FESTA DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE (2021)

FESTA DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Doppio di 1a classe. – Paramenti bianchi.

Festa di precetto.

Avendo da tutta l’eternità deciso di fare di Maria la Madre del Verbo Incarnato (Ep.), Dio volle che dal primo istante del suo concepimento Ella schiacciasse la testa del serpente, e la circondò di un ornamento di santità (Intr.) e fece della sua anima, che preservò da ogni macchia, un’abitazione degna del suo figliuolo (Oraz.). La festa dell’Immacolata Concezione si celebrava nel sec. VIII in Oriente il 9 dicembre; nel sec. IX in Irlanda il 3 maggio e nell’XI sec. in Inghilterra l’8 dicembre. I benedettini con S. Anselmo, e i francescani con Duns Scoto (+ 1308) si dimostrarono favorevoli alla festa dell’Immacolata Concezione, celebrata dal 1128 nei monasteri anglo sassoni. Nel sec. XV papa Sisto IV, fece costruire nel Vaticano la cappella Sistina in onore della Concezione della Vergine. E l’8 dic. 1854 Pio IX proclamò ufficialmente questo grande dogma; interpretando la tradizione cristiana, sintetizzata dalle parole dell’Angelo: « Ave Maria, piena di grazia, il Signore è teco ». ( Vang.) « Sei tutta bella, o Maria, e macchia originale non è in te » dice con grande verità il verso alleluiatico. Come l’aurora, messaggera dei giorno, Maria precede l’astro che ben presto illuminerà il mondo delle anime. (Com.). Ella introduce nel mondo suo Figlio e per la prima volta si presenta nel ciclo liturgico. Domandiamo a Dio di « guarirci e di purificarci da tutti i nostri peccati » (Secr. e Post.), affinché siamo resi più degni di accogliere Gesù nei nostri cuori.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Is LXI: 10
Gaudens gaudébo in Dómino, et exsultábit ánima mea in Deo meo: quia índuit me vestiméntis salútis: et induménto justítiæ circúmdedit me, quasi sponsam ornátam monílibus suis.

[Mi rallegrerò nel Signore, e l’ànima mia esulterà nel mio Dio: perché mi ha rivestita di una veste di salvezza e mi ha ornata del manto della giustizia, come sposa adorna dei suoi gioielli.


Ps XXIX: 2
Exaltábo te, Dómine, quóniam suscepísti me: nec delectásti inimícos meos super me.

[Ti esalterò, o Signore, perché mi hai rialzato: e non hai permesso ai miei nemici di rallegrarsi del mio danno.]


Gaudens gaudébo in Dómino, et exsultábit ánima mea in Deo meo: quia índuit me vestiméntis salútis: et induménto justítiæ circúmdedit me, quasi sponsam ornátam monílibus suis.

[Mi rallegrerò nel Signore, e l’ànima mia esulterà nel mio Dio: perché mi ha rivestita di una veste di salvezza e mi ha ornata del manto della giustizia, come sposa adorna dei suoi gioielli.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui per immaculátam Vírginis Conceptiónem dignum Fílio tuo habitáculum præparásti: quǽsumus; ut, qui ex morte ejúsdem Filii tui prævísa eam ab omni labe præservásti, nos quoque mundos ejus intercessióne ad te perveníre concédas.

[O Dio, che mediante l’Immacolata Concezione della Vergine preparasti al Figlio tuo una degna dimora: Ti preghiamo: come, in previsione della morte del tuo stesso Figlio, preservasti lei da ogni macchia, cosí concedi anche a noi, per sua intercessione, di giungere a Te purificati.]

Lectio

Léctio libri Sapiéntiæ
Prov VIII: 22-35
Dóminus possedit me in inítio viárum suárum, ántequam quidquam fáceret a princípio. Ab ætérno ordináta sum, et ex antíquis, ántequam terra fíeret. Nondum erant abýssi, et ego jam concépta eram: necdum fontes aquárum erúperant: necdum montes gravi mole constíterant: ante colles ego parturiébar: adhuc terram non fécerat et flúmina et cárdines orbis terræ. Quando præparábat coelos, áderam: quando certa lege et gyro vallábat abýssos: quando æthera firmábat sursum et librábat fontes aquárum: quando circúmdabat mari términum suum et legem ponébat aquis, ne transírent fines suos: quando appendébat fundaménta terræ. Cum eo eram cuncta compónens: et delectábar per síngulos dies, ludens coram eo omni témpore: ludens in orbe terrárum: et delíciæ meæ esse cum filiis hóminum. Nunc ergo, filii, audíte me: Beáti, qui custódiunt vias meas. Audíte disciplínam, et estóte sapiéntes, et nolíte abjícere eam. Beátus homo, qui audit me et qui vígilat ad fores meas quotídie, et obsérvat ad postes óstii mei. Qui me invénerit, invéniet vitam et háuriet salútem a Dómino.

[Il Signore mi possedette dal principio delle sue azioni, prima delle sue opere, fin d’allora. Fui stabilita dall’eternità e fin dalle origini, prima che fosse fatta la terra. Non erano ancora gli abissi e io ero già concepita: non scaturivano ancora le fonti delle acque: i monti non posavano ancora nella loro grave mole; io ero generata prima che le colline: non era ancora fatta la terra, né i fiumi, né i càrdini del mondo. Quando preparava i cieli, io ero presente: quando cingeva con la volta gli abissi: quando in alto dava consistenza alle nubi e in basso dava forza alle sorgenti delle acque: quando fissava i confini dei mari e stabiliva che le acque non superassero i loro limiti: quando gettava le fondamenta della terra. Ero con Lui e mi dilettava ogni giorno e mi ricreavo in sua presenza e mi ricreavo nell’universo: e le mie delizie sono lo stare con i figli degli uomini. Dunque, o figli, ascoltatemi: Beati quelli che battono le mie vie. Udite l’insegnamento, siate saggi e non rigettatelo: Beato l’uomo che mi ascolta e veglia ogni giorno all’ingresso della mia casa, e sta attento sul limitare della mia porta. Chi troverà me, troverà la vita e riceverà la salvezza dal Signore.]

Graduale

Judith XIII: 23
Benedícta es tu, Virgo María, a Dómino, Deo excélso, præ ómnibus muliéribus super terram.

[Benedetta sei tu, o Vergine Maria, dal Signore Iddio Altissimo, piú che tutte le donne della terra].

Judith XV: 10
Tu glória Jerúsalem, tu lætítia Israël, tu honorificéntia pópuli nostri. Allelúja, allelúja

[Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu l’allegrezza di Israele, tu l’onore del nostro popolo. Allelúia, allelúia]

Cant. IV: 7
Tota pulchra es, María: et mácula originális non est in te. Allelúja.

[Sei tutta bella, o Maria: e in te non v’è macchia originale. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam
Luc I: 26-28
In illo témpore: Missus est Angelus Gábriël a Deo in civitátem Galilææ, cui nomen Názareth, ad Vírginem desponsátam viro, cui nomen erat Joseph, de domo David, et nomen Vírginis María. Et ingréssus Angelus ad eam, dixit: Ave, grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus.

[In quel tempo: Fu mandato da Dio l’Àngelo Gabriele in una città della Galilea chiamata Nàzaret, ad una Vergine sposata ad un uomo della casa di David, di nome Giuseppe, e la Vergine si chiamava Maria. Ed entrato da lei, l’Àngelo disse: Ave, piena di grazia: il Signore è con te: Benedetta tu fra le donne.]

OMELIA

[J. B.- Bossuet: La Madonna, discorsi nelle sue feste – trad. F. Bosio; 1944 – V. Gatti ed. Brescia].

IMMACOLATA CONCEZIONE – I DISCORSO

Sulla devozione alla Vergine

(Predicato davanti ai Reali a S. Germano 8 dicembre 1669)

Fecit mihi magna qui potens est.

Non intendo tenervi oggi un discorso, voglio fare una istruzione molto semplice e pratica sulla devozione alla Vergine Santa, per mostrarvi chiaramente le grandi utilità che da essa possono venire all’anima cristiana. Insieme però voglio mostrarvi come certe pratiche, che si vogliono dir pie e devote, sono invece una vera e propria corruzione di questa devozione. Non vi annoio con un esordio, ma entro subito in argomento: la mia istruzione la divido in due punti: nel primo fisserò le vere basi della devozione a Maria: nel secondo mostrerò le regole sicure ed immutabili che devono guidare l’anima cristiana in questa pratica di eccellente pietà. Frutto sarà per noi aver imparato ad onorare cristianamente la Vergine, non solo nella solennità d’oggi o nelle feste che ci vengono segnate dalla liturgia durante l’anno, ma in ogni giorno della nostra vita cristiana. – La Concezione della Vergine è il primo incontro nostro con Maria nostra Madre, che seguiremo con perseveranza in tutti i misteri che si compiono e svolgono in Lei. Vi dico questo, perché voglio che i sentimenti di devozione vostri siano degni dell’anima cristiana e che la vostra devozione si basi sulle massime del Vangelo. Vi prego, fratelli, di non oppormi che il piano è troppo vasto, e che avreste preferito un discorso più legato al soggetto della festa d’oggi: La Concezione della Vergine. Ricordate, fratelli carissimi, che l’utilità delle anime, figlie di Dio, è la legge suprema che governa il pulpito! – È vero, io potevo benissimo scegliere un argomento più stretto alla solennità d’oggi, ma non dovete però negarmi che nessun argomento potrà essere più fecondo di bene, per l’uditorio regale che mi sta dinanzi, che questa istruzione pratica. Siate dunque cortesi ed ascoltatemi attentamente mentre vi espongo il fondamento e la pratica della devozione a Maria.

I° punto.

Nella sua lettera ai Corinti, S. Paolo ci avverte che « nessuno può porre altro fondamento da quello posto: Cristo Gesù ». Obbedienti alla parola dell’Apostolo, poniamo fondamento e base della devozione nostra alla Vergine, Gesù il suo Figlio divino! Chi mai, fratelli, potrà onorare degnamente Maria dopo che, prodigiosamente feconda, abbracciò come suo Figlio il Figlio stesso di Dio? In alto i cuori, in alto le nostre menti: contempliamo la grandezza sublime della vocazione di Maria, destinata ab æterno da Dio per esser la portatrice di Cristo al mondo. Ricordiamo, fratelli, che Dio, chiamandola a questa sublime missione, non intese fare di Lei uno strumento cieco, un canale di questa sua opera di misericordia, la redenzione, ma la volle agente volontario che vi contribuisse fattivamente non solo per le sue mirabili qualità, ma per un atto vero e proprio di volontà. Ecco perché quando l’Angelo viene ad annunciare il disegno divino, il mistero non si compie fino a che Maria rimane incerta. La grande opera della Redenzione che da secoli tiene in ansiosa attesa mille popoli, anche quando il momento segnato da Dio Padre è giunto… rimane ancora sospesa fino a che la Vergine non abbia detto il suo: fiat mihi!… Quanto era necessario per noi uomini, questa volontà di Maria per la nostra salvezza! Ma, Ella appena pronuncia l’umile suo « fiat » — i cieli si aprono… il Verbo si fa carne, gli uomini hanno un Salvatore. La carità di Maria fu dunque, mi esprimerò così, la sorgente feconda da cui l’onda della grazia cominciò il suo corso per versarsi abbondante su tutta la natura umana. E, come dice S. Ambrogio, e dopo di lui S. Tommaso, « Uterus Mariæ, spiritu ferventi, qui supervenit in eam, replevit orbem terrarum cum peperit Salvatorem » (Della Verginità, XII). E S. Tommaso: Maria ebbe tanta pienezza di grazia da innalzarsi vicinissima. all’Autore stesso della grazia, così da ricevere in sè Lui ch’è pieno d’ogni grazia… partorendolo poi, comunicò in certo modo la grazia a tutti gli uomini (Som., p. III, qst. 27). Tantam gratiæ obtinuit plenitudinem, ut esset propinquissima auctori gratiæ; ita quod eum, qui est plenus omni gratia, in se reciperet, ei eum pariendo, quodammodo gratiam ad omnes derivare. Fu dunque necessario, Cristiani miei, che Maria concorresse colla sua carità perché il mondo avesse il — Liberatore —. Verità troppo nota questa: mi dispenso dallo spiegarla di più; ma insisto invece su di una conseguenza che forse non avete mai meditata, o certo non abbastanza: ed è questa: una sola volta Dio volle darci il Salvatore per mezzo della Vergine; e la sua volontà si muterà mai, perché Dio mai non si pente d’aver prodigato i suoi doni. Rimane allora fissa ed immutabile questa verità: avendo noi ricevuto per Maria il principio universale della grazia, Ella coopererà fattivamente in tutte le applicazioni della grazia agli uomini qualunque sia lo stato in cui si trovano. Nell’amor suo materno, la Vergine contribuì tanto all’opera della nostra redenzione, nel mistero della incarnazione, centro irradiatore della grazia, che è necessario Ella continui questa sua cooperazione in tutte le altre operazioni che non sono che logica conseguenza della redenzione. La teologia insegna che la grazia di Gesù Cristo ha in particolare tre operazioni: Dio chiama —Dio giustifica — Dio fa che perseveriamo. — Vocazione, giustificazione, perseveranza. La vocazione rappresenta il nostro primo muoverci; la giustificazione il progresso nostro nella via della salute, la perseveranza ci fa giungere alla fine della nostra giornata facendoci gustare quello che in terra non è possibile: il riposo e la vera gloria! Nessuna di queste tre fasi del nostro cammino spirituale è possibile senza che c’entri Gesù Cristo, anzi senza di Lui: ma le Scritture ci danno diritto a dire che con Lui c’entra anche Maria. Vi dico che le Scritture sante insegnano queste verità, e mi è facilissimo dimostrarvelo. La grazia della vocazione ci è raffigurata nel Vangelo, nella luce con cui, ancor nel seno materno, fu illuminato il precursore. Studiate bene questo miracolo e ci vedrete chiara l’immagine del peccatore invitato a salute. Il buio del seno materno avvolge Giovanni… quale notte non ti circonda o fratello mio, quando sei schiavo del peccato? qual notte, quali tenebre! Nulla può vedere, sentire il Battista nel seno materno: la tua cecità, la tua sordità, o peccatore, sono tali e quali: il cielo inutilmente grida al tuo orecchio con minacce terribili… la verità stessa, che tanto luminosamente brilla nel Vangelo, non riesce a rischiararti! – Ecco, senza che il Battista vi pensi né lo chiami, Gesù viene a lui: lo previene, lo sveglia », parla al suo cuore… scuote questo cuore addormentato fino allora insensibile. Oh non ci fa, questa scena, pensare, o fratelli al gesto con cui Dio nella sua bontà ci mosse a buoni affetti e pensieri, toccandoci del tocco del suo Spirito? Una luce improvvisa e sfolgorante alla quale, non si poteva fuggire, squarciò le tenebre del nostro cuore e della mente come un lampo! Colla luce un qualche cosa, che noi stessi non sapevamo che fosse, ci toccò al cuore!… Dio? … Dio? … non lo cercavamo, volevamo staccarcene di più anzi …  Egli invece ci si avvicinava e ci chiamava a penitenza! Ah è Dio che in mezzo al frastuono di gioie e di piaceri pone nella gioia, nel piacere tanto bramati, quelle gocce di amaro disgusto, che inquietano il cuore nel letargo pauroso che si vuol dire pace. È Dio che grida: Torna, torna ai pensieri ed agli amori di una volta! – La presenza di Gesù fa sussultare il Battista nelle viscere materne… Maria concorse a quest’opera misteriosa, lo dice Elisabetta sua madre: appena la tua voce sonò al mio orecchio, il fanciullo sussultò nel mio seno! S. Ambrogio scrive: « (Maria) levavit Joannem in utero constitutum, qui ad vocem eius exilivit… prius sensu devotionis, quam spiritus infusione vitalis animatus ». — Fu Maria che elevò Giovanni al di sopra della natura, quando ancora era chiuso nel seno di sua madre: tocco il fanciullo dal suono della sua voce, fu attratto da un influsso di pietà prima che ancora dilatasse la bocca per respirare l’aria che dà la vita.E continua lo stesso S. Ambrogio, dicendo che la grazia, di cui era ripiena Maria, era tanto grande ed in tal misura, che non solo conservò in Lei il privilegio di una verginità senza pari, ma quanti Ella avvicinava segnava del segno della innocenza.— Cuius tanta gratia, ut non solum in sè virginitatis gratiam reservaret; sed etiam in his quos viseret integritatis signum conferret…. (Della Virg. c. VII). Alla voce di Maria esultò il fanciullo: prevenuto prima di esser nato: qual meraviglia che abbia poi custodito una grande integrità di vita, questo fanciullo, che Maria, stata per tre mesi in casa di Elisabetta, aveva unto quasi dell’olio profumato della sua presenza e della sua purità? — Ad vocem Mariæ exultavit infantulus, obsequeutus ante quam genitus! Nec inumerito mansit integer cor pore, quem oleo quodam suæ præsentiæ et integritatis unguento, Domini Mater exercuit. Vediamo ora dove e come venga rappresentata la giustificazione. Gli Apostoli vengono con Gesù alle nozze di Cana: essi sono il soggetto di questa opera del Cristo. Ma leggiamo il Vangelo, e vediamo con quali parole chiude la narrazione…: questo fu il primo miracolo di Gesù, fatto in Cana di Galilea, col quale si manifestò, ed i suoi discepoli credettero in Lui. Erano già stati chiamati alla sequela di Gesù i dodici: ma la loro fede nel Maestro era ancor morta, non era capace di produrre quella giustificazione, della quale parla S. Paolo, ricordando Abramo che credette, e questo gli fu riputato a giustizia. (Ad Rom.). Non basta, intendiamoci, la fede alla giustificazione: ma, come insegna il Concilio di Trento, essa è come la radice, il principio della grazia. Vedete bene come in termini più precisi e chiari il Vangelo non poteva esprimere il fatto della grazia santificante… né però poteva meglio dichiararci quale parte vi ebbe Maria. Questo primo miracolo, su cui si fondò la fede dei discepoli nel Maestro, lo sappiamo tutti che fu ottenuto dalle preghiere e dall’interessamento di Maria compassionevole verso i poveri sposi! Gesù quasi la rimprovera per una tale premura:« quid mihi et tibi mulier? non è ancor giunta la mia ora ».Le parole non sono proprio tali da lasciar sperare, anzi suonano come un bel — non me ne curo,— Maria però non le intende così. Ella conosce bene i ritardi misericordiosi, i rifiuti e le fughe misteriose dello Sposo delle anime: conosce gli abbandoni con cui talvolta le prova e sa che tutto questo è mezzo con cui Egli vuol provare ed esercitare le anime a Lui care nell’umiltà, nella costante fiducia nella preghiera. Maria, ce lo dice il fatto, non s’è ingannata! e che non poteva Ella ottenere da un figliolo che nulla le sa negare?… e cosa non le concederà, dice S. Grisostomo, quando avrà accanto nella sua gloria quella Madre alla cui preghiera anticipò l’ora della rivelazione della sua potenza divina? Come non rifletteremo, Cristiani miei, con gioia a questo particolare: Gesù non volle fare il suo primo miracolo se non dietro la preghiera di sua Madre! E ricordiamo bene di quel miracolo… un miracolo che proprio proprio non era il più necessario: che necessità c’era del vino a quel banchetto?…era già sulla fine… avevano già bevuto abbastanza i commensali… Maria lo desidera lo domanda e basta: Gesù lo compie. Vedete però insieme come la Vergine s’interponga, intervenga in un modo molto efficace in questo fatto che è viva immagine della giustificazione del peccatore. Non fu certo a caso… fu lo Spirito Santo che voleva farci intendere una grande verità. S. Agostino ce la mostra questa verità quando alla considerazione di questo mistero scrive che Maria col suo amore cooperò alla nascita spirituale dei figliuoli di Dio — …carne mater Capitis nostri, spiritu mater membrorum eius quia cooperata est charitate ut filii Dei nascerentur in Ecclesia. Mirate fratelli l’accordo che c’è tra noi e quelli che studiarono questo mistero fino dai primi secoli della Chiesa, e prima di noi studiarono ed interpretarono la Sacra Scrittura! Ma io non dico: basta! non basta che Maria abbia cooperato alla nascita dei figli di Dio alla loro giustificazione… Gesù dà ad essi la perseveranza! Vi ha, Maria, parte in quest’opera di amore che assicura all’anima la vita eterna? Oh sì e quanta!… Venite figli della grazia misericordiosa del Signore… figli dell’adozione e della predestinazione eterna, anime che fedeli volete seguire costanti il Salvatore, fino alla fine della vita che lo porta nella gloria, venite e presto accorrete alla Vergine, ricorrete a Lei e con tutte le altre anime ricoveratevi sotto l’ali materne del suo amore! Io le vedo queste anime, e vedo che Giovanni, il discepolo prediletto, me le rappresenta in un modo mirabile là al Calvario. Gli altri discepoli hanno cessato dal seguire Gesù: vedendolo trascinare ai tribunali sono fuggiti: Giovanni solo con Maria segue Gesù fino alla croce: attaccato a questo legno di vita, davvero egli è pronto a morire col Maestro: ecco perché vi dico che è l’immagine delle anime perseveranti. Osservate: Giovanni ha seguito Gesù fino alla croce e Gesù lo consegna, quasi un dono, a sua Madre: Mulier ecce filius tuus! Fratelli ho mantenuto la mia parola: Tutti coloro che sanno bene leggere le parole spesso misteriose dei Libri santi, conoscono bene che dagli esempi recativi Maria si rivela colla sua intercessione ed amore la Madre dei — chiamati — dei giustificati, dei perseveranti — e tutti ammettono che il suo amore è strumento fattivo a tutte le operazioni della grazia nelle anime. – La festa d’oggi ci ricorda la sua Concezione… gaudeamus facciamo davvero festa poiché oggi il Cielo ci diede una protettrice. Sapreste trovare chi possa più efficacemente parlare in nostro favore di questa nostra Madre? A Lei spetta l’onore ed il dovere di parlare al cuore del suo Figliolo in cui la sua parola sveglia una eco tanto benefica per noi. La gloria, come la grazia, non soffocano non distruggono i sentimenti della natura: ma li nobilitano, li perfezionano. Maria, che non temette il rifiuto del suo Gesù in terra, non lo può temere ora che siede gloriosa alla destra del suo Figliolo divino! L’amore del Figlio opera secondo la parola e di desideri della sua mamma… è la natura stessa che sprona a questa accondiscendenza: — si è facili ad ascoltare la voce di chi già conquistò il nostro cuore con l’amore. — Affectus ipse pro te orat, natura ipsa tibi postulat… cito annuunt qui suo ipsi amore superantur. (Salv. Lett. IV). Vi pare, fratelli miei, che la base ch’io posi alla devozione che il Cristiano deve avere alla Vergine, sia ben solida? Allora sventura a chi la nega, ai tristi che vorrebbero togliere al popolo cristiano una sorgente così feconda di aiuto pietoso. Sventura a chi la vuol sminuire: egli viene ad affievolire i sentimenti della pietà figliale…Ma fratelli lasciatemi… imprecare! Sventura alla sciagurato che ne abusa! Ah no,no fratelli io non voglio imprecare a nessuno: tutti, questi infelici, sono figli della Chiesa ossequienti ai suoi decreti, ma nella pratica non conoscono le norme di vita ch’essa dà: Non imprecazioni ma istruzione: insegniamo loro le regole che la Chiesa dà per chi vuol vivere la sua fede! Quale cecità sarebbe mai la nostra o fratelli cari, se dopo aver posto verità così sode alla devozione per Maria, come fondamento, vi costruissimo pratiche vane e superstiziose?Vediamo come vuole la Chiesa la devozione…per purgare la nostra, se ne è il caso, da ogni superstizione o fanatismo, ed imparare a regolarla sulle sue parole. Vedremo cioè qual culto dobbiamo a Dio, alla Vergine, a tutti gli spiriti beati.

II° punto.

Norma fondamentale del modo con cui noi dobbiamo onorare la Vergine Santa ed i beati è che l’amore nostro deve tendere come a primo termine a Dio! se non fosse così il nostro culto sarebbe puramente umano, non un atto di religione, mentre i Santi uniti a Dio nella gloria non possono gradire atti d’onore puramente umani. La religione ci unisce a Dio, da qui il suo nome, come dice S. Agostino nel suo trattato — Della vera religione, Religio, quia, nos religet omnipotenti Deo. – Ogni devozione sia della Vergine sia dei Santi, è pratica superstiziosa se non ci guida, ci porta a Dio per amarlo qui e possederlo eternamente nella beata eternità. Regola generale dunque del culto — deve venire da Dio ed a Dio tornare, diffondendosi sopra la Vergine ed i Santi senza staccarsi da Lui. È meglio però scendere più al pratico: ed ecco che vi faccio un confronto tra il culto del Cristiano e quello dell’idolatra. Vi parrà non sia proprio il caso di combattere qui l’idolatria in tanta luce di Cristianesimo, lo so, ma vedrete però che sullo sfondo nero dell’errore brillerà più luminosa la verità. Base della aberrazione umana nell’onore di Dio fu l’errore degli antichi, i quali non conoscendo la grandezza del Nome di Dio, — il quale e nella Potenza e nella Sapienza e nella Maestà rimane in una indefettibile unità, — moltiplicarono le divinità dividendo la divinità nei suoi attributi e le loro funzioni; ed in seguito negli elementi e parti del mondo: cui distinsero i più grandi ed i meno grandi proprio come si può dividere una somma a seconda del diritto d’ogni pretendente. A Giove, padre degli dei, diedero come sede il cielo come luogo più nobile, il resto del creato lo designarono ai suoi fratelli ed alle sue sorelle come proprio si trattasse di una eredità di cui la parte migliore è data al primogenito, il resto diviso fra gli altri fratelli. Cosa ridicola, quasi che il mondo si potesse dividere in vari lotti… e Dio che l’aveva creato e ne era l’assoluto padrone potesse venir costretto a darne una parte in dominio ad altri, o ad ammettere altri nel suo governo. Spezzata l’unità di Dio, con questa sacrilega divisione e commisurazione del suo Essere uno indivisibile ed incomunicabile, la molteplicità continuò senz’ordine né misura fino a ficcar dei in ogni luogo: nel focolare, nelle gole dei camini, nelle scuderie, come rimprovera S. Agostino ai Greci ed ai Romani: « Se ne posero tre a guardia della porta di casa mentre un sol uomo basta per custodirla e difenderla »; dove basta un uomo i Greci posero tre dei! – Qual fine poteva avere questa pluralità di dei se non l’oltraggio a Dio nella sua adorabile ed essenziale unità, avvilendone la divina Maestà? Non dovete pensare, o fratelli, ch’io vi narri queste cose per contarvi qualche cosa che possa soddisfare la curiosità; no, miei cari, ma voglio che in queste aberrazioni constatiate una terribile verità: « il genere umano, prima del Cristo, era in balìa della potestà delle tenebre » ed insieme una consolante verità: « Gesù Cristo ci liberò da essa colla sua passione e colla luce del suo Vangelo diradò le orribili tenebre in cui vivevano gli uomini! » … Siamogli grati: gratias agamus Domino Deo nostro! super inenarrabili dono eius semper.Noi non adoriamo che un solo Dio, onnipotente, creatore e dispensatore di tutte le cose al cui servizio e nel cui Nome siamo stati consacrati nel Santo Battesimo! (Oh grazia troppo spesso non stimata, non conservata… o fedeltà troppo sovente violata!). Lui solo crediamo e Lui adoriamo riconoscendo e proclamando la sua sovranità sola ed assoluta, l’Essere suo infinito, la sua Bontà senza confini. Ma noi abbiamo culto anche per la Vergine, per i Santi! È vero: ma non un culto che importi, nella devozione, una sudditanza una dedizione al servizio della Vergine o dei Santi, perché liberi noi in tutto, abbiamo dalla religione una sola sudditanza: noi siamo soggetti solo a Dio: Egli è il solo, l’unico, l’assoluto vero sovrano. L’onore, dice S. Ambrogio, da noi dato alla Vergine ed ai Santi nel nostro culto e colla nostra devozione, è un onore, un culto di fraterna carità… « Honoramur eos charitate, non servitute », e come dice S. Agostino: noi onoriamo in essi i prodigi della mano di Dio, la comunicazione della sua grazia, l’effusione della sua gloria in quella santa e gloriosa dipendenza per cui eternamente sono soggetti all’Essere Supremo, a Dio nostro e loro Signore, cui quindi, come a termine unico, è indirizzato il nostro culto: poiché Egli solo è il principio e la sorgente di ogni bene che abbiamo e riceviamo, il termine di ogni nostra aspirazione e brama. Non ci si può quindi accusare che onorando con sentimenti di vivo amore e riverenza la Vergine ed i Santi, noi togliamo a Dio ed a Gesù Cristo parte del culto che loro dobbiamo. I nemici della Chiesa che qui si erigono a paladini dell’onore di Dio sono ridicoli! Ci mettono davanti un Dio geloso dei suoi doni degli splendori ch’Egli stesso sparse sopra le sue creature!… è oscena bestemmia il voler ammettere una debolezza in Dio! La Vergine, gli Angeli, i Santi che sono mai, o fratelli, se non l’opera della sua mano e della sua grazia? Pensereste voi, che se il sole avesse intelligenza. sarebbe geloso nel veder la luna che splendente « governa, come dice Mosè, la notte », con una luce così chiara, perché tutto il suo splendore viene da lui, che ci illumina e rischiara colla riflessione dei suoi raggi? Noi ammettendo nella Vergine il più alto grado di perfezione, non possiamo pensare che Gesù ne sia geloso… e non è da Lui che viene tutto lo splendore di santità che riempie Maria? non è Egli ancora onorato nella sua Madre, da Lui voluta piena di grazia!? – Funesto errore… poveri ed infelici i fratelli nostri, li dobbiamo compatire… ritorcere proprio su essi quella compassione con cui ci guardano, e ricambiare con pietoso compatimento l’accusa che fanno di idolatria alla purezza del nostro culto. Dimenticano essi che con noi chiamano idolatri S. Ambrogio, S. Agostino, S. Grisostomo dei quali essi dicono che noi, ed è vero, seguiamo e gli insegnamenti e gli esempi! Le irragionevoli accuse che con tanto astio muovono alla Chiesa, non devono provocarci né a sdegno né a vendetta: devono solo farci deplorare gli eccessi a cui li trasporta la loro ostinata cecità, ed eccitarci ad un intenso lavoro di preghiere e di opere perché anch’essi vengano al lume della indefettibile verità. V’è un Dio solo… uno solo deve essere il suo Cristo, il Mediatore universale che ci salvò col suo Sangue. Filosofi Pagani pensarono che la divinità se ne stesse in un cielo inaccessibile perfino alla preghiera umana: e che essa solo attraverso cause seconde ed istrumentali, non mai immediatamente quindi, s’ingerisse e curasse delle vicende umane, dal contatto delle quali la sua purezza infinita sarebbe stata insozzata, anzi, dicevan essi, la divinità non volendo che creature così miserabili potessero arrivare al suo trono, aveva creato dei mediatori, tra sé e noi, mediatori che quei filosofi chiamavano divinità intermediarie- Noi rifiutiamo questa dottrina: il Dio cui serviamo, ci creò a sua immagine e somiglianza, anzi ci aveva così creati dapprincipio ch’Egli godeva scender a parlare con l’uomo e che l’uomo potesse parlar a Lui: e noi lo crediamo, come crediamo che se oggi non abbiamo questa beata comunicazione con Lui nostro creatore, fu per colpa nostra poiché siamo diventati peccatori. Il Sangue di Gesù redentore ci riconciliò con Dio: ed è per questo Redentore che noi oggi possiamo ancora avvicinarci a Dio: e nel Nome di Gesù possiamo pregarlo per noi e per gli altri, e Dio che ama la carità fraterna, fino a farne un comando, ci ascolta favorevole sia che preghiamo per noi che per gli altri. Viene conseguenza logica di questa nostra fede, che i Santi e la Vergine che regnano con Gesù Cristo siano intercessori graditi a Lui, quando pregano per noi. Cari a Dio, noi sentiamo che tutti quelli che sono amici di Dio sono anche amici nostri!… Sì, proprio così… tutti gli spiriti beati sono nostri amici, nostri fratelli. A loro noi possiamo parlare con grande confidenza, e quantunque invisibili all’occhio del nostro corpo, la nostra fede ce li fa presenti, e la loro carità ce li rende propizi ed essi cooperano a tutti i desideri che la pietà ci inspira. Sentite ora, fratelli, una dottrina ancor più alta e più utile. Gli idolatri adorano divinità colpevoli di delitti senza numero: l’onorarli era delitto poiché non si potevano imitare senza vergogna. Fissate bene nella vostra mente invece quanto insegna il Cristianesimo: il Cristiano deve imitare coloro che onora: tutto quanto è oggetto del suo culto deve insieme essere modello della sua vita pratica. – Il Salmista dopo aver sfogato il suo zelo contro gli idoli muti ed insensibili adorati dai pagani, ha questa imprecazione: « similes eis fiant qui faciunt ea et omnes qui confidunt in eis ». Si faccian simili ad essi quelli che li fanno ed in essi pongano la loro speranza. Questa imprecazione contiene anche una verità che è bisogno dell’uomo: farsi simile a chi si onora! A quegli idolatri il Salmista augurava diventassero simili ai loro dei, come essi muti ed insensibili… Ma noi che adoriamo un Dio vivente, noi dobbiamo essere Santi — perché Santo è il Dio nostro che adoriamo — misericordiosi perché il Padre nostro celeste è misericordia infinita — dobbiamo perdonare perché Egli perdona a noi e come a noi perdona. Dobbiamo amare e far del bene agli amici ed a quelli che ci fanno del male perché Egli fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi. Lo dovremo adorare… ma in spirito e verità perché Egli è Spirito… dobbiamo essere perfetti, ci avverte il Figlio di Dio, perché è perfetto il Padre nostro che sta nei cieli. Ed ora, ditemi: quando noi onoriamo colle nostre solennità i Santi e la Vergine, forse lo facciamo per aumentare la loro gloria? Oh no, essi già ne sono ricolmi;… le nostre solennità sono fatte per muoverci alla loro imitazione: onorandoli per l’amore loro al Signore, ci impegniamo d’imitarli. Questo, e nessun altro, è il fine che la Chiesa ha nell’istituire e nel far celebrare le feste dei Santi e della Vergine: ce lo dice chiaramente, nella colletta della messa di S. Stefano: dacci grazia, o Signore, d’imitare chi onoriamo: imitari quod colimus. – Quante sono le feste che noi celebriamo, dice S. Basilio di Seleucia, altrettanti sono i modelli che ci vengono posti dinnanzi da imitare, immagini da ricopiare. Le solennità dei Martiri, dice S. Agostino, sono incitamenti al martirio; e continua: i Martiri non sono inclinati ad appoggiare colla loro preghiera le nostre suppliche se non vedono in noi qualcosa delle loro virtù. È tradizione e costante dottrina della Chiesa cattolica che essenza del culto dei beati comprensori è approfittare dei loro esempi. Sarebbe vano il nostro incenso bruciato davanti alle reliquie dei Martiri se non li imitassimo nella loro pazienza: il nostro culto ai Santi Confessori se non li imitassimo nell’astinenza e nella mortificazione; inutile il nostro onorare i Santi Vergini ed in modo speciale la Regina dei Vergini, Maria, se non ci sforzassimo d’essere umili, puri modesti come lo furono queste anime caste, come lo fu la Vergine Santa. Eccovi allora il dovere vostro, o figliuoli di Dio, che desiderate esser accettati in figli dalla Madre del nostro Salvatore: siatene imitatori fedeli se volete esserne fedeli devoti. Quante volte noi cantiamo il cantico con cui Maria lodò il Signore perché le aveva fatte cose grandi! si riempia l’anima nostra, ci avverte S. Ambrogio, della sua pietà: si fonda l’anima nostra con l’anima della Vergine per cantar le lodi del Signore ed esultare della sua bontà — sit in singulis Mariæ anima, ut magnificet Deum: sit in singulis spiritus Mariæ ut exultet in Deo. Ogni giorno noi ammiriamo quella purezza verginale resa da Dio misteriosamente feconda nella concezione del Verbo: ebbene, continua S. Ambrogio: sappiate che ogni anima casta e pura che conserva fedele la sua purità, concepisce in sé la Sapienza eterna, e come Maria viene riempita daDio. — Omnis enim anima accipit Dei Verbum, si tamen immaculata et immunis a vitiis, intemerato castimoniam pudore custodiat. Permettete, o signore, ch’io vi ponga innanzi, modello al vostro sesso, Colei che ne è la gloria più luminosa. Si brama sempre conoscere le qualità, ammirare i ritratti delle persone illustri: ma da chi potrò avere io i tocchi delicati per ritrarvi la pudica grazia e le caste ed immortali bellezze della divina Maria?Ogni giorno i Pittori tentano ritrarre la Vergine: ma le loro tele purtroppo s’assomigliano, non alla Vergine, ma all’idea che di Lei essi si sono fatta. Il ritratto che io qui voglio abbozzare, e che vi pregherei signori, ed in modo particolare voi signore, di ricopiare nella Vostra vita, lo tolgo dal Vangelo e fu tracciato, diciamolo francamente, dallo stesso Santo Spirito. La pagina del Vangelo, notatelo bene, non si occupa di descriverci le misteriose e sublimi comunicazioni della Vergine colla divinità, niente di tutto questo, ma ci descrive le sue virtù ordinarie, quasi per darcene un modello di uso facile ed alla mano, alla portata della nostra vita quotidiana. Caratteristica tutta propria della Vergine è la sua modestia, il suo pudore! Quanta cura in lei per non farsi vedere benché bella, di non farsi bella benché giovane: di non menar vanto benché fosse di stirpe regale e nemmeno di arricchire benché fosse tanto povera! Ella cerca Dio e Dio le basta e forma tutto il suo bene. Un poco diversa, nevvero, da tante i cui occhi sono sempre in giro, e che con sguardi provocanti, atti e movenze affettate cercano e tentano farsi notare! – Il ritiro è la delizia di Maria: è così poco avvezza a trattar con uomini che si turba alla vista d’un Angelo e nel suo turbamento va pensando cosa voglia dire il suo misterioso saluto! Notate però: è turbata e pensa! benché sorpresa d’improvviso dalla apparizione Ella è presente a se stessa: l’improvvisa apparizione non solo non distrae la sua mente, ma ne sveglia l’attenzione. Le anime pure sono fatte così: sempre timide, mai sicure esse tremano e temono anche là dove nulla c’è da temere, acquistano così la sicurezza quando davvero c’è il pericolo. Dappertutto temono insidie: le ingiurie le temono meno delle lodi e dei complimenti, l’offesa meno della carezza, preferiscono ciò che allontana a ciò che seduce e attrae. – La donna mondana invece tende lacci, ma disgraziatamente incappa negli stessi lacci che tende agli altri. Maria, osserviamolo, pensa ma non parla: non intavola una conversazione, non vuole discussioni, non ha domande inutili o curiose! Invece quante si rodono per cavar segreti al cuore altrui e penetrare nei segreti più gelosi! Vengano qui ed imparino ad esser caute e non curiose ed inquiete custodendosi piuttosto che effondersi tanto facilmente nella loro intimità. – Maria non apre la bocca se non quando ve la costringe la necessità: è il bisogno di custodire e proteggere la sua castità che la fa parlare e muovere timida una domanda. – Le viene proposta la maternità del Figlio dell’Altissimo: siamo sinceri: qual donna non si sarebbe esaltata davanti ad una fecondità così gloriosa? Maria riflette, e domanda: Come potrò diventar madre io che ho fisso in cuore di mantenermi vergine? Se la sua integrità deve soffrirne Ella è pronta al rifiuto dell’offerta che un Angelo le fa in nome di Dio! La grandezza della gloria offerta non la seduce: è più preoccupata del dovere di fedeltà che della grandezza: Ella teme per la sua castità. Oh amore indescrivibile della purezza posta al di sopra non solo d’ogni promessa ed offerta umana, ma al di sopra delle stesse promesse ed offerte divine! – L’Angelo allora le spiega il prodigio della sua maternità: Maria parla una seconda volta. S’umilia e s’adatta alla volontà di Dio: Ecce ancilla Domini… si faccia di me secondo la tua parola, risponde gioiosa della promessa che la sua castità non avrà ombra di danno, mentre proclama la sua obbedienza. Bisogna bene restar estasiati davanti alla modestia di Maria in questo atto che rende attoniti gli uomini e gli Angeli! Non s’invaghisce: convinta d’esser l’ultima delle creature, meraviglia che il Signore siasi degnato di posare il suo sguardo su di Lei! Lontanissima dal pensare d’esser oggetto di stupore al cielo ed alla terra e che dinanzi a Lei si curveranno e uomini e Angeli, ecco che va a visitare la cugina Elisabetta, e, più desiderosa di godere delle gioie altrui che manifestare i favori di Dio, va a moltiplicare la gioia in quella casa visitata dalla bontà generosa del Signore. È vero: alla acclamazione della sua parente unirà il suo canto di lode: ma perché Ella vede che la luce dello Spirito di Dio già svelò ad Elisabetta la sua maternità. Ella ascolta… e tutto gelosamente conserva nel suo cuore. – Quale rimprovero per quei vanitosi, che ad un piccolo trionfo o bene avuto van stancando le orecchie del prossimo dicendo e quanto hanno fatto e detto, e quanta lode e merito fu loro attribuito! – Nella sua incomparabile modestia Maria mostra chiaramente al mondo vano che la felicità può ben stare senza strepito, né suono di trombe e rullio di tamburi, e la gloria può esser anche là dove non c’è rinomanza e reclame… nel fondo cioè della propria coscienza che testimonia il dovere compiuto. Questa, o signori, è la Vergine, della quale, ve lo ripeto, non sarete assolutamente devoti se non ne sarete costanti imitatori. Scoprite oggi in suo onore una immagine santa: siete voi stessi questa immagine, siatene l’immagine viva nella vita vostra d’oggi e d’ogni giorno. – « Ognuno, dice S. Gregorio Nisseno, è il pittore e lo scultore della sua vita »: modellate allora la vostra su questo modello così perfetto: siatene le copie autentiche: la vostra condotta sia plasmata su questo modello meraviglioso. – Umili, pudiche, caste dovete essere: disprezzate le follie del mondo e di ogni moda nemica dell’onestà. Gli abiti di società siano rispettosi del vostro pudore, e delicatamente nascondan quanto mai non deve essere mostrato: forse piacerete meno in società… che importa? piacerete di più a Colui cui solo importa piacere! Il viso solo deve essere scoperto, poiché nel viso deve brillare l’immagine di Dio… anzi sia esso pure coperto: siano la modestia e la semplicità il velo candido attraverso al quale brillerà l’immagine di quel Dio che ci fece simili a Sé. – Quando voi ne imiterete le virtù, Maria potrà davvero dire che voi l’onorate… allora pregherà per voi perché vi vedrà intente e premurose di piacere al suo Gesù e simili alla Madre ch’Egli scelse per sua. Fin qui, Cristiani, io mi sono sforzato di mostrarvi che la vera devozione, alla Vergine ed ai Santi, è quella soltanto che ci induce a sottometterci sul loro esempio a Dio e cercar con essi il vero ed unico bene: cioè la salvezza eterna nella pratica di quelle virtù di cui essi ci sono maestri ed esempio. – Con questo concetto esatto di devozione non è difficile distinguere e condannare le false devozioni che disonorano la Religione cristiana. Prima fra tutte le piaghe della devozione è il cercare ch’essa ci serva più che alla salute eterna, ai nostri interessi temporali. Provate a smentirmi! Ditemi quanti si curano di far voti, promesse, preghiere alla Vergine ed ai Santi per chieder loro aiuto per fuggir il peccato, per togliersi da un vizio o da una cattiva abitudine, per ottener una sincera confessione e conversione? Gli affari importanti che da ogni parte vengono raccomandati a noi sacerdoti sono affari importanti per la vita del tempo. Volesse Iddio che fossero sempre interessi onesti, ma quante volte si osa invitar Dio e la Vergine, i Santi a farsi ministri e cooperatori di interessi nei quali diventerebbero veri complici di delitti! Con una tranquillità esasperante noi guardiamo il dominio di una passione che lentamente ci uccide… e mai il nostro labbro si schiude a domandare al Signore che ce ne liberi! Ma se capita una malattia, se va male un interesse di famiglia, oh allora cominciamo: subito le novene a tutti i Santi e si portan fiori e ceri a tutti gli altari, e si annoia il cielo con lamenti preghiere voti e promesse!… sì, perché nulla v’è che più stanchi il cielo di certe devozioni fanatiche ed interessate. Allora le preghiere si rafforzano… si comincia allora a ricordarsi che vi sono degli infelici che gemono nelle prigioni; dei poveri che languiscono nei tuguri, malati che non hanno chi si curi di loro e sono privi di tutto! Si diventa pietosi, compassionevoli, caritatevoli… oh pietosa carità quanto sei interessata!… è il soccorrere al bisogno proprio che fa pensare con riconoscenza a noi pronto perfino a far miracoli per soddisfare al nostro amor proprio! Ah che purtroppo, o Signore, sono di questa razza molti degli adoratori che affollano le vostre chiese e si inginocchiano supplichevoli davanti agli altari della vostra Madre e dei vostri Santi! – Vergine cara, Santi del cielo, non sono proprio devoti vostri a questo modo molti che vi sollecitano a farvi loro intercessori!? Vogliono vi addossiate i loro affari, vi vorrebbero coinvolti nei loro pasticci ed imbrogli coi quali sognano migliorare la loro fortuna! Si vede che essi dimenticano che viveste disprezzando il mondo e le sue ricchezze ed onori!… vorrebbero tornaste nel mondo e vi apriste il vostro ufficio di avvocati e procuratori! Ah, Gesù… purtroppo sono tali i sensi di devozione di tanti che pur si dicono tuoi discepoli: tu puoi certamente ripetere la parola con la quale Pietro e gli altri ti descrivevano l’ardore della folla: Turbæ te comprimunt! La folla di questi devoti ti preme da ogni parte… essa attornia i tuoi altari ed i tuoi tabernacoli domandandoti come i Giudei, non altro che una terra feconda ricca di fiumi in cui scorra latte e vino… beni temporali cioè! Quasi noi fossimo ancora nelle deserte pianure del Sinai o sulle rive sterili del Giordano… nelle ombre della legge di Mosè, e non nella luce meridiana che emana dal Vangelo in cui suona il tuo avviso: « Regnum meum non est de hoc mundo! » – Scusate… non fatemi dire però ed io non l’intendo affatto, che sia proibito pregare la Vergine ed i Santi per i nostri bisogni temporali: quando Gesù stesso ci insegnò a domandare al Padre celeste il pane quotidiano, e la Vergine si diede premura di segnalare a Gesù che al banchetto di nozze mancava il vino!… Domandiamo, e con confidenza, il pane quotidiano: ed in questa parola racchiudiamo pure tutte le necessità di questa povera nostra esistenza, anche i comodi, se volete; non mi oppongo: ma quando preghiamo, non dimentichiamo d’esser Cristiani e che da questa vita noi camminiamo ad una vita migliore ed eterna. Gesù insegna la grande preghiera al suo Padre: notate però dove Egli colloca questa petizione: — panem nostrum quotidianum — proprio nel mezzo… le domande che precedono e quelle che seguono riguardano tutte la vita spirituale. Prima ci fa domandare la glorificazione del suo Nome, l’avvento del suo regno, l’esecuzione perfetta ed universale della sua volontà sulla terra: dopo vuole che umilmente domandiamo il perdono dei peccati, la sua assistenza per non cadere nei lacci del nemico, la liberazione dal male… ai bisogni materiali accenna quasi di passaggio per ricordarci che tutte le nostre premure devono essere rivolte alla vita dello spirito. – La domanda riguarda certamente il pane materiale; ma riguarda anche insieme il pane spirituale: il Pane Eucaristico: vero pane dei figli di Dio! Questo per ricordarci come il Maestro divino voleva insegnarci che la cura del corpo non deve occupare da sola neppure un momento della nostra vita, mentre il pensiero della vita eterna e dei beni che non periranno deve esserci dinanzi agli occhi sempre. – O Cristiani, ma via, siamo sinceri e diciamolo francamente: noi cominciamo a pregare proprio quando ci assillano e attristano i bisogni od i mali della vita temporale: così a forza di interessare e Dio e i Santi di questi nostri bisogni, noi ci attacchiamo sempre di più alla vita del tempo. E l’effetto? è disastroso: noi ci alziamo dalla nostra preghiera, non più tranquilli e rassegnati alla volontà divina, più fervorosi nel suo servizio, ma più ardenti nel desiderio delle cose terrene. Ecco perché quando gli affari, nonostante la preghiera vanno male, si odono scoppi di pianto: ma non un pianto rispettoso che vien dal dolore e che non ci sottrae alla volontà del Signore, ma dalla stizza e la pena che ci divora dentro perché non siamo stati ascoltati. Noi lo dimentichiamo troppo spesso… il Dio che noi preghiamo non è un idolo del quale possiamo fare quel che vogliamo, ma il vero Dio che fa quel che vuole. È verissimo che nella Scrittura c’è: « Dio fa la volontà di coloro che lo temono ». Bisogna però che davvero lo temano e pienamente si sottomettano alla sua volontà. Dice S. Tommaso che l’orazione è una elevazione della mente a Dio — « Elevatio mentis in Deum ». Quindi è chiaro, conchiude ilsanto Dottore, che non prega chi ben lungi dall’elevarsi a Dio pretende che Dio si abbassi a lui, ochi non va all’orazione per eccitar l’uomo a voler ciò che Dio vuole, ma per indurre Dio a far ciò che vuole l’uomo! Maestà, sopportereste voi una tale prepotenza in un vostro suddito? La sopporteremmo noi stessi in chi viene a chiederci un favore?Ma noi uomini figli della carne siamo astuti: Dio non possiamo piegarlo, ci sarà più facile, pensiamo, piegar la Vergine ed i Santi e tirarli dalla nostra parte a forza di adularli colle nostre lodi ed il nostro ossequio e stancarli con le nostre preghiere. Non ditemi che esagero: è così: noi trattiamo la Vergine ed i Santi come fossero uomini come noi e crediamo poterli conquistare con una certa esattezza e assiduità in piccoli servigi, inchini e lodi e piccoli doni, dimenticando ch’essi sono uomini divini, che, come dice Davide: — sono entrati nella potenza del Signore, negli interessi della sua gloria, nei sentimenti della sua giustizia e della sua gelosia contro i peccatori, insieme nei sentimenti della sua bontà e della sua misericordia —. Oh Dio, e saranno sempre gli uomini ingrati e così ciechi da irritare le loro ferite con gli stessi rimedi? – Qual è la devozione alla Vergine Madre che vedo praticata da tanti Cristiani? È vero si creano leggi e le osservano: si impongono obblighi e li mantengono… ma intanto disprezzano o non curano le tue leggi sacrosante alle quali li vuoi soggetti attirandosi così la terribile maledizione, gridata dal profeta Isaia (LVIII, 12, 13, 14): « Guai a voi che nella vostra pietà cercate non la mia volontà ma la vostra: il Signore vi dice: detesto le vostre pratiche legali: e le vostre preghiere mi fanno male al cuore: faccio fatica ad ascoltarle ». E sarà religione questa? Crediamo aver fatto tutto per la Vergine, quando la proclamiamo regina degli Angeli e dei Santi, e la cantiamo Immacolata fino dal primo istante della sua Concezione! Sono belle le vostre lodi, o fratelli: ma la sua santità passa sopra senza misura ad ogni nostra immaginazione! Sentite: se la macchia del peccato originale vi fa tanta pena ed orrore che sentite il bisogno di non ammetterla nell’anima della Vergine neppur un istante, perché non combattete in voi l’avarizia, l’ambizione, la sensualità che sono le tristi conseguenze di questa colpa? Vedo quell’anima irrequieta perché recitando la sua corona saltò un’Ave Maria, o lasciò qualcuna delle sue preghiere solite: fa bene; io ammiro tanta esattezza! Ma chi tollererà però che lo stesso giorno in cui si fu esattissimi nella preghiera si disobbedisca tranquillamente a tre o quattro precetti del decalogo, e si calpestino i doveri sacri della carità cristiana? Fatale inganno con cui il demonio tiene in una pericolosa illusione i Cristiani: non potendo sradicare dal fondo del cuore cristiano il principio religioso, troppo profondamente radicatovi, cerca insinuarne la pratica in una forma che ne è una vera deturpazione, una profanazione, perché ingannati da questo pietismo credono con piccole pratiche aver soddisfatto ai gravi obblighi che Dio impone colla sua legge ed i doveri del proprio stato. – Oh preghiamo, fratelli, preghiamo la Vergine che ci tolga a questo magico incanto e ci apra gli occhi! Invochiamola ed Ella ci sarà forte aiuto nelle tentazioni, ci otterrà quella castità che ci è tanto necessaria. Alla mensa della nostra vita, manca il vino… cioè il santo amore: Ella ce lo otterrà, e ci otterrà forza per ritornare all’intensità della vita cristiana, la nostra vita languida. Però sentite come parla Maria alle nozze di Cana: ai servi dice: « Fate quello ch’Egli dirà » ho pregato ho interceduto per voi, ma a voi tocca fare quello ch’Egli vi dirà: a questa condizione è legato il miracolo, effetto delle mie preghiere. Anch’io, fratelli, dirò a voi: tutto potete attendervi da Maria se siete veramente pronti a fare quanto Gesù domanda a voi: cioè ad obbedire alla sua legge ed ai doveri della vostra condizione. Vi vedo incerti: mi pare sentirmi dire: ma dove volete arrivare? Dunque dovremo lasciar da parte tutte le pratiche delle nostre devozioni, tutte le preghiere… e fino a che non mi decido a convertirmi al Signore, vivrò come un infedele? No, dite pure le vostre preghiere, fate pure le vostre devozioni… preferisco vedervi far pratiche di pietà anche imperfette, che vedervi disprezzare ogni pratica pia, dimentichi di esser Cristiani. Il medico che vuol guarire da una malattia prescrive rimedi energici ed anche certi altri rimedi più blandi. Usate di questi se non avete il coraggio di adattarvi a quelli… egli però vi avverte che così non guarirete! V’irritate? con chi? con il medico? no, voi siete ingiusti; irritatevi contro di voi! Ve lo dice chiaro: se non accettate le sue prescrizioni, la vostra salute non è più in sua mano, è lasciata al vostro capriccio! Non s’irrita con voi però: questa vostra ira la considera una conseguenza cattiva del vostro male; ed ecco che buono vi esorta: non fate così: prendete almeno questi rimedi, male non ve ne possono fare, potranno anche sostenere l’organismo indebolito. Ma badate che alla fine voi finirete male se non volete far lo sforzo di accettar le ricette di rimedi forti! – Dico anch’io così a voi, fratelli: Praticate pure le vostre divozioni, dite pure le vostre preghiere… meglio queste che dimenticare completamente Dio. Ma non vi permetto però di appoggiare su queste cosette, la sicurezza della vostra vita: potranno, è vero, impedire un male peggiore, l’empietà dichiarata, il disprezzo di Dio… ma badate però che voi non guarirete mai… anzi invece di un aiuto alla vostra guarigione saranno piuttosto un ostacolo. Sentite come parla lo Spirito Santo di queste devozioni false: « Essi non cercano la giustizia, e nemmeno giudicano con retto giudizio: mettono la loro confidenza in cose da nulla e si fermano a cose vane. Hanno ordito una tela, ma è tela di ragno: non servirà certo a vestirli, né essi saranno coperti dal lavoro delle loro mani… sono opere inutili e vani sono i loro pensieri! Nella via che battono v’è devastazione e dolore » (Isaia, LIX). Ecco la sentenza, e non è mia, è dello Spirito Santo, contro coloro che fanno consistere la devozione unicamente in piccole pratiche e sfilze di orazioni, e così — lasciatemelo dire francamente — trascurano di fare vere opere di penitenza secondo il comando del Vangelo. Il pietismo loro non darà opere che possan coprire le loro colpe: sarà svelata la loro cattiveria, e avranno vergogna della loro nudità. Questi servi saranno condannati dalla loro stessa bocca: e gli esempi dei Santi da essi invocati, suoneranno terribile condanna delle loro opere. Volete esser devoti della Vergine, di una devozione feconda di bene per l’eternità? Siate puri, retti, caritatevoli! fate giustizia alla vedova ed all’orfano, prendete le difese dell’oppresso, aprite larga la mano al povero ed al vecchio abbandonato. Badate bene nel fare opere di sopraerogazione e di non dimenticare quelle che sono comandate come assolutamente necessarie. Attaccatevi e statevi fedeli alla legge del Signore, seguendo il comando di Maria: Qualunque cosa Gesù vi dirà, fatelo. — Voi allora otterrete quello che domandate e Gesù promette a quelli che non avranno detto « Signore, Signore », ma avranno fatta la volontà del Padre che sta nei cieli. – Sia benedetta la Vergine gran Madre di Dio!

CREDO …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Luc 1: 28
Ave, María, grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus, allelúja.

[Ave, o Maria, piena di grazia, il Signore è con te, tu sei benedetta fra le donne. Allelúia].

Secreta

Salutárem hóstiam, quam in sollemnitáte immaculátæ Conceptiónis beátæ Vírginis Maríæ tibi, Dómine, offérimus, súscipe et præsta: ut, sicut illam tua grátia præveniénte ab omni labe immúnem profitémur; ita ejus intercessióne a culpis ómnibus liberémur.

[Accetta, o Signore, quest’ostia di salvezza che Ti offriamo nella solennità dell’Immacolata Concezione della beata Vergine Maria: e fa che, come la crediamo immune da ogni colpa perché prevenuta dalla tua grazia, cosí, per sua intercessione, siamo liberati da ogni peccato].

Praefatio

de Beata Maria Virgine
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubique grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Et te in Conceptióne immaculáta beátæ Maríæ semper Vírginis collaudáre, benedícere et prædicáre. Quæ et Unigénitum tuum Sancti Spíritus obumbratióne concépit: et, virginitátis glória permanénte, lumen ætérnum mundo effúdit, Jesum Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Coeli coelorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admitti jubeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes: Sanctus …

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Te, nella Concezione immacolata della Beata sempre Vergine Maria, lodiamo, benediciamo ed esaltiamo. La quale concepì il tuo Unigenito per opera dello Spirito Santo e, conservando la gloria della verginità, generò al mondo la luce eterna, Gesù Cristo nostro Signore. Per mezzo di Lui, la tua maestà lodano gli Angeli, adorano le Dominazioni e tremebonde le Potestà. I Cieli, le Virtù celesti e i beati Serafini la celebrano con unanime esultanza. Ti preghiamo di ammettere con le loro voci anche le nostre, mentre supplici confessiamo dicendo: Santo …]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps LXXXVI: 3, Luc I: 49
Gloriósa dicta sunt de te, María: quia fecit tibi magna qui potens est.

[Cose gloriose sono dette di te, o Maria: perché grandi cose ti ha fatte Colui che è potente].

Postcommunio

Orémus.
Sacraménta quæ súmpsimus, Dómine, Deus noster: illíus in nobis culpæ vúlnera réparent; a qua immaculátam beátæ Maríæ Conceptiónem singuláriter præservásti.

[I sacramenti ricevuti, o Signore Dio nostro, ripàrino in noi le ferite di quella colpa dalla quale preservasti in modo singolare l’Immacolata Concezione della beata Maria].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (5)

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (5)

Tratte dall’Apocalisse, dal Vangelo, dalle Epistole degli Apostoli, e dalle Profezie dell’Antico Testamento

Messe in relazioni con le rivelazioni della Suora della Natività

di Amedeo NICOLAS

PARTE SECONDA.

LA QUINTA, SESTA E SETTIMA ETÀ.

Divisione della seconda parte.

Abbiamo attraversato le prime quattro età della Chiesa, e la storia è stata trovata conforme ai testi sacri che abbiamo applicato ad esse. Ci resta da spiegare le ultime tre età, che sono molto più importanti per noi, non per la loro durata, ma per gli eventi che le segnalano.

Troviamo la quinta età nella quinta Chiesa, nel quinto sigillo, la quinta tromba e la quinta lode; la sesta età nella sesta Chiesa, nel sesto sigillo, una parte della sesta tromba e la sesta lode; e la settima età nella settima Chiesa, nel settimo sigillo, il resto della sesta tromba, la settima tromba e la settima lode. Diremo perché la sesta tromba è così divisa in due parti e due epoche; e assegneremo, per quanto possibile, delle epoche alle sette ultime piaghe menzionate nei capitoli XV e XVI dell’Apocalisse.

Diverse cose possono complicare questa seconda parte in modo straordinario; sono: il drago menzionato nei capitoli XII, XIII, XVI e XX; le due bestie menzionate nel capitolo XIII; quella menzionata nei capitoli XI, XVI, XVII e XX; la grande Babilonia menzionata nei capitoli XVII, XVIII e XIX; e lo pseudo-profeta le cui funzioni e destino sono indicati nei capitoli XVI e XX. Ora, poiché le complicazioni sono i più grandi nemici della chiarezza, soprattutto in una materia come questa, non mischieremo ciò che diremo su di esse con l’esposizione delle ultime tre età della Chiesa, e le svilupperemo in un capitolo particolare, che sarà il primo nell’ordine. Inoltre, poiché il passaggio dalla quinta alla sesta età ha un carattere molto distinto, lo spiegheremo anche in un altro capitolo a parte.

CAPITOLO PRIMO

IL DRAGO, LE BESTIE, LA GRANDE BABILONIA E LO PSEUDOPROFETA.

I. Non si può essere incerti sul drago che ha sette teste, dieci corna e sette diademi sulle sue sette teste (Apoc. cap. XII; v. 3); che si pone davanti alla donna, la Chiesa, per divorare il suo figlio quando nasce (v. 4); che, dopo una grande battaglia in cielo, è gettato sulla terra (v. 7, 8, 9); e che, furioso per la sua sconfitta, torna a perseguitare la donna che ha dato alla luce un figlio (v. 13). San Giovanni dichiara che esso non è altro che satana, il serpente antico, che sedusse i nostri primi genitori nel paradiso terrestre (Et projectus est draco ille magnus, serpens antiquus, qui vocatur Diabolus et Satanas, qui seducit universum orbem – E il grande drago, il serpente antico, che si chiama diavolo e satana, che sedusse l’intero universo, fu gettato giù. v. 9).  – Poiché è questo il caso, è certamente di satana che stiamo parlando nei v. 2 e 4 del capitolo XIII dell’Apocalisse (Et dedit illi draco virtutem suam et potestatem magnam, v. 2, et adoraverunt draconem qui dedit potestatem bestiæ – E il drago gli diede la sua forza e grande potere. ed essi adorarono il drago che aveva dato il suo potere alla bestia – v. 4); è lui il drago del cap. XVI, v. 13 (Et vidi de ore draconis et spiritus tres immundos – E vidi tre spiriti immondi uscire dalla bocca del drago … ) ; è colui che viene gettato nel lago di fuoco, nel cap. XX, v. 9 (Et Diabolus qui seducebat eos missus est in stagnum ignis et sulphuris – E il diavolo che li sedusse fu gettato nel lago di fuoco e zolfo) .

II. Se è facile dire cosa sia il drago, non è facile caratterizzare le varie bestie di cui si parla nell’Apocalisse; e, per farlo, siamo obbligati a esporre prima le bestie del profeta Daniele.

Nel capitolo VII, v. 2, Daniele vede quattro bestie che sorgono dal mare, ed erano molto diverse tra loro.

La prima, che era come una leonessa e aveva due ali d’aquila (v. 4), rappresentava il primo degli imperi formati sulla terra, quello dei Babilonesi, o dei Caldei e degli Assiri, perché le quattro bestie sono quattro imperi successivi (Hæ quatuor bestiæ magnæ quatuor sunt regna quæ consurgent de terra – Queste quattro bestie sono quattro imperi che sorgeranno dalla terra – ibid. v. 17).

La seconda, come un orso dalla montagna (ibid. v. 5), rappresentava il secondo impero, quello dei Medi e dei Persiani, che uscì, come un orso, da regioni quasi barbare.

La terza, che assomigliava a un leopardo, aveva quattro ali di uccello e quattro teste – (ibid. v. 6), era l’impero dei Greci o di Alessandro, che fu stabilito così rapidamente (in sei anni) che il suo fondatore sembrava avere le ali, e che, dopo la morte del conquistatore, fu diviso tra i suoi quattro luogotenenti principali, che presero: uno il regno di Egitto, l’altro quello di Siria, il terzo quello di Bitinia, e il quarto quello di Macedonia o Grecia.

La quarta bestia, molto diversa dalle prime tre, era molto più grande di loro. Terribile, ammirevole, di una forza straordinaria, aveva grandi denti di ferro con cui divorava e strappava tutto ciò che incontrava, calpestando ciò che non aveva strappato o divorato; la sua testa era sormontata da dieci corna (ibid. v. 7). – Questa bestia è ovviamente l’Impero romano, che sorse dopo l’Impero greco, e che fu molto più esteso e potente di quelli che lo avevano preceduto (Holzhauser – tom. 2, p. 39 a 47 Wüilleret – pensa che questa bestia sia l’impero maomettano. Se si esamina attentamente il testo di Daniele, ci si convince che questo è impossibile. Sarebbe necessario rimuovere l’Impero romano che occupa un posto così grande nella storia).

Se si leggono le altre parti della profezia di Daniele, si vedrà che queste quattro bestie corrispondono esattamente alle quattro parti della statua che Nabuchodonosor vide in sogno (ibid. capitolo II, v. 31 a 44). La testa, che era d’oro, è l’Impero dei Babilonesi, quello di Nabucodonosor, come dice Daniele stesso (ibid. v. 32, 38); il petto d’argento è quello dei Medi e dei Persiani (ibid. v. 32, 39); il ventre e le cosce di ottone sono l’Impero dei Greci (ibid. v. 32, 39); e le gambe di ferro rappresentano l’Impero romano (ibid. v. 33, 40). Per quanto riguarda i piedi, che fanno parte delle gambe, la parte che era di ferro rappresenta l’Impero Romano d’Oriente che si conservò ancora a lungo (ibid. v. 33, 41, 42); e quella che era formata di argilla è l’Impero d’Occidente che cadde così rapidamente sotto i colpi dei barbari del Nord, e fu sostituito dall’Impero Cristiano (ibid. v. 33, 41, 42). – La quarta bestia del settimo capitolo di Daniele – l’Impero romano – aveva dieci corna; ora, poiché le corna servono, da un lato, come difesa agli animali che le possiedono, e ne esprimono la forza, e che, dall’altro lato, le sormontano, sono sulla loro testa, il che implica una specie di preminenza, di dominio, si deve pensare che queste dieci corna, che sono dieci re, come dice il Profeta (Porro cornua decem ipsius regni decem reges erunt, ibid. v. 24), siano i dieci regni fondati da questi popoli barbari, che all’inizio hanno diviso l’Impero romano, di cui hanno formato le migliori truppe, e che hanno finito per prenderlo e dividerlo tra loro. Essendo questi dieci regni stabiliti come dieci corni di forza, un corno molto piccolo, che non era del numero dei dieci, nacque, si formò e sorse in mezzo ad essi (Considerabam cornua, et ecce cornu aliud parvulum ortum est de medio.eorum, ibid. v. 8); e tre dei primi dieci e grandi corni furono rimossi in sua presenza (ibid., v. 8). Questo piccolo corno è un nuovo impero che partì dal nulla, sorse dal tempo dei dieci regni, si impadronì di tre di essi e divenne più potente di tutti gli altri (Et alius consurget post eos, et ipse potentior erit prioribus, et tres reges humiliabit, ibid. v. 24). Questo nuovo corno è certamente l’impero di Maometto, il primo a sorgere nel mondo, dopo la fondazione dei dieci regni stabiliti sulle rovine dell’Impero romano, e si impadronì, nel corso del tempo, dell’Impero d’Oriente, della Persia e della Tartaria.

III. Tornando all’Apocalisse, diciamo che questo piccolo corno, che diventa più potente degli altri (Et majus erat cæteris, Dan. cap. VII. v. 20), è la bestia a sette teste con dieci corna e dieci diademi sulle sue dieci corna di cui San Giovanni parla nel cap . XIII, v. 1-10; abbiamo diverse ragioni per questo. – L’impero maomettano, più grande dell’impero turco o ottomano, che ne è solo una parte, comprende realmente tutti i possedimenti dell’antico impero di Alessandro, rappresentato dal leopardo; ecco perché si dice nel capitolo XIII dell’Apocalisse, v. 2, che la bestia è come un leopardo (similis pardo). È più esteso dell’impero dei Medi e dei Persiani; per questo ha solo i piedi di un orso e la testa di un leone (Et bestia quam vidisti similis erat pardo, et pedes ejus sicut pedes ursi, et os ejus sicut os leonis, Apoc. XIII. v. 2). – Quindi, questa prima bestia di San Giovanni è il piccolo corno di Daniele. Il corno di Daniele diceva grandi cose (Et os loquens ingentia, aspiciebam propter vocem sermonum grandium quod cornu illud loquebatur … et os loquens grandia – E una bocca che diceva grandi cose … Ho guardato a causa delle parole orgogliose che questo corno pronunciava … La sua bocca diceva grandi cose – Dan., cap. VII. v . 8. 11. 20). Faceva guerra ai santi e prevalse su di loro (Et ecce cornu illud faciebat bellum adversùs sanctos et prævalebat eis, Dan. cap. VII. v. 21). Parlava con insolenza contro l’Altissimo, distruggeva i suoi santi e pensava che potesse cambiare i tempi (con l’Egira), la legge divina (con il Corano), e i santi dell’Altissimo furono consegnati nelle sue mani per la durata del suo potere, cioè per un tempo, due tempi e la metà di tempo (Et sermonem contrà Excelsum loquetur, et sanctos Altissimi conteret, et putabit quòd possit mutare tempora et leges, et tradentur in manu ejus ad tempus, et tempora, et dimidium temporis, Dan. cap. VII. v. 25). – E la prima bestia di San Giovanni diceva grandi cose (Et datum est ei os loquens magna – Gli fu data una bocca che diceva grandi cose – Apoc. cap. XIII. v. 5 ). Ha la bestemmia sulle sette teste e nella bocca (Et super capita ejus nomina blasphemi, et datum est ei os loquens … blasphemias, – Sulla sua testa ci sono nomi di bestemmie. Le diedero una bocca che proferiva bestemmie – ibid. v. 1. 5). Tutte le sue parole sono blasfeme (Et aperuit os suum in blasphemias ad Deum, blasphemare nomen ejus, et tabernaculum ejus, et eos qui in cælis habitant – ed ella aprì la bocca per bestemmiare Dio, il suo nome, il suo tabernacolo e coloro che abitano nei cieli – v. 6). Essa ha un grande potere che riceve dal drago (Et dedit illi draco virtutem suam et potestatem magnam, ibid. v. 2) . Essa se ne serve, la usa per fare guerra ai santi, per sconfiggerli e per esercitare il suo dominio su ogni tribù, ogni lingua, ogni popolo, ogni nazione (Et datum est illi bellum fa’ cere cum sanctis et vincere eos , et data est illi potestas in omnem tribum , et populum , et linguam, et gentem, ibid. v. 7). Quindi, il piccolo corno di Daniele è la prima bestia del capitolo XIII dell’Apocalisse, poiché c’è identità di comportamento tra loro; ed entrambi rappresentano l’impero maomettano. Il corno di Daniele è così tanto la bestia di San Giovanni, che il profeta giudeo chiama lui stesso bestia, quando dice, al capitolo VII, v. 11: Aspiciebam propter vocem sermonum grandium quos cornu illud loquebatur; et vidi quoniam interfecta esset bestia, perisset corpus ejus, et traditum est ad comburendum igni. – Io guardavo a causa dei discorsi pieni di orgoglio che questo corno pronunciava, e vidi che la bestia era stata uccisa, il suo corpo perito, ed era stato gettato alle fiamme – Il corno di Daniele ha una durata di un tempo, più tempi e le metà di un tempo – Et tradentur in manu ejus usque ad tempus, et tempora et dimidium temporis, Dan. cap. VII. v. 25); questo, prendendo un tempo per un anno, due tempi per due anni, e la metà di un tempo per sei mesi, come sono universalmente tutti d’accardo, fornisce tre anni e mezzo. Ora questi tre anni e mezzo fanno quaranta due mesi, che sono esattamente la durata della bestia di San Giovanni (Et data est ei potestas facere menses qua dragintà duos – E gli si diede il potere di agire per quarantadue mesi – Apoc. cap. XIII. v. 5). – Il destino finale del corno e della bestia li identifica di nuovo; il corno di Daniele è ucciso; il suo corpo perisce ed è consegnato al fuoco (Et vidi quoniam interfecta esset bestia, et perisset corpus ejus, et traditum est ad comburendum igni . – Dan. cap. VII. v. 11 – ; e la bestia dell’Apocalisse è fatta prigioniera, perché teneva prigionieri gli altri; perisce di spada, perché ha ucciso gli altri (Qui in captivitatem duxerit in captivitatem vadet; qui in gladio occidet, oportet eum gladio occidi – Chi ha fatto prigionieri sarà condotto in cattività; chi ha ucciso di spada sarà ucciso di spada – Apoc. cap. XIII. v. 10). Poi sarà bruciata dal fuoco, quando, risorgendo dall’abisso, riapparirà sulla scena del mondo (Et apprehensa est bestia, et cum ea pseudopropheta … vivi missi sunt hi duo in stagnum ignis ardentis sulphure, Apoc. XIX, V. 20; et descendit ignis de cælo, et devoravit eos; et diabolus qui seducebat eos missus est in stagnum ignis et sulphuris, ubi et bestia et pseudopropheta crucibuntur die ac nocte in sæcula sæculorum (E la bestia fu presa, e con lui il falso profeta … Sono stati gettati vivi nello stagno di fuoco e di zolfo … Il fuoco scese dal cielo e li divorò, e il diavolo che li aveva ingannati fu gettato nel lago di fuoco e di zolfo, dove la bestia e il falso profeta saranno tormentati per i secoli dei secoli – ibid. cap. XIX. v. 9. 10). – Dato che è quasi certo che l’undicesimo corno di Daniele è la prima bestia del capitolo XIII dell’Apocalisse, e che questo corno e questa bestia sono l’impero maomettano, possiamo sviluppare le altre particolarità che San Giovanni è l’unico a riportare, perché era più vicino a questa bestia, e che Daniele non ha enumerato, perché un altro doveva farlo dopo di lui nella continuazione dei tempi (Holzhauser – tom. 2, p. 39 a 47, Wüilleret – dice, come noi, che la bestia con sette teste e dieci corna del capitolo XIII dell’Apocalisse è l’impero maomettano).

IV. La prima bestia dell’Apocalisse ha, come il drago, sette teste e dieci corna; ma, invece di avere sette diademi sulle sue sette teste, ha dieci diademi sulle sue dieci corna. Cosa possono significare tutte queste cose? Le sette teste del drago rappresentano, in termini morali, i sette peccati capitali; la bestia che ha sette teste ha lo stesso carattere, poiché ha lo stesso numero di teste. Queste sette teste della bestia possono rappresentare, da un altro punto di vista, i sette paesi o regni che formano l’impero maomettano (Holzhauser dice erroneamente, secondo noi, che le sette teste della bestia siano i vari governanti che regneranno sull’impero turco o maomettano – Tom. II. p. 40, Wüilleret -, Leggendo Ezechiele (capitolo XXXVIII, v. 2.) che dice di Gog, l’Anticristo, che è il principe della testa di Mosoch e Thubal che rappresentano i popoli di cui sono i ceppi, si capisce che le teste sono i popoli (principem capitis Mosoch et Thubal) e come le dieci corna siano i difensori, e poi i distruttori della bestia, come abbiamo detto di quelli, in numero uguale, che sottomisero l’Impero Romano. Queste corna della bestia di San Giovanni sono dieci re che conserveranno e difenderanno l’impero di Maometto, probabilmente a causa della grande difficoltà che troveranno nel dividerlo, e che finiranno per rovesciarlo da cima a fondo, come fecero i barbari del Nord nei confronti dell’Impero d’Occidente, che era l’Impero Romano propriamente detto (Holzhauser ci sembra in errore, quando fa di queste dieci corna dieci popoli sottomessi ai Turchi –  tom. II, p. 40, Wüilleret).

V. Una delle sette teste è ferita a morte (Et vidi unum de capitibus suis quasi occisum in mortem, et plaga mortis ejus curata est – E vidi una delle sue teste come colpita a morte, e la sua ferita mortale fu guarita- Apoc. cap. XIII. v. 3). Questa ferita mortale, che è guarita, può indicare sia le crociate dei Cristiani contro i saraceni, che tolsero loro la Palestina e la Siria, di cui tornarono padroni solo dopo circa cento anni, sia la distruzione dell’impero turco, una delle sette teste della bestia, che sarà richiamata al potere dall’anticristo, quando risorgerà dall’abisso, come è detto nel capitolo XVII di San Giovanni. – Applicando alle crociate questa ferita inferta a una delle sette teste della bestia (un’applicazione meno plausibile della seconda), il resto della profezia di San Giovanni si accorda molto bene con la storia; poiché questa bestia, così colpita, diventa solo più potente; nonostante la prova subita, distrugge l’Impero d’Oriente, si impadronisce di Costantinopoli e di tutta quella che oggi si chiama la Turchia d’Europa; attacca l’Italia, dalla quale è tenuta lontana solo dalla sconfitta di Lepanto; invade l’Ungheria e va ad assediare Vienna, capitale dell’Impero tedesco. Tutto l’universo ammira la sua grandezza e potenza (Et admirata est universa terra post bestiam, et adoraverunt bestiam dicentes: Quis similis bestiæ, et quis poterit pugnare cum eà (Sic Holzhauser (tom. 2, p. 46, Wüilleret – Apoc. cap. XIII, v. 3. 4) – Se questa ferita mortale rappresenta la distruzione dell’Impero turco (ipotesi più probabile), già iniziata con la perdita della Grecia propriamente detta, la quasi-indipendenza di tutti i principati danubiani, la conquista dell’Algeria e l’ultima guerra in Oriente e in Crimea, la sua completa guarigione sarà la sua restaurazione e risurrezione operata dell’anticristo; E poiché l’impero di quest’ultimo sarà ancora più vasto e potente di quello turco, persino di quello della religione di Maometto, si dirà di lui, con ancora più verità: Et admirata est universa terra post bestiam, et adoraverunt draconem qui dedit potestatem bestiæ; et adoraverunt bestiam dicentes: Quis similis bestiæ, et quis poterit pugnare cum ea – e tutta la terra si meravigliò della bestia, e adorarono il drago che aveva dato il suo potere alla bestia, e adorarono la bestia, dicendo: Chi è come la bestia, e chi potrà combattere contro di essa? – Apoc. cap. XIII. v. 4).

VI. Il capitolo XVII dell’Apocalisse ci presenta un’altra bestia che ha anch’essa sette teste e dieci corna, ed è anche piena di nomi blasfemi (Plenam no minibus blasphemiæ, Ap. cap. XVII, v. 3). – Questa bestia è di colore scarlatto (Bestiam coccineam, ibid. v. 3), il che non autorizza a pensare che la prima bestia non sia dello stesso colore; perché non le fu dato altro colore, e la bandiera turca ha la stessa tonalità. Non è detto che abbia dieci diademi sulle dieci corna, il che non può far pensare che queste dieci corna non siano dieci re, dato che sono veramente tali (Et decem cornua quce vidistis decem reges sunt – E le dieci corna che avete visto sono dieci re – Apoc. cap. XVII. v. 12 -. Le sette teste di questa bestia, che porta la grande Babilonia, sono sette montagne sulle quali la prostituta è seduta e intronizzata; esse sono anche sette re che sostengono e difendono l’empietà (Septem capita septem montes sunt, super quos mulier sedet, et reges septem sunt – Le sette teste sono sette montagne, sulle quali la donna è seduta. Sono anche sette re. – ibid. v. 9).  – Cos’è questa bestia, quali sono le sue sette teste? Questa bestia era e ha cessato di essere; ritorna in vita dall’abisso, e non dal mare, e perisce nella sua interezza poco dopo (Bestia quam vidisti fuit et non est, et ascensura est de abysso, et in interitum vadit – La bestia che avete visto era e non è più. Deve risalire dall’abisso e andare nella morte – ibid. cap. XVII. v. 8).  – Le sette teste di questa bestia ci presentano qualcosa di analogo a ciò che si dice della bestia stessa. Cinque delle sue teste sono cadute; una sola esiste ancora, e quando arriverà la settima, che non è ancora venuta al momento in cui il Profeta si colloca, rimarrà per un breve tempo (Quinque ceciderunt, unus est, et alius nondum venit; et cùm venerit, oportet illum breve tempus manere, ibid. v. 10). Tuttavia, la bestia che era, che non è più e che ritorna in vita, è essa stessa l’ottava testa, sebbene sia del numero delle sette, e va alla morte (Et bestia quæ erat et non est , et ipsa octava est , et de septem est, et interitum vadit – ibid. v. 11 – M. de Wüilleret dice che questa bestia è il drago, … ci sembra in errore). Questi vari passaggi dell’Apocalisse sono molto enigmatici; ma nella loro oscurità forniscono alcuni dati che possono servire da filo conduttore. Se si ricorda che la bestia del capitolo XIII, con sette teste e dieci corna, è l’impero di Maometto che deve finire, e la cui distruzione è già iniziata, si sarà portati a pensare che la bestia del capitolo XVII, che è in tutto simile alla prima, sia identica ad essa; che l’impero maomettano era già distrutto al tempo del Profeta, e che deve poi tornare in vita per mezzo dell’anticristo, che lo renderà più potente che mai, e farà sì che gli abitanti della terra siano in ammirazione quando vedranno la bestia che aveva cessato di essere, così che questo passaggio del capitolo XIII. v. 3: – Et plaga mortis ejus curata est, et admirata est universa terra post bestiam, – sarebbe ripetuto e confuso con il v. 8 del capitolo XVII: (Et mirabuntur ejus curata est, et admirata est universa terra post bestiam. Et mirabuntur inhabitantes terram quorum non sunt scripta nomina in libro vitæ à constitutione mundi, videntes bestiam quæ erat et non est – E gli abitanti della terra i cui nomi non sono scritti nel libro della vita dalla creazione del mondo, saranno nell’ammirazione quando vedranno la bestia che era, e che non è). Questa ripetizione e confusione che abbiamo appena menzionato non avrebbe luogo se le Crociate fossero rappresentate dalla piaga morale menzionata nel capitolo XIII, v. 3. Le cinque teste che sono cadute (Quinque ceciderunt, cap. XVII. v. 10), la settima testa che non è ancora venuta, cosicché la bestia ha, in questo momento, solo una testa su sette, la sesta, indicherebbe che la distruzione dell’impero Maometano non sarà totale, che questo impero sarà ridotto al settimo della sua potenza, avendo solo una testa, mentre prima ne aveva sette; il che si accorda molto bene con queste teste, che sono monti e re, cioè potenze, e quindi popoli; poiché non ci sono re e potenze senza popoli; e la settima testa, che è anche l’ottava (et ipsa octava est), che è del numero dei sette, e che diventa la bestia stessa (Et bestia quæ erat et non est: et ipsa octava est, et de septem est, v. 8 – e la bestia che era e non è: ed è l’ottava, ed è di sette), avendo sette corna e dieci teste, sarebbe l’anticristo che si leva dall’imo profondo, perché egli sale dall’abisso, si assoggetta un popolo, ne fa una potenza, diviene il dominatore ed il capo dei Turchi, non appartenendo però a questa nazione (… è probabilmente perché l’anticristo non sarà un maomettano per nascita o per nazione, egli è un’ottava testa che si aggiunge alle teste naturali. È perché egli si identifica con i maomettani facendo risorgere il loro impero, che diventa la settima testa della bestia, o dell’impero maomettano, e la stessa bestia), ristabilisce il loro impero, lo fa elevare con la forza del dragone ad una grandezza fino ad allora inaudita, e che i Romani non hanno mai raggiunto, mette a morte Enoch ed Elia che vengono uccisi, non dalla bestia che sale dal mare né dalla bestia che sale dalla terra, ma dalla bestia che sale dagli abissi, che è quella del cap. XVII (Et cùm finierint testimonium suum, bestia quæ ascendit de abysso faciet adversùs eum bellum, et vincet illos, et occidet eos – E quando avranno finito la loro testimonianza, la bestia che sale dall’abisso farà loro guerra, li vincerà e li metterà a morte. – Apoc . cap. XI. v. 7).

VII. Per quanto riguarda le sette teste dell’Anticristo, divenute la bestia, esse ci sembrano rappresentare i sette poteri che obbediranno direttamente al suo potere temporale. Il profeta Ezechiele ce ne dà una lista, dicendoci che una di queste nazioni è una testa, e con questo egli conferma molte delle nostre più importanti considerazioni. “Figlio dell’Uomo – dice a questo Profeta – volgi la tua faccia contro Gog (Gog è l’Anticristo, come abbiamo visto in §. 6 dell’Introduzione), la terra di Magog, il principe della testa di Mosoch e Thubal, e gli dirai: Questo è ciò che dice il Signore, etc., Ti volterò da tutte le parti, ti metterò una briglia nelle fauci, ti farò uscire dal tuo paese, tu e tutto il tuo esercito, etc.; i Persiani, gli Etiopi e i Libici saranno con loro, tutti coperti da scudi ed elmi in testa. Gomer e tutte le sue truppe, la casa di Thogorma, che abita in Aquilone, e tutte le sue forze, e molti altri popoli saranno con voi (Fili hominis pone faciem tuam contra Gog, terram Magog, principem capitis Mosoch et Thubal, et vaticinare de eo. Et dices ad eum: Hæc dicit Dominus Deus: Ecce ego ad te, Gog, principem capilis Mosoch et Thubal. Et circumagam te, et po nam frænum in maxillis tuis, et educam te, et omnem exercitum tuum, ecc. ecc. Persæ, Æthiopes et Libyes cum eis omnes sculati et galeati. Gomer et universa agmina ejus, domus Thogorma, latera aquilonis, et totum robur ejus, populique multi tecum. (Ezech. cap. XXXVIII, v. 2, 3, 4, 5, 6). – Se leggiamo attentamente questo notevole passaggio, troveremo le sette montagne o potenze, o i sette re che formano le sette teste dell’Anticristo. La prima testa è Magog, che rappresenta i Tartari e i Turchi, discendenti di Magog, figlio di Japhet; la seconda è la Russia, composta da Moscovia, derivata da Mosoch, figlio dello stesso Japhet, e la Circassia, abitata dai discendenti di Thubal, un altro figlio di Japhet; e la riunione di questi due paesi sotto una sola testa indica che diventeranno un solo popolo, cosa che è già stata realizzata dalle recenti conquiste dei Russi. La terza testa è il regno di Persia; la quarta è l’Etiopia, che comprende l’Egitto, la Nubia, l’Abissinia e la maggior parte dell’Africa; la quinta è la Libia, che contiene tutto il resto della parte settentrionale dell’Africa. La sesta testa è Gomer, i cui discendenti popolarono la Turchia dell’Europa, e la settima è la casa di Thogorma, che abitò l’Asia Minore, e specialmente la Frigia, e si diffuse in altri paesi.

VIII. Le dieci corna della bestia nel capitolo XVII non portano originariamente diademi. Non si deve concludere da questo che non siano re; si può pensare, più giustamente, che non siano inizialmente dei re che regnarono al tempo del figlio di perdizione, e che rappresentino solo dei capi militari simili ai luogotenenti di Alessandro; ma, siccome li si vede chiamare in seguito re (Decem cornua que vidisti decem reges sunt, cap. XVII, v. 12), poiché lo stesso versetto dice che non hanno ancora regnato, ma che il potere sarà dato loro, come ai re, per un’ora dopo la bestia, cioè dopo la caduta dell’uomo del male, siamo giustificati nel pensare che dopo la morte dell’anticristo, loro maestro, si impadroniranno del suo imopero, lo divideranno, regneranno per un’ora, cioè per pochissimo tempo (Questo tempo potrebbe essere di quindici giorni o di trenta giorni, a seconda che consideriamo il giorno di ventiquattro ore, o di dodici ore durante le quali, in tempo medio, il sole è all’orizzonte. Se un giorno è un anno, nel senso biblico, mezz’ora ne è la 24° parte o la 12° di un anno.), combatteranno contro l’Agnello, saranno vinti da lui; e quando saranno diventati obbedienti al Dio che vince, aborriranno la prostituta, cioè la legge empia e satanica del figlio della perdizione, e desoleranno i suoi seguaci e la grande città che essi abitano, Et decem cornua quæ vidisti decem reges sunt qui regnum nondùm acceperunt, sed potestatem tanquàm reges una horâ accipient post bestiam. Hiunum consilium habent, et virtutem et potestatem suam bestice tradent; Deus enim dedit in corde eorum ut faciant quod placi tum est illi: ut dent regnum suum bestiæ, donec con summentur verba Dei. Hi cum Agno pugnabunt, et Agnus vincet illos, quoniam Dominus dominorum est, et Rex regum, et qui cum illo sunt vocati, electi et fideles, et decem cornua quæ vidisti in bestia: hi odient fornicariam, et desolatam facient illam et nudam, et car nes ejus manducabunt, et ipsam igni concremabunt – Le dieci corna che avete visto sono dieci re che non hanno ancora regnato, ma che riceveranno il potere, come re, per un’ora dopo la bestia. Essi hanno una sola intenzione, daranno la loro forza e il loro potere alla bestia; perché Dio ha messo nei loro cuori di fare ciò che gli piace, e di dare il regno alla bestia finché le parole di Dio non si siano adempiute. Combatteranno contro l’Agnello, ma l’Agnello li sconfigge, perché Egli è il Signore dei signori, il Re dei re, e coloro che sono con Lui sono chiamati gli eletti, i fedeli. Le dieci corna che avete visto sulla testa della bestia odieranno la prostituta, la desoleranno, la spoglieranno, mangeranno la sua carne e la bruceranno nel fuoco), Apoc . cap. XVII, v. 12, 13, 17, 14, 16).

IX. Abbiamo parlato molto dell’anticristo; è opportuno sapere qualcosa della sua persona. L’anticristo sarà certamente un uomo pieno di talento, di genio e di scienza. Sembra che egli sia tra coloro che sono invitati al banchetto di nozze dell’Agnello, e che sia colui che viene espulso, perché non ha un abito nuziale (Intravit autem Rex ut videret discumbentes, et vidit ibi hominem non vestitum veste nuptiali; et ait illi: Amice, quomodò huc intrasti non habens vestem nuptialem ? At ille obmutuit. Tunc dixit Rex ministris : Ligatis pedibus ejus mittite eum in tenebras exteriores (Il re entrò per vedere quelli che partecipavano al banchetto, e vide un uomo che non era vestito con l’abito nuziale, e gli disse: Amico, come sei entrato qui senza l’abito nuziale? Egli rimase in silenzio. Allora il re disse ai suoi ministri: “Legategli i piedi e gettatelo nelle tenebre esteriori” (Matth. XXII, v. 11, 12, 13). – Se è così, l’anticristo sarà battezzato e professerà prima il Cattolicesimo, nel quale sarà nato, poiché è privato solo della veste nuziale dell’innocenza o della penitenza. Perché la prevaricazione dell’anticristo sia la più grande che si sia mai vista, perché sia l’uomo del peccato, il figlio della perdizione (homo peccati, filius perditionis, II. Thessal., cap. II, v. 3), egli deve essere cattolico e apostata, deve aver ricevuto tutte le grazie che Dio concede agli altri uomini, anche quelle straordinarie, e deve abusarne di tutte e farne uso contro Colui che gliele ha date. Da chi nascerà, quale sarà la sua patria? Ci sono molte opinioni divergenti su questi vari punti. Alcuni lo fanno nascere da una donna per opera di satana, così come Nostro Signore Gesù Cristo è nato dalla Vergine Maria per opera dello Spirito Santo. – Noi non possiamo accettare questa come un’ipotesi ragionevole, perché c’è una differenza infinita tra lo Spirito Santo e il demonio, e quest’ultimo non ha potere creativo. Altri gli danno per madre una donna maomettana, perché deve resuscitare l’impero dell’Islamismo, e per padre un giudeo della tribù di Dan. Hanno tre ragioni per questo: il primo, che è quello di ripristinare il dominio dei Turchi, una cosa che può essere fatta da un Cristiano, politico o rinnegato; la seconda, che questa tribù d’Israele (quella di Dan) non è denominata, nel capitolo VIII dell’Apocalisse, come quella che fornisce gli eletti segnati dal segno dell’Agnello, e che Giacobbe disse di Dan, che sarebbe stato come un colubro nella via, come una vipera nella via, che morde il piede del cavallo, così che chi lo cavalca cade all’indietro (Fiat Dan coluber in via, cerastesin semita, mordens ungulos equi ut cadat ascen sm ejus retro, Genes. , cap. XLIX, v. 17). Queste ragioni non sono molto solide, perché l’omissione di questa tribù può venire dalla sua totale estinzione, e perché le parole di Giacobbe furono così ben verificate e compiute in Sansone, membro di questa tribù di Dan, che divenne giudice d’Israele (Dan judicabit populum suum, sicut et alias tribus in Israel, Gen, cap. XLIX, v 16), ed era per i Filistei un vero serpente, una vera cerasta, così che si possa pensare, con il R. P. Carrière e il commentatore Menochius, che il santo Patriarca avesse in vista solo Sansone negli annunci profetici che fece in punto di morte. Il terzo, perché i Giudei devono seguirlo e riconoscerlo come il Messia, secondo le parole di Nostro Signore Gesù Cristo: Ego veni in nomine Patris mei et non accepistis me, si alius venerit in nomine suo, illum accipietis – Io sono venuto nel nome del Padre mio, e voi non mi ricevete. Se un altro viene nel suo nome, lo riceverete – , Ev. S. Giovanni, cap. V, v. 43), e che non avrebbero riconosciuto come tale un uomo che non fosse della loro nazione. Questa terza ragione non è più plausibile delle altre; perché, da un lato, è impossibile sapere di cosa siano capaci uomini come loro, così bendati; e, dall’altro, coloro che lo partoriranno potrebbero essere Cristiani battezzati, ma di razza giudaica e maomettana (Ci sono molti Cristiani discendenti da Giudei, che sono Cattolici di nome, e ancora Giudei di cuore [i c.d. marrani]. Potremmo citare alcuni fatti molto deplorevoli.). Altri pensano che nascerà in Francia, campo di battaglia del bene e del male, di Dio e del demonio, e che sarà il frutto del libertinaggio di persone non sposate tra loro. Altri, infine, vedono l’abominio della desolazione nella sua concezione e nascita, e gli danno per padre e madre Cattolici consacrati a Dio. – Noi non possiamo decidere tra queste diverse opinioni. Ma se consideriamo, da un lato, che questo malvagio, questo miserabile deve essere l’abominio della desolazione nel luogo santo (Cùm videritis abominationem desolationis stantem in loco sancto – Quando vedrete l’abominio della desolazione nel luogo santo -, Ev. Math. cap. XXIV, v. 15), propenderemmo fortemente per quest’ultima ipotesi; e se invece consideriamo che la rivoluzione francese, iniziata alla fine del XVII secolo, è una figura abbreviata della grande tribolazione che l’anticristo produrrà, che ha distrutto gli altari, proscritto la religione cattolica, massacrato i Vescovi e i preti, e abolito il Sacrificio perpetuo (juge sacrificium, Dan. cap. XII, v. 11); e se riflettiamo che è dalla Francia che procedono il bene e il male; che se i disegni di Dio sono eseguiti dai francesi (gesta Dei per Francos), quelli del diavolo si realizzano per mezzo dello stesso popolo; come abbiamo visto finora, saremo portati a dire che l’anticristo sarà francese, e che la nazione che è stata l’anticristo-popolo, darà vita all’anticristo-individuo. Sulla base di tutto ciò che abbiamo detto sul drago e sulle bestie, non ci resta che parlare della seconda bestia del capitolo XIII dell’Apocalisse e della grande Babilonia.

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[Ecco alcune parole della suor della Natività relative all’anticristo. (*)

T. II, p. 10. « Sappi, figlia mia, che verso la fine degli ultimi secoli, sorgerà una falsa religione contraria all’unità di Dio e della Sua Chiesa (da questo possiamo concludere che il filosofismo e il razionalismo si estingueranno presto) ».

Ibidem, p. 11: « I suoi seguaci, per avere successo, dapprima affetteranno un grande rispetto per il Vangelo e per la Cattolicità; appariranno libri di spiritualità che saranno scritti da loro con un calore di devozione, e porteranno le anime ad un punto di perfezione che sembrerà elevarle al terzo cielo … Avranno altari e templi… contraffaranno i sacramenti… La loro ipocrisia farà loro inventare austerità sorprendenti…; ma tutto questo sarà solo un’apparenza… Essendo la loro religione fondata solo sui piaceri dei sensi … per meglio contraffare le sante istituzioni della Chiesa, stabiliranno delle pretese religiose che si dedicheranno alla continenza con le parole, e si nomineranno per eccellenza le Spose dei Cantici, o le Spose dello Spirito Santo (Tutte queste cose assomigliano notevolmente alla setta di Vintras chiamata l’Opera della Misericordia, che ha sedotto tanti sacerdoti, anche quelli costituiti con dignità, uomini e donne religiosi, e persone di pietà. Queste “Spose” dello Spirito Santo respirano Vintras attraverso tutti i puri. È inoltre certo che in diverse diocesi sono stati istituiti conventi di donne, con nomi molto rispettabili, dove sono avvenuti fatti straordinari e sospetti. I Vescovi hanno chiuso questi conventi e disperso i loro membri. Conosciamo i fatti e le persone). Pretese rivelazioni, predizioni del futuro, estasi, rapimenti nel corpo e nell’anima accadono loro frequentemente.

Ib., p. 15: « Questi pretesi santi, illuminati e “rapiti” in Dio … si riuniranno di notte con le cosiddette Spose dei Cantici, in luoghi segreti favorevoli ai loro perversi disegni… Che orrori percepisco!

« Una di queste vestali… darà alla luce l’anticristo… che avrà probabilmente come padre uno dei principali capi di queste assemblee notturne (dei sacerdoti malvagi potrebbero essere nel numero dei suoi capi).

T. I. p. 318: « Per quanto riguarda la sua persona, Gesù Cristo mi mostrò che lo aveva posto tra gli uomini redenti dal suo sangue, e che gli avrebbe concesso, fin dalla sua infanzia, tutte le grazie necessarie e anche quelle prevenienti e straordinarie nell’ordine della salvezza. »

Ibidem. P. 319 « In un’età più avanzata non gli rifiuterà le grazie forti di conversione, di cui abuserà come delle prime.

 T. 4. P. 440: « Lo istruirò (dice satana) e lo prenderò sotto la mia guida fin dalla sua infanzia; non avrà che dieci anni quando sarà  più potente e più dotto di tutti voi. Dall’età di dieci anni, lo condurrò in aria, gli farò vedere tutti i regni e gli imperi della terra. Lo renderò padrone del mondo. Sarà un perfetto sapiente dell’arte della guerra… Infine farò di lui un dio che sarà adorato come il Messia atteso. Egli non agirà in tutta la sua potenza e non farà brillare le sue vittorie e i suoi trionfi prima dei trent’anni (Se l’anticristo inizia la sua vita pubblica a trent’anni, non significa che perseguiterà subito la Chiesa; gli ci vorrà del tempo per stabilire il suo potere); ma prima di questo tempo farà valere i suoi talenti in segreto (Noi pensiamo che l’anticristo sarà francese; la Suora non lo dice espressamente, ma lo dà ad intendere; perché il suo libro è specialmente per la Francia, che lei considera a buon diritto, come il laboratorio del mondo per il bene come per il male. – Ella dice a sufficienza che sarà cattolico; e per iscritto, nel vol. I, ella afferma a sufficienza che egli sarà cattolico; e scrivendo, nel vol. 1, p. 250, che i nemici hanno forzato le barriere e “sono entrati anche nella cittadella dove hanno posto l’assedio”, rende plausibile l’opinione che l’anticristo nasca da Cattolici consacrati a Dio).

Ibid. p. 447:  « Non posso segnare qui tutto ciò che sarà detto di più lusinghiero e di più compiuto sulla sua persona, la sua bellezza, le sue ricchezze. Sarà circondato da uno splendore divino più luminoso del sole, e sarà accompagnato da una corte celeste di angeli che lo seguiranno. Intere regioni di angeli gli renderanno omaggio come al loro re, e lo adoreranno come il vero Dio Onnipotente e il tanto desiderato Messia… Questi saranno i demoni che, sotto le spoglie degli angeli di luce, profetizzeranno la venuta di “quest’uomo di iniquità”. » *)

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 X. Dal momento che si riconosce che la prima bestia del capitolo XIII di San Giovanni è l’impero maomettano; che quella del capitolo XVII è l’Anticristo che rinnova il potere di Maometto e lo accresce; che, di conseguenza, queste due bestie sono una sola, tranne che per la questione del tempo, è certo che la seconda bestia dello stesso capitolo XIII, che ha solo una testa e due corna, non può essere il figlio della perdizione. – D’altra parte, si sarà notato che le sette teste dell’anticristo, i sette popoli che fanno la sua forza, non avanzano più in là, verso l’Occidente, della Turchia d’Europa. Da questo si potrebbe dedurre che l’uomo del male regnerà solo in Oriente, e che la parte occidentale dell’Europa non lo conoscerà e non avrà nulla da soffrire da lui. – Ma non sarà così: l’impero cristiano o romano, l’impero occidentale, potrà lottare più a lungo contro l’inferno, perché è più stabilito nella verità. Essa non permetterà all’anticristo di sorgere in mezzo ad essi; questi andrà in Oriente per stabilire la sua fatale fortuna; ma l’Occidente avrà in mezzo a sé una bestia molto malvagia che stabilirà ed estenderà il potere e il culto dell’uomo del peccato; ed è di quest’altra bestia che si parla nel capitolo XIII di San Giovanni, vv. 11-17. – Questa bestia, non essendo l’anticristo, sarà uno dei suoi luogotenenti, un vero pseudoprofeta che parla e agisce in nome e per conto di un altro. È di essa che parla il capitolo XVI, v. 13, quando dice: (Et vidi de ore draconis, et de ore bestiæ, et de ore pseudoprophetæ spiritus tres immundos in modum ranarum – E vidi dalla bocca del drago, da quella della bestia e da quella del falso profeta tre spiriti immondi come rane); e il capitolo XX, v. 9, 10, quando San Giovanni annuncia la caduta del drago e della bestia nei seguenti termini: Et Diabolus qui seducebat eos, missus est in stagnum ignis et sulphuris, ubi et bestia et pseudoprophetæ (perché se ce n’è uno che è il principale, ci saranno molti che saranno subordinati): cruciubuntur die ac nocte in sæcula sæculorum (E il diavolo che li aveva ingannati fu gettato nel lago di fuoco e di zolfo, dove la bestia e i falsi profeti saranno tormentati giorno e notte nei secoli dei secoli). – Stabilita l’identità tra questo grande falso profeta e la seconda bestia del capitolo XIII, vediamo cos’è questa bestia e cosa fa. Questa nuova bestia non sale dal mare, come Maometto che sale dalle rive del Mar Rosso, dal mare dove sono tutti i tipi di rettili; non viene dall’abisso, dove sono i malvagi, i demoni e le genti di bassa condizione; viene dalla terra, dal mezzo dei Cristiani, da una famiglia considerevole. Essa è nella schiera dei dottori, dei conduttori spirituali, sebbene sia un falso profeta; ha una sola testa e due corna, proprio come l’Agnello a cui assomiglia, e sembra, per queste ragioni, essere un sacerdote, un Vescovo, un principe della Chiesa, forse anche un antipapa, come pensa Holzhauser (vol. II, p. 60. etc., Wüilleret). Assomigliando all’Agnello in tanti modi, dovrebbe parlare come lui; ma parla come il drago, come satana; perché, per ambizione, ha rinnegato la sua fede, e si è dato al male e all’inferno (Et vidi aliam bestiam ascendentem de terra, et habebat cornua duo similia Agni, et loquebatur sicut draco – E vidi un’altra bestia che saliva dalla terra, che aveva due corna come quelle dell’Agnello, e parlava come il drago – Apoc. cap. XIII, v. 11). – Questo grande apostata riceverà da satana il potere della prima bestia, l’anticristo, che verrà nello stesso momento; egli userà tutto questo potere in Occidente, in presenza del figlio della perdizione, cioè durante la vita di quest’ultimo, e lo farà adorare quando avrà risuscitato e rafforzato l’antico impero di Maometto (Et potestatem prioris bestiæ omnem faciebat in conspectu ejus, et fecit terram et habitantes in ea adorare bestiam primam cujus curata est plaga mortis – E usò tutta la potenza della prima bestia in sua presenza, e fece adorare a tutta la terra e ai suoi abitanti la prima bestia la cui ferita mortale era stata guarita. (Sic Holzhauser, tom. II, p. 60, 61, ecc, Wüilleret -, ibid. v. 12). Egli compirà grandi prodigi, fino a far scendere il fuoco dal cielo davanti agli uomini (Et fecit signa magna, ut etiam ignem faceret de cœlo descendere in conspectu hominumœ, ibid. v. 13). Egli sedurrà gli abitanti della terra a causa dei prodigi che gli sarà dato di fare in presenza della bestia (Et seduxit habitantes in terrâ propter signa quæ data sunt illi facere in conspectu bestiæ, ibid. v. 14). – A causa della lontananza e della dimora in Oriente dell’uomo del male, che non potrà, per questo motivo, farsi adorare di persona in Occidente, si farà un ritratto di questo mostro (Dicens habitantibus in terrâ ut faciant imaginem bestiæ quo habet plagam gladii, et vixit , ibid. v. 14). Egli spingerà il suo prestigio fino ad animare questo ritratto, facendolo parlare (cosa che i demoni potranno produrre facilmente), e ordinerà a tutti di adorarlo sotto pena di perdere la vita (Et datum est illi ut daret spiritum imagini bestiæ, et ut loqueretur imago bestiæ, et faciat ut quicumque non adoraverint imaginem bestiæ occiduntur, ibid. v. 15). Andando oltre, l’anticristo stesso, a causa della grande resistenza che incontrerà, esigerà che i piccoli e i grandi, i ricchi e i poveri, gli uomini liberi e gli schiavi abbiano il segno della bestia nella mano destra o sulla fronte, proprio come era necessario avere la coccarda tricolore, e un certificato di civismo per poter uscire, e per avere il diritto di esistere sotto la prima repubblica francese (Et faciet omnes pusillos et magnos, et divites et pauperes, et liberos et servos habere characterem bestiæ in dextera manu, aut in frontibus suis, ibid. v. 16); e proibirà persino di vendere e comprare, cioè di compiere gli atti più necessari della vita materiale, a coloro che non hanno il segno della bestia, o il suo nome, o il numero del suo nome, così che sarà necessario apostatare o morire di fame, proprio come si è visto in Francia (Et ne quis possit emere aut vendere, nisi qui habet characterem, aut nomen bestiæ, aut numerum nominis ejus, ibid. v. 17). – Queste sono le atrocità a cui si abbandonerà questa seconda bestia, che è il principale pseudoprofeta del figlio della perdizione, e la terza persona di questa trinità veramente infernale; egli sarà subalterno, e non agirà per se stesso; inoltre non è il suo proprio nome che farà portare agli abitanti della terra; non è il suo numero personale di cui si parla nello stesso capitolo XIII, v. 18, quando si dice: “Hic sapientia est; qui ha a bet intellectum computet numerum bestiæ; numerus enim hominis est, et numerus ejus sexcentisexaginta sex – Ecco la sapienza. Chi ha intelletto conti il numero della bestia, perché questo numero è il numero dell’uomo, e questo numero è seicentosessantasei).

XI. Questi versetti 17 e 18 hanno bisogno di qualche spiegazione sui numeri a cui si riferiscono. Nel primo, si parla del numero del nome dell’Anticristo (aut numerum nominis ejus); e nel secondo, è il numero della bestia stessa (numerum bestiæ), e non il numero del suo nome. San Giovanni aggiunge che questo numero della bestia è il numero dell’uomo (numerus enim hominis est). Il significato di questi vari passaggi non è identico, come molti hanno creduto, perché non sono formati dagli stessi termini; e, d’altra parte, i Profeti non fanno ripetizioni inutili, soprattutto se sono ravvicinate tra loro. Prendendo le parole nel loro senso naturale, diremo che il numero del nome della bestia è quello che sarà fornito dalle lettere che comporranno il suo nome, come è in latino e greco, dove le lettere dell’alfabeto sono anche i numeri (Essendo l’Apocalisse stata composta e scritta in greco, il nome dell’anticristo sarà probabilmente fornito dal valore in numero delle lettere greche a cui si riferisce la quantità 666, saremo portati a sapere cosa significa questa quantità.); e che il numero personale della bestia, il numero dell’uomo, misura il tempo della sua vita sulla terra; ora, per quanto riguarda quest’ultimo numero, il numero 666 non si applica né ai giorni né alle settimane; perché nel primo caso, l’anticristo, vivendo solo 666 giorni, meno di due anni, non potrebbe compiere la sua missione satanica; e nel secondo caso, non potrebbe nemmeno farlo, perché vivrebbe solo 13 anni o giù di lì. Questo numero non si applica agli anni, perché l’uomo del male vivrebbe 666 anni, e dal diluvio la vita umana non arriva che al sesto di questo numero; quindi si applica ai mesi: l’Anticristo deve vivere 666 mesi che forniscono un periodo di cinquantacinque anni e mezzo. Un’altra ragione per pensarlo è che nello stesso capitolo XIII, sono citati solo i mesi per la prima bestia (Et data est ei potestas facere menses quadraginta duos – E gli fu dato il potere di agire per quarantadue mesi); e non si vede perché, mentre nel v. 5 si tratta solo di mesi, il numero del v. 18 si applicherebbe a qualcos’altro. Perciò è probabile che l’anticristo vivrà cinquantacinque anni e mezzo (Holzhauser è della stessa opinione – t. II, p . 73 a 77 Wüilleret), ma non motiva la sua opinione e non distingue i due numeri di cui abbiamo parlato.

XII. Passiamo ora alla grande Babilonia. La grande meretrice, la grande Babilonia che siede su molte acque (Veni et vide; ostendam tibi damnationem meretricis magnæ quæ sedet super aquas multas – Vieni, ti mostrerò la condanna della grande meretrice che siede su molte acque; Apoc. cap. XVII, v. 1. – Le acque che avete visto su cui siede la prostituta sono i popoli, le nazioni e le lingue.) ibid. v. 15), è principalmente la legge anticristiana del figlio della perdizione e dei suoi precursori e predecessori, con la quale i re della terra hanno fornicato, dalla quale gli uomini si sono ubriacati (Cum quà fornicati sunt reges terra, et inebriati sunt qui inhabitunt terram de vino prosti tutionis ejus – Con la quale i re della terra hanno fornicato, e gli abitanti della terra si sono ubriacati col vino della prostituzione – v. 2). È anche quel grande popolo del mare che, attualmente nelle Indie, riceve una punizione così terribile e giusta, la grande città che regna sui re della terra, la capitale dell’anticristo che sosterrà il suo partito, anche dopo la sua caduta, e che sarà spogliata, messa a ferro e fuoco (Et mulier quam vidisti est civitas magna quæ habet regnum super reges terræ, cap. 17, v. 18). Hi odient fornicariam, et desolatam facient illam, et nudam, et carnes ejus man ducabunt, et ipsam igni concremabunt – E la donna che avete visto e la grande città che regna sui re della terra . – Questi odieranno la prostituta – ibid. v. 16). – La grande meretrice, che rappresenta l’empietà, la legge anticristiana, è esistita dall’instaurazione del Cattolicesimo ed esisterà fino alla fine. È una conseguenza forzata di queste parole di San Giovanni nella sua prima Epistola, capitolo II, v. 18: Filioli, novissima hora est, et sicut audistis quia Antichristus venit, et nunc Antichristi multi facti sunt; unde discimus quia no vissima hora est; e di questo passo del capitolo IV, v. 3, ibid. Et omnis spiritus qui solvit Jesum ex Deo non est; et hic est Antichristus de quo audistis quoniam venit, et nunc jam in mundo est.). Così, dal punto di vista materiale, la grande Babilonia sarebbe stata prima Gerusalemme, deicida, poi Roma pagana e persecutrice; essa sarebbe diventata poi la Costantinopoli cattolica, scismatica e infine maomettana; sarebbe stata la chiesa anglicana, coperta d’oro e di ricchezze, che soffia ovunque anticattolicesimo; il governo della Gran Bretagna che, credendosi al sicuro nella sua isola, tiene lo scettro dei venti rivoluzionari e anticristiani, e li scatena sul continente per aumentare, con l’abolizione della concorrenza, la produzione delle manifatture inglesi, e i profitti dei mercanti di questa nazione, secondo l’espressione di Canning nel 1826 (Celsa sedetrex Æolus arcesceptra tenens), della Gran Bretagna i cui popoli la desoleranno, la spoglieranno, mangeranno la sua carne e la bruceranno nel fuoco. (M. de Wüilleret pensa che la prostituta sia Gerusalemme, che è diventata la capitale dell’Anticristo – t . 2. p . 233, Wüilleret). Nell’Indostan, attualmente mangiano la carne e bruciano i bambini. Potrebbe ancora essere Parigi, e potrebbe diventarlo in futuro qualsiasi altra città empia che, come la nostra capitale, delizierebbe la terra e la corromperebbe. Dal punto di vista intellettuale e morale, la grande prostituta sarebbe stata il Giudaismo, dopo la morte di Gesù Cristo, il Paganesimo persecutore così fertile per crimini e disordini, le eresie sorte, in particolare, nella terza età, lo scisma greco che ebbe luogo nella quarta età, l’infedeltà maomettana, la riforma protestante, il filosofismo, il razionalismo, il naturalismo, la rivoluzione e il socialismo. L’anticristo sarebbe stato il popolo Giudo rifiutato da Dio, gli imperatori romani, i governanti eretici del basso impero, i monarchi scismatici, i califfi, i Sudan, i sultani, i re protestanti, i filosofi, sarebbero ora i razionalisti e i rivoluzionari del nostro secolo,a qualsiasi colore o sfumatura essi appartengano, e tutti questi anticristi di bassa lega, sarebbero esitato nel grande anticristo, a colui che eserciterà la grande tentazione nel mondo.  Così, il capitolo XVII dell’Apocalisse, che sembra fatto solo per gli ultimi tempi, come il capitolo XVIII, si applica a tutta la durata del Cristianesimo, e di conseguenza al nostro tempo.

XIII. Per completare questo argomento e non doverci ritornare, dobbiamo ancora segnare la durata della prima bestia del capitolo XIII di San Giovanni, cioè dell’impero maomettano, e della bestia del capitolo XVII, che è la bestia precedente tornata in vita; lo faremo, utilizzando per questo le profezie di Daniele combinate con l’Apocalisse di San Giovanni. Una figura meravigliosa vestita di lino appare a Daniele vicino al fiume Tigri (Eram juxta fluvium magnum qui est Tigris, etc.; et vidi: Et ecce virunus ves titus lineis, et renes ejus accincti auro obrizo – Ero vicino al grande fiume Tigri, e guardai e vidi un uomo vestito di lino e con i lombi cinti di oro purissimo. – Dan. cap. X, v. 4, 5); e gli disse: “Verrà un tempo come non si è mai visto da quando i popoli sono stati stabiliti fino ad allora. Questo è il tempo in cui Israele sarà salvato (Et veniet tempus, quale non fuit ex quo gentes cæperunt usque ad tempus illud, et in tempore illo salvabitur populus tuus omnis qui inventus fuerit scriptus in libro – Verrà un tempo come non è mai esistito da quando le nazioni furono stabilite. In quel tempo sarà salvato ogni membro del tuo popolo che si trova scritto nel libro – Dan. cap. XII, v. 1); poi gli mostra due uomini che stavano in piedi sulle rive del fiume, uno su una riva, l’altro sull’altra (Et vidi ego Daniel; et ecce quasi duo aliæ stabant, unus hinc super ripam fluminis, et alius inde ex alterâ ripâ fluminis – Io, Daniele, guardai ancora, e vidi come se fossero altri due uomini che stavano in piedi, uno su una riva del fiume, l’altro sull’altra riva.- Dan. cap. XII, v. 5). – Il Profeta chiede all’Angelo in quale momento la visione che gli mostra sarà finita e completata (Usque quò finis horum mirabilium? Dan. cap. XII, v. 6), e l’inviato celeste risponde che avverrà alla fine di un tempo, di due tempi e della metà di un tempo, quando il tempo della dispersione del popolo d’Israele sarà finito (Quiu in tempus, et tempora et dimidium temporis, et cum completa fuerit dispersio manu populi sancti, complebuntur universa hæc – Tutte queste cose saranno compiute in un tempo, due tempi e la metà di un tempo mezzo, e quando la dispersione del tuo popolo santo sarà completata. – Dan, cap. XII, v. 7). Ora, poiché la dispersione dei Giudei finirà prima dei giorni dell’anticristo, si presume che uno di questi due uomini, l’ultimo dei due nell’ordine cronologico, sia il figlio della perdizione stesso, e che di conseguenza il primo sia Maometto, e che ci siano tra questi due uomini le stesse relazioni che esistono tra la prima e la grande bestia del capitolo XIII di San Giovanni, e quella del capitolo XVII. Anche Daniele quasi li identifica quando dice di aver visto, non due uomini ben distinti, ma “come due uomini” (quasi duo alii). Il tempo di cui si è parlato passa; Daniele chiede di nuovo all’Angelo che cosa arriverà dopo (Et ego audivi, et non intellexi, et dixi: Domine mi, quid erit post hæc – Ho sentito, e non ho capito, e gli ho detto: Mio Signore, che cosa arriverà dopo? – Dan. cap. XII, v. 8). E gli annuncia che molti saranno scelti, resi bianchi e come il fuoco, purificati e messi alla prova; che gli empi sprofonderanno ancora di più nella loro empietà, e avranno perso ogni intelligenza (Eligentur et dealbabuntur, et quasi ignis probabuntur multi; et impie agent impii, nequc intelligent, Dan. XII, v. 10); che il Sacrificio perpetuo sarà abolito, e che l’abominio, che aveva messo la desolazione ovunque, sarà allora esso stesso desolato (Et à tempore cum ablatum fuerit juge sacrificium, et posita fuerit abominatio in desolationem, dies mille ducenti nonaginta – Passeranno 1290 giorni dal momento in cui il sacrificio perpetuo sarà stato abolito, e l’abominio sarà stato messo in desolazione). E gli dichiara che il significato di queste parole sarà frainteso fino al tempo segnato dalla saggezza divina (Et ait: Vade, Daniel, quia clausi sunt signatique sermones, usque ad præfinitum tempus – E dice: Vai, Daniele, perché queste parole sono chiuse e sigillate fino al tempo segnato. – Dan. cap . XII, v. 9).

XIV. Tutte queste cose menzionate nei v. 8, 9, 10 e 11 del capitolo XII di Daniele, rappresentano molto bene il regno dell’anticristo che farà tanti apostati, e perseguiterà così crudelmente i veri Cristiani. Si può e si deve concludere che i tempi menzionati sopra (tempus, tempora e dimidium temporis) sono fino al giorno in cui l’anticristo si costituirà come tale, e inizierà la sua guerra contro il Signore e contro il suo Cristo, e non fino alla sua morte, e che questi tempi sono il numero esatto di anni che passeranno da Maometto all’inizio della persecuzione dell’anticristo, e appaiono come la misura della larghezza del fiume che separa i due uomini che l’Angelo mostrava a Daniele. – Si può pensare che riconosciamo Maometto e l’anticristo arbitrariamente nei due uomini che Daniele vede sulle due rive del fiume, ma non è così. Abbiamo serie ragioni per farlo; esse derivano dal testo stesso e dalla sua relazione con i passaggi dell’Apocalisse che si riferiscono a questi due personaggi. È certo che nel capitolo XII Daniele si occupa dell’anticristo, poiché parla nel v. 11 dell’abominazione della desolazione negli stessi termini di N.S. J.-C. in San Matteo. Da ciò possiamo e dobbiamo concludere che questo tempo, quando gli empi diventeranno ancora più malvagi, quando i giusti dovranno soffrire così tanto (v. 10), questo tempo, come non è mai esistito prima (v. 1), è davvero quello dell’anticristo. E ciò che rende più probabile questa conclusione è che nello stesso capitolo si parla della resurrezione dei morti, dell’eternità beata per gli eletti e miserabile per i reprobi (v. 2, 5), che sarà l’esecuzione dell’ultimo giudizio; e da ciò nasce la conseguenza che uno di questi due uomini che sono in questa visione sia certamente l’anticristo – In questo stato, quale può essere l’altro personaggio, diverso dal figlio della perdizione, ma che si confonde quasi con lui (quasi duo ali, v. – In questo stato, l’altro personaggio, diverso dal figlio della perdizione, ma che è quasi identico a lui (quasi duo ali, v. 5), è Maometto, il cui impero l’anticristo farà risorgere e accrescere; Maometto che è il suo tipo, la sua immagine, il suo principale precursore; non è forse Maometto, che San Giovanni rappresenta sotto forma di una bestia a sette teste, con dieci corna e dieci diademi sui suoi dieci corni, proprio come ha fatto per l’uomo del male egli stesso? E se questo è così, cosa può significare il tempo menzionato nel v. 7, se non l’intervallo tra Maometto e l’inizio della persecuzione del suo restauratore? Detto questo, torniamo allo sviluppo del testo sacro. Tutti gli interpreti concordano che queste parole: Tempus, tempora et dimidium temporis, usate da Daniele (cap. VII, v. 25, cap. XII, v. 7) e da San Giovanni (cap. XII, v. 14), prevedono tre anni e mezzo, perché un tempo è un anno, due tempi sono due anni, e mezzo tempo sono sei mesi. Ora, poiché tre anni e mezzo sono composti da un certo numero di giorni, e poiché i giorni, nelle abitudini profetiche, sono presi il più delle volte per anni (Diem pro anno, diem, inquam, pro anno, dedi tibi – vi ho dato un giorno per un anno, un giorno, dico, per un anno. Ezech. cap. IV, v. 6); poiché, invece, a seconda che l’anno sia lunare o solare, o contenga dodici mesi di trenta giorni ciascuno, conta trecentocinquantaquattro giorni e una frazione, o trecentosessantacinque giorni, o trecentosessanta, bisogna prendere tre anni e mezzo per millecentoquarantuno anni, nella prima ipotesi; per millecentosessanta anni nella terza, e per millecentosettantotto anni e mezzo nella seconda, contando un anno bisestile su quattro anni (Holzhauser – tomo I, p . 481, Wüilleret – trova nel sistema solare solo 1277 giorni e mezzo, perché ha dimenticato l’anno bisestile che si trova ogni tre anni e mezzo). Ci sarà dunque tra Maometto e l’inizio della grande guerra dell’anticristo contro la Chiesa milleduecentoquarantuno anni, o milleduecento sessanta anni, o milleduecento settantotto anni e mezzo. – Si possono fare quattro serie di calcoli a seconda che si prenda come punto di partenza la nascita di Maometto (nel 569), l’anno in cui iniziò la sua predicazione (609), l’anno in cui pose le basi del suo impero (621), o l’anno in cui morì (633); e queste quattro serie saranno suddivise in tre conteggi particolari, a seconda che i tre anni e mezzo in questione daranno milleduecentoquarantuno giorni, o milleduecentosessanta, o milleduecento settantotto giorni e mezzo. Contando questi tre anni e mezzo dalla nascita di Maometto (569), otteniamo la prima serie, e aggiungendo milleduecentoquarantuno anni, dodici cento sessanta anni, e milleduecento settantotto anni e mezzo, otteniamo 1810, 1829, e 1847 e mezzo, che sono già passati, e non hanno visto l’inizio del regno dell’anticristo.  Partendo dalla predicazione di Maometto (609), e aggiungendo milleduecentoquarantuno anni, milleduecentosessanta anni, o dodici milleduecentosettantotto anni e mezzo, otteniamo 1850, 1869, e 1887 e mezzo, che non sono ammissibili, perché il 1850 è già passato, che il 1869 e il 1887 e mezzo sono troppo vicini a noi, e che il figlio della perdizione deve vivere cinquantatré anni e mezzo, come abbiamo visto, e cominciare a perseguitare la Chiesa all’età di cinquantadue anni, come diremo tra poco. – Se prendiamo come base l’anno 621 che vide l’inizio dell’impero di Maometto, e aggiungiamo milleduecentoquarantuno anni, milleduecentosessanta anni e  milleduecentosettantotto anni e mezzo, arriviamo a 1862, 1881 e 1889 anni e mezzo, che non possono concordare con i cinquantacinque anni e mezzo dell’anticristo, che non è ancora nato, e l’inizio della sua persecuzione al cinquantaduesimo anno della sua età. Ma se contiamo dalla morte di Maometto nel 633 e aggiungiamo milleduecentoquarantuno anni, milleduecentosessanta anni e milleduecentosettantotto anni e mezzo, otteniamo 1874, 1893 e 1911 e mezzo.  – Tra questi tre modi di contare gli anni, preferiamo quello che, con la Chiesa Cattolica, segue il sistema solare e conta, in tre anni e mezzo, milleduecentosettantotto giorni e mezzo, perché è il calcolo e il sistema del Cattolicesimo, e fu stabilito da esso, e perché, per questa ragione, è probabile che i Profeti lo avessero in vista nei loro annunci, per cose che sono di così grande interesse per la Religione di Cristo. Siamo quindi portati a credere che l’anticristo inizierà la sua persecuzione dei Cattolici verso la metà dell’anno 1911 [Bisogna aggiungere un secolo che il Signore ha accordato a satana per compiere la sua azione demolitrice sulla Chiesa, come a  S.S. Leone XIII fu rivelato in visione nel 1885, e la ss. Vergine annunziò a Fatima. D’altra parte, come sottolineato in precedenza – v. Introduzione § II – anche a Suor della Natività Gesù annunziò per il Giudizio,  due date possibili: o verso la fine  del secolo 1900, o in quello del 2000 « … se passa questo secolo (il 1900), il secolo del 2000 non passerà senza che esso giunga » – “Vie et Révévelations de la Sœur de la Nativité”, 2a Ed. Beaucé éd., Parigi, 1819 – T. IV, p. 125 -ndr.-). Così, secondo le nostre congetture, ci saranno milleduecentosettantotto anni e mezzo dalla morte di Maometto al giorno in cui l’Anticristo si porrà come nemico della Chiesa e la perseguiterà; e noi prendiamo questa morte come punto di partenza, perché è in questo momento, alla fine di Maometto, che inizia la distanza tra lui e il primo giorno della persecuzione dell’uomo del male. Quanto tempo durerà questa persecuzione? Milleduecentonovanta giorni da quando il sacrificio perpetuo sarà abolito (Et à tempore cùm ablatum fuerit juge sacrificium, et posita fuerit abominatio in desolationem dies mille ducenti nonaginta, Dan. XII, v. 11). Così l’Anticristo, che vivrà per un totale di cinquantacinque anni e mezzo, perseguiterà la religione per tre anni, sei mesi e undici giorni e mezzo, finché sarà fulminato; e morirà nel primo mese (o il secondo) dell’anno 1915, il che pone la sua nascita a metà dell’anno 1859. I quarantacinque giorni successivi alla sua caduta saranno ancora molto infelici, a causa dei dieci capi militari che si succederanno al potere, e che avranno continuato, per un certo tempo, a combattere contro l’Agnello (Apoc., cap. XVII, v. 14); ma infine, la calma sarà ristabilita dopo questi quarantacinque giorni, secondo queste parole: Beatus qui exspectat et pervenit usque ad dies mille trecentos triginta quinque – Beato chi riuscirà a giungere fino al 1338° giorno. – Dan . cap. XII, v . 11 ).

XV. In quale anno l’impero maomettano sarà distrutto e ridotto a una sola testa? Questo è l’ultimo punto che rimane da esaminare dopo aver esaminato tutte le questioni che riguardano questo capitolo. San Giovanni ci dice, nella sua Apocalisse, capitolo XIII, v. 5, che la prima bestia con sette teste e dieci corna avrà potere per quarantadue mesi, che dà anche tre anni e mezzo, e quindi milleduecentoquarantuno giorni nel sistema lunare, milleduecento sessanta giorni nel sistema greco, che conta l’anno come trecentosessanta giorni e il mese come trenta giorni, e milleduecentosessantotto giorni e mezzo nel sistema solare (Et data est ei potestas facere menses quadra ginta duos , cap. XIII, v. 5). Quando abbiamo calcolato il tempo tra Maometto e la persecuzione dell’anticristo, abbiamo preso come base il sistema solare, il sistema cattolico, perché questo tempo è di interesse primario e diretto per la Chiesa, e per questo deve essere calcolato secondo il suo proprio metodo. Ma se si tratta della durata dell’impero di Maometto, che è di interesse primario e diretto per i suoi seguaci, è logico e ragionevole prendere come mezzo di calcolo il loro calendario, che è lunare, e dire che i quarantadue mesi che danno milleduecentoquarantuno giorni forniscono milleduecentoquarantuno anni; Questo, aggiungendo milleduecentoquarantuno anni al 621, punto di partenza dell’Egira (Parliamo qui dell’Egira, perché è la durata dell’impero maomettano che fu fondato dodici anni prima della morte di Maometto), ci dà circa l’anno 1862 per la distruzione di questo impero o l’inizio effettivo di questa distruzione. – Abbiamo fissato questi punti secondo le relazioni che esistono tra il sistema solare e quello lunare; e abbiamo dovuto farlo, perché i modi di contare dei maomettani non sono né fermi né in accordo tra loro. Sappiamo certamente che il primo anno d’Egira è il 622; saremmo dunque arrivati, secondo il nostro calendario, all’anno solare 1235; e tra i musulmani, alcuni dicono che siamo nel 1858, nel mille e settimo anno, e altri dicono che siamo solo nell’anno 1265. Tra i Cristiani, possiamo citare Chalcondile, suddito della Porta, che, nella sua Storia dei Turchi (vol. 2, p. 826), si esprime come segue. “La battaglia di Lepanto fu combattuta una domenica, il settimo giorno di ottobre, nell’anno di grazia 1571, d’Egira 977º. Così, l’Egira ha già perso ventotto anni nel nostro modo di contare; perché c’erano, secondo il nostro Calendario, solo novecentoquarantanove anni, la differenza tra il 1571 e il 622 essendo novecentoquarantanove, e saremmo ora (nel 1858) nell’anno 1274 dell’Egira. D’altra parte, gli atti emanati dall’orgogliosa potenza che è stata a lungo chiamata la Sublime Porta e dallo Scià di Persia, alla fine dell’anno 1856, ci danno lo stesso tempo; poiché ci portano (nel 1858) all’anno 1274 dell’Egira. Ma Abd-el Kader conta in modo diverso, e ci dice che siamo (nel 1858) nell’anno 1265 di Maometto. La sua lettera al sindaco di Amboise, datata 1 gennaio 1854, riportata nei giornali francesi, e in particolare nel Nouvelliste di Marsiglia, del 31 dello stesso mese, è datata il 4 di Rabi – el – tani dell’anno 1260 d’Egitto. Ora, se il 1854 è il 1260° anno dell’Egitto, il 1858, dopo aprile, è il 1265° anno. Preferiamo la stima del Sultano e dello Scià di Persia, perché è più ufficiale e deve essere, per questo, più esatta; e ci permettiamo di far notare che, se l’impero turco cade nel 1862 o nel 1863, saranno rimasti milleduecentoquarantuno anni solari e dodici milleduecentosettantotto lunari. Così che non c’è altra differenza tra la distanza che separa la morte di Maometto dall’inizio della persecuzione dell’anticristo e quella che segna la durata dell’Impero turco, che i dodici anni del regno di Maometto stesso, e che i millesettantotto anni e mezzo del primo calcolo sono solari, mentre quelli del secondo sono lunari.

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (6)

IL SEGNO DELLA CROCE (22)

IL SEGNO DELLA CROCE AL SECOLO XIX (22)

PER Monsig. GAUME prot. apost.

TRADOTTO ED ANNOTATO DA. R. DE MARTINIS P. D. C. D. M.

LETTERA VENTESIMAPRIMA.

18 dicembre.

Imitazione generale. — lmitazione della santità di Dio. — La santità. — lI segno della croce santificatore dell’uomo e delle creature. — Imitazione della carità di Dio. —- Natura della carità di Dio. — Quale debba essere in noi. — Il segno della croce insegnandolo a noi, è nostra guida eloquente e sicura. — Prove irrefutabili.

Caro Amico,

In grazia del segno della croce, ciascuna delle Persone dell’adorabile Trinità è d’innanzi a noi, e lasciasi copiare. Desse, sotto il gran nome di Dio, offrono alla nostra imitazione tutte le perfezioni insieme raccolte. Io ne scelgo due, che, brillando a gran lustro, è mestieri imitare di presente più che in ogni altro tempo: la santità, e la carità.

La santità. — Santità vuol dire unità, esenzione di tutto ch’è straneo. Dio è santo perchè uno; e l’è tre volte, perchè tre volte uno. Uno in potenza, perchè essa è infinita; uno in saggezza, perchè essa è infinita; uno in amore, essendo questo infinito. In Dio nulla limita, nè altera questa triplice unità; epperò santo, perfettamente, completamente santo in sè stesso. Egli lo è nelle sue opere; in nessuna di esse potendo Egli soffrire la riunione colpevole, il disordine, o, per dirlo col suo nome, il peccato. Gli angeli cacciati dal Cielo e l’uomo dal Paradiso terrestre, il mondo allagato dal diluvio, Sodoma consunta dal fuoco, l’Impero romano scrollato da’ colpi de’ Barbari, la vittima del Calvario crocifissa fra due ladri, le calamità pubbliche e private, l’inferno con il suo fuoco eterno, sono tutte testimonianze della santità di Dio nelle sue creature. Grande lezione, che m’insegna di continuo il segno della croce! Io nol posso eseguire senza ch’ esso mi dica: Immagine di un Dio santissimo, ed inesorabilmente santo, tu devi esserlo perfettamente ed inesorabilmente nella tua memoria, nella tua intelligenza, e nella tua volontà. Santo nell’anima e nel mio corpo, in me stesso, e nelle mie opere, solo o in compagnia, giovane o vecchio, forte o debole, santo in tutto, da per tutto, e sempre; poiché è questa la sublime unità che devo in me realizzare. Ouomo, esclama Tertulliano, tu sarai grande, se arrivi a comprendere te stesso: O homo, tantum nomen, si intelligas te!  – Ciò non è tutto: io devo attuare fuor di me nel mio esteriore questa santità, come Dio esternamente la realizza nel creato; su quanto mi circonda deve splendere la santità, o unità di mia vita. Esempii, parole, preghiere, tutto in me deve esser tale, da poter allontanare il male, il dùellismo dal mio prossimo, immagine di Dio come me, ed al pari di me creato per l’unità. In questo dovere, sì vivamente ricordato dalla croce, prendono loro origine i prodigi dei sacrifizi, che di continuo rinascono nel seno del Cattolicismo. Dimanda a’ nostri apostoli dell’uno e l’altro sesso, qual cosa mai li meni al sacrifizio delle intelligenze le più nobili, delle vite le più pure, e del sangue il più generoso. Tutti ti risponderanno, la parola del Maestro: Noi abbiamo intesa la parola del Verbo redentore, che ordinava si contrassegnassero tutte le membra dell’umana famiglia col segno della Trinità. Questa parola immortale come Lui, risuona nel fondo del nostro cuore, e dove v’ha una fronte da segnare del segno liberatore, noi accorriamo, lavoriamo, moriamo! Ascolta il generalissimo di queste legioni eroiche, il S. Paolo de’ tempi moderni. Tu sai, che per i suoi giganteschi lavori questo nomo straordinario conquista un mondo alla civiltà ed alla fede; ma qual molle potente afforzava il suo coraggio, e quello de’ suoi successori, sino alla temerità, ed il desiderio sino all’entusiasmo ed alla pazzia? 0sanctissima Trinitas. O santissima Trinità! Questo grido di guerra si frequente sulle sante labbra del Saverio, come la sua espirazione, ti rivela il pensiero comune. — Col suo sguardo illuminato dalla fede l’apostolo ha considerato i popoli dell’India, della Cina, e del Giappone; e li ha visti assisi nelle ombre della morte, contrassegnati del disonorevole segno della bestia, e mancanti del glorioso carattere della Trinità. A vista di sì immensa degradazione il suo zelos’infiamma, e dal suo petto scappa fuori il grido di guerra: Osanctissima Ttinitas, o Trinità! è onta per voi, e sventura per l’opera vostra! E perchè le sfigurate immagini fossero riparate imprimendo su tutte le fronti il segno divino, Saverio si slancia da gigante, e lo spazio dispare sotto la corsa de’suoi piedi. Egli si beffa de’ pericoli, e non conosce altri limiti per la sua ambizione riparatrice, che quelli del mondo; anzi, il mondo stesso tornava piccolo per lui, e lo corse tanto da farne tre volte il giro (Vita di s. Fr. Sav. t. II, lib. VI, p. 208-213); e, se la morte non gli consente percorrerlo in tutte le direzioni, egli mostra a’ suoi successori le nazioni da conquistare. II suo desiderio ècompreso.— Migliaia di apostoli trasportati sulle ali de’ venti, come dice Fenelon, arriveranno in tutte le isole, nel fondo delle foreste, su tutte le spiaggie, per quanto lontane ed inospitali si fossero. Prima loro cura sarà il segnare del segno santificante la fronte dell’uomo degradato sino all’antropofagia, al grido del loro capo: 0sanctissima Trinitàs! Che tale sia il motivo che anima i conquistatori dell’evangelio, n’è pruova, che il loro ministero ètutto nel segnare le infedeli nazioni del suggello delle adorabili persone, e nel mantenere inviolabile la divina somiglianza.  – Il segno della croce fa di più ancora, santifica quanto tocca: gli uomini e le cose. Ora santificando le creature, dopo aver santificato l’uomo, la guida divina mena tutto al suo fine; avvegnaché è articolo di fede universale, che i segni religiosi hanno il potere di modificare le creature inanimate, e noi lo abbiamo veduto precedentemente. La verità di tale credenza è guarentita dalla sua universalità, e la grande maestra della verità la reputa come parte del deposito affidato alle sue cure, e ciascun giorno la insegna e la pratica. Da poi diciotto secoli in tutte le parti del pianeta, la Chiesa Cattolica santifica col segno della croce l’acqua, il sale, l’oglio, il pane, la cera, le pietre, il legno, le creature insensibili.  – Che cosa vuol dire teologicamente che il segno della croce santifica l’uomo e le creature? In riguardo dell’uomo non pretendo che il segno della croce conferisca la grazia santificante, o che sia strumento atto a conferirla come i sacramenti: ma voglio dire, che comunica una specie di santificazione simile a quella de’ catecumeni, sui quali sì fa il segno della croce innanzi ricevano il Battesimo; poiché, dice santo Agostino, che v’hanno diverse sorti di santificazione (lib. II. de Peccat. merit, et remiss, c. CXXVI.).Il segno della croce èun atto a cui Dio attacca l’applicazione de’meriti del suo Figlio come alla elemosina, che, per comune credenza, è buona, pia, salutare e santificante, tuttavolta non abbia la virtù del Battesimo, e della Penitenza. – In quanto poi alle creature, santificarle non è dare, od aggiungere ad esse una qualità fisica ed inerente ; ma èun ricondurle alla loro purità nativa, e comunicarle una virtù superiore alia naturale. Il perchè v’hanno due effetti della santificazione. Il primo, le purifica sottraendole alle influenze del demonio: il secondo, le rende atte a produrre effetti superiori alle forze naturali di esse. Siffattamente purificate, diventano nelle mani dell’uomo strumenti di salute, armi contro il demonio, preservativi contro i pericoli dell’anima e del corpo. Si potrebbero ben apportare molti fatti miracolosi, pubblici e privati, antichi e moderni, dovuti a queste creature insensibili santificate dal segno della croce ; ma per amor di brevità li tralasciamo. Solo avvertiamo, che se le giovani generazioni degli studenti a vece di brontolar favole pagane di Roma, e della Grecia, studiassero la Storia della Chiesa, ed i fasti de’ Santi, i tuoi compagni conoscerebbero de’ fatti ben più singolari di quelli di Alessandro e di Socrate, per Io mezzo delle cose benedette operate (Gretzer p. 896 et seg.). Non è per sola imitazione della santità di Dio, ma altresi per quella della carità, che il segno della croce, guida eloquente e sicura, ci mena, ci sorregge, e spinge nella nostra via. La Carità. — Lo Dio di cui siam figli, e che dobbiamo imitare è carità, Deus churitas est. Questa parola dice tutto, dice quello che Dio è in sè stesso, e nelle sue opere. Il Padre essendo Dio, è carità; il Figlio perchè Dio, l’è parimenti; lo Spirito Santo comecché Dio, non può non esserlo: la Trinità tutta è carità. Conosci tu un nome più bello di questo? E questo nome è ripetuto al nostro cuore ciascuna volta che eseguiamo il segno della croce. Carità vuol dire unione ed effusione. Fra le tre Persone divine tutto è unione ed unità: unità di pensieri, unità di operazione, unità di felicità e di essenza. L’ombra istessa di disaccordo non può turbare questa perfetta, ineffabile armonia; poiché uno ed istesso amore, amore perfetto, eterno ed inalterabile, è il legame delizioso della Trinità. Effusione, essenzialmente comunicativa è la carità; epperò tende a diffondersi esteriormente, e la carità divina con forza ed abbondanza infinita. Ora, le opere di Dio sono la creazione, la conservazione, la redenzione, la santificazione, e la glorificazione. Così creare è amare, conservare l’è parimente; riscattare non è altro per fermo; santificare l’è altresì; glorificare è ancora amare. Ogni carità viene dal cuore. Conosci tu un nome più delizioso? E questo c’è detto ogni volta, che facciamo il segno-delia croce. – Dio è carità. Questa parola dice a tutti i membri della umana famiglia di qualsiasi età e condizione, quello che dobbiamo essere: immagine di Dio, noi dobbiamo somigliargli. Somigliargli è esser carità in noi stessi, e nelle nostre opere. In noi stessi; per Io mezzo soprannaturale della grazia, che unisce fra loro tutte le nostre facoltà, le nobilita, fortifica le une colle altre, e le fa intendere allo stesso scopo, ed attuare in noi la simiglianza perfetta con Dio. Nelle nostre opere; unendoci a tutti gli uomini, per divina ragione come membra dello stesso corpo, facendo battere il nostro cuore all’unisono col loro; spargendosi diffusamente su tutto, che loro appartiene, realizza l’ultimo voto del divino maestro: «Padre, ch’eglino siano uniti, come noi lo siamo. »  Mi arresto a questi brevi cenni, o Federico, tu potrai ben svilupparli. Essi bastano a mostrare l’importanza del segno della croce come guida: ma se i tuoi compagni avessero la sventura di dubitarne, presenta loro le seguenti quistioni: È vero, si, o no, che nulla v’ha di più atto del segno della croce, a ricordarci di Dio, e della Trinità?  – È vero, sì, o pur no, che l’uomo èfatto ad immagine di Dio? – È vero, si o no, che il primo dovere, e la tendenza naturale di qualsiasi essere è di riprodurre in sè il tipo su eui è stato fatto?  – È vero, si o no, che l’uomo che non agogna a formare in sè l’immagine di Dio, egli s’informa all’immagine del demonio, e delle sue sregolate passioni; dimodoché, se non diviene di giorno in giorno più santo, più caritatevole, più di Dio, egli diviene, di giorno in giorno, più perverso, più egoista, più del demonio, più bestia, animalis homo? – È vero si o pur no, che l’uomo tende di continuo, a sua saputa ed insaputa, a rendere tutto a sua immagine, e che da questa azione permanente procede la santificazione, o la perversione, l’ordine o il disordine, la salute o la ruina degl’individui, delle famiglie, delle società, delle credenze e de’ costumi? Per poco ch’eglino abbiano di logica, e soprattutto d’imparzialità, la loro risposta, non ne dubito, sarà quella che dev’essere. Eglino diranno con noi, che niente è meglio fondato, o per parlare come oggidi è in uso, niente è più profondamente filolofico dell’uso frequente del segno della croce. Eglino continueranno dicendo, che, non i primi Cristiani, nè i veri fedeli di tutti i secoli, né la Chiesa Catttolica, nè, in fine, il fiore della umanità caddero in errore, conservando invariabilmente l’uso di questo segno misterioso. Eglino conchiuderanno, che l’errore, il torto, e la vergogna stanno per gli sprezzatori di questo segno; poiché col non eseguirlo, col vergognarsi di farlo, e beffandosi di quelli che lo praticano, si cacciano nel fango della umanità, si rendono inferiori a’ pagani, si assomigliano alle bestie.  Qual cosa mai resta per essi e per noi? Le mie ultime lettere te lo apprenderanno.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. PIO XII – “DATIS NUPERRIME”

Ancora una volta, il Santo Padre torna a levare la sua voce, che è quella del Vicario di Cristo in terra, per deplorare e condannare gli eventi sanguinosi abbattutisi sulla nazione ungherese a causa della barbarie comunista dei soldati e vertici sovietici e delle locali autorità complici e compiacenti. Poche ma significative parole rivolte agli occupanti fratricidi impostori … « La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra »! Come pure le parole di conforto al popolo cattolico martoriato ed oppresso dalla furia satanica dei “rossi”. Oggi lo stesso sangue grida vendetta: – dai sacrifici rituali di sette infami, – dalle sale operatorie dei reparti nei quali si praticano aberranti interventi di omicidio in utero di innocenti vittime alle quali è negata l’esistenza terrena ed il godimento di Dio in Paradiso, – dagli ospedali e dagli studi medici ove si pratica l’inoculazione di sieri micidiali e supertecnologici che uccidono o schiavizzano gli ignari malcapitati, convinti di prevenire una malattia immaginaria senza sintomi. Ma Dio non dimentica, ascolta il grido di chi lo invoca e improvvisamente fa scattare la sua ira sugli omicidi oppressori e sui loro complici, senza pietà né misericordia, ripagandoli, fino all’ultimo spicciolo, per lo scempio e l’ignominia dei loro delitti. Et conteret Illa caput tuum…

S. S. PIO XII

DATIS NUPERRIME

LETTERA ENCICLICA

CONDANNA DEI LUTTUOSI
AVVENIMENTI IN UNGHERIA

Con la recentissima Lettera Enciclica rivolta all’episcopato cattolico, avevamo espresso la speranza che anche per il nobilissimo popolo dell’Ungheria albeggiasse finalmente una nuova aurora di pace fondata sulla giustizia e sulla libertà, poiché sembrava che in quella nazione le cose prendessero uno sviluppo favorevole. Se non che le notizie che in un secondo tempo sono giunte hanno riempito l’animo Nostro di una penosissima amarezza: si è saputo cioè che per le città e i villaggi dell’Ungheria scorre di nuovo il sangue generoso dei cittadini che anelano dal profondo dell’animo alla giusta libertà, che le patrie istituzioni, non appena costituite, sono state rovesciate e distrutte, che i diritti umani sono stati violati e che al popolo sanguinante è stata imposta con armi straniere una nuova servitù. Orbene, come il sentimento del Nostro dovere Ci comanda, non possiamo fare a meno di protestare deplorando questi dolorosi fatti, che non solo provocano l’amara tristezza e l’indignazione del mondo cattolico, ma anche di tutti i popoli liberi. Coloro, sui quali ricade la responsabilità di questi luttuosi avvenimenti, dovrebbero finalmente considerare che la giusta libertà dei popoli non può essere soffocata nel sangue. – Noi, che con animo paterno guardiamo a tutti i popoli, dobbiamo asserire solennemente che ogni violenza, ogni ingiusto spargimento di sangue, da qualsiasi parte vengano, sono sempre illeciti; e dobbiamo ancora esortare tutti i popoli e le classi sociali a quella pace che deve avere i suoi fondamenti nella giustizia e nella libertà e che trova nella carità il suo alimento vitale. Le parole che Dio rivolse a Caino: «La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra» (Gn IV, 10), hanno anche oggi il loro valore; e quindi il sangue del popolo ungherese grida al Signore, il quale, come giusto Giudice, se punisce spesso i peccati dei privati soltanto dopo la morte, tuttavia colpisce talora i governanti e le nazioni stesse anche in questa vita, per le loro ingiustizie, come la storia ci insegna. – Voglia il misericordioso Dio toccare il cuore dei responsabili, di maniera che finalmente l’ingiustizia abbia termine, ogni violenza si calmi e tutte le nazioni, pacificate fra loro, ritrovino in un’atmosfera di serena tranquillità il retto ordine. – Frattanto Noi innalziamo al Signore le Nostre suppliche affinché, specialmente coloro che hanno trovato la morte in questi dolorosi frangenti, possano godere l’eterna luce e la pace nel Cielo; e desideriamo pure che tutti i Cristiani uniscano anche per questa ragione le loro suppliche alle Nostre. Mentre a tutti voi esprimiamo questi Nostri sentimenti, impartiamo di gran cuore a voi, venerabili fratelli, e ai vostri fedeli, e, in modo tutto particolare, al diletto popolo ungherese, l’apostolica benedizione, che sia pegno delle celesti grazie e testimonianza della Nostra paterna benevolenza.

Roma, presso San Pietro, il 5 novembre, l’anno 1956, XVIII del Nostro pontificato.

DOMENICA II DI AVVENTO (2021)

DOMENICA II DI AVVENTO (2021)

Stazione a S. Croce in Gerusalemme.

Semid. Dom. privil. II cl. – Paramenti violacei.

Tutta la liturgia di questo giorno è piena del pensiero di Isaia, (nome che significa: Domini Salus: Salvezza del Signore), che è per eccellenza il profeta che annuncia l’avvento del regno del Cristo Redentore. Egli predice, sette secoli prima, che « una Vergine concepirà e partorirà l’Emanuele »  — che Dio manderà <il suo Angelo >, — cioè Giovanni Battista — per preparare la via avanti a sé (Vang.) e che il Messia verrà, rivestito della potenza di Dio stesso, (I e III antif. dei Vespri) per liberare tutti i popoli dalla tirannia di satana. « Il bue — dice ancora il profeta Isaia — riconosce il suo possessore e l’asino la stalla del suo padrone; Israele non m’ha riconosciuto: il mio popolo non m’ha accolto » (I Dom. 1° Lez. ) — « Il germoglio di Jesse — continua — s’innalzerà per regnare sulle nazioni » (Ep.) e « i sordi e i ciechi che sono nelle tenebre (cioè i pagani) comprenderanno le parole del libro e verranno » (Vang.). Allora la vera Gerusalemme (cioè la Chiesa) « trasalirà di gioia » (Com.) perché i popoli santificati da Cristo vi accorreranno (Grad. All). Il Messia — spiega Isaia — « porrà in Sion la salvezza e in Gerusalemme la gloria » — « Sion sarà forte perché il Salvatore sarà sua muraglia e suo parapetto » cioè il suo potente protettore. Così la Stazione è a Roma, nella Chiesa detta di S. Croce in Gerusalemme, perché vi si conservava una grossa parte del legno della Santa Croce, mandata da Gerusalemme a Roma quando fu ritrovata.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

 Introitus

Is XXX: 30.
Pópulus Sion, ecce, Dóminus véniet ad salvándas gentes: et audítam fáciet Dóminus glóriam vocis suæ in lætítia cordis vestri.

[Popolo di Sion, ecco il Signore verrà a salvare tutte le genti: il Signore farà udire la gloria della sua voce inondando di letizia i vostri cuori.]

Ps LXXIX:2
Qui regis Israël, inténde: qui dedúcis, velut ovem, Joseph.

[Ascolta, tu che reggi Israele, tu che guidi Giuseppe come un gregge.]

Pópulus Sion, ecce, Dóminus véniet ad salvándas gentes: et audítam fáciet Dóminus glóriam vocis suæ in lætítia cordis vestri.

[Popolo di Sion, ecco il Signore verrà a salvare tutte le genti: il Signore farà udire la gloria della sua voce inondando di letizia i vostri cuori.]

Oratio

Orémus.
Excita, Dómine, corda nostra ad præparándas Unigéniti tui vias: ut, per ejus advéntum, purificátis tibi méntibus servíre mereámur:
[Eccita, o Signore, i nostri cuori a preparare le vie del tuo Unigenito, affinché, mediante la sua venuta, possiamo servirti con anime purificate:]

Lectio

Lectio Epístolæ beáti Pauli Apostoli ad Romános.
Rom XV: 4-13.
Fatres: Quæcúmque scripta sunt, ad nostram doctrínam scripta sunt: ut per patiéntiam et consolatiónem Scripturárum spem habeámus. Deus autem patiéntiæ et solácii det vobis idípsum sápere in altérutrum secúndum Jesum Christum: ut unánimes, uno ore honorificétis Deum et Patrem Dómini nostri Jesu Christi. Propter quod suscípite ínvicem, sicut et Christus suscépit vos in honórem Dei. Dico enim Christum Jesum minístrum fuísse circumcisiónis propter veritátem Dei, ad confirmándas promissiónes patrum: gentes autem super misericórdia honoráre Deum, sicut scriptum est: Proptérea confitébor tibi in géntibus, Dómine, et nómini tuo cantábo. Et íterum dicit: Lætámini, gentes, cum plebe ejus. Et iterum: Laudáte, omnes gentes, Dóminum: et magnificáte eum, omnes pópuli. Et rursus Isaías ait: Erit radix Jesse, et qui exsúrget régere gentes, in eum gentes sperábunt. Deus autem spei répleat vos omni gáudio et pace in credéndo: ut abundétis in spe et virtúte Spíritus Sancti.

 “Tutte le cose che furono già scritte, furono scritte per nostro ammaestramento, affinché per la pazienza e per la consolazione delle Scritture noi manteniamo la  speranza. Il Dio poi della pazienza e della consolazione vi conceda di avere un medesimo sentimento fra voi, secondo Gesù Cristo. Affinché di pari consentimento, con un sol labbro, diate gloria a Dio, Padre del Signor nostro Gesù Cristo. Il perché accoglietevi gli uni gli altri come Gesù Cristo ha accolto voi a gloria di Dio. E veramente io affermo, Gesù Cristo essere stato ministro della circoncisione per la veracità di Dio, per mantenere le promesse fatte ai patriarchi: i gentili poi glorificare Iddio per la misericordia, siccome sta scritto: Per questo io ti celebrerò fra le nazioni e inneggerò al tuo nome. E altrove: Rallegratevi, o genti, col suo popolo. E ancora: “Quante siete nazioni, lodate il Signore, e voi, o popoli tutti, celebratelo. E Isaia dice ancora: Vi sarà il rampollo di Jesse e colui che sorgerà a reggere le nazioni, e le nazioni spereranno in lui. Intanto il Dio della speranza vi ricolmi di ogni allegrezza e pace nel credere, affinché abbondiate nella speranza per la forza dello Spirito santo. ,, (Ai Rom, XV, 4-13). –

L’intenzione di s. Paolo in questa lettera è di far cessare certe controversie domestiche, che lo spirito di gelosia aveva suscitate tra i Giudei ed i Gentili convertiti alla fede. Quelli si gloriavano delle promesse che Dio aveva fatto ai loro padri, di dare il Salvatore, che sarebbe della loro nazione; questi rimproveravano ai Giudei la manifesta ingratitudine della quale si eran fatti colpevoli uccidendo il loro Redentore. S. Paolo dimostra agli uni come agli altri che essi devono tutto alla grazia ed alla misericordia del Salvatore.

Perché Dio è chiamato il Dio della pazienza, della consolazione e della speranza?

Perché la sua longanimità verso i peccatori lo determina ad aspettare la loro conversione con pazienza; perché da Lui viene questa consolazione interiore che sbandisce ogni pusillanimità; e fa insieme trovar gaudio nelle croci; perché Egli è che ci dà la speranza di pervenire, dopo questa vita a godere Lui stesso.

Aspirazione. O Dio di pazienza, di consolazione e speranza, fate che una perfetta rassegnazione al vostro santo volere versi la gioia e la pace nei nostri cuori, e che la Fede, la Speranza e la Carità ci rechino, con la pratica delle buone opere, al possedimento del bene a cui fummo creati, e che ci attende nell’eternità, se adempiremo fedelmente le condizioni alle quali ci è stato promesso.

Graduale

Ps XLIX: 2-3; 5
Ex Sion species decóris ejus: Deus maniféste véniet,
V. Congregáta illi sanctos ejus, qui ordinavérunt testaméntum ejus super sacrifícia.

[Da Sion, ideale bellezza: appare Iddio raggiante.
V. Radunategli i suoi santi, che sanciscono il suo patto col sacrificio. Alleluia, alleluia.]

Alleluja

Allelúja, allelúja,
Ps CXXI: 1
V. Lætátus sum in his, quæ dicta sunt mihi: in domum Dóminibimus. Allelúja.

[V. Mi sono rallegrato in ciò che mi è stato detto: andremo nella casa del Signore. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaeum.
R. Gloria tibi, Domine!
Matt. XI:2-10

In illo tempore: Cum audísset Joánnes in vínculis ópera Christi, mittens duos de discípulis suis, ait illi: Tu es, qui ventúrus es, an alium exspectámus? Et respóndens Jesus, ait illis: Eúntes renuntiáte Joánni, quæ audístis et vidístis. Cæci vident, claudi ámbulant, leprósi mundántur, surdi áudiunt, mórtui resúrgunt, páuperes evangelizántur: et beátus est, qui non fúerit scandalizátus in me. Illis autem abeúntibus, coepit Jesus dícere ad turbas de Joánne: Quid exístis in desértum vidére? arúndinem vento agitátam? Sed quid exístis videre? hóminem móllibus vestitum? Ecce, qui móllibus vestiúntur, in dómibus regum sunt. Sed quid exístis vidére? Prophetam? Etiam dico vobis, et plus quam Prophétam. Hic est enim, de quo scriptum est: Ecce, ego mitto Angelum meum ante fáciem tuam, qui præparábit viam tuam ante te.  

“In quel tempo avendo Giovanni udito nella prigione le opere di Gesù Cristo, mandò due de’ suoi discepoli a dirgli: Sei tu quegli che sei per venire, ovvero si ha da aspettare un altro? E Gesù rispose loro: Andate, e riferite a Giovanni quel che avete udito e veduto. I ciechi veggono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti risorgono, si annunzia ai poveri il Vangelo; ed è beato chi non prenderà in me motivo di scandalo. Ma quando quelli furono partiti, cominciò Gesù a parlare di Giovanni alle turbe: Cosa siete voi andati a vedere nel deserto? una canna sbattuta dal vento? Ma pure che siete voi andati a vedere? Un uomo vestito delicatamente? Ecco che coloro che vestono delicatamente, stanno ne’ palazzi dei re. Ma pure cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico io, anche più che profeta. Imperocché questi è colui, del quale sta scritto: Ecco che io spedisco innanzi a te il mio Angelo, il quale preparerà la tua strada davanti a te” .

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

IL PRECURSORE

Siamo vicini al Santo Natale. E la Chiesa, per tre domeniche consecutive, — oggi, la ventura e l’altra ancora — nel Vangelo, ci manda S. Giovanni a dirci: « Preparate i cuori, che il Signore sta per venire ». Ma chi è questo San Giovanni Battista che viene a rimbrottarci per i nostri peccati, e a persuaderci di fare più bene? Sarebbe utile conoscerlo un po’. Ascoltate il brano evangelico di questa seconda Domenica d’Avvento, e conoscerete dalla bocca stessa di Cristo chi è il Precursore. – Siamo nelle prigioni di Macheronte e Giovanni vi è rinchiuso. Tutti sanno perché. E fin là dentro, in quel luogo di martirio e d’ingiustizia, arriva la fama dei miracoli compiuti da Gesù. Il Precursore, la cui anima impetuosa bruciava dal desiderio di far conoscere a tutto il mondo il vero Messia, gli mandò due discepoli con questo messaggio: «Sei tu il Salvatore, o ne dobbiamo aspettare un altro? » Giovanni sapeva bene ch’era Lui; ma a quella domanda, Gesù sarebbe stato costretto a manifestarsi, e allora anche tutta la gente lo avrebbe riconosciuto, e lo avrebbe acclamato. – Il Maestro divino accolse con benevolenza quel messaggio perché intravide l’amore di chi lo mandava, e appena i due discepoli del Battista ritornarono; si rivolse alla folla e disse: – « Chi siete andati a veder nel deserto? Forse una canna dondolata dal vento? «Chi, dunque, siete andati a vedere? Forse un uomo vestito alla moda? no; questa gente non si trova nel deserto, ma nel palazzo dei re. « Chi allora, siete andati a vedere? Forse un profeta? sì, vi dico: un profeta e più che un profeta. Egli è l’Angelo, predetto da Malachia, che camminerà innanzi al Signore ». Poche parole, ma scultoree: balza d’un tratto la grande figura di Giovanni Battista, tutta. – Dentro, senza debolezza: non è una canna. Fuori, senza mollezze: non vestiva con lusso. Dentro e fuori, senza macchia di peccato: un angelo.

NON FU UNA CANNA

«Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Forse una canna dondolata dal vento? ». Quella folla ch’era accorsa ad ascoltare Giovanni, doveva conoscere molto bene questa pianta, simbolo di debolezza e di volubilità. Doveva averla vista sulle sponde paludose del Giordano tremare nell’aria, e piegarsi fino a terra nel vento: se il vento tirava dal Mar Morto, la canna piegava verso il mar di Genezareth; ma tosto che il vento, cambiata direzione, tirava dal mar di Genezareth, la canna piegava verso il Mar Morto. Giovanni, dunque, era forse una canna dondolata dal vento? No; era una quercia che non si piega a nessun vento. Non come noi che alla mattina facciamo un proposito e alla sera lo troviamo trasgredito; non come noi che se anche ci confessiamo cento volte, cento volte siamo quelli di prima; non come noi che siamo canne pieganti ad ogni vento di tentazione. – Un giovane monaco era molto tentato. Una volta, che non ne poteva più, corse da S. Isidoro, si buttò sulla terra davanti a lui, e singhiozzava: « Padre, perché non mi aiutate? ». Il santo sollevò quell’anima sconvolta dalla bufera, e prendendola con sé, disse: «Vuoi che t’insegni a resistere? ». Il giovane alzò gli occhi pieni di lacrime: «È per questo che sono venuto ». « Allora, ecco il rimedio: «preghiera e mortificazione ». Ubbidì il monaco, e tutti i giorni pregava e si mortificava: ma le tentazioni non cessavano. Ritornò da S. Isidoro e gli chiese nuovamente rimedio. «Come! sei caduto in peccato? ». « No; grazie a Dio ». « Che vorresti, allora? » – «Vorrei essere senza tentazioni ». – Sorrise il vecchio santo, esperto della vita, e gli rispose: « Vedi: io ho settant’anni e neppure un giorno potei requiare; ma non mi sono mai piegato al demonio, come una canna, perché ho pregato e mi son mortificato. Va’, e fa’ lo stesso ». – Questo episodio ci spiega bene due cose: ci spiega perché S. Giovanni Battista non ha mai ceduto a nessuna tentazione, ci spiega perché noi invece cediamo tanto spesso. – Vicino ad ogni uomo c’è un demonio, nemico di Dio e di noi, e tutto il giorno suscita pensieri di odio, desideri di roba altrui, immaginazioni impure. Ci sono poi nella vita dei momenti in cui la tentazione è così forte da farci quasi disperare. Son quei brutti momenti che ha provato anche S. Francesco, quando si gettò, d’inverno, nella neve; son quei brutti momenti che ha provato anche S. Benedetto quando si slanciò a capo fitto nelle spine; sono quei brutti momenti che ha provato anche S. Caterina, quando esclamava: —O Signore, ma dove sei? —; son quei brutti momenti in cui il vento della tentazione cerca di squassarci come una canna. Ebbene, ricordiamolo: senza preghiera e senza mortificazione, è impossibile resistere.

NON FU UN EFFEMINATO

«Che cosa siete andati a vedere nel deserto? forse un uomo vestito sfarzosamente? ». Il Precursore viveva nella solitudine da molti anni, solo, senza casa, senza tenda, senza servi, senza nulla fuor di quello che aveva indosso. E indosso aveva una pelle di cammello, stretta al fianco da una cintola di cuoio. Appariva alto, ossuto, adusto dal sole. La figura austera del Battezzatore, e la lode che Gesù ha fatto del suo vestire, è un forte rimprovero per non pochi Cristiani e Cristiane che hanno la vanità del vestito: lo vogliono di lusso, moderno, scandaloso. In tali acconciature osano anche varcare la soglia della Chiesa, portarsi davanti ai purissimi marmi dell’altare, davanti al Crocifisso nudo e sanguinante sulla croce, davanti a Gesù che vive nella miseria dei nostri tabernacoli. – Quello che più addolora è di vedere come perfino i bambini, innocenti e ignari del male, già dai genitori sono vestiti poco cristianamente. Quei piccoli che Gesù amava, che voleva stretti al suo cuore, crescono così, troppo presto, alla scuola del mal esempio. Mamme, che vi compiacete di profanare l’innocenza dei vostri bambini, sappiate che il Signore non li può abbracciare in quella guisa; e senza l’abbraccio di Gesù che cosa diventeranno i vostri figliuoli? so bene le scuse con cui taluni cercano di giustificarsi, ma non si possono accogliere per buone.- a) Ma è la moda, si dice, è la moda che porta così: noi viviamo nel mondo e bisogna che ci adattiamo. Mostrerò la sciocchezza di questa scusa con un esempio: Dionigi di Siracusa era corto di vista e camminava barcollando e spesso gli accadeva di urtare in qualche cosa, di rovesciare tavolini e di frantumare vasi. Sembrerebbe incredibile eppure, in quella corte, per compiacere al tiranno, tutti i cortigiani stringevano le palpebre facendola da non vedenti e andavano tentoni, investendo sedie e tavolini e talvolta ruzzolando dalle scale. (Il fatto è raccontato da Plutarco). Il mondo non solo è un tiranno corto di vista, ma è cieco di tutti e due gli occhi; e quelli che seguono la sua moda sono più ciechi e più stupidi di lui, e una volta o l’altra finiscono col ruzzolare per le scale giù nell’inferno. – b) Ma io non ho mai avuto intenzione cattiva seguendo le mode! Scusa troppo ingenua per essere valevole. Non la voglio discutere: ricordate però che se le idee cattive non le avete voi, le fate venire agli altri. – C’è nella Storia Sacra una frase espressiva. Un re terribile, con centoventimila fanti e ventiduemila cavalli, assediò la città di Betulia: fece deviare anche l’unico fiume che le dava acqua, e la tormentò con la sete. Gli assediati, piangendo lacrime disperate, si prostravano sulla nuda terra, invocando soccorso dal Cielo. Allora una vedova sorse; vestì gli abiti preziosi di quand’era sposa felice, si ornò con monili d’oro e con gemme, poi, sola, varcò la porta e uscì dalla città assediata verso il nemico in arme. I soldati la videro e la condussero dal re Oloferne. Oloferne pure la vide, ma non l’uccise perchè sandalia eius rapuerunt eum. Bastarono due sandali a far perdere la testa a quel terribile guerriero; e la perse veramente perché, in quella notte, Giuditta gliela tagliò via (Giud., X). – Ma di quante altre persone, cadute in basso, si potrebbe ripetere: sandalia eius rapuerunt eum (Giud., XVI, 11). c) — Allora, — diranno alcuni, — dobbiamo proprio vestirci con pelle di cammello, alla S. Giovanni? Non è questo che io dico. Vi dico soltanto la parola dell’Apostolo: « Nolite conformari huic sæculo » (Rom., XII, 2) Non vogliate seguire la moda scandalosa di questo mondo.

FU UN ANGELO

«Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Forse un profeta? Sì, vi dico, un profeta e più che un profeta. Un angelo che annunzia il Signore ». Si può lodare di più un uomo? Mai nessuno fu esaltato così dal labbro di Cristo. Nel Vangelo però (Giov., X, 40) c’è un riferimento a S. Giovanni, forse poco meditato. Gesù, passato il Giordano, arrivò dove il Battista soleva battezzare. Le canne tremanti sulla sponda, il deserto che appariva in una lontananza giallastra e uniforme, l’acqua pura del fiume precipitoso rievocarono al Messia quella persona a lui tanto cara, che un re adultero aveva trucidato. Gesù commosso, quasi per riposare in quella melanconica ricordanza, si fermò là. Et mansit illic. Tutti compresero che il Maestro pensava a Giovanni Battista, ma non capivano come mai amasse tanto un uomo che non aveva fatto neppure un miracolo. Anzi molti osarono dirgli: « Del resto Giovanni non fece miracoli. Joannes quidem nullum signum fecit » (Giov. X, 41). E Gesù non rispose. Ma è tanto facile capire perché Giovanni non ha fatto miracoli! Perché noi lo potessimo imitare nella sua santità. Perciò la Chiesa in queste domeniche di Avvento ce lo propone quale modello. Vengano dunque gli avari a specchiare la propria cupidigia in chi ha rifiutato ogni bene terreno. Vengano i superbi a specchiare la propria arroganza in chi predicava: « E’ necessario ch’io sia disprezzato e che Lui, Cristo, onorino gli uomini ». Vengano i disonesti a specchiare la propria anima infangata in chi visse vergine tutta la vita. Vengano i golosi a specchiare la propria voracità in chi non si cibava che d’erbe e di miele selvatico. Da questo confronto deducano un proposito di vita nuova. – Quando i Giudei, strappati dalla loro terra, furono confinati in Persia, alcuni timorati di Dio presero il fuoco sacro dell’altare e lo nascosero in una valle ov’era un pozzo fondo, senz’acqua. E dentro là lo riposero al sicuro, talché a tutti fu ignoto quel luogo. Ma quando, finiti gli anni della schiavitù, tornarono in patria, subito si cercò il fuoco sacrificale. Andarono nella valle, scoprirono il pozzo fondo, ma ivi il fuoco s’era spento e non trovarono che acqua marcia. Neemia allora ordinò che cavassero di quell’acqua e la ponessero sull’altare sopra la legna e si aspettasse la nascita del sole. Appena dietro le grasse nubi sfolgorò il primo raggio, un gran fuoco s’accese sull’altare e tutti ne restarono meravigliati (II Macc., I, 19-22). – Noi pure oggi, confrontando la nostra anima con quella di S. Giovanni Battista, abbiam trovato che in fondo al nostro cuore non c’è più il fuoco dell’amore di Dio, ma c’è l’acqua stagnante della nostra tiepidezza, o peggio c’è l’acqua marcia dei peccati e delle passioni. Cristiani! prendiamo, piangendo, questo nostro cuore pieno di miserie e poniamolo sull’altare, appena Gesù Bambino, sole delle anime, nel prossimo Natale spunterà sul mondo, lo vedrà, ne avrà compassione, e riaccenderà quel fuoco che noi, coi nostri peccati, abbiamo spento.

FORTI CONTRO IL RISPETTO UMANO

Federico II, imperatore di Prussia, soleva tenere nel suo palazzo ed alla sua stessa mensa tanti uomini insigni per la scienza o per le arti. Strano e bizzarro com’era, volle un giorno di venerdì invitare a pranzo un principe romano cattolico per tentarne la fede e mettere a prova il suo coraggio religioso. L’imperatore non era cattolico. Ma le vivande erano fatte con carne ed il principe romano, tranquillo e disinvolto, lasciava passare, accontentandosi di ingannare la fame soltanto con qualche pezzetto di pane. L’imperatore osservava senza parlare; ma poi, tra lo scherzoso ed il serio: « Perché, disse, non mangiate? Forse la cucina di Germania non vi piace? ». « No, Maestà, la vostra cucina è eccellente per gli altri giorni della settimana, ma oggi per un Cattolico è cattiva. La Chiesa proibisce di mangiar carne al venerdì ». Alla nobile e franca risposta, Federico soggiunse: « Vi ammiro: avete reso un grande omaggio alla vostra religione! Ora passate nella sala vicina, ove sono preparati cibi di magro. Verrò anch’io a farvi l’onore che meritate ». – Quel principe di Roma non era una canna agitata dal vento. Era un uomo di carattere. E sì che si trovava alla mensa dell’Imperatore, fra tante illustri personalità che non la pensavano come lui. I Cristiani dovrebbero essere tutti così. Se siamo persuasi che la nostra Religione è la sola vera, che Dio esiste, che Gesù Cristo è la sola salvezza e fuori di Lui e della sua Chiesa non c’è che rovina eterna, dobbiamo sentirci capaci di manifestare queste idee anche all’esterno. Invece, purtroppo, ci sono ancora moltissimi Cristiani dalle mezze misure che non vogliono rinunciare alla fede e nello stesso tempo non hanno il coraggio delle proprie convinzioni. Sono schiavi di un sentimento vile che li piega come canne sotto il vento. Tale sentimento si chiama rispetto umano: un bel nome, ma applicato malissimo. Prima bisogna rispettare Dio, prima bisogna rispettare la propria fede, poi, si abbia pure riguardo ai nostri fratelli. Questo tenete a mente quando fra persone che parlano male, che vestono male, che offendono apertamente le leggi di Dio, voi sentiste paura a fare diversamente da loro. – Del resto capita spesso quanto occorse al principe cattolico alla mensa di Federico. – Quelli stessi che scherzano o fanno le meraviglie sono i primi ad ammirare e stimare i buoni che hanno il coraggio delle loro idee. Alle volte, una fede sincera e aperta vale la conquista di anime per le quali i fatti contano assai più delle parole. Ricordiamo inoltre quello che Gesù affermava ai discepoli e a tutti quelli che lo seguivano: « Davanti al Padre mio che è nei cieli, anch’Io avrò vergogna di chi ha avuto vergogna di me davanti agli uomini » (Mt., X, 33).

FORTI CONTRO LE PASSIONI

Prima che S. Vincenzo de’ Paoli cominciasse a fondare le grandi opere di carità, era Parroco di un piccolo paese della Francia. La fama della sua santità si era diffusa nelle terre vicine e a udire le sue prediche, a confessarsi da lui accorrevano anche alcuni che da tempo non erano a posto col Signore. C’era un conte rinomato per i tanti duelli che aveva sostenuto. Tutte le volte che veniva offeso anche leggermente, sfidava il suo avversario a combattere con la spada ed era sempre così fortunato che non si contavano più le sue vittime. Una volta però, udendo una predica di S. Vincenzo, fu tocco dalla grazia di Dio e si convertì. Vendette le sue terre e col prezzo ricavato fondò monasteri e consolò i poveri. Bisognava che S. Vincenzo lo moderasse tanta era la generosità con cui si era dato al Signore. Ma gli rimaneva ancora la spada che gli era servita così spesso per offendere il Signore e non sapeva decidersi a separarsene. Quella spada teneva sempre acceso in lui un po’ di affetto alla sua vita passata; e siccome ai primi fervori erano successi dei momenti di freddezza, se avesse continuato a tenere quell’arma sarebbe forse ritornato alla vita di prima. Ma un giorno, preso dalla vergogna di tale debolezza, arresta il suo cavallo, scende, trae la spada e la spezza in mille scintille contro una roccia e, rimontando a cavallo, esclama: « Finalmente sono libero! » – Un paragone alla spada di quel conte sono le passioni che ciascuno di noi porta con sé dalla nascita. Alcuni sono inclinati alla superbia, alla vanagloria, all’arroganza. – Altri invece amano le cose terrene, hanno il cuore troppo attaccato ai denari, agli affari. Altri ancora sentono la smania del godere e vorrebbero sempre e solo soddisfare i cattivi istinti. – L’aver le passioni non è un male: è solo il segno di essere uomini. Ma possono diventare spade taglienti, strumenti di peccato quando non sono soggette alla legge di Dio. Se con la fermezza di una volontà risoluta noi non teniamo le redini ai nostri pensieri, ai nostri istinti, alle nostre inclinazioni, diventiamo canne agitate dal vento, e dopo un periodo breve di fervore e di bontà, pieghiamo subito ad una vita scorretta. Non le fragili canne, ma gli alberi robusti sanno resistere al soffio rovinoso del vento: le canne finiscono nella corruzione del fango. Per evitare questa pessima fine, bisogna voler seriamente spezzare quelle spade. Un colpo solo non basta. La vittoria sulle nostre passioni non è così facile e così pronta come poté essere l’infrangere la spada del duello. Bisogna resistere sempre ed ogni giorno, ogni ora che passa si devono dar due colpi decisi, persuasi che soltanto la morte le spezzerà per sempre. – Però quanto più avanziamo in questa lotta spirituale, tanto più diventiamo forti e la grazia di Dio, che si congiunge alla nostra volontà, dà all’anima cristiana una dolce sicurezza di vivere nell’amore del Signore. – « Beato l’uomo che non va secondo il consiglio degli empi, e mette la sua compiacenza nella legge del Signore. Egli è come un albero che è piantato lungo correnti di acque, che darà il frutto a suo tempo e tutto quello che fa riesce bene » (Salmo 1). I cattivi invece sono come canne che il vento passa ed abbassa; anzi sono come un nuvolo di polvere che il vento solleva e disperde. Impii tanquam pulvis quem projicit ventus. – La perfezione cristiana non consiste nelle azioni grandiose. Gli Apostoli lasciarono e la casa e il loro mestiere, e senza danaro e senza bisaccia e senza un’arma, camminarono tutta la vita per regioni deserte e selvagge, predicando il Vangelo. Ma non a tutti conviene la missione degli Apostoli: però tutti possono, devono fare qualcosa per difendere e propagare la nostra santa Religione: E prima di tutto col buon esempio, con l’assiduità alle funzioni di Chiesa, col rifuggire da ogni discorso, da ogni lettura che sia contro la fede. Poi con l’aiutare i sacerdoti nell’azione cattolica, perché essi sono i successori degli Apostoli. I martiri nei tormenti e nella morte confessarono Cristo: e chi veniva sbranato da belve, e chi immerso in caldaie bollenti e in fuoco, e chi straziato con uncini e ricoperto di calce viva, e chi colpito con la spada. Ma non è questo che Dio vuole ora da noi: però tutti siamo obbligati alla mortificazione. Mortificazione degli istinti cattivi che si ridestano in noi, mortificazione dei nostri sensi. Che cosa vieta che anche un padre di famiglia sia temperante nel bere, nel giocare, nel fumare, per amor di Cristo? Che cosa vieta che una donna si mortifichi il lusso delle vesti, la vanità della acconciatura, la frivolezza dei discorsi? Queste sono opere buone che Dio vuole da noi specialmente in questo tempo di Avvento. Gli anacoreti fuggirono dalle città e dall’abitato, e s’inoltrarono nelle solitudini del deserto e là trascorsero la vita in grotte e in capanne sconnesse, senza vivanda fuor che i frutti selvatici, senza bevanda fuor che l’acqua del torrente. Non questo esige da noi, non è nel deserto che Egli ci aspetta. È nella nostra famiglia dove ognuno ha la sua croce da portare. Ivi i genitori devono essere di esempio ai figliuoli, ivi i figliuoli devono crescere nel timore di Dio, nell’ubbidienza, nella bontà. I santi davano tutto ai poveri e poi sì ritiravano a pregare, e Dio li favoriva con le estasi e le visioni. Ma non tutti sono così ricchi di beni di fortuna per fare abbondanti elemosine; non tutti si ritrovano così indipendenti nella vita da poter rimanere nelle chiese per ore e ore, ogni giorno, conversando col Signore. Però, chi è quella persona così misera da non poter largire qualche soldo ai poveri, alle opere buone della parrocchia? Perfino la vedova del Vangelo trovò due danari da offrire al tempio di Gerusalemme, e fu tanto lodata da Gesù. E se non si ha tempo di fermarsi lungamente in Chiesa, chi vieta all’operaio mentre lavora di ripetere, anche solo col cuore, delle fervorose giaculatorie? Chi vieta alla mamma di famiglia di pregare mentre culla, mentre nutre i suoi bambini? Per quante occupazioni si abbia, si può trovare il tempo anche d’ascoltare qualche Messa nei giorni feriali e di ricevere i sacramenti con opportuna frequenza. Sono queste, o Cristiani, le opere buone che Dio domanda del proprio stato. Se in esse saremo fedeli, avremo il Paradiso. Quia super pauca fuisti fidelis, intra in gaudium Domini tui (Mt.. XXV, 23). – Un enorme fico aduggiava la terra con la sua ombra. Sotto, un giorno, passa il Signore: scruta tra i rami fronzuti e non trova un frutto. «Sii maledetta tu, pianta sterile! ». Subito la ficaia inaridì. Dieci vergini aspettano lo sposo. Una notte, quando più nessuno l’aspettava ed il sonno aveva vinto anche i più vigili, arriva lo sposo. Un grido e tutti si risvegliano e accendono le lampade: ma cinque vergini improvvide si trovarono senz’olio. Corsero per acquistarne ma al ritorno trovarono la porta del convito chiusa, e udirono una voce dal di dentro che disse: « Non vi conosco ». – Un padrone ritorna da un viaggio lungo e chiama il servo al rendiconto. « Padrone », balbetta il poverino «io sapevo la vostra esosità, e che domandate fin quello che non avete dato, e che mietete fin dove non avete seminato: per ciò nascosi il vostro talento sotterra ed oggi ve lo rendo intatto ». « Prendete il servo inutile! — comandò il padrone, — e gettatelo fuori nell’oscurità e nel dolore ». Il Natale non è lontano e Gesù ritorna. Egli è il viandante che desidera dissetare le sue labbra con qualche frutto dell’anima nostra. Egli è lo sposo a cui bisogna muovere incontro con lampade provviste di olio di buone opere. Egli è il nostro Padrone e viene a domandarci il rendiconto. – Affrettiamoci a radunare un ricco tesoro di opere virtuose da presentargli davanti alla cuna insieme ai doni degli antichi pastori. – Un pomeriggio domenicale, una persona di mondo entrò nella canonica del parroco d’Ars, attratta da quello che si diceva intorno all’austerità di quell’umile prete, alla generosità con cui donava tutto per vivere poi egli stesso in una povertà estrema, allo zelo con cui si prodigava di giorno e di notte per la salvezza delle anime. «Signor Curato, — disse quella persona — crede proprio a tutto quanto dice il Vangelo? ». – « Sì, a tutto». « Ma è proprio sicuro che dopo la morte ci sarà il Paradiso? ». « Sicurissimo ». « Proprio sicuro, come dopo quest’oggi che è domenica verrà il lunedì? ». « No, molto più sicuro ». « Proprio sicuro come il sole che è tramontato adesso, sorgerà domani mattina? ». « No. Molto, molto più sicuro. Poiché può darsi anche che venga una domenica dopo la quale non ci sia più il lunedì, un giorno nel quale ci sia un tramonto dopo il quale non ci sia più aurora, un inverno dopo il quale non ci sarà più primavera, ma non può darsi assolutamente che le parole di Cristo non s’avverino ». « Quali parole? ». « Queste: Io sono la Resurrezione e la Vita: chi crede in me, anche se fosse morto, vivrà… Io lo risusciterò nell’ultimo giorno ». – Quella persona partì commossa e persuasa d’aver capito il segreto di quella grande santità. Soltanto una convinzione così profonda poteva dargli la forza di vivere come viveva. Tale profondità di convinzione era quella che condusse Giovanni Battista nel deserto, che gli diede il coraggio di rinfacciare al re il suo nefando peccato, che lo fece intrepido quando si lasciò troncare la testa. Tale profondità di convinzione era quella che sostenne i martiri: Agnese, bella e ricca ereditiera d’una cospicua famiglia romana, che a 13 anni, mentre le fiamme del rogo già la lambivano, esclamava: « Ecco che finalmente io vengo a Voi, Signore, che io amavo, cercavo, desideravo, senza intermissione »; Pancrazio di 14 anni che lasciò sbranare dalle belve la sua giovane vita, ma non sacrificò agli idoli; Policarpo di 85 anni, Simeone di 120, entrambi col corpo tremante di vecchiezza, ma con l’anima immobile nella certezza della fede. Né si creda che questa convinzione capace di sfidare perfino la morte, sia un ricordo archeologico di tempi antichi che non ritornano più. È del nostro tempo il fatto di una fanciulla americana, (Grazia Minford), convertita dal protestantesimo e divenuta suora domenicana. Suo padre morendo le lasciò la somma favolosa di 12 milioni e mezzo di dollari, a patto che abbandonasse il convento. Che cos’ha risposto quella fanciulla? «Il mio Padre del cielo è assai più ricco del mio padre della terra, e mi darà una ricompensa più grande ancora ». Questa è convinzione e forza veramente cristiana! («Schonere Zukunft », 1-5-1927). – Convinzione cristiana spinge ancora tante figliuole a rinunciare a un sogno di felicità, piuttosto che sposare una persona che non rispetterebbe la loro coscienza, a rinunciare a un impiego lucroso piuttosto che sgualcire il candore della loro innocenza in certi uffici. Convinzione cristiana sostiene il padre di famiglia in gravi e lunghi sacrifici piuttosto che violare la legge del Signore. – L’uomo di carattere sa dimostrare la sua volontà decisa davanti al mondo, a sé, a Dio. – Davanti al mondo. Il mondo ha due armi terribili per trascinare al male: la lusinga e lo scherno. Le lusinghe del mondo sono le amicizie, certe amicizie specialmente; sono i divertimenti, come gli spettacoli licenziosi, i balli, passeggiate sbrigliate e promiscue. Gli scherni del mondo sono fatti di sorrisi maliziosi, di mormorazioni, di ironia, di disprezzo, e perfino di persecuzioni; poiché spesso i buoni si vedono preclusa la via alle loro legittime aspirazioni, e alle ricompense meritorie. La volontà energica dell’uomo di carattere non cede alle lusinghe, non teme gli scherni: ma va diritta e sicura, ascoltando sempre la voce della coscienza. – Davanti a sé. Un nemico potente è entrato in noi stessi per il peccato originale, ed ha esteso il suo nefasto impero un poco su tutte le facoltà dell’anima. Bisogna riconquistare e difendere la nostra libertà interiore. I cattivi pensieri la minacciano nella nostra mente, i cattivi desideri nel rostro cuore, i cattivi istinti nella nostra carne: quale campo di battaglia aspra e incessante per la volontà! Chi cede è rammollito. – Davanti a Dio. Dio ogni giorno per purificarci o per provarci ci manda la nostra parte di fatica e di sofferenza. È necessaria la volontà energica, che tronchi ogni querela e ogni impazienza, e ci faccia accettare con santa e lieta rassegnazione la sua paterna e misteriosa volontà. La volontà energica sa placare la natura ferita, e la induce a ripetere quella preghiera che, quando è sincera, vuole coraggio e amore: «La tua volontà sia fatta! ». – Santa Giovanna è all’assedio d’Orléans. Sette ore ha combattuto, sempre calma e intrepida, in mezzo alle sue truppe; ora è il momento in cui deve strappare al nemico la famosa bastiglia di Tourelles. Repentinamente si slancia, afferra la scala, l’appoggia alla torre, e sale impetuosa. Una freccia la colpisce in mezzo al petto: sgorga sangue. Ella impallidisce, trema: sospesa a metà della scala, piange di dolore e di paura. Ridiscende e si nasconde a curarsi. Ecco la debolezza umana. Gli Inglesi imbaldanziscono, ed i Francesi spauriti cedono il campo, e suonano la tromba della ritirata. Ma al primo squillo, Giovanna scatta in piedi: ricorda le visioni che ebbe, le voci che udì, e fa una breve preghiera. Poi di colpo si strappa la freccia, e col petto chiazzato di sangue, grida: « Avanti, siamo vincitori! » E vince. – Cristiani, la vita è una battaglia per la conquista del regno di Dio. Se ci capitasse qualche momento di paura e di debolezza, richiamiamo i motivi della nostra fede, ravviviamo le nostre condizioni, e chiediamo forza con la preghiera. Poi come Santa Giovanna andiamo avanti, sicuri che la vittoria è nostra. – S’avvicina il giorno in cui la Chiesa ricorderà a tutto il mondo il mistero della ancora nascita di Gesù. E la Grazia che da questo mistero sgorgò allora, verrà diffusa a tutti i cuori, nella misura che se ne renderanno capaci. Dio Eterno che nasce bambino per noi! C’è qui un abisso di amore e di degnazione di cui non ci sarà mai possibile vedere il fondo. Santa Maddalena de’ Pazzi con incessante amorosa adorazione ripeteva centinaia di volte al giorno: «Il Verbo si è fatto carne ed abitò tra noi ». S. Alfonso de’ Liguori non sapeva studiare se sul suo tavolo di lavoro non vedeva la cara immagine di Gesù Bambino. Ed infinite volte la baciava, adorando Colui che vi era rappresentato. Cristiani: in questa settimana d’Avvento più volte al giorno, sull’esempio dei Santi, diremo col cuore: « Bambino Gesù, io ti ringrazio d’essere nato per me! ». Ma forse qualcuno penserà: « Come farò a ricordarmelo? ». Ebbene: perché non l’abbiate a dimenticare tre volte al giorno, al mattino, al mezzodì, alla sera, la Chiesa fa suonare le campane dell’Angelo che annunzia l’incarnazione del Verbo. Nessuno dunque si scordi, almeno in questa settimana, che udendo quel suono deve pensare al Figlio di Dio che si fece uomo per la nostra salvezza. – Orbene, Cristiani: la santa Chiesa in principio dell’Avvento, imitando il gesto del Precursore, manda anche noi a considerare i frutti della venuta del Salvatore perché abbiamo a credere più fermamente in Lui, a seguirlo più coraggiosamente. Questi frutti sono molti, ma i principali sono tre: la pace, la luce, l’amore.

1. LA PACE: a) Tra Dio e l’uomo: dal momento che il primo uomo peccò, Dio voltò via la sua faccia sdegnata e abbandonò la nostra natura al giogo del demonio. Passarono migliaia e migliaia d’anni in cui nessun uomo poté, benché santo, entrare in Paradiso: né Adamo, né Mosè, né Isaia, né Davide, alla loro morte, lo trovarono aperto. – Finalmente nel seno verginale di Maria la natura divina e la natura umana s’abbracciarono nell’unica Persona nel verbo incarnato. Come Iddio poteva continuare la sua inimicizia con gli uomini, se uomo era anche il suo Figlio Unigenito? – b) Tra l’Angelo e l’uomo. Fino alla venuta di nostro Signore Gesù, gli Angeli trattavano gli uomini come stranieri con superiorità ed asprezza. Perciò quando apparvero ad Abramo, a Loth, a Giacobbe, a Mosè, ad Ezechiele, a Davide gli uomini tremanti si gettavano a terra per adorarli come padroni. Ma dal giorno della venuta del Signore, tutta la schiera angelica ci è diventata benevola ed amica: ai loro occhi cessammo di apparire la razza degradata e maledetta, poiché vedono che il Figlio di Dio ha voluto rivestire umana natura, farsi uomo in carne ed ossa come noi. Se Dio ebbe di noi tanta misericordia da diventare uno dei nostri, gli Angeli come ci potrebbero ancora trattare duramente? Quando a S. Giovanni Evangelista apparì un Angelo, egli, secondo l’uso dell’Antico Testamento, fece per gettarsi sulla nuda terra ad adorarlo. Ma la celeste creatura glielo impedì, dicendo: « Che fai? Io sono come te un servo dell’Altissimo ». – c) Tra uomo e uomo. Prima che il Salvatore discendesse su questa terra, il sentimento più diffuso tra gli uomini era l’odio. I pagani odiavano i Giudei, i Giudei odiavano gli immondi pagani. I Greci chiamavano barbaro chiunque non fosse della loro nazione; i Romani non riconoscevano i diritti se non dei cittadini di Roma. La guerra e l’odio implacabile per i nemici era un vanto. Venne Gesù: e davanti a Lui non ci furono più né Giudei né Gentili, né Greci né barbari, né rivali né nemici, ma tutti gli uomini divennero fratelli suoi, compartecipi della sua natura umana: e perciò figli tutti d’un Padre unico, Iddio. L’uomo dunque da Dio, dagli Angeli, dagli uomini stessi era odiato e disprezzato come un lebbroso. Gesù Redentore, portandoci la pace con Dio, con gli Angeli, con gli uomini, ci ha mondati da quella lebbra. Leprosi mundantur. Ma guai a quelli che ritornano negli odi antichi! per loro il frutto dell’avvento divino è maturato invano.

2. LA LUCE

Tutti i popoli camminavano nelle tenebre e nell’ombra della morte. In Egitto si adoravano le cipolle e il bue; in Grecia si erano costruite divinità viziose e libidinose; in Roma si incensavano i tiranni crudeli. Le madri uccidevano i loro figliuoli per placare le ire di Baal o di Astharte, idoli sanguinarî. Anche gli uomini più intelligenti d’allora non riuscivano a sapere del loro eterno destino quanto ora ne sa anche l’ultimo dei nostri bambini. Gesù venne: e fu come se si squarciasse la maligna nuvolaglia che ottenebrava il mondo e risplendesse improvvisamente il sole. Sole di giustizia è Gesù! Luce del mondo è Gesù! – Quante meravigliose verità ci ha Egli disvelate riguardo a Dio, all’anima nostra, alla vita eterna… Tutte le cose più utili al nostro vero bene il Vangelo ce le insegna. – I nostri occhi erano ciechi, ed ora vedono. Cæci vident. Eppure ci sono di quelli che la dottrina cristiana hanno dimenticata, che non vogliono più impararla. Eppure ci sono di quelli che vivono solo per mangiare e guadagnare, veri adoratori delle cipolle e del bue; di quelli che vivono per accontentare ogni istinto bestiale, veri adoratori delle passioni immonde; di quelli che i proprî figli non educano cristianamente e sacrificano la loro innocenza al demonio. Guai a questi che ritornano nell’antica tenebrosa ignoranza! per loro il frutto dell’avvento divino è maturato invano.

3. L’AMORE

« Signore, perché sei venuto sulla terra? ». «Sono venuto a portare il fuoco dell’amore sulla terra ghiacciata, e non bramo altro che di incendiarla tutta in questa mistica fiamma ». Anche senza l’Incarnazione, nella sua infinita misericordia, Dio avrebbe saputo trovare il modo di perdonarci e salvarci. Ma era l’amore della sua creatura, che il Creatore dell’universo voleva: e si fece uomo per amore. Nell’Antico Testamento avevano imparato a temerlo e a rispettarlo; lo sentivano presente nel fragore del tuono, nell’urlo della bufera, nell’ardore del fuoco; ma gli uomini non riuscivano ad amare un Dio invisibile. Ma ora Egli si è fatto visibile, e tutto il mondo vede la sua dolce Umanità. « Fratelli, — scriveva S. Paolo — dopo la sua venuta più nessuno può vivere per sé, ma solo per Lui, che visse e morì per noi ». E sorsero allora moltitudini di uomini, di donne, di fanciulli che con desiderio offrirono la loro vita nel martirio. Sorsero allora infinite schiere di Monaci e di Vergini che si ritirarono nei deserti a vivere solo per suo amore, già fatti angeli prima di morire. Sorsero in ogni tempo i Santi che non temettero penitenze e umiliazioni, fatiche e malattie, tribolazioni e persecuzioni, accesi com’erano nell’amore di Cristo, il Dio fatto Uomo. – Senza questo eterno amore, che sarebbero stati gli uomini se non dei cadaveri? – Gesù venne e li risuscitò. Mortui resurgunt. Eppure sono troppi quelli che non amano il Signore: passano lunghe settimane senza un pensiero e un palpito per lui! Troverete di quelli che neppure una Messa alla festa sanno ascoltare per suo amore; per suo amore non sanno nemmeno compiere una piccola rinuncia. E se si volesse entrare nel segreto delle famiglie, quanti ne trovereste che non sanno più rispettare la castità coniugale e vivono nell’egoismo brutale, dissacrando ogni legge di Dio e di natura! Guai a questi che ritornano nell’antica morte dell’indifferenza e del peccato! Per loro la primavera della redenzione è venuta senza fiori e senza frutti. – Dopo due millenni, nuovamente ci prepariamo al Santo Natale per partecipare maggiormente ai frutti della divina venuta. – S. Gaetano da Thiene sì struggeva in affettuose preghiere; S. Filippo Neri si ritirava nelle catacombe a meditare; San Francesco d’Assisi s’avviava verso Greccio gridando: « Amiamo il Bambino celeste! ». Noi che faremo? Facciamo pace con Dio e con gli Angeli togliendo via i peccati dal cuore, facciamo pace con gli uomini perdonando e chiedendo perdono. Ritorniamo a frequentare la Chiesa, a studiare la dottrina cristiana, ad ascoltare la parola di Dio. Infine, per amore di Gesù che tanto ci amò, facciamo un po’ di penitenza, di elemosina, di mortificazione. – Così la pace, la luce, la carità del nostro Signore ritorneranno in noi.

CREDO …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXXIV: 7-8
Deus, tu convérsus vivificábis nos, et plebs tua lætábitur in te: osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam, et salutáre tuum da nobis.

[O Dio, rivolgendoti a noi ci darai la vita, e il tuo popolo si rallegrerà in Te: mostraci, o Signore, la tua misericordia, e concedici la tua salvezza.]

Secreta

Placáre, quǽsumus, Dómine, humilitátis nostræ précibus et hóstiis: et, ubi nulla suppétunt suffrágia meritórum, tuis nobis succúrre præsídiis.

[O Signore, Te ne preghiamo, sii placato dalle preghiere e dalle offerte della nostra umiltà: e dove non soccorre merito alcuno, soccorra la tua grazia.]

Comunione spirituale:

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Bar V: 5; IV:36
Jerúsalem, surge et sta in excélso, ei vide jucunditátem, quæ véniet tibi a Deo tuo.

[Sorgi, o Gerusalemme, e sta in alto: osserva la felicità che ti viene dal tuo Dio.]

Postcommunio

Orémus.
Repléti cibo spirituális alimóniæ, súpplices te, Dómine, deprecámur: ut, hujus participatióne mystérii, dóceas nos terréna despícere et amáre cœléstia.

[Saziàti dal cibo che ci nutre spiritualmente, súpplici Ti preghiamo, o Signore, affinché, mediante la partecipazione a questo mistero, ci insegni a disprezzare le cose terrene e ad amare le cose celesti.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (185)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XXI)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO TERZO

LA CHIESA

III. L’ORGANIZZAZIONE DELLA CHIESA

c.) Le tre Chiese e la Comunione dei Santi.

D. Hai chiamato la tua Chiesa « l’organizzazione dell’infinito » essa dunque non è tutta nel visibile; dunque non è tutta nel tempo.

R. La nostra Chiesa oltrepassa il tempo e getta il suo amplesso attraverso ai mondi. Essa crede alla continuità della vita in tutti i sensi, sia pure nel mistero e nell’incoscienza, sia pure al di là delle barriere della morte, e ciò che essa crede, la sua propria costituzione consacra. O si canti questa unità nella messa, o la si esprima solamente, tu dovrai confessare che la si proclama a buon diritto.

D. Come la intendi tu?

R. Anzitutto in questo mondo stesso, il regime sociale della grazia non è interamente espresso dalla Chiesa visibile. Come ora vedremo, vi è una Chiesa delle anime, più vasta, incomparabilmente, che il gregge arruolato, — almeno così si spera — una Chiesa delle buone volontà raggiunte da Cristo, coperte de’ suoi meriti, animate dalla sua intima azione, e in unione implicita, fosse pure nell’ignoranza e nella negazione, con l’opera sua sopra la terra. Non è possibile che tra queste due Chiese, o piuttosto in grembo a questa Chiesa unica, la cui anima valica il corpo, non vi siano degli scambi vitali, una comunicazione spirituale, una comunione, come si dice nel linguaggio mistico. Inoltre quando ci si unisce a Cristo e al suo Spirito, non è solo per il tempo, non è solo per il mondo, ma per sempre e dovunque si debba estendere la nostra vita. Quelli che sono morti nel Signore non hanno abbandonato il Signore, dunque non hanno abbandonato, spiritualmente, quelli che essi lasciano nell’esercito visibile. Il Signore e lo Spirito formano il vincolo; la fraternità ha il dovere di esser sempre attiva. Sia che essi godano attualmente la felicità dei santi, sia che si trovino trattenuti nel luogo del dolore espiatore, essi sono i fratelli dei viatori, dei militanti di quaggiù. Ecco quello che si vuole esprimere con questa distinzione di tre Chiese: l’una militante, quella della terra, un’altra paziente, quella del purgatorio, una terza trionfante, quella del cielo. Non è che una famiglia con tre nomi.

D. Come concepisci i rapporti fra questi tre gruppi diversi?

R. Siccome vi si adora lo stesso Dio, si partecipa allo stesso Spirito, si fa corpo in Colui del quale tutte le anime di buona volontà sono i membri, così per il fatto stesso ci si trova impegnati in un mutuo scambio di servizi; per giunta vi si è invitati. Preghiere scambievoli, riversibilità dei meriti sotto il controllo della Provvidenza, diffusione del bene nel campo delle anime, carità con tutti i suoi effetti: tal sarà il regime che si chiama Comunione dei santi, prendendo la parola santo nel senso antico, per indicare ogni essere rigenerato e santificato da Cristo.

D. Tu dici che questa comunione sì effettua ipso facto?

R. È inevitabile. Non è forse di regola che in un ambiente organizzato il bene di un elemento giovi a tutti e il bene di tutti a ciascuno? «Tutti per ciascuno, ciascuno per tutti », questa bella regola positivista è indubbiamente un invito, ma è anche una legge di fatto, dal momento che vi è realmente vita comune. Quest’ultima condizione è indispensabile; perché, come osserva Pascal, non si diventa ricchi perché si vede un estraneo che è ricco; ma bensì perché si vede il proprio padre o il proprio marito che è ricco ». Ma poiché tal è il fatto, in grazia della nostra anima comune che è lo Spirito di Cristo, in grazia dei «legami e delle giunture » che connettono il corpo di Cristo, ne segue l’effetto, anche se nessuno vi pensa.

D. È una strana solidarietà.

R. Di piuttosto sublime. La solidarietà, di cui si parla tanto, non potrebbe trovare espressione più completa. La Comunione dei santi abolisce i limiti dell’essere per rilegarlo all’universale. Ciascuno, per essa, è forte della forza di tutti; ciascuno è compatito dalla pietà di tutti; ciascuno è amato dall’amore di tutti; ciascuno è salvato, per poco che lo voglia, dalla barca di tutti, la barca di Cristo, in seno al gran naufragio della vita.

D. Ma vi è anche una forma deliberata e volontaria di questa comunione?

R. Essa si rivela mediante le preghiere dei vivi per i vivi e per i morti, degli eletti per i viatori e dei pazienti per i combattenti della terra, mediante retrocessioni di meriti che Dio incoraggia e misura, mediante sforzi e sacrifizi consentiti e, in ciò che riguarda specialmente questo mondo, mediante gl’insegnamenti, le esortazioni, i consigli, gli esempi. In mezzo alle anime che dimenticano, ve ne sono che si ricordano per loro; in mezzo ad anime che annegano, ve ne sono che si gettano a nuoto e, con loro rischio riconducono a riva i naufraghi. Si stabilisce così un immenso sistema di soccorso, d’irradiamento spirituale, di santificazione, di felicità. È un’espansione di vita divina regolata secondo le più alte leggi psicologiche e sanzionata dai misericordiosi voleri del nostro Dio. È una gravitazione universale delle anime.

D. Nella Comunione generale dei santi, vi sono comunioni più speciali?

R. Certamente. Le anime formano delle costellazioni, come gli astri. Noi non siamo una polvere di esseri, tutti i nostri legami naturali hanno il loro equivalente soprannaturale e ritrovano i loro effetti.

D. I due ordini, a questo riguardo, vanno di pari passo?

R. No; due fratelli secondo la natura possono essere soprannaturalmente assai distanti; ma non devono essere degli estranei, perché anche la famiglia è in Cristo. In quanto agli estranei secondo la natura che sono soprannaturalmente fratelli, essi allargano l’idea di famiglia e presentano un altro aspetto dei nostri legami.

D. La Comunione dei santi è secondo te un dogma propriamente detto?

R. Lo trovi nel Credo: Io credo… nella Comunione dei santi. E questo dogma particolare, come quello della Chiesa nel suo contenuto molteplice, ripeto, dà la più ampia e più magnifica soddisfazione al nostro senso sociale, a quel desiderio naturale che abbiamo di lavorare a qualche cosa d’immortale, al nostro bisogno di solidarietà, di dedizione scambievole, di comunicazione, di sacrifizio.

D. Siamo noi sociali fino a tal punto?

R. Tali noi siamo per natura, e più per soprannatura; non cessiamo di essere tali se non per il peccato.

D. Questa solidarietà è dunque insieme interna ed esterna, apparente e nascosta?

R. Essa è resa apparente nella Chiesa visibile, e dalla Chiesa visibile si estende sino ai confini dell’invisibile.

D. Gli spiriti puri che tu chiami Angeli ne fanno parte?

R. Vi sono associati di diritto. Infatti è una regola immutabile, dice Bossuet, che gli spiriti che si uniscono a Dio si trovino nello stesso tempo uniti tutti insieme» e formino una sola «città di Dio », avente il medesimo capo che è Dio, la medesima legge che è la carità.

D. Tu mescoli così tutti i cieli e tutte le terre.

R. Noi non mescoliamo niente; distinguiamo tutto; ma sotto un solo governo, non vi è che un solo dominio. I tempi e gli spazi qui non contano niente. Bisogna che vi sia una religione attraverso alle durate, attraverso alle specie delle creature ragionevoli, attraverso ai luoghi abitati e attraverso agli stati, attraverso a tutte le altre differenze oltre alle spirituali. Dio è necessariamente tutto in tutti.

d) La necessità della Chiesa. “Fuori della Chiesa, nessuna salute”.

D. Dopo tutti questi allargamenti, quasi non sì comprende più quello che voi volete dire con questa formula rigida e tagliente come una lama: « Fuori della Chiesa, nessuna salute ».

R. Di fatto è necessario spiegarci, e si può anche pensare che la formula, gettata così, non è felice, perché si presta terribilmente ad equivoco. Tuttavia, sopra il terreno dov’è collocata, ha la sua piena e intera giustificazione.

D. Qual terreno?

R. Quello del diritto, quello del piano divino per la salvezza degli uomini. Vi è Dio; vi è l’Incarnazione; vi è la vita e la morte redentrice; vi è la successione autentica di Gesù per mezzo del gruppo apostolico con Pietro alla sua testa, per mezzo della Chiesa col Papa alla sua testa: tal è l’organizzazione autentica della salute, corrispondente a quello che è la natura umana, a un tempo corpo ed anima, individuale e sociale. Nessuno se ne deve allontanare. Colui che conosce questa organizzazione o che ha il mezzo di conoscerla è giudicato da essa; allontanandosene si perde; abbandona la via, la verità e la vita; esce dall’edifizio non manufatto in cui si trova la porta delle pecorelle, quella per cui devono passare, per andare ai pascoli divini, tutte le pecorelle umane. « Fuori della Chiesa, nessuna salvezza », in questo senso, significa: fuori di Cristo e dei mezzi di Cristo, non vi è nessuna salvezza; fuori di Dio, non vi è nessuna salvezza, ed è una evidenza.

D. Il diritto non è il fatto.

R. Appunto ci arrivo. Il diritto, in ogni materia morale, non esprime che una verità parziale. Fa d’uopo entrare nelle coscienze e conoscere quali sono le loro disposizioni riguardo a Dio, la loro sottomissione ai mezzi di Dio, sia che li conoscano o li ignorino.

D. È possibile essere sottomessi a ciò che non si conosce?

R. Vi si può essere sottomessi per disposizione eventuale, e un’autorità benevola accoglie questa sottomissione.

D. Così sarà uno salvo senza la grazia?

R. Nessuno può essere salvo senza la grazia, poiché essere salvo è entrare nell’ordine soprannaturale ed è la grazia che vi ci introduce. Ma la grazia non è invariabilmente legata a un mezzo esterno qualsisia, benché essa abbia per mezzo ufficiale ed ordinario i Sacramenti della Chiesa. « La grazia di Dio non è incatenata ai Sacramenti », dicono i teologi.

D. Né alla Chiesa stessa?

E. Né alla Chiesa stessa, in ciò che ha di esterno. Alessandro VIII condannò Arnaldo perché negava che vi fosse grazia fuori della Chiesa.

D. Qualche incredulo può dunque avere la grazia?

R. Possono avere la grazia non solo degli increduli, ma anche degli atei, e perfino dei persecutori apparenti, che non sono che dei traviati.

D. Che cosa ci vuole perché l’abbiano?

R. Che siano nella disposizione di ubbidire alla verità che essi ignorano o combattono; che, per trovarla, appena sono nel dubbio, facciano sforzi seri, e intanto pratichino i doveri importanti che sono loro noti.

D. Ma questo non è la fede, e tu dici che la grazia, quando occupa il fondo dell’anima, produce nell’intelletto la fede.

R. Gl’increduli di cui parlo hanno la fede; aderiscono di cuore, e perfino il loro intelletto aderisce implicitamente, per tendenza, «in intenzione » (P. GARDEIL), a tutto ciò che ignorano. I bambini battezzati hanno veramente la fede, benché essi non sappiano niente: il povero incredulo crede di sapere altro; crede di negare; ma attraverso alle negazioni della mente, Dio vede il cuore fedele; anche nella mente, Egli vede l’orientamento, in mancanza dell’oggetto riconosciuto, ed è presente a quel cuore con la sua grazia, artefice di carità soprannaturale, a quella mente per la virtù soprannaturale e segreta della fede.

D. E tu dici che questi individui appartengono alla Chiesa?

R. Sì, in quanto a ciò che fa della Chiesa una società propriamente spirituale, cioè l’unione intima con Cristo e con lo Spirito di Cristo, sia pure nell’incoscienza e nel segreto.

D. È quello che tu chiami l’anima della Chiesa?

R. S. Tommaso lo chiama anche Corpo mistico della Chiesa, il suo corpo nascosto, ed è la stessa cosa.

D. La tua Chiesa è un vivente strano!

R. È un vivente spirituale, un vivente immortale: perciò essa non ha di visibile che una parte di se stessa, e ne ha due invisibili, una nel mondo sopraterrestre, l’altra nei cuori.

D. Ce n’è ancora un’altra, secondo quello che dicevi: quella che precedette la sua nascita storica, formata dei giusti di altri tempi pagani, o Giudei.

R. Sì, poiché Cristo precedette se stesso per l’efficacia anticipata della sua azione; poiché nel pensiero di Dio, « l’Agnello di Dio è stato immolato dall’origine del mondo » ($. GIOVANNI).

D. Si possono chiamare Cristiani i falsi increduli che ora hai descritto?

R. Evidentemente, poiché vivono nell’unione di Cristo. «Vi sono più Cristiani che non si pensi», diceva $. Giustino. Per lui Socrate era un Cristiano; parimenti Seneca per S. Agostino; altrettanto, per S. Tommaso, il centurione Cornelio, in grazia di una «fede implicita ».

D. E gli eretici, gli scismatici?

R. Dal punto di vista in cui siamo, non vi sono eretici e scismatici se non quelli che dal P. Gratry sono chiamati « gli eretici del genere umano », cioè i cattivi.

D. Tu non escludi dalla Chiesa e dalla salute della Chiesa se non i cattivi?

R. Sì, chiamando cattivi coloro che, per malizia o per grave negligenza, si rifiutano ostinatamente alla verità di Dio e alle leggi di Dio.

D. La salute è dunque accessibile a tutti?

R. Dio ci ama a tal segno, che una sola cosa ci può strappare al suo amore: la nostra cattiva volontà.

D. Mi viene un dubbio circa l’autenticità di questa dottrina, così larga e così contraria a quello che si sente generalmente.

R. Mi rallegro teco. Ma ti citerò un’autorità che ti può tranquillare pienamente, poiché si tratta di un Papa vituperato presso gl’inereduli per la sua «intransigenza », il Papa stesso del Sillabo, Pio IX, nella sua celebre allocuzione del 9 dicembre 1854. «La fede, dice egli, obbliga a credere che nessuno può essere salvo fuori della Chiesa cattolica e romana, che è l’unica arca di salute, fuori della quale perirà chiunque non vi entra ».

D. Ma ciò è spaventoso! e tu appoggi là sopra la tua opinione larga?

R. Aspetta! Lì sta quello che ho chiamato il diritto, o se si vuole la verità ufficiale, il piano autentico. Ecco ora il fatto: «Tuttavia bisogna ugualmente tenere per certo che quelli che ignorano la vera religione senza loro colpa, non possono portare agli occhi del Signore la responsabilità di questa condizione ».

D. Ma forse la colpa qui è giudicata per presunzione; o forse ancora si riserva una responsabilità collettiva, come per la « colpa »originale.

R. Ascolta la continuazione: « Ora chi avrà la presunzione di fissare i limiti di questa ignoranza secondo la natura e la varietà dei popoli, dei paesi, degli spiriti e di tante altre circostanze così numerose? Quando sciolti dai vincoli di questo corpo, vedremo Dio tal quale è, noi comprenderemo per quale stretta e magnifica unione sono legate la misericordia e la giustizia divina… Ma i doni della grazia celeste non faranno mai difetto a quelli che, con un cuor sincero, vogliono esser rigenerati da questa luce e la domandano ».

D. È davvero una bella ampiezza; ma allora a che servono le tue opere di apostolato? Se la salute è dovunque, è inutile attirare la gente nella Chiesa visibile.

R. È un grande errore. La salute è dovunque possibile; ma non è dovunque ugualmente probabile, e soprattutto non è ugualmente facile, né ugualmente glorioso per Cristo. A parità di buon volere, non è identica la situazione di colui che è nella Chiesa e di colui che ne è fuori. È forse la medesima cosa abitare in una fredda catapecchia o in una casa ben riscaldata? È forse la medesima cosa ricevere attraverso a fitti strati di nubi una luce diffusa o trovarsi in pieno sole? I mezzi che la Chiesa presenta per l’uso del buon volere sono immensi; essi permettono un progresso molto maggiore e più rapido della vita divina in un’anima; garantiscono quest’anima contro i pericoli formidabili ai quali l’altra resta esposta. Del resto tu dimentichi i bambini non battezzati, i quali, non arrivando all’età della ragione, non possono trarre benefizio né dai supplementi interiori di cui parliamo, né dall’azione collettiva incanalata dai riti. Aggiungi che la gloria esterna di Cristo e il benefizio comune vorrebbero una incorporazione visibile e attiva di tutta l’umanità alla società spirituale, che è come il corpo di Cristo, e, per l’apostolo, ciò è capitale.

D. Credi tu che le Chiese dissidenti, cristiane o pagane, possano servire a questa salute interiore degli individui che tu dichiari possibile dovunque?

R. Per se stesse, le Chiese dissidenti, per Cristo e per l’opera di Cristo, sono delle nemiche. Esse lacerano o disconoscono l’unità che è la legge gloriosa del mondo; esse offrono mezzi di salute che non sono i veri, o che esse restringono ed alterano, a scapito delle anime. Ma anche questa, come per i casi degli individui, non è se non una verità parziale. Infatti, queste Chiese dissidenti, che in tutto ciò che esse hanno di buono riflettono e rappresentano la Chiesa vera, ne possono dunque in proporzione e accidentalmente esercitare il compito. La Chiesa vera le avvolge in una certa maniera, come avvolge tutte le anime figlie di Dio. Utili provvidenzialmente, queste Chiese sono per l’opera autentica della Provvidenza qualcosa come delle dipendenze.

D. Dei ripari, per chi non ha trovato la sua casa?

R. Dei ripari d’occasione: è infatti il nome che loro conviene, nello stesso modo che prima di Cristo la Sinagoga era un asilo autentico provvisorio.

D. Si può dire che Cristo è in questi asili?

R. Egli è dovunque sono i suoi figliuoli, ma non nella stessa maniera. È a Roma in casa sua; a Benares o alla Mecca come presso lo straniero.

D. Ma egli benedice il maomettano, l’indù, l’ortodosso e il protestante di nobile cuore?

R. «Pace in terra agli uomini di buona volontà ».

(Ma colui che si ostina a restar fuori dalla Chiesa di Cristo – pur avendone la possibilità – e a non riconoscerne il Capo nel Vicario successore di s. Pietro, designato dallo Spirito Santo, può esser mai considerato un uomo di buona volontà? Si veda l’opera del Rev. M. Müeller, C. SS. R. nel suo volume: Extra ecclesiam nullus omnino salvatur in ExsurdatDeus.org..

Per l’appartenenza al Corpo mistico, abbiamo la Lettera del Santo Officio all’Arcivescovo di Boiston, dell’8 agosto 1949, che chiarisce definitivamente la questione e tronca ogni libera teologica discussione – ndr. –).

http://chi appartiene al corpo mistico di Cristo e chi no exsurgatdeus.org

IL SACRO CUORE DI GESÙ (49)

IL SACRO CUORE (49)

J. V. BAINVEL – prof. teologia Ist. Catt. Di Parigi;

LA DEVOZIONE AL S. CUORE DI GESÙ-

[Milano Soc. Ed. “Vita e Pensiero, 1919]

PARTE TERZA.

Sviluppo storico della divozione.

CAPITOLO IV.

LA DIVOZIONE NEL XVII SECOLO

Per ciò che riguarda la nostra divozione, si può dire che non si riscontra un passaggio ben deciso fra il XVI secolo e il XVII. Se però si cerca di approfondire qualche tratto e di precisarlo, si può dire, senza esagerare, che durante il secolo XVI la divozione si costituisce in se stessa, più che propagarsi, mentre nel secolo XVII si propaga piuttosto che costituirsi in se stessa. Si riscontra, è vero, sino dal XVI secolo, un primo sbocciare della divozione, ma è sopra tutto una fioritura nelle anime; non è, per quanto almeno possiamo afferrare, un movimento generale, che si trasmette e si comunica grado a grado; la devozione rimane affare individuale e non presenta una diffusione sociale e, per quanto le tracce siano numerose, si mantengono circoscritte. Niente indica un movimento che abbia coscienza di se stesso e tenda a generalizzarsi. Il secolo XVII, al contrario, ci si presenta come un’aurora della divozione o, se si vuole, come la sua primavera; tutto annunzia il gran movimento che va poco a poco, alla conquista del mondo. Segni oscuri per quelli che vivevano allora, salvo per qualche anima privilegiata, profetessa dell’avvenire: segni assai chiari per noi, che conosciamo questo avvenire. Studieremo rapidamente questa divina preparazione. I fatti sono, presso a poco, gli stessi che abbiamo già riscontrato ma si moltiplicano singolarmente e, avvertiti come siamo dagli avvenimenti. Ci danno l’impressione di un movimento che comincia e si propaga. Non è facile raggruppare. questo. ammasso di fatti. L’ordine cronologico non è Sempre possibile e impedirebbe spesso di vedere i rapporti reali delle cose; gli altri aggruppamenti rischierebbero di falsare la prospettiva o di stabilire dei rapporti fittizi. Sembra perciò naturale collegare l’ordine cronologico con l’ordine delle cose, procedendo ora per regioni, ora per comunità religiose, o mediante riunioni analoghe, seguendo per ogni diversa serie di fatti, sia l’ordine cronologico, sia qualche altro ordine indicato dall’analogia delle cose (Riserbiamo per il capitolo susseguente ciò che riguarda le Visitandine, i Gesuiti e il Beato Giovanni Eudes).

I. LA DIVOZIONE FUORI DELLA FRANCIA

Spagna: S. Michele dei Santi. Marina d’Escobar. Maria d’Agreda. — Fiandra, Belgio e Paesi Bassi: Nicola Montmorencv. Benedetta Haeften. Giacomo Marchant. Giovanna Cambry. La madre Deleloe. — Svizzera: San Fedele di Sigmaringen.

Ecco, dapprima, nella Spagna, San Michele dei Santi, monaco della Santissima Trinità (1590-1625). Egli chiedeva a Nostro Signore di cambiargli il cuore e dargliene un altro più amante e più generoso. Nostro Signore l’esaudì (Ufficio del Santo, lezione VI, 5 luglio. Cf.: Acta canonizationis, negli Analecta iuris Pontificii, 1863, p.. 1446); si prese il cuore del Suo diletto Michele e se lo nascose nel seno, in cambio gli diede il suo cuore, tutto infiammato d’amore. –  Ancora nella Spagna, s’incontra la Venerabile Marina d’Escobar (1554-1633), alla quale Nostro Signore rivelò spesso i segreti del suo cuore. Dopo avere scritto la regola per le sue religiose, l’offrì a Nostro Signore dicendogli che era sua. « Hai ragione. le disse Gesù, è mia infatti. Alza piuttosto gli occhi e guarda il mio cuore ». « lo alzai gli occhi dell’anima mia, disse ella, e vidi tutta la regola scritta nel suo divin Cuore » (Vita, scritta dal P. Luigi da Ponte, I parte, I. 5, c, 20, n. 3 Traduzione latina, Praga, 1622, p. 536. In  FRANCIOSI, col, 354. Si noti che la Venerabile dice … gli occhi dell’anima, è, ordinariamente, nello stesso senso na che bisogna intendere la cosa, anche là ove non è detto espressamente. Nello stesso senso ella dice ‘che abbracciava, secondo la nostra maniera di parlare », i piedi del Salvatore.). Un altro giorno Egli le mostrava le piaghe delle sue mani e dei suoi piedi: « E quella del cuore? gli chiesi; Guarda, mi rispose, e mi mostrò anche quella e nello stesso tempo il suo cuore che si intravvedeva attraverso la ferita » (Ibid. l. 2, c.21, p. 197; Franciosi l.c.). Il venerdì santo del 1616, siccome ella era paurosa, e teme le illusioni, Nostro Signore le disse: « Avvicinati, e tocca la ferita del mio costato. lo mi avvicinai e la toccai, e tosto sentii dei raggi ardenti d’amor divino, che uscivano dalla ferita del cuore e l’infiammavano d’amore per lui » (Ibid, 1.2, c. 17; p. 203; Franciosi, col. 355.). Nel febbraio del 1622, ella vide Nostro Signore come in cielo e dal suo petto una scala discendeva, allargandosi verso la terra. « Gli angeli, disse ella, mi condussero appiè della scala, e cominciai a salire…. sino a che fui arrivata…. là ove la scala si appoggiava al suo petto. Egli allora. mi introdusse…. nel santuario segreto del suo petto divino…. Là vidi il mistero della Santissima Trinità, per quel tanto, almeno, ch’io ne ero capace » (Ibid. d, 1,53;.c. Le 91; Franciosi, col. 355-356). E a lei pure volle (18 luglio 1612) far dono del suo cuore, affine di renderla perfettamente conforme a questo cuore divino (Ibid, 1. 3, c. 28, n. 2, p. 336; Francrosi; col, 356). Infine, in un giorno di dicembre del 1618, le diede la chiave del suo cuore e della sua volontà per significarle che d’ora innanzi ella non avrebbe avuto che esprimere un desiderio ». Purché la cosa fosse espediente, gliela accorderebbe subito e volontieri » (Ibid, 1. 6, c. 9, n. 2, p. 626; Franciosi, col, 357). Non abbiamo noi forse qui i principali elementi di un trattato di divozione al sacro Cuore? Marina d’Escobar merita perciò un posto a parte fra i precursori della beata Margherita Maria. – Accanto a lei si può menzionare un’altra mistica spagnola, oggetto di contestazioni, la Venerabile Maria d’Agreda (1602-1665). Ella, del resto, ha poche cose sul cuore di Gesù, e quel che ne dice non è che la ripetizione di quel che troviamo da per tutto; l’apertura del costato fa scorrere dal cuore divino le sorgenti feconde della grazia; ci mostra l’amore di questo cuore, e invita le anime a entrare per gustare questo amore, attingendolo alla sua sorgente, e per cercare un rifugio (La cité mystique de Dieu, 2. parte, 1. 6, c. 24, n. 1440 e 1451, Traduzione Croset; Franciosi, col. 412).

Nei Paesi Bassi, un uomo di Stato, un belga, che, fra le occupazioni importanti affidategli dalla fiducia di Filippo II, trovò tempo di scrivere dei libri di pietà, Nicola Montmorency (1556 al 1617 circa), pubblicava nel 1616 ad Anversa un Diurnale pietatis in due volumi, ove si trovano molte preghiere o affetti pii, tolti spesso da autori il cui nome viene indicato in margine. Fra queste affezioni o preghiere, più d’una son rivolte al sacro Cuore. Eccone un bello esempio : «Saluto e preghiera del mattino al Cuore di Gesù: Io lodo; benedico glorifico e saluto il vostro dolcissimo e benignissimo cuore, o Gesù Cristo, mio fedele amico, rendendovi grazie per la custodia fedelissima da cui mi avete circondato in questa notte e per la paterna ed immensa bontà con la quale sopportate e conservate, fra tanti altri, me, il più miserabile di tutti i peccatori, e. anche mi visitate qualche volta con le inspirazioni della vostra grazia. Ed ora io vi prego, o mio unico amico, per virtù del vostro divin cuore, purificatemi da ogni macchia, preservatemi misericordiosamente, da ogni pericolo, e accordatemi la grazia di perseverare fedelmente e felicemente nel vostro santo servizio e nel vostro amore, sino alla fine della vita mia ». «0 cuore dolcissimo di Gesù, dove si trova ogni bene, Trinità, in voi mi affido, a voi mi abbandono interamente, in voi getto ogni mia sollecitudine e tutto quel che mi opprime, a voi mi offro umilmente, per essere purificato dei miei peccati, a voi mi rimetto con intiera confidenza, affinché suppliate a tutta la mia insufficienza. In voi è ogni mia speranza, ogni mia consolazione, in voi il mio riposo e la mia dimora. Che scorra da voi su di me, una stilla del sangue del costato aperto del mio Signore Gesù, per cancellare le mie sozzure, e per infiammare il mio cuore del divin amore. O cuore di Gesù, Cuore tutto amore, siate per me il rifugio nella tentazione, la consolazione nella pena, il riparo nel momento della morte; ch’io mi riposi e mi addormenti in voi fino a che gusti e senta quanto è soave Gesù, lo sposo dell’anima che ama. il Dio benedetto al disopra di tutto e per sempre. Amen. » (Diurnale pietatis. Antverpiæ, 1616, t. I, p. 153-154). – Il pio autore non indica, donde ha preso questa preghiera. Le prime linee ci danno il saluto del mattino di santa Ma, non ho identificato tutto, ma certe idee, certe espressioni, sono di Luigi de Blois, le altre risentono di Eschio e di Lansperge. L’Olanda ed il Belgio ci offrono ancora due scrittori ascetici, fra molti altri, e sono ‘Giacomo Marchant e dom Benedetto Haeften, abate di Afflighem (1587-1648), nel suo libro intitolato: L’école du coeur,1629, parla della piaga del costato in termini commoventi che  riassumono tutta la idea tradizionale. Egli pure trova il cuore attraverso la piaga: « avvicinati (anima mia) al Dio del tuo cuore, al cuore del tuo Dio: pianta là la tua tenda e fai la tua dimora. La unisci il tuo cuore del tuo amore: non già il dito la mano, ma il cuore bisogna immergervi ». egli vede nel cuor divino il modello di di ciò che deve essere il suo cuore. « Ciò che devono essere i pensieri del mio cuore lo trovo scritto in questo cuore. Perché il vostro cuore è la regola … dei cuori umani, essi devono esser regolati sul vostro cuore. Andrò dunque a questo cuore profondo, al cuore del mio Dio e riguarderò le sue perfezioni, per trasportarle nel mio cuore, con l’aiuto della sua grazia. Il tuo cuore, o Dio del mio cuore, è stato puro da ogni attrazione umana, da ogni amore per ciò che passa … Degnati, o Signore, amico cedi cuori, di spandere tutto questo nel cuore del tuo servo, affinché io lo riguardi e sul quel modello  rettifichi il mio cuore. Riguardami ancora, e abbi pietà di me, o Signore; e da questo specchio ardente del tuo cuore (l’autore un po’ più sopra ha confrontato il cuore di Gesù al famoso specchio concavo di Archimede che incendiò la flotta nemica) manda raggi di fuoco nel mio cuore per infiammarlo e renderlo conforme al cuor tuo. » (Ibid. 544 – 546; Franciosi, col. 380; altro passo bellissimo citato dal p. Dufai, Trésor, t. VII, p. 393-395, a proposito del testo Vulnerasti cor meum.  « Se rimaneste confitto alla croce fu ben più per i legami del vostro amore che per i chiodi di ferro … ed è per l’amore che io debbo essere unito al vostro cuore. E come non amarvi? Voi siete stato ferito per me, o mio Gesù. Rendetemi dunque ferita per ferita » lib. 4, lect. 12, pag. 519). – In un’altra opera egli dice: « Contempliamo adesso il cuore di Cristo, purissimo serbatoio (receptaculum) della divina dolcezza. Di qual dolcezza trabocca! Chi ci aprirà la porta di questo cuore, affinché possiamo vedere i tesori che vi sono nascosti? » E il pio autore comtempla ora l’intenziozionidi questo cuore e i suoi desiderî, ora i pensieri e l’amore di questo cuore per noi. « Ma che?, aggiunge, Egli ha voluto che il suo cuore fosse aperto dalla lancia del soldato, perché divenisse per i colpevoli una città di rifugio, un asilo di pace, il nido ove la colomba medita, la cella vinaria e il talamo della sposa, il riposo dell’anima e il santo dei santi. Che dire infine? Il cuore dell’uomo non saprebbe concepire quale abbondanza di dolcezza si nasconda nel cuore del Figlio dell’uomo » (R. D. Hæfteni, Venatio sacra, |. 11, c. 3, p. 455 (per errore 456), Anversa, 1650. Alla fine della prefazione, un cuore trafitto da tre chiodi, sormontato dal monogramma IHS, con una croce sulla traversa dell’H). – Giacomo Marchand (nel 1648) nel suo Hortus Pastorum, invita la mistica colomba a entrare nel costato trafitto di Gesù: « Tu non potrai trovar riposo, le dice, che nel cuore del Salvatore….  È là ch’Egli ha voluto prepararti un asilo. Il cuore, ardente d’amore, è il giardino fiorito ove puoi trovare le tue delizie, ed esclamare: “È buona cosa per noi rimanere quì ,,. Se tu senti dunque che il tuo cuore è povero, tiepido, duro, rivolgiti verso il Dio del tuo cuore…. Per questa larga porta del costato…. è stato aperto l’ingresso sino al cuore. Là immedesima il tuo cuore col suo, per prendervi luce, vita, fiamme…. La sua ferita non è tanto quella fatta dalla lancia quanto quella che fece l’amore; o, se ti sembra più giusto, è insieme quella della lancia e quella dell’amore. Ecco perché  dice due volte: Hai ferito il mio cuore, o mia sposa, hai ferito il mio cuore. Rispondigli, dunque, a tua volta: Ferisci il mio cuore, o sposo mio, ferisci il mio cuore, feriscilo con la compassione, feriscilo con l’amore » (Hortus Pastorum, tract. 2, lect. 21. De vulnere lateris. Testo latino in Franciosi, 692-693). – Pure al paese fiammingo ci rimanda Giovanna di Gambry, (1581-1639), da prima religiosa agostiniana, poi reclusa a Lilla. Fu essa una grande devota della piaga del costato; e, più d’una volta, nella piaga del costato s’incontrò col divin cuore. In questo sacro costato trovava « due camere nuziali », come essa dice, « l’una di carne e di sangue, rappresentante la sua umanità, l’altra, il cuor d’oro, a rappresentare la sua divinità ». Possiate voi, scriveva al suo direttore, possedere talmente queste due camere, che non possiate uscire mai » (Vie admirable de Jeanne de Cambry, del P. Sarntrain, C. SS. R., Tournai, 1898, 3.a parte, c. 6; cf.: Franciosi, 365-366.). E nella sua grande opera spirituale rappresenta il cuor di Gesù come « il letto nuziale, ove riposano lo Sposo con la Sposa, l’anima con Dio. Il talamo, dice, sarà il divin cuore di Gesù, ove sarà il cuore pieno d’amore del dolce Gesù, ove l’anima si riposerà, e a cui sarà unita, e dei due cuori non se ne farà che uno con una unione d’amore. Se amiamo Dio, bisogna che il nostro cuore ritorni a Dio, a quel cuore amoroso di Gesù, che per amore volle nascere da una Vergine e soffrire morte e passione, per mostrarci il suo amore ardente; a questo cuore che è stato trafitto da una lancia per noi, a cagione di questo fuoco d’amore. O cuore divino che cosa vi ha dunque in questa ingrata e miserabile creatura, perché  l’amiate così? Ma è il vostro amore acuto e ardente, che vi fa amare in questo modo l’opera vostra! E poiché Dio ama quello che Egli ha fatto e creato, per quanto siamo ingrati; non ameremo noi Colui che ci ha creato? ((1) Traîté de la ruine de l’amour propre, etc., 1 4, c. 26. Les Oeuvres spirituelles de’Saeur Jeanne-Marie de la Présentation.,..Tournai, 1655. Franciosi, col. 368. Vedi. nella Vie admirable de Jeanne de. Cambry, del Sarntrain, C. SS. R. Tournai e Parigi (Castarman, 1899), la 3.2 parte, c. 6, la devozione di Giovanna al Sacro Cuore, p. 320-337).Nelle stesse regioni l’ordine di san Benedetto, ci se fornisceanch’esso una devota del sacro Cuore, che fu ultimamente rivelataal pubblico da Dom Bruno Destrée, la Madre Giovanna deSaint-Mathieu Deleloe. Nata a. Fauquembergues, nella diocesidi Arras, entrò fra le Benedettine della città nativa e seguìla sua comunità a Poperinghe, quando le suore furono obbligatea trasferirsi colà. Morì nel 1660. Tutta la sua vita nonfu che un succedersi d’intime comunicazioni col cuore diGesù (Une mystique inconnue du XVII siècle, di Dom Bruno Destrée, Brouges, 1905). – Finalmente, prima di parlare della Francia, da dove non usciremo quasi più, segnaliamo un santo dell’ordine di san Francesco, san Fedele da Sigmaringa, capuccino (1577-1662). Fra le sue pratiche di divozione se ne nota una in onore del cuor di Gesù. La preghiera comincia così: «Io vi ringrazio, o amabilissimo Gesù, per l’amore infinito e per l’infinito dolore del vostro dolcìssimo cuore », Egli vi si abbandona interamente a Gesù e conclude: « Durante tutta la mia vita, e particolarmente nell’ora della morte, troverò un rifugio Sicuro in quella ferita d’amore del vostro fedelissimo cuore » (Segnalato da R. de la Bécassière; vedi: il Compendio storico… della devozione al SS.mo Cuore di Gesù. Ediz. 2a, Roma, 1822 p. 34, $ 14. La preghiera non è, io credo, del santo medesimo. Vedi più sopra, Luigi de Blois e Nicolas de Montmorency).

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (4)

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (4)

Tratte dall’Apocalisse, dal Vangelo, dalle Epistole degli Apostoli, e dalle Profezie dell’Antico Testamento

Messe in relazioni con le rivelazioni della Suora della Natività

di Amedeo NICOLAS

PARTE PRIMA.

CAPITOLO III.

LA TERZA ETÀ DELLA CHIESA.

La terza età è descritta nel terzo Angelo, nel terzo sigillo, nella terza tromba e nella terza lode. Comprende gli anni che vanno da Costantino fino a Carlo Magno e alla scomparsa dell’eresia degli Iconoclasti (Sic. Holzhauser, tom. 1, p. 118, Wüilleret. Chiama questa età l’età dei Dottori).  

ARTICOLO 1.

I. La terza Chiesa, per il suo nome e la sua storia, corrisponde a questa epoca. Holzhauser (t. 1, p. 121, Wüilleret) dice che la parola Pergamo, il nome di questa Chiesa, significa “ciò che divide le corna“. Noi non abbiamo trovato nulla che possa fornirci questo significato, e ne diamo uno diverso che si accorda molto bene con ciò che è successo in quest’epoca. Fu a Pergamo che si iniziò ad usare la pergamena per scrivere; questo materiale fu chiamato così dal nome della città stessa; la Chiesa di Pergamo sarebbe dunque l’epoca della Scrittura, cioè dei Concili, dei Dottori e dei Padri della Chiesa, e infatti la storia ci dimostra che è proprio così.

II. Se dal nome della Chiesa di Pergamo passiamo all’esposizione secondo San Giovanni, potremo assegnarle il tempo e la durata che le abbiamo dato. Colui che parla ha in bocca (Apoc. cap. 1, v. 16) una spada affilata a due tagli, la spada della parola e della dottrina (Hæc dicit qui habet romphæam ex utraque parte acutam (Non sic Holzhauser, tom. 1, p. 122, Wuilleret), ibid. cap. II, v. 16). – L’epoca in questione non è quella degli imperatori romani persecutori; ma tuttavia ci sono dei martiri, e in particolare sant’Antipa, massacrato a Pergamo dagli ariani (Sic Holzhauser, tom. 1, p. 124, 125, Wüilleret). satana, non ancora incatenato nell’abisso, è seduto sul trono, che può rappresentare sia il breve regno di Giuliano l’Apostata, che la lunga serie di eresie che, a partire da Ario, continuò fino agli Iconoclasti. (Scio ubi habitas, ubi sedes est satanæ. Et in diebus illis Antipas testis meus fidelis, qui occisus est apud vos ubi satanas habitat – Io so che voi vivete dove satana ha il suo trono, e che in questi giorni Antipa, mio fedele testimone, è stato ucciso in mezzo a voi dove satana vive), ibid. cap. II, v. 13). Ario attaccò la divinità di Gesù Cristo, Macedonio quella del Santo Spirito; Pelagio esagerava la potenza umana nel bene e rifiutava la grazia. Nestorio vedeva in Gesù due persone. Eutyche, il più violento di quelli che lo combatterono al Concilio di Efeso, passò dall’unità delle persone all’unità della natura. I Monoteliti, i resti della setta degli Eutichiani, riconoscevano una sola volontà nell’uomo-Dio, e i demolitori di immagini perseguivano il culto della Croce e dei Santi. Quanti Concili generali e particolari, quante istruzioni pastorali, quanti scritti sono stati necessari per combattere tutte queste novità! L’aria era piena di eresie; appena ne finiva una, ne cominciava un’altra, e a volte ne esistevano diverse insieme. È dunque con ragione che San Giovanni nota l’esistenza di tutte queste false dottrine (Ita habes et tu tenentes doctrinum Nicolaïtarum – Voi avete tra voi alcuni che sostengono la dottrina dei Nicolaiti – cap. II, v. 15). E aggiunge al v. 14: Sed habeo adversùs te pauca, quia habes illic tenentes doctrinam Balaam qui docebat Balac mittere scandalum coram filiis Israël, edere et fornicari – Ho poco da rimproverarvi, cioè che avete tra voi alcuni che tengono la dottrina di Balaam, il quale consigliò a Balac di mettere lo scandalo davanti ai figli d’Israele, per indurli a mangiare e a fornicare – ; infatti, l’errore non era solo negli spiriti, era sceso nella pratica; il libertinaggio, l’intemperanza e la0 fornicazione si erano diffusi orribilmente. Essi precedevano la diffusione delle eresie, presso coloro che ne erano gli autori e si espandevano presso tutti i loro settari, che abbracciarono tutte queste menzogne solo per indulgere indisturbati in tutti i piaceri proibiti. – La Chiesa di Gesù Cristo non venne meno alla sua missione; Essa perseguì e condannò l’errore in tutte le sue forme. Preservò i dogmi cristiani con un gran numero di Concili; non rinnegò Gesù Cristo e la sua fede, nonostante i poteri temporali che la attaccavano; predicò la penitenza agli uomini erranti; Essa combatté con la spada della parola e della dottrina (Similiter pænitentiam age; si quominus veniam tibi citò, et pugnabo cum illis in gladio oris mei – Fate anche voi penitenza, altrimenti verrò presto da voi e combatterò contro di loro con la spada della mia bocca); ha dunque meritato bene che il suo divino fondatore le desse questa testimonianza e le dicesse: Et tenes nomen meum et non negasti fidem meam – Tu custodisci il mio Nome e non hai rinnegato la mia fede -, ibid. v. 13). La ricompensa che Dio concede al vincitore si riferisce a tutto ciò che abbiamo detto sulla terza età. Questa ricompensa è la manna della verità, della saggezza e della conoscenza che sono nascoste agli uomini carnali e fuorviati e sono note solo a coloro che vivono in Dio (Vincenti dabo manna absconditum, ibid. v. 17). È anche una pietra bianca su cui è scritto un nuovo nome che nessuno conosce tranne colui che lo riceve, e che potrebbe essere il nome di “Cattolico” che i fedeli adottarono allora per distinguersi dagli eretici che ancora si chiamavano Cristiani (Et dabo illi calculum candidum, et in calculo nomen novum scriptum, quod nemo scit, nisi qui accipit – Gli darò una pietra bianca con un nome nuovo scritto sopra, che nessuno conosce tranne colui che lo riceve – ibid v. 17).

ARTICOLO II.

Alla terza età corrisponde il terzo sigillo, alla cui apertura appare un cavallo nero, cavalcato da un cavaliere che tiene in mano una bilancia, e si sente una voce che esce dal mezzo dei quattro animali e dice: Due libbre di grano sono vendute per un denaro, e sei libbre di orzo per un denaro… Non nuocere al vino e all’olio (Et cùm aperuis set sigillum tertium, audivi tertium animal dicens: Veni et vide. Et ecce equus niger, et qui scdebat super illum habebat stateram in manu suậ, et audivi tanquàm vocem in medio quatuor animalium dicentium: Bilibris tritici denario, et tres bilibres hordei denario, et vinum et oleum ne læseris – E quando ebbe aperto il terzo sigillo, udii il terzo animale dire: “Venite a vedere“; ed ecco, apparve un cavallo nero, e colui che vi sedeva sopra aveva una bilancia in mano; e udii come una voce in mezzo ai quattro animali che diceva, come se tutte fossero d’accordo: Due libbre di grano per un denaro, e sei libbre d’orzo per un denaro; non fate del male al vino e all’olio –  cap. VI, v. 5. 6 ) . – Questo cavallo nero rappresenta molto bene, secondo noi, le tenebre dell’eresia e la notte dell’errore. Chi è immerso in esse non è morto, perché ha ancora un principio di vita nelle verità che ha conservato; ma è perso, ha perso l’orientamento; non sa dove va e può solo perdersi. La bilancia che il cavaliere tiene in mano e il prezzo alto e fisso dei beni più necessari alla vita, come il grano e l’orzo, indicano la grande carestia spirituale che regnava nel mondo quando sorse questa grande confusione, e che andò di pari passo con una grande carestia materiale che desolò la terra in seguito all’invasione dei barbari ariani. D’altra parte, la raccomandazione di non toccare il vino e l’olio, cosa che significa che le altre colture sono state toccate, rende abbastanza chiaro che il sacerdozio, rappresentato dall’olio, con cui i sacerdoti sono unti e i Vescovi consacrati, e che i veri fedeli, rappresentati dal vino, non saranno danneggiati dalle eresie che sorgeranno, perché la Chiesa trionferà su di esse. Holzhauser (vol. 1, pp. 273-277, Wüilleret) pensa che il cavallo nero di cui parla San Giovanni rappresenti la guerra dei Giudei sotto Vespasiano e la distruzione di Gerusalemme. In questo è in opposizione a tutte le idee generalmente accettate. È, infatti, universalmente accettato che il colore nero rappresenti l’erranza, che il colore rosso o ruggine rappresenti la guerra e la persecuzione; quindi il colore nero non può indicare massacro e devastazione.

ARTICOLO III.

La terza tromba ci mostra una grande stella, ardente come stoppa infiammata, che cade dal cielo sulla terza parte dei fiumi e delle sorgenti d’acqua. Il nome di questa stella è Assenzio; essa trasforma la terza parte delle acque in assenzio, e così causa la morte di molti uomini, perché le acque erano diventate amare come l’assenzio (Et tertius Angelus tuba cecinit; et cecidit de cœlo stella mugna, ardens tanquàm facula, e questo dice in tertiam partem fluminum et in fontes aquarum. Et nomen stellæ absynthium, et factu est tertia pars aquarum in absynthium, et multi homines mortui sunt de aquis, quia amaræ factæ sunt, Apoc. Cap. VIII. 8, v. 10. 11). – Questa grande stella rappresenta, secondo noi, i numerosi e grandi eresiarchi di cui abbiamo parlato, che uscirono tutti dal sacerdozio, e sono rappresentati per questo da una stella, i quali, essendosi dati all’errore, caddero dal cielo, da dove illuminavano gli uomini, alla terra e a tutto ciò che essa contiene. Tutte queste false dottrine erano molto perniciose; non si limitavano ad ingannare pochi individui; infettavano città, province e interi popoli (In tertiam partem fluminum et in fontes aquarum); costituivano partiti che si facevano guerra tra loro e devastavano le regioni; i barbari del nord, che avevano abbracciato l’Arianesimo misero a ferro e fuoco l’Impero Romano; e all’amarezza di una dottrina menzognera che precipitava le anime nell’inferno, si aggiunse l’amarezza per le guerre, le carestie, le pestilenze e la miseria. Holzhauser vede nella terza tromba il monaco Pelagio e il suo amico Celestino (t. 1, p. 339 a 342, Wüilleret); in quanto concorda che gli eretici che escono dal clero sono rappresentati da una grande stella, che la stella che cade rappresenti la caduta di coloro che sono sacerdoti; e con questo stesso fatto fa capire che è senza motivo che abbia fatto della seconda tromba, che è una grande montagna (Mons magnus, Apoc. cap. VIII, v. 8), il patriarca Macedonio, e che abbia confuso il sacerdote Ario con la prima tromba.

ARTICOLO IV.

La terza lode (sapientiam, Apoc. cap. V, v. 12) è per la terza età. L’errore, la confusione, le tenebre erano ovunque; era necessaria una saggezza eterna per apprezzarli, denunciarli, condannarli e salvare la verità in mezzo a questo diluvio di menzogne.

CAPITOLO IV.

LA QUARTA ETÀ DELLA CHIESA.

La quarta età della Chiesa è compresa nella quarta Chiesa, il quarto sigillo, la quarta tromba e la quarta lode. Cominciò con Carlo Magno e finì con Lutero (Sic. Holzhauser t. I p. 131, Wüilleret).

ARTICOLO PRIMO

I. Il nome della quarta Chiesa e la sua storia le danno il carattere ed il tempo che le assegniamo. – Il nome di Thyatira porta con sé l’idea di grandezza, di consacrazione, di illuminazione, di solennità; Holzhauser lo riconosce (vol. 1, p. 131, Wuilleret). Questo nome è quindi ben collegato al vero carattere di questo Medioevo, così calunniato al giorno d’oggi perché religioso, e durante il quale i Vicari del nostro divino Maestro hanno regnato sui re come sui popoli.

II. La storia di questa Chiesa è anche legata a questo nome. – Nostro Signore Gesù Cristo appare come il Figlio di Dio, al quale tutte le nazioni sono state date in eredità (Et dabo tibi gentes hæreditatem tuam, Ps. II, v. 8), come il Re dei re e il Signore dei signori (Rex regum et Dominus dominantium, Apoc. cap. XIX, v. 16). I suoi piedi sono luminosi come bronzo fine; i suoi occhi sono luminosi come la fiamma del fuoco (Hæc dicit Filius Dei qui habet ocu los tanquàm flammam ignis, et pedes ejus similes auricalcho, Apoc. cap. II, v. 18). Tutto in Lui indica il regno e il dominio, qualcosa che non si trovava in nessuna delle epoche precedenti. – La carità, la fede, lo zelo, la pazienza e le opere mirabili di questa Chiesa sono ben espresse nel v. 19: Novi opera tua, et fidem, et charitatem tuam, et opera tua novissima plura prioribus – conosco le vostre opere, la vostra fede, la vostra carità, il vostro zelo, la vostra pazienza, e le vostre ultime opere più abbondanti delle prime). Questa Chiesa è poi divisa in due parti, non successive, ma coesistenti. La prima è costituita da coloro che seguono Jezebel, la grande peccatrice d’Oriente, di cui si è parlato nel capitolo II, v. 20 a 23; e la seconda è costituita da coloro che non lasciano Thyatira, che rimangono fedeli alla Tiara, alla triplice corona del Vicario di Gesù Cristo, di cui si parla nello stesso capitolo, v. 24 a 29. – Il Maestro Divino fa un grande, ma unico rimprovero a questa Chiesa, quello di permettere alla donna Jezebel, che si chiama profetessa, di indottrinare e sedurre i suoi servi, di farli fornicare e mangiare alimenti consacrati agli idoli (Sed habeo adversùs te pauca, quia permittis mulierem Jezabel, quæ se dicit propheten, docere et seducere servos meos, fornicari ct manducare de idolothytis, Apoc. cap. II, v. 20).

III. Chi è questa Jezebel? Chi sono coloro che ella seduce e conduce al male? Questa donna rappresenta, a nostro parere e a quello di Holzhauser (t. 1, pag. 136-143, Wüilleret) la Chiesa greco-scismatica e secondariamente tutti i membri della Chiesa latina che si rivoltarono contro Roma, contro i principi della terra, tali Valdo, gli Albigesi, Wicleff, Jean Hus, e preparono le vie a Lutero, a Calvino e a quella nube di cavallette malefiche che si abbatté, nel XVI secolo sulla Chiesa occidentale – La Chiesa greca, con la sua separazione e le conseguenze che ne sono derivate, ha realizzato tutto ciò che l’Apocalisse dice di Jezebel. Essa si è detta profetessa, cioè ha parlato in nome di Gesù Cristo, in nome di Dio, mentre non ne aveva nessun diritto, nessuna qualità, nessun titolo. Ha sviato il popolo con i suoi insegnamenti erronei e lo ha sedotto con i suoi artifici. Fece sprofondare quelli che la seguivano nella fornicazione, e li svilì a tal punto da far loro mangiare cose consacrate agli idoli. – Le fu dato un tempo considerevole per fare penitenza (Et dedi illi tempus ut pœnitentiam ageret, Apoc. cap. II, v. 21). Da Fozio che iniziò lo scisma, a Michele Cerulario che lo consumò, passò più di un secolo. Da quest’ultimo all’asservimento della Chiesa orientale da parte dei Turchi passarono quattrocento anni; ma essa non volle convertirsi, e preferì il dominio dell’infedeltà e della morte al giogo così leggero e così paterno del Vicario di N.S. J.-C. (Et non vult pænitere à fornicatione sua – E non volle pentirsi della sua fornicazione.)  – L’ira di Dio si abbatté allora su questa Chiesa indurita con tutto il suo peso; la stese su di un letto (Ecce mittam eam in lectum, ibid. v. 22), cioè le tolse tutta la sua volontà, tutta la sua libertà, tutto il suo potere, rendendola schiava dei barbari maomettani che essa aveva preferito alla Chiesa romana. Essa precipitò nella più grande tribolazione coloro che fornicarono con essa, perché dopo il suo esempio non fecero penitenza (Et qui mạchantur cum ea, in tribulatione maxima erunt, nisi pænitentiam ab operibus suis egerint – E coloro che si contaminano con essa saranno nella più grande tribolazione, se non faranno penitenza per le loro opere -, ibid. v. 22). Inoltre, Dio consegnò alla morte spirituale i figli di questa Chiesa che i conquistatori feroci strapparono con la forza ai loro genitori, nella loro più tenera infanzia, per farne i loro giannizzeri, i loro soldati e i più fermi difensori dell’islamismo che è la morte dell’anima (Et filios ejus interficiam in morte – Ucciderò i suoi figli nella morte -, ibid. v. 23). La giustizia divina, nel punire la colpevole defezione della Chiesa greca, dà le ragioni del suo rigore. Tutte le Chiese impareranno da questo esempio, dice il testo sacro, che Dio scruta i lombi e i cuori, e rende a ciascuno secondo le sue opere (Et scient omnes ecclesiæ, quia ego sum scrutans renes et corda; et dabo unicuique vestrúm secundùm opera sua, ibid. v. 23). È perché i pensieri erano malvagi, i cuori erano corrotti, che ha respinto questi scismatici; è perché le loro opere erano cattive, che li rese schiavi dei Turchi; e anche la storia contemporanea conferma fin troppo bene i vizi e la cancrena dei Cristiani orientali che si sono abbassati anche al di sotto dei musulmani, con la loro doppiezza, e che formano ancora una delle tribù più barbare; perché soli, nel mondo, forniscono ancora pirati.

IV. Dio non indirizza lo stesso linguaggio alla Chiesa latina, alla Chiesa occidentale, a coloro che in altre parti del mondo sono rimasti fedeli a Lui, e in generale a tutti gli uomini che non hanno adottato queste menzogne e non hanno conosciuto le profondità di satana; al contrario, Egli promette loro che non li graverà di nessun altro peso (Vobis autem dico, et cæteris qui Thyatiræ estis: quicumque non habent doctrinam hanc, et non cognoverunt altitudines Satanæ, quemadmodùm dicunt, non mittam super vos aliud pondus, ibid. v. 23, 24). Egli pone come condizione che essi conservino ciò che hanno fino alla sua venuta (Tamen id quod habetis, tenete donec veniam, ibid. v. 25). E infine dà come ricompensa al fedele e al vincitore il potere sulle nazioni e la Stella del mattino (Et qui vicerit et custodierit usque in finem opera mea , dabo illi potestatem super gentes, et reget eas in virga ferrea, et tanquàm vas figuli confringentur, sicut et ego accepi à Patre meo: et dabo illi stellam matutinam – Colui che avrà vinto e avrà conservato le mie æuyres fino alla fine riceverà da me il potere sulle nazioni; e le vernicerà con una verga di ferro, e le spezzerà come un vaso di vasaio, come io ho ricevuto il potere da mio padre. Gli darò anche la Stella del Mattino – , ibid. v. 26, 27, 28). Cos’è questa stella del mattino? Cos’è questo potere sulle nazioni? La Stella del mattino (Stella matutina, lit. 5, v.) è Maria; ed è veramente nella quarta età e nel tempo che le assegniamo, che S. Anselmo, S. Bernardo, S. Bonaventura, S. Domenico, stabilirono e propagarono la devozione alla Beata Vergine, e quella del Rosario, che trionfò sugli Albigesi più efficacemente degli eserciti di Simone di Montfort. Questo potere è la supremazia dei sovrani Pontefici su tutti i re e i popoli, che li ha resi i padri della grande famiglia, e i principi gli anziani dei loro figli. – Riguardo alle promesse che Dio fa a questa Chiesa, ci prendiamo la libertà di fare due osservazioni: Il primo è che il potere sulle nazioni fu solo parziale, e fu esercitato solo in Europa, e non in tutto il mondo, durante il Medioevo; la seconda è che la devozione e il culto dell’iperdulia verso Maria si sono diffusi nella quarta epoca, ma che si sono sviluppati pienamente solo nel nostro tempo con gli innumerevoli prodigi che hanno manifestato l’onnipotenza dell’intercessione della Madre di Dio, con i grandi segni di bontà e protezione che ha dato alla terra, e infine con la proclamazione come dogma di fede della sua Immacolata Concezione. La triste Chiesa di Sardi non dà alla Chiesa il pieno potere sulle nazioni; non stabilisce il regno di Cristo su tutta la terra (Adveniat regnum tuum); lungi da ciò, schiavizza la religione; la tormenta, la perseguita, la spoglia, seduce un gran numero di fedeli e molti dei suoi sacerdoti; invece di estendere il culto di Maria, ne ritarda il progresso, e rimanda per più di duecento anni il riconoscimento del più bel privilegio della Madre di Dio. Sarà dunque nella sesta epoca che si realizzeranno le promesse fatte nella quarta, che vedremo questo grande omaggio reso alla nostra buona Madre e il regno di Cristo su tutti i popoli. – La nostra opinione, su questi due punti, è anche quella di Holzhauser; se ne può essere convinti leggendo le pp. 148 a 151, vol. 1. della traduzione di M. de Wüilleret, anche se non li commenta così a lungo come abbiamo fatto noi.

ARTICOLO II.

Alla quarta Chiesa, quella di Thyatira, corrisponde il quarto sigillo (Apoc. cap. VI, v. 7, 8) che ci mostra un cavallo pallido, cavalcato da un cavaliere chiamato Morte, e che appare in forma di scheletro. Questo cavaliere è seguito dall’inferno; egli riceve il potere sulle quattro parti della terra, e il potere di uccidere gli uomini con la spada, con la carestia, con la morte e con le bestie della terra – Et cum aperuisset sigillum quartum, audivi vocem quarti animalis dicentis: Veni et vide: et ecce equus pallidus, et qui se debat super illum, nomen illi Mors, et infernus seque batur eum, et data est illi potestassuper quatuor partes terræ, interficere gladio, fame et morte, et bestis terræ, cap. VI, v. 7, 8). Se il cavallo bianco rappresenta la conquista del mondo da parte di Gesù Cristo nella prima epoca; se il cavallo rosso indica le persecuzioni; se il cavallo nero rappresenta le eresie, si può dire con ragione che il colore pallido e cadaverico e la morte esprimono l’infedeltà, che è la morte spirituale, completa, che rende veri scheletri coloro che l’hanno abbracciata; e che, di conseguenza, il cavallo e il cavaliere del quarto sigillo sono il maomettanesimo e, più specialmente, l’impero turco. Maometto apparve nel secolo scorso, alla fine della terza età, e durante la sua vita fece grandi conquiste. I suoi primi successori governavano l’Arabia, l’Egitto, il Nord Africa, la Palestina, la Persia; avevano invaso parte della Spagna e attaccato la Gallia, ma erano entrati solo nell’Impero d’Oriente senza distruggerlo. Nella quarta epoca, i Turcomanni, usciti dalla Tartaria asiatica, sottomisero i Saraceni, altri Tartari che avevano sottomesso gli Arabi, e lasciarono loro solo l’Egitto e l’Arabia, che Selim poi prese da loro: Penetrarono ulteriormente nell’impero greco, si impadronirono di tutta l’Asia Minore, della Grecia e della cosiddetta Turchia d’Europa, e alla fine di quest’epoca, nell’anno 1453, presero finalmente Costantinopoli e fondarono il più grande impero che sia mai esistito; Infatti il maomettismo si diffuse in tutta l’Africa conosciuta, in Arabia, in Siria, Palestina, Mesopotamia, Circassia, Armenia, Persia, in tutta la Tartaria Maggiore e Minore, in India, Indocina, nelle isole della Sonda, nell’Asia Minore, l’antico regno di Macedonia e Grecia, e nel sud della Russia europea; così che dominava le quattro parti della terra, cioè l’est, il sud, l’ovest e il nord di Gerusalemme, che è il centro e l’ombelico del mondo (Ut diripias spolia et invadas prædam, ut inferas manum tuam super eos qui deserti fuerant, et posteà restituti, et super populum qui est congregatus in gentibus, qui possidere cæpit, et esse habitator umbilici terræ. – Ezech. cap. XXXVIII, v. 12), il luogo dove si è compiuto il grande Sacrificio. – Le devastazioni che questi infedeli hanno fatto, gli omicidi e gli assassinii che hanno commesso sono innumerevoli. La loro legge era quella della forza e della spada; la seguivano ciecamente come dei veri bruti. I loro crimini erano per loro atti di religione che assicuravano loro la felicità eterna; tutti coloro che non volevano abbracciare le loro menzogne venivano messi a morte. L’apostasia salì al punto più alto per questa ragione, per cui essi adempirono tutto ciò che è detto di loro nel v. 8 del sesto capitolo di San Giovanni. – Holzhauser non la pensa come noi; vede nel cavallo pallido e nel suo cavaliere, che è la morte, la persecuzione dell’imperatore Domiziano. Noi persistiamo nella nostra opinione; il lettore apprezzerà (tom. 1, p. 278, Wüilleret).

ARTICOLO III.

A questa stessa quarta epoca si riferisce la quarta tromba, al cui suono sono colpiti la terza parte del sole, della verità, la terza parte della luna, dei popoli che ricevono la luce del sole di giustizia, la terza parte delle stelle, cioè dei Sacerdoti e dei Vescovi, essendo la Chiesa greca circa il terzo della Chiesa universale; Il giorno perse la terza parte della sua luminosità, e così la notte (Et quartus Angelus tuba cecinit, et percussa est tertia pars solis, et tertia pars lune, et tertia pars stellarum, ita ut obscurare tur tertia pars eorum, et diei non luceret pars tertia, et noctis similiter, Apoc. cap. VIII, v. 12).

ARTICOLO IV.

La quarta lode, la forza (Fortitudinem, ibidem, cap. V, v. 12), si adatta bene alla quarta età che vide l’inizio e la sussistenza, in tutta la sua grandezza, del regno morale della Chiesa sui re e sui popoli d’Europa, e la sua indipendenza temporale.

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (5)

IL SEGNO DELLA CROCE (21)

IL SEGNO DELLA CROCE AL SECOLO XIX (21)

PER Monsig. GAUME prot. apost.

TRADOTTO ED ANNOTATO DA. R. DE MARTINIS P. D. C. D. M.

LETTERA VENTESIMA.

16 dicembre.

Il segno della croce è nostra guida. — Bisogno di una guida. — Stato dell’uomo sulla terra. — Il segno della croce conduce l’uomo al suo fine, per quello che ci ricorda, e per quello che ci propone ad imitare. — Ricordo generale. — Ricordo particolare. — Imitazione particolare.

Nobilitato l’uomo, arricchito e protetto dal segno della croce, qual cosa mai gli manca per raggiungere felicemente lo scopo del suo pellegrinaggio? È mestieri che egli trovi una guida, che lo meni. Come l’Arcangelo Raffaele, inviato per accompagnare il giovane Tobia nel lungo suo viaggio, cosi il segno della croce presenta ed offre a tutti noi, come ad amico, lo stesso ministero. Tal’è l’ultimo punto di vista, sotto il quale noi considereremo il segno della croce. – Viaggiatori pel Cielo, il segno della croce è una guida che ci accompagna. La notte è al mezzo del suo corso, il tuono rimbomba da per tutto, la pioggia vien giù a torrenti, le bestie feroci spaventate sortono dal fondo delle loro tane, e corrono incerte in tutte le direzioni, e non le si vedono che nel lume del baleno. Solo, tu sei nel mezzo della tua Foresta Nera, tale com’essa era a’ tempi di Cesare, immensa, orribile, senza vie e sentieri, deserta di abitazioni, vasto ricetto de’ grandi orsi della Germania, che impauravano i Romani fin sopra gl’inaccessibili gradini del Colosseo. Senti tu il bisogno di una guida caritatevole, che, postasi a te dallato, ti rassicuri con la sua presenza, e, datati la mano, ti conduca sano e salvo nel mezzo della tua cara famiglia? Debole immagine è questa della realtà! La Foresta Nera è il mondo; la tempesta con le sue tenebre, con i suoi fulmini, i pericoli, e gli spaventi che produce, è la vita. Ove sono? dove vado io? qual cammino è da prendere? Questa è la prima questione, che l’uomo a sè stesso muove nel mezzo di questa notte piena di agonie. La risposta non si fa attendere; dessa è tutta intiera nel segno della croce. Ecco ragione perchè la Chiesa, piena di sollecitudine per l’uomo, glielo insegna fin dalla culla, e questo segno, interpetrato dalla parola materna, dissipa tutte le tenebre, illumina il cammino, orienta la vita. – « Venuto da Dio, dice questo segno all’uomo, tu tornerai a Dio: immagine come sei di Dio, ch’è amore, tu devi tornare a Lui per l’amore. L’amore contiene il ricordo, e l’imitazione. Ricordarti di Dio, ed imitarlo: ecco la tua via, la verità, e la vita. Comprendimi, e tu eseguirai le due grandi leggi fondamentali della tua esistenza ». Nulla v’ha di più vero di questo discorrere della divina guida, e poche parole basteranno a mettere in chiaro sì sublime insegnamento. La memoria.— In Francia ed in Alemagna, ed ognidove, come oggi, cosi quattro mila anni fa, dicevasi: la memoria è il polso dell’amicizia. Come fino a che il polso batte, la vita esiste, e si estingue quando questo cessa dal battere; così è, non altrimenti e per l’amicizia. Finché la memoria dell’oggetto amato sussiste, l’affezione continua; ma languisce quando la memoria si dissipa, e muore del tutto se quella finisce. Questo, tu il sai, è cosa elementare. L’uomo è si convinto che la memoria è segno, causa e condizione delle affezioni umane, che gli amici non mancano di dirsi, lasciandosi: Non mi dimenticate; non vi dimenticherò giammai; e si scambiano degli oggetti, perchè, malgrado la lontananza, la memoria si conservi sempre viva. Fra l’amor di Dio e le amicizie umane v’ha ciò di simile, che la memoria n’é segno, anima e vita. Il ricordarci di Dio essendo la prima legge del nostro essere, era proprio della divina saggezza darci un mezzo ad osservarla, e perchè la legge era universale, il mezzo dovea esserlo parimente. Questa legge era per tutti, ricchi e poveri, dotti ed ignoranti, per gli uomini di piaceri e di pene; questo mezzo però doveva essere accessibile a tutti. Questa legge essendo fondamentale, questo segno dovea essere di grande efficacia. – Ho detto, mio caro Federico, che la legge del ricordarsi dell’amico è una legge fondamentale. La sposizione di questa parola ti mostrerà sotto nuova luce la importanza del segno della croce. Quello ch’è il sole nel mondo fisico, l’è Dio, per ogni riguardo, ed ancora più nel mondo morale. Se il sole, a vece di spargere sul pianeta i suoi torrenti di lume e di calore, ad un tratto si estinguesse, pensa tu stesso, quello che avrebbe luogo nella natura. All’istante medesimo la vegetazione si arresterebbe, i fiumi ed i mari si muterebbero in pianure di gelo, la terra diverrebbe dura come le roccie. Le bestie feroci, che la luce caccia nel fondo delle foreste, con spaventevoli urli si chiamerebbero a far strage dell’uomo, e la confusione e lo spavento padroneggerebbero quest’ultimo. Da per tutto regnerebbe la confusione e la disperazione, pochi giorni condurrebbero di nuovo il mondo al caos. Così, se il sole delle intelligenze dispare, tosto la vita morale si estingue; poiché tutte le nozioni del bene e del male si cancellerebbero, la verità e l’errore andrebbero confuse nel diritto del più forte; avverrebbe un caos morale. Nel mezzo di queste fitte tenebre, tutte le orride cupidigie, ed i sanguinari istinti, assopiti nel cuore umano, si risvegliano, si comunicano, si sbrigliano, e, senza paura e senza rimorso, si disputano i mutilati lembi delle fortune, delle città e degli imperi. La guerra è in ogni dove: la guerra di tutti contro tutti, rende il mondo un vasto ricinto di ladri ed assassini. Questo spettacolo non si è mai presentato allo sguardo umano, come mai gli si è mostrato l’universo senza l’astro che lo vivifica; ma quello che ha veduto è un mondo, in cui, simile al sole coperto di spesse nubi, l’idea di Dio non dà che un barlume incerto. Allora un brancolare continuo degli uomini fra la verità e l’errore; una moltitudine di sistemi fantastici ed immorali; le superstizioni crudeli e le passioni prendere il luogo delle leggi, i delitti quello delle virtù; il materialismo essere alla base, il dispotismo al sommo, l’egoismo da per tutto, ed ai combattimenti de’ gladiatori unirsi i festini di umana carne.  – Tuttavolta la dimenticanza di Dio fosse minore presso i Giudei di quello, che l’era presso i gentili, pure, presso di loro gli effetti erano analoghi. Per lo mezzo de’ Profeti ben venti volte il Signore attribuisce a questo delitto le iniquità ed i castighi di Gerusalemme, che era, come sai, il tipo de’ popoli. Ecco quel che dice il Signore: « Chi mai ha udito orrori simili a quelli, che ha commessi la vergine d’Israele…. poiché dessa m’ha dimentico. Tu ormi la tua sorella Samaria, ed io porrò nelle tue mani la sua coppa. Tu beverai la coppa di tua sorella, coppa grande e profonda: i popoli si befferanno di te. Tu sarai ebra di dolori, e del calice dell’amarezza, e della tristezza, del calice di tua sorella Samaria. Tu lo berrai, e lo sorbirai sino alla feccia, e ne divorerai i frammenti, e lacererai le tue viscere. Poiché tu mi hai dimenticato, e fatto da meno del tuo corpo, tu sentirai il tuo delitto e la pena di esso » (Gerem., XVIII, 13,15. — Ezech., XXIII. 31,35. –  Is. VII, etc.). Si può con maggiore energia caratterizzare i funesti effetti dell’abbandono di Dio! Ora l’enormità del delitto si misura dalla santità della legge, di che è violazione; il ricordarsi di Dio è dunque legge vitale della umanità. Dal che, argomenta tu stesso, l’importanza del segno della croce, destinato specialmente a tener vivo nella mente umana sì salutare ricordo.  – Dissi specialmente, a disegno; poiché, questo segno è un vaso tutto pieno di divine rimembranze, che, eseguendolo, come vivificante liquore, penetrano sino al fondo dell’essere umano. Ricordandomi necessariamente del Padre, sollevando il mio pensiero al Figlio, ed allo Spirito Santo, desse mi ricordano il Padre creatore, il Figlio redentore, lo Spirito Santo santificatore.  – Il Padre, ricorda a te, a me, a quanti hanno uno spìrito per comprendere, ed un cuore per amare, tutti i benefizi divini nell’ordine della creazione. Io esisto, ma a Voi devo, o Padre, la vita base di tutti i beni naturali; vita, che Voi mi avete data, preferendomi a tanti milioni di esseri possibili! A voi devo la conservazione di essa, e ciascun battito del mio cuore è un vostro benefizio; voi la rinnovellate ad ogni istante del dì, e della notte. Voi la continuate da poi molti anni, non ostante le mie ingratitudini, ed il mal uso da me fatto di essa. Voi siete meco largo di un tal benefizio, preferendomi a tanti altri, che, nati con me, o dopo di me, sono già morti. Vostro benefizio è altresì quanto conserva, consola ed abbellisce la vita. Il sole che m’illumina, l’aria che respiro, la terra che mi sostiene, gli alimenti che mi nutriscono, gli animali che mi servono, le vestimenti da coprirmi, i farmachi per guarirmi, i mie i parenti, gli amici, il mio corpo con i suoi sensi, l’anima con le sue facoltà, tutte le creature visibili ed invisibili, poste con tanta magnificenza a mio servizio, Padre creatore, queste, son tutte dono vostro!  – Il Figlio ricorda tutti i benefizii nell’ordine della Redenzione. Quando profferisco il vostro Nome, o Figlio adorabile, desso mi rapisce negli splendori dell’eternità, dove Voi, eguale al Padre, assiso sullo stesso trono, siete felice d’una infinita beatitudine. Ma ad un tratto, mi trovo in una misera stalla, dove vi vedo povero fanciullo, mancante di tutto, tremante di freddo, disteso su dura paglia, riscaldato a pena dalle carezze materne, e dal fiato di due animali! Dalla stalla passo al Calvario. Quale spettacolo! Voi, o mio Dio, il Re de’ mondi, il Re degli Angeli e degli uomini, sospeso al patibolo fra il cielo e la terra, nel mezzo di due ladri, dilacerato nelle membra, coronato di spine, bruttato nel volto da sputi, e da grumi di sangue: e questo per amor mio. La croce mi conduce al tabernacolo. Innanzi al mio Dio annientato, al mio Dio divenuto mio pane, al cospetto del mio Dio divenuto mio prigioniero, e mio servo, che ubbidisce alla voce d’un fanciullo; avanti questo compendio di tutti i miracoli dell’amore la mia bocca divien muta! Le lingue tutte degli Angeli e degli uomini tornano impotenti a profferire parola su di un mistero, che il solo amore infinito ha potuto concepire! – Lo Spirito Santo ricorda tutti i benefizii in ordine alla Santificazione. Il mondo tutto vi deve, o Amore consustanziale al Padre ed al Figlio! Desso vi deve il suo Redentore; qui conceptus est de Spiritu Sancto: desso vi deve Maria sua madre; Spirìtus Sanctus superveniet inte: desso vi deve la santa madre Chiesa Cattolica, ch’è per me quello che Maria era per Gesù; credo in Spiritum Sanctum, Sanctam Ecclesiam. Le sue viscere mi hanno portato, il suo latte m’ha nutrito, e con i suoi Sacramenti mifortifica, e guarisce. Ad essa io devo la comunione dei Santi, gloriosa società, che mette me povera creatura in istretto ed intimo rapporto con le gerarchie angeliche, e con tutti i Santi, da Abele sino all’ultimo degli eletti: ad essa devo la conservazione dell’Evangelio, luminosa fiaccola, e benefizio inestimabile, che ha tratto il genere umano dalla barbarie, e che gì’impedisce il ricadervi! – Conosci tu un ricordo cosi fecondo e cosi eloquente rome il segno della croce? Il filosofo, il politico, il Cristiano dimandano, qualche volta, un libro per meditare; ecco quello, che può tutti rimpiazzare. Questo libro, intelligibile per tutti, da potersi leggere da tutti, gratuitamente dato, è fra le mani di tutti. Iddio così l’ha fatto: quel ch’è fatto da Lui è ben fatto.

L’imitazione. — Ricordarci di Dio è la prima legge del nostro essere. Tu vedi, mio caro Federico, l’iniporlanza di questa legge, e come il segno della croce ci sia aiuto per osservarla. Imitar Dio è un’altra legge non meno fondamentale, che nessuno spirito assennato ha messo in dubbio. Ogni essere non è in dovere di sé stesso perfezionare? non è per questo, e solo per questo che la vita gli è data? La perfezione di un essere non è lo assomigliarsi al tipo su cui è stato modellato? La perfeziono del quadro non è in ragione della espressione con che rende i tratti del modello? L’uomo è fatto alla immagine di Dio. Esporre in sè stesso tutti i tratti di questa divina immagine, senza assegnare altri limiti alla propria perfezione, che la perfezione del suo sublime modello, tal’è la legge del suo essere, ed il lavoro di tulla lu sua vita. « Io v’ho dato l’esempio, diceva Cristo, perchè voi facciate come me ». Ed il suo grande Apostolo: « Siate mici imitatori come Io lo sono del Verbo incarnato: guai a chi non sarà trovato simile al tipo divino ». Ora nulla v’ha che possa meglio guidarci in questa via d’imitazione come la croce. Che cosa fa l’uomo formandola? Egli pronunzia il nome di Dio; perchè il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, tre Persone distinte in una sola e medesima divinità, sono Dio. Dicendo il Nome di Dio, all’uomo il segno della croce gli presenta il suo eterno modello, l’essere per eccellenza, in cui sono le perfezioni tutte in grado eccellente. E del pari, ripetendo i nomi di ciascuna Persona dell’augusta Trinità, propone alla nostra imitazione le perfezioni proprie di esse.  Nel Padre la potenza divina; e mi dice: Tu devi imitare la potenza del Padre creatore, e moderatore di ogni cosa, nel governo di te stesso, e del mondo, con l’impero sulle tue passioni, su le massime, gli usi, gl’interessi, i modi, le minacce, le promesse contrarie alla libertà ed alla dignità di un figlio di Dio, re come suo Padre.  – Nel Figlio la saggezza infinita; e mi dice: Tu devi imitare la saggezza del Figlio con la giustezza de’ tuoi giudizii e delle tue appreziazioni, col preferire invariabilmente l’anima al corpo, l’eternità al tempo, il dovere ai piaceri, la ricchezza che non vien meno, alla passaggera e transitoria. – Nello Spirito Santo l’amore infinito; e mi dice: Tu devi imitare la carità dello Spirito Santo col disciplinare, nobilitare le tue affezioni; strappando dal tuo cuore fin dalle fibre le più profonde l’egoismo, la gelosia, l’odio, e tutti i vizii, che producono internamente la degradazione, ed il disturbo all’esterno. Che ne pensi tu? Non è il segno una guida eccellente? Qual professore di filosofia può gloriarsi di mostrare con modo più chiaro, a ciascuna facoltà dell’anima, la maniera di sé stessa perfezionare? Nondimeno, noi non conosciamo che una parte de’ suoi insegnamenti: dimani tu vedrai gli altri.