FESTA DELL’EPIFANIA (2022)

MESSA DELLA FESTA DELL’EPIFANIA (2021)

Stazione a S. Pietro

Doppio di I classe con Ottava privil. di II Ord.- Pararti, bianchi.

Questa festa si celebrava in Oriente dal III secolo e si estese in Occidente verso la fine del IV secolo. La parola “Epifania” significa: manifestazione. Come il Natale anche l’Epifania è il mistero di un Dio che si fa visibile; ma non più soltanto ai Giudei, bensì anche ai Gentili, cui in questo giorno Dio rivela il suo Figlio (Or.). Isaia scorge in una grandiosa visione, la Chiesa, rappresentata da Gerusalemme, alla quale accorrono i re, le nazioni, la moltitudine dei popoli. Essi vengono di lontano con le loro numerose carovane, cantando le lodi del Signore e offrendogli oro e incenso (Ep.). – I re della terra adoreranno Dio e le nazioni gli saranno sottomesse (Off.). Il Vangelo mostra la realizzazione di questa profezia. – Mentre il Natale celebra l’unione della divinità con l’umanità di Cristo, l’Epifania celebra l’unione mistica delle anime con Gesù. – Oggi – dice la liturgia – la Chiesa è unita al suo celeste Sposo, poiché, oggi Cristo ha voluto essere battezzato da Giovanni nel Giordano: oggi una stella conduce i Magi con i loro doni al presepio: oggi alle nozze l’acqua è stata trasformata in vino. Ad Alessandria d’Egitto pubblicavasi ogni anno, il 6 gennaio, l’Epistola Festalis, lettera pastorale in cui il Vescovo annunziava la festa di Pasqua dell’anno corrente. Di qui nacque l’uso delle lettere pastorali in principio di Quaresima. In Occidente, il IV sinodo d’Orléans (541) ed il sinodo d’Auxerre (tra il 573 ed il 603) introdussero la stessa usanza. Nel medioevo vi si aggiunse la data di tutte le feste mobili. II Pontificale Romano prescrive di cantar oggi solennemente, dopo il Vangelo, detto annunzio (Liturgia, Paris, Bloud et Gay, 1931, pag. 628 sg.).

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Malach 3:1 – 1 Par XXIX :12
Ecce, advénit dominátor Dóminus: et regnum in manu ejus et potéstas et impérium

[Ecco, giunge il sovrano Signore: e ha nelle sue mani il regno, la potestà e l’impero.]

Ps LXXI: 1
Deus, judícium tuum Regi da: et justítiam tuam Fílio Regis.

[O Dio, concedi al re il tuo giudizio, e la tua giustizia al figlio del re.]

Ecce, advénit dominátor Dóminus: et regnum in manu ejus et potéstas et impérium

[Ecco, giunge il sovrano Signore: e ha nelle sue mani il regno, la potestà e l’impero.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui hodiérna die Unigénitum tuum géntibus stella duce revelásti: concéde propítius; ut, qui jam te ex fide cognóvimus, usque ad contemplándam spéciem tuæ celsitúdinis perducámur.

[O Dio, che oggi rivelasti alle genti il tuo Unigenito con la guida di una stella, concedi benigno che, dopo averti conosciuto mediante la fede, possiamo giungere a contemplare lo splendore della tua maestà.]

Lectio

Léctio Isaíæ Prophétæ.
Is LX:1-6
Surge, illumináre, Jerúsalem: quia venit lumen tuum, et glória Dómini super te orta est. Quia ecce, ténebræ opérient terram et caligo pópulos: super te autem oriétur Dóminus, et glória ejus in te vidébitur.
Et ambulábunt gentes in lúmine tuo, et reges in splendóre ortus tui. Leva in circúitu óculos tuos, et vide: omnes isti congregáti sunt, venérunt tibi: fílii tui de longe vénient, et fíliæ tuæ de látere surgent. Tunc vidébis et áfflues, mirábitur et dilatábitur cor tuum, quando convérsa fúerit ad te multitúdo maris, fortitúdo géntium vénerit tibi. Inundátio camelórum opériet te dromedárii Mádian et Epha: omnes de Saba vénient, aurum et thus deferéntes, et laudem Dómino annuntiántes.

“Levati, o Gerusalemme, e sii illuminata, perché la tua luce è venuta, e la gloria del Signore è sorta su te. Poiché, ecco le tenebre ricoprono la terra e l’oscurità avvolge le nazioni; su te, invece, spunta il Signore, e in te si vede la sua gloria. Le nazioni cammineranno; alla tua luce, e i re allo splendore della tua aurora. Alza i tuoi occhi all’intorno, e guarda: tutti costoro si son radunati per venire a te. I tuoi figli verranno da lontano, e le tue figlie ti sorgeranno a lato. Allora vedrai e sarai piena di gioia; il tuo cuore si stupirà e sarà dilatato, quando le ricchezze del mare si volgeranno verso di te, quando verranno a te popoli potenti. Sarai inondata da una moltitudine di cammelli, di dromedari di Madian e di Efa: verranno tutti insieme da Saba, portando oro e incenso, e celebrando le glorie del Signore”

[Artig. Pavia, A. Castellazzi, La scuola degli Apostoli, Pavia, 1929]

GESÙ CRISTO RE

Isaia, il profeta suscitato da Dio a rimproverare e a consolare il popolo eletto in tempo di grande afflizione, ci dipinge in esilio, prostrato a terra, immerso nel dolore per voltate le spalle a Dio. È bisognoso d’una consolazione; e il profeta questa parola la fa sentire. Gerusalemme risorgerà. Il Messia vi comparirà come un faro risplendente sulla sponda di un mare in burrasca. E nella sua luce accorreranno le nazioni uscendo dalle tenebre dell’idolatria. Gerusalemme deve alzar gli occhi e contemplar lo spettacolo consolante dei suoi figli dispersi che ritornano, e dei popoli della terra che verranno ad essa, cominciando da quei dell’oriente, recando oro ed incenso, annunziando le lodi del Signore. Questa profezia ha compimento nel giorno dell’Epifania, poiché in questo giorno comincia il movimento delle nazioni verso la Chiesa, la nuova Gerusalemme. I Magi che venuti dall’oriente domandano ove è il nato Re dei Giudei, ci invitano a far conoscenza con questo Re.

Graduale

Isa LX: 6;1
Omnes de Saba vénient, aurum et thus deferéntes, et laudem Dómino annuntiántes.

[Verranno tutti i Sabei portando oro e incenso, e celebreranno le lodi del Signore.]

Surge et illumináre, Jerúsalem: quia glória Dómini super te orta est. Allelúja, allelúja.

[Sorgi, o Gerusalemme, e sii raggiante: poiché la gloria del Signore è spuntata sopra di te.

Allelúja.

Allelúia, allelúia
Matt II:2.
Vídimus stellam ejus in Oriénte, et vénimus cum munéribus adoráre Dóminum. Allelúja.

 [Vedemmo la sua stella in Oriente, e venimmo con doni per adorare il Signore. Allelúia.]

Evangelium


Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthǽum
Matt II:1-12

Cum natus esset Jesus in Béthlehem Juda in diébus Heródis regis, ecce, Magi ab Oriénte venerunt Jerosólymam, dicéntes: Ubi est, qui natus est rex Judæórum? Vidimus enim stellam ejus in Oriénte, et vénimus adoráre eum. Audiens autem Heródes rex, turbatus est, et omnis Jerosólyma cum illo. Et cóngregans omnes principes sacerdotum et scribas pópuli, sciscitabátur ab eis, ubi Christus nasceretur. At illi dixérunt ei: In Béthlehem Judæ: sic enim scriptum est per Prophétam: Et tu, Béthlehem terra Juda, nequaquam mínima es in princípibus Juda; ex te enim éxiet dux, qui regat pópulum meum Israel. Tunc Heródes, clam vocátis Magis, diligénter dídicit ab eis tempus stellæ, quæ appáruit eis: et mittens illos in Béthlehem, dixit: Ite, et interrogáte diligénter de púero: et cum invenéritis, renuntiáte mihi, ut et ego véniens adórem eum. Qui cum audíssent regem, abiérunt. Et ecce, stella, quam víderant in Oriénte, antecedébat eos, usque dum véniens staret supra, ubi erat Puer. Vidéntes autem stellam, gavísi sunt gáudio magno valde. Et intrántes domum, invenérunt Púerum cum María Matre ejus, hic genuflectitur ei procidéntes adoravérunt eum. Et, apértis thesáuris suis, obtulérunt ei múnera, aurum, thus et myrrham. Et re sponso accépto in somnis, ne redírent ad Heródem, per aliam viam revérsi sunt in regiónem suam,”

[Nato Gesù, in Betlemme di Giuda, al tempo del re Erode, ecco arrivare dei Magi dall’Oriente, dicendo: Dov’è nato il Re dei Giudei? Abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo. Sentite tali cose, il re Erode si turbò, e con lui tutta Gerusalemme. E, adunati tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, voleva sapere da loro dove doveva nascere Cristo. E questi gli risposero: A Betlemme di Giuda, perché così è stato scritto dal Profeta: E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei la minima tra i prìncipi di Giuda: poiché da te uscirà il duce che reggerà il mio popolo Israele. Allora Erode, chiamati a sé di nascosto i Magi, si informò minutamente circa il tempo dell’apparizione della stella e, mandandoli a Betlemme, disse loro: Andate e cercate diligentemente il bambino, e quando l’avrete trovato fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo. Quelli, udito il re, partirono: ed ecco che la stella che avevano già vista ad Oriente li precedeva, finché, arrivata sopra il luogo dov’era il bambino, si fermò. Veduta la stella, i Magi gioirono di grandissima gioia, ed entrati nella casa trovarono il bambino con Maria sua madre qui ci si inginocchia e prostratisi, lo adorarono. E aperti i loro tesori, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non passare da Erode, tornarono al loro paese per un altra strada.]

Omelia

FESTA DELL’EPIFANIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

I RE. Gi Israeliti ormai erano in cospetto della terra Promessa; solo il Giordano li separava ancora. – Ma il re di Moab, Spaventato dall’irruenza della nuova gente che distruggeva ogni popolo in suo cammino, mandò à chiamare con gran premura l’indovino Balaam. Con dipinto sul volto il terrore, gli disse: « Ecco, un popolo è uscito dall’Egitto, e copre la faccia della terra, e s’accampa dirimpetto à me. Io so che è benedetto colui che tu benedici, e maledetto colui che tu maledici: Va, e Scaglia su lui la maledizione pessima ». Balaam, il falso profeta, prese la via per maledire Israele; ma Iddio s’impossessò di lui, e quando apri bocca per gridare contro le tende del Popolo eletto accampato nelle steppe di Moab, gli uscirono questi accenti: « Parola di Balaam figlio di Beor. Parola dell’uomo che ha l’occhio chiuso. Parola di colui che scorge la visione dell’Onnipotente. Io lo vedo, ma non adesso: io lo contemplo, ma non da vicino. Una stella spunterà da Giacobbe, e uno 8cettro si leverà da Israele ». Orietur Stella ex Iacob et consurget virga de Israel (Num. XXIV, 17). – Quindici secoli dopo, grande, lucida, nuova, apparve nel cielo una Stella. Gesù, che nel Vangelo è chiamato luce del mondo, nascendo si fa annunciare da una Stella che s’accende, e morendo dal sole che si spegne.

Intanto, in regioni straniere i Magi la vedono e dicono: «Se la Stella è spuntata, anche il Re deve essere nato: andiamo a trovarlo ». E vanno. Chi sono i Magi? Alcuni dissero ch’erano re. Altri dissero che re non erano, ma comandavano agli stessi re, perché, più sapienti di tutti, essi possedevano i segreti della terra e del cielo e scrutavano il futuro e il destino. – Donde vengono i Magi? Forse da Ecbatana o forse dalle Sponde del mar Caspio? In groppa dei cammelli e dei dromedari avevano varcato i deserti, guadato i fiumi, divorato la Strada lunghissima in pochi giorni, o invece la Stella era apparsa a loro prima che nascesse Gesù perché potessero giungere in tempo? Quanti erano i Magi? La tradizione, basandosi sui doni ha fissato il loro numero a tre, e ricorda tre nomi: Gaspare, Baldassare, Melchiorre. Ma quanti erano il Vangelo non lo dice, né la Chiesa lo decide. Che importa a noi di queste questioni? a noi interessa considerare come i Re si muovono e tutti s’agitano in cerca di un Bambino avvolto in poveri panni, che vagisce: chi cerca per adorarlo, chi cerca per ucciderlo. Così fu allora. Così fu di secolo in secolo, così oggi, e sarà così sempre perché s’adempia quella parola che disse il Santo Vecchio nel tempio: « Questo fanciullo sarà il segno della rovina e della salvezza ». È sorprendente però come la medesima luce susciti negli uomini opposte impressioni: per gli uni è luce che letifica e illumina, per gli altri è luce che irrita e acceca. La medesima Stella trova nei re Magi un cuore docile e sincero, e in Erode un cuore indurito e corrotto. Meditiamo il Vangelo, ché non poche cose ci possono insegnare i re dell’Epifania. –

I RE MAGI- Sulle contrade d’oriente, una notte che il cielo netto e profondo ostentava tutte le sue fiamme, ecco una strana luce raggiare il suo lume nuovo. Fu un grido di gioia che eruppe dal cuore dei Magi: « Ecco è sorta da Giacobbe la Stella aspettata ». Vidimus stellam in oriente. Ma perché solo i Magi, e pochi altri forse, la videro quando era tanto in alto che tutti i popoli avrebbero potuto facilmente scorgerla? Perché solo essi levavano gli occhi in alto emettevano i loro pensieri nel cielo: tutti gli altri guardavano sul fango della terra e nelle cose basse. Seppellivano ogni aspirazione. La luce di Dio non appare agli uomini curvi sui piaceri, attaccati alle cose che duran poco, ma solo a quelli che scrutano il cielo, e pensano alle cose eterne. – Appena i Magi videro l’astro, senza indugio accorsero. Vidimus et venimus. Anch’essi avevano una famiglia: e la diletta consorte scarmigliata e piangente si sarà distesa sulla soglia per non lasciarli passare; e i figliuoli avran proteso le mani innocenti per trattenere il padre che li abbandonava. Eppure partirono: vidimus et venimus. Anch’essi avevano affari urgenti: il governo di tutto un popolo, i nemici da respingere, il trono da rassicurare. Eppure partono: che importa a loro se al ritorno non troveranno più casa, più trono, e scherniti da tutti dovranno esulare mendicando? E vanno: Vidimus et venimus. Anch’essi sapevano ben valutare la difficoltà e i pericoli dell’impresa; avevano una reggia di marmo e d’oro, e si mettevano in cammino per selve e deserti, sotto la pioggia e il sole. Avevano guardie ed eserciti e si esponevano quasi inermi agli assassini della strada e delle tenebre. Avevano cibi squisiti e vini profumati e andavano incontro alla fame e alla sete e anche alla morte. Vidimus et venimus. Così operarono i Magi: ma a confrontar noi con essi, quanti rimorsi dovremmo sentire! È da anni che Dio ci chiama e noi gli resistiamo perché non sappiamo rinunciare ai legami del sangue e dell’amicizia, ai piaceri della vita, agli abiti cattivi. – Vanno i Magi: il rumore della loro carovana che passa sotto le case addormentate sveglia qualcuno. Viene alla finestra, guarda quei viandanti che corrono, nella notte scura e fredda, dietro a una stella. « Sono matti » dice e torna a letto. Vanno i Magi: e traversano villaggi in festa. La folla che danza, che suona, che canta, che mangia, li guarda passare grigi di polvere e li deride. Ma quelli non si fermano: avanti, avanti verso la cuna del Re dei re. Noi, invece, quante volte ci siamo fermati dal compiere un’opera buona, un atto di fede, perché qualcuno ha osato insultarci o schernirci. – Nell’entrare in Gerusalemme la stella disparve: i Magi si trovarono sperduti, dopo tanto cammino e tanta fatica, in una terra straniera e ostile. Il Dio che cercavano li ripagava adunque così?… Non erano questi i sentimenti dei Magi: essi senza tremar nella fede si rivolsero ai sacerdoti domandarono dov’era nato il Re dei re. Ubi est qui natus est rex Judeorum? Bell’esempio di tranquillità nelle tribolazioni! – Finalmente, in una povera casa trovarono il Fanciullo divino con Maria sua madre. Invenerunt puerum, cum Maria matre eius. È impossibile trovare Gesù senza Maria. Quelli che non vogliono bene alla Madonna, non troveranno mai Gesù. Inginocchiati, dentro ai lussuosi manti reali, sulla paglia dello  strame, i tre potenti venuti da lontano, offrirono i doni: Oro, incenso e mirra. Tre doni anche noi offriamo alla culla del Bambino Redentore: l’oro delle opere buone, ché le parole e i propositi non bastano; l’incenso della Preghiera che ogni giorno dal nostro cuore come un turibolo sale in alto, la mirra amara dei nostri peccati. Si, anche i nostri peccati offriamogli, perché li perdoni: e ci faccia in petto un cuor nuovo e nelle viscere uno Spirito nuovo. –

RE ERODE. Erode, il barbaro Idumeo, figlio di un traditore, a tradimento aveva raggiunto la corona regale della Giudea. Questo mostro di perfidia, che per ingiusti sospetti aveva fatto ammazzare Mariamne sua moglie, che aveva trucidato Alessandra sua suocera, che aveva fatto strangolare due suoi figli per timore che insorgessero a vendicare la madre, che aveva fatto affogare il cognato Aristobulo e sgozzare il cognato Giuseppe, quando conobbe che dal fondo della Caldea erano giunti tre Magi a cercare il nuovo Re dei Giudei sobbalzò di spavento. Tremebondo come un malfattore che si sente la giustizia alle calcagna, chiamò i Magi, con tutta segretezza, al suo palazzo e s’informò da loro sul tempo in cui era apparsa la stella: poi li congedò, dicendo: « Andate, trovate il Bambino: poi ditemi dove sia, ch’io pure venga e l’adori! ». Ma l’impostore già covava il tradimento. Ecco l’arte con cui ancor oggi si perseguita Gesù nelle anime: sotto la vernice di una falsa pietà e con l’astuzia si trascinano alla perdizione. Ad una persona che adempie fedelmente i suoi doveri religiosi il mondo dice: « Tu sei un esagerato: non à necessario tutto quello che fai per salvarti; è troppo, è troppo ». Ad una persona che vive mortificata e premurosa per la sua famiglia, il mondo dice: « Ma perché vuoi amareggiarti la vita? perché ti ostini à vivere come un frate? Il Signore ci ha fatti di carne per godere nell’allegria, come fan tutti ». Guai a quelli che si lasciano ingannare da queste lusinghe, e sfiduciati si voltano indietro verso il mondo: tradirebbero il Bambino Gesù in mano ad Erode. – Costui, non vedendo tornare i Magi a rivelargli il luogo dove era apparso il nuovo erede del trono di Davide, s’accorse d’essere stato beffato. In un impeto bestiale di ferocia comandò che si uccidessero tutti i fanciulli. Occidit omnes pueros a bimatu et infra. Ma l’inerme Re dei re era già in salvo, verso l’Egitto. Il solo ricordo della crudeltà di questo principe ci fa orrore e non possiamo immaginare che un esempio così barbaro trovi ancora in mezzo a noi degli imitatori. Eppure ii mondo è pieno di questa razza di persecutori, e se la Chiesa non è più afflitta da tiranni sanguinari, è dilaniata dagli scandali che rinnovano la strage degli innocenti. Certe Stampe più o meno illustrate o certe mode più o meno immodeste, certi discorsi blasfemi e scurrili che altro sono se non le spade con cui si tenta di uccidere spiritualmente tutte le nuove generazioni con un’educazione atea e pagana? Lo scandalo ivi è diventato collettivo e comandato. – O seandalosi, dice S. Agostino, voi perseguitate nei vostri fratelli ciò che Erode stesso non ha perseguitato: egli non spegneva che la vita, voi spegnete l’innocenza e la virtù: egli non violava che i corpi, voi violate le anime. – Un ultimo insegnamento ci danno i re dell’Epifania. Il lussurioso e superstizioso Erode, che pur di godere la vita, fece guerra a Cristo non ebbe più un istante di pace né in Giudea né dentro di sé. Herodes rex turbatus est, et omnis Ierosolyma cum illo. I tre Magi che, Pur di adorare Cristo, avevano rinunziato a tutti i godimenti che può dare la vita, trovarono la vera gioia che disseta l’anima per sempre. Gavisi sunt gaudio magno valde. Chi cerca Gesù, cerca la propria felicità: e chi lo trova, trova la felicità. – Tiburzio, figlio di Cromazio prefetto di Roma fu imprigionato per la fede. « O adori gli idoli o cammini sopra carboni accesi. Rispose il martire:  « Meglio sui carboni accesi correre incontro à Gesù ». Si fece il segno della croce, poi a Piedi nudi andò sul fuoco. Mentre le sue carni friggevano abbrustolendosi, egli sorrise beatamente e disse: « Mi par d’andare sopra petali di gigli e di rose ». – Cristiani! cerchiamo Gesù, viviamo per Lui. In ogni ora della vita, lieta o triste, ci parrà d’andare sopra un prato fiorito di consolazioni intime, di pace profonda e insospettata.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXI:10-11
Reges Tharsis, et ínsulæ múnera ófferent: reges Arabum et Saba dona addúcent: et adorábunt eum omnes reges terræ, omnes gentes sérvient ei.

[I re di Tharsis e le genti offriranno i doni: i re degli Arabi e di Saba gli porteranno regali: e l’adoreranno tutti i re della terra: e tutte le genti gli saranno soggette.]

Secreta

Ecclésiæ tuæ, quǽsumus, Dómine, dona propítius intuere: quibus non jam aurum, thus et myrrha profertur; sed quod eisdem munéribus declarátur, immolátur et súmitur, Jesus Christus, fílius tuus, Dóminus noster:

[Guarda benigno, o Signore, Te ne preghiamo, alle offerte della tua Chiesa, con le quali non si offre più oro, incenso e mirra, bensì, Colui stesso che, mediante le medesime, è rappresentato, offerto e ricevuto: Gesù Cristo tuo Figlio e nostro Signore:

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Matt II:2
Vídimus stellam ejus in Oriénte, et vénimus cum munéribus adoráre Dóminum.

[Vedemmo la sua stella in Oriente, e venimmo con doni ad adorare il Signore.]

Postcommunio

Orémus.
Præsta, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, quæ sollémni celebrámus officio, purificátæ mentis intellegéntia consequámur.

[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che i misteri oggi solennemente celebrati, li comprendiamo con l’intelligenza di uno spirito purificato.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (9)

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (9)

TITOLO ORIGINALE: TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT – Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950

V. Per la Curia Generalizia Roma, 11 – 2 – 1952 – Sac. G. ALBERIONE

Nulla osta alla stampa Alba, 20 – 2 – 1952 Sac. S. Trosso, Sup.

lmprimatur Alba, 28 – 2 – 1952 Mons. Gianolio, Vic. GEN.

Capo SETTIMO

LO SPIRITO SANTO È DIO, CONSUSTANZIALE AL PADRE ED AL FIGLIO

III. – LA TRADIZIONE DEI PADRI DEL II E DEL III SECOLO

Il carattere particolarmente definitivo del Nuovo Testamento, in ciò che concerne la concezione di Dio è stata, come abbiamo visto, la rivelazione ben Chiara dell’esistenza di un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo. Dio è uno; ma nonostante questa unità essenziale che essa mantiene, la divinità appare d’ora innanzi, secondo l’espressione dei Padri, come distribuita tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. – Ora tale dottrina è stata pure la credenza fondamentale dei Padri apologisti e dei Padri del terzo secolo. Gli scritti degli stessi eretici, sebbene non possano venir considerati quali testimonianze dirette della fede della Chiesa, sono testimonianze. indirette di grande importanza. Essi conservano, falsandone il senso, dei termini che, nella Chiesa, corrispondono alla vera dottrina, e le condanne di cui sono stati oggetto fanno meglio risaltare l’opposizione che esiste fra i loro errori e l’insegnamento autentico. Ma bisogna forse ridurre l’insegnamento dei Padri del secondo e del terzo secolo a questo minimo di fede trinitaria? Se è così, si dovrà dire che i Padri dei primi secoli non hanno fatto che riprodurre l’insegnamento del Nuovo Testamento, e che la Chiesa ha sviluppato di colpo il dogma della consustanzialità nel momento in cui scoppiò l’arianesimo. – Esaminiamo con la massima cura i nostri documenti tradizionali e cerchiamo una risposta a tale domanda. Ai filosofi giudaici che si ostinavano a rinchiudersi nel monoteismo dell’Antica Legge e rimproveravano ai Cristiani di ammettere più dèi, come ai pagani che lanciavano ai Cristiani il rimprovero di ateismo, gli apologisti del secondo secolo rispondevano: « Affermiamo un Dio Padre, un Figlio Dio e uno Spirito Santo e dimostriamo la loro potenza nell’unità e la loro distinzione nella processione » (ATHENAGOR, Leg. pro christ. 10.). Essi ammettono dunque in Dio un legame per mezzo del quale l’unità e la trinità si confondono: ed anche lo dimostrano. Esso consiste in ciò, che il Figlio è generato dal Padre avanti ogni creatura, scrive San Giustino (Dial.48; 56; 61). Ma tale generazione – aggiunge Taziano – si fa senza divisione della sostanza, nello stesso modo che il fuoco di una torcia si comunica ad altre torce (Or. Adv. Gr. 5). Confessiamo che la dottrina del legame che unisce il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non ha ancora raggiunto la Perfezione che gli daranno i Padri del Concilio di Nicea; riconosciamo tuttavia che, per condurvela sarebbe bastato sottoporla ad un’analisi un po’ rigorosa. –  Impotente à Spiegare la trinità nell’unità, r temendo che 1a dottrina delle tre Persone in un solo Dio conducesse gli spiriti ad ammettere l’esistenza di tre dèi Subordinati l’uno all’altro in natura e in Potenza, Sabellio insegnò che il Figlio non è che un altro nome del Padre; i modalisti pretesero che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non sono che modalità transitorie di una medesima sostanza divina. –  Sant’Ippolito e Tertulliano, in Occidente; Origene e San Dionigi di Alessandria, in Oriente, protestarono, dicendo che in Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono distinti da tutta l’’eternità, per la loro relazione di origine, e posseggono una sola e medesima sostanza. Il Figlio, dice Origene, è della sostanza del Padre, ὀμοούσιος [= omousios ](La Sapienza che procede dal Padre, dice Origene, «È generata dalla sostanza stessa di Dio »; poiché « é un’emanazione della gloria dell’Onnipotente », e « l’emanazione consustanziale (ὀμοούσιος = omousios) è ciò da cui deriva ». Tale dottrina è contenuta in un frammento del Commentario sulla Lettera agli Ebrei). La parola è trovata. E tuttavia, prosegue l’illustre Alessandrino, se il Figlio possiede la sostanza divina, la possiede meno pienamente del Padre: essa è in Lui come attenuata, diminuita; poiché il Figlio in quanto Figlio deve essere inferiore al Padre, come l’effetto è inferiore alla causa (Contra Celsum, I, 6, 60; Periarchon, L 1, 2, 13; In Jo., l.2, 12, l.32, 18). I – Per aver esagerato troppo tale dottrina, San Dionigi di Alessandria si vede obbligato a fornire spiegazioni a san Dionigi di Roma (De sent. Dion. 6-12; P.G. 25, 488-497). Così il dogma della consustanzialità ê l’unica soluzione per Spiegare il mistero della trinità nell’unità; si afferma solo in parte questo dogma, si intuisce il resto: Si condannano le esagerazioni di tendenze unitarie o triteiste; il termine ὀμοούσιος [omousios] esiste; resta tuttavia un’ultima determinazione dottrinale che ancora non si è potuto afferrare, ma verso la quale lo Spirito di Dio spinge l’anima cristiana. Ora, ecco che la parola ὀμοούσιος prende un senso Sabelliano. Cristo non può essere Dio, scrive Paolo di Samosata, se non costituisce una sola e medesima persona o sostanza con Dio, se non è ὀμοούσιος con Dio. La dottrina di Paolo di Samosata, con la terminologia che la esprime, è condannata nel Concilio di Antiochia, nel 267 0 268. È difficile dissociare un termine dall’idea che essa rappresentata. Perciò, ancora per molto tempo numerosi Padri non potranno udir pronunziate l’ὀμοούσιος senza che questa parola risvegli nel loro Spirito un sospetto di sabellianismo in coloro che la useranno. – Perciò dunque, dal secondo secolo fino alla fine del terzo, non si è cessato di cercare il modo di conciliare in Dio la trinità nell’unità. Bisogna ammettere in Dio il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Tutti e tre sono eternamente distinti per la loro relazione di origine; e tuttavia non vi é che un solo Dio. L’unità tra il Padre e il Figlio viene da ciò, che il Padre comunica al Figlio la Sua propria sostanza. Il Figlio prende la sostanza del Padre ma, affermano parecchi Padri, perché gli è comunicata dal Padre, non può possederla che in una pienezza inferiore. – Ario accelerò la conclusione di tale controversia varcando a un tratto i confini del subordinazionismo e affermando categoricamente che il Cristo Preesistente era soltanto la prima creatura del Padre

IV. – IL DOGMA DELLA CONSUSTANZIALITÀ E IL CONCILIO DI NICEA.

La prima parte del simbolo riassume le conclusioni dei primi tentativi intrapresi Per spiegare L’Unità nella trinità in Dio. Noi crediamo, dicono i Padri, « in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, generato unico dal Padre, Dio da Dio, luce da luce, vero Dio, da vero Dio». Riprendendo la dottrina Precedente, i Padri la oppongono quindi à quella di Ario che essi condannano. Cosi dunque, dicono, il Figlio é « generato e non fatto». Di più, aggiungono, generato dal Padre da tutta l’eternità, e « consustanziale al Padre, ὀμοούσιος τῷ πατρί [omousios to patri] », cioë della medesima essenza o sostanza del Padre, lo stesso del Padre quanto all’essere intimo e assoluto. La differenza è unicamente nella relazione di origine che esiste eternamente tra Padre ed il Figlio.

V. – DOTTRINA ED APOLOGETICA DI SANT’ATANASIO

Come ê sempre avvenuto in Seguito alle definizioni dei Concili, la definizione molto netta e fermissima del Concilio di Nicea Provocò la reazione di coloro che negavano o contestavano tale definizione. I Padri della Chiesa consacrarono tutto il loro pensiero e la loro alta pietà ad insegnare e difendere il dogma fondamentale della consustanzialità delle tre Persone divine, definito dal Concilio di Nicea, il Figlio consustanziale al Padre e allo Spirito Santo, lo Spirito Santo consustanziale al Figlio ed al Padre, la consustanzialità del Figli su cui si concentra tutto lo sforzo dottrinale, portando seco la consustanzialità dello Spirito Santo. Fra questi Padri, citeremo soprattutto sant’Atanasio.  – Da un lato sono gli Ariani puri che affermane che il Figlio è una semplice creatura del Padre [ktisma tou patros]. Per conseguenza Egli è di un’alta essenza sostanza, [ex eteras usias]. È di un’essenza o sostanza UNiesSeNz4 0 8So5tañza, che, essi dicono, non è affatto eguale a quella del Padre, [anomoios]. Egli non è né omousios, come affetma il Concilio di Nicea, e neppure semplicemente omoios.  Essi stati chiamati anomei. Oppure allora, dicono alcuni, se si vuol dire che il Figlio à eguale al Padre, si aggiunga almeno che à eguale al Padre secondo le Scritture Omoios kata tas omoios grafas. Questi sono gli omei. Ma, in fondo, anomei ed omei sono d’accordo.Gli argomenti sui quali essi si appoggiano sono tolti dalla Sacra Scrittura. È il testo dei Proverbi, nel quale la Sapienza dice parlando di sé: «Il Signore mi creò [ektise], per essere l’inizio delle sue vie » (Prov. VIII, 22). Nel Nuovo Testamento è il testo di San Marco: «In quanto poi al giorno ed all’ora (del gran giudizio), nessuno li sa, né gli Angeli del cielo, né il Figlio; ma solo il Padre » (Mc. XIII, 22), oppure quest’altro di san Luca: «E Gesù cresceva in sapienza, in età e in grazia dinanzi à Dio ed agli uomini » (Lc. II, 52). E in san Giovanni raccolgono tutti i Passi che attestano la dipendenza del Figlio rispetto al Padre: « Il Figlio non può far nulla da sè » (Gv. V, 19); il Padre che mi ha mandato è più grande di me» (Gv. XIV, 28); «la vita eterna è questa: che conoscano te, solo vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo » (Gv. XVII, 3). Sebbene abbiano avuto verso i Padri — che del resto li contraddicono — una deferenza mediocre, tanto agli anomei, quanto agli omei, piace appoggiarsi alla dottrina di Origene e di Dionigi di Alessandria. – Ma agli argomenti autorevoli preferiscono assai più il ragionamento puro e semplice. Un essere generato, essi dicono, non può avere in se stesso la ragione della propria esistenza; dipende necessariamente dall’ingenerato. Ora, in Dio, vi sono o no due ingenerati? Se sì: dunque vi sono due principi totalmente distinti o separati, ciò che è quanto dire che vi sono due dèi. Se no: dunque il Figlio non può essere che la creatura del Padre. Agli argomenti degli anomei ecco la risposta di Sant’Atanasio. Quasi tutti i testi della Sacra Scrittura che accusano una certa inferiorità del Figlio rispetto al Padre – dichiara sant’Atanasio – si riferiscono non al Figlio ma all’umanità da Lui assunta, il giorno dell’Incarnazione. Così, « è come uomo che il Salvatore ha detto: il Signore mi ha creato ». Egli ha voluto rendere il seguente pensiero: « Il Padre mi ha formato un corpo, mi ha creato per |a Salvezza degli uomini. In questo passo, il verbo ektise si applica non al Verbo, ma al corpo creato di cui il Verbo è rivestito » (Contra arianos, Or. 2, 47; P.G. 26, 258). Uguale tagionamento riguardo al testo di San Marco: « Ciascuno sa che il Salvatore ha tenuto tale linguaggio a motivo della carne, come uomo. Infatti, una simile imperfezione non ha potuto appartenere al Verbo, ma alla natura umana la cui proprietà è ignorare » (ivi, or. 3, 43). Il testo di san Luca ha evidentemente il medesimo significato. Quanto ai passi di san Giovanni, uno solo sembra presentare alcune difficoltà, ed è quello che contiene questa dichiarazione del Salvatore. « Il Padre che mi ha mandato è più grande di me ». Ora, dice sant’Atanasio, questo testo enuncia una certa Superiorità del Padre sul Figlio, ma non fa che esprimere la relazione di paternità e di figliazione che unisce il Padre ed il Figlio, non contiene nulla che possa intaccate la perfetta eguaglianza del Padre e del Figlio o la consustanzialità delle Persone divine (ivi, or. 1, 58). – Dopo aver esposto il Significato delle Sacre Scritture, Sant’Atanasio si applica à mostrare che gli ariani non hanno il diritto di appellarsi all’autorità di Origene o di Dionigi di Alessandria. Senza dubbio – egli dice – s’incontrano talvolta nei loro scritti delle espressioni strane, ma se si ha cura d’interpretarle secondo il contesto e le circostanze, si vede: che la lors dottrina è ortodossa. (De decretios, 27; P.G. 25, 465) A proposito di san Dionigi, egli lancia agli ariani la seguente apostrofe: « Poiché questi fautori d’empietà pretendono che Dionigi é con essi, scrivano dunque e confessino ciò che egli stesso ha scritto, proclamino quanto egli ha insegnato sulla consustanzialità, sull’eternità del Figlio e accettino i suoi paragoni » (De sent., Dion. 24). Nelle loro discussioni, abbiamo detto, gli ariani ricorrevano meno agli argomenti autorevoli che alla dialettica. Sant’Atanasio non esita di attaccarli in nome di questa medesima Scienza. – Tutta l’argomentazione degli ariani riposava sopra un equivoco introdotto dal termine Aghénneton. Infatti questa parola pus avere due sensi;: o significa « ciò che non é stato fatto, ciò che non à stato creato, quel che è eterno », e, in questo senso, si applica egualmente al Padre ed al Figlio; oppure Significa « ciò che non è stato generato », e, in questo senso, si applica soltanto al Padre. Non facendo tale distinzione si cade nell’errore. «È dunque a torto che gli ariani credono trionfare col loro dilemma: vi è un solo  aghennetos oppure due? Se vogliono definire aghennetos “ciò che non è fatto o creato, ciò che à eterno”, che essi intendano non una volta, ma mille, che, secondo questo significato, il Figlio è anch’esso aghennetos; poiché non è del numero dei Ghenneton; non é fatto, Egli coesiste col Padre Suo da tutta l’eternità. Se dunque, vinti da questo lato vogliono dare alla parola il senso di “non venuto da qualcuno, non avente Padre”, intenderanno da noi che secondo tale Significazione, non vi è che un solo ed unico aghennetos, che è il Padre. Ma in tale dichiarazione non guadagnano nulla; poiché dire che il Padre è aghennetos in questo senso, non è che dire che il Figlio è Aghennetos nel senso di fatto o creato, poiché è stato dimostrato precedentemente che Egli è il Verbo, e tale quale Colui che lo ha generato. Se dunque Dio é Aghennetos, sua immagine, cioè Verbo, non è ghennetos (cioë fatto o creato), ma ennema (ossia colui che é generato, il rampollo) » (Contra arianos, or. 1, 31; P. G. 26, 76). È così che Sant’Atanasio ha confuso gli ariani, gli anomei od omei ed, ha affermato e giustificato il dogma della consustanzialità del Figlio definito dal Concilio di Nicea. Nel medesimo tempo egli affermava e giustificava il dogma della consustanzialità dello Spirito Santo. Ma accanto agli ariani, vi erano i semi-ariani, la cui dottrina meno assoluta, tendeva ai medesimi scopi, cioè la negazione della dottrina della consustanzialità del Figlio definita dal Concilio di Nicea, e per conseguenza la negazione della consustanzialità dello Spirito Santo, la negazione della divinità del Figlio e dello Spirito Santo. – Contro di loro, come contro gli ariani, con la stessa fermezza e la medesima intelligenza dell’errore, dell’eresia, con tutto il suo genio, si è levato Sant’Atanasio, colui che tutta la tradizione saluta quale Dottore del dogma della Santissima Trinità, come Saluta Sant’Agostino quale Dottore della grazia. I semi-ariani rigettavano il termine omousios di cui si era servito il Concilio di Nicea per definire l’unità di essenza, di sostanza, del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, la consustanzialità delle tre Persone divine, per due principali ragioni, una filosofica e l’altra scritturale. Poiché il Figlio sia Figlio deve possedere la sostanza del Padre. Ogni generazione suppone infatti [a comunicazione della sostanza del padre. Ma il Figlio deve possedere col Padre una sostanza numericamente identica. Ammettere il contrario, sarebbe riconoscere due sostanze in Dio, e per conseguenza due dèi. Tuttavia, poiché il Figlio è semplicemente il Figlio, deve senza dubbio possedere la sostanza divina, ma con minore pienezza del Padre, poiché l’effetto è sempre inferiore alla causa. Ora, continuavano i Semi-ariani, il termine omousios, che afferma l’identità assoluta della sostanza del Padre e della sostanza del Figlio, enuncia equivalentemente che il Figlio non ê realmente il Figlio, e non è che una modalità passeggera della sostanza divina. Detto in altri termini, la parola omousios non può avere che un significato sabelliano. Invece il termine afferma solamente la similitudine che il Figlio possiede in virtù della generazione eterna, e rigetta l’economia della vita trinitaria.  – Del resto la parola omousios, poiché non fa che enunciare la similitudine che risulta dalla generazione eterna, può essere considerata come l’equivalente del termine scritturale « Figlio ». Quanto alla parola omousios è una novità di espressione che enuncia un’idea nuova e non scritturale (Non consideriamo, qui che i Semi-ariani della nota di Eusebio di Cesarea  di Basilio di Ancira). Essi non facevano insomma che riprendere le idee subordinaziane di Origene o di Dionigi di Alessandria. Che vi siano Stati dei semi-ariani per i quali la generazione del Figlio sia consistita nella comunicazione di una parte soltanto della sostanza del Padre, non lo contestiamo. Perciò sant’Atanasio nelle sue polemiche ha spesso di mira queste dottrine. Ma è evidente che teorie di tale natura non differivano se non per l’espressione dall’arianesimo puro). È facile vedere che le affermazioni dei semiariani differivano completamente da quelle degli ariani. Per gli ariani, il Figlio era di una sostanza numericamente distinta da quella del Padre e creata dal Padre. Per i semi-ariani la sostanza del Figlio era numericamente la stessa di quella del Padre: ma il Figlio, in quanto Figlio, non poteva possederla che in grado inferiore. Tattavia il semi-arianesimo non poteva concepirsi, quando si cercava di rappresentarsi ciò che potesse significare in Dio. Se il Padre genera un Figlio, non può essere che per mezzo della comunicazione di tutta la sostanza divina. Dunque tutta la sostanza apparterrà al Figlio come al Padre: in altre parole, il Figlio sarà omousios al Padre. Gli Sforzi di Sant’Atanasio ebbero per scopo di Stabilire tale dimostrazione (De synodis 41, 53). Gli veniva fatta l’obiezione che dal momento che il Figlio era semplicemente il Figlio, bisognava concepirlo come un effetto del Padre. Ora, si aggiungeva, l’effetto è necessariamente inferiore alla causa. Non vi è – ribatteva sant’Atanasio, tra il Padre e il Figlio, il carattere di causa ad effetto che esiste fra gli uomini fra un padre che genera e il figlio che è generato. In Dio, il Padre è la radice e il Figlio è lo stelo di questa radice. Come la sorgente e la radice non sono la causa efficiente del ruscello o dello stelo, ma soltanto il punto di partenza, l’origine, il semplice principio: così, in Dio, il Padre non è la causa efficiente del Figlio, ma il punto di  partenza, l’origine, il semplice principio (Contra arianos, or. 1, 19). Queste parole, « sorgente » e «radice », sono scelte bene; risvegliano l’idea non di una produzione per via di casualità efficiente, ma di una estensione per comunicazione di sostanza. E che non si dica – continuava, Sant’Atanasio – che l’omousia del Padre e del Figlio non sia indicata nella Scrittura. San Giovanni non ricorda forse questa parola del Salvatore: «Io ed il Padre mio, siamo una sola cosa »? (X, 30). E quest’altra: «lo sono nel Padre ed il Padre é in me? (Gio. XIV, 10). Egli insegna con ciò l’identità di sostanza del Padre e del Figlio (Contra arianos, or. 3, 3). Tali ragionamenti dovettero influenzare lo spirito dei semi-ariani. Ma ciò ché soprattutto contribuì |a condurli all’ortodossia, furono le esagerazioni di molti membri del loro partito, i quali caddero nell’arianesirmo puro, e molto più, forse, i procedimenti poco onesti degli stessi ariani. Perciò i semi-ariani giunsero a poco a poco ad affermare che il Figlio, eguale al Padre in virtù della generazione eterna, possedeva la sostanza Stessa del Padre, perfettamente quanto il Padre. Era in conclusione tutto ciò che significava l’omousios del Concilio di Nicea. Tuttavia essi rifiutarono ancora di accettare questo termine, e gli preferirono quello di omoiusios. Non vi è dubbio: la questione non era più che una contesa di parole. Sant’Atanasio lo comprese così bene che, al Concilio di Alessandria del 362, permise di conservare l’omoiusios purché sotto tale espressione si riconoscesse che il Figlio possedeva la sostanza stessa del Padre, perfettamente quanto il Padre (È stato insinuato che sant’Atanasio, verso la fine della vita, aveva semplicemente accettato l’omoiusios. Nessun’asserzione più falsa. Sant’Atanasio tollerò il termine omoiusiois, quando si avvide che si dava a questa parola, un significato accettabile.).

CRISTO REGNI (6)

CRISTO REGNI (6)

 P. MATHEO CRAWLEY (dei Sacri Cuori)

TRIPLICE ATTENTATO AL RE DIVINO [II Edizione SOC. EDIT. VITA E PENSIERO – MILANO]

Nihil obstat quominus imprimatur – Mediolani, die 4 febr. 1926 Sac. C. Ricogliosi, Cens. Eccles.

IMPRIMATUR In Curia Arch. Mediolani die 5 febr. 1926 – Can. M. Cavezzali, Provic. Gener.

VII. – Costumi e libertà alla moderna

Che libito fe’ licito in sua legge » (Inf. V, 56 – NdT.)

Ebbi ultimamente occasione di incontrarmi con un uomo di raro talento, reduce da un viaggio di studio nel Giappone. Aveva vissuto lunghi mesi laggiù, studiando ed osservando i costumi. Vi aveva trovato cose notevoli, ma mi esprimeva, nonostante la sua ammirazione per una tale civilizzazione, questo rammarico : « Peccato che quel paese sia ancora tanto profondamente pagano! » E mi enumerava dei fatti e mi spiegava i costumi… Quando ebbe finito, io lo meravigliai dall’applicazione che a mia volta potevo disgraziatamente fare, delle sue critiche, ai costumi parimenti pagani dei grandi centri europei, delle spiagge e delle stazioni mondane, frequentate da un pubblico eletto e creduto cristiano. – Forse che il Giappone è più pagano, e soprattutto più colpevole nel suo paganesimo, delle nostre società convenzionalmente cristiane? Ahimè! Se i paesi del Levante son capaci di progresso, si direbbe che i paesi d’Occidente sono davvero, dal punto di vista del costume cristiano, i paesi del « sole che tramonta ». Noi non possiamo ripetere in queste pagine, quel che, moltissimi dei! giornali più in vista annunziano in grossi caratterl e raccontano con particolari mostruosi … La leggerezza con la quale pubblicano quei grandi e piccoli scandali di costumi, l’inavvertenza con cui si leggono e ne parla, provano che si tratta di fatti abituali, quotidiani, generali, ai quali non si dà importanza, nella vita morale della società moderna. Ma per non citare che una manifestazione di questo paganesimo, parliamo di quello delle spiagge di moda. – Se qualche anno prima della guerra ci avessero fatto il quadro di una di queste Spiagge, con i relativi bagni di sole, le animate conversazioni sulla sabbia, e le danze « barbare » in maglia, avremmo immediatamente pensato alle terre infami di Roma e di Atene. E tutti avremmo condannato con indignazione tali costumi. In pochi anni appena, i tempi sono cambiati; e lo spavento annienta, pensando a questa giovane generazione formata nella frivolezza, e in conseguenza capace di produrre, quanto prima, frutti di sventura morale. – Convenite che se vi è una misura di dignità, e delle forme di convenienza e di virtù, per il contegno e l’acconciatura della donna, nelle vie o nei salotti, esse sono da applicarsi soprattutto alla spiaggia, e per una delicatezza che dovrebbe essere elementare, sembra che siano più necessarie sulla sabbia che altrove. Il pudore, è esso una virtù cristiana, o una semplice convenzione sociale: come quella di salutare con la mano destra, o di vestirsi di nero quando si è in lutto? Convenzione che si può dunque abolire o cambiare col tempo o per il capriccio di una società?.… Non è più adunque un immutabile principio di evangelica virtù, che la donna cristiana debba essere pura e che debba anche apparir tale, sempre e dovunque. Ma allora, come chiamare questa libertà che de nuda e fa il gioco della più volgare immodestia, sotto il pretesto della moda o dell’igiene? Da quando in qua, la delicatezza femminile cristiana, è da considerarsi come una esagerazione di spregevole bigottismo, della quale, si possa disimpegnarsi e prendersi gioco? Il paganesimo non ha il diritto di rinascere, e la convenzione. e la morte non han diritto che al sepolcro! – Aspettando il Conte di… nella splendida sala della sua dimora, io guardavo le incisioni di una rivista reputata seria: ed ecco che trovo nel numero di agosto, una, due, tre vedute di una spiaggia mondana molto frequentata. Che indecenza di costumi! Che vergognosa licenziosità! Si leggeva, sotto quelle fotografe: « Scene deliziose della spiaggia di X …… – Bagni di sole e di « flirt ». « Un Istante di riposo dopo il tango in maglia ». Prove pratiche che i vecchi pregiudizi scompaiono! « Pietà, Gesù!… » Leggo qualche rigo della cronaca mondana e trovo, fra le altre prove di audacia anti-cristiana, questo: « Quando fa molto caldo, si torna al bagno per la seconda o terza volta, la sera, sul tardi, quando le ombre del crepuscolo avvolgono già la spiaggia. Inutile dire che i giovani soprattutto aspettano con impazienza le ombre per godere d’una legittima libertà, che nessuno, ai giorni nostri, oserebbe criticare. Qualche anno ſa ci si sarebbe meravigliati delle cose che s’impongono all’epoca nostra, e che fanno il loro cammino come frutto d’una civilizzazione più raffinata. – Questa promiscuità senza scrupoli, é una felice innovazione che attira un mondo elegante alla spiaggia di X.…., come lo provano d’altronde le istantanee che riproduciamo più su ». Ancora una volta, pesate le parole insultanti e il cinismo delle affermazioni scandalose. – Ma il Conte entra: gli manifesto il mio stupore di vedere in una rivista che gode credito di onestà, delle fotografie di persone i cui atteggiamenti rendono certamente la loro moralità assai dubbia. Ed egli di rimando: « Oh, non lo dica, Padre mio; queste sono fotografie d’una società distintissima ed elegante. Ecco in quest’altro numero le mie tre figlie, mentre prendono il loro bagno di sole. Quei giovani che lei vede presso di loro, sono il fiore della nostra società » Pietà, Gesù! Il suo Cuore adorabile avrà trovato, io spero, una riparazione nell’angoscia, nello stringimento di cuore che provai sentendo un Cristiano (!) in così perfetto accordo col cinico cronista, vedendo un padre tanto cieco e noncurante della bellezza morale delle proprie figlie e delle insidie mondane tese alla loro virtù. Le spiagge mondane son luoghi malefici che hanno pervertito tanto le coscienze, quanto i cattivi spettacoli. Esse sono spesso il teatro sconveniente in cui gli attori sono proprio gli stessi Cristiani. Leggete questa osservazione d’un giornalista, tanto intelligente quanto coscienzioso: « Ero, qualche giorno fa, 1n una delle più eleganti stazioni balneari. Vidi passare a centinaia, donne giovani e adolescenti. Quante, fra loro, erano appena uscite da istituti di educazione tra i più rispettati del paese? Quasi tutte m’hanno fatto arrossire: molte m’avrebbero fatto piangere… » Così constata e parla un giornalista. Ma è anche il Vicario di Cristo che denunzia, costernato, questa disfatta morale: « In molti luoghi », dice S. S. Pio XI, « non si trovano più costumi degni di un Cristiano, a tal punto che non solamente la società umana non progredisce verso questo progresso universale di cui ci si glorifica abitualmente, ma sembra addirittura ricondurci alla barbarie » (Enciclica citata). « Miseremini mei! » Abbiate pietà. di me, e delle anime vostre, voi che vivete inebriati dai rischioso piacer d’una malsana sensualità! « Miseremini mei! » Abbiate pietà di me e anche delle anime vostre, voi che vivete la vita spensieratamente folle dei circoli, del salotto e delle spiaggie mondane ». « Perché  mi batti, calpestando la mia Legge divina? ». Pietà del nostro Re! Non castigate come uno schiavo, Colui che è il nostro Dio!

CRISTO REGNI (7)

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (8)

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (8)

TITOLO ORIGINALE: TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT

Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950

V. Per la Curia Generalizia – Roma, 11 – 2 – 1952 Sac. G. ALBERIONE

Nulla osta alla stampa Alba, 20 – 2 – 1952 Sac. S. Trosso, Sup.

lmprimatur – Alba, 28 – 2 – 1952 Mons. Gianolio, Vic. GEN.

Capo SETTIMO

LO SPIRITO SANTO È DIO, CONSUSTANZIALE AL PADRE ED AL FIGLIO

La dottrina della consustanzialità dello Spirito Santo è sempre stata considerata come esposta, insegnata e dimostrata contemporaneamente alla dottrina della consustanzialità del Verbo, Figlio unico del Padre. Essa non è mai stata contestata. Infatti, dal punto di vista teologico, dalla consustanzialità del Figlio unico del Padre, viene la consustanzialità dello Spirito Santo.

I- LE TRE PERSONE DIVINE SONO CONSUSTANZIALI

Nel Nuovo Testamento, la dottrina dell’unità divina è formale quanto nell’Antico. Ma nel Nuovo Testamento è chiaramente insegnato che Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non sono soltanto le tre maniere di essere di una medesima esistenza; sono i tre termini realmente distinti fra loro di una stessa vita divina, tre centri nei quali la vita divina prende un carattere particolarmente distintivo d’intensità: sono le tre Persone o ipostasi di una medesima sostanza. Sappiamo sufficientemente ciò che è la trinità delle Persone; cerchiamo adesso di comprendere ciò che è l’unità di sostanza. E Prima di tutto, se non vi è che un Dio, e questo Dio esiste in tre Persone, è evidente essere necessario che in Dio, né l’unità, né la trinità siano assolute, cioè bisogna che vi sia, in Dio, un vincolo per il quale l’unità si identifichi con la trinità, e la trinità si confonda con l’unità. Qual è questo elemento comune? Determiniamolo mediante l’eliminazione, delle concezioni eretiche che sono state sostenute nel quarto secolo, e che troveremo in seguito.  Pietro, Paolo, Giovanni si amano. Quindi, io dico che sono tre persone e queste tre Persone non fanno che una cosa sola. E in tale senso che io dico che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non fanno che una cosa sola? No. Pietro, Paolo, Giovanni non fanno che una cosa sola, e il vincolo che li unisce è l’amore; l’unione che esiste tra loro è ciò che si chiama unione morale. Questa unione non impedisce che Pietro, Paolo e Giovanni siano tre soggetti realmente e numericamente distinti quanto alla persona e alla sostanza individuale. Se il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non fossero uniti tra loro che per mezzo di questo modo di unione è evidente che sarebbero tre dèi e non un Dio. – Pietro, Paolo, Giovanni sono tre uomini, cioè tre persone che possiedono la stessa natura specifica. Quindi io dico che sono tre persone, e che queste tre persone non fanno che una cosa sola. È in questo senso che io dico che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non fanno che una cosa sola? No, Pietro, Paolo, Giovanni non fanno che una cosa sola e il vincolo che li unisce è la stessa specieuUmana che e88i posseggono, l’unione che esiste fra loro à ciò che si chiama unione specifica. Tale unione specifica non impedisce che Pietro, Paolo e Giovanni siano tre soggetti realmente e numericamente distinti quanto alla persona e alla sostanza individuale. Se il Padre, ü Figlio e lo Spirito Santo non fossero uniti tra loro che mediante questa unione specifica, è evidente che Sarebbero tre dèi e non un Dio. –  Pietro è padre di Paolo, e Paolo lo è di Giovanni. Quindi io dico che sono tre persone e queste tre persone non fanno che una cosa sola. È in questo senso che dico che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non fanno che una cosa sola? No, Pietro, Paolo, Giovanni non fanno che una cosa sola e il legame che li unisce, è quello del sangue; l’unione che esiste fra loro é ciò che si chiama unione di parentela. Tale unione non impedisce che Pietro, Paolo e Giovanni siano tre soggetti realmente e numericamente distinti, quanto alla persona e alla sostanza individuale. Se il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non fossero uniti fra loro che per mezzo di questa unione, è chiaro che sarebbero tre dei e non un Dio. – Il vincolo che unisce le tre Persone in un solo Dio è dunque più del vincolo di amore, più del legame della comunanza di specie, più di quello del sangue; l’unione che risulta da questo vincolo à più dell’unione morale, più dell’unione specifica, più dell’unione di parentela. In che cosa consiste? Consiste in ciò, che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo esistono in una sola e medesima sostanza, in una sola e medesima vita, in modo che questa sostanza o questa vita, nel Figlio o nello Spirito Santo, non sia inferiore a quella del Padre, come dicono i subordinaziani divenuti semi-ariani; ma in modo tale che questa sostanza o questa vita, nel Padre, nel Figlio o nello Spirito Santo, assolutamente identica nel suo essere intimo, nei Suoi caratteri, in tutto ciò che la costituisce nella Sua infinitudine assoluta. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo vivono dunque di una sostanza o di una Vita assolutamente identiche: perciò sono consustanziali, ὁμοούσιοι ,è= omousioi](il termine ὀμοούσιος, ὀμός-ουσία [=omos-usia] indica che il Padre,  il Figlio e lo Spirito Santo hanno la medesima essenza o sostanza, il medesimo essere intimo o assoluto.). Non vi è di distintivo e, per conseguenza, di costituente personale tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, se non la relazione di origine, secondo il principio di San Tommaso: Distinctio in divinis non fit nisi per relationem originis. Queste relazioni di origine non sono relazioni che furono ee non sono più; esse sono da tutta l’eternità, non avendo né principio, né fine. Tale è il dogma della consustanzialità. Inteso nel senso che abbiamo spiegato, è stato formalmente definito nel Concilio di Nicea, nel 325 (Denz. 54). La definizione ne é stata rinnovata nei Concili di Costantinopoli nel 381 (Denz. 86), di Efeso, nel 431 (ivi, 123), di Calcedonia, nel 451 (ivi, 148), di Costantinopoli, nel 551 (ivi, 220), di er Costantinopoli, nel 680-681 (ivi, 290). Ricerchiamo i fondamenti di tale dottrina nel Nuovo testamento e nella Testamento e nella Tradizione dei Padri. La dottrina della consustanzialità delle tre Persone è stata definita nel Concilio di Nicea; insegnata e difesa  lo fu soprattutto da Sant’Atanasio.

II.  Dottrina del NUOVO TESTAMENTO

Gli Evangelisti Sinottici e le lettere di san Paolo contengono la dottrina della consustanzialità delle tre divine Persone? I Sinottici e le lettere di San Paolo enunciano a più riprese che esiste un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo. Essi insegnano dunque che in Dio né la trinità esclude l’unità, né l’unità la trinità. Vi è necessariamente un legame per mezzo del quale la trinità si confonde con l’unità. Ma questi medesimi scritti ci dicono nulla della natura di tale legame. Il Vangelo di san Giovanni è più esplicito. In modo Speciale nel celebre testo nel quale rivolgendosi ai Giudei che Io tacciano di bestemmiatore nell’udire le sue parole, Gesù dice: «Io ed il Padre siamo una sola cosa » (Giov, X, 30). Questa proposizione enunciata impliciter et sine addito – dice san Tommaso – non può essere compresa come un’unione morale, una conformità di volontà, una unità di potenza una comunanza di operazioni; essa esprime un rapporto metafisico, un’identità di natura o di essenza (in Jo, c. X, lect. 5). – Talvolta si è cercato di ridurre la portata di questa dichiarazione del Salvatore, confrontandola con quest’altra che il medesimo Vangelo riferisce poco dopo: « Padre santo, custodisci nel Nome tuo quelli che mi hai affidati, acciocché siano una cosa sola come noi… Non soltanto per questi prego; Ma prego anche per quelli che crederanno in me per la loro parola: che siano tutti una sola cosa come Tu sei in me, o Padre, ed Io in te: che siano anch’essi una sola cosa in noi, affinché il mondo creda che Tu mi hai mandato. E la gloria che tu mi desti, l’ho data a loro, affinché siano una cosa sola, come siamo noi. Io in essi, e Tu in me; affinché sian perfetti nell’unità e conosca il mondo che Tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me » (Giov. XVII, 11, 20-23). Qui, si dice, non può trattarsi che di una conformità di volontà o di azione tra il Salvatore e i Padre suo; infatti, l’unione del Padre e del Figlio è presentata sul medesimo piano di quell’unione che Cristo vuol veder regnare tra Dio gli uomini. Ma l’affermazione di questo rigoroso parallelismo è assai gratuita; poiché si può benissimo rispondere che il Salvatore presenta l’unione esistente tra il Padre e Lui come un modello incomparabile e un motivo di unione fra Dio e i fedeli. Inoltre, bisogna pure osservare che l’unità di volontà, di potenza, di scienza, di azione, di vita tra il Padre ed il Figlio, ovunque affermata nel Vangelo Secondo San Giovanni, è quasi equivalentemente l’affermazione dell’unità di sostanza.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. LEONE XIII – “APOSTOLICÆ CURÆ”.

Questa lettera Enciclica di S. S. Leone XIII, è uno dei capisaldi del dogma cattolico inerente la validità degli Ordini in generale, anche se muove dalla questione particolare della invalidità degli Ordini anglicani allora fortemente dibattuta. Tra le altre, c’è una sentenza che fa tremare i polsi (e non solo) a tutti coloro che dal 18 giugno del 1968 hanno ricevuto uno pseuco-ordine sacerdotale o episcopale non tra gli anglicani, ma tra gli apostati postconciliari del Vaticano, compresi quelli che vestono carnevalescamente la talare bianca: « se il rito viene cambiato per introdurne un altro non approvato dalla Chiesa, e per respingere ciò che fa la Chiesa e che appartiene alla natura del sacramento secondo l’intenzione di Cristo, allora è chiaro che manca non solo l’intenzione necessaria al sacramento, ma che c’è anzi una intenzione contraria e opposta al sacramento. ». È esattamente ciò che è successo nel 1968, allorquando S, S, Pio XII definì irreformabilmente la forma del sacramento dell’Ordine nella sua Costituzione Apostolica Sacramentum Ordinis del 30 novembre 1947, formule poi totalmente eliminate e sostituite da veri e propri obbrobri teologici dall’antipapa G. B. Montini [il sedicente Paolo VI, eletto – per conto degli Illuminati di Baviera – quando era in carica legittimamente, S. S. Gregorio XVII], che ha così rese assolutamente invalide tutte le ordinazioni sacerdotali, e soprattutto episcopali, a partire appunto dal 18 giugno del 1968, epoca in cui promulgò il “nuovo” [cioè falso] Liber Pontificalis. Da quella data, in pratica, la Gerarchia episcopale si sta estinguendo completamente, e con essa la classe dei “falsi” sacerdoti “post-sessantottini”. La Chiesa Cattolica sopravvive grazie ai porporati ed ai sacerdoti delle catacombe ordinati da S. S. Gregorio XVII prima della sua eliminazione nel maggio del 1989 (compreso il suo successore, il Santo Padre attuale). Certo è stato un “colpo da maestro” del nemico ingannatore ed omicida, che ha mandato, e sta ancora mandando, tante anime ignare, però colpevolmente, nello stagno di fuoco eterno, per la definitiva ed eterna dannazione. Al pusillus grex cattolico, compreso, per grazia divina, l’inganno feroce, spetta il compito poco agevole di testimoniare la verità storica e teologica dei fatti, con il rischio di essere emarginato, perseguitato e martirizzato. Preghiamo però con il motto di S. S. Gregorio XVII: Non nobis, Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloria! (Ps. CXIII, 9)   


Leone XIII
Apostolicæ curæ

Lettera

Le ordinazioni anglicane
13 settembre 1896

Leone Vescovo servo dei servi di Dio a perenne memoria.

Alla nobilissima nazione inglese Noi abbiamo dedicato una parte non piccola della sollecitudine e della carità apostolica con cui cerchiamo in forza dell’ufficio di rappresentare e di imitare, col favore della sua grazia, “il grande pastore delle pecore, il Signore nostro Gesù Cristo” (Eb XIII, 20). Peculiare testimonianza della Nostra benevolenza verso la medesima [nazione] è la lettera che l’anno scorso abbiamo rivolto “agli inglesi che cercano il regno di Cristo nell’unità della fede”: di questo popolo abbiamo ricordato naturalmente, richiamandola alla memoria, l’antica unione con la Chiesa madre, e, riacceso nelle anime lo zelo di pregare Dio, ci siamo adoperati per portare a maturazione una felice riconciliazione. E di nuovo, non molto tempo fa, quando da un punto di vista generale e con una lettera pubblica si è voluto trattare più ampiamente dell’unità della Chiesa, non abbiamo certo dimenticato l’Inghilterra; con la chiara speranza che i nostri documenti possano dare fermezza ai Cattolici e luce salutare ai dissidenti. E fa piacere riconoscere, cosa che mette ugualmente in evidenza sia la benevolenza della popolazione che la preoccupazione della salvezza eterna di molti, come dagli inglesi sia stata valutata favorevolmente sia la Nostra premura che la Nostra libertà di espressione, poste in essere senza nessuna sollecitazione di calcolo umano. Ora poi con la medesima intenzione e con lo stesso spirito Noi abbiamo deciso di rivolgere l’attenzione ad una causa precisa di non minore importanza, che è in linea con lo stesso problema e con i Nostri desideri. Presso gli inglesi infatti, dopo un certo tempo dalla separazione dal centro dell’unità cristiana, è stato introdotto pubblicamente, sotto il re Edoardo VI, un rito completamente nuovo per il conferimento degli ordini sacri. Che per questo motivo sia venuto meno il vero Sacramento dell’ordine, cosi come lo ha istituito Gesù Cristo, e contemporaneamente anche la successione gerarchica, fino a questo momento la sentenza comune lo ha tenuto per fermo, e gli atti e la costante disciplina della Chiesa più di una volta l’hanno confermato. Tuttavia, da qualche tempo e soprattutto in questi ultimi anni, si è ricominciato a discutere se le sacre ordinazioni compiute con il rito edoardiano abbiano o no la natura e l’efficacia del sacramento: danno corpo alla discussione, in modo affermativo o dubitativo, non solo diversi scrittori anglicani, ma anche alcuni Cattolici, specialmente non inglesi. Gli uni certamente li ha spinti la grandezza del sacerdozio cristiano, nel desiderio di non essere privi della sua duplice potestà sul Corpo di Cristo; gli altri li ha spinti l’intenzione di rendere loro in qualche modo più facile il ritorno all’unità. Gli uni e gli altri, essendo progrediti col tempo gli studi su questo argomento, ed essendo venuti alla luce nuovi documenti scritti, si sono detti persuasi che sarebbe stato quanto mai opportuno un nuovo esame della causa da parte della Nostra autorità. Noi quindi, non volendo assolutamente trascurare quei consigli e quei desideri, e soprattutto volendo assecondare la voce della carità apostolica, abbiamo ritenuto che non si dovesse tralasciare nulla che in qualche modo potesse portare ad una riduzione dei danni o ad un accrescimento dei vantaggi delle anime. – È sembrato bene allora permettere, con grandissima benignità, il riesame della causa: e in modo tale che, con la massima scrupolosità della nuova inchiesta, fosse del tutto eliminata per il futuro ogni possibilità di dubbio. Per questo, a un certo numero di uomini insigni per dottrina ed erudizione, e dei quali erano note le contrapposte opinioni su questo problema, abbiamo affidato il compito di mettere per iscritto i motivi del loro giudizio. Chiamatili poi presso di Noi, abbiamo chiesto loro di scambiarsi reciprocamente gli scritti, e di ricercare e valutare qualsiasi cosa che fosse meritevole di più ampia conoscenza per la soluzione del problema. Abbiamo poi stabilito che costoro, senza limitazione alcuna, potessero riesaminare negli archivi vaticani gli opportuni documenti già conosciuti e rendere pubblici quelli non ancora noti; e che ugualmente avessero a disposizione qualsiasi atto su tale argomento conservato presso il sacro Consiglio chiamato Suprema, come anche tutto ciò che avessero pubblicato fino ad oggi le persone più dotte da una parte e dall’altra. Abbiamo voluto che costoro, forniti di tali sussidi, si riunissero poi insieme in sedute particolari; se ne sono tenute dodici, sotto la presidenza di un Cardinale della santa Chiesa di Roma da Noi stessi designato, essendo stata data a tutti la facoltà di discutere liberamente. Gli atti infine delle loro riunioni, unitamente agli altri documenti, abbiamo ordinato che fossero tutti consegnati ai venerabili Cardinali Nostri fratelli; così che questi, avendo riflettuto sul problema, ed avendolo infine dibattuto in Nostra presenza, potessero esprimere ciascuno il proprio parere. – Dopo aver avviato questo modo di procedere, era giusto tuttavia che non si affrontasse l’intima valutazione della causa, se prima non si fosse esaminato con grandissima diligenza lo stato in cui essa già si trovava secondo le determinazioni della sede apostolica e la consuetudine consolidata; di questa consuetudine era senza dubbio estremamente importante valutare il suo inizio e il suo valore. Sono stati così esaminati prima di tutto i principali documenti con i quali i Nostri predecessori, su richiesta della regina Maria, dedicarono particolari premure alla riconciliazione della chiesa d’Inghilterra. Giulio III infatti, designò a questo compito, come legato a latere, il cardinale Reginaldo Pole, di nazionalità inglese, esimio per molteplici meriti, “quasi suo angelo di pace e di amore”, e gli assegnò compiti e poteri d’azione del tutto straordinari, che poi Paolo IV confermò e definì chiaramente. Per questo, al fine di valutare esattamente quale importanza abbiano in sé i documenti ricordati, è necessario stabilire, come punto di riferimento fondamentale, che il loro proposito non fu mai astratto, ma totalmente riferito alla specifica situazione e ad essa peculiare. Poiché infatti le facoltà attribuite da quei Pontefici al legato apostolico riguardavano solo l’Inghilterra e la situazione della Religione sul posto, anche le direttive di comportamento dagli stessi assegnate al legato inquirente, non potevano affatto avere lo scopo di determinare in linea generale quali siano le cose in assenza delle quali le ordinazioni sacre non sono valide; dovevano invece mirare esclusivamente a prendere posizione riguardo agli ordini sacri in quel regno, per quel che mostravano le ben note condizioni dei tempi e delle situazioni. Tutto questo, oltre al fatto di essere evidente per la natura e la modalità di quei documenti, risulta chiaramente anche per il seguente motivo: sarebbe stato del tutto assurdo, riguardo alle cose che sono necessarie per conferire il sacramento dell’ordine, volere che fosse istruito il legato, proprio lui, la cui dottrina aveva brillato anche nel Concilio di Trento. – A coloro che bene intendono queste cose, apparirà subito chiaro per quale motivo nella lettera di Giulio III al legato apostolico, scritta 1’8 marzo 1554, ci sia un distinto riferimento prima di tutto a coloro che, “promossi secondo il rito e in modo legittimo”, dovessero essere conservati nei loro ordini, e poi a coloro che “non promossi ai sacri ordini” potessero, “se fossero stati trovati degni e idonei, essere promossi”. Si indica infatti in modo certo e definito, come era in realtà, una duplice categoria di persone: da una parte coloro che avessero veramente ricevuto la sacra ordinazione, sia prima della secessione di Enrico, o, se anche successivamente per mezzo di ministri implicati nell’errore e nella separazione, tuttavia con il rito cattolico abituale; dall’altra coloro che fossero stati iniziati secondo l’Ordinale edoardiano, e che potessero quindi “essere promossi”, dato che avevano ricevuto una ordinazione invalida. E che altro non fosse stato il proposito del Pontefice, lo conferma chiaramente la lettera dello stesso legato del 29 gennaio 1555, che demanda le sue facoltà al Vescovo di Norwick. Si deve inoltre soprattutto considerare ciò che la lettera stessa di Giulio III riporta riguardo alle facoltà pontificie da usare liberamente, anche a vantaggio di coloro ai quali la funzione di consacrare era stata conferita “in modo non pienamente conforme al rito e senza osservare la forma consueta della Chiesa”: con questa locuzione certamente venivano designati coloro che erano stati consacrati con il rito edoardiano; al di fuori di questa forma infatti e di quella cattolica, non ne esisteva altra in quel tempo in Inghilterra. – Queste cose poi si fanno più chiare ricordando la missione che i re Filippo e Maria, persuasi dal Cardinale Pole, inviarono a Roma, al Pontefice, nel mese di febbraio 1555. Gli ambasciatori del re, tre uomini “veramente insigni e forniti di ogni virtù”, fra i quali Thomas Thirlby, Vescovo di Elie, avevano l’intenzione di informare esattamente il Pontefice con più complete notizie sulla situazione della realtà religiosa in quel regno, e di chiedere che fossero ritenute valide e confermate le cose che il legato aveva trattato e ottenuto per la riconciliazione del medesimo regno con la Chiesa: per questo motivo furono portate al Pontefice tutte le testimonianze scritte che erano necessario, e le parti del nuovo Ordinale che riguardavano più da vicino il problema. Accolta con grande solennità l’ambasceria, Paolo IV, “dopo aver discusso diligentemente” le medesime testimonianze con alcuni Cardinali fidati, “pervenuto ad una deliberazione matura”, pubblicò la lettera Præclara carissimi il giorno 20 giugno del medesimo anno. In questa, essendosi data piena approvazione e conferito efficacia alle cose compiute dal Pole, così si prescrive a proposito delle ordinazioni: “… coloro che sono stati promossi agli ordini ecclesiastici … da altri e non invece da un Vescovo ordinato secondo il rito e il diritto, sono tenuti a ricevere di nuovo … gli stessi ordini”. Quali poi fossero tali Vescovi, “ordinati non secondo il rito e il diritto”, lo avevano indicato già a sufficienza i precedenti documenti, e le facoltà usate dal legato al riguardo: senza dubbio coloro che fossero stati promossi all’Episcopato, come agli altri ordini, “senza che fosse osservata la forma consueta della Chiesa, o senza che fosse osservata la forma e l’intenzione della Chiesa”, come scriveva lo stesso legato al Vescovo di Norwick. Questi altri poi erano certamente quelli promossi secondo la nuova formula rituale; ad esaminare la quale si erano attentamente impegnati i Cardinali prescelti. E non bisogna tralasciare un passo della stessa lettera del Pontefice, del tutto congruente al problema; dove, con gli altri bisognosi del beneficio della dispensa, vengono elencati quelli “che avevano ottenuto sia gli ordini che i benefici ecclesiastici in modo nullo e di fatto”. Avere ottenuto gli Ordini “in modo nullo” è la stessa cosa che con un atto invalido e con effetto nullo, cioè “non validamente”, come chiarisce lo stesso significato di quella parola e il modo consueto di parlare; soprattutto quando è affermata la stessa cosa in ugual modo degli Ordini e dei “benefici ecclesiastici”, che secondo precisi istituti dei sacri Canoni erano manifestamente nulli, perché attribuiti con un vizio invalidante. A questo si aggiunge che, essendo certuni nel dubbio su chi potesse, secondo la mente del Pontefice, dirsi ed essere realmente Vescovo, “ordinato secondo il rito e il diritto”, questi, non molto tempo dopo, il giorno 30 ottobre, fece seguire un’altra lettera, in forma di breve e disse: “Noi, per togliere tale incertezza, e volendo adeguatamente provvedere alla serenità di coscienza di coloro che durante lo scisma furono promossi agli Ordini, esprimendo più chiaramente il pensiero e l’intenzione che abbiamo avuto nella Nostra lettera, dichiariamo che solo quei Vescovi e Arcivescovi che furono ordinati e consacrati non nella forma della Chiesa, non possono dirsi ordinati secondo il rito e il diritto”. Se questa dichiarazione non avesse dovuto riferirsi appositamente alla situazione presente dell’Inghilterra, cioè al rituale edoardiano, certamente il Pontefice non avrebbe fatto la nuova lettera, con cui “togliere l’incertezza e provvedere alla serenità di coscienza”. – Del resto, anche il legato non comprese affatto diversamente i documenti e i comandi della sede apostolica, e ad essi ottemperò nel modo dovuto e con scrupolo: e ciò fu ugualmente fatto dalla regina Maria e dagli altri che con lei si impegnarono affinché la Religione e le istituzioni cattoliche fossero ricondotte alla precedente situazione. – Gli autorevoli comportamenti di Giulio III e di Paolo IV che abbiamo richiamato, mostrano chiaramente l’inizio di quella dottrina a cui in modo costante ci si attiene da più di tre secoli, e cioè che le ordinazioni con il rito edoardiano sono ritenute invalide e nulle; a questa dottrina sono poi di ampio sostegno le molte testimonianze di ordinazioni che, anche in questa città, sono state frequentemente e incondizionatamente ripetute secondo il Rito cattolico. Nell’osservanza poi di questa disciplina c’è un argomento favorevole alla tesi. Infatti, se qualcuno rimane ancora nel dubbio sul senso in cui debbano essere accolte quelle disposizioni dei Pontefici, giustamente vale il detto: “la consuetudine è un’ottima interprete delle leggi”. Infatti, dato che nella Chiesa si è sempre ritenuto in modo fermo e stabile che la reiterazione del sacramento dell’Ordine fosse contro il Diritto Divino, non avrebbe potuto verificarsi in nessun modo che la Sede Apostolica sopportasse e tollerasse tacitamente una tale consuetudine. Orbene non solo non l’ha tollerata, ma ha anche sempre valutato e sanzionato in modo univoco ogni volta che nella medesima situazione si è dovuto giudicare un qualche evento particolare. Presentiamo ora due eventi di tal genere, tra i molti che sono stati deferiti di volta in volta alla Suprema: uno nell’anno 1684, di un calvinista francese, il secondo nell’anno 1704, di Giovanni Clemente Gordon; entrambi avevano ricevuto gli ordini secondo il rituale edoardiano. Nel primo caso, dopo un’accurata indagine del problema, molti consultori misero per iscritto i loro responsi, i cosiddetti voti, e gli altri concordarono con loro in un’unica sentenza, “per l’invalidità dell’ordinazione”: tenendo quindi conto soltanto dell’opportunità, piacque ai Cardinali rispondere: Rinviata. Gli stessi atti poi sono stati ripetuti e riesaminati nel secondo caso: sono stati per questo richiesti nuovi voti dei consultori, si sono interrogati dottori famosi fra quelli della Sorbona e di Kilmacduagh, e non si è trascurata nessuna risorsa di più perspicace competenza nell’esaminare profondamente la cosa. E deve essere tenuto presente che, anche se lo stesso Gordon, di cui si trattava, come pure alcuni consultori, abbiano addotto anche quella ordinazione, come si riteneva, di Parker fra le cause di rivendicazione “della nullità”, tuttavia, nella sentenza che doveva essere promulgata, quella causa è stata totalmente trascurata, come palesano documenti di fede certa, e nessun’altra ragione è stata considerata se non “il difetto di forma e di intenzione”. Riguardo poi a questa forma, affinché il giudizio fosse più completo e più sicuro, si era fatto in modo di avere davanti un esemplare dell’Ordinale anglicano; e anche con questo sono state confrontate le singole forme di ordinazione, ricavate dai vari riti degli orientali e degli occidentali. Quindi Clemente XI, con i voti favorevoli dei Cardinali ai quali spettava, proprio lui personalmente, venerdì 17 aprile 1704, “decretò”: “Giovanni Clemente Gordon “di nuovo e senza condizioni” sia ordinato a tutti gli ordini sacri e particolarmente al presbiterato, e poiché non aveva ricevuto la confermazione, riceva per primo il sacramento della Confermazione”. La sentenza, e questo deve assolutamente essere tenuto presente, non attribuì nessuna importanza alla mancanza “di consegna degli strumenti”: in quel caso, infatti, sarebbe stato prescritto secondo la consuetudine che fosse disposta una ordinazione “sotto condizione”. Si deve poi soprattutto considerare che la medesima sentenza del Pontefice si riferisce in modo generale a tutte le ordinazioni degli anglicani. Anche se ha riguardato una situazione particolare, tuttavia non ha preso le mosse da una qualche ragione particolare, ma da “un vizio di forma”, vizio dal quale sono colpite tutte quelle ordinazioni: al punto che, tutte le volte che in seguito si è dovuto decidere in situazioni simili, sempre ci si è riferiti al medesimo decreto di Clemente XI. – Stando così le cose, non c’è nessuno che non veda come la controversia oggi suscitata sia già stata definita da molto tempo dalla Sede Apostolica: senza conoscere quei documenti in modo adeguato, come sarebbe stato necessario, è accaduto forse che un qualche scrittore cattolico non abbia dubitato di poter discutere liberamente al riguardo. Però, dato che, come abbiamo dichiarato all’inizio, non c’è nulla per Noi di più caro e gradito che poter essere utili con la più grande indulgenza e carità agli uomini rettamente disposti, abbiamo ordinato di indagare di nuovo con la massima cura nell’Ordinale anglicano, che è il fondamento di tutta la causa. – Nel rito di conferimento e di amministrazione di qualsiasi sacramento, si distingue giustamente fra la parte “cerimoniale” e la parte “essenziale”, che si è soliti chiamare “materia e forma”. Tutti sanno che i sacramenti della nuova legge, in quanto segni sensibili ed efficaci della grazia invisibile, debbono significare la grazia che producono, e produrre la grazia che significano. Questa significazione, anche se deve essere contenuta in tutto il rito essenziale, nella materia cioè e nella forma, appartiene però particolarmente alla forma, dato che la materia è parte di per sé non determinata, che per mezzo di quella viene determinata. E questo, in modo ancora più esplicito, appare nel sacramento dell’Ordine, la materia del cui conferimento, quale si manifesta in questo luogo, è l’imposizione delle mani, che di per sé poi non significa nulla di definito, e viene usata ugualmente per tali ordini e per la confermazione. – Ora poi, le parole che fino a questi ultimi tempi vengono ovunque usate dagli anglicani come forma propria dell’ordinazione presbiterale, e cioè: “ricevi lo Spirito Santo”, non significano affatto in modo determinato l’Ordine del sacerdozio, o la sua grazia e potestà, che in particolare è la potestà di “consacrare e di offrire il vero corpo e sangue del Signore” (Denzinger 1771), con quel sacrifìcio che non è “una pura commemorazione del Sacrificio compiuto sulla croce” (Denzinger 1753). Tale forma poi è stata arricchita più tardi con le parole: “per la funzione e il compito di presbitero”. Ma questo dimostra piuttosto che gli anglicani hanno visto loro stessi che quella prima forma era imperfetta e non idonea alla situazione. – La stessa aggiunta però, se anche fosse in grado di apportare alla forma il legittimo significato, è stata introdotta troppo tardi, quando ormai era trascorso un secolo dalla ricezione dell’Ordinale edoardiano, e quando proprio per questo, essendosi estinta la gerarchia, la potestà di ordinazione era ormai nulla. Inutilmente poi ultimamente si è cercato un aiuto alla causa dalle altre preghiere dell’Ordinale. Infatti, anche tralasciando tutto ciò che nel rito anglicano le dimostri insufficienti allo scopo, valga solo questo argomento fra tutti: dalle stesse è stato tolto di proposito tutto ciò che nel rito cattolico designa chiaramente la dignità e le funzioni del sacerdozio. Non può dunque essere adatta e sufficiente al sacramento quella forma che passa sotto silenzio quello che dovrebbe propriamente significare. – Le cose stanno allo stesso modo per quanto riguarda la Consacrazione Episcopale. Infatti, alla formula “ricevi lo Spirito Santo”, non solo sono state aggiunte troppo tardi le parole “per la funzione e il compito di Vescovo”, ma anche riguardo alle medesime, come subito diremo, si deve giudicare altrimenti che nel rito cattolico. E non aiuta certo la causa il richiamare la preghiera del prefazio “Onnipotente Dio”, dal momento che è ugualmente priva delle parole che dichiarano “il sommo sacerdozio”. In verità, non giova a nulla a questo proposito, esaminare se l’episcopato sia un completamento del sacerdozio, o un ordine distinto da quello; o se conferito, come si dice, “per salto”, cioè ad un uomo che non sia sacerdote, abbia effetto oppure no. Ma lo stesso [episcopato] senza dubbio appartiene con assoluta verità al sacramento dell’Ordine, secondo l’istituzione di Cristo, ed è sacerdozio di grado supremo; questo appunto, dalla voce dei santi Padri e dalla nostra consuetudine rituale, è dichiarato “sommo sacerdozio, pienezza del sacro ministero”. Dal momento che il sacramento dell’Ordine e il vero sacerdozio di Cristo è stato totalmente eliminato dal rito anglicano, e che nella consacrazione episcopale del medesimo rito in nessun modo è conferito il sacerdozio, proprio da questo consegue che anche l’episcopato non può essere in alcun modo veramente e giustamente conferito; e questo tanto più perché tra i primi doveri dell’episcopato c’è appunto quello di ordinare i ministri per la santa Eucaristia e il Sacrificio. – Tuttavia, per la retta e piena valutazione dell’Ordinale anglicano, oltre a ciò che è stato osservato su alcune sue parti, nulla vale sicuramente quanto il considerare attentamente in quali circostanze sia stato composto e pubblicamente costituito. Sarebbe lungo enumerare le singole cose, e non è necessario: la storia di quel tempo infatti, dice abbastanza chiaramente quali fossero i sentimenti degli autori dell’Ordinale nei confronti della Chiesa cattolica, quali fautori si associassero dalle sette eterodosse, dove infine dirigessero i loro progetti. Ben sapendo infatti quale vincolo esista fra la fede e il culto, fra “la legge del credere e la legge del pregare”, con il pretesto di reintegrare la sua forma primitiva, hanno alterato in molti modi l’ordinamento della liturgia secondo gli errori dei novatori. Per questo, in tutto l’Ordinale, non solo non c’è nessuna chiara menzione del Sacrificio, della consacrazione e della potestà del sacerdote di consacrare e di offrire il Sacrificio; ma anzi, cosa di cui sopra ci siamo occupati, sono state deliberatamente eliminate e distrutte tutte le tracce di queste cose che fossero rimaste nelle preghiere non completamente rifiutate del rito cattolico. Così si manifesta da sé il nativo carattere e lo spirito, come si dice, dell’Ordinale. Di qui poi, avendo portato con sé l’errore fin dall’inizio, se non ha potuto avere in nessun modo validità nella pratica delle ordinazioni, neppure in futuro, con il passare del tempo, essendo rimasto il medesimo, potrà avere valore. Ed hanno agito inutilmente quelli che, fin dai tempi di Carlo I, hanno cercato di introdurre qualcosa del Sacrificio e del Sacerdozio, avendo fatto qualche aggiunta all’Ordinale; e ugualmente si dà da fare inutilmente quella parte non certo molto grande di anglicani costituitasi in tempi recenti, che ritiene che lo stesso Ordinale possa essere compreso e ricondotto ad un significato sano e retto. Inutili, noi diciamo, sono stati e sono questi tentativi: e ciò anche per questo motivo, perché, se alcune parole dell’Ordinale anglicano, come ora si trova, si presentano in modo ambiguo, non possono assumere il medesimo senso che hanno nel rito cattolico. Infatti, come abbiamo visto, una volta cambiato il rito con cui veramente si è negato o corrotto il sacramento dell’Ordine, e dal quale è stato ripudiato qualsiasi concetto di consacrazione e di sacrificio, non ha più nessuna consistenza il “Ricevi lo Spirito Santo”, Spirito che viene infuso nell’anima con la grazia del sacramento; e non hanno alcuna consistenza le parole “per la funzione e il compito di presbitero” o “di vescovo”, e quelle simili, che restano nomi senza la realtà che Cristo ha istituito. – Moltissimi fra gli stessi anglicani, interpreti più fedeli dell’Ordinale, hanno ben conosciuto la forza di tale argomento; e questa apertamente oppongono a coloro che interpretando in modo nuovo lo stesso [Ordinale], con vana speranza attribuiscono agli ordini con esso conferiti il valore e la forza che non hanno. Con questo medesimo argomento cade anche l’opinione di coloro che dicono che come legittima forma dell’Ordine possa essere sufficiente la preghiera “Onnipotente Dio, largitore di tutti i beni”, che si trova all’inizio dell’azione rituale; anche se forse potrebbe essere ritenuta sufficiente in un qualche rito cattolico che la chiesa avesse approvato. Con questo intimo “vizio di forma”, dunque, è congiunto un “vizio dell’intenzione”, che il sacramento, per poter essere, richiede in modo ugualmente necessario. Riguardo alla disposizione o intenzione, essendo di per sé qualcosa di inferiore, la Chiesa non giudica; ma dal momento che si manifesta all’esterno, deve giudicarla. Ora poi, quando qualcuno per compiere o conferire un sacramento, ha adoperato seriamente e giustamente la materia e la forma dovute, proprio per questo si ritiene che egli abbia inteso certamente fare ciò che fa la chiesa. Su questo principio si fonda la dottrina che tiene per fermo che è veramente un sacramento anche quello che è compiuto mediante il ministero di un eretico o di un non battezzato, purché con il rito cattolico. Al contrario, se il rito viene cambiato per introdurne un altro non approvato dalla Chiesa, e per respingere ciò che fa la Chiesa e che appartiene alla natura del sacramento secondo l’intenzione di Cristo, allora è chiaro che manca non solo l’intenzione necessaria al sacramento, ma che c’è anzi una intenzione contraria e opposta al sacramento. – Tutte queste cose a lungo e ripetutamente le abbiamo considerate fra Noi e coi Nostri venerabili fratelli giudici nella Suprema, l’assemblea dei quali Ci è piaciuto convocare presso di Noi in modo straordinario il venerdì 16 luglio, nella commemorazione di Maria, nostra Signora del Carmelo. Costoro concordemente hanno convenuto che la causa proposta già da tempo era stata conosciuta e giudicata dalla sede apostolica e che, istruita e trattata poi di nuovo la sua discussione, era emerso nel modo più chiaro con quale forza di giustizia e di sapienza [la sede apostolica] aveva deciso l’intera problematica. Abbiamo tuttavia ritenuto che la cosa migliore da farsi fosse il non pronunciare subito una sentenza, per meglio valutare l’utilità e il vantaggio di una nuova dichiarazione sul medesimo argomento in virtù della Nostra Autorità, e per implorare supplici una più copiosa abbondanza di luce divina. Avendo poi Noi considerato che lo stesso capitolo dottrinale, anche se giustamente già definito, è stato da certuni rimesso in discussione, qualunque sia poi il motivo di questa nuova discussione; e che da questa situazione avrebbe potuto nascere facilmente un pericoloso errore per i non pochi che pensano di trovare il sacramento dell’Ordine e i suoi frutti dove invece non ci sono. Ci è sembrato bene nel Signore di rendere pubblica la Nostra sentenza. Pertanto, approvando in modo globale tutti i decreti dei Nostri predecessori su questo problema, e confermandoli e rinnovandoli pienamente, in forza della Nostra autorità, di nostra iniziativa, per sicura conoscenza. Noi dichiariamo e proclamiamo che le ordinazioni compiute con il rito anglicano sono state del tutto invalide e sono assolutamente nulle. Rimane questo: con lo stesso nome e con lo stesso animo del “grande Pastore” con cui ci siamo adoperati per dimostrare la verità assoluta di una realtà così importante, vogliamo dare coraggio a coloro che con volontà sincera desiderano e ricercano i benefici degli Ordini e della Gerarchia. Forse fino ad ora, pur ricercando l’ardore della cristiana virtù, riflettendo più devotamente sulle divine Scritture, raddoppiando le pie preghiere, si sono tuttavia arrestati, incerti e inquieti, di fronte alla voce di Cristo che già da tempo esorta interiormente. Vedono già esattamente che Colui che è buono li invita e li vuole. Se ritornano al suo unico ovile conseguiranno veramente sia i benefici richiesti, sia i rimedi della salvezza che ne conseguono, e di cui Egli stesso ha fatto ministra la Chiesa, quasi custode perpetua e amministratrice della sua redenzione fra le genti. Allora veramente “attingeranno l’acqua con gioia dalle fonti del Salvatore”, i suoi meravigliosi sacramenti; da questi le anime fedeli, rimessi veramente i peccati, sono restituite all’amicizia di Dio, sono nutrite e rafforzate con il pane celeste, e con gli aiuti più grandi pervengono al raggiungimento della vita eterna. Assetati realmente di tali beni, “il Dio della pace, il Dio di ogni consolazione”, voglia benigno con questi ricolmarli e appagarli. Vogliamo poi che la Nostra esortazione e i Nostri desideri riguardino soprattutto coloro che sono considerati ministri della religione nelle loro comunità. Gli uomini che per l’ufficio stesso sono superiori in dottrina e autorità, e ai quali senza dubbio sta a cuore la gloria divina e la salvezza delle anime, vogliano mostrarsi particolarmente alacri e obbedire a Dio che chiama, e dare di sé un chiarissimo esempio. – Certamente la madre Chiesa li accoglierà con gioia specialissima e li abbraccerà con ogni bontà e con ogni cura, perché una più generosa forza d’animo li ha ricondotti al suo seno attraverso ardue difficoltà. Per tale forza, è impossibile dire quale lode sia loro riservata nelle assemblee dei fratelli per l’orbe cattolico, quale speranza e fiducia davanti a Cristo giudice, quali premi da lui nel regno celeste! Noi poi, per quanto sarà possibile, con ogni mezzo, non cesseremo di favorire la loro riconciliazione con la chiesa; dalla quale e i singoli e gli ordini, cosa che desideriamo con forza, possono prendere molto per imitarla. Frattanto preghiamo tutti e supplichiamo per le viscere di misericordia del nostro Dio affinché cerchino fedelmente di assecondare l’abbondante flusso della verità e della grazia divina. – Noi poi decretiamo che la presente lettera, con tutte le cose in essa contenute, non potrà mai in nessun tempo essere censurata o impugnata per vizio di surrezione o di orrezione o di intenzione Nostra, o per un qualsiasi altro difetto; ma che sarà ed è sempre valida e in vigore, e che deve essere osservata infallibilmente da tutti, di qualsiasi grado e onore, nel giudizio e fuori; dichiarando anche invalido e nullo se mai capitasse che fosse portato contro di essa un attacco, consapevolmente o inconsapevolmente, da chiunque e con qualsiasi autorità o pretesto, nonostante qualsiasi cosa contraria. – Vogliamo poi che alle copie di questa lettera, anche stampate, sottoscritte però dalla mano di un notaio e munite del sigillo da un uomo costituito in dignità ecclesiastica, si debba la medesima fiducia che si avrebbe alla manifestazione della Nostra volontà mediante l’ostensione di questa presente.

Roma, presso San Pietro, 13 settembre dell’anno dell’incarnazione del Signore 1896, anno XIX del Nostro pontificato.

FESTA DEL SANTISSIMO NOME DI GESÙ (2022)

MESSA DELLA FESTA DEL SS. NOME DI GESÙ (2022).

Doppio di II cl. – Paramenti bianchi.

La Domenica tra la Circoncisione e l’Epifania, oppure il 2 di Gennaio se in tale tempo non cade la domenica.

Dopo averci manifestato l’Incarnazione del Figlio di Dio, la Chiesa ci rivela tutta la grandezza del suo Nome. Durante il rito della Circoncisione i Giudei davano un nome ai bambini. Cosi la Chiesa usa lo stesso Vangelo del giorno della Circoncisione, insistendo sulla seconda parte, che dice: « il Bambino fu chiamato Gesù » (Vang.) « come Dio aveva ordinato che si chiamasse » (Or.) ». (L’Angelo Gabriele fu mandato da Dio a Maria e le disse: lo Spirito Santo scenderà sopra di te, « partorirai un figliuolo e gli porrai nome Gesù » – S. Luca, 1, 31. « Un Angelo del Signore gli apparve in sogno, dicendo: Giuseppe, ciò che in Maria tua sposa è stato concepito, è dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio al quale vorrai nome Gesù; perché Egli libererà il suo popolo dai peccati » – S. Matteo. I, 20). Questo nome significa Salvatore poiché spettava a Gesù di salvarci; «nessun altro nome è stato dato dagli uomini con il quale noi dovessimo essere salvati » (Ep.). Le prime origini di questa festa risalgono al XVI secolo, e la si celebrava nell’ordine di S. Francesco. Nel 1721 la Chiesa, retta da Innocenzo XIII, estese al mondo intero questa solennità. Se vogliamo « rallegrarci di vedere i nostri nomi scritti con quello di Gesù nel cielo » (Postc.) abbiamolo spesso sulle nostre labbra quaggiù. Venti giorni d’indulgenza sono accordati a quelli che curvano il capo con rispetto pronunciando o ascoltando il Nome di Gesù e di Maria, e Pio X ha concesso 300 giorni a quelli che li invocheranno piamente con le labbra o almeno con il cuore.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Phil II:10-11
In nómine Jesu omne genu flectátur, cœléstium, terréstrium et infernórum: et omnis lingua confiteátur, quia Dóminus Jesus Christus in glória est Dei Patris

[Nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, in cielo, sulla terra e nell’inferno, e ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo regna nella gloria di Dio Padre.]


Ps VIII: 2.
Dómine, Dóminus noster, quam admirábile est nomen tuum in univérsa terra!

[Signore, Signore nostro, quant’è ammirabile il Nome tuo su tutta la terra!]


In nómine Jesu omne genu flectátur, cœléstium, terréstrium et infernórum: et omnis lingua confiteátur, quia Dóminus Jesus Christus in glória est Dei Patris

[Nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, in cielo, sulla terra e nell’inferno, e ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo regna nella gloria di Dio Padre.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui unigénitum Fílium tuum constituísti humáni géneris Salvatórem, ei Jesum vocári jussísti: concéde propítius; ut, cujus sanctum nomen venerámur in terris, ejus quoque aspéctu perfruámur in cœlis.

[O Dio, che l’Unigenito tuo Figlio hai costituito Salvatore del genere umano, e hai voluto chiamarlo Gesù, concedici propizio di volerci beare in cielo della vista di Colui di cui sulla terra veneriamo il santo Nome.]

Lectio

Léctio Actuum Apostolorum
Act IV: 8-12
In diébus illis: Petrus, replétus Spíritu Sancto, dixit: Príncipes pópuli et senióres, audíte: Si nos hódie dijudicámur in benefácto hóminis infírmi, in quo iste salvus factus est, notum sit ómnibus vobis et omni plebi Israël: quia in nómine Dómini nostri Jesu Christi Nazaréni, quem vos crucifixístis, quem Deus suscitávit a mórtuis, in hoc iste astat coram vobis sanus. Hic est lapis, qui reprobátus est a vobis ædificántibus: qui factus est in caput ánguli: et non est in alio áliquo salus. Nec enim aliud nomen est sub cœlo datum homínibus, in quo opórteat nos salvos fíeri.

[In quei giorni: Pietro, pieno di Spirito Santo, disse loro: Capi del popolo e anziani, ascoltate: Giacché oggi siamo interrogati sul bene fatto ad un uomo ammalato, per sapere in qual modo sia stato risanato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo di Israele, che in virtù del Nome del Signore nostro Gesù Cristo Nazareno, che voi crocifiggeste e Iddio risuscitò dai morti, costui sta ora qui sano alla vostra presenza. Questa è la pietra rigettata da voi, costruttori, la quale è divenuta testata d’angolo. Né c’è salvezza in alcun altro. Poiché non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini in virtù del quale possiamo salvarci.]

Graduale

Ps CV: 47

Salvos fac nos, Dómine, Deus noster, et cóngrega nos de natiónibus: ut confiteámur nómini sancto tuo, et gloriémur in glória tua.

[Sàlvaci, o Signore, Dio nostro, e raccoglici di mezzo alle nazioni: affinché celebriamo il tuo santo Nome e ci gloriamo della tua gloria. ].

Isa LXIII:16

Tu, Dómine, Pater noster et Redémptor noster: a sǽculo nomen tuum. Allelúja, allelúja

[Tu, o Signore, Padre nostro e Redentore nostro: dall’eternità è il tuo Nome. Allelúia, allelúia].

Ps CXLIV: 21

Laudem Dómini loquétur os meum, et benedícat omnis caro nomen sanctum ejus. Allelúja.

[La mia bocca annuncerà la lode del Signore: e ogni vivente benedirà il suo santo Nome. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam
Luc II:21
In illo témpore: Postquam consummáti sunt dies octo, ut circumciderétur Puer: vocátum est nomen ejus Jesus, quod vocátum est ab Angelo, priúsquam in útero conciperétur.

[In quel tempo: Passati gli otto giorni, il bambino doveva essere circonciso, e gli fu posto il nome Gesù: come era stato indicato dall’Angelo prima di essere concepito.]

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

« OLEUM EFFUSUM NOMEN TUUM »

Quando, nella notte, scocca il grido rapido della sentinella che vigila invisibile, il viandante di colpo s’arresta e rabbrividisce. «Chi va là? ». « Sono io ». L’altro non s’acquieta e nuovamente leva la voce. « Fermati, o tiro. Non dal tuo nome ti posso conoscere, bensì dalla parola d’ordine. La sai? ». Tace: l’ignora. Perciò non può e non potrà mai passare da quella strada, che è l’unica strada per dove fatalmente è diretto. Dove sono dirette le anime nostre, o Cristiani, è il Paradiso; ma al tenebroso traguardo della morte io immagino come sentinella un Angelo che, ad ogni anima che passa, richiede la parola d’ordine: « Gesù ». Infelice chi in vita non l’avrà imparata bene poiché non entrerà giammai nel regno del Cielo. Nec enim aliud nome est sub cælo datum hominibus, in quo oporteat nos salvos fieri (Atti, IV, 12). Queste belle parole di S. Pietro mi fanno ricordare un’altra similitudine, anch’essa. espressiva. Vigeva costumanza presso gli antichi Romani di nascondere in bocca ai loro morti una moneta senza di cui, non potendo pagarsi il traghetto sul fiume dell’oltre tomba, i morti sarebbero rimasti sventuratamente esclusi dai luoghi beati. La nostra vera fede ha distrutto questa superstizione; non è però superstizione credere che nessuna anima potrà farsi trasportare dagli Angeli in Paradiso se nella sua bocca non porterà il nome di Gesù. Nec enim aliud nomen est sub cælo datum hominibus, in quo oporteat nos salvos fieri. Conoscere il Nome di Gesù come parola d’ordine, averlo sulle labbra: non significa altro che l’aver creduto nel nostro Salvatore, l’averlo teneramente amato, l’averlo fedelmente servito. Or dunque ascoltate volentieri qualche riflessione su questo santissimo Nome di cui oggi la Chiesa celebra la festa: io applicherò soltanto — seguendo le orme di S. Bernardo, — una frase della Sacra Scrittura: «Il tuo Nome è un olio diffuso”. L’olio è luce nella lampada; è forza al nostro corpo; l’olio è calma sulla piaga. Così il Nome di Gesù alle anime che l’adorano: è luce, è forza,  è pace. – IL NOME DI GESÙ È LUCE. Che cos’era infatti il mondo prima di Gesù? che cosa sono i popoli che non lo conoscono ancora? che cosa diventano gli uomini quando lo dimenticano? Ecco tre domande, a cui è molto utile rispondere. – a) Il mondo prima di Gesù era tutto una densa tenebra spirituale. A prescindere in parte dal popolo di Israele che visse sempre nel crepuscolo della remota aurora divina, tutte le nazioni antiche ci hanno dato esempi di corruzione vergognosa, di crudeltà inaudibile, di errori fatali. Ad Atene e a Roma erano state deificate le più basse passioni dell’uomo: la lussuria in Venere, l’intemperanza in Bacco, l’astuzia in Mercurio. Ad Atene e a Roma, la schiavitù era qualche cosa di essenziale alla compagine dello Stato: migliaia e migliaia di uomini venivano allevati come bestie, condannati come bestie ai lavori più duri senza umana ricompensa, trattati come bestie. Nessun diritto potevano vantare; venduti sui mercati passavano da una regione all’altra; il figlio era strappato alla madre, la sposa allo sposo; mutavano paese e padrone ma non il loro miserando destino. Ad Atene e a Roma, che pur si vantavano centri di sapienza, si ignorava che l’anima nostra è immortale, che viene da Dio, che a Dio tende: si ignorava che Dio è uno solo. – b) Volgiamo adesso la nostra mente ai popoli che non conoscono ancora il Nome di Gesù; essi, dopo tanti secoli, sono rimasti nella barbarie. Non mai vi è capitato tra le mani qualche giornaletto missionario? Non avete mai sentito raccontare nei villaggi dell’Asia ove ancora i genitori gettano i loro bambini nei boschi e nella campagna deserta? Non vi è giunta mai notizia delle tribù africane che vivono di rapina e di strage? Povere anime in preda alle più sciocche superstizioni e alle più raccapriccianti stregonerie! onorano il serpente, la mucca, la pianta; credono paurosamente ai maghi a cui prestano rigorosa ubbidienza; tremano al pensiero dei maligni spiriti a cui, in placazione, offrono sangue d’armenti e sangue di uomini. Talvolta alle loro capanne costrutte a sghembo con foglie e con fango giunge stanco e inerme il Missionario stringendo sul cuore il Crocifisso: ha viaggiato per mesi in acqua e in terra lontano dalla sua mamma, dalla sua casa, dalla sua patria verso un plaga ignota bruciata dal sole o ghiacciata dal freddo. E talvolta è una Suora che giunge fin là: una donna che per amore divino si è sentita il coraggio di passare oceani, fiumi e monti, tra i pericoli di belve e briganti. Con tanta brama, che recano essi? Ai popoli viventi nelle tenebre della morte essi portano il Nome della luce: Gesù. – c) In fine pensiamo che cosa diventano gli uomini quando dimenticano questo Nome. Pensate, o Cristiani, a quello in cui foste ridotti, se mai, scordando il Nome di Gesù: vi siete abbandonati al peccato. Più ciechi di Esaù, avete venduto la primogenitura di figli di Dio per un pugnello di lenticchie; più stolti del figliol prodigo, siete fuggiti dal cuore di Cristo centro di ogni tesoro e di ogni delizia per riempirvi il ventre con le ghiande dei porci. L’anima vostra subito è inaridita come un tralcio reciso dal tronco. Subito il demonio si è impossessato di voi come di uno schiavo. Il Paradiso si è chiuso sul vostro capo, l’Inferno s’è spalancato sotto ai vostri piedi. Gli Angeli della giustizia han gridato contro di voi: « Precipitalo o Signore! Perché ha dimenticato il Nome, fuori del quale salute non v’ha ». IL NOME DI GESÙ È FORZA. È forza d’’irresistibile misericordia davanti a Dio; è forza d’irresistibile minaccia davanti al demonio. – a) Il Maestro divino, insegnando agli Apostoli la maniera di ottenere grazie dal Cielo, disse: « Pregate nel mio Nome. Tutto quello che domanderete in mio Nome, vi sarà senza fallo concesso ». Ecco perché tutte le orazioni del Messale, del Breviario e di ogni altro libro della Chiesa Cattolica termina sempre così: « Questa grazia, o Signore, noi te la domandiamo in Nome del Figlio tuo Gesù Cristo che, con lo Spinto Santo e con Te, vive e regna nei secoli dei secoli. Amen! » – Qualche volta immagino di vedere il Signore mentre ascolta la nostra preghiera e mi par che dica: « No, per quanto la mia bontà sia infinita, non avrai la grazia che mi domandi. Troppo con la tua ingratitudine, troppo con la tua infedeltà, troppo con i tuoi peccati, offendesti tu vermiciattolo della terra l’inaccessibile mia grandezza … ». Ma ecco che noi gli diciamo: « Signore, non è per i nostri meriti e per quel che vale tutta la nostra persona, che osiamo domandarti questa cosa; ma è soltanto nel Nome di Gesù ».  A questa parola Dio non sa più resistere: gli sta davanti l’umanità, la pazienza, il martirio sanguinoso del Figlio suo, e cede. « Che cosa potrà mai negarci, — esclama San Paolo, — se Egli ci ha donato perfino il suo Unigenito? ». – b) Se davanti a Dio è forza d’irresistibile misericordia, davanti al demonio il Nome di Gesù è forza d’irresistibile minaccia. Non so sfuggire alla lusinga di spiegarvi questo pensiero con l’esempio dei martiri Cipriano e Giustina, come è raccontato nel Breviario ambrosiano (XXVI Nov.)». Viveva in Antiochia una fanciulla devota pura e bella, di nome Giustina. E c’era un giovane, di nome Cipriano, che tutto aveva tentato per indurla al male, perfino gli incantesimi e la magia; e sempre inutilmente. Rabbioso per il rifiuto e sospinto dalla passione, consultò allora il demonio e gli chiese perché ancora non l’avesse aiutato in quell’impresa. Gli rispose lo spirito infernale: « Io non ti posso far nulla. Giustina conosce una parola che rompe ogni mia suggestione e mi travolge via sconfitto ». – « Dimmi questa parola, ch’io l’impari! ». – « Non la posso dire tanto mi fa paura. Solo il Vescovo Antimo te la può insegnare ». Cipriano vi si recò subito, e lo scongiurò che gli dicesse quella parola potente e misteriosa. Ed il santo Vescovo gli disse che volentieri gliel’avrebbe insegnata, ma perché la potesse imparare a ripetere bisognava prima che diventasse puro, buono, e Cristiano. Infine, gli confidò la santa e terribile parola: Gesù. – Come il gladiatore si ungeva le membra con l’olio prima della lotta, così noi o Cristiani, armiamoci di questo Nome potente contro le tentazioni. Ci sono anime che piangono talora perché si sentono trascinate prepotentemente verso il peccato; invochino con amore, con fede il Nome di Gesù ed ogni incantesimo del demonio si infrangerà. Come sono maestose le parole con cui termina il Vangelo di San Marco! Gesù manda i discepoli alla conquista del mondo senza nulla fuorché il Nome: « Andate! nel mio Nome scaccerete il demonio; nel mio Nome calpesterete i serpenti; nel mio Nome anche il veleno non vi farà nocumento » (Mc., XVI, 17-18).  – IL NOME DI GESÙ È PACE. Come l’olio lenisce lo spasimo delle piaghe, così il Nome di Gesù placa l’angoscia delle tribolazioni, e allevia il peso delle fatiche. Contardo Ferrini quand’era stanco di studiare, quando non gli riusciva di raggiungere qualche verità astrusa, scriveva in margine al suo libro: « Gesù! » Gli pareva poi di sentirsi incoraggiato e lieto. – I fastidi, le fatiche, le sventure, le malattie sono cose inevitabili in questo mondo d’esilio e di pianto. Forse anche quest’oggi il nostro cuore, la nostra casa è oppressa da una croce grossa… Imprecare è inutile, liberarcene è impossibile: oh se sapessimo invocare il Nome di Gesù, sentiremmo le nostre pene raddolcite e le renderemmo utili per una vita migliore. Poveri uomini costretti sempre tra la polvere e il fumo dell’officina per mantenere la vostra famigliola, imparate ad invocare il Nome di Gesù! Gli Angeli, tra il fragore delle macchine o dei martelli sapranno cogliere la vostra giaculatoria e trasportarla al cielo donde vi riserberà coraggio e benedizione. Povere donne su cui si addossa una grande parte della croce familiare, e forse non siete comprese nei vostri sacrifici, non corrisposte dai vostri figli, imparate ad invocare il Nome di Gesù e troverete la forza e la pazienza a compiere il vostro martirio oscuro e lento. Il Nome di Gesù sia invocato dagli ammalati e dagli infermi da anni crocifissi in un letto, esclusi dalla vita, di peso a sé e agli altri: proveranno un gran sollievo nella loro carne tribolata e una gran pace nella loro anima contristata. Il Nome di Gesù sia invocato da coloro che piangono per un lutto recente: l’orfano, la vedova, la madre senza più il figlio, sentiranno colmato quel gelido vuoto che la morte ha fatto intorno ad essi. Il Nome di Gesù sia invocato da tutti quelli che soffrono per la giustizia, da tutti i calunniati, i disprezzati, i poveri; e tutti sentiranno di esser stati, nel dolore, preceduti dal Figlio di Dio, che li attende al di là del dolore, per coronarli con la sua corona, per rallegrarli della sua allegrezza. – Se un re ci donasse una medaglia d’oro, o un anello prezioso, sollecitamente noi metteremmo il dono in una scatola finissima e lo mostreremmo a tutti con molto piacere. Quando Mosè ottenne la manna dal Cielo subito ne pose qualche vaso nel tabernacolo santo perché rimanesse in perpetua memoria; e quando ricevette le tavole della legge le custodì nell’arca, fabbricata con incorruttibile legno e con lamine d’oro. Ma oggi da Dio noi abbiamo ricevuto un dono che è sopra ogni altro dono: il Nome di Gesù. Che cosa fu la manna, che cosa fu la legge, se le confrontiamo col Nome di Gesù? Quei che mangiarono la manna, quei che ricevettero quelle tavole sono morti, ma chi avrà invocato il Nome di Gesù avrà ogni grazia sulla terra, e poi vivrà beato in eterno.

        C’è un « Nome che è sopra ogni nome » (Filipp., II, 9). Solo «chi l’invocherà, sarà salvo» (Rom., X, 13); poiché «sotto il cielo non è dato nessuno altro nome che ci possa salvare » (Atti, IV, 12), « A tutti quelli poi che sanno invocarlo, il cuore si riempie di grazia e di pace» (I Cor., I, 2) e con quel Nome possono ottenere tutto quello che domandano. S. Bernardo sapeva bene questo Nome, e ci lasciò scritto ciò che a dirlo, provava: « … illumina l’intelletto, fortifica la volontà, smorza le vampe della concupiscenza, mitiga le ambasce, purifica tutti i desideri « Lo sapeva anche S. Francesco d’Assisi, e quando lo ripeteva, il cuore gli palpitava così soavemente che dal volto gli traspariva l’intera consolazione, e faceva lieto chi lo guardava. Lo sanno anche tutti i buoni Cristiani e ne sperimentano i mirabili effetti. Qual è questo Nome? Per anni e secoli gli uomini dell’Antico Testamento avevano desiderato di saperlo, e con gli occhi in alto esclamavano: « Apri, o Signore, il cielo e discendi, affinché a noi sia noto il tuo santo Nome ». Ma Dio non rivelò il suo Nome se non con perifrasi oscure, dicendo, d’essere Colui che è, oppure il Dio degli eserciti; prevedeva che se l’avesse a loro rivelato non l’avrebbero sempre pronunciato con il rispetto necessario. Agli uomini invece del Nuovo Testamento quel Nome dolcissimo e salvifico fu rivelato. Hanno essi almeno saputo pronunciarlo sempre con l’adorazione che si merita? Purtroppo, no! Quanti disgraziati lo pronunciano con un indifferente intercalare, o peggio come un grido di rabbia, oppure (oh l’orrendo delitto della bestemmia!) come un nome di bestia e di maledizione. Dio lo prevedeva; ma, nonostante il previsto oltraggio dei cattivi, non seppe resistere all’amore suo verso gli uomini. Qual è questo Nome? È un Nome che un Arcangelo portò dal cielo a Maria, perché lo imponesse a Colui che per opera dello Spirito Santo sarebbe nato dal grembo verginale. È il Nome che un Angelo nel sonno rivelò a Giuseppe, soggiungendone anche il significato: « vuol dire Salvatore, e lo imporrai al Bambino che nascerà da Maria appunto perché salverà il suo popolo dal peccato » (Mt., I, 21). Infatti, dopo otto giorni dalla nascita, nella cerimonia della circoncisione, com’era costumanza giudaica, il Bambino venne per la prima volta chiamato con quel Nome: Gesù! Questo è un Nome d’impero eterno: sia dunque lodato Gesù. Questo è un Nome d’amore immenso: sia dunque amato Gesù. – NOME D’IMPERO ETERNO. Da poco era stato pronunciato nella circoncisione, che già quel Nome faceva muovere i re della terra. Naturalmente doveva succedere così poiché era il Nome del Re dei re, Nome d’impero eterno. Cuius imperii nomen est in æternum (Dalla Liturgia). E voi vedete un re malvagio e geloso che lo cerca per ucciderlo; ma vedete anche altri re che vengono da molto lontano per riconoscere in Lui il loro sovrano, per sapere il suo Nome e adorarlo. Seguirono trent’anni durante i quali quel Nome parve caduto in oblìo: lo ricordava solo una donna che lo diceva per invitare il suo figliuolo ai pasti; lo ricordava solo un modesto operaio che lo diceva nell’insegnare il mestiere del legno a un giovinetto; forse lo ricordavano anche i fanciulli di Nazareth che lo gridavano per chiamare il loro compagno ai giochi. Vennero quindi alcuni mesi in cui quel Nome era sulla bocca di tutti, come il Nome di un profeta, del più grande Profeta. Ma poi fu scritto su un patibolo come il nome d’un delinquente che avesse tentato di farsi re. Jesus Nazarenus, rex Iudeorum. Appunto con trent’anni di nascondimento con le fatiche della vita pubblica, colla morte di croce, il Nome diventava una realtà: Gesù effettivamente diventava il Salvatore degli uomini. Ma dopo che fu scritto sulla croce, fu Nome decisamente di impero. Allo zoppo che sulla porta del tempio domandava l’elemosina Pietro e Giovanni dissero: « Guardaci. Non possediamo né oro né argento, ma ti diamo quel che abbiamo: In Nome di Gesù Cristo Nazareno, alzati e cammina ». In un attimo gli sì raddrizzarono e consolidarono gli stinchi, e camminò dritto (Atti, III, 4-6). Per mezzo di quel Nome; la Chiesa nascente cominciava ad operare segni e prodigi. Pensate alla potenza del Nome di Gesù ancora oggi nella Chiesa. Nel Nome di Gesù sono scacciati i demoni dal cuore degli uomini, nel Sacramento della confessione. Dominus noster Jesus Christus te absolvat… Nel Nome di Gesù è comunicata ed aumentata la grazia nelle anime in tutti i Sacramenti, in tutte le benedizioni. Nel Nome di Gesù è avvalorata la nostra domanda in tutte le preghiere. Per Dominum nostrum Jesum Christum. Nel Nome di Gesù sono predicate le verità eterne. I profeti antichi, quando parlavano al popolo, s’introducevano dicendo: « Dice il Signore, Iddio degli eserciti…»; ma ora i sacerdoti non hanno altra introduzione se non il Nome di Gesù:« Dice il Signor nostro Gesù Cristo… che c’è la risurrezione della carne, il giudizio, il paradiso e l’inferno ».Nel Nome di Gesù sono promulgate le leggi della salvezza; non è in un Nome qualunque, ma nel Nome di Gesù, o Cristiano, che ti è imposto di essere puro nei tuoi pensieri e nei tuoi atti, di essere giusto nei rapporti sociali col tuo prossimo, di perdonare ai nemici, di soccorrere i bisognosi, di essere docile al Vescovo e al Papa.Nel Nome di Gesù i Missionari portano la fede ai popoli pagani. Come gli esploratori di una terra sconosciuta, come i conquistatori di un paese nemico dichiara sulle mani che beneficano. È portato come una fiamma che non incendia, ma riscaldavano solennemente che ne prendevano possesso nel Nome di Gesù. Ma questo Nome non è da loro portato sulla punta della spada o sulla bocca del fucile, ma nel cuore che ama, scalda e rischiara. Per dovunque con quel Nome arrivano, essi trionfalmente gridano: « La notte è finita, l’inverno è passato: è finita la notte dell’idolatria e dei vizi, è passato l’inverno della barbarie e della crudeltà. Sorge l’aurora e vien la primavera: l’aurora della civiltà, la primavera dell’amore ».Nel Nome di Gesù ogni Cristiano combatte e vince le lotte spirituali. Quando gli eserciti si precipitano sul campo di battaglia, se la sorte delle armi pare indecisa, un Nome vien gridato d’improvviso e quel grido diventa subito un coro di frenetiche urla, che desta l’ardore sopito: è il Nome più caro che, come una bandiera sonora, ondeggia sull’esercito in lotta. Quante belle battaglie han combattuto i nostri soldati al grido di « Italia! ». Ebbene, anche nelle lotte spirituali l’anima ha bisognod’invocare un Nome che le infonda la forza e la certezza della vittoria. Questo Nome è quello di Gesù. Cristiani, invocatelo con tutto il cuore nei momenti della tentazione. – NOME D’AMORE IMMENSO. Il vecchio Vescovo di Antiochia, trascinato a Roma per essere condannato a morire in bocca alle belve, ripeteva continuamente il Nome di Gesù. E alla imposizione di tacere, rispose ai carnefici parole che rivelavano un amore senza misura: « Voi potrete spegnere questo Nome sulle morenti mie labbra; ma cancellarlo dal mio cuore ancora caldo, ancora. palpitante, non potrete mai ». In realtà nessun altro Nome sulla terra ha dato ed ha ricevuto tanto amore come il Nome di Gesù. Pensate alle migliaia di martiri che l’hanno pronunciato con l’ardore del Vescovo Ignazio. Quando la natura non poteva più sopportare in silenzio l’atrocità dei tormenti, invece di gemiti sgorgava dalle loro labbra il nome di Gesù. Ed era come olio sparso sulle loro ferite. Pensate alle migliaia di anacoreti che, abbandonato tutto, sono andati a vivere nelle grotte e nei deserti, non d’altro provveduti che di questo nome. Quando nel profondo del deserto, la potenza delle tenebre si scatenava contro di loro, quando il demonio li tormentava con le più orride suggestioni, dal loro cuore sconvolto sgorgava il Nome di Gesù. Ed era come uno squillo di tromba che dà il segnale della vittoria nelle loro tentazioni. Pensate allora alle migliaia di monaci, di suore, di frati che hanno dimenticato ogni altro nome, perfino il proprio per amore del Nome di Gesù. Quando la solitudine del chiostro alla natura pareva irrespirabile, quando lo squallore gelido della loro cella pareva inabitabile, quando il loro cuore umano invocava un po’ di affetto terreno e sensibile per tirare innanzi, hanno pronunciato il Nome di Gesù. Ed era come una dolce musica di consolazione: Gesù! Nome confortante per l’uomo che soffre. L’uomo che soffre la povertà nel Nome di Gesù, si sente beato perché possiederà il regno dei cieli: « beati i poveri! »; l’uomo che soffre persecuzioni e ingiustizie nel Nome di Gesù si sente beato perché gli sarà fatta una più grande giustizia e gli sarà dato un più grande onore: « beati quelli che sono maledetti, perseguitati, calunniati, per cagion mia! »; l’uomo che piange e dice il Nome di Gesù, si sente beato perché le sue lagrime saranno asciugate non da una mano qualsiasi, ma dalla stessa mano di Dio: « beati quelli che piangono! ». – Nome vivificante per l’uomo caduto in peccato. Per quanta miseria ci sia in un cuore, per quanta nefandità abbia commesso, se in un momento di lucidità si accorge della propria vergognosa rovina e ne prova orrore con desiderio di risorgere, non disperi ma invochi il Nome di Gesù. Udrà in cuore queste parole: « Figlio, i tuoi peccati ti saranno rimessi, se vuoi. Sta in pace, ma non peccare mai più! ». Nome rallegrante per l’uomo buono, che vive in grazia. Quando dice Gesù, egli si sente crescere a dismisura, si sente maggiore di sé: non più semplice uomo, ma uomo divinizzato, fratello a Cristo, figlio vero di Dio. Quando, dicendo Gesù, guarda al cielo, prova un intenso affetto, un indicibile moto del cuore che lo fa sospirare: « È mio. Lassù è la mia dimora felice; lassù sono atteso da un Amore infinito » – E verrà il momento per ciascuno di noi, Cristiani, d’esulare dalla fallace scena di questo mondo, e di battere alla porta del mondo verace ed eterno « Chi batte? » diranno gli Angeli che vi stanno a custodia. « Lasciatemi passare: sono io il famoso inventore, il letterato rinomatissimo del secolo, il medico, il professore, l’avvocato, il sindaco, il pilota d’aeroplano celebre per il suo ardimento, il calciatore irresistibile… ». – « Nomi vani. C’è un sol Nome che ti può far aprire la porta della infinita pace ». Et non est in alio aliquo salus. « Ditemi, ditemi, questo Nome ». « Chi arriva a questa soglia senza averlo imparato, non lo può più imparare. O Cristiani, l’abbiamo imparato noi? Lo sanno già i nostri pensieri, i nostri desideri, le nostre parole, i nostri atti? Forse siamo già a due passi, a un passo solo da quella porta fatale: un piccolo urto e ci troveremo davanti ad essa. – Fortunata quell’umile donna del popolo, massaia di casa, silenziosa e laboriosa, che per tutta la vita, con tutta l’anima aveva ripetuto quel Nome d’eterno impero e d’immenso amore: sul letto di morte, ella chiese al ministro di Dio che l’incoraggiava, qual saluto avrebbe rivolto al Signore, al primo vederlo, al primo incontrarlo nella gloria e nella maestà. – « Non salutarlo diversamente da come sei sempre stata solita ». «Dunque gli dirò: Sia lodato Gesù Cristo! ». « Così! ». Poi la sua faccia piano piano si scolorò, chiuse gli occhi, e restò immota. Solo le labbra ebbero ancora un tremito impercettibile, e s’atteggiarono a un sorriso ineffabile. Forse in quel momento l’anima sua stava dicendo il grande, il dolce saluto.

      In un tempo in cui gli uomini erano diventati molto cattivi e i vizi rovinavano la gioventù, l’avarizia dissanguava i poveri, gli empi corrompevano con i loro errori le anime ingenue, Iddio suscitò dalla nobile famiglia dagli Albizzeschi un santo per convertire le anime. Ma come egli solo poteva avere il coraggio per tanta impresa? Con quale parola avrebbe persuaso la gente a ritornare al Vangelo? Con quale arma avrebbe guerreggiato col demonio e con i tristi? Fu Dio che lo ispirò: « Prendi con te il mio Nome e ti basterà ». Il santo Nome di Gesù! In ogni predica lo ripeteva centinaia di volte, e lo gridava in mezzo alle piazze e lungo le vie perché tutti, anche quelli che non andavano in Chiesa, potessero udire quel Nome di salvezza. Lo faceva ripetere da tutti i bambini che incontrava, lo faceva stampare in mezzo a raggi d’oro e voleva che lo si mettesse sui campanili e sulle torri, sulle porte delle città, sugli usci di casa. – Con questo Nome S. Bernardino da Siena riuscì a salvare moltissime anime e a rinnovare il secolo. Ma gli uomini ancora sono ritornati cattivi, ancora la gioventù si perde dietro i piaceri del senso, ancora gli empi diffondono gli errori tra le anime ingenue. E la santa Chiesa ancora, ogni anno vuole che si celebri la festa santa del Nome di Gesù. Essa ha fiducia che con questo Nome potremo di nuovo vincere il demonio e tutti i suoi nemici: « In tutto il mondo non c’è altro Nome nel quale sia possibile sperare vittoria e salvezza » (Atti, IV, 12). Gesù è Nome di cielo. Dal cielo gli Angeli lo portarono in terra: è Gabriele che volando a Nazareth dice alla Madonna così: « Ecco concepirai e darai alla luce un Figlio e lo chiamerai col Nome di Gesù (Lc., I, 31). È pure un Angelo che avvisa S. Giuseppe di non chiamarlo se non con questo Nome: « Lo chiamerai Gesù, perché salverà il suo popolo » (Mt., I, 21). Gesù è una parola ebraica che tradotta in nostra lingua significa appunto Salvatore, Gesù dunque è proprio il Nome che conveniva. Che cosa era venuto a fare sulla terra se non per salvare ciò che era perduto? E salvò tutti gli uomini. Li salvò non da un male temporaneo, ma dalla morte eterna. Li salvò con la propria morte. Tutto questo è compreso nel Nome di Gesù: Salvatore. Intorno a questo Nome non è mai stata possibile l’indifferenza, ma si è sempre svolta una grande battaglia: sono urla di imprecazioni, e sono trepide acclamazioni di gioia, di ringraziamento. Esso è una bandiera di contraddizione, è il segno d’inestinguibil odio e d’indomato amor. – D’INESTINGUIBIL ODIO. S. Giovanni nell’estasi vide salire dal mare una paurosa visione: una bestia simile in tutto al leopardo fuori che nei piedi, ch’erano di orso, fuor che nella bocca, ch’era di leone. Aveva sette teste, aveva dieci corna, e sopra ciascuno aveva una corona. A questa bestia il serpente aveva prestato la potenza del suo veleno. Ed ecco aprì la sua bocca a bestemmiare contro Dio; e bestemmiò il suo Nome. Aperuit os… blasphemare Nomen eius (Apoc., XIII, 1-10). Chi può essere questa belva che osa bestemmiare il Nome di Dio se non il mondo a cui satana, maligno serpente, ha imprestato la sua bava velenosa? Il demonio, per il primo, non può soffrire il Nome di Gesù. Al sentirlo pronunciare egli trema e fugge. Ricordate con quanto entusiasmo gli Apostoli tornando da un viaggio di predicazione dissero al Maestro: « Sai! anche i demoni ci sono soggetti nel tuo Nome » (Lc., X, 17). Gli altri che odiano e bestemmiano il santo Nome di Gesù sono tutti amici del demonio. I primi in questa sciagurata serie furono i maggiorenti della sinagoga di Gerusalemme che, avendo ascoltato le ardenti prediche di Pietro e di Giovanni ed avendo veduto coi loro occhi i miracoli che sapevano compiere nel Nome di Gesù, li fecero chiamare in tribunale: « Guai a voi! — minacciarono — se pronunziate ancora questo Nome. Guai a voi! se ancora l’insegnerete ad altri ». Ma i due Apostoli impavidi risposero: « Minacciateci pure, ma noi quel Nome lo ripeteremo sempre. Non possiamo tacere » (Atti, IV, 5-21). … neque docerent in Nomine Jesu. In queste parole si compendia tutto un disegno satanico che dura anche ai nostri tempi: vogliono dimenticata e distrutta tutta la dottrina, tutta l’opera, tutta la Religione. Ed ecco le popolazioni che. non vogliono più ascoltare il catechismo e la predica; ecco i giovani che abbandonano le associazioni cattoliche per frequentare altre compagnie dove il Nome di Gesù non si ripete con adorazione; ecco. le ingenue anime dei nostri fanciulli che bramano sentir parlare di Gesù, e mancano di chi potrebbe e dovrebbe a loro ripeterlo con religioso amore. Dall’ignorare il Nome di Gesù al bestemmiarlo, non c’è che un passo, che l’esperienza ci dimostra molto breve. Aperuit os blasphemare Nomen eius! E lo bestemmiamo gli uomini all’officina, quasi che anch’Egli non avesse passato all’officina tutta la vita. E lo bestemmiano anche le donne, e spesso lo nominano senza reverenza. E lo bestemmiano perfino i fanciulli che un giorno il divin Maestro si stringeva sul cuore palpitante d’amore infinito. – E D’INDOMATO AMOR. Gli Apostoli non avevano né oro né argento, ma avevano il Nome di Gesù che stimavano il più grande di tutti i tesori. « Non abbiamo danaro — dissero Pietro e Giovanni a uno storpio che mendicava sulla porta Speciosa — ma abbiamo il Nome di Gesù. E nel Nome di Gesù, alzati e cammina » (Atti, III, 6). Il Nome di Gesù non solo era la ricchezza ma anche la forza degli Apostoli. E quando i Giudei si meraviglieranno dei prodigi compiuti da Pietro, egli dirà loro: « Gente d’Israele!… È il Nome di Gesù che ha fortificato questo povero uomo che vi sta davanti» (Atti, III, 16). S. Paolo in quattordici lettere scrisse 237 volte il Nome di Gesù e 417 il Nome di Cristo. E quando sulla via Ostiense gli troncarono la testa, la tradizione vuole che il suo capo tagliato, balzando tre volte sulla terra, abbia ripetuto ancora tre volte: « Gesù! ». Gesù! era l’ultimo sospiro di tutti i martiri divorati dalle belve nei circhi, o  abbruciati negli orti, o immersi in fontane ghiacciate, o soffocati nell’olio bollente. S. Francesco d’Assisi pronunziando questo divin Nome si forbiva le labbra per dolcezza. –  S. Caterina da Genova, nobil donna della famiglia Fieschi, con mirabile sollecitudine assisteva gli ammalati nell’ospedale. Essendovi una volta ricoverata una vecchia gravemente inferma di febbre pestifera, la quale stette otto giorni in agonia senza parlare, la santa spesso visitandola le diceva: « Chiama Gesù ». Ma quella non potendo proferire la voce, moveva le labbra onde si congetturava che lo chiamasse come poteva. Quando Caterina le vide la bocca « piena di Gesù », non potendosi più contenere la baciò con grand’affetto del cuore, per questo ne contrasse la febbre pestilenziale così che ne fu per morire. Eppure era tutta lieta perché aveva baciato il Nome di Gesù. – E PER NOI CHE SEGNO È? Che segno è il Nome di Gesù per la nostra famiglia? « Dove saranno due o tre uniti insieme nel mio Nome, in mezzo a loro sarò anch’Io ». Così ha, detto il Signore. Ubi sunt duo congregati in Nomine meo… (Mt., XVIII, 20). Questi due possono essere lo sposo e la sposa. Scendete nelle catacombe di Roma e spesso troverete inciso sulle pareti il simbolo eloquente del matrimonio cristiano: due mani congiunte insieme e al di sopra il nome Gesù. In questo Nome gli sposi devono educare santamente i figli.

2) Che segno è il Nome di Gesù in mezzo ai nostri amici? » Dove due o tre sono congregati nel mio Nome, in mezzo a loro sarò anch’io ». Ma Gesù forse non può venire in mezzo alle nostre compagnie, perché si bestemmia, perché si parla disonesto, perché si sta ai ritrovi e ai divertimenti invece di recarci alla Messa e alla spiegazione della Dottrina; in una parola perché non ci raduniamo nel suo Nome!

3) Che segno è il Nome di Gesù per il nostro cuore? È scritto: « Qualunque cosa domanderete al Padre nel mio Nome, l’avrete » (Giov., XVI, 23). Noi invece siamo pigri nelle orazioni, distratti, svogliati. È scritto: «Io sono pronto a farmi legare e a morire in Gerusalemme per il Nome di Gesù» (Atti, XXI, 13). Noi invece non siamo capaci della più piccola mortificazione; ci lamentiamo delle croci; ci disperiamo contro la divina Provvidenza. È scritto ancora: « Chiunque nel mio Nome avrà dato a un povero anche un bicchier d’acqua fredda, non sarà senza mercede » (Mc., IX, 40). Noi invece siamo gretti con i poveri, li trattiamo in modo spregevole; noi, prima d’offrire un soldo per la Chiesa, per le Missioni, per le opere buone, si fa mille calcoli; mentre per i divertimenti non si tiene misura. Infine sta scritto: « Qualunque cosa facciate, o in opere o in parole, fate nel Nome del Signore Gesù Cristo » (Colos., III, 17). Noi invece si passa delle giornate, delle settimane intere senza ricordarci nemmeno una volta del Nome di Gesù. – Una debole fanciulla di Lorena che non sapeva altro che condurre i greggi a pasturare, un giorno prese una bandiera, vi scrisse il nome di Gesù e corse a combattere contro gli eserciti inglesi che avevano occupato la Francia. E vinse. – Come Giovanna d’Arco, anche noi siamo deboli e paurosi; anche noi abbiamo l’anima assediata da terribili eserciti nemici: l’esercito delle passioni nostre, l’esercito delle lusinghe mondane, l’esercito dei demoni. Il Nome di Gesù sia la nostra bandiera: questo Nome ci accompagni ogni giorno; questo Nome ci assista nell’ora della tentazione, nell’ora della tribolazione; questo Nome sia l’ultimo sospiro dell’anima nostra nell’ora della morte.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXXV: 1; 5
Confitébor tibi, Dómine, Deus meus, in toto corde meo, et glorificábo nomen tuum in ætérnum: quóniam tu, Dómine, suávis et mitis es: et multæ misericórdiæ ómnibus invocántibus te, allelúja.

[Confesserò Te, o Signore, Dio mio, con tutto il mio cuore, e glorificherò il tuo Nome in eterno: poiché Tu, o Signore, sei soave e mite: e misericordiosissimo verso quanti Ti invocano, allelúia.]


Secreta

Benedíctio tua, clementíssime Deus, qua omnis viget creatúra, sanctíficet, quǽsumus, hoc sacrifícium nostrum, quod ad glóriam nóminis Fílii tui, Dómini nostri Jesu Christi, offérimus tibi: ut majestáti tuæ placére possit ad laudem, et nobis profícere ad salútem.

[O clementissimo Iddio, la tua benedizione, che dà vita d’ogni creatura, santífichi, Te ne preghiamo, questo nostro sacrificio, che Ti offriamo a gloria del Nome del Figlio tuo e Signore nostro Gesù Cristo: affinché torni gradito e di lode alla tua maestà e profittevole alla nostra salvezza.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps LXXXV:  9-10
Omnes gentes, quascúmque fecísti, vénient et adorábunt coram te, Dómine, et glorificábunt nomen tuum: quóniam magnus es tu et fáciens mirabília: tu es Deus solus, allelúja.

[Tutte le genti che Tu hai fatto, o Signore, vengono e Ti adorano e glorificano il tuo Nome: poiché grande Tu sei e fai meraviglie: Tu solo sei Dio, allelúia.]

Postcommunio

Orémus.
Omnípotens ætérne Deus, qui creásti et redemísti nos, réspice propítius vota nostra: et sacrifícium salutáris hóstiæ, quod in honórem nóminis Fílii tui, Dómini nostri Jesu Christi, majestáti tuæ obtúlimus, plácido et benígno vultu suscípere dignéris; ut grátia tua nobis infúsa, sub glorióso nómine Jesu, ætérnæ prædestinatiónis titulo gaudeámus nómina nostra scripta esse in cœlis.

[Onnipotente eterno Iddio, che ci hai creati e redenti, guarda propizio i nostri voti: e degnati di ricevere benignamente il sacrificio della Vittima salutare che offriamo alla tua maestà in onore del Nome del tuo Figlio, Gesù Cristo, nostro Signore; affinché, per la tua grazia, in virtù del glorioso Nome di Gesù, godiamo di vedere i nostri nomi scritti in cielo in eterno.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

MESSA DI CAPODANNO (2022)

MESSA DI CAPODANNO (2022)

CIRCONCISIONE DI N. SIGNORE E OTTAVA DELLA NATIVITÀ.

Stazione a S. Maria in Trastevere

Doppio di II classe. – Paramenti bianchi.

La liturgia celebra oggi tre feste: La prima è quella che gli antichi sacramentari chiamano « nell’Ottava del Signore ». Gesù è nato da otto giorni. Così la Messa ha numerosi riferimenti a quelle di Natale. La seconda festa ci ricorda che, dopo Dio, noi dobbiamo Gesù a Maria. Cosi un tempo si celebrava in questo giorno una seconda Messa in onore della Madre di Dio nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Ne è rimasta una traccia nella Orazione, nella Secreta e nel Postcommunio, che sono prese dalla Messa votiva della SS. Vergine, e nei Salmi dei Vespri, tolti dal suo Officio. – La terza festa, infine, è quella della Circoncisione, che si celebra dal VI secolo. Mosè imponeva questo rito purificatore a tutti i bambini Israeliti, l’ottavo giorno dalla loro nascita (Vang.). È una figura del Battesimo per il quale l’uomo è circonciso spiritualmente. « Tu vedi, dice S. Ambrogio, che tutta la legge antica è stata la figura di quello che doveva venire; infatti anche la circoncisione significa espiazione dei peccati. Colui che è spiritualmente circonciso con la correzione dei suoi vizi, è giudicato degno dello sguardo del Signore » (1° Notturno). Così, parlando del primo sangue divino che il Salvatore versò per lavare le nostre anime, la Chiesa insiste sul pensiero della correzione di quello che di cattivo è in noi. « Gesù Cristo ha dato se stesso per riscattarci da ogni iniquità e purificarci » (Ep.). « Degnati, Signore, con questi celesti misteri, di purificarci » (Secr.). «Fa, o Signore, che questa Comunione ci purifichi dei nostri peccati » (Postcom.).

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Isa. 9:6
Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus.

 [Ci è nato un bambino, ci è stato dato un figlio, il cui impero poggia sugli ómeri suoi: e il suo nome sarà: Angelo del buon consiglio.]
Ps XCVII:1


Cantáte Dómino cánticum novum: quia mirabília fecit.

[Cantate al Signore un cantico nuovo: perché ha fatto cose mirabili.]


Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus.

[Ci è nato un bambino, ci è stato dato un figlio, il cui impero poggia sugli ómeri suoi: e il suo nome sarà: Angelo del buon consiglio.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui salútis ætérnæ, beátæ Maríæ virginitáte fecúnda, humáno géneri praemia præstitísti: tríbue, quǽsumus; ut ipsam pro nobis intercédere sentiámus, per quam merúimus auctórem vitæ suscípere, Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum: 

O Dio, che mediante la feconda verginità della beata Maria, hai conferito al genere umano il beneficio dell’eterna salvezza: concédici, Te ne preghiamo: di sperimentare in nostro favore l’intercessione di Colei per mezzo della quale ci fu dato di ricevere l’autore della vita: il Signore nostro Gesú Cristo, tuo Figlio:

Lectio

Léctio Epístolæ beati Pauli Apóstoli ad Titum.
Tit 2:11-15
Caríssime: Appáruit grátia Dei Salvatóris nostri ómnibus homínibus, erúdiens nos, ut, abnegántes impietátem et sæculária desidéria, sóbrie et juste et pie vivámus in hoc saeculo, exspectántes beátam spem et advéntum glóriæ magni Dei et Salvatóris nostri Jesu Christi: qui dedit semetípsum pro nobis: ut nos redímeret ab omni iniquitáte, et mundáret sibi pópulum acceptábilem, sectatórem bonórum óperum. Hæc lóquere et exhortáre: in Christo Jesu, Dómino nostro.

[“Carissimo: La grazia di Dio nostro Salvatore si è manifestata per tutti gli uomini, insegnandoci che, rinunciata l’empietà e i desideri mondani, viviamo con temperanza; con giustizia e con pietà in questo mondo, in attesa della beata speranza e della manifestazione gloriosa del grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo; il quale ha dato se stesso per noi, per redimerci da ogni iniquità, e formarsi un popolo puro che gli fosse accetto, zelante delle buone opere. Così insegna ed esorta in Cristo Signor nostro”] (Tit. II, 11-15). –

IL PROGRAMMA DELLA NOSTRA VITA

[A, Castellazzi: Alla Scuole degli Apostoli. Ed. Artigian. Pavia, 1929]

Quando S. Paolo si recò nell’isola di Creta col suo discepolo e collaboratore Tito, vi trovò parecchi gruppi di Cristiani, che non erano organizzati in una gerarchia regolare. Non potendo l’Apostolo trattenersi a lungo nell’isola, vi lasciò Tito a organizzare quella Chiesa. Più tardi gli scrive una lettera. In essa gli dà norme da seguire nell’adempimento del suo ufficio pastorale rispetto agli uffici ecclesiastici, ai doveri delle varie classi di persone e ai doveri generali dei Cristiani. Nel brano riportato, avendo prima stabiliti i doveri secondo i differenti stati, reca la ragione per la quale i Cristiani sono tenuti a questi doveri. Sono tenuti perché Dio, che nella sua bontà è sceso dal cielo per tutti, ha insegnato a tutti a rinunciare all’empietà e ai desideri del secolo per vivere nella moderazione, nella giustizia, nell’amor di Dio. Così vivendo saranno consolati dalla presenza della venuta del Redentore, il quale ha dato in sacrificio se stesso per riscattarci dal peccato, e così formare di noi un popolo veramente eletto, tutto dato alle buone opere. Sul cominciare dell’anno la Chiesa ripete a noi questo insegnamento, per esortarci a vivere secondo: Pietà, Temperanza, Giustizia.  « Chiunque, vuol pervenire al regno celeste, viva con temperanza verso se stesso, con giustizia verso il prossimo, con pietà perseverante verso Dio» (S. Fulgenzio, De remiss. Pacc. L. 1 c. 23).Cominciamo subito da quest’oggi a mettere in pratica questo programma affinché, se il Signore volesse chiamarci al rendiconto nel corso di quest’anno, in qualunque momento ci chiami abbia a trovarci pronti.Mons. Francesco Iannsens, Vescovo di Nuova Orleans,venerato dai suoi figli come un santo, viaggiando sopra un piroscafo alla volta d’Europa, è colpito improvvisamente dalla morte. Non gli rimane che il tempo di inginocchiarsi in cabina e dire: «Mio Dio, vi ringrazio che son pronto» (La Madre Francesca Zaverio Cabrini; Torino 1928, p. 144-45). Che d’ora innanzi la nostra vita sia tale, da poter anche noi dare questa risposta alla divina chiamata, in qualunque momento e in qualunque circostanza si faccia sentire!

Graduale

Ps XCVII:3; 2
Vidérunt omnes fines terræ salutare Dei nostri: jubiláte Deo, omnis terra.
V. Notum fecit Dominus salutare suum: ante conspéctum géntium revelávit justitiam suam. Allelúja, allelúja.

[Tutti i confini della terra videro la salvezza del nostro Dio: acclami a Dio tutta la terra.
V Il Signore ci fece conoscere la sua salvezza: agli occhi delle genti rivelò la sua giustizi. Alleluia, alleluia.]
Heb I:1-2


Multifárie olim Deus loquens pátribus in Prophétis, novíssime diébus istis locútus est nobis in Fílio. Allelúja.

[Un tempo Iddio parlò in molti modi ai nostri padri per mezzo dei profeti, ultimamente in questi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio. Allelúia.]

Evangelium

Luc II:21
In illo témpore: Postquam consummáti sunt dies octo, ut circumciderétur Puer: vocátum est nomen ejus Jesus, quod vocátum est ab Angelo, priúsquam in útero conciperétur.

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

LA CIRCONCISIONE DI CRISTO E LA NOSTRA

Geremia, il profeta doloroso, uscì un giorno in un triste lamento: « È passato il tempo dei frutti e dei raccolti, anche l’estate è finita, e noi, miseri non ci siamo salvati» Transiit messis, finita est æstas et nos salvati non sumus (VIII, 20). Questo gemito ritorna spontaneo al nostro labbro se dalla punta dell’anno nuovo che oggi incomincia, ci voltiamo indietro a considerare l’anno vecchio che ieri finì. Un altro anno se n’è volato via, altri trecento sessanta cinque giorni che non rivivremo più. Pensate: se ogni giorno avessimo ascoltato la S. Messa, se ogni giorno avessimo detto bene il S. Rosario, se ogni settimana avessimo elargito una piccola elemosina alla Chiesa o ai poveri, oppure avessimo fatto una piccola mortificazione di gola, di lingua o di pensiero per amor di Cristo, quale abbondante messe di preziosissimi frutti avremmo ora da raccogliere! Invece la stagione dei frutti passò, l’estate finì, e noi restiamo con vuote entrambe le mani. Transiit messis, finita est æstas et nos salvati non sumus. – Chi sa quanti ieri, tirando i conti, avranno detto: « Godi, anima mia: quest’anno abbiamo messo buona roba in granaio e buon danaro nel portafoglio, abbiamo acquistato terreni e abbellito la casa… ». Va bene, godete pure. Ma, e l’anima vostra l’avete abbellita? e nei granai dell’eternità avete messo buon frumento che l’umidità non ammuffisce e che i topi non rosicchiano? O, forse, abbiamo aggiunto miserie a miserie, abbiamo peccato contro noi, contro la nostra famiglia, contro Dio e l’anima nostra è scesa più giù per una china fangosa fino alla perdizione? Chi adesso ci potrà stendere una mano pietosa, strapparci dai nostri peccati, avviarci con l’anno nuovo per un cammino nuovo? Gesù Cristo: il Salvatore. Si legge, nel Vangelo di questa festa, così: « Trascorsi otto giorni, il Fanciullo di Dio fu circonciso e fu chiamato Gesù, ossia Salvatore ». Misteriosa coincidenza: è dalla circoncisione che il Dio-Uomo vien detto Gesù, perché solo nel dolore Egli ci ha salvati. Senza spargimento di sangue, è scritto, non c’è salvezza; e solo il Sangue doveva essere suggello della nuova alleanza tra il peccatore e Dio, tra la terra e il cielo. Cristo per salvarci si è circonciso: ecco il primo pensiero. Ma poi che Dio non ha voluto salvarci senza la nostra cooperazione, ne deriva, per tutti, la necessità della circoncisione. Ma non una circoncisione materiale come quella dei Giudei, bensì una circoncisione spirituale del cuore: ecco il secondo pensiero. – CRISTO PER SALVARCI SI È CIRCONCISO. Nel libro dei Re è descritta la famosa lotta tra Elia, profeta del Signore, e i sacerdoti di un superstizioso idolo chiamato Baal. « Ci siano dati due buoi » esclamò Elia in faccia a tutto il popolo. « I sacerdoti di Baal ne scelgano uno per loro e, fattolo in pezzi, lo pongano sopra la legna, ma non vi mettano sotto il fuoco. Io ne sceglierò un altro per me, lo porrò sopra la legna, ma non vi metterò sotto il fuoco. Invochino essi, allora, i nomi dei loro dei, io chiamerò il nome del mio Signore. Il Dio che esaudirà per mezzo del fuoco, quello è vero ». I sacerdoti di Baal accettarono e tutto il popolo disse: « Sì ». A mezzo giorno si vide uno spettacolo raccapricciante. Poi che sull’altare dell’idolo non s’accendeva mai la fiamma, i sacerdoti avevano cominciato ad ululare e poi con lancette e coi coltelli si facevano nel volto e nella persona lunghi tagli e profonde incisioni sino a bagnarsi di sangue. E Baal era sordo a quelle grida disperate, era cieco a quel sangue espresso da ogni scalfittura. Non una scintilla scoccava, tra la legna, sotto il bue sacrificato. – S. Agostino, pensando a questa dolorosa scena esclama commosso: « Oh! Miei fratelli, quale contrasto tra Cristo e Baal, tra gli adoratori di Baal e quelli di Cristo! Nel tempio di Baal gli uomini spargevano il proprio sangue per il loro idolo; nel tempio del vero Dio, è Dio medesimo che, nella Circoncisione, versò il proprio sangue per gli uomini ». Là un popolo idolatra lacerava la sua carne per compiacere ad una bugiarda divinità; qui, Dio incarnato si lascia tagliare la propria carne perché ne sgorghino le prime gocce di quel sangue che doveva redimere il mondo. Oh sì! una grande maledizione gravava sul mondo, e gli uomini per il peccato d’Adamo e per i loro peccati erano fatalmente rovinati e per sempre. C’era bisogno d’un pacificatore che valesse a calmare la vendetta di Dio, c’era bisogno d’un prezzo infinito che bastasse a soddisfare la giustizia del Signore. Il pacificatore fu Cristo e il prezzo della pace fu il sangue che versato a gocce nella Circoncisione doveva sgorgare a fiotti nel giorno della Crocifissione. E ci ha salvati. – Ci ha salvati, perdonandoci i peccati: e sarebbe bastato che ce li avesse perdonati una volta sola, la prima, per essere nostro Salvatore. Invece ce li ha perdonati settanta volte sette, cioè sempre che noi ci mettiamo ai piedi del Confessore nel Sacramento della penitenza. Ci ha salvati col fortificarci con la sua grazia l’anima nostra debole assai. Basta una piccola occasione, uno sguardo, un pensiero, una parola per farla tremare e cadere, per la qual cosa se il Signore non ci aiuta è impossibile resistere. Ci ha salvati con aprirci il paradiso. Quando ci ammaleremo per l’ultima volta e stenderemo nel letto dell’agonia le nostre membra faticate, quando il mondo intorno svanirà come una nave che si allontani, quando non udremo più il singhiozzo dei cari parenti perché il nostro corpo starà per dissolversi, come un mantello vecchio, allora lo vedremo il Salvatore che verrà a prendere l’anima nostra e portarla in Paradiso: Egli stesso con le sue mani piagate dai chiodi ce lo schiuderà davanti. – DOBBIAMO PER SALVARCI CIRCONCIDERE IL CUORE. Gli scribi e i farisei di Gerusalemme dissero una volta a Gesù: « Perché, Maestro, i tuoi discepoli trasgrediscono le nostre costumanze? Non ti sei accorto ch’essi non si lavano le mani prima di mangiare il pane? ». « Ipocriti! — rispose Gesù, — che v’affannate per queste odiose prescrizioni e che poi, senza scrupolo, rifiutate un tozzo di pane a vostra madre affamata; ben ha detto di voi Isaia che amate Dio con la bocca mentre avete il cuore lontano da Lui. » Poi chiamò le turbe a sé e disse: « Udite! Ascoltate! Non ciò che entra per la bocca, ma ciò che dalla bocca esce insozza l’anima dell’uomo ». Nessuno ci capì; Pietro osò supplicarlo: « Signore! Spiegaci questa tua parabola ». E Gesù, buono, spiegò. « Quel che dalla bocca esce vien dal cuore: è dal cuore che sorgono i cattivi pensieri, gli omicidi, gli adulteri, i furti, le false testimonianze, le calunnie, È questo che rovina l’uomo ». Quæ autem procedunt de corde, ea coinquinant hominem (Mt., XV, 18). Conviene adunque che non il corpo, ma il cuore sia circonciso, se vogliamo partecipare alla grazia della Redenzione. Per chi è avaro, questa santa circoncisione, consiste nel frenare l’esagerato amore al danaro con la giustizia dei propri guadagni, con l’elemosina verso i bisognosi. Per chi è superbo, questa santa circoncisione consiste nel soffocare l’invidia del bene altrui, quell’invidia che tramuta per noi in un dolore ogni gioia del prossimo, e ci fa odiare quelli che dal Signore sono più benedetti. Per chi è impudico, questa santa circoncisione consiste nel fuggire il gioco e il vino; i luoghi e le persone pericolose; nell’amare la preghiera e la santa Eucaristia. È dolorosa questa circoncisione del cuore. Lo so; e prima di noi lo sapeva Gesù Cristo che ce l’ha imposta. Ma è necessaria.  Chi la rifiuta, riceverà il rimprovero di S. Stefano: « Gente dura di mente e incirconcisa di cuore! voi resistete sempre allo Spirito Santo ». – Finalmente il popolo d’Israele, dopo lunghe giornate di caldura soffocante, di fame, di sete, di malattie, di guerre arrivava a quella terra promessa da Dio, intravista nei sogni, sospirata per anni e anni. Già tutti sentivano la fragranza del latte e del miele stillante in quella beata regione, già la vedevano, già correvano ad entrarvi. Ma Giosuè fermò d’un tratto le dodici tribù, gridando l’ordine di Dio: « Nessuno può entrare nella terra promessa se prima non sia circonciso ». Quel paese felice è una figura del Paradiso. Quella circoncisione materiale è un simbolo della circoncisione spirituale del cuore. Nessuno può entrare in Paradiso senza questa circoncisione del cuore. Circumcisio cordis in spiritu, non littera. –  Quanti, forse senza di essa, sono morti nell’anno finito ieri! E chissà che questo non sia per noi l’ultimo di vita; l’anno che decida dell’inferno o del Paradiso per l’anima nostra? Tutti vediamo il primo giorno, ma non tutti ne vedremo l’ultimo. Dio sa quelli che di noi morranno. Qualcuno, in verità potrebbe dire: « Quest’anno morrò: che sarà di me? ». Al Salvatore, a Cristo circonciso per le nostre anime, gridiamo oggi la preghiera di Davide: « Salvami, Dio, dalla corruzione del mondo! Che le sue acque, che i falsi piaceri, che le bugiarde teorie non tocchino l’anima mia. Salvami Dio, perché affondo nel fango, e non trovo un sostegno ».

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXXVIII:12; 15
Tui sunt cæli et tua est terra: orbem terrárum et plenitúdinem ejus tu fundásti: justítia et judícium præparátio sedis tuæ.

[Tuoi sono i cieli e tua è la terra: Tu hai fondato il mondo e quanto vi si contiene: la giustizia e l’equità sono le basi del tuo trono].

Secreta

Munéribus nostris, quǽsumus, Dómine, precibúsque suscéptis: et coeléstibus nos munda mystériis, et cleménter exáudi.

[Ti preghiamo, o Signore, affinché gradite queste nostre offerte e preghiere, Ti degni di mondarci con questi celesti misteri e pietosamente di esaudirci.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XCVII:3


Vidérunt omnes fines terræ salutáre Dei nostri.


[Tutti i confini della terra videro la salvezza del nostro Dio.]

Postcommunio

Orémus.
Hæc nos commúnio, Dómine, purget a crímine: et, intercedénte beáta Vírgine Dei Genetríce María, cæléstis remédii fáciat esse consórtes.

[Questa comunione, o Signore, ci purífichi dal peccato e, per intercessione della beata Vergine Maria Madre di Dio, ci faccia partecipi del celeste rimedio.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA