meum, et exhibébit mihi modo plus quam duódecim legiónes Angelórum? Quómodo ergo implebúntur Scripturae, quia sic oportet fíeri? C. In illa hora dixit Jesus turbis: J. Tamquam ad latrónem exístis cum gládiis et fústibus comprehéndere me: cotídie apud vos sedébam docens in templo, et non me tenuístis. C. Hoc autem totum factum est, ut adimpleréntur Scripturæ Prophetárum. Tunc discípuli omnes, relícto eo, fugérunt. At illi tenéntes Jesum, duxérunt ad Cáipham, príncipem sacerdótum, ubi scribæ et senióres convénerant. Petrus autem sequebátur eum a longe, usque in átrium príncipis sacerdótum. Et ingréssus intro, sedébat cum minístris, ut vidéret finem. Príncipes autem sacerdótum et omne concílium quærébant falsum testimónium contra Jesum, ut eum morti tráderent: et non invenérunt, cum multi falsi testes accessíssent. Novíssime autem venérunt duo falsi testes et dixérunt: S. Hic dixit: Possum destrúere templum Dei, et post tríduum reædificáre illud. C. Et surgens princeps sacerdótum, ait illi: S. Nihil respóndes ad ea, quæ isti advérsum te testificántur? C. Jesus autem tacébat. Et princeps sacerdótum ait illi: S. Adjúro te per Deum vivum, ut dicas nobis, si tu es Christus, Fílius Dei. C. Dicit illi Jesus: J. Tu dixísti. Verúmtamen dico vobis, ámodo vidébitis Fílium hóminis sedéntem a dextris virtútis Dei, et veniéntem in núbibus coeli. C. Tunc princeps sacerdótum scidit vestiménta sua, dicens: S. Blasphemávit: quid adhuc egémus téstibus? Ecce, nunc audístis blasphémiam: quid vobis vidétur? C. At illi respondéntes dixérunt: S. Reus est mortis. C. Tunc exspuérunt in fáciem ejus, et cólaphis eum cecidérunt, álii autem palmas in fáciem ejus dedérunt, dicéntes: S. Prophetíza nobis, Christe, quis est, qui te percússit? C. Petrus vero sedébat foris in átrio: et accéssit ad eum una ancílla, dicens: S. Et tu cum Jesu Galilaeo eras. C. At ille negávit coram ómnibus, dicens: S. Néscio, quid dicis. C. Exeúnte autem illo jánuam, vidit eum ália ancílla, et ait his, qui erant ibi: S. Et hic erat cum Jesu Nazaréno. C. Et íterum negávit cum juraménto: Quia non novi hóminem. Et post pusíllum accessérunt, qui stabant, et dixérunt Petro: S. Vere et tu ex illis es: nam et loquéla tua maniféstum te facit. C. Tunc cœpit detestári et juráre, quia non novísset hóminem. Et contínuo gallus cantávit. Et recordátus est Petrus verbi Jesu, quod díxerat: Priúsquam gallus cantet, ter me negábis. Et egréssus foras, flevit amáre. Mane autem facto, consílium iniérunt omnes príncipes sacerdótum et senióres pópuli advérsus Jesum, ut eum morti tráderent. Et vinctum adduxérunt eum, et tradidérunt Póntio Piláto praesidi. Tunc videns Judas, qui eum trádidit, quod damnátus esset, pæniténtia ductus, réttulit trigínta argénteos princípibus sacerdótum et senióribus, dicens: S. Peccávi, tradens sánguinem justum. C. At illi dixérunt: S. Quid ad nos? Tu vidéris. C. Et projéctis argénteis in templo, recéssit: et ábiens, láqueo se suspéndit. Príncipes autem sacerdótum, accéptis argénteis, dixérunt: S. Non licet eos míttere in córbonam: quia prétium sánguinis est. C. Consílio autem ínito, emérunt ex illis agrum fíguli, in sepultúram peregrinórum. Propter hoc vocátus est ager ille, Hacéldama, hoc est, ager sánguinis, usque in hodiérnum diem. Tunc implétum est, quod dictum est per Jeremíam Prophétam, dicéntem: Et accepérunt trigínta argénteos prétium appretiáti, quem appretiavérunt a fíliis Israël: et dedérunt eos in agrum fíguli, sicut constítuit mihi Dóminus. Jesus autem stetit ante praesidem, et interrogávit eum præses, dicens: S. Tu es Rex Judæórum? C. Dicit illi Jesus: J. Tu dicis. C. Et cum accusarétur a princípibus sacerdótum et senióribus, nihil respóndit. Tunc dicit illi Pilátus: S. Non audis, quanta advérsum te dicunt testimónia? C. Et non respóndit ei ad ullum verbum, ita ut mirarétur præses veheménter. Per diem autem sollémnem consuéverat præses pópulo dimíttere unum vinctum, quem voluíssent. Habébat autem tunc vinctum insígnem, qui dicebátur Barábbas. Congregátis ergo illis, dixit Pilátus: S. Quem vultis dimíttam vobis: Barábbam, an Jesum, qui dícitur Christus? C. Sciébat enim, quod per invídiam tradidíssent eum. Sedénte autem illo pro tribunáli, misit ad eum uxor ejus, dicens: S. Nihil tibi et justo illi: multa enim passa sum hódie per visum propter eum. C. Príncipes autem sacerdótum et senióres persuasérunt populis, ut péterent Barábbam, Jesum vero pérderent. Respóndens autem præses, ait illis: S. Quem vultis vobis de duóbus dimítti? C. At illi dixérunt: S. Barábbam. C. Dicit illis Pilátus: S. Quid ígitur fáciam de Jesu, qui dícitur Christus? C. Dicunt omnes: S. Crucifigátur. C. Ait illis præses: S. Quid enim mali fecit? C. At illi magis clamábant,dicéntes: S. Crucifigátur. C. Videns autem Pilátus, quia nihil profíceret, sed magis tumúltus fíeret: accépta aqua, lavit manus coram pópulo, dicens: S. Innocens ego sum a sánguine justi hujus: vos vidéritis. C. Et respóndens univérsus pópulus, dixit: S. Sanguis ejus super nos et super fílios nostros. C. Tunc dimísit illis Barábbam: Jesum autem flagellátum trádidit eis, ut crucifigerétur. Tunc mílites praesidis suscipiéntes Jesum in prætórium, congregavérunt ad eum univérsam cohórtem: et exuéntes eum, chlámydem coccíneam circumdedérunt ei: et plecténtes corónam de spinis, posuérunt super caput ejus, et arúndinem in déxtera ejus. Et genu flexo ante eum, illudébant ei, dicéntes: S. Ave, Rex Judæórum. C. Et exspuéntes in eum, accepérunt arúndinem, et percutiébant caput ejus. Et postquam illusérunt ei, exuérunt eum chlámyde et induérunt eum vestiméntis ejus, et duxérunt eum, ut crucifígerent. Exeúntes autem, invenérunt hóminem Cyrenaeum, nómine Simónem: hunc angariavérunt, ut tólleret crucem ejus. Et venérunt in locum, qui dícitur Gólgotha, quod est Calváriæ locus. Et dedérunt ei vinum bíbere cum felle mixtum. Et cum gustásset, nóluit bibere. Postquam autem crucifixérunt eum, divisérunt vestiménta ejus, sortem mitténtes: ut implerétur, quod dictum est per Prophétam dicentem: Divisérunt sibi vestiménta mea, et super vestem meam misérunt sortem. Et sedéntes, servábant eum. Et imposuérunt super caput ejus causam ipsíus scriptam: Hic est Jesus, Rex Judæórum. Tunc crucifíxi sunt cum eo duo latrónes: unus a dextris et unus a sinístris. Prætereúntes autem blasphemábant eum, movéntes cápita sua et dicéntes: S. Vah, qui déstruis templum Dei et in tríduo illud reædíficas: salva temetípsum. Si Fílius Dei es, descénde de cruce. C. Simíliter et príncipes sacerdótum illudéntes cum scribis et senióribus, dicébant: S. Alios salvos fecit, seípsum non potest salvum fácere: si Rex Israël est, descéndat nunc de cruce, et crédimus ei: confídit in Deo: líberet nunc, si vult eum: dixit enim: Quia Fílius Dei sum. C. Idípsum autem et latrónes, qui crucifíxi erant cum eo, improperábant ei. A sexta autem hora ténebræ factæ sunt super univérsam terram usque ad horam nonam. Et circa horam nonam clamávit Jesus voce magna, dicens: J. Eli, Eli, lamma sabactháni? C. Hoc est: J. Deus meus, Deus meus, ut quid dereliquísti me? C. Quidam autem illic stantes et audiéntes dicébant: S. Elíam vocat iste. C. Et contínuo currens unus ex eis, accéptam spóngiam implévit acéto et impósuit arúndini, et dabat ei bíbere. Céteri vero dicébant:S. Sine, videámus, an véniat Elías líberans eum. C. Jesus autem íterum clamans voce magna, emísit spíritum.

Hic genuflectitur, et pausatur aliquantulum. …

Et ecce, velum templi scissum est in duas partes a summo usque deórsum: et terra mota est, et petræ scissæ sunt, et monuménta apérta sunt: et multa córpora sanctórum, qui dormíerant, surrexérunt. Et exeúntes de monuméntis post resurrectiónem ejus, venérunt in sanctam civitátem, et apparuérunt multis. Centúrio autem et qui cum eo erant, custodiéntes Jesum, viso terræmótu et his, quæ fiébant, timuérunt valde, dicéntes: S. Vere Fílius Dei erat iste. C. Erant autem ibi mulíeres multæ a longe, quæ secútæ erant Jesum a Galilaea, ministrántes ei: inter quas erat María Magdaléne, et María Jacóbi, et Joseph mater, et mater filiórum Zebedaei. Cum autem sero factum esset, venit quidam homo dives ab Arimathaea, nómine Joseph, qui et ipse discípulus erat Jesu. Hic accéssit ad Pilátum, et pétiit corpus Jesu. Tunc Pilátus jussit reddi corpus. Et accépto córpore, Joseph invólvit illud in síndone munda. Et pósuit illud in monuménto suo novo, quod excíderat in petra. Et advólvit saxum magnum ad óstium monuménti, et ábiit. Erat autem ibi María Magdaléne et áltera María, sedéntes contra sepúlcrum.

 [In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli: J. Sapete bene che tra due giorni sarà Pasqua, e il Figlio dell’uomo verrà catturato per essere crocifisso. C. Si radunarono allora i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo nell’atrio del principe dei sacerdoti denominato Caifa, e tennero consiglio sul modo di catturar Gesù con inganno, e così poterlo uccidere. Ma dicevano: S. Non però nel giorno di festa perché non sorga un qualche tumulto nel popolo. C. Mentre Gesù si trovava in Betania nella casa di Simone il lebbroso, gli si avvicinò una donna che portava un vaso d’alabastro, pieno d’unguento prezioso, e lo versò sopra il capo di lui che era adagiato alla mensa. Ma nel veder ciò, i discepoli se ne indignarono e dissero: S. Perché tale sperpero? Poteva esser venduto quell’unguento a buon prezzo, e distribuito [il denaro] ai poveri. C. Ma, sentito questo, Gesù disse loro: J. Perché criticate voi questa donna? Ella invero ha fatto un’opera buona con me. I poveri infatti li avete sempre con voi, mentre non sempre potrete avere me. Spargendo poi questo unguento sopra il mio corpo, l’ha sparso come per alludere alla mia sepoltura. In verità io vi dico che in qualunque luogo sarà predicato questo vangelo, si narrerà altresì, in memoria di lei, quello che ha fatto. C. Allora uno dei dodici, detto Giuda Iscariote, se ne andò dai capi dei sacerdoti, e disse loro: S. Che mi volete dare, ed io ve lo darò nelle mani? C. Ed essi gli promisero trenta monete di argento. E da quel momento egli cercava l’occasione opportuna per darlo nelle loro mani. Or il primo giorno degli azzimi si accostarono a Gesù i discepoli e gli dissero: S. Dove vuoi tu che ti prepariamo per mangiare la Pasqua? C. E Gesù rispose loro: J. «Andate in città dal tale e ditegli: Il Maestro ti fa sapere: Il mio tempo oramai si è approssimato; io coi miei discepoli faccio la Pasqua da te». C. E i discepoli eseguirono quello che aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua. Venuta poi la sera [Gesù], si era messo a tavola coi suoi dodici discepoli; e mentre mangiavano, egli disse: J. In verità vi dico che uno di voi mi tradirà. C. Sommamente rattristati, essi cominciarono a uno a uno a dirgli: S. Forse sono io, o Signore? C. Ma egli in risposta disse: J. Chi con me stende [per intingere] la mano nel piatto, è proprio quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo, è vero, se ne andrà, come sta scritto di lui; ma guai a quell’individuo, per opera del quale il Figliuolo dell’uomo sarà tradito! Era bene per lui il non esser mai nato! C. Pigliando la parola, Giuda, che poi lo tradì, gli disse: S. Sono forse io, o Maestro? C. Gli rispose [Gesù]: J. Tu l’hai detto. C. Stando dunque essi a cena, Gesù prese un pane, lo benedisse, lo spezzò e lo porse ai suoi discepoli, dicendo: J. Prendete e mangiate; questo è il mio Corpo. C. E preso un calice, rese le grazie, e lo dette loro, dicendo: J. Bevetene tutti. Questo è il mio Sangue del nuovo testamento, che sarà sparso per molti in remissione dei peccati. E vi dico ancora, che non berrò più di questo frutto della vite fino a quel giorno, in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio. C. Recitato quindi l’inno, uscirono, diretti al Monte oliveto. Disse allora Gesù: J. Tutti voi in questa notte proverete scandalo per causa mia. Sta scritto infatti: Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge. Ma dopo che sarò resuscitato, vi precederò in Galilea. C. In risposta, Pietro allora gli disse: S. Anche se tutti fossero scandalizzati per te, io non mi scandalizzerò mai. C. E Gesù a lui: J. In verità ti dico che in questa medesima notte, prima che il gallo canti, tu mi avrai già rinnegato tre volte. C. E Pietro gli replico: S. Ancorché fosse necessario morire con te, io non ti rinnegherò. C. E dissero lo stesso gli altri discepoli. Arrivò alfine ad un luogo, nominato Getsemani, e Gesù disse ai suoi discepoli: J. Fermatevi qui, mentre io vado più in là a fare orazione. C. E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a farsi triste e ad essere mesto. E disse loro: J. È afflitta l’anima mia fino a morirne. Rimanete qui e vegliate con me. C. E fattosi un poco più in avanti, si prostrò a terra colla faccia e disse: J. Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice. In ogni modo non come voglio io [si faccia], ma come vuoi tu. C. E tornò dai suoi discepoli e li trovò che dormivano. Disse quindi a Pietro: J. E cosi, non poteste vegliare un’ora con me? Vegliate e pregate, perché non siate sospinti in tentazione. Lo spirito, in realtà, è pronto, ma è fiacca la carne. C. Di nuovo se ne andò per la seconda volta, e pregò, dicendo: J. Padre mio, se non può passar questo calice senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà. C. E ritornò di nuovo a loro, e li ritrovò addormentati. I loro occhi erano proprio oppressi dal sonno. E, lasciatili stare, andò nuovamente a pregare per la terza volta, dicendo le stesse parole. Fu allora che si riavvicinò ai suoi discepoli e disse loro: J. Dormite pure e riposatevi. Oramai l’ora è vicina, e il Figlio dell’uomo sarà consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi e andiamo; ecco che è vicino colui che mi tradirà. C. Diceva appunto così, quando arrivò Giuda, uno dei dodici e con lui una gran turba di gente con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti e dagli anziani del popolo. Il traditore, aveva dato loro questo segnale, dicendo: S. Quello che io bacerò, è proprio lui; pigliatelo. C. E, senza indugiare, accostatosi a Gesù, disse: S. Salve, o Maestro! C. E gli dette un bacio. Gesù gli disse: J. Amico, a che fine sei tu venuto? C. E allora si fecero avanti gli misero le mani addosso e lo catturarono. Ma ecco che uno di quelli che erano con Gesù, stesa la mano, sfoderò una spada e, ferito un servo del principe dei sacerdoti, gli staccò un orecchio. Allora gli disse Gesù: J. Rimetti al suo posto la spada, perché chi darà di mano alla spada, di spada perirà. Credi tu forse che io non possa pregare il Padre mio, e che egli non possa fornirmi all’istante più di dodici legioni di Angeli? Come dunque potranno verificarsi le Scritture, dal momento che deve succedere così? C. In quel punto medesimo disse Gesù alle turbe: J. Come un assassino siete venuti a prendermi, con spade e bastoni. Ogni giorno io me ne stavo nel tempio a insegnare, e allora non mi prendeste mai. C. E tutto questo avvenne, perché si compissero le scritture dei Profeti. Dopo ciò, tutti i discepoli lo abbandonarono, dandosi alla fuga. Ma quelli, afferrato Gesù, lo condussero a Caifa; principe dei sacerdoti, presso il quale si erano radunati gli scribi e gli anziani. Pietro però lo aveva seguito alla lontana fino all’atrio del principe dei sacerdoti; ed, entrato là, si era messo a sedere coi servi allo scopo di vedere la fine. I capi dei sacerdoti intanto e tutto il consiglio cercavano una falsa testimonianza contro Gesù per aver modo di metterlo a morte; ma non trovandola, si fecero avanti molti falsi testimoni. Per ultimo se ne presentarono altri due, e dissero: S. Costui disse: Io posso distruggere il tempio di Dio, e in tre giorni posso rifabbricarlo. C. Levatosi su allora il principe dei sacerdoti, disse [a Gesù]: S. Io ti scongiuro per il Dio vivo, che tu ci dica, se sei il Cristo, figlio di Dio. C. Gesù rispose: J. Tu l’hai detto. Anzi vi dico che vedrete altresì il Figlio dell’uomo, assiso alla destra della Potenza di Dio, venir giù sulle nubi del cielo. C. Il principe dei sacerdoti allora si strappò le vesti, dicendo: S. Egli ha bestemmiato! Che abbiamo più bisogno di testimoni? Voi stessi ora ne avete sentito la bestemmia! Che ve ne pare? C. Egli ha bestemmiato! Che abbiamo più bisogno di testimoni? Voi stessi ora ne avete sentito la bestemmia! Che ve ne pare? C. È reo di morte! C. Allora gli sputarono in faccia e lo ammaccarono coi pugni. Altri poi lo schiaffeggiarono e gli dicevano: S. Indovina, o Cristo, chi è che ti ha percosso. C. Pietro intanto se ne stava seduto fuori nell’atrio. Or gli si accostò una serva e gli disse: S. Anche tu eri con Gesù di Galilea. C. Ma egli, alla presenza di tutti, negò, dicendo: S. Non capisco quello che dici. C. Mentre poi stava per uscire dalla porta, lo vide un’altra serva e disse ai presenti: S. Anche lui era con Gesù Nazareno! C. E di nuovo egli negò giurando: S. Io non conosco quest’uomo! C. Di lì a poco gli si avvicinarono coloro che si trovavano là, e dissero a Pietro: S. Tu sei davvero uno di quelli, perché anche il tuo accento ti da a conoscere per tale. C. Cominciò allora a imprecare e a scongiurare che non aveva mai conosciuto quell’uomo. E a un tratto il gallo cantò; allora Pietro si rammentò del discorso di Gesù: «Prima che il gallo canti, tu mi avrai rinnegato tre volte»; ed uscito di là, pianse amaramente. Fattosi poi giorno, tutti i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo congiurarono insieme contro Gesù per metterlo a morte; e, legatolo, lo portarono via e lo presentarono al governatore Ponzio Pilato. Il traditore Giuda, allora, visto che Gesù era stato condannato, sospinto dal rimorso, riportò ai capi dei sacerdoti e agli anziani i trenta denari, e disse: S. Ho fatto male, tradendo il sangue d’un innocente! C. Ma essi risposero: S. Che ci importa? Pensaci tu! C. Gettate perciò nel tempio le trenta monete d’argento, egli si ritirò di là, andando a impiccarsi con un laccio. I capi dei sacerdoti per altro, raccattate le monete, dissero: S. Non conviene metterle colle altre nel tesoro, essendo prezzo di sangue. C. Dopo essersi consultati tra di loro, acquistarono con esse un campo d’un vasaio per seppellirvi i forestieri. Per questo, quel campo fu chiamato Aceldama, vale a dire, campo del sangue; e ciò fino ad oggi. Così si verificò quello che era stato predetto per mezzo di Geremia profeta: «Ed hanno ricevuto i trenta denari d’argento, prezzo di colui che fu venduto dai figliuoli d’Israele, e li hanno impiegati nell’acquisto del campo d’un vasaio, come mi aveva imposto il Signore». Gesù pertanto si trovò davanti al governatore, che lo interrogò, dicendogli: S. Sei tu il re dei giudei? C. Gesù gli rispose: J. Tu lo dici. C. Ed essendo stato accusato dai capi dei sacerdoti e dagli anziani, non rispose nulla. Gli disse allora Pilato: S. Non senti di quanti capi d’accusa ti fanno carico? C. Ma egli non replicò parola, cosicché il governatore ne rimase fortemente meravigliato. Nella ricorrenza della festività [pasquale] il governatore era solito di rilasciare al popolo un detenuto a loro piacimento. Ne aveva allora in prigione uno famoso, chiamato Barabba. A tutti coloro, perciò che si erano ivi radunati, Pilato disse: S. Chi volete che io vi lasci libero? Barabba, oppure Gesù, chiamato il Cristo? C. Sapeva bene che per invidia gliel’avevano condotto lì. Mentre intanto egli se ne stava seduto in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: S. Non aver nulla da fare con quel giusto, perché oggi in sogno ho dovuto soffrire tante ansie per via di lui! C. Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani sobillarono il popolo, perché fosse chiesto Barabba e fosse ucciso Gesù. In risposta allora il governatore disse loro: S. Chi volete che vi sia rilasciato? C. E quei risposero: S. Barabba. C. Replicò loro Pilato: S. Che ne farò dunque di Gesù, chiamato il Cristo? C. E ad una voce, tutti risposero: S. Crocifiggilo! C. Disse loro il governatore: S. Ma che male ha fatto? C. Ed essi gridarono più forte, dicendo: S. Sia crocifisso! C. Vedendo Pilato che non si concludeva nulla, ma anzi che si accresceva il tumulto, presa dell’acqua, si lavò le mani alla presenza del popolo, dicendo: S. Io sono innocente del sangue di questo giusto; è affar vostro! C. E per risposta tutto quel popolo disse: S. Il sangue di lui ricada sopra di noi e sopra i nostri figli! C. Allora rilasciò libero Barabba; e, dopo averlo fatto flagellare, consegnò loro Gesù, perché fosse crocifisso. I soldati del governatore poi trascinarono Gesù nel pretorio e gli schierarono attorno tutta la coorte; e lo spogliarono, rivestendolo d’una clamide di color rosso. Intrecciata poi una corona di spine, gliela posero in testa, e nella mano destra [gli misero] una canna. E piegando il ginocchio davanti a lui, lo deridevano col dire: S. Salve, o re dei Giudei. C. E dopo avergli sputato addosso, presagli la canna, con essa lo battevano nel capo. E dopo che l’ebbero schernito, gli levarono di dosso la clamide, gli rimisero le sue vesti, e lo condussero via per crocifiggerlo. Nell’uscire [di città], trovarono un tale di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a pigliare la croce. E arrivarono a un luogo, detto Golgota, cioè, del cranio. E dettero da bere [a Gesù] del vino mescolato con fiele; ma avendolo egli gustato, non lo volle bere. E dopo che l’ebbero crocifisso, se ne divisero le vesti, tirandole a sorte. E ciò perché si adempisse quello che era stato detto dal Profeta, quando disse: «Si sono divisi i miei abiti ed hanno messo a sorte la mia veste». E, postisi a sedere, gli facevano la guardia. E al di sopra del capo di lui, appesero, scritta, la causa della sua condanna: – Questi è Gesù, re dei Giudei -. Furono allora crocifissi insieme con lui due ladroni: uno a destra ed uno a sinistra. E quelli che passavano di li, lo schernivano, crollando il capo, e dicevano: S. Tu che distruggi il tempio di Dio e che lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso; se sei il Figlio di Dio, scendi giù dalla croce. C. Parimenti anche i capi dei sacerdoti lo deridevano, beffandosi di lui cogli scribi e cogli anziani del popolo, e dicendo: S. Salvò gli altri, e non può salvare se stesso. Se è il re d’Israele, discenda ora dalla croce, e noi gli crederemo. Confidò in Dio. Se vuole, Iddio lo liberi ora! O non disse che era Figliuolo di Dio? C. E questo pure gli rinfacciavano i ladroni che erano stati crocifissi con lui. Si fece poi un gran buio dall’ora sesta fino all’ora nona. E verso l’ora nona Gesù gridò con gran voce: J. Eli, Eli, lamma sabacthani; C. cioè: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Ed alcuni che erano li vicini, sentitolo, dissero: S. Costui chiama Elia! C. E subito uno di loro, correndo, presa una spugna, l’inzuppò nell’aceto, e fermatala in vetta a una canna, gli dette da bere. Gli altri invece dicevano: S. Lasciami vedere, se viene Elia a liberarlo. C. Ma Gesù, gridando di nuovo a gran voce, rese lo spirito. Si genuflette per un momento. Ed ecco che il velo del tempio si divise in due parti dall’alto in basso; e la terra tremò; e le pietre si spaccarono, le tombe si aprirono, e molti corpi di Santi che vi erano sepolti, resuscitarono. Usciti anzi dai monumenti dopo la resurrezione di Lui, entrarono nella città santa e comparvero a molti. Il centurione poi e gli altri che con lui facevano la guardia a Gesù, veduto il terremoto e le cose che succedevano, ne ebbero gran paura e dissero: S. Costui era davvero il Figliuolo di Dio. C. C’erano pure lì, in disparte, molte donne che avevano seguito Gesù dalla Galilea per assisterlo, tra le quali era Maria Maddalena, e Maria di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo. Essendosi poi fatta sera, arrivò un uomo, ricco signore di Arimatea, chiamato Giuseppe, discepolo anche lui di Gesù. Egli si era presentato a Pilato per chiedergli il corpo di Gesù; e Pilato aveva dato ordine che ne fosse restituito il corpo. E, presolo, Giuseppe lo avvolse in un lenzuolo pulito, e lo pose in un sepolcro nuovo, che si era già fatto scavare in un masso; e, dopo aver ribaltata alla bocca della tomba una gran lapide, se ne andò. Erano ivi Maria Maddalena e l’altra Maria, sedute di davanti al sepolcro.]

OMELIA

[G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e … Soc. Ed. Vita e Pens. VI ed. Milano, 1956]

DOMENICA DEGLI ULIVI

Fu un giorno d’entusiasmo. La bella stagione esultava nel cielo sereno e sui campi in giro. Dall’alto dell’Oliveto le turbe strappavano i rami dalle siepi e li agitavano nell’aria esclamando: « Benedetto il Re che viene in nome del Signore! Benedetto nell’altissimo cielo! ». Intanto il piccolo esercito fervente discendeva nel calore del sole, tra il verde e gli inni. Gerusalemme, apri le porte! Quante volte udisti dal labbro de’ tuoi profeti che sarebbe giunto un re di pace, quante volte l’hai sospirato nelle sventure! Or eccolo viene il tuo Re, mansueto; e cavalca un asinello. Solenne, col volto ardente, con gli occhi lucidi di pianto Gesù entrò nella città regina. La terra non conobbe trionfo più bello di questo. Si eran visti dei re venire a possesso della loro capitale circondati dalla potenza dei soldati, e da una folla curiosa: orgoglio di trionfatore e curiosità di popolo, ecco tutto il loro trionfo. Si erano visti conquistatori ritornare in patria in mezzo a tutta la pompa della vittoria: il trionfatore stava sul carro tirato da quattro cavalli bianchi: i veterani e le legioni procedevano innanzi cantando le lodi consuete; ma, dietro, aggiogati barbaramente venivano i vinti, imprecando alla sorte, alla vita, a Roma. Questi trionfi erano costati fiumi di sangue, incendi di città, lacrime d’infinite madri… Non così il trionfo del Figlio di Dio: egli è Re di pace. Ecce rex mansuetus. Intorno a Lui non l’urlo guerriero delle coorti, non il fragore degli scudi, non la fosca rabbia dei vinti incatenati che verranno uccisi nei giochi, o venduti schiavi; ma una fila di ammalati che Egli ha guariti, di poveri che Egli ha evangelizzato, di fanciulli che Egli colmava di carezze. E forse c’era anche il paralitico della piscina e forse c’era colui chiamato nato cieco, e certamente c’era Lazzaro il risuscitato da morte. E tutti levavano rami d’albero. Di quale albero? S. Matteo non lo dice: ma poiché li scerpavano dalle siepi del monte Oliveto, non potevano essere che rami d’ulivo. L’ulivo: il simbolo della pace. Quale altra fronda potevano scegliere gli Ebrei per agitare al passaggio del Re mansueto? Quale altra fronda possiamo noi agitare davanti a Cristo che ritorna trionfante nella santa Pasqua? – La Chiesa, in questa domenica, ad ogni fedele dona un ramo di ulivo benedetto. È con l’ulivo in mano che dobbiamo prepararci a far Pasqua: ossia, è con la pace del cuore. Ma non si può aver pace nel cuore, se prima non si è in pace col prossimo e in pace con Dio. – L’ULIVO È PACE COL PROSSIMO. Giovanni Gualberto viveva, allora, la spensierata vita. Ricco, aitante, abile in armi, amava allegre compagnie della gioventù fiorentina e i giochi e i divertimenti. Una sera, un gentiluomo di Toscana venne a rissa con suo fratello, e glielo uccise. Giovanni, curvo sul cadavere insanguinato, strinse i pugni contro l’assassino che fuggiva e giurò, terribile, di farne vendetta. Passarono dei mesi. Un giorno di Venerdì Santo, in un vicolo, egli s’incontra con la figura d’un torvo cavaliere. Lo riconosce: è l’assassino di suo fratello. Era giunto l’istante della vendetta: quella vendetta che aveva giurato sul sangue fumante, che aveva covato in cuore per giorni e giorni, che aveva sognato nei silenzi della notte, era lì, davanti a lui, e l’affascinava. Mandò un urlo di belva, snudò la spada, e gli fu sopra. Ma quegli, tremando, si buttò in ginocchio nella via deserta e gemette: « Per amore di quel Gesù che oggi muore in croce perdonando a’ suoi crocifissori, tu perdonami! ». C’era nell’aria un silenzio misterioso: le campane tacevano per la morte del Signore. Giovanni sentiva il sangue fargli impeto sulle tempia e sul petto: il pensiero di Gesù morente in croce e perdonante lo dominò.  « Alzati! — disse infine nello sforzo eroico di superarsi. — Nulla ti posso negare di ciò che domandi in nome del Salvatore. Ti dò la vita e l’amicizia e tu prega Dio che mi perdoni com’io perdono a te ». E si abbracciarono. — Quando le campane della Resurrezione squillarono nel cielo di Firenze, nessuno in cuore, provò tanta gioia come Giovanni, poiché nessuno meglio di lui s’era preparato alla Pasqua. E Gesù risorto gli fece la bella grazia di farsi santo: S. Giovanni Gualberto. – Pasqua è imminente: già il Re di pace viene, e vuol trovare pace sul suo passaggio. Guai a quelli che s’accosteranno alle sante feste con odio nel cuore. Gesù non li riconoscerà come suoi discepoli. «Io distinguerò fra tutti i miei discepoli per l’amore che si vorranno tra loro » ha detto un giorno. Nessuno di noi ha ricevuto un’offesa grande come quella che ricevette S. Giovanni Gualberto; e s’egli ha saputo perdonare, nessuno di noi potrà scusarsi da questo dovere. – In quante famiglie non c’è pace: sono fratelli in rissa fra loro, sono cognati, sono nuore che tutto il giorno passano in mormorazioni, in calunnie amare, in alterchi irosi, in silenzio pieno di rancore. Sono veri Cristiani? dicono di esserlo, e di fatto sono battezzati, ma Gesù non li riconosce: «I miei discepoli si amano gli uni e gli altri ». In quanti paesi non c’è pace: una famiglia contro un’altra famiglia, un inquilino contro un altro inquilino, un proprietario contro un proprietario: è per la casa, è per la terra, è per la roba, e intanto c’è odio cordiale. Sono paesi cristiani? Dicono di esserlo, hanno anche una bella chiesa, ma Gesù non li riconosce: «I miei discepoli si amano gli uni e gli altri ». È duro perdonare e amare chi ci fece del male; è un martirio secreto e tremendo ha detto S. Gregorio, che solo conosce chi l’ha provato. Ma Gesù lo vuole, lo comanda: Ego autem dico vobis diligite inimicos vestros. S. Giovanni Gualberto, all’assassino di suo fratello che in nome di Gesù gli chiedeva perdono, rispose: « Nulla ti posso negare di ciò che domandi in nome del Salvatore ». E noi avremo coraggio di negare questo perdono al nostro prossimo, quando è Gesù stesso che ce lo chiede? Oggi, quando tra le mani stringerete il rametto d’ulivo per festeggiare il Re mansueto che viene, ricordatevi che quell’ulivo significa pace col prossimo. – L’ULIVO È PACE CON DIO. Dio è bontà e trova la sua gioia nell’abitare tra gli uomini. Ma quando l’uomo preferisce i suoi piaceri alla legge del Signore e cade in peccato, Dio non lo può sopportare. Fugge da lui, come noi fuggiamo dal serpente; non lo conta più tra i suoi fedeli, tra i suoi amici, tra i suoi figli. L’uomo, allora, cerca altrove la sua pace, ma non la può trovare perché non c’è pace quando s’è in collera con Dio. Iniquitates vestræ diviserunt inter vos et Deum vestrum (Is., LIX, 2). C’è una muraglia tra Dio e voi: è la muraglia della vostra avarizia che non dice mai basta, fosse anche roba d’altri; è la muraglia della vostra superbia che non vuol correzioni né rimproveri; è la muraglia della vostra sensualità, che non vuol freni alle sue sregolatezze. Non si può far Pasqua in collera col Signore; non si può muovere incontro al Re di pace che viene, se tra noi e Lui c’è una muraglia. Bisogna abbatterla con la confessione. – Una domenica degli Ulivi, Santa Gertrude fu presa da scoraggiamento. Le sembrava troppo difficile migliorare la sua vita, e che per lei fosse impossibile diventar santa. Gesù le apparve e la chiamò. « Guarda, le disse, non è difficile, non è impossibile. Basta una cosa sola: che tu dica: voglio ». Ci sono molti che dicono di non poter perdonare certe offese, e neppure dimenticare. Ci sono altri che non vogliono confessarsi perché dicono di non saper resistere a certe tentazioni, a certe abitudini. O Cristiani, non è impossibile, non è difficile correre incontro a Gesù con il ramo d’ulivo, basta volerlo. Volere la pace col prossimo. Volere la pace con Dio. – CIRCOSTANZE DELL’INGRESSO IN GERUSALEMME. Bisognava che una volta almeno Gesù si presentasse al popolo come Messia: scelse, per il suo trionfo d’un giorno, l’ultima domenica della sua vita mortale. I Giudei pretendevano che il Messia arrivasse sulle nuvole ma Egli invece volle arrivare cavalcando un asinello che non aveva mai portato il basto. I discepoli vi avevano adattati i propri mantelli a far da sella. Veniva da Betania e la folla dei suoi amici cominciò a levar grida di gioia, a mettere le vesti sul suo passaggio, a tagliare rami di palma per agitarle o gettare avanti a Lui sulla strada. « Osanna al Figlio di Davide! — si gridava. — Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Evviva il Re d’Israele ». – Noi siamo ora giunti a quel tempo in cui si rinnova questa venuta del Salvatore. La comunione pasquale non è forse l’entrata nel nostro cuore del Figlio di Davide sotto le umili apparenze del pane e del vino? Ed oggi come allora in diversi modi è ricevuto dalle diverse anime. Ci sono anime sante e generose. Ci sono anime farisaiche, insensibili, incostanti. Ci sono anime che vengono da lontano, infangate di gravi peccati, ma piene di buona volontà.  Queste tre categorie d’anime si possono trovare significate in tre circostanze avvenute l’una all’inizio, l’altra a mezzo, e l’ultima alla fine del viaggio trionfale del Signore: il Padrone dell’asinello; il pianto di Gesù; la supplica d’alcuni forestieri. – IL PADRONE DELL’ASINELLO. Quando l’umile drappello si trovò dirimpetto alle case di Betfage, Gesù disse a due dei suoi, probabilmente Pietro e Giovanni: « Andate là, slegate l’asino che troverete, e menatelo qui ». Gli inviati eseguirono a puntino gli ordini. Arrivando alle case, subito scorsero la bestia legata presso una porta sulla strada e la sciolsero. Venne fuori il padrone e disse: « Che cosa fate? ». Gli risposero: « Ne ha bisogno il Signore ». A quella richiesta, subito rilasciò loro l’asinello. Chi era costui? senza dubbio un discepolo segreto di Gesù, sconosciuto agli Apostoli stessi. Ma che bell’anima! Non una difficoltà, non una scusa, non un rincrescimento: lo vuole Gesù, e basta. Non era il solo che amava così profondamente, così generosamente Gesù. Quattro giorni dopo. Pietro e Giovanni ne troveranno un altro. Neppure quest’altro era da loro conosciuto: lo individuarono per un’anfora piena d’acqua che portava, poiché tale era il segno dato loro dal Maestro. Gli dissero: «Il Signore ha bisogno di una stanza dove mangiare la Pasqua con i suoi discepoli ». L’altro subito li condusse in casa, nel salone del piano superiore, e l’adornò con tappeti e cuscini e preparò tutto l’occorrente per un banchetto solenne (Mc., XIV, 12-16). Di queste belle anime i successori di Pietro e Giovanni, cioè i sacerdoti, ne trovano ancora ogni anno. Le vedono accostarsi alla confessione e alla comunione pasquale con una piena dedizione di sé, dei loro affetti, delle loro case, al Signore. Sono i veri discepoli del Signore, ignoti al mondo, ignoti a tutti. Qualunque sacrificio, — di tempo, di danaro, di affetto, di salute, — domandi a loro Gesù essi senza calcolare. glielo dànno. Si sono forse lamentate le palme quando davano i loro rami per adornare la strada del Signore? E queste sante e generose anime si concedono a’ Gesù come le palme. E come le palme fioriranno, « Iustus ut palma florebit ». – IL PIANTO DI GESÙ. A metà cammino, quando il fervoroso corteo giunse in cima al monte degli ulivi, ai loro occhi apparve Gerusalemme, tutta bianca nel sole di mezzogiorno. Gesù la guardò e si mise a piangere. « Conoscessi, almeno oggi, quel che giova alla tua pace! Ma poiché non vuoi conoscere Colui che ti visita, i tuoi figli periranno, e di te non resterà pietra su pietra » (Lc., XIX, 41-44). Benché in mezzo all’esultanza e alle acclamazioni, Gesù non si lascia né travolgere né illudere dal favore popolare. Egli passa le apparenze e penetra nella secreta realtà delle anime. Perciò piangeva. a) Piangeva vedendo che molti gli venivano perfidamente incontro col sorriso sulle labbra, ma con in cuore il tradimento. Ed ancora Gesù Eucaristico, dall’alto del suo altare, tra la moltitudine che viene a riceverlo per la Pasqua, vede di quelli che s’inginocchiano alla balaustra ed hanno il tradimento in cuore. Lo tradiscono con quel peccato taciuto in confessione per vergogna; oppure con quell’abitudine a cui non si vuole rinunciare nonostante gli avvisi del confessore; o anche con quella ingiustizia di danaro o di roba a cui non si vuole riparare. b) Piangeva sul colle degli ulivi vedendo che v’erano di quelli accorsi solo per curiosità, quasi ad uno spettacolo, senza il minimo sentimento d’amore o di fede. Ed ancora dal santo altare Gesù vede che alcuni s’accostano alla Comunione pasquale solo per abitudine, forse per accontentare qualche persona di famiglia, o peggio per rispetto umano: ma non hanno nessuna preparazione, nessun pentimento, nessuna voglia di migliorare l’anima. c) Piangeva sapendo bene che quei medesimi che gli gridavano « osanna! », cinque giorni dopo gli avrebbero gridato « crucifige! », e avrebbero deriso la sua agonia sotto la croce. Ed ancora Gesù sa che ci sono di quelli che fanno Pasqua, e prima che siano passati cinque giorni già sono ritornati a crocifiggerlo nel loro cuore. Che gli è giovato dare il proprio sangue per costoro? d) Pianse il Salvatore in faccia della città che lo riceveva, ma che nonostante sarebbe stata distrutta. Già gli pareva di sentire attraverso le acclamazioni il rantolo disperato dei morenti, già gli pareva di vedere col suo sguardo profetico attraverso alle palme e gli ulivi avanzarsi il ferro e il fuoco dell’esercito sterminatore. Ma forse ancora Gesù vede che certe anime lo ricevono, e nonostante non si salveranno: vede già intorno a loro il bagliore del fuoco eterno che le divorerà per sempre. vede già intorno a loro il rauco grido del demonio vincitore. – LA SUPPLICA DEI FORESTIERI. A sera, quando già la folla s’era dispersa per prendere il cibo e i clamori s’erano quasi spenti, un gruppo di forestieri, convenuti in Gerusalemme per la Pasqua, volevano avvicinarsi a Gesù, conoscerlo da vicino, parlargli a cuore aperto. Ma non osavano: erano pagani e temevano d’essere respinti. Allora presero in disparte uno dei dodici, Filippo, e gli dissero: « Vorremmo vedere Gesù: non potresti presentarci? ». Filippo lo disse ad Andrea: poi tutti e due lo dissero a Gesù. Gesù ricevette quei forestieri, i quali poterono sentire bene mentre diceva: «Se il grano di frumento caduto nella terra non muore, resta solo; ma se muore porta molto frutto. Chi ama la sua vita, la perde; chi odia la sua vita in questo mondo, la salverà per la vita eterna ».  Quei buoni forestieri dovevano comprendere il mistero di queste parole; essi che erano decisi ad odiare la loro vita passata, a morire agli istinti del peccato, per vivere accanto a Gesù nella vita eterna. Se in mezzo alla folla dei Cristiani che in questi giorni si accosterà alla Pasqua. ci sono alcuni che vengono dalle lontananze del peccato, che sono forestieri da anni ed anni nella Chiesa, e desiderano finalmente di avvicinarsi a Gesù, di confidare con Lui, non abbiano nessun timore. Se mai la sfiducia per i loro molti peccati li assale, lo dicano al ministro del Signore nella santa Confessione, così come quei forestieri lo dissero a Filippo: e il sacerdote li presenterà, purificati dal sacramento, a Gesù. – Una leggenda piena di senso cristiano («Il velo della Veronica» di Selma Lageriòf) racconta che l’imperatore Tiberio giaceva ammalato nell’isola di Capri: una lebbra inguaribile lo divorava. La sua vecchia e fedele nutrice, avendo sentito che in Palestina c’era un uomo di nome Gesù che guariva i lebbrosi, decise di andarlo a consultare. Partì per la Palestina. Quand’ella arrivò e cercò di lui, le dissero di correre se voleva giungere a tempo per trovarlo vivo. Lo vide infatti madido di sudore e di sangue camminare sotto la croce verso il luogo del supplizio. Presa da compassione, tese il suo velo per asciugare quel volto grondante… e sul velo restarono impressi i lineamenti divini. E lo riportò al padrone. Appena il moribondo imperatore vide il volto di Cristo, e quegli occhi brucianti fissi su di lui, esclamò dolorosamente: « È questo l’uomo? Egli mi guarisce. Perché l’hai lasciato morire? ». Poi s’inginocchiò davanti a quel velo e mostrandogli le sue mani scarnate e devastate dalla lebbra diceva: « Tutti gli altri e io, siamo selvaggi e crudeli. ‘Tu, tu, sei l’Uomo: abbi pietà di me. Niente fuor che il tuo sguardo può guarirmi ». E si levò sanato. – Cristiani! il peccato è la lebbra che ancora devasta e divora l’uomo. Ma la santa Chiesa, madre amorosa e fedele, per guarirci non si limita a portarci dalla Palestina il velo coi lineamenti sanguinosi del Volto, ma sotto il bianco velo del pane eucaristico ci porta realmente e vivo Gesù, il Figlio di Dio, il Salvatore. Non col bacio di Giuda, ma con l’innocenza di Giovanni e col pentimento di Pietro avviciniamoci all’Ostia consacrata. Non con l’ipocrisia perfida dei Farisei, ma con la generosità del padrone dell’asino, o con le cordiali disposizioni di quei forestieri che lo volevano vedere da vicino, apriamo il cuore nostro a Gesù. Egli ci guarirà. Egli ci santificherà. . IL SACRILEGIO EUCARISTICO. Ecco, o Cristiani, che la Pasqua è vicina e le folle escono un’altra volta incontro a Gesù che viene nella santa Comunione. Ma io non vorrei che ancora Gesù, pallido in fronte, pianga; non vorrei che qualcuno lo accolga, con in cuore il tradimento. Sarebbe una colpa atroce! Eppure può darsi: tanto per togliersi la seccatura della moglie, delle sorelle, della madre, tanto per non far diverso dagli altri, si va a far Pasqua senza le disposizioni necessarie. Una confessione mal fatta: senza pensarci, senza dolore, senza sincerità. Poi… il sacrilegio orribile. Perché nessuno osi ricevere così il Messia nel suo cuore, vi dirò che il sacrilegio eucaristico è il peccato più ingiurioso a Dio, è il peccato più nocivo a noi. – IL PECCATO PIÙ INGIURIOSO A DIO. A Berna nel 1287. Alcuni giudei deliberarono di sorprendere ed avere nei loro artigli un figlio di Cristiani, onde sfogare la rabbia diabolica che li coceva. Uno di questi spiò e attrasse con doni dalla strada nella sua casa un tenero e candido giovinetto di nome Rodolfo, senza che nessuno se ne accorgesse. Ben tosto lo condusse in una cantina profonda, oscura e lurida, dove il fanciullo spaurito scoppiò in pianto. Non ci fu pietà: con un pugnale lo punzecchiò in tutte le parti finché il misero finì di stillar sangue e di vivere. Quando il bestiale carnefice risalì, alla luce del sole, s’avvide che le sue mani e i suoi abiti erano intrisi di sangue, subito corse a detergersi, ma dopo replicate lavande s’accorse che era fatica inutile: il sangue innocente indelebile rosseggiava sulla mano e sulla faccia (Vogel, Vita di S. Rodolfo.19 aprile). Simile a questo è il delitto dell’uomo sacrilego. Non un fanciullo qualunque, ma il Figliuolo della Vergine Maria egli attira nella oscura e lurida cantina del suo cuore. Gli muove incontro col sorriso, con le mani giunte, in mezzo a persone amiche, e poi quando l’ha ricevuto, si fa reo del Corpo e del Sangue di un Dio. Quicumque manducaverit panem hunc, vel biberit calicem Domini indigne, reus erit Corporis et Sanguinis Domini (I Cor., XI, 27). L’uomo non vedrà le macchie di sangue sulla sua mano e sulla sua faccia. Ma gli Angeli le vedono, quelle macchie, le vede Iddio, le vede il demonio… Il peccatore che si comunica indegnamente commette un delitto più odioso di quello degli Ebrei quando sul Calvario han messo in croce Gesù. Se i Giudei avessero conosciuto la gloria del Signore, dice S. Paolo, non l’avrebbero crocifisso mai: essi credevano soltanto di uccidere un uomo, il figlio d’un falegname di Nazareth. Ma il sacrilego che sotto il velo eucaristico tradisce il Signore della gloria, il Figlio dell’Altissimo, il re dei secoli immortale sa che la sua offesa colpisce direttamente Dio e non ha scusa. – Il delitto dei Giudei riuscì utile agli uomini: il sangue da essi versato fu lavacro per le anime nostre. L’Agnello da essi immolato fu la nostra riconciliazione con Dio. Ma quando il sacrilego crocifigge Gesù sull’altare, che utilità ne deriva per sé e degli altri? Nessuna, fuori che maledizione e sventura. Ci sono poi alcune circostanze che possono attenuare la colpa dei Giudei. I sacerdoti e i capi del popolo l’avevano cercato a morte perché Gesù aveva smascherato la loro ipocrisia davanti al popolo chiamandoli sepolcri imbiancati; ma il sacrilego tradisce mentre Gesù si curva a baciarlo, lo uccide mentre Gesù gli sussurra: « Amico mio! ». E poi, non è detto che i crocifissori fossero proprio i ciechi, gli storpi, i lebbrosi guariti da lui: ma il sacrilego è un cieco che Gesù ha illuminato con la fede, è uno storpio che Gesù ha raddrizzato coi buoni consigli, è un lebbroso che Gesù ha mondato più volte con la confessione. Non è un estraneo, ma un beneficato: si inimicus meus maledixisset mihi, sustinuissem utique: tu vero!… (Ps., LIV, 13). Quale oltraggio per il Verbo divino! la veste preziosa è gettata all’immondezzaio, il santo al cane, la perla al porco. Quale oltraggio per il Padre adorabile, che amò l’uomo così da concedergli il suo Unigenito, vederlo invece tradito e deriso! Quale oltraggio per lo Spirito Santo, che con tanta cura ha preparato il seno verginale di Maria ove il Salvatore avrebbe preso umana carne, vederlo in un tempio di idoli! Quale oltraggio alla Vergine Madre, che tremando lo baciava, e adorando lo portava sulle sue braccia, vederlo maltrattato da un miserabile peccatore! – IL PECCATO PIÙ NOCIVO ALL’UOMO. Come la religione non conosce un delitto più enorme del sacrilegio eucaristico, così non v’ha punizione più terribile di questa: « Colui che mangia e beve indegnamente, mangia e beve la sua rovina ». Qui enim manducat et bibit indigne, iudicium tibi manducat et bibit (I Cor., XI, 29). Ancora par di sentire il fremito d’orrore del Vescovo Cipriano, nel fatto ch’egli narra. Una donna ardì accostarsi alla santa Comunione con l’odio nel cuore contro una sua vicina. Nell’atto che stava per inghiottire la sacra Particola, si sentì come un coltello taglientissimo squarciare la gola. Tutti videro allora che da quell’apertura uscì l’Ostia consacrata, e ritornò nella pisside. La donna infelice, annerita come la fuliggine, si rovesciò sul pavimento e smaniando morì, con grande spavento di tutti i fedeli. Io non dico che Iddio ripeterà il miracolo per ogni uomo che indegnamente si comunica; ma certo il sacrilego sente il suo petto tagliato dal coltello acuto del rimorso; sente nel suo cuore gli urti spasimosi della divina maledizione: è l’Ostia santa che inorridita de’ suoi peccati vuol fuggire da lui. E buon per lui, se Gesù fuggisse davvero, che non si stringerebbe in seno la propria sciagura. Vedete: se voi date del cibo a un vivo, lo fortificate; ma se sforzate la mascella d’un morto per dargli da mangiare lo fate marcire più presto. Guai a quelli che ricevono la Eucaristia, che è pane dei vivi, e sono morti alla grazia! Che direste voi di un ladro che dopo aver accumulato in casa sua la roba rubata invita il giudice del tribunale a fargli visita? La medesima sfrontatezza è compita dal sacrilego che pone Gesù in cospetto dei peccati che rimangono in cuore. Quando l’Arca dell’alleanza passava tra il popolo di Dio erano vittorie e trionfi e grazie che l’accompagnavano. Quando invece passava tra i nemici erano le pestilenze, le stragi, gli incendi, le sciagure che facevano deserto e silenzio d’intorno ad essa Altrettanto avviene quando nei cuori passa l’Eucaristia. Sei suo amico? vita e vittoria. Sei suo nemico? sventura e morte. Ce ne fa riprova la fine disperata di Giuda, il primo profanatore dell’Eucaristia. Si riconosce colpevole, ma non si pente. Piange, ma le sue lacrime non lavano il delitto. Grida: — io ho peccato! — e il suo peccato non gli è rimesso. Muore desolato, muore riprovato. Appeso all’albero del fico, vede da lontano il cadavere di Gesù appeso all’albero della croce. La sua anima vuol fuggire dal dolore e le sue viscere scoppiano in mezzo per lasciarla precipitare nell’inferno, Crepuit medius (Act., I, 18). Il Figlio dell’Uomo sarà tradito: ma guai a quell’uomo, dal quale sarà tradito! Væ homini illi per quem Filius hominis tradetur! – Nella battaglia avvenuta a Pietra del Soccorso, i Filistei s’impadronirono dell’arca dell’alleanza che il popolo d’Israele aveva abbandonato sul campo della sconfitta. Ora i nemici presero l’Arca di Dio e la collocarono di fronte all’idolo di Dagon. Il dì seguente, allo spuntar del giorno, Dagon era prostrato in terra, bocconi davanti all’Arca. Fu rimesso in piedi: di nuovo, alla mattina dopo, Dagon era rovesciato sul pavimento, ma la testa e le due palme stroncate stavano sulla soglia del tempio (I Re, V, 1-5). Se l’Arca di Dio non poteva coabitare con l’idolo immondo in uno stesso tempio, tanto più l’Eucaristia non può coabitare con il peccato in uno stesso cuore. Cristiani, non costringere il Santo ad unirsi all’immondo. O solo l’Eucaristia o solo il peccato. Chi costringe la santa Particola a discendere in un’anima inquinata, farà la fine di Dagon; sarà maledetto e stritolato nella vita eterna.LA PALMA. Le folle, nell’amore al Profeta taumaturgo, non sanno meglio esprimere la loro contentezza che strappando rami di palma per agitarli e gettarli sulla via dove deve passare Gesù. Le palme che nelle terre di Oriente si innalzano al cielo superbe, protendendo all’intorno il ventaglio dei loro rami, sono il simbolo più espressivo delle vittorie e del trionfo. Le turbe agitando le palme a Gesù che veniva lo salutavano ed acclamavano Re del suo popolo e Messia sospirato da secoli. Alla venuta di Gesù nel nostro cuore nella Comunione pasquale anche noi, o Cristiani, dobbiamo portare ed agitare le palme: palme che significano vittoria e trionfo sopra noi stessi; palme che significano vittoria contro il rispetto umano che vorrebbe togliere la santa franchezza del bene. – Nelle prime pagine della storia leggendaria di Roma si trova l’episodio di Muzio Scevola. Gli Etruschi, venuti col re Porsenna, avevano cinto di assedio la città di Roma per potersene impadronire. Ma quel soldato intrepido, uscito dalle mura, si introdusse nel campo nemico per uccidere il re. Però invece del re ferì il suo segretario. Arrestato mentre fuggiva e condotto dinanzi al sovrano, questi lo prese a minacciare per indurlo a tradire la patria. Muzio Scevola, per nulla intimorito, stende la sua destra sul fuoco per punirla dell’errore commesso ed esclama: «E proprio dei Romani l’essere forti nell’agire e nel soffrire ». – O Cristiani, nel giorno del nostro Battesimo abbiamo promesso di combattere contro i nemici della nostra salvezza: prima fra tutti il nostro corpo, le nostre passioni. Ciascuno porta in sé un tiranno che cinge di assedio le forze dell’anima e vuol toglierci il Signore. Dobbiamo uscire dalle mura della nostra freddezza, del nostro egoismo per uccidere od almeno sconfiggere sempre questo ingiusto aggressore che non ha il diritto di superarci. Spesso forse ci capita di sbagliare il colpo, di non vincere come dovremmo se pure non restiamo del tutto sconfitti. Ebbene, ripetiamo ancor noi le parole dell’eroe di Roma, cambiando opportunamente la frase: « Facere et pati fortia christianum est! È dei Cristiani soffrire ed operare con forza ». Se è vero che portiamo il triste germe del male è vero anche che ciascuno di noi ha in se stesso una grande forza di bene. Basta saper sfruttare le sane energie dell’anima nostra. Se ti senti portato alla superbia, pensa che la tua grandezza vien dal Signore, che tutto dipende da Lui, che la vera ambizione sta nell’ubbidire alla santa sua legge. Se ti senti portato alle cose create, se il tuo cuore si attacca ad affezioni umane, pensa che soltanto Iddio è degno di tutto l’amore, solo Lui può appagare le aspirazioni più belle del tuo affetto. Vuole da te che lo ami davvero: nessuno sa amare più di quanto ha saputo amarti il Signore. Se la sapienza di coloro che non avevano conosciuto il Signore stava nel programma: « Conosci te stesso! » la vera sapienza dei figliuoli di Dio aggiunge qualche cosa di più: « Conosci te stesso, cioè la tua dignità di Cristiano, le tue belle capacità di vittoria e di bene; e poi vinci te stesso, la tua parte cattiva, per trionfare in Dio. Nel Signore vincerai e con Lui sarà eterno il tuo godimento ». Del resto la battaglia non è difficile; basta saper incominciare e fidarci soltanto di Dio che stimola ed aiuta la nostra debolezza. – LA PALMA È VITTORIA CONTRO IL RISPETTO UMANO. Un ricco marchese di Francia, trovandosi un giorno con un gruppo di personalità distinte, fu invitato a far la conoscenza con Ernesto Renan, lo scrittore tristemente famoso che osò scrivere una vita di Gesù Cristo in cui sacrilegamente bestemmiò la divinità del Redentore. Ernesto Renan già stava porgendo la mano, ma quel signore ritirando la sua, esclamò ad alta voce, in pubblico: «Io non stringerò mai questa mano che ha schiaffeggiato il mio Signore! » – Quante volte, o Cristiani, noi abbiamo promesso di essere forti, di compiere il nostro dovere, di non aver paura a manifestare la nostra fede colle azioni. Ma ci siamo spaventati dello scherno che ci poteva venire dai nostri compagni, da quelli che ci avrebbero visti e siamo stati vili, siamo stati dei vinti. Così abbiamo dato mano, abbiamo quasi aiutato, siamo divenuti amici di quelli che schiaffeggiano il Signore. Guardate che forza non ha avuto quel ricco marchese di fronte a tante persone. Bisogna che anche noi ci abituiamo ad essere forti, ad essere di carattere. Non sono eroi soltanto quelli che vincono una battaglia sul campo di guerra: costa assai di più vincere il rispetto umano sul pacifico campo della nostra vita, nei rapporti quotidiani con tanti nostri vicini. Un atto di valore tante volte è cosa di un momento. Un gesto di eroismo farà conoscere il vostro nome, ci procurerà applausi ma la fortezza di credere e di esser Cristiani spesso ci attira lo scherno aperto od il sorriso maligno. Teniamo in mente la parola del Signore: « Non abbiate paura di coloro che uccidono il corpo e poi non possono far altro. Ma io vi insegnerò chi dobbiate temere: Temete Colui che dopo aver tolta la vita, ha potestà di mandare all’inferno. Questo sì, vi dico, temetelo! ». (Lc., XII, 4-5). – Dice il proverbio che ride bene chi ride ultimo. Gli ultimi a ridere non saranno i cattivi; di essi avrà vergogna il Figliuol di Dio nel giorno del giudizio (Lc. IX, 26). Gli ultimi a godere, e per sempre, saranno i buoni, i forti. Soltanto essi regno dei cieli, nella Gerusalemme celeste, agiteranno le palme della vittoria attorno all’Agnello. – Nei primi anni del 1700 si combatteva una guerra per decidere il successore al trono di Spagna. Filippo d’Angiò, nipote di Luigi XIV re di Francia, era il pretendente più forte alla corona ed il 10 dicembre del 1710 vinceva la battaglia decisiva che gli apriva le porte di Madrid, la città capitale di Spagna. Alla sera, stanco del combattimento, il giovane principe stava per andare a riposare quando un suo Maresciallo lo pregò che gli concedesse di preparargli il letto. Avuto il permesso, il Maresciallo fece portare una gran quantità di bandiere tolte al nemico e, postele una sopra l’altra, invitò il principe ad adagiarsi su quelle coltri gloriose. Era il letto della vittoria. Voi, o Cristiani, avete già capito ciò che questo fatto ci può insegnare. Dobbiamo noi pure combattere per decidere chi deve regnare nel nostro cuore noi, oppure le nostre passioni. Strappiamo tante bandiere al nemico e gli atti di fortezza che compiamo quaggiù saranno al momento della nostra morte un letto di gloria sul quale chiuderemo lieti gli occhi, per essere risvegliati nel regno dei Cieli.

IL CREDO

Offertorium

Orémus Ps LXVIII:21-22.

Impropérium exspectávit cor meum et misériam: et sustínui, qui simul mecum contristarétur, et non fuit: consolántem me quæsívi, et non invéni: et dedérunt in escam meam fel, et in siti mea potavérunt me acéto.

[Oltraggio e dolore mi spezzano il cuore; attendevo compassione da qualcuno, e non ci fu; qualcuno che mi consolasse e non lo trovai: per cibo mi diedero del fiele e assetato mi hanno dato da bere dell’aceto.]

Secreta

Concéde, quæsumus, Dómine: ut oculis tuæ majestátis munus oblátum, et grátiam nobis devotionis obtineat, et efféctum beátæ perennitátis acquírat.

[Concedi, te ne preghiamo, o Signore, che quest’ostia offerta alla presenza della tua Maestà, ci ottenga la grazia della devozione e ci acquisti il possesso della Eternità beata.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Matt XXVI:42.

Pater, si non potest hic calix transíre, nisi bibam illum: fiat volúntas tua.

[Padre mio, se non è possibile che questo calice passi senza chi lo beva, sia fatta la tua volontà.]

Postcommunio.

Orémus.

Per hujus, Dómine, operatiónem mystérii: et vitia nostra purgéntur, et justa desidéria compleántur.

 [O Signore, per l’efficacia di questo sacramento, siano purgati i nostri vizi e appagati i nostri giusti desideri.].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.