LO SCUDO DELLA FEDE (188)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XXV)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO QUARTO

I SACRAMENTI

V. — La Penitenza.

D. Quale posto tiene il sacramento della penitenza nell’economia cristiana?

R. Lo stesso posto che il peccato nella vita. La religione, avendo da fare con l’uomo, non poteva dimenticare il peccatore; non poteva abbandonarlo a se stesso; bisognava trovar ripiego e ingegnarsi per riuscire, per farci riuscire, ad onta delle nostre costanti sconfitte.

D. Come intendi tu il peccato?

R. I Cristiani lo definiscono un’offesa a Dio, o una disubbidienza alla legge di Dio.

D. Si può offendere Dio?

R. È possibile purtroppo, ed è una grande sventura se si bada al fatto; se poi ci si richiama alla mente il nobile privilegio che lo permette: la libertà, è il triste prezzo di una gloria.

D. Offendere Dio!… Io penso al verso di Victor Hugo nel La Conscience: « E nella notte si lanciavano frecce contro le stelle».

R. Se le stelle fossero vive, si offenderebbero del gesto, benché perfettamente tranquille per i suoi effetti. Impotenza non significa irresponsabilità o innocenza.

D. Se non si nuoce?

R. L’Essere a cui non si potrebbe nuocere, a cagione della sua grandezza, è quello che si deve venerare di più, dunque è quello che si offende sommamente, se si tocca la sua gloria.

D. Che cosa fa il peccato alla gloria di Dio?

R. Umilia il pensiero creatore; contraria una volontà di perfezione e d’ordine; nell’armonia dell’opera divina, introduce delle dissonanze e compromette il « regno de’ suoi fini » (KANT).

D. Pochi pensano a queste cose; nessuno vuole queste cose. Si opera come questo e quello; ma chi intende di offendere Dio?

R. Non s’intende di offendere Dio; per lo meno ciò è raro; ma si vuole contentare se stesso a rischio di offendere Dio, ad onta dell’offesa di Dio. Se si potesse fare in modo che Dio non fosse offeso, senza dubbio ciò si farebbe; ma questo vuol dire che si desidera di cambiare il male in bene, piuttosto che guardarsi dal male.

D. Siamo dunque tutti peccatori?

R. «Il più mortale peccato è l’orgogliosa coscienza di essere senza peccato » (CARLYLE).

D. Che cosa chiami tu peccato veniale e peccato mortale?

R. Il peccato mortale è quello che si oppone formalmente a una volontà di Dio, che per questo ci toglie la sua amicizia, in tal modo che il peccatore, recedendo dal suo Dio, volta le spalle al suo ultimo fine in favore d’un bene frivolo. – Il peccato veniale, pur rispettando l’amicizia di Dio e il buon orientamento della vita, devia però un poco dal sentiero del bene.

D. Da che dipende una così gran differenza di natura e di risultati?

R. Può dipendere dalla maggiore o minore gravità della materia, che in un caso si reputa oggetto di una volontà formale del legislatore, e nell’altro no. Può dipendere, in una stessa materia grave, dalla pienezza dall’imperfezione del consenso.

D. L’uomo in stato di peccato grave fa ancora parte della Chiesa?

R. Sì, come un membro morto. Non riceve più il sangue del cuore, che è l’amore divino; non ubbidisce più all’idea direttrice del corpo, che è lo Spirito di Cristo; è privo del calore vitale e della motricità spirituale; non ha più diritto al pane di vita che dovrebbe mantenere in lui la vita che gli manca; è «uno scomunicato dell’interno » (Bossuet), benché circoli ancora nel gruppo e nei sacri edifizi.

D. Che cosa è dunque il sacramento della Penitenza?

R. È quello che è destinato a cancellare i peccati commessi dopo il Battesimo e a rendere al peccatore la grazia del suo Dio.

D. È dunque un Sacramento di purificazione?

R. E di riconciliazione. Sono lì quelle acque di Siloe « che scorrono in silenzio » nelle quali Gesù invita i malati a purificarsi. Ma dopo, o piuttosto per il fatto stesso della purificazione, che ristabilisce la grazia battesimale, l’anima pura si sente in Dio, « chiarezza fusa alla chiarezza » (FRANCESCO JAMMES).

D. La Religione si adagia facilmente col peccato! Essa sì rassegna dunque al peccato?

R. La Religione non si rassegna al peccato; ma si rassegna all’uomo peccatore; è il peccatore che Cristo le ha affidato, affinché con Lui, essa lo salvi.

D. Il peccato dunque non è più una disgrazia?

R. Il peccato è la più grande delle disgrazie; si potrebbe dire che è la sola; ma esso non è irreparabile; dopo di esso non è finito tutto; dopo di esso tutto si può riprendere, tutto si può riparare, tutto può ridiventare puro, tutto si può mostrare più alto che prima, ed è qui che sta il capolavoro.

D. Dunque il cattivo sarà l’oggetto della più apparente bontà?

R. Gesù disse: Io non sono venuto per quei che stanno bene, ma per quei che sono malati.

D. Si possono amare è cattivi?

R. I cattivi hanno bisogno d’amore più degli altri; essi sono in estremo pericolo, ed è l’amore che li rialza.

D. Non vi sono eccezioni? Certi mostri

R. Un mostro è un uomo spaventosamente deviato; l’umanità, in lui, rimane; egli può finalmente disarmare; solo l’amore divino non disarma.

D. Ma il peccatore ha offeso quest’amore.

R. La penitenza cristiana ci obbliga a collocare la nostra fiducia nello stesso amore che abbiamo disconosciuto.

D. Lo sforzo della Penitenza è dunque

R. Di vincere il peccato, di passargli per così dire sul corpo, per riprendere il sentiero.

D. Non è questo un compromesso?

R. Il sole si compromette forse spazzando via il fango?

D. Il sole regna lassù in alto.

R. La Religione non teme il peccato appunto perché essa regna lassù, cioè perché è divina; esso lo maneggia con dita di luce.

D. Che cosa domanda ai peccatori?

R. «Che vengano a subissarsi tra due braccia tese» (O. PÉGUY).

D. Vi sono però delle condizioni?

R. Vi sono delle condizioni, ma che tutte favoriscono il peccatore; gli si procura a un tempo l’onore della giustizia e il benefizio della misericordia. La penitenza è l’amplesso della giustizia e della misericordia.

D. Qual è la parte della giustizia?

R. È lo sforzo. Per la penitenza ci si dà il mezzo di rientrare in possesso di noi come per il lavoro noi riconquistiamo la natura ribelle. Qui e là, è una stessa fatica, che ricompensa una stessa ascensione verso l’innocenza dell’anima e delle cose.

D. E ne segue?…

R. Il possesso rinnovato della grazia, una migliore esperienza di se stesso, una fiducia crescente nel soccorso di Dio  che rialza, e una nobile pace,

D. Certi peccati hanno conseguenze esterne o interne.

R. Dio se le addossa insieme con noi; e nella proporzione di quello che ci è possibile, noi dobbiamo addossarcele insieme con Lui.

D. E le abitudini peccaminose?

R. Quello che prima era responsabilità crescente, a cagione della frequenza dei cattivi voleri, diventa poi scusa. Se un uomo ha colpevolmente avvilito l’anima sua, ma poi si emenda, dopo egli viene trattato come un convalescente che l’amore tratta con riguardo.

D. Non è ciò un invito a mal fare?

R. Tu riporti un’obiezione di Giuliano Apostata.

D. Non importa, non è invero troppo comodo scaricarsi così tutto a tratto delle proprie colpe, forse di tutta una vita di peccato?

R. Preferiresti un’incomodità eterna? Non sta appunto lì quello che si oppone all’inferno? Bisogna ben che tutto finisca; ma ciò non avviene senza che ci siano proposti, e proposti molte volte, dei « comodi » ricominciamenti.

D. Nondimeno certi atti sì dicono irreparabili.

R. La penitenza smentisce colui che disse: « Ciò che si rimette non è mai ben rimesso; ma ciò che si smette è sempre bene smesso » (C. Péguy); essa è in certo modo creatrice; ci rifà un’anima, e ci ricrea un universo, quello di Dio, tutto fatto di bontà e di sapienza, senza quel disordine e quel turbamento in cui il peccato ci aveva immersi.

D. Si può concedere l’amnistia a un colpevole; ma la società non gli restituisce mai la sua intera stima.

R. La società non vede il cuore, ed ha poco cuore. Gesù tracciò la condotta della sua Chiesa facendo sua amica e sua apostola una donna disonorata.

D. Il peccatore deve dunque essere nella gioia?

R. La gioia è per noi un dovere, perché è un omaggio, e significa: Padre, io credo al tuo perdono, credendo al tuo amore.

D. Consigli tu ai penitenti di ricordare sovente i loro peccati?

R. Essi devono ricordare la loro debolezza e la misericordia di Dio, ma non vagliare la loro miseria. Una volta usciti dalla notte, bisogna camminare, e non indugiarsi a contare le cadute fatte nell’ombra.

D. Da che dipende la frequenza delle cadute, ad onta della frequenza dei rialzamenti?

R. A volte dalla fiacchezza dello sforzo che raddrizza; ma specialmente da quella terribile inclinazione naturale che ci rende caro il peccato, e dall’abitudine, che tende a renderlo necessario.

D. Quante volte si perdona?

R. È la domanda di S. Pietro al suo Maestro, e Gesù risponde: « Settantasette volte sette », senza dubbio con un tenero sorriso. Lui che ci lascia nella nostra debolezza, pur rialzandoci dall’antica caduta, tiene conto di questa debolezza e la soccorre; essa dev’essere un mezzo di salute, ed egli non vuole farne una causa di perdizione. Per l’amore che egli ci offre ancora e che possiamo ricuperare, egli intende di valersi, per rialzarci, della nostra potenza di caduta. Non sono certi falsi amori che c’ingannarono? La bilancia risalga, dopo essere sfuggita al suo punto morto!

D. Non vi è nessun limite?

R. Nessuno; l’amore del Padre è tale, che l’infedeltà ostinata del figlio non lo scoraggia mai. I perdoni del Signore sono una moltitudine », dice il salmo. « Quando gli diciamo: Ti ho tradito, egli ci risponde: Va in pace, io ho fiducia in te ».

D. Non vi è dunque mai motivo di disperare?

R. Il disperare è un disconoscere Dio e se stesso. Si fosse pur Caino, si fosse pur Giuda, si è sempre figli di Dio, e si hanno da prendere per sè queste parole del dolce Maestro, che non si rivolgono meno alla sventura colpevole che alla sventura innocente: « Venite a me, voi tutti che soffrite e siete oppressi, e Io vi solleverò ».

D. Perché la Chiesa interviene in un atto così intimo come la penitenza?

R. Noi siamo membri della Chiesa; quando siamo ammalati spiritualmente, la Chiesa è ammalata in uno dei suoi membri: non è forse normale che essa cerchi di guarire se stessa guarendo noi?

D. Io mi meraviglio di questo pensiero che per un peccato isolato la Chiesa sia ammalata.

P. « Non vi sono che malattie generali », dicono i medici; a cagione della solidarietà funzionale, un elemento che si turba è un male del tutto.

D. Il peccato però è un’offesa a Dio.

R. Dio è per mezzo di Cristo il capo o la testa della Chiesa; per mezzo dello Spirito Santo Egli ne è l’anima. Dio, Cristo e Chiesa dunque sono qui tutt’uno, come direbbe Giovanna d’Arco.

D. Il peccato sarebbe dunque un male universale?

R. « Il minimo movimento importa a tutta la natura; il mare intero cambia per una pietra. Così nella grazia. La minima azione, per le sue conseguenze, importa a tutto » (PASCAL).

D. Tuttavia il peccatore sovente è solo.

R. Il peccatore crede di essere solo; ma è in presenza del cielo e della terra, ed egli offende il cielo e la terra, di cui sconcerta le leggi.

D. E ciò, ai tuoi occhi crea un diritto d’intervento in favore della Chiesa?

R. È un diritto, poiché essa è lesa da parte sua, ed è un benefizio perché là dove c’è solidarietà organica, la guarigione, come la malattia, è funzione di questa solidarietà. « Dio non volle assolvere senza la Chiesa, dice Pascal; com’essa ha parte all’offesa, vuole che essa abbia parte al perdono, e l’associa a questo potere, come i re i parlamenti.

D. Come dunque si possono mettere insieme le condizioni della conversione per mezzo della penitenza?

R. Il peccatore si è mostrato colpevole verso se stesso, verso la Chiesa e verso Dio: se egli si deve convertire, ciò non potrà essere se non per un atto spontaneo, per un intervento della Chiesa e per un intervento di Dio. Nessuna medicina opererebbe sopra un membro, se questo membro non reagisse vitalmente per liberarsi dal male. Nessuna medicina parimenti opererebbe, se la solidarietà organica non interessasse tutto il corpo a questo risanamento che guarisce il corpo stesso. Finalmente nessuna medicina agirebbe, e meno ancora, se l’idea direttrice della vita chiamata anima non si facesse artefice della riparazione, come fu agente della fabbricazione, della crescenza e della nutrizione dell’organismo.

D. Quali sono gli atti del penitente che corrispondono alla sua « reazione » necessaria?

R. Sono la contrizione, la confessione e la soddisfazione.

D. Qual è la parte di Dio?

R. Il perdono.

D. E la parte della Chiesa?

R. La Chiesa opera necessariamente per rappresentante, ed è il sacerdote come giudice, come ministro di assoluzione, come determinatore della soddisfazione.

D. Mi vuoi spiegare queste cose, e prima di tutto, che cosa è la contrizione?

R. Etimologicamente, significa uno «spezzamento o stritolamento del cuore » per il rimorso del peccato.

D. Il peccatore può sempre provare un tale spezzamento?

R. Non ci si domanda che il possibile, e l’immagine usata ha per scopo di farci capire che la contrizione cattolica non è una passività, ma un atto. Io spezzo il mio cuore davanti a Dio in onore della sua santità oltraggiata.

D. Senza immagine, che diresti?

R. «La contrizione è un pentimento delle nostre colpe con la volontà della loro distruzione » (S. TOMMASO D’AQUINO).

D. Che cosa è la confessione?

R. È la dichiarazione delle colpe commesse quanto alla loro specie, al loro numero e alle circostanze che ne modificano la natura o la gravità.

D. E la soddisfazione?

R. È la riparazione consentita in favore di Dio oltraggiato e del prossimo che ha potuto essere leso dalle nostre colpe.

D. Qual è la miglior riparazione riguardo a Dio?

R. Oltre a quello che il sacerdote indica, e che di solito è così poca cosa, è il sopportare pazientemente i mali che Dio ci manda.

D. Perché è la miglior riparazione?

R. Perché è la più conforme alla sua volontà e la più opposta alla nostra.

D. E qual è la miglior riparazione riguardo al prossimo?

R. È quella che annulla e compensa il più esattamente e il più delicatamente possibile il torto che gli abbiamo fatto.

D. In che modo ci viene il perdono di Dio?

R. Per l’assoluzione.

D. Bisogna dunque chiederla a Lui?

R. Sì, ma per mezzo della Chiesa, che ci riallaccia a Lui, e per la quale altresì ci viene la sua risposta.

D. Non vi è qui un’usurpazione di coscienza?

R. Ho già detto e ridetto le ragioni di questo intervento; ma devi osservare che nella Chiesa tutti si confessano, compreso il tuo confessore, compreso il Sommo Pontefice. Dunque si tratta qui d’un fatto che oltrepassa l’uomo, il che esclude ogni idea di usurpazione. Non ne hai forse il segno ben chiaro in questo fatto che il confessore, quando ha assolto, domanda al penitente di «pregare per lui »?

D. Ammetto il compito dell’istituzione; ma, nel fatto, ci si domanda di aprire la nostra coscienza a un uomo.

R. Come l’istituzione potrebbe operare altrimenti, e in un modo più favorevole? Preferiresti confessarti a tutta la Chiesa?

D. Non si faceva così una volta?

R. Così si faceva sotto il nome di confessione pubblica, richiesta per certi delitti. Ma vi si rinunziò presto, a cagione di inconvenienti derivanti dalla nostra miseria comune; però il diritto assoluto non è stato abolito; la nostra credenza al giudizio universale lo rammenta, e ciò dovrebbe farci riflettere quando critichiamo la disposizione prudente e misericordiosa che la Chiesa mette in pratica.

D. Quello che urta i nervi è siffatta dichiarazione di uomo a uomo.

R. Ascolta quello che dice in proposito Pascal: « Noi non vogliamo che gli altri c’ingannino; non troviamo giusto che essi vogliano essere stimati da noi più di quel che essi meritano: non è dunque giusto che noi inganniamo loro e che noi vogliamo che essi ci stimino più che non meritiamo… Ecco i sentimenti che nascerebbero da un cuore che fosse pieno di equità e di giustizia. Che dobbiamo dunque dire del nostro, vedendovi una disposizione affatto contraria?… ». La Religione cattolica non obbliga a svelare i propri peccati a tutti indifferentemente; tollera che si rimanga nascosti a tutti gli altri uomini, ma ne eccettua uno solo, al quale essa comanda di svelare il fondo del proprio cuore e di farsi vedere quello che si è. Non vi è che un solo uomo al mondo che essa ordini di disilludere, e lo obbliga a un segreto inviolabile, il quale fa sì che questa conoscenza sia in lui come se non vi fosse. È possibile immaginare qualcosa di più caritatevole e di più dolce? Eppure la corruzione degli uomini è tale che ancora si trova della durezza in questa legge, ed è una delle principali ragioni che fecero ribellare contro la Chiesa una gran parte di Europa ».

D. Non vi sono gravi inconvenienti in una tale pratica?

R. Tutto ha gravi inconvenienti, in una vita esposta all’accidente e alla debolezza. Ma si tratta di valutare il pro e il contro, e i benefizi della confessione son tali, che la sua soppressione sarebbe un immenso impoverimento per la vita religiosa e la vita sociale.

D. Perché la vita sociale?

R. Perché la vita religiosa è necessaria alla vita sociale, come abbiamo spiegato tante volte, e specialmente su questo punto. Nietzsche giunge a dire che la stessa coscienza scientifica è figlia della morale cristiana, e che essa si è «acuita nei confessionali ».

D. Che cosa procura dunque la confessione?

R. Argina la corrente del male opponendogli una diga reale, visibile, e periodica; — essa sforza a raccogliersi e a precisare il proprio caso, poiché lo si deve esporre; così è una luce, per l’anima spesso ottenebrata e accecata nella sua incoscienza; mette a nudo il peccato, lo fa giudicare tanto meglio in quanto te lo senti giudicato da altri, lo spoglia de’ suoi incanti e lo rende alla sua malizia, a volte alla sua ignominia ipocrita; la confessione procura la liberazione per via della dichiarazione; ti rende la disponibilità dell’anima tua; rigenera con lo sforzo le energie virtuose e spezza il determinismo perverso; la schiavitù delle passioni, nella sua lusinghiera e implacabile stretta, ne sarà attenuata, oltrecché, moralmente, essa cambia segno: aggravamento ieri, triste scusa domani. Da un’altra parte, la confessione ti accerta il perdono divino e così alleggerisce l’anima tua de’ suoi terribili pesi segreti;  di fronte all’invisibile e muta eternità, t’ispira il sentimento di essere inteso, amato, incoraggiato per l’avvenire; reca dunque seco questo conforto, la cui assenza cagiona gli abbattimenti e le disperazioni, di avere davanti a te una pagina bianca, sulla quale oramai tu puoi scrivere un testo santo. — Finalmente, nello stesso tempo che un atto di nobile libertà ti rialza, l’amicizia e la fraternità ti soccorrono, giacché il confessore si fa consigliere, sostegno, consolatore, purché egli conosca il suo compito e tu dal canto tuo sappia richiedere il suo aiuto.

D. Eppure i protestanti non sì confessano che a Dio.

R. Qui bisognerebbe dire: « È troppo comodo! ». Ma io preferisco dire: È troppo poco misericordioso, troppo poco consolante, troppo poco efficace. Chi non conosce le grida di desiderio mandate da certi protestanti quando pensano a questo bagno dell’anima, a questa frizione energica e roborativa, a questo sollievo, a questa reazione di pace!

D. Psicologia geniale, sia pure! ma autenticità e verità?

R. Ho detto ripetute volte, che nella Chiesa, nulla è pullulato per psicologia; l’autenticità del sacramento della Penitenza è quella della Chiesa stessa; ma di fatto, qual senso dell’anima umana in una simile istituzione, se essa non fosse da Dio?

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.