LA VITA INTERIORE (9)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (9)

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C. Ristampa della 4° edizione Riveduta.

GLI ESERCIZI DI PIETÀ

L’ESERCIZIO DELLA BUONA MORTE PREPARARSI A BEN MORIRE.

«Tutta la nostra vita, scrisse S. Giovanni Bosco, in Il giovane provveduto, o miei cari giovinetti, dev’essere una preparazione a fare una buona morte. Per conseguire questo fine importantissimo giova assai praticare il così detto Esercizio della buona morte, il quale consiste nel disporre, in un giorno di ogni mese, tutti i nostri affari spirituali e temporali, come se in quel di dovessimo realmente morire.

IL MODO PRATICO…

Ci è ancora suggerito da don Bosco ed è il seguente: « Fissare per tale Esercizio il primo giorno oppure la prima domenica del mese; fare, sin dal giorno o dalla sera precedente, un qualche riflesso sulla morte, la quale, forse, è vicina e potrebbe anche sopraggiungere all’improvviso; pensare come si è passato il mese antecedente, e soprattutto se vi è qualche cosa che turbi la coscienza e lasci inquieta l’anima, qualora dovesse presentarsi al tribunale di Dio; e intanto al domani fare una Confessione e Comunione, come si fosse veramente al punto di morte. » Siccome poi potrebbe anche succedere che doveste passare da questa all’altra vita con una morte subitanea, o per una disgrazia o malattia, che non vi lasciasse tempo a chiamare un prete e ricevere i santi Sacramenti, così vi esorto ancora a far sovente, durante la vita, anche fuori della Confessione, atto di dolore perfetto dei peccati commessi ed atti di perfetto amor di Dio, perché anche un solo di tali atti, congiunto col desiderio di confessarsi, può bastare in ogni tempo e specialmente negli estremi momenti a cancellare qualsiasi peccato e introdurvi in Paradiso ».

BENEFICO VANTAGGIO.

La pratica dell’Esercizio della buona morte, è oggi molto diffusa, per grazia di Dio, anche sotto il nome di Ritiro mensile, nel quale le anime pie si fissano, sino dalla sera precedente, un argomento unico da approfondire nella meditazione. – Il S. Padre Pio XI, nell’Enciclica sugli Esercizi spirituali, a proposito del Ritiro mensile dice: « Raccomandiamo una pia pratica che diremmo quasi un compendioso rinnovamento degli esercizi, che godiamo di vedere introdotta in molti luoghi e di cui desideriamo vivamente che sì estenda il benefico vantaggio anche ai laici ». – Quali e quanti vantaggi, non solo spirituali, ma anche pedagogici, il Santo dei giovani abbia tratto, non è qui il caso di dire.

IL PENSIERO DELLA MORTE.

Se non è l’argomento unico e l’unica finalità, nel giorno di ritiro, la preparazione alla morte, sia, almeno, la principale, accompagnata dalla preghiera per impetrare da Dio la grazia di non morire di morte improvvisa. Il Gratry (A. Gratry, Le sorgenti. Trad. it. Milano, 1921 – pag. 28, da OLGIATI, La pietà cristiana. Milano, 1935) osserva che «mentre pochi giorni ancora separavano Socrate dalla morte, l’oracolo gli faceva un’imposizione, quando gli disse quella frase che noi non sappiamo ben tradurre: Non fate altro se non della musica, e la frase deve significare che bisogna finire la vita in una sacra armonia. Ma queste bellezze della sera della vita non sono se non delle illusioni per la maggior parte degli uomini; quasi per tutti la realtà è ben diversa. L’intera vita non può finire in una sacra armonia, in un santo e fecondo riposo, pieno di germi che la morte deve sviluppare per l’altro mondo, se non quando ognuno dei nostri anni hanno saputo finire con un sacro riposo: perché l’autunno della vita non raccoglie se non quello che ogni giorno ha seminato ». Ricordiamo il quotidie morior dell’Apostolo (I Cor., XV, 31). Santo, dunque, il quotidiano, o almeno mensile riflesso della morte per le saggie e forti deliberazioni cui induce l’anima di vivere più aderente a Dio e alla sua legge santa.

LUCI DI STELLE

LA LITURGIA

DIVERSITÀ DI PREGHIERE.

Non solo v’è la preghiera vocale e la preghiera mentale, più nota col nome di meditazione, ma v’è, pure, la preghiera privata e quella pubblica, secondo che noi preghiamo individualmente o collettivamente, con la Chiesa. Ciascuno di noi può pregare in casa propria, per istrada, in chiesa davanti a Gesù, ovunque. Questa è preghiera privata. Certamente è gradita al Signore, poiché Egli stesso, come ce ne riferisce S. Matteo (VI, 6), ha detto: « Quando vuoi pregare va’ nella tua camera, chiudi la porta e prega il tuo Padre in segreto ». – Se invece di pregare così individualmente, privatamente, noi, in compagnia di altri, pochi o molti non importa, ci raduniamo in chiesa o in qualunque luogo, e preghiamo ringraziando il Signore pe’ suoi benefizi, e lo supplichiamo perché ne conceda altri di cui riconosciamo la necessità, noi facciamo una preghiera collettiva, che si chiama culto di popolo. Questa preghiera, questo culto è certamente caro a Dio ed è da Lui accettato e gradito, poiché ha detto: « Qualunque cosa due di voi si accorderanno a domandare in terra, sarà a loro concesso dal Padre mio che è nei cieli. Perché  dove vi sono due o tre radunati in nome mio, io mi trovo in mezzo di loro » (Matteo, XVIII, 19-20). Ancora: siamo in chiesa. All’altare un sacerdote celebra la S. Messa, nei banchi poche pie donne, le quali, come il raccoglimento dimostra, seguono il celebrante e si uniscono a lui nel divino sacrifizio. Questa terza maniera di pregare si chiama preghiera liturgica o liturgia. La parola è d’origine greca e vuol dire: opera del popolo, opera pubblica. Indicava, nella Grecia, una prestazione pubblica dei cittadini ricchi. Ben presto tale parola passò nell’uso religioso col senso di culto pubblico. – Nella Chiesa cattolica orientale dire liturgia, è lo stesso che dire S. Messa. Perciò si dice anche, invece di celebrazione della S. Messa, celebrazione della divina Liturgia. Si può, dunque, dire senz’altro, che la liturgia è un culto pubblico, o sociale che si svolge: 1) solo in chiesa; 2) alla presenza del sacerdote; 3) con la partecipazione dei fedeli.

LA LITURGIA.

Quale differenza v’è fra le tre predette forme di preghiera? Nel primo caso; chi prega è soltanto l’individuo; nel secondo è un numero di persone, di anime cristiane, riunite nella preghiera fatta in comune; nel terzo caso non prega il sacerdote come individuo, né le persone riunite che assistono al Sacrificio, ma, e il sacerdote e le persone assistenti pregano con la Chiesa; è la Ciesa, anzi, che prega, è il mistico Corpo di Cristo. Il culto pubblico, la preghiera pubblica offerta a Dio con la Chiesa dicesi liturgia. « Il Sacerdote e i fedeli celebrano questo atto di culto in nome soltanto della Chiesa, anzi, in nome di Cristo. Da ciò l’eccellenza e la dignità della preghiera liturgica. — La preghiera privata tanto vale quanto vale il singolo orante; l’atto di devozione di un popolo tanto vale, quanto valgono innanzi a Dio coloro che si trovano radunati insieme. Certo, in quest’ultimo caso, la preghiera di alcuni giusti può compensare l’indegnità dei peccatori, ma la preghiera liturgica è valevole sempre, perché è la Chiesa, la Sposa immacolata di Cristo, che la offre. Sacerdote e popolo soltanto prestano alla Chiesa la loro voce. Comprendiamo adesso ciò che è essenziale del Culto liturgico: “ il singolo fa e celebra liturgia in quanto è membro della Chiesa e tale ha coscienza di essere ”’ » (Persch, Conferenze sulla santa Messa). Di qui, possiamo, con giusta ragione, trarre la conseguenza che la preghiera liturgica è superiore a quella di un individuo distinto, o anche di tutto un popolo, poiché in unione col Corpo Mistico di Gesù. La liturgia è quindi il culto ufficiale della Chiesa che fluisce in due correnti vitali: umana l’una, divina l’altra. La corrente umana è l’ossequio che l’umanità riunita nella società della Chiesa, presta a Dio; la corrente divina è il tesoro di grazia che da Dio in essa ognuno non prega distintamente ma fluisce nei membri e nei rami della Chiesa.

NATURA DELLA LITURGIA.

Scaturisce limpidamente dai tre termini seguenti: 1) Il Cristo; 2) La Chiesa; 3) Il singolo cristiano. Sappiamo che Gesù Cristo è la fonte della vita. Disse infatti: Io sono la via, la verità, la VITA. È la vita, ed è fonte di vita perché Egli la distribuisce copiosamente. Sono venuto perché tutti abbiano – la vita… e l’abbiano in abbondanza. La Chiesa è un organismo vivente… Tutte le forze dell’inferno coalizzate per soffocarla, disse Gesù, non riusciranno a nulla. È la sposa di Gesù; vive e respira con Gesù. « La S. Scrittura, dice il P. Parsch, ci offre due immagini che ci rendono meglio comprensibile la natura della Chiesa. La prima ce la dà Cristo stesso nel suo discorso di addio (Giov., XV, 5 e seg.): “Io sono la vite; voi i tralci; se uno rimane in me ed Io in lui, questi porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla; chi non rimane in me, sarà gettato via come un tralcio e si seccherà ”). La seconda è l’immagine prediletta di S. Paolo: la Chiesa è il corpo mistico di Cristo; Cristo è il capo (o cuore) di questo corpo, noi Cristiani siamo di tale corpo le membra, « Ciò ch’è comune a queste due immagini è il concetto di organismo vivente; membra e rami sono conservati in vita soltanto per l’unione con la loro fonte vitale. È dalla vite che scorre la linfa nei tralci e li fa verdeggiare, fiorire, fruttificare; è dal cuore che scorre il sangue in ogni membro e lo conserva vivo. E perciò, tralcio di vite e membro del corpo muoiono quando sono staccati dall’organismo ». – Ora concludiamo logicamente. Gesù, salito al Cielo, opera per mezzo della Chiesa. Questa, sotto la guida dello Spirito Santo, dispone e ordina il culto che, con un insieme bellissimo di riti e cerimonie, noi dobbiamo dare al celeste nostro Padre, e dispone e ordina quei mezzi precisi, autentici, coi quali la linfa della vita divina, che scaturisce dalla SS. Trinità. e dalla quale dispensatore unico e perfetto è solo Gesù. L’abbondanza della vita divina, che da Gesù viene in noi, è in proporzione del nostro sforzo « di unirci alla preghiera dei Sacerdoti, ai riti che essi compiono, ai Sacramenti che amministrano, e – particolarmente alla celebrazione della S. Messa. Perciò, più la nostra partecipazione a questi atti sarà intima, attiva e frequente, più Gesù, eterno Sacerdote, agirà nelle nostre anime. » (Signore insegnaci a pregare – G- F- di A. C., 1937).

VANTAGGI DEL VIVERE LA LITURGIA.

Un eminente scrittore così si esprime: «Vivere la liturgia non è altro che vivere la vita medesima di santa Madre Chiesa, identificarsi con essa, per prestarle il concorso della nostra voce, delle nostre mani, del nostro essere intero nella Laus perennis, che cominciata da Gesù Cristo in seno al suo divin Padre, continuata su questa terra, non avrà il suo pieno svolgimento che quando l’ultimo degli eletti sarà entrato nel Cielo » (Crogaert). – Come ben possiamo comprendere, un minimo di vita liturgica è assolutamente necessario per tutti. Riflettiamo un istante. La liturgia nella sua parte principale e fondamentale è d’origine divina, perché Gesù Cristo stesso istituì il S. Sacrificio e i Sacramenti; nelle sue parti secondarie, funzioni e benedizioni, è d’origine ecclesiastica, perché fu la Chiesa a istituire e precisare gli atti di culto e le funzioni in onore di Dio e per impetrare da Dio grazia e grazie. Ma la S. Messa, i Santi Sacramenti, mezzi produttivi della grazia, le funzioni religiose, che si compiono in nome e secondo le disposizioni della Chiesa, i Sacramenti, mezzi impetrativi della grazia, sono atti liturgici. Ricordiamo ancora che alla vita liturgica è legata la nostra vita spirituale. Dalla vita liturgica, infatti, cioè dal S. Battesimo, ebbe inizio in noi la vita dello spirito, e, perciò, da essa dipende la nostra santificazione. In seguito, sino al tramonto, i sacramenti colla grazia santificante debbono alimentare e confortare questa nostra vita. Ma non solo la liturgia opera la nostra santificazione. Essa è un mezzo sincero ed efficace per impetrarci le grazie divine. Questo perché la liturgia è preghiera, e Dio ha promesso le grazie alla preghiera. – L’efficacia della preghiera liturgica è superiore, come abbiamo già detto, alla privata per tre ragioni principali, e cioè:

1) Perché meglio, e più di ogni altra, è fatta in nome di Gesù Cristo; ed eseguisce con precisione la condizione posta da Gesù: chiedete in nome mio.

2) Perché è la preghiera della sposa di Gesù. Come non ricordare la bontà di Gesù per la sua mistica Sposa?

3) Perché è preghiera sociale. Anche in questo — benché non solo per questo — ha valore il proverbio: « L’unione fa la forza ».

Concludiamo: la preghiera liturgica è la preghiera che ci unisce realmente con Gesù, e col Padre celeste per mezzo di Gesù!