DOMENICA I DI AVVENTO (2021)

DOMENICA I DI AVVENTO (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B.; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Stazione a S. Maria Maggiore.

Semid. Dom. privil. di I cl. – Paramenti violacei.

A Natale Gesù nascerà nelle nostre anime, perché allora si celebrerà l’anniversario della sua nascita e alla domanda della Chiesa sua Sposa, alla quale non rifiuta nulla, accorderà alle nostre anime le stesse grazie che ai pastori e ai re magi. Cristo tornerà cosi alla fine del mondo per « condannare i colpevoli alle fiamme e per invitare con voce amica i buoni in cielo » (Inno Matt..). Tutta la Messa di questo giorno ci prepara a questo doppio Avvento (Adventus) di misericordia e di giustizia.

Alcune parti si riferiscono indifferentemente all’uno e all’altro (Intr. Oraz. Grad. All.), altre fanno allusione alla umile nascita del nostro Divin Redentore, (Comm. Postcomm.). Altre, infine, parlano della sua venuta come Re in tutto lo splendore della sua potenza e della sua maestà (Ep., Vang.). L’accoglienza che noi facciamo a Gesù quando viene a redimerci, sarà quella ch’Egli ci farà quando verrà a giudicarci. Prepariamoci dunque, con sante aspirazioni e col mutamento della nostra vita alle feste di Natale, per essere pronti all’ultimo tribunale, dal quale dipenderà la sorte della nostra anima per l’eternità. Abbiamo fiducia, perché « quelli che aspettano Gesù non saranno confusi » (Intr. Grad. Off.). – Nella basilica di S. Maria Maggiore tutto il popolo di Roma un tempo si intratteneva in questa 1a Domenica di Avvento, per assistere alla Messa solenne che celebrava il Papa, assistito dal suo clero. Si sceglieva questa chiesa, perché è Maria che ci ha dato Gesù e poiché in questa chiesa si conservano le Reliquie della mangiatoia nella quale la Madre benedetta adagiò il suo Figlio divino.

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXIV: 1-3.
Ad te levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.

[A Te ho innalzato l’ànima mia: Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire, né abbiano a deridermi i miei nemici: poiché quelli che confidano in Te non saranno confusi.]

Ps XXIV:4
Vias tuas, Dómine, demónstra mihi: et sémitas tuas édoce me.

[Mostrami le tue vie, o Signore, e insegnami i tuoi sentieri.]

Ad te levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.

[A Te ho innalzato l’ànima mia: Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire, né abbiano a deridermi i miei nemici: poiché quelli che confidano in Te non saranno confusi.]

Oratio

Orémus.
Excita, quǽsumus, Dómine, poténtiam tuam, et veni: ut ab imminéntibus peccatórum nostrórum perículis, te mereámur protegénte éripi, te liberánte salvári:

[Súscita, o Signore, Te ne preghiamo, la tua potenza, e vieni: affinché dai pericoli che ci incombono per i nostri peccati, possiamo essere sottratti dalla tua protezione e salvati dalla tua mano liberatrice.]

Lectio


Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Romános Rom XIII: 11-14.


“Fratres: Scientes, quia hora est jam nos de somno súrgere. Nunc enim própior est nostra salus, quam cum credídimus. Nox præcéssit, dies autem appropinquávit. Abjiciámus ergo ópera tenebrárum, et induámur arma lucis. Sicut in die honéste ambulémus: non in comessatiónibus et ebrietátibus, non in cubílibus et impudicítiis, non in contentióne et æmulatióne: sed induímini Dóminum Jesum Christum” .

 “È già ora che ci svegliamo dal sonno, perché al presente la salute è più vicina che quando credemmo. La notte è avanzata e il giorno è vicino: gettiam via le opere delle tenebre e vestiamo le armi della luce. Camminiamo con decoro, come chi cammina alla luce del giorno; non in crapule e in ubriachezze, non sotto coltri ed in lascivie, non nelle contese e nell’invidia; ma rivestite il Signore Gesù Cristo e non accarezzate la carne per concupiscenza „ (Ai Rom. XIII, 11-14).

S. Paolo, dopo avere spiegato in questa ammirabile lettera i principali doveri del Cristianesimo, eccita i Romani a praticar la virtù, rammentando loro la breve durata di una vita che tanti uomini passano in un triste assopimento. Gli esorta ad uscirne, perché il tempo stringe, ed il momento definitivo della nostra salute non è molto lontano. – Che cosa si intende qui per l’assopimento, per la notte ed il giorno, e per le opere delle tenebre? Per assopimento s’intende quella funesta tiepidezza che fa trascurare a tanti Cristiani ogni mezzo di salute. Ah! di quanti noi possiamo dire che la morte sarà il loro risvegliarsi! Per la notte s’intende il peccato, che immerge l’anima nelle tenebre allontanandole da Dio, che è il vero lume; per il giorno, s’intende la fede, la grazia, la riconciliazione con Dio, la scienza della salute. Le opere delle tenebre sono i peccati in generale, ed in particolare quelli che si commettono nell’oscurità della notte da chi l’aspetta per abbandonarsi al male. – Quali sono le armi della luce, delle quali dobbiamo rivestirci? Sono la fede, la speranza e la carità, e in generale tutte le buone opere. Noi combatteremo per esse il demonio, il mondo e la carne.

Che significa camminare nella decenza come durante il giorno?

Significa il non fare e non dire alla presenza di Dio. che vede e sente tutto, nulla di ciò che non si osa fare o dire in presenza delle persone che più si rispettano.

Che vuol dire rivestirsi di Gesù Cristo? Vuol dire pensare, parlare ed operare come Gesù Cristo.

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

Graduale


Ps XXIV: 3; 4
Univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur, Dómine.

[Tutti quelli che Ti aspettano, o Signore, non saranno confusi.]

V. Vias tuas, Dómine, notas fac mihi: et sémitas tuas édoce me.

[Mostrami le tue vie, o Signore, e insegnami i tuoi sentieri.]


Alleluja

Allelúja, allelúja.

Ps LXXXIV: 8. V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam: et salutáre tuum da nobis. Allelúja. [Mostraci, o Signore, la tua misericordia: e dacci la tua salvezza. Allelúia.]

Evangelium


Sequéntia ✠ sancti Evangélii secundum S. Lucam.

Luc XXI:25-33.

In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Erunt signa in sole et luna et stellis, et in terris pressúra géntium præ confusióne sónitus maris et flúctuum: arescéntibus homínibus præ timóre et exspectatióne, quæ supervénient univérso orbi: nam virtútes coelórum movebúntur. Et tunc vidébunt Fílium hóminis veniéntem in nube cum potestáte magna et majestáte. His autem fíeri incipiéntibus, respícite et leváte cápita vestra: quóniam appropínquat redémptio vestra. Et dixit illis similitúdinem: Vidéte ficúlneam et omnes árbores: cum prodúcunt jam ex se fructum, scitis, quóniam prope est æstas. Ita et vos, cum vidéritis hæc fíeri, scitóte, quóniam prope est regnum Dei. Amen, dico vobis, quia non præteríbit generátio hæc, donec ómnia fiant. Coelum et terra transíbunt: verba autem mea non transíbunt.

“In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: Vi saranno dei prodigi nel sole, nella luna e nelle stelle, e pel mondo le nazioni in costernazione per lo sbigottimento (causato) dal fiotto del mare e dell’onde: consumandosi gli uomini per la paura e per l’aspettazione di quanto sarà per accadere a tutto l’universo: imperocché le virtù de’ cieli saranno commosse. E allora vedranno il Figliuolo dell’uomo venire sopra una nuvola con potestà grande e maestà. Quando poi queste cose principieranno ad effettuarsi, mirate in su, e alzate le vostre teste; perché la redenzione vostra è vicina. E disse loro una similitudine: Osservate il fico e tutte le piante: quando queste hanno già buttato, sapete che l’estate è vicina. Così pure voi, quando vedrete queste cose succedere, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità vi dico, che non passerà questa generazione, fino a tanto che tutto si adempia. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (S. Luca, XXI, 25-33).

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

IL GIUDIZIO UNIVERSALE

Al di là dei secoli, Dio pose un segno a cui tutti i nodi dovranno arrivare. Questo segno è la sua Croce che apparirà alla fine del mondo nel cielo vuoto, e sfolgorerà terribilmente sul capo di tutti gli uomini rassembrati d’ogni parte e prostesi sulla terra nuda. Sarà quello il giorno più tremendo, Dies iræ dies illa! – Il mattino del 14 Settembre del 258, nel campo Sextio, molle ancora di rugiada, veniva decapitato il Vescovo di Cartagine. I nemici di Cristo l’avevano preso e tradotto al tribunale del proconsole Galerio. – Galerio: « Sei tu Tascio Cipriano? ». Cipriano: «Son proprio io ». Galerio: « Che Tascio Cipriano sia giustiziato di spada ». Cipriano: « Deo gratias ».

Ma quando i soldati s’accinsero ad eseguir la sentenza, quando i fedeli stesero pannolini da torno a raccogliere il suo sangue che sarebbe sgorgato, il santo ebbe un tremito, e coprendosi con le mani gli occhi disse: « Væ mihi cum ad iudicium venero! » (guai a me che sto per andare in giudizio) Fu un istante: poi protese la testa. Se il pensiero del giudizio di Dio faceva tremare i martiri, che sarà di noi? Che faremo noi e che diremo davanti al Giudice divino? Pensiamo che quello sarà: giorno della grande manifestazione; giorno della grande accusa. 1. Manifestazione senza veli. Rappresentiamoci la nostra anima davanti a quel tribunale supremo, circondata dagli Angeli e dagli uomini: i giusti e i peccatori, i parenti e i conoscenti, i superiori e gli inferiori, gli amici e i nemici. Gli occhi di tutti son sopra di noi. Sono sopra di noi gli occhi di Dio. – Intanto si rifarà la storia della nostra vita, dai giorni lontani e dimenticati della fanciullezza sino a quello della nostra morte. Apparirà allora tutto il male che copertamente facemmo e tutto il bene che infingardamente non volemmo. Quaggiù abbiam creduto di ingannare gli occhi dello sposo, la vigilanza dei genitori, la buona fede forse di un prete a cui strappammo l’assoluzione. Fatica al vento: là tutti sapranno tutto. – Passavamo per amico fedele, sincero, generoso: invece vedranno che eravamo sleali, interessati, senza coscienza. Passavamo come una persona giusta che s’accontenta del suo: invece si conosceranno le frodi dei nostri commerci, e tutti potranno contare il danaro e la roba arraffata agli altri. Passavamo come un uomo integro ed onesto: invece appariranno le infamie commesse nell’ombra e nel segreto. E non solo il male che facemmo fuori di noi, ma anche il male che rimase dentro di noi, nell’occulto dell’anima, verrà manifestato. Tanti desideri vergognosi che abbiamo secondato con la mente nelle ore di ozio; tanti istinti di gelosia e di rancore che abbiamo dissimulato, ma che però erano il profondo motivo delle nostre maligne vendettuzze; tanti progetti di peccati che non facemmo solo perché ci mancò l’occasione: noi vedremo queste iniquità balzate dal nostro cuore, a nostra insaputa quasi come un’imboscata. Alla storia secreta del nostro cuore sentiremo ribrezzo di noi. All’esame del male che facemmo seguirà quello del bene che, potendo, non volemmo fare. – Quaggiù è facile nascondere dietro un comodo pretesto la nostra infingardaggine nel trascurare il bene e ci illudiamo di giustificarci dicendo: « Non tocca a me » oppure « Non ci riesco, non ho i mezzi ». Ma lassù ci verranno ricordate e rinfacciate tutte le colpevoli omissioni di cui è intessuta la nostra vita. Tutte le occasioni di dare una gloria a Dio che non demmo; tutte le anime che avremmo potuto salvare con la preghiera, con il consiglio, con l’elemosina e che non salvammo; tutte le Sante Comunioni, le Messe, le prediche che abbiam trascurato per pigrizia; tutti i giorni perduti, sacrificati ai pettegolezzi e ai piaceri del mondo senza un pensiero che li consacrasse a Dio e li rendesse buoni per l’eternità. Manifestazione totale, dunque: del male fatto fuori e dentro di noi e del bene non fatto. E sarà una manifestazione senza veli. Sulla terra, quando si è stati capaci di un delitto che ci ha precipitati nell’infamia e nel disprezzo, si fugge dal proprio paese, si abbandona la patria e si cerca un luogo, in America o in Africa, dove nessuno ci conosca, dove nessuno sappia né venga a sapere, dove ci è possibile ancora respirare e redimerci. Ma nel giorno del grande giudizio in quali ignote contrade potremo rifugiarci se tutte furono distrutte, in quali popoli stranieri se ogni uomo potrà leggerci sulla fronte la piaga e il destino? Sulla terra l’uomo disonorato può nascondersi, può intrufolarsi nella folla degli indifferenti, e sperare che col tempo si plachi il rumore delle sue scelleratezze. Ma non questo sarà possibile nell’ora dell’universale giudizio: non più confusione, ma separazione. Cristo dall’alto, come un gran pastore, separerà col suo vincastro ardente gli agnelli dai capri: i buoni dai cattivi. E sarà una separazione crudele: l’amico dall’amico, il fratello dal fratello, il padre dal figlio, l’uno assunto e l’altro abbandonato. E sarà una separazione ignominiosa, perché tutti ci vedranno e disprezzeranno. – 2. Giorno della grande accusa. a) L’accusa del demonio. S. Agostino ci assicura che il primo a levarsi contro noi sarà il demonio. Proprio lui! che ora con ogni lusinga ed inganno ci sospinge nel fango. Dirà: Durante la vita quest’anima ha osservato i comandamenti, Signore, non della tua ma della mia legge. Dammela dunque, che m’appartiene. Noi oseremo balbettare: « Signore, a seguire il demonio si faceva meno fatica; troppo dura è la tua legge ». « Non è vero, non è vero! — c’insulterà il demonio — Io ti facevo lavorare anche la Domenica, mentre la soave legge di Dio ti avrebbe concesso riposo. E tu lavoravi per me, senza lamentarti. Io ti facevo bere anche quando non avevi più sete: e tu per me bevevi ancora, fino a sentirti male, a imbestialirti nell’ubriachezza. Io ti comandavo di ballare: e tu, stanco di sei giorni di lavoro, ballavi alla domenica per farmi ridere. Io ti suggerivo un appuntamento equivoco: e tu, per ascoltarmi, lasciavi la tua famiglia, e magari faceva freddo, pioveva, e sostenesti d’attendere sotto l’acqua o la neve per ore e ore quella persona. Io ti imponevo di sprecare nei vizi il sudore della tua settimana: e tu, che avevi paura di donare un soldo in elemosina, consumavi nei ritrovi e nei piaceri il sostentamento della tua famiglia. Altro che leggero il mio giogo: ma tu l’hai preferito! b) L’accusa dell’Angelo. Poi sorgerà il nostro Angelo. Sì l’Angelo custode, a cui ci aveva affidati la Pietà superna, anch’esso diverrà accusatore. «Mio Signore, — dirà — il mio dovere d’illuminarlo, custodirlo, reggerlo, governarlo l’ho compiuto: ma invano. Invano, o Signore, ho illuminato la sua mente coi buoni pensieri, la sua anima con le buone parole di sacerdoti e di amici, la sua via col buon esempio di compagni. Invano lo custodivo, ché egli si recava di sua cocciuta volontà con le persone cattive e nei luoghi pericolosi. Alle tempeste di rimorsi che suscitavo nel suo cuore, non volle arrendersi ». – c) L’accusa degli uomini. Terminata l’accusa dell’angelo maligno e dell’Angelo buono, sorgeranno gli uomini ad accusarci. Sarà la voce degli innocenti scandalizzati dalle nostre parole, dal nostro esempio, dai nostri incitamenti: « Giustizia di Dio, — grideranno, — vendica le anime nostre ». Sarà la voce dei complici dei nostri peccati: « Giustizia di Dio, — grideranno, — con lui il male, con lui l’inferno ». – Sarà la voce, o genitori, dei vostri figlioli che non custodiste, che non educaste, che forse scandalizzaste. « Signore, diranno, ho imparato in casa a non pregare, a bestemmiare, ad offenderti! ». Sarà forse, o genitori, la voce fioca dei figli che non avete voluto, o che abbandonaste prima di nascere. « Signore, gemeranno: noi pure avevamo diritto alla vita, e non l’avemmo! ». d) Accusa senza scusa. Quale scusa troveremo da opporre a tanta accusa? Forse la nostra ignoranza? Colpa nostra se non ci siamo istruiti: ogni Domenica c’era predica e dottrina. Forse la nostra debolezza? Ma tutti i santi balzeranno a dire: « Anche noi eravamo di carne e sangue come voi, e ci salvammo ». Allora sorgerà il Giudice e giudicherà. – – «Osservate il fico, e, in genere, tutte le piante. Quando — diceva Gesù — la scorza si fa più tenera e umida, quando le gemme inturgidite lasciano trasparire in punta un occhio verde, voi dite che vien primavera. Ebbene, vi darò i segni per conoscere l’arrivo della mia giustizia. Segni in terra: scoppieranno guerre di popolo contro popolo, si svilupperanno malattie contagiose di città in città, e lunghi incendi arderanno su tutta la faccia del mondo. I viventi d’allora squallidi e muti si consumeranno per la paura e per l’aspettazione. – Segni in cielo: il sole si spegnerà ruggendo come un ferro rovente nell’acqua, la luna negherà i suoi raggi pallidi, le stelle come ubriache usciranno dal loro cammino e precipiteranno; ogni potenza dell’universo si muoverà. Allora su le nubi, con potestà e maestà, si vedrà venire il Figlio di Dio ». E svelerà. E parlerà. E condannerà. 1. E svelerà:  Quando nel buio d’una stanza penetra un improvviso fascio di luce, in un colpo d’occhio tutto si vede quello che c’è nella stanza: si vede anche il granello di polvere sui mobili, e i corpuscoli che danzano nel vuoto. Così sarà nell’apparire del Figlio di Dio: tutta la nostra coscienza sarà invasa dalla sua luce sfolgorante. Non una piega rimarrà nell’ombra, non una pagina della nostra vita rimarrà oscura. Sarà quella l’ora della verità. Quelle frequenti visite, quelle passeggiate, quei ritrovi che sì è creduto di coprire col pretesto di un’amicizia innocente, di giusto sollievo, appariranno allora quali sono, motivi d’impura passione. Quella roba che si portava a casa col pretesto di ricompensarci dalla cattiva paga o di ciò che avevano tolto a noi, allora apparirà quale realmente è: un furto. È facile, quaggiù, perdere la Messa con la scusa che il tempo manca, trascurare la Dottrina cristiana col pretesto degli affari, omettere le preghiere della sera per la stanchezza; ma allora tutti sapranno che non si trovava tempo per i doveri religiosi, il tempo si trovava — e quanto! — per i divertimenti, per le chiacchiere, per il gioco, per i peccati. È facile quaggiù profanare, col lavoro, il giorno festivo e nascondere il proprio peccato con l’apparenza di una necessità o dell’urgenza; ma l’avarizia sordida che ci spinge a questo sacrilegio sarà svelata in quel giorno. Tutto sarà svelato: ma soprattutto i peccati tenuti nascosti anche nella Confessione, e trascinati dietro di giorno in giorno con una lunga catena di sacrilegi. Chi può immaginare la confusione del reprobo, scoperto agli occhi di tutti, agli occhi di Dio? –

– 2. E parlerà.  Santa Caterina da Siena, una sera che pregava ginocchioni davanti al Crocifisso, vide una luce uscire dalle piaghe del Signore, e poi udì un gemito che la rimproverava perché in quel giorno era stata distratta nell’orazione. La santa cominciò a tremare dallo spavento, e un sudore gelido le rigò le membra, e giù dagli occhi caddero amarissime lacrime. « Ho provato un dolore — manifestò poi — che altrettale non proverò mai, nemmeno se mi svergognassero davanti ai re del mondo. Preferirei camminare per mesi e mesi su di una strada intessuta di spine, ma non riudire la trafittura di quel rimbrotto ». Eppure il suo era un piccolo difetto, e forse non del tutto volontario. Eppure Gesù le parlava per amore, volendola purificare da ogni debolezza e trasportarla verso un’altissima perfezione. Che stordimento indicibile dovrà dunque essere quello dei reprobi quando Cristo nel suo furore li rimprovererà dei loro enormi peccati? Loquetur ad eos in ira sua, et in furore suo conturbabit eos (Ps., XI, 5). « Rendimi conto, — ci dirà, — della vita che ti diedi. Dov’è il bene che hai fatto in trenta, quaranta, cinquant’anni? Quante sono le tue Comunioni, le mortificazioni, le elemosine, le opere buone? ». «Rendimi conto — ci dirà — delle mie buone ispirazioni. Che hai fatto di quei pensieri di bene che di giorno in giorno ti mandavo? Che hai fatto di quei rimorsi coi quali ti pungevo il cuore quando sentivi le prediche, quanto ti trovavi nella solitudine? Li cacciasti via come mosche, li soffocasti: ora me li pagherai ». «Rendimi conto — ci dirà — della tua famiglia. I tuoi genitori ti hanno educato bene, ti hanno insegnato a rispettare la mia legge e il mio Nome, ma tu perché hai dimenticato i loro insegnamenti? I tuoi figliuoli perché non sono cresciuti buoni? E come potevano crescere tali, se non ti curavi di loro, se non li castigavi quando fuggivano dalla chiesa, se li scandalizzavi con mali esempi? ». – « Rendimi conto — ci dirà — dei sacerdoti che ho messo vicino alla tua anima. Essi ti insegnavano, e tu non andavi a sentirli. Essi predicavano e tu chiudevi le orecchie. Essi ti rimproveravano a nome mio, e tu li hai odiati ». – «Rendimi conto — ci dirà — dei miei Sacramenti. Avevi nell’anima il demonio e non andavi a confessarti: hai disprezzato il sacramento del perdono, e adesso pretendi ch’Io ti perdoni? Oh quante volte ti ho aspettato nel silenzio del Tabernacolo, e non sei venuto. Ti ho aspettato a Pasqua, ti ho aspettato alle SS. Quaranta ore, ti ho aspettato il giorno del Perdono, ti ho aspettato il giorno dei Morti… E non sei venuto ». «Ah, rendimi conto del mio sangue. Il sangue che ho versato sotto gli ulivi, il sangue della flagellazione, il sangue della coronazione di spine, il sangue delle mie mani e de’ miei piedi, il sangue del mio cuore. Tutto il sangue fu inutile per te ». – Quid sum misertum dicturus? Miseri, confusi, nudi, sotto il pungente sguardo di tutti gli uomini, che sono che furono e che saranno, chi di noi oserà rispondere qualche cosa? 3. E condannerà. Prima dell’alba S. Agostino fu risvegliato da un gemere lungo e da un singhiozzare straziante che gli veniva su dalla strada. Due uomini seminudi, dalla barba e dalla capigliatura sporca e lunga, magri e affamati, tremavano convulsamente davanti alla porta del Vescovo. Intanto tutto il popolo d’Ippona era accorso a vederli. «Come vi chiamate? » domandò S. Agostino. « Paolo e Palladio » risposero, senza cessare di piangere e di tremare. « Quietatevi, noi vi soccorreremo ». – « È impossibile quietarci. Noi veniamo da Cesarea di Cappadocia, ove eravamo sette fratelli e tre sorelle. Abbiamo offeso nostra madre vedova, ed essa ci ha maledetti, e la sua maledizione è passata nella nostra pelle, nella nostra carne, nel nostro sangue, nelle ossa nostre. E ci fa tremare, così come vedi, notte e giorno senza requie mai… Liberaci, santo di Dio, dalla maledizione di nostra madre, oppure, se non puoi altro, facci almeno la grazia di morire ». S. Agostino pregò per loro, e Dio li liberò. Riflettete, Cristiani: se tanto ha potuto in quei figli la maledizione di una madre terrena, che cosa non produrrà in noi la terribile, irrevocabile, finale maledizione di Dio, Padre nostro, offeso dai nostri peccati? Ite, maledicti, in ignem æternum. Adesso non sappiamo comprendere che cosa importi la privazione di Dio; soltanto possiamo formarcene un’idea assai lontana e confusa. Immaginate se in questa chiesa mancasse l’aria: i nostri occhi si gonfierebbero, le gote diverrebbero livide, apriremmo la bocca delirando, soffocheremmo. Un tormento che a questo assomiglia, ma infinitamente più grande, proverà l’anima che, maledetta, si sente privare di Dio, che è il suo respiro. Aver sempre sete, senza bere mai; aver sempre fame senza mangiar mai; tremare dal freddo senza una fiamma, ardere dal fuoco senza un alito che ci rinfreschi: così l’anima senza Dio. – Terribili tormenti, ma questa grama ricompensa il peccatore se la invoca lui stesso peccando. E quando la mobilitazione generale delle coscienze sarà suonata, quando su tutta la terra rintronerà il grido tremendo: — levatevi, o morti! — allora Iddio non farà che sancire quello che ciascuno ha voluto per sé. «O Cristiano! col peccato hai degradato te stesso: sia fatta la tua volontà, per sempre. Fiat voluntas tua, in æternum. «O Cristiano! col tuo peccato dal tuo cuore mi hai scacciato. Io ratifico: per sempre In æternum. « E ormai vattene, che non ti conosco più: per sempre. In æternum ». – Un piccolo re aveva dichiarato guerra a un gran Re. Ma poi si pose a tavolino e cominciò a riflettere: « Come mai posso nutrire speranze di vincerla, se conto appena diecimila soldati, quando il mio avversario ne conduce più di venti milioni? ». E da saggio, intanto che le armate erano ancora lontane, mandò una legazione chiedendo umilmente la pace e i patti di sottomissione. Legationem mittens rogat ea quæ pacis sunt (Lc., XIV, 32).Ora, il Vangelo di questa prima domenica di Avvento ci assicura che Gesù Cristo, il gran Re sul cui fianco sta scritto il segno del potere infinito Rex regum et Domus dominantium (Apoc., XIX, 16), deve venire dal cielo a giudicare la terra. Che cosa siamo noi davanti a lui? Pretendiamo forse di resistergli? Facciamola da saggio come il piccolo re della parabola: intanto che è ancora lontano, intanto che siamo ancora in tempo, domandiamogli i patti di pace, e assoggettiamoci a tutti i suoi dolci comandamenti. – Se vivessimo i nostri giorni sotto la luce che viene da questo ultimo giorno, come volentieri porteremmo la nostra croce! I Santi queste cose le capivano molto bene. S. Pietro Martire, esorcista della Chiesa di Roma nei primi tempi del Cristianesimo, quando fu cacciato in prigione per la fede, disse al carceriere che egli era pronto a liberare nel Nome di Cristo la sua figliuola dal demonio da cui era invasata da parecchi anni. Il carceriere, sorpreso a tale proposta, gli chiese perché non si serviva della onnipotenza del Nome di Gesù per liberare se stesso dalla prigione. Ed egli: «Conosco troppo bene i vantaggi delle mie catene e per nessun motivo vorrei liberarmi ». Se possiamo recare un po’ di conforto ai nostri fratelli facciamolo sempre volentieri; le nostre croci invece apprezziamole come si meritano ed anzichè domandare al Signore che ce le tolga, preghiamolo che ci dia la forza di portarle, con rassegnazione ed amore. Tanto più godremo, quando più avremo faticato, sofferto, pianto per amor di Dio. – Austera è la verità del giudizio universale. Ancora al nostro orecchio risuonano le parole paurose che leggemmo, domenica scorsa, nel Vangelo; ancora nella nostra mente ripassano le fosche immagini di un mondo in fiamme e di un cielo sfasciato. Oggi, il Vangelo ritorna al medesimo argomento, ma non più per opprimerci di spavento, bensì per elevarci a grande speranza. Il sole, la luna, le stelle daranno tristi segnali e la costernazione passerà sui popoli; il mare mugghierà, e gli uomini morranno di paura nell’aspettazione di ciò che sarà. E sarà per venire, in potenza e in gloria, il Figlio dell’uomo a giudicare dalle nubi. Quando avverranno queste cose, voi — che siete buoni — levate la fronte, che la redenzione vostra è vicina. Levate capita vestra: quoniam appropinquat redemptio vestra. (Alzate il vostro capo perché la vostra redenzione si avvicina). Gesù ci rivolge queste buone parole, proprio nella I Domenica d’Avvento. Noi ci prepariamo al Santo Natale che è il ricordo della prima venuta di Gesù nel mondo; prepariamoci bene e ci troveremo contenti nella seconda venuta di Gesù nel mondo, al giudizio universale.Il mondo si sfascerà in una fumosa rovina: ma noi non saremo del mondo e lo guarderemo scrosciare, sicuri, come se scrosciasse la casa di un altro, anzi come se scrosciasse la prigione dove abbiamo patito e lacrimato tanto. Alzeremo allora,con gioia, la nostra testa verso i cieli squarciati, attendendo la redenzione; Gesù verrà a portarcela. Il giudizio finale libera gli eletti dalle persecuzioni del mondo. Inoltre, in questa vita, i giusti sono condannati a vivere come gli iniqui, sono confusi con loro; sono chiamati ipocriti più di loro; sono perseguitati in mille modi. Nel giorno del giudizio i buoni saranno vendicati: ci sarà la separazione e si vedranno i raggiri e le ingiustizie dei cattivi. Quando Dio comandò a Giosuè di togliere di mezzo al popolo Acan, uomo scandaloso, e di farlo morire, disse: « Sorgi e santifica il popolo ». Surge et sanctifica populum (Ios., VII, 13). Quando Giuda uscì dal cenacolo, per eseguire il suo detestabile disegno, Gesù si sentì sollevato da un’ambascia mortale, ed esclamò: « Finalmente il Figliuol dell’uomo è glorificato ». Nunc clarificatus est Filius hominis (Giov., XIII, 31). Questa santificazione e questa glorificazione sarà data ai buoni nel giorno finale, quando gli Angeli separeranno i giusti dagli ingiusti. c) Il giudizio finale libera gli eletti dallo scherno del mondo.  Infine, in questa vita le persone umili sono schernite; quelle che sopportano le offese sono dette vili; quelle che non si danno ai piaceri sono dette sciocche; quelle poi che si consacrano a Dio attraverso alla vita religiosa sono chiamate pazze. Ma sarà un momento di brusca meraviglia, quando i mondani vedranno queste persone in un trono di gloria. «Eccoli là — esclameranno con rabbia, — quelli che ritenemmo come il rifiuto del mondo, quelli che deridemmo; ora sono nella luce e nella gioia dei figli di Dio. Li abbiamo creduti stupidi, e gli stupidi eravamo noi ». Nos insensati! Vitam illorum aestimabamus insaniam (Sap., V., 4). Al giudizio finale saremo redenti dalla morte. Squilleranno le trombe a risurrezione, e dovunque il nostro corpo sarà o in terra o in mare o sparso nel vento come leggera polvere, risorgerà. Cristo, che è morto per vincere la morte, ci redimerà dalla morte, restituendo ai buoni la propria carne, rifatta luminosa, impassibile, bella per la gloria del Paradiso. – È giusto. Quel corpo che ha patito tanto per resistere al demonio, è giusto che sia premiato. Quegli occhi che si sono chiusi con violenza davanti alle vanità mondane, ai libri, a figure pericolose, è giusto che s’abbiano a riaprire a veder tutta la gloria di Dio. Quelle orecchie che sono diventate sorde a certe mormorazioni, a certe parole, empie contro la fede, o luride contro la virtù, è giusto che ascoltino l’armonia degli Angeli e i cori universali dei santi. Quella gola e quella lingua che si era proibito l’abuso nel cibo, nel bere, nel parlare, è giusto che intoni un cantico eterno e beatissimo. E quelle povere ginocchia che hanno saputo com’è duro il pavimento delle chiese, o il legno delle panche, o le mattonelle della propria stanza vicino al letto, perché non avranno la loro parte di gloria? Vedete allora come i buoni non devono temere il giorno del giudizio, ma aspettarlo come il contadino aspetta la primavera. E non è forse tutto primaverile il presagio datoci dal Signore per riconoscere il tempo del giudizio finale? «Guardate la pianta del fico, anzi tutte le piante: quando voi vedete le gemme umettarsi di gomma, inturgidirsi, rompere la buccia per mettere al sole un occhio di tenerissimo verde, voi dite: è vicina la primavera. Ebbene, quando cominceranno i segni nel sole e nelle stelle, rallegratevi! ché il regno di Dio è alle porte ». Come un albero che si risveglia dall’inverno, noi ci risveglieremo dalla morte. Con questi sentimenti moriva, arso vivo, il martire S. Pionio. Mentre le fiamme, crepitando sotto, ascendevano a lambirgli le membra contratte nello spasimo atroce, mentre il rogo l’avvolgeva in una bandiera tormentosa di fuoco, egli gridava: « Muoio volentieri così; perché tutto il Popolo sappia che dopo la morte c’è la resurrezione della carne ». Poi il fumo e il fuoco gli raggiunsero la bocca, e non parlò più. Avete, qualche volta, pensato bene al Paradiso? Immaginate quell’immensa regione d’ogni bellezza, i canti e le armonie, la luce, il sorriso, la gioia: e noi saremo là. Là, col nostro corpo, proprio noi e tutti ci vorranno bene; ma più di tutti è Dio che vorrà bene. «O Signore! com’è bello star qui…» (Mt., XVII, 4) gridava S. Pietro nel colmo della gioia; eppure non vedeva il Paradiso, sul Tabor non c’era che una smunta rivelazione della infinita bellezza del Signore. Chissà, allora, noi, in Paradiso, quando vedremo tutto il Signore, chissà che cosa diremo?… Non diremo nulla: ameremo. Il più è arrivarci. – Santa Caterina da Siena, ascoltando parlare del giudizio universale mentre tutti tremavano, sorrideva beata. « Perché? » le fu chiesto. « Perché penso che Colui che verrà a giudicarmi è quel Gesù che tanto amo, per cui ho sacrificato la mia giovinezza, e tutta la mia vita». Amiamo in questa vita Gesù Cristo, e il suo giudizio non ci farà spavento. E se in questa vita noi ci facessimo amici della Croce e del Crocifisso, non sarebbe un bell’accorgimento per sfuggire all’ira ventura, e trovare misericordia in quel momento supremo? Dunque facciamoci amici della Croce. Facciamoci amici del Crocifisso. – Amate la sua croce! e l’amerete quando con fede, con pazienza porterete le tribolazioni che ogni giorno della vita incontrerete. Considerate come Gesù Cristo, il Re divino, ha fatto e poi andategli dietro: factus obœdiens usque ad mortem, ad mortem autem crucis (Phil., II, 8). E perché ribellarci quando la Provvidenza di Dio con la sua spada ci percuote nella roba, nella famiglia, nella salute?Non sappiamo che se Dio ci tocca, è per farci cavalieri suoi nel Paradiso? e noi l’imprecheremo? Amate dunque la sua guerra! la quale è guerra contro le seduzioni del mondo. Sempre e da ogni parte noi siamo circondati da pericoli spirituali: il mondo è tutto una malignità. Amate la sua guerra! la quale è guerra contro noi stessi. Ci sono in noi due parti contrastanti: l’una parte è animale e terrestre, l’altra è spirituale e celeste; la prima ci solleva al bene, la seconda ci abbassa al male. È questa parte di noi che dobbiamo soffocare e rinnegare con le sue inclinazioni perverse, con i suoi affetti velenosi. Se avremo amato la croce e la guerra contro il mondo e contro noi stessi, non proveremo spavento all’apparire del Segno del Figliuol dell’uomo, nel dì del giudizio.« Ecco la croce! » grideranno gli Angeli: altri piangeranno, ma non noi, che in quel momento la saluteremo con le parole di S. Andrea Apostolo: « Salve, o croce, a lungo portata! Salve, o croce, con gioia aspettata! Accoglimi sotto l’ombra del tuo braccio destro, perché fui discepolo di Colui che appesero su te! ». – Per farci amici del Crocifisso non c’è via migliore che farci amici dei poveri, dei malati, di tutti coloro che soffrono, di tutti coloro che in qualsiasi modo sono crocifissi nell’anima o nel corpo. In Turingia non v’era dolore che S. Elisabetta non lenisse, non vi era bisogno che non soccorresse, non v’era sventura che ella ignorasse. Accorreva alle capanne degli ammalati, assisteva i moribondi, vestiva gli ignudi, raccoglieva ed istruiva gli orfani. Ai cancelli del suo palazzo, i poveri si affollavano ogni giorno, e nessuno partiva senza qualche consolazione. Una volta lasciò entrare nelle sue stanze un ammalato schifoso, anzi ella stessa con le sue mani fini e candide cominciò a curargli le piaghe, a lavarle, a baciarle… I servi inorriditi esclamarono: «Che fate! Che fate!… ». Ma Elisabetta tranquillissima rispose: « Bacio le piaghe del Signor mio Gesù Cristo: così non mi faranno più spavento nel giorno del giudizio. È a quel giorno che io penso, e ad esso, come posso, mi preparo ». – Era veramente una regina saggia, della saggezza del Vangelo. Il Vangelo infatti dice apertamente il valore e la stima che verrà data alle opere buone nel giudizio universale. Il gran Re dirà a coloro che saranno accolti alla sua destra: « Venite, o benedetti dal Padre mio, a prender possesso del regno che fin dal principio del mondo vi tenevo preparato. Voi mi trovaste affamato e mi sfamaste; mi vedeste ignudo e mi vestiste; mi incontraste pellegrino sulla strada e mi ricoveraste; mi sapeste prigioniero e mi visitaste; e se fui malato, mi assisteste ». Ed i giusti meravigliati gli domanderanno: « Forse ti sbagli, giacché noi non ti trovammo mai affamato né ti vedemmo mai ignudo, e neppure pellegrino sulla strada, e neppure prigioniero e neppure ammalato… ». « No, no! — riprenderà il Re — non mi sbaglio: tutto quello che avete fatto al più piccolo, al più dimenticato tra gli uomini, l’avete fatto proprio a me». – S. Giovanni Crisostomo ci ammonisce di non considerare il bene fatto come una perdita, ma come un guadagno, noi doniamo del pane, ed in cambio riceveremo il paradiso; noi doniamo un abito ed in cambio riceveremo la veste nuziale per entrare al banchetto dei cieli; noi concediamo ospizio sotto il nostro tetto e avremo tutta l’eternità; noi perdoniamo poco e saremo perdonati molto; noi asciughiamo le lagrime altrui e saremo rallegrati per sempre. Vi dico che neppure un bicchier d’acqua pura offerto per amor di Dio, andrà smarrito! Anzi vi dico che nel giorno del giudizio finale noi non possederemo se non quello che avremo donato. San Filippo Benizi, religioso dell’Ordine dei Servi di Maria Vergine, moriva. Oltre la malattia, oltre il dolore, da giorni lo tormentava una terribile visione. Già gli sembrava di trovarsi davanti al tribunale di Dio, e intorno a lui sorgevano i demoni a rimproverargli i peccati della vita passata, anche i più lontani, anche i più piccoli… L’agonizzante a quella vista, a quelle parole apriva gli occhi inorriditi, tremava, e più non aveva speranza. « Datemi il mio libro! Datemi il mio libro! » gridava con voce spaventata. Degli astanti alcuni corsero a prendere un libro, altri un altro libro: ma egli li rifiutava tutti senza trovare requie. Finalmente uno si accorse che gli occhi del morente s’erano fissati sopra un Crocefisso lì accanto; lo prese e glielo pose tra le mani gelide e sudate. – Appena l’ebbe, come un assetato, vi pose sopra la bocca a baciarlo bramosamente: baciò il legno della croce, baciò le piaghe di Colui che vi era appeso. 1 suoi occhi si illuminarono come al sorgere d’un alba interiore; la sua fronte si spianò in una dolce serenità; le sue labbra si atteggiarono a dolcissimo sorriso. E andò così incontro al giudizio di Dio. Aveva amato la croce, aveva amato il Crocifisso con tutte le sue forze. Di che cosa avrebbe dovuto temere? – Il padrone se n’è andato lontano. Qualche servo prudente e fedele cominciò subito ad eseguire gli ordini ricevuti, preparando senza sperpero e distribuendo con puntualità al momento opportuno il cibo ai familiari. Beato quel servo che il padrone al suo arrivo troverà a fare così! In verità vi dico lo metterà a capo di tutto quel che possiede. Invece qualche altro servo indolente e cattivo, passato qualche tempo, disse fra sè: «Il mio padrone tarda… chissà quando verrà… forse non verrà più ». Cominciò a trascurare il suo lavoro, a litigare e venire alle mani coi compagni di servizio, a mangiare e bere con gli ubriachi, Disgraziato quel servo che il padrone troverà a fare così! Il padrone sopravvenendo in un giorno che non sarà atteso, in un’ora che il servo non sa, lo farà uccidere, lo caccerà tra gli ipocriti maligni: là dove sarà pianto e stridor di denti (Mt., XXIV, 45-51). Dunque, Cristiani, tutta la nostra vita quaggiù è un’aspettativa, è un tempo d’avvento. Ma specialmente, deve essere una aspettativa fervorosa in questa parte dell’anno liturgico che si chiama proprio « Avvento ». Nessuno s’inganni, dicendo fra sé: «Il mio padrone tarda… chissà quando verrà… ho tempo ». Nessuno osi restare in peccato mortale: mettetevi tutti in grazia di Dio; vivete sempre in grazia di Dio. «I vostri fianchi siano cinti e le vostre lampade accese: siate simili a quelli che aspettano il loro padrone… » (Lc., XII, 35-36). – Un altro consiglio per prevenire in bene il nostro Giudice divino è quello di non giudicare mai il prossimo. « Non giudicate, e non sarete giudicati». Ecco alcuni motivi che ci persuaderanno meglio a praticarlo. a) Non dobbiamo giudicare perché nessuno ci ha costituiti nella carica di giudice verso il nostro prossimo. Tutti siamo sullo stesso piano, tutti fratelli; Uno solo sta sopra di noi, superiore e giudice di tutti: a suo tempo verrà. Intanto nessuno usurpi quell’ufficio che solo è suo. b) Non dobbiamo giudicare perché ogni nostro prossimo è suddito e servo di Dio. Che egli cada o stia in piedi, ciò riguarda il suo padrone e non noi. (Rom., XIV, 4-10). c) Non dobbiamo giudicare perché siamo incapaci d’essere imparziali: nell’occhio del prossimo ci dà fastidio perfin la pagliuzza, e nel nostro sopportiamo anche una trave. Già fin d’ora noi sappiamo esattamente come si svolgerà il giudizio e quali parole saranno pronunciate dal Giudice. Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi Angeli, allora siederà sul trono, e dirà a quelli che saranno alla sua destra: « Venite, benedetti dal Padre mio, prendete possesso del regno, che v’è stato preparato dalla creazione del mondo. Perché io ebbi fame, e m’avete dato da mangiare; ebbi sete e m’avete dato da bere; fui straniero e m’avete accolto; nudo e m’avete vestito; malato e mi avete assistito: in prigione e siete venuti a trovarmi ». Per conchiudere, sentite come è saggio quest’altro consiglio che è nel Vangelo di S. Matteo: « Mentre sei ancora per strada, mettiti d’accordo col tuo avversario. Altrimenti all’istante in cui arrivi, ti consegna alle guardie e vieni gettato in carcere ». Mentre siamo ancora pellegrini in questo mondo, mettiamoci dunque in pace col Signore che abbiamo offeso. Non aspettiamo quando saremo arrivati alla morte. Corri tu prima a presentarti avanti a Lui col pentimento, con la confessione. Corri a presentarti a Lui, prima che Egli ti faccia comparire davanti a sé. Previeni, per non essere prevenuto.

IL CREDO

Offertorium


Orémus
Ps XXIV: 1-3. Ad te levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.

[A Te ho innalzato l’ànima mia: Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire, né abbiano a deridermi i miei nemici: poiché quelli che confidano in Te non saranno confusi.]

Secreta


Hæc sacra nos, Dómine, poténti virtúte mundátos ad suum fáciant purióres veníre princípium.[Questi misteri, o Signore, purificandoci con la loro potente virtú, ci facciano pervenire piú mondi a Te che ne sei l’autore.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio


Ps LXXXIV: 13.
Dóminus dabit benignitátem: et terra nostra dabit fructum suum. [Il Signore ci sarà benigno e la nostra terra darà il suo frutto.]

Postcommunio

Orémus.
Suscipiámus, Dómine, misericórdiam tuam in médio templi tui: ut reparatiónis nostræ ventúra sollémnia cóngruis honóribus præcedámus.
[Fa, o Signore, che (per mezzo di questo divino mistero) in mezzo al tuo tempio sperimentiamo la tua misericordia, al fine di prepararci convenientemente alle prossime solennità della nostra redenzione.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

Matrimonio nella CHIESA CATTOLICA Eclissata in unione con Papa GREGORIO, secondo il MOTU PROPRIO di S.S. PIO XII, del 22 febbraio 1949 “Disciplina ,,,”

Matrimonio cattolico della CHIESA CATTOLICA Eclissata in unione con Papa GREGORIO, secondo il MOTU PROPRIO di S.S. PIO XII, del 22 febbraio 1949 “Disciplina ,,,”

27 novembre 2021

N. N.

N. N.

TESTIMONI:

N. N.

N. N.

MATRIMONIO

La Santa Madre Chiesa nella sua immensa sapienza e preveggenza ha definito dottrine che sono adatte ai tempi di prosperità e libertà di culto cattolico, e canoni e definizioni dottrinali per i tempi di persecuzione e per la Chiesa “eclissata” o delle catacombe. Al giorno attuale così, il Matrimonio Cattolico tra i pochi, ostinati fedeli Cattolici, è possibile pure nella difficoltà pratica, per i più, di reperire un sacerdote o prelato cattolico in comunione con il Santo Padre Gregorio XVIII, capace quindi di fornire dei Sacramenti validi e leciti, e nello specifico di rendere possibile l’acquisizione della grazia santificante e particolare relativa ai fini del Sacramento stesso, in questo caso, del Matrimonio. In effetti i fedeli Cattolici che vogliono ad ogni costo evitare – giustamente – le sette acattoliche, e soprattutto la setta dei falsi profeti della sinagoga di satana [la cosiddetta setta del “Novus ordo” di istituzione massonico-kazara!] oggi usurpante il Vaticano e tutti gli edifici di culto un tempo appartenenti alla Chiesa Cattolica, con le relative false funzioni che, lungi dall’apportare grazia, assicurano la “disgrazia” personale, familiare e sociale, hanno perplessità ed indecisioni nell’approcciarsi correttamente al matrimonio senza commettere una serie di gravi sacrilegi e peccati che comprometterebbero il cammino di salvezza per sé, il coniuge, i parenti ed i partecipanti a funzioni invalide ed illecite e – soprattutto – alla futura prole che verrebbe generata in regime di peccato mortale e fuori dalla Chiesa Cattolica, complicando in tal modo tutta la loro vita di grazia, di redenzione e di salvezza.

Ma … nessun problema, la Santa Madre Chiesa, la parte militante del Corpo mistico di Cristo, guidata infallibilmente dallo Spirito Santo e che opera da “Maestra delle genti” attraverso il Magistero apostolico Ordinario e Universale e straordinario esercitato dal Sommo Pontefice Romano e della sua Gerarchia, ha pensato proprio a voi in difficoltà, in questi tempi di apostasia e di impostura dottrinale e canonica, spianandovi la strada al Matrimonio cattolico, se ci è lecito così definire … delle catacombe. – Sovvenendoci, quindi, delle esortazioni del profeta Isaia: … « Confortate le braccia infiacchite e le ginocchia vacillanti rinfrancate. Dite ai pusillanimi: Coraggio, non temete; ecco il vostro Dio… verrà… », possiamo ricorrere in tutta certezza e sicurezza al Motu Proprio: « De disciplina Sacramenti Matrimonii pro Ecclesia orientali di S. S. Pio XII » del 22 febbraio 1949 (festa della Cattedra di S. Pietro). – Ferme restando tutte le altre disposizioni (ivi dettagliatamente riportate) in materia di impedimenti, dispense e preparazione al Matrimonio cattolico (per noi la retta vera dottrina, una pratica di vita cristiana, la frequentazione di “veri” Sacramenti materiali e formali – se possibile – o almeno spirituali: severo e sincero esame di coscienza, contrizione perfetta con implicito desiderio di Confessione sacramentale appena possibile, Comunione spirituale …), un canone in particolare concerne le situazioni estreme che riguardavano allora i fedeli orientali, ma che oggi sono ubiquitarie e riguardano praticamente l’intero pianeta, in riferimento alla disponibilità di un sacerdote o prelato cattolico della “vera” Chiesa “una cum Papa nostro Gregorio”.

Il Canone rinuncia esplicitamente alla presenza di un sacerdote alla celebrazione del matrimonio in determinate circostanze straordinarie, ma non rinuncia, anche in questo caso, alla richiesta che il matrimonio sia celebrato davanti ad almeno due testimoni. Il matrimonio è validamente celebrato davanti ai soli testimoni comuni (naturalmente Cattolici), quando è impossibile per le parti avere o avvicinare un Sacerdote autorizzato, purché si verifichi una di queste condizioni:

1) una delle parti parte è in pericolo di morte,

2) si prevede che non sarà disponibile alcun sacerdote autorizzato per almeno un mese.

In situazioni estreme per il matrimonio non è richiesto il sacerdote!!!

Nota: «Sebbene i Canoni non concedano esplicitamente nessun’altra rinuncia alla celebrazione, c’è la dispensa all’obbligo della legge che richiede l’assistenza attiva di un sacerdote autorizzato e l’assistenza di testimoni, almeno nel caso di estrema difficoltà che colpisce l’intera comunità. Il Sant’Uffizio ha dichiarato che i Cattolici della Cina non sono tenuti ad osservare la legge sulla forma del matrimonio finché continuano le circostanze create dal regime rosso ». (H. BOUSCAREN, CANON LAW DIGEST, III Ed. p. 408).

(Due importanti notifiche del “Noli Timere” sono contenute in questo Canone,

– primo, che in pericolo di morte il matrimonio può essere contratto senza un sacerdote ma davanti a due testimoni, e …

– secondo, che nei luoghi dove non si può avere un sacerdote o le parti non possono recarvisi, non hanno bisogno di aspettare un mese intero, se c’è una buona ragione per giudicare che le stesse condizioni continueranno per un mese).

Riportiamo il canone succitato:

MOTU PROPRIO

DE DISCIPLINA SACRAMENTI MATRIMONII PRO ECCLESIA ORIENTALI

PIUS PP. XII

DE SACRAMENTO MATRIMONII

CAPUT VI

De forma celebrationis matrimonii

Can. 89

Se vi sia un grave incomodo per il parroco, o gerarca o sacerdote con facoltà nell’assistere al matrimonio fatto a norma dei canoni 86, 87:

1° in pericolo di morte è valido e lecito il matrimonio contratto davanti ai soli testimoni;

ed anche fuori dal pericolo di morte, quando stando le cose per cui si preveda prudentemente che si protraggano per un mese;

2 ° In entrambi i casi in cui non si possa al più presto chiamare un altro sacerdote cattolico che possa venire ed assistere al matrimonio con i testimoni, salvo la validità dei coniugi, il matrimonio è valido e lecito… [validum et licitum est matrimonium contractum …] davanti ai soli testimoni.

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Pater noster,

qui es in cælis, sanctificétur nomen tuum: advéniat regnum tuum: fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie: et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris: et ne nos indúcas in tentatiónem: sed líbera nos a malo. Amen.

Ave María,

grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus, et benedíctus fructus ventris tui Jesus. Sancta María, Mater Dei, ora pro nobis peccatóribus, nunc et in hora mortis nostræ. Amen.

Credo

in Deum, Patrem omnipoténtem, Creatórem cæli et terræ.

Et in Jesum Christum, Fílium ejus únicum, Dóminum nostrum: qui concéptus est de Spíritu Sancto, natus ex María Vírgine, passus sub Póntio Piláto, crucifíxus, mórtuus, et sepúltus: descéndit ad ínferos; tértia die resurréxit a mórtuis; ascéndit ad cælos; sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis: inde ventúrus est judicáre vivos et mórtuos.
Credo in Spíritum Sanctum, sanctam Ecclésiam cathólicam, Sanctórum communiónem, remissiónem peccatórum, carnis resurrectiónem, vitam ætérnam. Amen.

V. Deus ✠ in adjutórium meum inténde.
R. Dómine, ad adjuvándum me festína.

V. Glória Patri, et Fílio, * et Spirítui Sancto.
R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, * et in sǽcula sæculórum. Amen.

Gloria

 
Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu in glória Dei Patris. Amen.

[Gloria a Dio nell’alto dei cieli. E pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi Ti lodiamo. Ti benediciamo. Ti adoriamo. Ti glorifichiamo. Ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa. Signore Iddio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente. Signore, Figlio unigenito, Gesù Cristo. Signore Iddio, Agnello di Dio, Figlio del Padre. Tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi. Tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica. Tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. Poiché Tu solo il Santo. Tu solo il Signore. Tu solo l’Altissimo, Gesù Cristo. Con lo Spirito Santo ✠ nella gloria di Dio Padre. Amen.]

Salmo 8:

[1] In finem, pro torcularibus. Psalmus David.

[2] Domine, Dominus noster, quam admirabile est nomen tuum in universa terra! quoniam elevata est magnificentia tua super caelos.

[3] Ex ore infantium et lactentium perfecisti laudem propter inimicos tuos, ut destruas inimicum et ultorem.

[4] Quoniam videbo cælos tuos, opera digitorum tuorum, lunam et stellas quæ tu fundasti.

[5] Quid est homo, quod memor es ejus? aut filius hominis, quoniam visitas eum?

[6] Minuisti eum paulo minus ab angelis; gloria et honore coronasti eum;

[7] et constituisti eum super opera manuum tuarum.

[8] Omnia subjecisti sub pedibus ejus, oves et boves universas, insuper et pecora campi,

[9] volucres cæli, et pisces maris qui perambulant semitas maris.

[10] Domine, Dominus noster, quam admirabile est nomen tuum in universa terra!

[1. Signore, Signor nostro, quanto ammirabile è il nome tuo per tutta quanta la terra!

Perocché la tua maestà è elevata fin sopra dei cieli.

2. E dalla bocca de’ fanciulli e dei bambini di latte tu hai ricavata perfetta laude contro de’ tuoi nemici, per distruggere il nemico e il vendicativo.

3. Or io miro i tuoi cieli, opere delle tue dita, la luna e le stelle disposte da te.

4. Che è l’uomo, che tu di lui ti ricordi? Od il figliuolo dell’uomo che tu lo visiti?

5. Lo hai fatto per alcun poco inferiore agli Angeli, lo hai coronato di gloria e di onore;

6. E lo hai costituito sopra le opere delle tue mani.

7. Tutte quante le cose hai soggettate ai piedi di lui, le pecore e i bovi tutti e le fiere della campagna.

8. Gli uccelli dell’aria, e i pesci del mare, i quali camminano le vie del mare.

9. Signore, Signor nostro, quanto ammirabile è il nome tuo per tutta quanta la terrai!]

Salmo 90:

Laus cantici David.

Qui habitat in adjutorio Altissimi, in protectione Dei cæli commorabitur.

Dicet Domino: Susceptor meus es tu et refugium meum; Deus meus, sperabo in eum.

Quoniam ipse liberavit me de laqueo venantium, et a verbo aspero.

Scapulis suis obumbrabit tibi, et sub pennis ejus sperabis.

Scuto circumdabit te veritas ejus: non timebis a timore nocturno;

a sagitta volante in die, a negotio perambulante in tenebris, ab incursu, et daemonio meridiano.

Cadent a latere tuo mille, et decem millia a dextris tuis; ad te autem non appropinquabit.

Verumtamen oculis tuis considerabis et retributionem peccatorum videbis.

Quoniam tu es, Domine, spes mea; Altissimum posuisti refugium tuum.

Non accedet ad te malum, et flagellum non appropinquabit tabernaculo tuo.

Quoniam angelis suis mandavit de te, ut custodiant te in omnibus viis tuis.

In manibus portabunt te, ne forte offendas ad lapidem pedem tuum.

Super aspidem et basiliscum ambulabis, et conculcabis leonem et draconem.

Quoniam in me speravit, liberabo eum; protegam eum, quoniam cognovit nomen meum.

Clamabit ad me, et ego exaudiam eum; cum ipso sum in tribulatione; eripiam eum, et glorificabo eum.

Longitudine dierum replebo eum, et ostendam illi salutare meum.

[1. Colui che riposa nell’aiuto dell’Altissimo, viverà sotto la protezione del Dio del cielo.

2. Egli dirà al Signore: Mio difensore sei tu, e mio asilo; egli è il mio Dio, in lui spere

3. Imperocché egli dal laccio dei cacciatore e da dure cose mi ha liberato.

4. Dei suoi omeri farà ombra a te, e sotto le ali di lui avrai fidanza.

5. La sua verità ti coprirà come scudo per ogni parte: non temerai i notturni spaventi.

6. Non di giorno la saetta volante, non l’avversario che va attorno nelle tenebre, non gli assalti del demonio del mezzogiorno.

7. Mille cadranno al tuo fianco, e diecimila alla tua destra; ma nessuna (saetta) a te si accosterà.

8. Ma tu coi tuoi propri occhi osserverai; e vedrai il contraccambio renduto ai peccatori.

9. (E dirai): Tu sei, o Signore, la mia speranza; e che per tuo rifugio hai scelto l’Altissimo.

10. Non si accosterà a te il male, e alla tua casa non accosterassi il flagello.

11. Imperocché egli ha commessa di te la cura ai suoi Angeli; ed eglino in tutte le vie tue saran tuoi custodi.

12. Ti sosterranno colle lor mani, affinché sgraziatamente tu non urti col tuo piede nel sasso.

13 Camminerai sopra l’aspide e sopra il basilisco; e calpesterai il leone e il dragone.

14. Perché egli ha sperato in me, io lo libererò; lo proteggerò perché ha conosciuto il mio nome.

15. Alzerà a me la voce, e io lo esaudirò; con lui son io nella tribolazione, ne lo trarrò, e lo glorificherò.

16. Lo sazierò di lunghi giorni, e farogli vedere il Salvatore, che vien da me.]

Salmo 127

[1] Canticum graduum.

Beati omnes qui timent Dominum, qui ambulant in viis ejus.

[2] Labores manuum tuarum quia manducabis, beatus es, et bene tibi erit.

[3] Uxor tua sicut vitis abundans, in lateribus domus tuae; filii tui sicut novellae olivarum in circuitu mensae tuae.

[4] Ecce sic benedicetur homo qui timet Dominum.

[5] Benedicat tibi Dominus ex Sion, et videas bona Jerusalem omnibus diebus vitae tuae;

[6] et videas filios filiorum tuorum, pacem super Israel.

[1. Beati tutti coloro che temono il Signore, che camminano nelle sue vie.

2. Perché tu mangerai le fatiche delle tue mani, tu sei beato e sarai felice.

3. La tua consorte come vite feconda, nell’interior di tua casa.

4. I tuoi figliuoli come novelle piante di ulivi, intorno alla tua mensa.

5. Ecco come sarà benedetto l’uomo che teme il Signore.

6. Ti benedica da Sionne il Signore, e vegga tu i beni di Gerusalemme per tutti i giorni della tua vita.

7. E vegga tu i figliuoli dei tuoi figliuoli, e la pace in Israele.]

Confiteor

Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et tibi, pater: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et te, pater, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam,
absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

[Confesso a Dio onnipotente, alla beata sempre Vergine Maria, al beato Michele Arcangelo, al beato Giovanni Battista, ai Santi Apostoli Pietro e Paolo, a tutti i Santi e a te, o padre, di aver molto peccato, in pensieri, parole ed opere: per mia colpa, per mia colpa, per mia grandissima colpa. E perciò supplico la beata sempre Vergine Maria, il beato Michele Arcangelo, il beato Giovanni Battista, i Santi Apostoli Pietro e Paolo, tutti i Santi, e te, o padre, di pregare per me il Signore Dio nostro.
S. Dio onnipotente abbia pietà di noi e, rimessi i nostri peccati, ci conduca alla vita eterna.
R. Amen.
S. Il Signore onnipotente e misericordioso ✠ ci accordi il perdono, l’assoluzione e la remissione dei nostri peccati.
R. Amen.]

Salmo 50

[1] In finem. Psalmus David,

[2] cum venit ad eum Nathan propheta, quando intravit ad Bethsabee.

[3] Miserere mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam; et secundum multitudinem miserationum tuarum, dele iniquitatem meam.

[4] Amplius lava me ab iniquitate mea, et a peccato meo munda me.

[5] Quoniam iniquitatem meam ego cognosco, et peccatum meum contra me est semper.

[6] Tibi soli peccavi, et malum coram te feci; ut justificeris in sermonibus tuis, et vincas cum judicaris.

[7] Ecce enim in iniquitatibus conceptus sum, et in peccatis concepit me mater mea.

[8] Ecce enim veritatem dilexisti; incerta et occulta sapientiae tuae manifestasti mihi.

[9] Asperges me hyssopo, et mundabor; lavabis me, et super nivem dealbabor.

[10] Auditui meo dabis gaudium et laetitiam, et exsultabunt ossa humiliata.

[11] Averte faciem tuam a peccatis meis, et omnes iniquitates meas dele.

[12] Cor mundum crea in me, Deus, et spiritum rectum innova in visceribus meis.

[13] Ne projicias me a facie tua, et spiritum sanctum tuum ne auferas a me.

[14] Redde mihi laetitiam salutaris tui, et spiritu principali confirma me.

[15] Docebo iniquos vias tuas, et impii ad te convertentur.

[16] Libera me de sanguinibus, Deus, Deus salutis meæ, et exsultabit lingua mea justitiam tuam.

[17] Domine, labia mea aperies, et os meum annuntiabit laudem tuam.

[18] Quoniam si voluisses sacrificium, dedissem utique; holocaustis non delecta-beris.

[19] Sacrificium Deo spiritus contribulatus; cor contritum et humiliatum, Deus, non despicies.

[20] Benigne fac, Domine, in bona voluntate tua Sion, ut aedificentur muri Jerusalem.

[21] Tunc acceptabis sacrificium justitiæ, oblationes et holocausta; tunc imponent super altare tuum vitulos.

[Salmo di Davide da cantare fino alla fine del mondo, e composto da lui quando Nathan profeta entrò da lui a rimproverarlo del suo adulterio con Bethsabea, e anche dell’omicidio di Uria. Davide chiede a Dio perdono del suo peccato.

[1. Abbi misericordia di me, o Dio, secondo la grande tua misericordia.

2. E secondo le molte operazioni di tua misericordia scancella la mia iniquità.

3. Lavami ancor più dalla mia iniquità, e mondami dal mio peccato:

4. Perocché io conosco la mia iniquità, e il mio peccato mi sta sempre davanti;

5. Contro di te solo peccai, e il male feci dinanzi a te; affinché tu sii giustificato nelle

tue parole, e riporti vittoria quando sei chiamato in giudizio.

6. Imperocché ecco che io nelle iniquità fui concepito, e nei peccati mi concepì la madre.

7. Ed ecco che tu hai amato la verità! svelasti a me gl’ignoti e occulti misteri di tua sapienza.

8. Tu mi aspergerai coll’issopo, e sarò mondato; mi laverai, e diverrò bianco più che la neve.

9. Mi farai sentir parola di letizia e di gaudio, e le ossa umiliate tripudieranno.

10. Rivolgi la tua faccia dai miei peccati, e cancella le mie iniquità.

11. In me crea, o Dio, un cuor mondo, lo spirito retto rinnovella nelle mie viscere.

12. Non rigettarmi della tua faccia, e non togliere da me il tuo santo spirito.

13. Rendimi la letizia del tuo Salvatore per mezzo del benefico Spirito tu mi conforta.

14. Insegnerò le tue vie agli iniqui, e gli empi a te si convertiranno.

15. Liberami dal reato del sangue, o Dio, Dio di mia salute, e la mia lingua canterà con gaudio la tua giustizia.

16. Signore, tu aprirai le mie labbra, e la mia bocca annunzierà le tue lodi.

17. Imperocché, se un sacrifizio tu avessi voluto, lo avrei offerto; tu non ti compiacerai degli olocausti.

18. Sacrifizio a Dio lo spirito addolorato; il cuore contrito e umiliato nol disprezzerai o Dio.

19. Colla buona volontà tua sii benefico, o Signore, verso Sionne, affinché stabilite sieno le mura di Gerusalemme.

20. Tu accetterai allora il sacrifizio di giustizia, le oblazioni o gli olocausti; allora porranno dei vitelli sul tuo altare.]

La Chiesa è una comunione di Santi. A questo rito assistono i Santi, gli Angeli e le anime purganti: invochiamoli a protezione e patrocinio di questa nuova famiglia:

Litania dei santi

LITANIE DEI SANTI

Kyrie eleison,

Christe eleison,

Kyrie eleison.

Christe, audi nos;

Christe, exaudi nos;

Pater de cœlis Deus, Miserere nobis,

Fili redentor mundi Deus, Miserere nobis.

Spiritus Sancte Deus, Miserere nobis.

Sancta Trinitas unus Deus, Miserere…

Sancta Maria, ora pro nobis.

Sancta Dei Genitrix, ora

Sancta Virgo virginum, ora

Sancte Michael, ora

Sancte Gabriel, ora

Sancte Raphael, ora

Omnes sancti Angeli et Archangeli, orate

Omnes sancti beatorum Spirituum Ordines, orate

Sancte Joannes Baptista, ora

Sancte Joseph, ora…

Omnes sancti Patriarchæ et Prophetæ, orate…

Sancte Petre, ora…

Sancte Paule, ora…

Sancte Andrea, ora…

Sancte Jacobe, ora…

Sancte Joannes, ora…

Sancte Thoma, ora…

Sancte Jacobe, ora…

Sancte Philippe, ora…

Sancte Bartholomæe, ora…

Sancte Matthæe, ora…

Sancte Simon, ora…

Sancte Thaddæe, ora …

Sancte Mathia, ora …

Sancte Barnaba, ora…

Sancte Luca, ora…

Sancte Marce, ora…

Omnes sancti Apostoli et Evangelistas, orate…

Omnes sancti Discipuli Domini, orate…

Omnes sancti Innocentes, orate…

Sancte Stephane, ora…

Sancte Laurenti, ora…

Sancte Vincenti, ora…

Sancti Fabiane et Sebastiane, orate…

Sancti Joannes et Paule, orate…

Sancti Cosma et Damiane, orate…

Sancti Gervasi et Protasi, orate …

Omnes sancti Martyres, orate…

Sancte Silvester, ora…

Sancte Gregori, ora…

Sancte Ambrosi, ora…

Sancte Augustine, ora…

Sancte Hieronyme, ora…

Sancte Martine, ora…

Sancte Nicoláe, ora…

Omnes sancti Pontifices et Confessores, orate …

Omnes sancti Doctores, orate …

Sancte Antoni, ora

Sancte Benedicte, ora…

Sancte Bernarde, ora

Sancte Dominice, ora

Sancte Francisce, ora

Omnes sancti Sacerdotes et Levitæ, orate …

Omnes sancti Monachi et Eremitæ, orate …

Sancta Maria Magdalena, ora…

Sancta Agatha, ora …

Sancta Lucia, ora …

Sancta Agnes, ora …

Sancta Cæcilia, ora…

Sancta Catharina, ora

Sancta Anastasia, ora

Omnes sanctæ Vìrgines Viduæ, orate…

Omnes Sancti et Sanctæ Dei, intercedite pro nobis.

Propitius esto, parce nobis, Domine.

Propitius esto, exaudi nos, Domine.

Ab omni malo, libera nos Domine.

Ab omni peccato libera nos,…

Ab ira tua, libera…

A subitanea et improvisa morte, libera …

Ab insidiis diaboli, libera nos …

Ab ira, et odio et omni mala voluntate, libera nos…

A spiritu fornicationis, libera …

A fulgure et tempestate, libera …

A flagello terræmotus, libera …

A peste, fame et bello, libera …

A morte perpetua, libera …

Per misterium sanctæ incarnationis tuæ, libera …

Per adventum tuum, libera …

Per nativitatem tuam, libera …

Per baptismum et sanctum jejunium tuum, libera …

Per crucem et passionem tuam, libera …

Per mortem et sepolturam tuam, libera …

Per sanctam resurrectionem tuam, libera …

Per admirabilem ascensionem tuam, libera …

Per adventum Spiritus Sancti Paracliti, libera …

In die judicii, libera …

Peccatores, te rogamus, audi nos.

Ut nobis parcas, te rogamus …

Ut nobis indulgeas, te rogamus

Ut ad veram pœnitentiam nos perducere digneris, te rogamus …

Ut Ecclesiam tuam sanctam regere et conservare digneris, te rogamus …

Ut [domnum apostolicum] et omnes ecclesiasticos ordines in sancta religione conservare digneris, te rogamus…

Ut inimicos sanctæ Ecclesiaæ humiliare digneris, te rogamus…

Ut regibus et principibus christianis pacem et veram concordiam donare digneris, te rogamus …

Ut cuncto populo christiano pacem et unitatem largiri digneris, te rogamus …

Ut nosmetipsos in tuo sancto servitio confortare et conservare digneris, te rogamus:

Ut mentes nostras ad cœlestia desideria erigas, te rogamus …

Ut omnibus benefactoribus nostris sempiterna bona retribuas, te rogamus…

Ut animas nostras, fratrum, propinquorum, et benefactorum nostrorum ab æterna damnatione eripias, te rogamus …

Ut fructus terræ dare et conservare digneris, te rogamus …

Ut omnibus fidelibus defunctis requiem æternam donare digneris, te rogamus …

Ut nos exaudire digneris, te rogamus …

Fili Dei, te rogamus …

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, parce nobis, Domine.

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, exaudi nos, Domine.

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserere nobis.

Christe, audi nos.

Christe, exaudi nos.

Kyrie eleison.

Christe eleison.

Kyrie eleison.

Pater noster, (secreto)

… et ne nos inducas in tentationem,

Sed libera nos a malo.

Salmo 69

Deus, in adjutórium meum intènde; * Domine ad adjuvàndum me festina. Confundàntur, et revereàntur,* qui quærunt animam meam: Avertàntur retrórsum, et erubéscant, * qui volunt mihi mala: Avertàntur statim erubescéntes, * qui dicunt mihi: Euge, éuge. Exùltent et læténtur in te omnes qui quærunt te, * et dicant semper: Magnificétur Dóminus: qui diligunt salutare tuum. Ego vero egénus, et pàuper sum: * Deus, àdjuva me. Adjùtor meus, et liberator meus es tu: * Domine ne moréris. – Glòria Patri, etc.

V. Salvos fac servos tuos,

R. Deus meus speràntes in te.

V. Esto nobis, Dòmine, turris fortitùdinis,

R. A facie inimici.

V. Nihil proficiat inimicus in nobis.

R. Et filius iniquitàtis non appónat nocére:

V. Dòmine, non secundum peccata nostra fàcias nobis.

R. Neque secundum iniquitàtes nostras retribuas nobis.

V. Oremus prò Pontifice nostro Gregorio,

R. Dominus consérvet eum, et vivificet eum et beàtum faciat eum in terra, et non tradat eum in anima inimicórum éjus.

R. Oremus prò benefactóribus nostris.

R. Ritribùere dignàre, Dòmine, òmnibus nobis bona facientibus propter nomen tuum vitam ætérnam. Amen.

V. Oremus prò fidélibus defùnctis.

R. Requiem ætérnam dona eis, Dòmine, et lux perpétua luceat eis.

V. Requiescant in pace.

R. Amen.

V. Pro fratribus nostris abséntibus.

R. Salvos fac servos tuos, Deus meus, speràntes in te.

V. Mitte eis, Dòmine, auxilium de sancto:

R. Et de Sion tuére eos.

V. Domine, exaudi oratiónem meam.

R. Et clamor meus ad te veniat.

V. Exàudiat nos omnipotens et miséricors Dominus.

R. Amen.

V. Et fidélium ànimæ per misericórdiam Dei requiescant in pace.

R. Amen

Epistola

(Ephes. V., 22-33)

Mulieres viris suis subditæ sint, sicut Domino: quoniam vir caput est mulieris, sicut Christus caput est Ecclesiæ: ipse, salvator corporis ejus. Sed sicut Ecclesia subjecta est Christo, ita et mulieres viris suis in omnibus. Viri, diligite uxores vestras, sicut et Christus dilexit Ecclesiam, et seipsum tradidit pro ea, ut illam sanctificaret, mundans lavacro aquæ in verbo vitæ, ut exhiberet ipse sibi gloriosam Ecclesiam, non habentem maculam, aut rugam, aut aliquid hujusmodi, sed ut sit sancta et immaculata. Ita et viri debent diligere uxores suas ut corpora sua. Qui suam uxorem diligit, seipsum diligit. Nemo enim umquam carnem suam odio habuit: sed nutrit et fovet eam, sicut et Christus Ecclesiam: quia membra sumus corporis ejus, de carne ejus et de ossibus ejus. Propter hoc relinquet homo patrem et matrem suam, et adhærebit uxori suæ, et erunt duo in carne una. Sacramentum hoc magnum est, ego autem dico in Christo et in Ecclesia. Verumtamen et vos singuli, unusquisque uxorem suam sicut seipsum diligat: uxor autem timeat virum suum.

[Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai, infatti, ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola.Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! Quindi anche voi, ciascuno daparte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito.]

Vangelo

(S. Matteo, XIX, 3-6]

Et accesserunt ad eum pharisæi tentantes eum, et dicentes: Si licet homini dimittere uxorem suam, quacumque ex causa? Qui respondens, ait eis: Non legistis, quia qui fecit hominem ab initio, masculum et feminam fecit eos? Et dixit: Propter hoc dimittet homo patrem, et matrem, et adhaerebit uxori suæ, et erunt duo in carne una. Itaque jam non sunt duo, sed una caro. Quod ergo Deus conjunxit, homo non separet.

[Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo? Ed egli rispose: Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello, dunque, che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi.]

Enciclica casti connubi

…. Mediante il connubio, dunque, si congiungono e si stringono intimamente gli animi, e questi prima e più fortemente che non i corpi, né già per un passeggero affetto dei sensi o dell’animo, ma per un decreto fermo e deliberato di volontà; e da questa fusione di anime, così avendo Dio stabilito, sorge un vincolo sacro ed inviolabile. – Tale natura, affatto propria e speciale di questo contratto, lo rende totalmente diverso, non solo dagli accoppiamenti fatti per cieco istinto naturale fra gli animali, in cui non può esservi ragione o volontà deliberata, ma altresì da quegli instabili connubii umani, che sono disgiunti da qualsivoglia vero ed onesto vincolo di volontà e destituiti di qualsiasi diritto di domestica convivenza. – Da qui già appare manifesto che la legittima autorità ha diritto e dovere di frenare, impedire e punire questi turpi connubii, contrari a ragione e a natura; ma trattandosi qui di cosa che consegue alla stessa natura umana, non è meno certo quello che apertamente ammoniva il Nostro predecessore di f. m. «Nella scelta del genere di vita, non è dubbio che è in potere ed arbitrio dei singoli il preferire l’una delle due: o seguire il consiglio di Gesù Cristo intorno alla verginità, oppure obbligarsi col vincolo matrimoniale. Nessuna legge umana può togliere all’uomo il diritto naturale e primitivo del coniugio; o in qualsivoglia modo circoscrivere la cagione principale delle nozze, stabilita da principio per autorità di Dio: Crescete e moltiplicatevi ». (Leone XIII). …. «Tutti questi — dice Sant’Agostino — sono i beni per i quali le nozze sono buone: la prole, la fede, il sacramento ». Che poi a buon diritto si possa dire che questi tre punti contengono uno splendido compendio di tutta la dottrina sul matrimonio cristiano, ci viene eloquentemente dichiarato dallo stesso Santo quando dice: «Nella fede si provvede che fuor del vincolo coniugale non ci sia unione con un altro o con un’altra; nella prole che questa si accolga amorevolmente, si nutra benignamente, si educhi religiosamente; nel sacramento poi che non si sciolga il coniugio, e che il rimandato o la rimandata nemmeno per ragione di prole si congiunga con altri. Questa è come la regola delle nozze, dalla quale ed è nobilitata la fecondità della natura ed è regolata la pravità dell’incontinenza ». […..]. – Tutto ciò pienamente s’accorda con le severe parole del Vescovo d’Ippona, il quale inveisce contro quei coniugi depravati che s’industriano di evitare la prole; ed ove non ottengano l’intento, non temono di ucciderla. «Talvolta — dice — questa crudeltà impura o impurità crudele giunge fino al punto di ricorrere ai veleni atti a procurare la sterilità e, se non vi riesce, a estinguere con qualche mezzo il frutto concepito e a liberarsene, bramando che la propria prole muoia prima di vivere, o se già viveva nel materno seno, sia uccisa prima di nascere. Per certo, se ambedue sono tali, non sono coniugi: e se tali furono fin da principio, non si congiunsero per connubio, ma piuttosto per turpitudine; se tali non sono tutti e due, oso dire: o che ella, in qualche modo, si prostituisce al marito, o che egli si rende adultero verso di lei ». […..] – Ma inoltre sono da annoverare partitamente altrettanti capi di errori e di corruttele contro la fede coniugale, quante sono le virtù domestiche che questa fede abbraccia: la casta fedeltà dell’uno e dell’altro coniuge; l’onesta soggezione della moglie al marito, e infine il saldo e sincero amore tra i due. … L’animo nobile dei casti coniugi, anche solo per lume naturale respinge e disprezza certamente simili errori, come vanità e brutture; e siffatta voce della natura è approvata e confermata dal comandamento di Dio «Non fornicare », e da quello di Cristo: « Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso in cuor suo adulterio con lei ». E nessuna consuetudine o pravo esempio e nessuna parvenza di progresso umano potranno mai indebolire la forza di questo divino precetto. Perché come è sempre il medesimo «Gesù Cristo ieri e oggi e nei secoli », così è sempre identica la dottrina di Cristo, della quale non cadrà un punto solo, sino a tanto che tutto sia adempito. I citati maestri di errori che offuscano il candore della fede e della castità coniugale, facilmente scalzano altresì la fedele ed onesta soggezione della moglie al marito … E anche più audacemente molti di essi affermano con leggerezza essere quella una indegna servitù di un coniuge all’altro; i diritti tra i coniugi devono essere tutti uguali, ed essendo essi violati con la servitù di una parte, tali maestri bandiscono superbamente come già fatta o da procurarsi una certa « emancipazione » della donna. Questa emancipazione dicono dovere essere triplice: nella direzione della società domestica, nell’amministrazione del patrimonio, nell’esclusione e soppressione della prole. La chiamano emancipazione sociale, economica, fisiologica; fisiologica in quanto vogliono che la donna, a seconda della sua libera volontà, sia o debba essere sciolta dai pesi coniugali, sia di moglie, sia di madre (e che questa, più che emancipazione, debba dirsi nefanda scelleratezza, già abbiamo sufficientemente dichiarato); emancipazione economica, in forza della quale la moglie, all’insaputa e contro il volere del marito, possa liberamente avere, trattare e amministrare affari suoi privati, trascurando figli, marito e famiglia; emancipazione sociale, in quanto si rimuovono dalla moglie le cure domestiche sia dei figli come della famiglia, perché, mettendo queste da parte, possa assecondare il proprio genio e dedicarsi agli affari e agli uffici anche pubblici. – Ma neppure questa è vera emancipazione della donna, né la ragionevole e dignitosa libertà che si deve al cristiano e nobile ufficio di donna e di moglie; ma piuttosto è corruzione dell’indole muliebre e della dignità materna, e perversione di tutta la famiglia, in quanto il marito resta privo della moglie, i figli della madre, la casa e tutta la famiglia della sempre vigile custode. Anzi, questa falsa libertà e innaturale eguaglianza con l’uomo tornano a danno della stessa donna; giacché se la donna scende dalla sede veramente regale, a cui, tra le domestiche pareti, fu dal Vangelo innalzata, presto ricadrà nella vecchia servitù (se non di apparenza, certo di fatto) e ridiventerà, come nel paganesimo, un mero strumento dell’uomo. … Senonché, contro tutte queste demenze, (dovorziste – ndr.-) sta immobile, Venerabili Fratelli, la legge di Dio, da Cristo amplissimamente confermata, e che non può venire smossa da nessun decreto degli uomini, opinione di popoli o volontà di legislatori: «Quello che Dio ha congiunto, l’uomo non separi » . E se l’uomo ingiuriosamente tenta separarlo, il suo atto sarà del tutto nullo, e resta immutabile quanto Cristo apertamente affermò: « Chiunque rimanda la moglie e ne sposa un’altra, è adultero; e chi sposa la rimandata dal suo marito, è adultero ». E queste parole di Cristo riguardano qualsiasi matrimonio, anche quello soltanto naturale e legittimo, giacché ad ogni vero matrimonio spetta quella indissolubilità, per la quale esso è sottratto, quanto alla soluzione del vincolo, all’arbitrio delle parti e ad ogni potestà laicale. – E qui deve pur essere ricordato il solenne giudizio con il quale il Concilio Tridentino condannò tali insanie di anatema: « Chiunque dice che il vincolo del matrimonio può essere sciolto dal coniuge, a causa di eresia o di molesta coabitazione o di pretesa assenza, sia anatema ». ; e inoltre « Chiunque dice che la Chiesa erra quando ha insegnato e insegna che, secondo la dottrina evangelica ed apostolica, non può essere disciolto il vincolo del matrimonio per l’adulterio di uno dei coniugi, e che nessuno dei due, neanche l’innocente che non diede motivo all’adulterio, può contrarre altro matrimonio, vivente l’altro coniuge, e che commette adulterio tanto colui il quale, ripudiata l’adultera, sposa un’altra, quanto colei che, abbandonato il marito, ne sposa un altro, sia anatema » . Se la Chiesa non errò né erra in questa sua dottrina, e perciò è del tutto certo che il vincolo del matrimonio non può essere sciolto neppure per l’adulterio, ne segue con evidenza che molto minor valore hanno tutti gli altri motivi di divorzio, di molto più deboli, che sogliono o possono allegarsi, e quindi non è da farne alcun conto…..

Rito nunziale

L’officiante, alla presenza di due testimoni, si porta davanti agli sposi e domanda del consenso, dicendo:

Allo Sposo:

 D: Francisce, vis accipere Mariam hic præséntem in tuam legitimam uxérem iuxta ritum sanctæ matris Ecclésiæ? Lo sposo risponde:

R. Volo.

[D. Francesco: Sei contento di prendere Maria, quì presente, come tua legittima sposa, secondo il rito della Santa Madre Chiesa? – Lo sposo risponde: Lo voglio; oppure: sì].

Poi alla sposa:

D. Maria, vis accipere Franciscum hic præséntem in tuum legitimum maritum iuxta ritum sanctæ matris Ecclésiæ? La Sposa risponde:

R. Volo.

[D.  Maria, sei contenta di prendere Francesco, qui presente, come tuo legittimo marito, secondo il rito della Santa Madre Chiesa? La sposa risponde: Lo voglio; oppure: sì]

L’officiante comanda agli sposi di darsi la destra e dice:

Ego coniungo vos in matrimonium in nomine Patris et Fili, et Spiritus Sancti. Amen.

[Io vi congiungo in matrimonio; nel nome del Padre e del Figliuolo, e dello Spirito Santo. Così sia].

Tosto li asperge con l’acqua benedetta. Quindi benedice l’anello dicendo:

V. Adiutorium nostrum in nomine Domini. [Il nostro aiuto è nel nome del Signore.] R. Qui fecit cælum et terram.  [Il quale ha fatto il cielo e la terra].

V. Domine, exaudi orationem meam [Signore, esaudisci la mia preghiera.]

R. Et clamor meus ad te veniat [E il mio grido giunga a Te].

Orazioni

Orémus.

Benedic Domine, annulum hunc, quem nos in tuo nomine benedicimus; ut, quæ eum gestaverit, fidelitàtem integram suo sponso tenens, in pace et voluntàte tua permaneat, atque in mutua caritàte semper vivat. Per Christum Dominum nostrum.

B. Amen.

[Preghiamo. — Benedici, o Signore, questo anello che noi benediciamo nel tuo nome, affinché colei che lo porterà, mantenendosi sempre fedele al suo sposo, stia nella pace e nella tua volontà e viva sempre nella mutua carità. Per Cristo nostro Signore.

R. Così sia].

Quindi consegna l’anello alla sposa dicendo:

In nomine Patris et Filii, et Spiritus Sancti. Amen 

[Nel nome del Padre, e del Figliuolo e dello Spirito. Così sia.]

E soggiunge:

V. Confirma hoc, Deus, quod operatus es in nobis.

R. A templo sancto tuo, quod est in Jerusalem.

Kyrie, eléison.

Christe, eléison.

Kyrie eléison

Pater noster, secréto usque ad:

V. Et ne nos inducas in tentationem.

R. Sed libera nos a malo.

V. Salvos fac servos tuos.

R. Deus meus, speràntes in te.

V. Mitte eis, Domine, auxilium de sancto.

R. Et de Sion tuére eos.

V. Esto eis, Domine, turris fortitudinis,

R. A facie inimici.

V. Domine, exaudi orationem meam.

R. Et clamor meus ad Te veniat.

[V. Conferma, o Dio, quello che hai operato in noi.

V. Dal tuo tempio santo che è in Gerusalemme]

Signore, abbi pietà di noi.

Cristo, abbi pietà di noi.

Signore, abbi pietà di noi.

Padre nostro (in segreto fino a):

V. E non ci indurre in tentazione

R. Ma liberaci dal male

V. Salva i tuoi servi.

R. Che sperano in te, o mio Dio.

V. Manda loro, o Signore, dal santuario, l’aiuto

R. E da Sion difendili.

V. Sii ad essi, o Signore, una torre di fortezza.

R. Di fronte al nemico.

V. Signore ascolta la mia preghiera.

R. Ed il mio grido giunga a te].

Oremus.

Respice, quæsumus, Domine, super nos famulos tuos: et institùtis tuis, quibus Propagationem humani géneris ordinàsti, benignus assiste; ut, qui te auctore iuguntur, te auxiliante servéntur. Per Christum Dominum nostrum.

R. Amen.

[Preghiamo: — Guarda, te ne preghiamo, o Signore questi tuoi servi, e, benigno assisti coloro che hai istituito per la propagazione del genere umano, affinché quelli che sono uniti per opera tua col tuo aiuto ti servano fedelmente. Per Cristo nostro Signore]

Comunione spirituale:

.a) Atto di dolore

Deus meus, ex toto corde, pœnitet me omnium peccatorum meorum eaque detestor, quia peccando, non solum a te justu statuto pœnas promeritus sum, sed præsertim quia offendi te, summum bonum ac qui super omnia diligaris. Ideo fermiter propono, adiuvante gratia tua, me de cœtero non peccaturum, peccandique occasiones proximas fugiturum. Parce, Domine, miserere nostri.

[Dio mio, con tutto il cuore mi pento dei miei peccati e li detesto, perché peccando non solo ho meritato le giuste pene, ma soprattutto perché ho offeso Te, sommo Bene, amato sopra ogni cosa. Pertanto, mi propongo fermamente di non peccare più, e di fuggire le occasioni prossime di peccato. Perdono, Signore, pietà di me.]

.b) ACTUS COMMUNIONIS SPIRITUALIS

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Gesù mio, credo che Voi state nel santissimo Sacramento. Vi amo sopra ogni cosa e vi desidero nell’anima mia. Giacché ora non posso ricevervi sacramentalmente, venite almeno spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io vi abbraccio e tutto mi unisco a voi; non permettete che io mi abbia a separare da voi (S. Alfonso M. de’ Liguori).

Fidelibus, qui spiritualis Communionis actum, quavis adhibita formula, elicuerint, conceditur:

Indulgenza trium annorum;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem actus perfectus fuerit.

(S. Pæn. Ap., 7 mart. 1927 et 25 febr. 1933).

Deus Abraham, Deus Isaac, et Deus Jacob sit vobiscum et ipse adimpleat benedictionem suam vobis: ut videbitis filios filiorum vestrérum usque ad tértiam et quartam generationem, et postea vitam ætérnam habeatis sine fine: adjuvante Domino nostro Jesu Christo, qui cum Patre et Spiritu Sancto vivit

R. Amen.

[Il Dio d’ Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe sia con voi, egli compia in voi la sua benedizione, affinché vediate i figli dei vostri figli sino alla terza e alla quarta generazione, e poi abbiate per sempre la vita eterna: coll’aiuto di nostro Signor Gesù Cristo il quale col Padre e collo Spirito Santo vive e regna Dio per tutti i secoli dei secoli.

R. Così sia].

O. Salve Regína,

Mater misericórdiæ, vita, dulcédo, et spes nostra, salve. Ad te clamámus, éxsules fílii Evæ. Ad te suspirámus geméntes et flentes in hac lacrymárum valle. Eia ergo, Advocáta nostra, illos tuos misericórdes óculos ad nos convérte. Et Jesum, benedíctum fructum ventris tui, nobis, post hoc exílium, osténde. O clemens, o pia, o dulcis Virgo Mária.

S. Ora pro nobis, sancta Dei Génitrix.

O. Ut digni efficiámur promissiónibus Christi.

S. Orémus.

Deus, refúgium nostrum et virtus, pópulum ad te clamántem propítius réspice; et intercedénte gloriósa, et immaculáta Vírgine Dei Genitríce María, cum beáto Joseph, ejus Sponso, ac beatis Apóstolis tuis Petro et Paulo, et ómnibus Sanctis, quas pro conversióne peccatórum, pro libertáte et exaltatióne sanctæ Matris Ecclésiæ, preces effúndimus, miséricors et benígnus exáudi. Per eúndem Christum Dóminum nostrum. Amen.

O. Sancte Míchaël Archángele,

defénde nos in prǽlio; contra nequítiam et insídias diáboli esto præsídium. Imperet illi Deus, súpplices deprecámur: tuque, Princeps milítiæ Cæléstis, sátanam aliósque spíritus malígnos, qui ad perditiónem animárum pervagántur in mundo, divína virtúte in inférnum detrúde. Amen.

S. Cor Jesu sacratíssimum.

O. Miserére nobis.

S. Cor Jesu sacratíssimum.

O. Miserére nobis.

S. Cor Jesu sacratíssimum.

O. Miserére nobis.

Consacrazione della famiglia

Formula,

O Gesù Redentore nostro amabilissimo, che, venuto ad illuminare il mondo colla dottrina e coll’esempio, la maggior parte della vostra Vita mortale, voleste passare umile e soggetto a Maria ed a Giuseppe nella povera casa di Nazaret, santificando quella Famiglia che doveva essere l’esemplare di tutte le famiglie cristiane, accogli

la nostra che ora a Voi si consacra. Voi proteggetela, Voi custoditela, e stabilite in essa il santo timor vostro, la pace e la concordia della cristiana carità, affinché, uniformandosi al divino modello della vostra Famiglia, possa conseguire tutta intera, nessuno escluso, l’eterna beatitudine.

Maria, Madre amorosa di Gesù e Madre nostra, colla vostra pietosa intercessione rendete accetta a Gesù questa umile offerta, ed otteneteci le sue grazie e benedizioni.

O Giuseppe, custode di Gesù e di Maria, sovveniteci colle vostre preghiere in ogni spirituale e temporale necessità; sicché possiamo con Maria e con Voi eternamente benedire il divino nostre Redentore Gesù.

Te Deum

Te Deum
Te Deum laudámus: * te Dóminum confitémur.
Te ætérnum Patrem * omnis terra venerátur.
Tibi omnes Ángeli, * tibi Cæli, et univérsæ Potestátes:
Tibi Chérubim et Séraphim * incessábili voce proclámant:

(Fit reverentia) Sanctus, Sanctus, Sanctus * Dóminus Deus Sábaoth.

Pleni sunt cæli et terra * majestátis glóriæ tuæ.
Te gloriósus * Apostolórum chorus,
Te Prophetárum * laudábilis númerus,
Te Mártyrum candidátus * laudat exércitus.
Te per orbem terrárum * sancta confitétur Ecclésia,
Patrem * imménsæ majestátis;
Venerándum tuum verum * et únicum Fílium;
Sanctum quoque * Paráclitum Spíritum.
Tu Rex glóriæ, * Christe.
Tu Patris * sempitérnus es Fílius.

Fit reverentia
Tu, ad liberándum susceptúrus hóminem: * non horruísti Vírginis úterum.

Tu, devícto mortis acúleo, * aperuísti credéntibus regna cælórum.
Tu ad déxteram Dei sedes, * in glória Patris.
Judex créderis * esse ventúrus.

Sequens versus dicitur flexis genibus
Te ergo quǽsumus, tuis fámulis súbveni, * quos pretióso sánguine redemísti.

Ætérna fac cum Sanctis tuis * in glória numerári.
Salvum fac pópulum tuum, Dómine, * et bénedic hereditáti tuæ.
Et rege eos, * et extólle illos usque in ætérnum.
Per síngulos dies * benedícimus te.

Fit reverentia, secundum consuetudinem
Et laudámus nomen tuum in sǽculum, * et in sǽculum sǽculi.

Dignáre, Dómine, die isto * sine peccáto nos custodíre.
Miserére nostri, Dómine, * miserére nostri.
Fiat misericórdia tua, Dómine, super nos, * quemádmodum sperávimus in te.
In te, Dómine, sperávi: * non confúndar in ætérnum.

[Ti lodiamo, o Dio: * ti confessiamo, o Signore.
Te, eterno Padre, * venera tutta la terra.
A te gli Angeli tutti, * a te i Cieli e tutte quante le Potestà:
A te i Cherubini e i Serafini * con incessante voce acclamano:

(chiniamo il capo) Santo, Santo, Santo * è il Signore Dio degli eserciti.

I cieli e la terra sono pieni * della maestà della tua gloria.
Te degli Apostoli * il glorioso coro,
Te dei Profeti * il lodevole numero,
Te dei Martiri * il candido esercito esalta.
Te per tutta la terra * la santa Chiesa proclama,
Padre * d’immensa maestà;
L’adorabile tuo vero * ed unico Figlio;
E anche il Santo * Spirito Paraclito.
Tu, o Cristo, * sei il Re della gloria.
Tu, del Padre * sei l’eterno Figlio.

Chiniamo il capo:
Tu incarnandoti per salvare l’uomo, * non disdegnasti il seno di una Vergine.

Tu, spezzando il pungolo della morte, * hai aperto ai credenti il regno dei cieli.
Tu sei assiso alla destra di Dio, * nella gloria del Padre.
Noi crediamo che ritornerai * qual Giudice.

Il seguente Versetto si dice in ginocchio.
Te quindi supplichiamo, soccorri i tuoi servi, * che hai redento col prezioso tuo sangue.

Fa’ che siamo annoverati coi tuoi Santi * nell’eterna gloria.
Fa’ salvo il tuo popolo, o Signore, * e benedici la tua eredità.
E reggili * e innalzali fino alla vita eterna.
Ogni giorno * ti benediciamo;
Chiniamo il capo, se è la consuetudine del luogo.
E lodiamo il tuo nome nei secoli, * e nei secoli dei secoli.

Degnati, o Signore, di preservarci * in questo giorno dal peccato.
Abbi pietà di noi, o Signore, * abbi pietà di noi.
Scenda sopra di noi la tua misericordia, * come abbiamo sperato in te.
Ho sperato in te, o Signore: * non sarò confuso in eterno.]

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IL GIORNO XX …… SI E’ CELEBRATO il:

MATRIMONIO

 CONTRATTO secondo il rito di Santa Madre Chiesa Cattolica Romana (Motu Proprio S. S. Pio XII, 22. 2. 1949: Disciplina Sacramenti matrimoni pro ecclesia orientali. Tra:

N. N. e N. N.

TESTIMONI:

Sig. N. N. e

Sig, N. N.

FIRME:

………………………………………                                    …………………………………………..

                                                                   TESTIMONI:

……………….…………………………….                               …………………………………………………….

Luogo e data.

LO SCUDO DELLA FEDE (183)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XX)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO TERZO

LA CHIESA

III. L’ORGANIZZAZIONE DELLA CHIESA

b) ll Papa.

D. Qual è, esattamente, quel potere centrale che tu attribuisci al Papa?

R. È un potere plenario, perché è quello stesso di Cristo.

D. Uno stesso potere plenario può appartenere così a due persone?

R. È il caso di ogni potere esercitato da un vicario, È proprio dell’essenza di un vicariato di non costituire alcun grado gerarchico nuovo. Un ambasciatore, nei limiti de’ suoi poteri, non è un’autorità posta al di sotto del suo principe: egli esercita l’autorità dello stesso principe. Così il Papa esercita nella Chiesa l’autorità di Cristo; governa nel nome di Cristo, non formando con Lui, come Vicario, se non un solo ed unico potere, e facendo la stessa parte di fondamento, riguardo all’edificio spirituale, congiuntamente a Colui che lo chiamò Pietra, o Roccia, e che ha detto se stesso pietra angolare.

D. Che cosa importa questa autorità?

E. Essa comprende nella loro pienezza e centralizzandoli i tre poteri che ho già menzionato attribuendoli a tutto il gruppo apostolico, cioè il magistero dottrinale, il governo, e il ministero, o potere sacramentale.

D. Riguardo ai Sacramenti stessi, il Papa avrebbe un potere speciale?

R. Relativamente all’azione sacramentale, no; quindi egli non è che un sacerdote e un Vescovo come gli altri; ma in quanto all’uso che se ne fa e in quanto ai riti che lo accompagnano, egli è il primo così come in tutto il resto. È il maestro della liturgia, dispone l’insieme e i particolari del culto divino, a fine di dare alla misticità della Chiesa dei mezzi in rapporto coi tempi, coi luoghi e con le persone.

D. Che cosa intendi per il suo governo?

E. Egli ha un’autorità legislativa plenaria e immediata sopra la Chiesa intera; vale a dire che nel suo dominio, che è quello del soprannaturale, egli può dare ordini a ciascuno e a tutti, individui e gruppi, fedeli, pastori, chiese particolari o Chiesa universale. Con ciò è giudice supremo, e il suo giudizio è naturalmente inappellabile, salvoché, essendo egli uscito dal suo ufficio, non meriti che si dica, come a torto fece Pascal nel momento de’ suoi oblii giansenisti: Ad tuum, Domine Jesu, tribunal appello. Finalmente il potere legislativo e giudiziario del Sommo Pontefice suppone come conseguenza il potere di applicare delle sanzioni; ben inteso, conforme alla natura della sua giurisdizione: donde le pene canoniche, delle quali egli è il supremo dispensatore.

D. Ma che cosa è, principalmente, questo potere dottrinale, questo «magistero » che tu presti al tuo Pontefice? Cristo non ha forse detto parlando di se stesso: Voi non avete che un solo Maestro?

R. Ho spiegato or ora che il magistero del Papa è quello stesso di Cristo. Il Papa non pretende d’insegnare qualsiasi cosa dopo Cristo; ma egli è il capo tra quelli a cui fu detto: Andate e ammaestrate tutte le nazioni, insegnando loro quello che vi ho detto.

D. Il Papa non è dunque altro che un ripetitore?

E. Se così ti piace. Egli è il capo ripetitore della divina lezione data agli uomini. Egli conferma i suoi fratelli nella fede; organizza il simbolo, lo interpreta, lo difende, dirime da sovrano le questioni che esso suscita, serve di ultimo ricorso nelle dispute che tali questioni non possono mancar di far nascere tra gli uomini.

D. Tu pretendi che, in tutto questo, il Papa è infallibile?

R. Egli è infallibile in condizioni definite, cioè quando parla appunto come giudice della dottrina, nei limiti dell’oggetto assegnato a questa dottrina, e quando, rivolgendosi alla Chiesa universale, intende di obbligarla tutta.

D. Perché l’infallibilità?

R. Un illustre protestante (Augusto Sabatier) ha stabilito

questa proposizione: « Un dogma indiscutibile suppone una Chiesa infallibile ». Egli conclude, da parte sua, col respingere ogni dogma fisso: ma la sua dimostrazione resta.

D. In che consiste essa?

R. Nel dimostrare psicologicamente, socialmente, e nel fatto, quello che diventa un insegnamento, fuori della salvaguardia di un’autorità vivente e indiscutibile. Quest’insegnamento fa capo, salvo illogismi fortunatamente frequenti, a ciò che Andrea Gide chiama «la più grande liberazione », cioè il nulla dottrinale e l’immoralismo.

D. Questo, dici tu, si vede nel fatto?

R. Le sette che presero il loro contegno di riserva sono arrivate a uno sbriciolamento tanto più accentuato, quanto più vivevano; il ristagno di alcune prova semplicemente la loro morte. A questo punto, tra i dissidenti, si scrivono libri sopra libri, per dilucidare questo problema primordiale: qual è l’essenza del Cristianesimo? Durante questo tempo, la Chiesa vive e fa vivere.

D. Anche gli altri vivono

R. È un vivere il dissociarsi? Ogni dissociazione è una cadaverizzazione. La Chiesa vive per la sua unità, e vive potentemente per la sua certezza. L’infallibilità è la forza della Chiesa, perché le dà la piena sicurezza di se stessa di fronte al divino.

D. Si permetterebbe alla Chiesa di affermare se stessa, se non fosse così pronta a condannare tutto.

R. «Una delle condizioni essenziali dell’affermazione è la negazione e la distruzione » (NIETZSCHE).

D. Una tale correlazione ha i suoi limiti. Se la Chiesa facesse delle concessioni, ci si potrebbe intendere con essa; ma si resta offesi della sua intransigenza.

R. L’intransigenza della Chiesa è una conseguenza della sua certezza e dell’urgenza del suo insegnamento. Fare delle concessioni sarebbe per lei un abbandonare ciò che non le appartiene, abbandonare il bene divino, abbandonare il mezzo di salute degli uomini; sarebbe dunque tradire.

D. Per mantenere una verità, la tua Chiesa ne può distruggere altre.

R. Considera quello che la Chiesa distrugge. Che cosa colpiscono i suoi anatemi? Forse idee positive, forse affermazioni che si possono credere feconde? No; ma sempre negazioni, esclusioni, punti di vista parziali che, per la loro parzialità, squilibrano il vero e l’annullano. Nel modernismo, per esempio, ultima delle sue grandi vittime, quello che la Chiesa ha condannato, non è l’immanentismo in ciò che esso ha di positivo, ma un immanentismo opposto alla trascendenza del soprannaturale e a una rivelazione esteriore; non è neppure l’asserzione che la religione fosse un sentimento, ma che essa non fosse che un sentimento, ad esclusione di una dottrina netta e fissa. E così del resto. Ho già detto che il Cattolicismo aduna tutto ciò che vi è di positivo e di sano nelle religioni e nelle filosofie che si dividono il mondo. Dunque i suoi anatemi sono invero degli allargamenti, non degli impedimenti; sono degli inviti a conservare la grande via e ad evitare tutti i sentieri pantanosi.

D. Perché questa brutta parola: anatema?

R. Essere anatema significa essere collocato fuori. Quando fulmina l’anatema, la Chiesa dichiara che questi o quegli non è più suo, e ripeto che non è affatto perché egli affermi qualche cosa, ma perché nega o riduce qualche cosa. – Ciò che si assicura è che l’errore non cade mai sul proprio oggetto della Chiesa, e della Chiesa che pronunzia la sua propria legge, in condizioni che impegnano la sua divina autorità, condizioni che essa stessa definisce nel modo più preciso. Su questo punto si dovrebbe portare la contesa; ma sarebbe invano.

D. Quello che urta ancora è quell’immutabilità, quella rigida fissità, in un mondo dove tutto cambia, e dove è necessario che tutto cambi.

R. Su questo noi ci siamo spiegati. La Chiesa cambia, poiché glielo rimproverano dicendo che ella non fu fedele alle sue origini. Le rimproverano tanto i suoi cambiamenti quanto la sua immutabilità. Bisognerebbe tuttavia scegliere, o piuttosto comprendere. I cambiamenti della Chiesa sono le evoluzioni e gli adattamenti della vita; l’immutabilità della Chiesa è la fissità del tipo e dei caratteri generali della vita. Dato quello che è la Chiesa, organizzazione del soprannaturale, l’immutabilità è in lei di prima necessità; è « la fissità dell’istante in cui l’eterno è entrato nel tempo » (ERIK PETERSON).

D. Lasciamo la Chiesa: sì trattava del Papa; assicurare che egli è infallibile, non è forse un fare di un uomo un Dio?

R. No; come di un flauto, anche se suonato benissimo, non si fa un virtuoso.

D. Il flauto non ha pensiero musicale; il Papa ha un pensiero dogmatico.

R. Il pensiero dogmatico del Papa, secondo che è a lui proprio, non c’impegna in nessun modo; anche certo, esso non appoggia la nostra fede. Certi Papi hanno scritto dei volumi di teologia che si discutono come gli altri, e che hanno molto minore autorità nella Chiesa di quelli del semplice monaco Tommaso d’Aquino.

D. Su che cosa dunque ti appoggi tu qui?

R. Sull’esercizio d’un ufficio garantito da Cristo, che dice: Pietro, io ho pregato. per te, affinché la tua fede non venga meno, e tu conferma i tuoi fratelli.

D. Tu non vedi dunque nel Papa un uomo miracoloso?

R. È un uomo come gli altri; ma il suo compito non è come gli altri.

D. Ad ogni modo tu fai di questo compito qualcosa fuori dell’umanità.

R. Se esso fosse dell’umanità e non la oltrepassasse in qualche modo, come aiuterebbe secolarmente l’umanità stessa ad oltrepassarsi? Si tratta del soprannaturale, in cui l’uomo non ha da se stesso alcuna competenza. Cristo ci ha dato il soprannaturale; ma non è forse noto che una cosa non si conserva se non con gli stessi mezzi che servirono ad acquistarla?

D. Insomma, il tuo Papa fa la parte di un superuomo, dunque è un superuomo.

R. Bisogna lasciare questa interpretazione all’ignoranza, alla mala fede semicosciente o all’imperdonabile leggerezza di alcuni dissidenti. Il nostro Papa non è un superuomo; ma un debole mortale assistito. Egli non trae benefizio da nessun miracolo psicologico. Prima delle sue definizioni, egli non ne è più sicuro di noi; dopo, è tenuto come noi ad aderirvi, come una cosa che lo supera e di cui non è stato che l’organo. Solamente, Cristo ha pregato per lui, e ciò basta. Colui che il Padre esaudisce sempre ha inteso, con questo mezzo, di mantenere nella sua umanità religiosa il minimo di verità indispensabile e i considerandi essenziali delle sue leggi. Noi crediamo quello che Egli disse; noi, poste tutte le condizioni, abbiamo fede nella onnipotente salvaguardia.

D. Come si può esercitare questa salvaguardia?

R. La Provvidenza ha dei mezzi infiniti; questi mezzi si precisano in ciascun caso secondo le circostanze e secondo le esigenze di questo caso. Quello che bisogna ritenere si è che egli non agisce per miracolo; noi non attribuiamo al Papa nessuna rivelazione particolare; egli s’informa come noi; si decide secondo le stesse regole nostre; il suo verdetto è soltanto l’oggetto d’una speciale provvidenza, che rassicura la nostra fede.

D. Il privilegio dell’infallibilità appartiene al Papa esclusivamente?

R. Esso appartiene alla Chiesa; appartiene, in vista della Chiesa, al gruppo apostolico anzitutto, e solo come capo del gruppo apostolico se ne trova investito il Papa personalmente.

D. Dunque i Concilii godono dell’infallibilità.

R. Sì, ma nella loro unità, che non è loro procurata se non dal capo, sotto la dipendenza dal capo. Di modo che un Concilio non presieduto o non confermato dal Papa è senza autorità dottrinale.

D. Qual è il rapporto preciso di queste due infallibilità?

R. L’infallibilità del gruppo apostolico e del corpo episcopale suo successore è un’infallibilità confermata; quella di Pietro e del Papa suo successore è un’infallibilità che conferma. Quello che dice il Concilio senza il Papa, o tanto più contro il Papa, è nullo; quello che dice il Papa senza il Concilio è sufficiente da solo.

D. Da che dipende quest’ultima prerogativa?

R. È una questione di costituzione. Si tratta di sapere se il Papa da se solo, rappresenti sufficientemente la Chiesa, rappresenti sufficientemente il gruppo apostolico organo della Chiesa; ora, appoggiati sulle parole di Cristo e sulla tradizione secolare, confermate tutt’e due e proclamate nel concilio Vaticano, noi diciamo di sì. Non è questa un’esaltazione del Papa come persona: « Considerando la Chiesa come unità, il Papa che ne è il capo, è come tutto. Considerandola come moltitudine, il Papa non ne è che una parte » (PASCAL).

D. Se l’infallibilità è essenziale alla Chiesa, perché è stata definita così tardi?

R. Essa esisteva e si esercitava prima di essere definita, e ciò che era essenziale alla Chiesa era la sua esistenza, era il suo esercizio e non la sua definizione.

D. Ma si esercitava veramente nella sua pienezza?

R. Niente si esercita subito nella sua pienezza, in seno a un organismo vivente. La Chiesa è un vivente, ancora una volta; da principio, tutto si trova in stato embrionale, poi nello stato progressivo, finalmente nello stato compiuto, e il sentimento che se ne ha segue le stesse tappe, perché la vita riconosce se stessa vivendo.

D. Prima del concilio Vaticano, il Papa non sapeva dunque di essere infallibile?

R. Non lo sapeva con la stessa certezza, con una piena certezza di fede.

D. È strano.

E. È invece affatto naturale, se tu ti riferisci alle leggi della vita, aggiungendo che qui si tratta di una vita soprannaturale. L’infallibilità della Chiesa non è altro che la sua vitalità dottrinale conservata e manifestata alla sua ora dallo Spirito che risiede in lei, come il vigore del germe è conservato e manifestato dal « genio della specie » in una discendenza vivente.

D. E che cosa è che decise, finalmente, della definizione?

F. Sembrò venuto il momento, per la Chiesa, di poggiare pienamente in sé; di darsi quella forza di esistere e di operare col suo organismo al completo, in piena luce; di allontanare le contraddizioni, di fissare le esitazioni, che indefinitamente sarebbero possibili, anche nei più fedeli finché la questione di fiducia, se si può parlare così — qui di fiducia divina — non fosse stata posta risolutamente; di vincere anche delle illusioni che, sotto pretesto di « comporsi con la civiltà moderna », tendevano ad assimilare il governo divino della Chiesa alle costituzioni democratiche sparse dovunque, ecc., ecc…. io non pretendo d’immischiarmi in tutte le intenzioni della Chiesa.

D. Come mai questa opportunità non sì produsse se non dopo duemila anni?

R. Perché un uomo non ha la sua piena costituzione se non in un’età avanzata, relativamente al tempo che egli deve passare sopra la terra? I destini della Chiesa coincidono con quelli della nostra stirpe; pensando a una tale vita, universale e onnitemporale, si ha ben il diritto di dire con S. Pietro; Mille anni sono come un giorno, e un giorno come mille anni. L’assestamento definitivo del Papato nel suo compito storico è un fatto parallelo all’assestamento della vera Religione sopra la terra. Qui e là, ci fu un ritardo considerevole, diversamente motivato, ma normale relativamente alle durate d’insieme.

D. Questo fatto nuovo costituisce dunque per te un vero punto di partenza?

R. È un punto di partenza, perché è il Cristo pienamente manifestato e riconosciuto nella sua rappresentanza temporale. Perciò a quei che pretendono che la Chiesa muore io risponderò: la Chiesa incomincia. La coesione interiore e lo splendore delle funzioni centrali è un segno di vita quale non fu mai, poiché è il contrario della cadaverizzazione anarchica. Ogni popolo in procinto di perire lacera se stesso in convulsioni: è la legge universale. Ogni popolo uno, in un ambiente in cui la sua esistenza conserva una ragione di essere, è sicuro dell’avvenire.

D. Vi sarà dunque sempre una Chiesa, e alla sua testa vi sarà sempre un Papa?

R. Vi sarà sempre una Chiesa, perché Cristo ha chiuso per lei le porte della morte. Vi sarà sempre un Papa, se almeno si può chiamare sempre la durata d’un piccolo pianeta e la vita di una umanità alla sua superficie. Nella sua apoteosi ultima, che consisterà nel raggiungere il suo Cristo veniente « sopra le nubi del cielo », il Papato morirà finalmente, ma come muoiono, nel crepuscolo mattutino, nel grande irradiamento che incomincia, le tarde stelle.

27 NOVEMBRE: SUPPLICA DELLA MEDAGLIA

Supplica della Medaglia Miracolosa

Da farsi verso le 5,30 di sera del 27 novembre, del 27 di ogni mese ed in ogni urgente necessità.

O Vergine Immacolata, noi sappiamo che sempre ed ovunque siete disposta ad esaudire le preghiere dei vostri figli esuli in questa valle di pianto, ma sappiamo pure che vi i sono giorni ed ore, in cui vi compiacete di spargere più abbondantemente i tesori delle vostre grazie. Ebbene o Maria, eccoci qui prostrati davanti a Voi, proprio in quello stesso giorno ed ora benedetta, da Voi prescelti per la manifestazione della vostra medaglia. – Noi veniamo a Voi ripieni di immensa gratitudine e di illimitata fiducia, in quest’ora a Voi sì cara, per ringraziarvi del gran dono che ci avete fatto dandoci la vostra immagine, affinché fosse per noi attestato di affetto e pegno di protezione  . Noi adunque vi promettiamo che, secondo il vostro desiderio, la santa Medaglia sarà la nostra compagna indivisibile; sarà il segno della vostra presenza presso di noi; sarà il nostro libro su cui impareremo a conoscere quanto ci avete amato e ciò che noi dobbiamo fare, perché non siano inutili tanti sacrifici vostri e del vostro divin Figlio. Sì, il vostro Cuore trafitto, rappresentato sulla Medaglia, poggerà sempre sul nostro e lo farà palpitare all’unisono col vostro. Lo accenderà d’amore per Gesù e lo fortificherà a portar ogni giorno la propria croce dietro a Lui. – Questa è l’ora vostra, o Maria, l’ora della vostra bontà inesauribile, della vostra misericordia trionfante, l’ora in cui faceste sgorgare per mezzo della vostra Medaglia, quel torrente di grazia e di prodigi che inondò la terra. Fate, o Madre, che quest’ora, che vi ricorda la dolce commozione del vostro Cuore, la quale vi spinse a venirci a visitare ed a portarci il rimedio di tanti mali, fate che quest’ora sia anche l’ora nostra: l’ora della nostra sincera conversione, e l’ora del pieno esaudimento dei nostri voti. – Voi che avete promesso proprio în quest’ora fortunata, che grandi sarebbero state le grazie per chi le avesse domandate con fiducia, volgete benigna i vostri sguardi alle nostre suppliche. Noi confessiamo di non meritare le vostre grazie, ma a chi ricorreremo, o Maria, se non a Voi, che siete la Madre nostra, nelle cui mani Dio ha posto tutte le sue grazie? Abbiate dunque pietà di noi. Ve lo domandiamo per la vostra Immacolata Concezione e per l’amore che vi spinse a darci la vostra preziosa Medaglia. O Consolatrice degli afflitti che già vi inteneriste sulle nostre miserie, guardate ai mali da cui siamo oppressi. Fate che la vostra Medaglia sparga su di noi e su tutti i nostri cari i suoi raggi benefici: guarisca i nostri ammalati, dia la pace alle nostre famiglie, ci scampi da ogni pericolo. Porti la vostra Medaglia conforto a chi soffre, consolazione a chi piange, luce e forza a tutti. Ma specialmente permettete, o Maria, che in quest’ora solenne domandiamo al vostro Cuore Immacolato la conversione dei peccatori, particolarmente di quelli che sono a noi più cari. Ricordatevi che anch’essi sono vostri figli, che per essi avete sofferto, pregato e pianto. Salvateli, o Rifugio dei peccatori, affinché, dopo di avervi tutti amata, invocata e servita sulla terra, possiamo venirvi a ringraziare e a lodare eternamente in Cielo. Così sia.

Salve Regina e tre volte: O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi.