DOMENICA XXIII DOPO PENTECOSTE (2021)

DOMENICA XXIII DOPO PENTECOSTE (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Questa Domenica negli anni in cui la Pasqua cade il 24, o il 25 Aprile si anticipa al Sabato (rispettiv. 19, 20 Nov.) con tutti i privilegi della Domenica occorrente, cioè Gioria, Credo, Prefazii della Trinità e Ite Missa est per lasciar luogo rispettivamente nei giorni 20, 21 Novembre alla Domenica ultima dopo Pentecoste. Il tempo dopo Pentecoste è simbolo del lungo pellegrinaggio della Chiesa verso il cielo; le ultime Domeniche ne descrivono profeticamente le ultime tappe. In quest’epoca si leggono nel Breviario gli scritti dei grandi e dei piccoli profeti, che annunziano quello che accadrà alla fine del mondo. Quando i Caldei ebbero condotti gli Ebrei in cattività a Babilonia, Geremia percorse le rovine di Gerusalemme, ripetendo le sue Lamentazioni « Guarda, Signore, poiché è caduta nella desolazione la città che una volta’ era piena di ricchezza, la padrona delle nazioni è assisa nella tristezza. Essa amaramente piange durante la notte e le sue lagrime scorrono sulle sue gote » (3° Responsorio, 1a Dom. Nov.; Antit. del Magnificat, 2a Dom.). E profetizzò il doppio avvento del Messia che restaurerà tutte le cose. « Il Signore ha riscattato il suo popolo e lo ha liberato; e verranno ed esulteranno sul monte Sion e si rallegreranno dei beni del Signore» (1° Responsorio, lunedì 2a settimana). Fra i prigionieri condotti a Babilonia si trovava un sacerdote detto Ezechiele. Egli aveva annunziato la cattività che stava per ricadere su Israele: « Ora la fine è su di te e manderò contro di te il mio furore; e ti giudicherò secondo la tua vita e non avrò pietà » (1a Lezione, Mercoledì, 1a settimana). E nell’esilio egli profetizzò: « Le nostre iniquità e i nostri peccati sono sopra di noi; come dunque possiamo vivere? Ma il Signore ha detto: Non voglio la morte dell’empio, ma che egli si tolga dalla cattiva strada e viva. – Distoglietevi dalle vostre male vie e non morrete » (3a lezione, Lunedì 2a settimana). Dio mostrò al profeta in una visione, il futuro su di un’alta montagna e gli indicò il culto perfetto che Egli attendeva dal suo popolo quando lo condurrebbe verso i colli eterni di Sionne (7a lezione Venerdì 2a settimana). Daniele, che era pure tra i prigionieri di Babilonia, spiegò il sogno di Nabucodonosor, dicendo che la piccola pietra che, dopo aver fatto cadere la statua d’oro, d’argento, di ferro e di argilla, diventò una grande montagna, è figura di Cristo, il regno del quale, consumerà tutti gli altri regni e sussisterà eternamente (Lunedì 3° settimana). – Le guarigioni e le risurrezioni corporali, compiute dal Signore, sono la figura della nostra liberazione e della nostra risurrezione futura: Da tutte le parti ricondurrò i prigionieri » dice Geremia nell’Introito «Tu hai fatto cessare la cattività di Giacobbe» aggiunge il Versetto dell’Introito «Signore, tu ci hai liberato da coloro che ci odiavano » continua il Graduale. « Dal fondo dell’esilio le nazioni hanno infatti gridato verso il Signore, supplicandolo di ascoltare la loro preghiera » spiegano l’Alleluia e l’Offertorio e, come in Dio vi è un’abbondante redenzione, egli riscatterà il suo popolo da tutte le sue iniquità » (stesso Salmo, vers. 7 e 8). Preghiamo dunque con fiducia, poiché se Gesù risuscitò la figlia di Giairo e guarì l’emorroissa, ciò fu fatto secondo la parola del Signore: « Tutto quello che domanderete, lo riceverete ».

Quale terrore quando il giudice verrà ad esaminare rigorosamente ognuno! dice la Sequenza dei Defunti. La tromba squillerà fra le tombe e convocherà tutti gli uomini davanti al Cristo. La morte e la natura resteranno interdette quando la creatura risorgerà per rispondere al giudizio divino. Allorché l’eterno Giudice siederà sul suo seggio, tutto quello che è nascosto sarà palesato e nulla resterà impunito. Giusto Giudice, nella tua clemenza accordami grazia e perdono prima del giorno del rendiconto». Nelle ultime parole dell’Epistola odierna, l’Apostolo allude al libro di vita ove sono scritti i nomi dei Cristiani che la loro condotta esemplare rende degni della vita eterna.

Gesù resuscita la figlia di Giairo con la stessa facilità con la quale noi svegliamo una persona che dorme. Così la sua divin virtù resusciterà i nostri corpi l’ultimo giorno.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Jer XXIX: 11; 12; 14
Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis.

[Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]
Ps LXXXIV: 2
Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Jacob.

[Hai benedetta la tua terra, o Signore: hai distrutta la schiavitú di Giacobbe.]

Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis.

[Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]

Oratio

Orémus.
Absólve, quǽsumus, Dómine, tuórum delícta populórum: ut a peccatórum néxibus, quæ pro nostra fraglitáte contráximus, tua benignitáte liberémur.

[Perdona, o Signore, Te ne preghiamo, i delitti del tuo popolo: affinché dai vincoli del peccato, contratti per lo nostra fragilità, siamo liberati per la tua misericordia.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Philippénses.
Phil III: 17-21; IV: 1-3

Fratres: Imitatóres mei estóte, et observáte eos, qui ita ámbulant, sicut habétis formam nostram. Multi enim ámbulant, quos sæpe dicébam vobis – nunc autem et flens dico – inimícos Crucis Christi: quorum finis intéritus: quorum Deus venter est: et glória in confusióne ipsórum, qui terréna sápiunt. Nostra autem conversátio in cœlis est: unde etiam Salvatórem exspectámus, Dóminum nostrum Jesum Christum, qui reformábit corpus humilitátis nostræ, configurátum córpori claritátis suæ, secúndum operatiónem, qua étiam possit subjícere sibi ómnia. Itaque, fratres mei caríssimi et desideratíssimi, gáudium meum et coróna mea: sic state in Dómino, caríssimi. Evódiam rogo et Sýntychen déprecor idípsum sápere in Dómino. Etiam rogo et te, germáne compar, ádjuva illas, quæ mecum laboravérunt in Evangélio cum Cleménte et céteris adjutóribus meis, quorum nómina sunt in libro vitæ.

(“Fratelli: Siate miei imitatori, e ponete mente a coloro che si diportano secondo il modello che avete in noi. Poiché ci sono molti dei quali spesse volte vi ho parlato; e adesso vene parlo con lacrime, i quali si diportano da nemici della croce di Cristo: la loro fine è la perdizione; il loro Dio è il ventre: si vantano in ciò che forma la loro confusione, e non han gusto che per le cose terrene. Noi, invece, siamo cittadini del cielo, da dove pure aspettiamo, come Salvatore, il nostro Signor Gesù Cristo, il quale trasformerà il nostro miserabile corpo, rendendolo conforme al suo corpo glorioso; per quella potenza che ha di poter anche assoggettare a sé ogni cosa. Pertanto, miei fratelli carissimi e desideratissimi, mio gaudio e mia corona, continuate a star così fermi nel Signore, o amatissimi. Prego Evodia ed esorto Sintiche ad avere gli stessi sentimenti nel Signore. E prego anche te, fedel compagno, di venir loro in aiuto: esse hanno combattuto con me per il Vangelo, insieme con Clemente e con gli altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita”.).

LA NUOVA IDOLATRIA.

Ecco: voi siete convinti, credo tutti, che l’idolatria ha fatto il suo tempo; il Cristianesimo l’ha seppellita. E se io vi dicessi che v’è ancora, che vive, forse vi scandalizzereste e, scandalizzati, mi dareste su la voce. E invece ecco qua San Paolo che ci parla di una idolatria diversa da quella che adorava Giove, Saturno… ma non meno verace idolatria di quella. E ce la presenta come l’abisso nel quale precipitano i nemici della Croce di Gesù Cristo. Questi nemici sono due; singolarmente due passioni, due stati d’animo: due gruppi di persone in questi stati d’animo: il piacere e l’orgoglio. L’orgoglio odia la Croce di Gesù Cristo, perché essa è simbolo e personificazione di umiltà. « Umiliò se stesso alla obbedienza della Croce » dice San Paolo, parlando di N. S. Gesù Cristo. Ma per ciò gli orgogliosi non lo tollerano, par loro un’ignominia, un avvilimento. Parlano con sdegno della servitù o schiavitù della Croce… Abbiamo ancora nell’orecchio le frasi blasfeme del poeta pagano. Gesù, egli il pagano poeta, lo vede nell’atto di gettare una Croce sulle spalle di Roma, dicendole, intimandole: portala e servi. E coll’orgoglio fa comunella contro la Croce il piacere, contro la Croce che canta l’inno austero del dolore, che gronda lagrime, lagrime amare. C’è un mondo che vuol divertirsi, che intuisce la vita come voluttà, come piacere. La Croce a questo mondo di uomini sensuali fa paura. Non la vogliono, le si ribellano, la respingono. Ma le passioni che li allontanano dalla Croce diventano il loro castigo, la divina nemesi della loro apostasia. La sensualità vince gli uomini del piacere, che, del piacere, diventano schiavi. E allora il loro Dio, il loro padrone, colui al quale tutto sacrificano e che non sacrificherebbero mai, in nulla e per nulla, il loro Dio è il ventre. Si riducono a vivere per mangiare, invece di mangiare per vivere e vivere per Dio. O se il loro Dio, il loro tiranno, il loro ideale non è il cibo con la bevanda relativa, è l’abito, la vanità nel vestire, o la casa comoda, sfarzosa, sempre la materia. Alla quale servono proni, supinamente proni, invece di servirsene. Il loro Dio è il ventre, dice San Paolo, che ha poche nebbie al suo pensiero e pochi peli sulla lingua quando il suo pensiero nitido si tratta di esprimerlo: « quorum Deus venter est ». Bella divinità! Valeva la pena di ribellarsi a Gesù Cristo, alla sua Croce, per cadere così in basso? Per gli orgogliosi c’è un altro destino, un altro castigo. L’orgoglioso diventa lo schiavo di se stesso, rimane solo in balìa di sé, delle sue esaltazioni tumide. Il suo Dio è il suo io, l’ipertrofia del suo io. L’umanità è bella, buona, ma a posto suo, come, del resto, ogni cosa di questo mondo. Fuor di posto, messa al posto di Dio, fa pessima figura e si guasta. La domestica sta bene al posto suo proprio, la serva-padrona è ridicola e funesta a sé e agli altri. È la sorte della umanità divinizzata, e la divinizzazione dell’umanità è la logica della superbia, dell’orgoglio nemico della umile Croce di Gesù Cristo. Il confusionismo è poi la risultante di questo orgoglio, confusionismo di idee e confusionismo di opere. – E quando si contemplano i due abissi a cui mettono capo l’orgoglio e la sensualità dei nemici del Cristianesimo, viene voglia non solo di prostrarsi con rinnovato fervore di adorazione davanti alla Croce, ma di abbracciarla e baciarla ripetendo: «O Crux, ave spes unica! »

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

 Graduale

Ps XLIII: 8-9
Liberásti nos, Dómine, ex affligéntibus nos: et eos, qui nos odérunt, confudísti.

[Ci liberasti da coloro che ci affliggevano, o Signore, e confondesti quelli che ci odiavano.]


In Deo laudábimur tota die, et in nómine tuo confitébimur in saecula. Allelúja, allelúja.

[In Dio ci glorieremo tutto il giorno e celebreremo il suo nome in eterno..]

Alleluja

Allelúia, allelúia

Ps CXXIX: 1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam. Allelúja.

[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
Matt IX: XVIII, 18-26
In illo témpore: Loquénte Jesu ad turbas, ecce, princeps unus accéssit et adorábat eum, dicens: Dómine, fília mea modo defúncta est: sed veni, impóne manum tuam super eam, et vivet. Et surgens Jesus sequebátur eum et discípuli ejus. Et ecce múlier, quæ sánguinis fluxum patiebátur duódecim annis, accéssit retro et tétigit fímbriam vestiménti ejus. Dicébat enim intra se: Si tetígero tantum vestiméntum ejus, salva ero. At Jesus convérsus et videns eam, dixit: Confíde, fília, fides tua te salvam fecit. Et salva facta est múlier ex illa hora. Et cum venísset Jesus in domum príncipis, et vidísset tibícines et turbam tumultuántem, dicebat: Recédite: non est enim mórtua puélla, sed dormit. Et deridébant eum. Et cum ejécta esset turba, intrávit et ténuit manum ejus. Et surréxit puélla. Et éxiit fama hæc in univérsam terram illam.

“In quel tempo, mentre Gesù parlava alle turbe, ecco che uno de’ principali se gli accostò, e lo adorava, dicendo: Signore, or ora la mia figliuola è morta; ma vieni, imponi la tua mano sopra di essa, e vivrà. E Gesù alzatosi, gli andò dietro co’ suoi discepoli. Quand’ecco una donna, la quale da dodici anni pativa una perdita di sangue, se gli accostò per di dietro, e toccò il lembo della sua veste. Imperocché diceva dentro di sé: Soltanto che io tocchi la sua veste, sarò guarita. Ma Gesù rivoltosi e miratala, le disse: Sta di buon animo, o figlia; la tua fede ti ha salvata. E da quel punto la donna fu liberata. Ed essendo Gesù arrivato alla casa di quel principale, e avendo veduto i trombetti e una turba di gente, che faceva molto strepito, diceva: Ritiratevi; perché la fanciulla non è morta, ma dorme. Ed essi si burlavano di lui. Quando poi fu messa fuori la gente, egli entrò, e la prese per una mano. E la fanciulla si alzò. E se ne di volgo la fama per tutto quel paese”

OMELIA

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sulla morte del giusto.

Pretiosa in conspectu Domini, mors sanctorum ejus.

(Ps. cxv, 15).

La morte, Fratelli miei, è un giusto motivo di turbamento e di paura per il peccatore impenitente, che si vede costretto ad abbandonare i suoi piaceri. Accasciato dal dolore, assediato dal pensiero del giudizio che sta per subire, divorato innanzi tempo dal timore degli orrori dell’inferno dove ben presto sarà precipitato; egli si vede abbandonato dalle creature e da Dio stesso. Ma, per una legge al tutto contraria, la morte riempie di gioia e di consolazione l’uomo giusto che ha vissuto secondo l’Evangelo, che ha camminato sulle tracce di Gesù Cristo stesso, e soddisfatto con una vera penitenza alla giustizia divina. I giusti riguardano la morte come la fine dei loro mali, dei dispiaceri, delle tentazioni e di tutte le altre miserie; essi la considerano come il principio della loro felicità; essa procura loro l’accesso alla vita, al riposo ed alla beatitudine eterna. Ma, F. M., non v’è uomo, anche il più scandaloso, che non desideri, e non si auguri questa preziosa morte. L’inesplicabile si è che noi tutti desideriamo una buona morte, e che quasi nessuno adopera i mezzi per rendersi felice. È un accecamento difficile a spiegarsi; ora siccome desidero ardentemente che facciate una buona morte, voglio indurvi a vivere in modo da poter sperare questa felicità, mostrandovi:

1° i vantaggi di una buona morte; e

2° i mezzi per renderla buona.

I. — Se dovessimo morire due volte, una volta potremmo rischiarla; ma non si muore che una volta sola (Statutum est hominibus semel mori. Hebr. IX, 27), e dalla nostra morte dipende la nostra eternità. Dove l’albero cade, ivi resta. Se una persona, in punto di morte, si trova con qualche cattiva abitudine, la sua povera anima cadrà nell’inferno; se, invece, si trova in buono stato di coscienza, prenderà la via del cielo. O strada fortunata che ci conduce al godimento dei beni perfetti! Dovessimo anche passare per le fiamme del purgatorio, siamo sicuri d’arrivarvi. Tuttavia questo di penderà dalla vita che avremo condotta: è certo che la nostra morte sarà conforme alla nostra vita; se abbiamo vissuto da buoni Cristiani e secondo la legge di Dio, morremo anche da buoni Cristiani per vivere eternamente con Dio. Al contrario, se viviamo secondo le nostre passioni, nei piaceri e nel libertinaggio, morremo infallibilmente nel peccato.Non dimentichiamo mai questa verità che ha convertito tanti peccatori: dove l’albero cadrà, ivi resterà per sempre (Eccli. XI, 3) . Ma, F. M., la morte per se stessa, non è così spaventosa come si vuol credere, poiché non sta che a noi il renderla felice, bella e gradita. S. Girolamo era vicino a morire: avendoglielo i suoi amici annunciato, sembrò raccogliere tutte le sue forze per esclamare: “O buona e felice e notizia! o morte, vieni presto! ah! da quanto tempo ti desidero! vieni a liberarmi da tutte le miserie di questo mondo! Vieni, tu mi unirai al mio Salvatore! „ E volgendosi agli astanti: “Amici, per non temere la morte e trovarla dolce, bisogna camminare per la via che Gesù Cristo ci ha tracciata, e mortificarsi continuamente. „ Infatti è in punto di morte che un buon Cristiano comincia ad essere ricompensato del bene che ha potuto fare durante la vita; in quel momento il cielo sembra aprirsi per fargli gustare la dolcezza de’ suoi beni. Ecco, su questo punto, un bell’esempio. – S. Francesco di Sales, visitando la sua diocesi, fu pregato di recarsi da un buon contadino ammalato, che prima di morire desiderava, ardentemente di ricevere la sua benedizione. Con tutta fretta il santo Vescovo andò a lui, e trovò nell’ammalato un’intelligenza ancora lucidissima. Infatti l’ammalato testimoniava al suo Vescovo la gioia che provava nel vederlo, e domandò di confessarsi. Quand’ebbe finito, vedendosi solo col santo Prelato, gli fece questa domanda: “Monsignore. morirò io presto? „ Il santo, credendo che la paura facesse fare all’ammalato questa domanda, gli rispose per assicurarlo, che aveva visto guarire ammalati assai più gravi di lui, e che del resto, doveva confidare in Dio, al quale solo appartiene la nostra vita come la nostra morte. — “ Ma, chiese di nuovo, Monsignore, credete che io dovrò morire? „ — “Figlio mio, a questo un medico risponderebbe meglio di me: tutt’al più, vi dirò che la vostr’anima è in stato molto buono, e forse in altro tempo, non potreste avere così belle disposizioni. Il meglio che possiate fare si è di abbandonarvi interamente alla provvidenza ed alla misericordia di Dio, perché disponga di voi a suo beneplacito. „ — “Monsignore, non è il timore della morte che mi fa domandare se morrò di questa malattia; ma piuttosto il timore di vivere più a lungo. „ Il santo sorpreso da un linguaggio così straordinario e, sapendo che solo una grande virtù od un’eccessiva tristezza può far nascere il desiderio della morte, domandò al malato da che cosa provenisse questo suo disgusto per la vita. “Ah! Monsignore, esclamò l’ammalato, questo mondo è cosa tanto da poco! io non so come si possa amare questa vita. Se il buon Dio non ci comandasse di restarvi sinché Egli vi ci lascia, da molto tempo io non vi sarei più. „ — “È forse il dolore, la povertà, che vi ha così disgustato della vita? „ — “No, Monsignore, ho passato una vita serenissima fino all’età di settant’anni, in cui mi vedete e, grazie a Dio, non so che cosa sia la povertà. „ — “Forse avete avuto dei disgusti da parte di vostra moglie o dei figli? „ — “Nemmeno questo; essi non mi hanno mai recato il minimo dispiacere ed hanno sempre cercato di rendermi felice; la sola cosa che mi rincrescerebbe, lasciando questo mondo, sarebbe di doverli abbandonare. „ — “Perché dunque desiderate così ardentemente la morte? „ — Perché ho sentito dire nelle prediche tante meraviglie dell’altra vita, e delle gioie del paradiso, che questo mondo è per me, come un’oscura prigione. „ Ed allora parlando coll’effusione del cuore, quel contadino disse cose così belle e così sublimi sul cielo, che il santo Vescovo si ritirò rapito d’ammirazione, ed approfittò egli stesso di questo esempio per animarsi a disprezzare le cose create ed a sospirare la felicità del cielo. Non avevo dunque ragione di dirvi che la morte è dolce e consolante per un buon Cristiano, poiché lo libera da tutte le miserie della vita e gli dà il possesso dei beni eterni? O miserabile vita, come si può attaccarsi così fortemente a te?… Giobbe in poche parole ci dice che cos’è la vita: “L’uomo vive poco tempo, e la sua vita è ripiena di miserie. Come il fiore, non fa che apparire, e già appassisce. È come l’ombra che passa e scompare (Giob. XIV, 1, 2). „ Non v’è infatti animale sulla terra che, come l’uomo sia ripieno di miserie. Dalla testa ai piedi non v’è parte che non sia soggetta ad ogni sorta di malattie. Senza contare i timori, gli orrori dei mali che, più spesso, non ci toccheranno mai. E, la morte, F. M., ci libera da tutte queste miserie. S. Paolo, scrivendo agli Ebrei dice loro: “Noi siamo qui come poveri esiliati che non hanno dimora fissa; ma ne cerchiamo una, che è nell’altro mondo (Hebr. XIII, 14) . „ Quale gioia, F. M., per una persona esiliata dalla patria, e tenuta per molti anni in schiavitù, quando le si annuncia che il suo esilio è finito, che tornerà nella patria, vedrà i parenti e gli amici! Ora, un’anima che ama Dio, aspetta la stessa felicità e languisce, quaggiù, di desiderio d’andare a vedere il cielo in mezzo ai santi, che sono i suoi veri parenti ed amici. Essa sospira quindi ardentemente il momento della sua liberazione. La morte. F . M., è per l’uomo giusto ciò che il sonno è per il lavoratore che si rallegra all’avvicinarsi della notte, in cui troverà il riposo delle fatiche della giornata. La morte libera il giusto dalla prigionia del corpo: per questo diceva S. Paolo: “Ah! me infelice! chi mi libererà da questo corpo di morte? „ (Rom. VII, 24.) — “Togliete, mio Dio, diceva il santo re Davide, togliete la mia anima dalla prigione di questo corpo, poiché i giusti m’aspettano, fino a che m’abbiate data l a mia ricompensa. (Ps. CXLI, 8);Ahi chi mi darà le ali come di colomba (Ps. XLIV, 7) ? „ E la Sposa dei cantici: ” Se avete visto il mio diletto, ditegli ch’io languisco d’amore (Cant. V, 8)! „ Ahimè! la nostra povera anima è nel nostro corpo come un diamante nel fango. O morte felice  che ci liberi da tante miserie! … S. Gregorio racconta che un povero uomo chiamato Preneste, da lungo tempo paralitico in tutte le membra, vicino a morire, pregò quelli che l’assistevano di cantare. Gli si domandò perché, e che cosa poteva rallegrarlo nello stato in cui si trovava. “Ah! disse, è perché ben presto la mia anima lascerà il corpo! Fra breve sarò liberato da questa prigione! „ Quand’ebbero cantato un momento, sentirono una soave musica d’angeli. “Ah! disse il moribondo, non sentite gli Angeli che cantano? lasciateli, lasciateli cantare! „ e morì. Subito si sparse attorno a lui un profumo tanto soave, che la camera ne fu imbalsamata. In questo esempio vediamo adempirsi alla lettera ciò che Dio disse per bocca del profeta Isaia: “Levati, Gerusalemme, diletta mia, svegliati, poiché hai bevuto di mia mano, sino alla feccia, il calice della mia collera …, tutti i mali si sono riversati su di te… Ascolta, Gerusalemme, povera città, in avvenire non berrai più il calice della mia indignazione …; rivestiti della tua forza, Sionne; rivestiti degli indumenti della tua gloria Esci dalla polvere e spezza il giogo che grava il tuo collo… 1 „» (Isa. LI, 17, 22; LII, 1, 2). Chi potrebbe comprendere, F. M., la grandezza delle gioie di S. Liduina? Dopo ventisette anni di malattia, rosa da un cancro e dai vermi, vedendosi al termine dei suoi mali esclamò: “ O gioia! tutti  i miei mali sono finiti! … Felice notizia! morte preziosa, affrettati! Da sì lungo tempo ti desidero!„ (RIBADENEIRA, 14 Aprile). – Quale soddisfazione per S. Clemente martire, quando dopo trentadue anni di prigionia e di tormenti gli si venne ad annunciare la sua condanna a morte! “O beata notizia! esclama; addio prigione, torture e carnefici! ecco dunque finalmente il termine della mia vita e dei miei dolori. O morte, quanto sei preziosa, oh! non tardare!…; o morte desiderata, vieni a colmare la mia felicità riunendomi al mio Dio!… „ (RIBADENEIRA, 23 Gennaio, S. Clemente vescovo d’Ancira e martire). – Quanto dunque è felice un Cristiano, se ha il coraggio di camminare sulle tracce del divin Maestro!… Ma in che consiste la vita di Gesù Cristo? Ecco, F. M. Essa consiste in tre cose, cioè: preghiera, azioni, dolori. Sapete che nella sua vita pubblica il Salvatore si è spesso ritirato in disparte per pregare, e che era sempre in moto per la salute delle anime. Ora, bisognerebbe, F. M., che il pensiero di Dio ci fosse naturale come il respiro. Durante la sua vita di preghiera e d’azione, Gesù Cristo ha molto sofferto: ora la povertà, ora la persecuzione, ora le umiliazioni ed ogni sorta di cattivi trattamenti. “La mia vita, ci dice per bocca del suo profeta, ha finito nel dolore ed i miei anni nei gemiti, la mia forza s’è affievolita nella povertà. „ (Ps. XXX, 18) La vita d’un Cristiano può essere differente da quella d’un uomo confitto alla croce con Gesù Cristo? Il giusto è un crocifisso. Vediamo che i santi hanno trovato tanti piaceri nel dolore, che non potevano saziarsene: Vedete il gran Papa Innocenzo I: era coperto d’ulceri da capo a piedi, eppure non era ancora contento, ed aspirava sempre a nuove sofferenze. E ne domandava ogni giorno a Dio colle sue preghiere: “Mio Dio, diceva, aumentate i miei dolori, mandatemi malattie ancor più crudeli, purché però mi diate nuove grazie!„ — “Perché, gli si diceva, domandate a Dio un aumento di sofferenze? Siete tutto coperto di piaghe.„ — “Voi non sapete quant’è grande il merito delle sofferenze. Ah! se poteste comprendere quanto vale il dolore come l’amereste!„ S. Ignazio martire, temendo che i leoni e le tigri venissero, come qualche volta accadeva, a lambirgli i piedi, disse queste belle parole: “Quand’è che potrò baciarvi bestie feroci, che siete preparate pel mio supplizio? Ah! quando vi accarezzerò? Se non mi volete divorare, io vi ecciterò, affinché vi avventiate su di me con maggior furore; vi ecciterò perché vi affrettiate a divorarmi. „ Egli scriveva ai suoi discepoli: “Vi scrivo per annunciarvi quanto sono felice! morirò per Gesù Cristo, mio Dio! Tutto quello che vi domando è di non far nulla per istrapparmi alla morte, so quello che mi è vantaggioso. Io sono il frumento di Dio; e bisogna ch’io sia macinato tra i denti dei leoni per diventare pane degno di Gesù Cristo.„ (Ribadeneira. 1 Febbr.). Sentite ancora S. Andrea, che alla vista della croce su cui lascerà la vita, esclama: “O croce beata, per te sarò riunito al mio Maestro! ah! croce benedetta, ricevimi tra le tue braccia; poiché, dalle tue braccia passerò in quelle di Dio. „ La folla vedendo il buon vegliardo appeso alla croce, voleva uccidere il proconsole e distaccare il santo. “No, figli miei, gridò loro S. Andrea dall’alto della croce, lasciate, lasciate ch’io termini una vita così miserabile, poiché andrò al mio Dio.(ibid. 30 Nov.) „ S. Lorenzo è steso sulla graticola di ferro, mentre le fiamme, che un’altra volta avevano risparmiato i tre fanciulli nella fornace di Babilonia, crudelmente lo abbruciano. Egli è già arrostito da una parte, ed in compenso domanda di essere voltato dall’altra, affinché in cielo tutte le parti del suo corpo siano egualmente gloriose. Senza dubbio, M. F., questo esempio è un miracolo della grazia, che è onnipotente in chi ama Dio. Ma vedete S. Paola. Questa dama romana era torturata da violenti dolori di stomaco e preferì morire piuttosto che bere un po’ di vino che le si voleva far prendere. (Ibid. 26 Gennaio). S. Gregorio ci racconta d’un povero, ma celebre mendicante che, da molti anni paralitico, non potendosi muovere dalla paglia su cui era coricato, soffriva incredibili dolori, eppure, non cessò un momento di benedire Dio. E morì cantandone le lodi. Ah! dice S. Agostino, com’è consolante il morire colla coscienza quieta! La quiete dell’anima e la tranquillità del cuore sono i doni più preziosi che possiamo ottenere; ci dice lo Spirito Santo: non v’è piacere paragonabile alla gioia del cuore. (Eccli. XXX, 16). Il giusto, dice lo stesso dottore, non teme la morte, perché essa lo riunisce col suo Dio e lo mette in possesso di ogni specie di delizie. Vedete la gioia che mostrano i santi andando alla morte.. Vedete, ci dice S. Giovanni Crisostomo, l’intrepidezza e la gioia con cui S. Paolo va a Gerusalemme, sebbene sappia i cattivi trattamenti che l’attendono: “So che per me vi sono soltanto tribolazioni e catene; so le persecuzioni ed i mali che vi soffrirò; non importa; io non temo nulla, perché son persuaso di far l’interesse di un buon padrone, che non m’abbandonerà. Gesù Cristo stesso me lo garantisce. „ E vedendo i suoi discepoli piangere, l’apostolo aggiungeva: “Che fate, piangendo, ed affliggendo il mio cuore? poiché son pronto non solo ad esser legato, ma a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù. „ (Act. XX,) Noi non siamo sicuri, è vero, d’essere come S. Paolo, gli amici di Dio; però quantunque peccatori, se abbiamo confessato i nostri peccati con sincero dolore, e se abbiamo cercato di soddisfarli quanto ci è stato possibile, colla preghiera e colla penitenza; ma soprattutto, se ad un grande dolore dei nostri peccati va unito un ardente amore per Iddio, possiamo confidare: i nostri peccati sono stati sepolti nel Sangue prezioso di Gesù Cristo, come l’esercito di Faraone nel Mar Rosso. F. M., v’erano tre croci sul Calvario, quella di Gesù Cristo, che è la croce dell’innocenza: ma noi non possiamo aspirare a questa, perché abbiamo peccato. Poi, quella del buon ladrone, la croce della penitenza: questa dev’essere la nostra. Imitiamo il buon ladrone che approfittò degli ultimi istanti di sua vita per pentirsi, e dalla croce salì al cielo. Gesù Cristo glielo disse: “Oggi sarai meco in paradiso. „ (Luc. XXIII, 43) La terza croce è quella del cattivo ladrone, e dobbiamo lasciarla a quei peccatori che vogliono morire nel loro peccato… Ma noi, F. M., possiamo certamente, se lo vogliamo, essere nel numero di quelli che fanno una buona morte. Alla morte tutto ci abbandona: ricchezze, parenti, amici: ma ciò che è un supplizio pel peccatore, diventa pel giusto una grande gioia. Ditemi qual dispiacere potrebbe provare un buon Cristiano in punto di morte? Potrebbe addolorarsi per questi beni che ha disprezzati durante la sua vita? Il corpo? egli lo considera come un crudele nemico, che più d’una volta l’ha messo in pericolo di perdere l’anima. Forse i piaceri del mondo? No, senza dubbio, poiché ha passata la vita nei gemiti, nella penitenza e nelle lagrime. No, F. M., egli non rimpiange nulla di tutto questo. La morte non fa che separarlo da ciò che ha sempre odiato e disprezzato; cioè, dal peccato, dal mondo, dai piaceri. Andandosene egli porta con sé tutto quanto ha amato: le sue virtù e le sue buone opere; egli abbandona ogni sorta di miserie per andare ad impossessarsi di ineffabili ricchezze; abbandona il combattimento per andare a godere la pace; abbandona un nemico crudele, il demonio, per andare a riposare nel seno del migliore dei padri. Sì, le sue buone opere lo conducono in trionfo davanti a Dio, il quale gli appare non come un giudice, ma come un tenero amico che, dopo aver compatito le sue sofferenze, non desidera che di ricompensarlo. Il profeta Isaia ci insegna che le nostre buone opere andranno a sollecitare per noi la bontà di Dio, ci apriranno le porte del paradiso, e determineranno la nostra dimora in cielo. È perfettamente vero che le nostre buone opere ci accompagneranno. Ecco un bell’esempio del pio re Ezechia. Lo Spirito Santo ci mostra questo re adorno dei meriti del giusto. Egli si dà con tutto il suo cuore alla pratica delle buone opere, la sua intenzione è pura, il motivo di tutte le sue azioni è unicamente quello di piacere a Dio. Egli osserva fedelmente, e con grande rispetto tutte le cerimonie della legge. Ma che avvenne? Eccolo. Ogni cosa gli riuscì durante la vita. Ma in punto di morte tutta la sua magnificenza e tutte le sue ricchezze, che erano grandissime, lo abbandonarono; i sudditi più fedeli furono costretti ad abbandonarlo; mentre le sue buone opere non lo lasciarono. Per queste, prega il buon Dio di fargli grazia: “Ve ne scongiuro, Signore, ricordatevi che ho sempre camminato davanti a voi con cuor puro e retto; ho sempre cercato ciò che ho creduto vi fosse più gradito.„ (Isa. XXXVIII, 3) Tale è, F. M., la fine felice d’una persona che ha lavorato durante tutta la sua vita a fare tutto ciò che potesse piacere a Dio solo. “Beati, dice S. Giovanni, quelli che muoiono nel Signore, poiché le loro opere li seguono! „ (Apoc. XIV, 13) Sì, F. M., porteremo con noi quanto abbiamo di più prezioso; i beni che passano li lasceremo sulla terra, e quelli che dureranno eternamente ci seguiranno. Il solitario sarà accompagnato dal suo silenzio, da suo ritiro e da tutte le sue orazioni; il religioso dalle penitenze, dai digiuni, dalle astinenze; il sacerdote da tutti i suoi lavori apostolici: egli vi vedrà tutte le anime che aveva salvate e che saranno la sua ricompensa e la sua gloria; il Cristiano fedele ritroverà tutte le buone confessioni e comunioni fatte, tutte le virtù praticate durante la sua vita. Che morte felice. F. M., quella del giusto! Ascoltate il profeta Isaia: ” Dite al giusto ch’egli è felice, poiché raccoglierà il frutto delle sue buone opere (Isa. III, 10). Converrete dunque che la morte del giusto è preziosa davanti agli uomini; la sola presenza del sacerdote, che visita quel moribondo! Lo confermerà nella fede e nella speranza; se gli si parla di Dio e delle sue grazie, subito il suo amore s’infiammerà come fornace ardente; quando gli si parla degli ultimi Sacramenti, cosa che agghiaccia un peccatore di orrore e di timore, è inondato da un torrente di delizie; poiché il suo Dio verrà nel suo cuore per condurlo con sé in paradiso. San Gregorio ci racconta che sua zia S. Tarsilla, vicina a morire, esclamò fuori di sé per la gioia: ” Ah! ecco il mio Dio! ecco il mio sposo! „ e spirò in uno slancio d’amore. Vedete nancora S. Nicola da Tolentino (Ribadeneira 10 settem.). Negli ultimi otto giorni della sua malattia, quando aveva ricevuto il corpo del Salvatore, si sentivano gli Angeli cantare nella sua camera; e quando i canti cessarono egli morì: gli Angeli lo condussero al cielo in loro compagnia. Felice morte quella del giusto!… S. Teresa apparsa splendente di gloria ad una religiosa del suo ordine, l’assicurò che nostro Signore era presente alla sua morte, ed aveva condotto la sua anima in cielo. Felice l’anima che può essere assistita in morte da Gesù Cristo in persona!… Quanto è dolce e consolante il morire nell’amicizia di Dio!… Non è questa forse una prima ricompensa del bene che si è potuto fare durante la vita?

II. — So, F. M., che tutti desideriamo di fare una buona morte; ma non basta desiderarlo, bisogna anche lavorare per meritarci questa fortuna, questa grande fortuna. Volete sapere ciò che può procurarci questa fortuna? Eccolo in poche parole. Fra i mezzi che dobbiamo adoperare per ben morire, ne scelgo tre che colla grazia di Dio, ci condurranno infallibilmente ad una buona morte. Bisogna prepararvisi: 1° con una santa vita; 2° con una vera penitenza, se abbiamo peccato; e 3° con una perfetta conformità della nostra morte con quella di Gesù Cristo. – Ordinariamente, si muore come si è vissuto: è una delle grandi verità che la Scrittura ed i santi Padri ci affermano in vari luoghi. Se vivete da buoni Cristiani, siete sicuri di morire da buoni Cristiani; ma se vivete male, state sicuri di fare una cattiva morte. Dice il profeta Isaia: “Guai all’empio che non pensa che a fare il male, poiché sarà trattato come merita: alla morte riceverà il compenso del suo lavoro (Isa. III, 11)„ È però vero che qualche volta si può, per una specie di miracolo, cominciare male e finir bene; ma questo avviene così raramente che, secondo S. Girolamo, la morte è| ordinariamente l’eco della vita; credete che allora ritornerete al buon Dio? no, voi perirete nel male. Ma se, pentiti, cominciate a vivere cristianamente, sarete nel numero di quei penitenti che commuovono il cuore di Dio e guadagnano la sua amicizia. Sebbene meno ricchi di meriti, pure arrivano al cielo, e Dio si serve |precisamente di essi per manifestare la sua misericordia. Lo Spirito Santo ci dice: ” Se avete un amico, fategli del bene prima di morire. „ « (Eccli. XIV, 13). Eh! F. M., possiamo avere amico migliore della nostra anima? facciamo ora per essa tutto ciò che possiamo; giacché quando vorremo farle del bene, non lo potremo più!… La vita è breve. Se differite di convertirvi sino all’ora della vostra morte, siete ciechi, poiché non sapete né dove né quando morrete, né se avrete qualche soccorso spirituale. Chi sa se questa notte stessa, non dovrete comparire coperto di peccati, davanti al tribunale di Gesù Cristo?… No, F. M., non dovete fare cosi: dovete purificarvi, e tenervi sempre pronti a comparire davanti al vostro giudice. Ecco un esempio che vi mostrerà come chi ritarda di giorno in giorno la sua conversione, muore come è vissuto. S. Pier Damiani ci racconta che un religioso aveva passata la maggior parte della sua vita in questioni e contese co’ suoi fratelli. Quando fu in punto di morte, i suoi fratelli lo scongiuravano di confessare i suoi peccati, di domandarne perdono a Dio e di farne penitenza, con un buon proposito di non più ricadervi, se fosse guarito. Non poterono cavargli una sola parola. Ma poco dopo, quand’ebbe ripresa la parola, parlò loro, e di che? ahimè! di ciò che era stato l’oggetto delle sue conversazioni durante tutta la sua vita: di processi e d’altri affari. I fratelli lo scongiuravano di pensare alla sua anima; tutto fu inutile: si assopì, e morì senza il minimo segno di pentimento. Sì, F . M., quale è la vita tale è la morte. Non sperate in un miracolo che Dio fa solo raramente: vivete nel peccato e nel peccato morrete. – Un gran numero d’esempi ci prova che dopo una cattiva vita, non dobbiamo aspettare una buona morte. Leggiamo nella S. Scrittura (Jud. IX) che Abimelech, principe fiero ed orgoglioso, s’impadronì del regno che doveva dividere coi fratelli, e li fece morire per regnare da solo. Mentre assediava una fortezza, essendosi gli assediati rifugiati in una torre, egli si avvicinò per appiccarvi il fuoco. Una donna che dall’alto del bastione lo vide, gli scagliò una pietra e gli spaccò la testa. Il disgraziato sentendosi ferito, chiamò il suo scudiero e gli disse: “Leva la tua spada e trafiggimi… Fammi morire subito, per risparmiarmi la vergogna d’essere stato ucciso da una donna. „ Che strana condotta, F. M.! E forse il primo principe che è stato ferito così? Perché volle che il suo scudiero lo avesse ad uccidere? ahimè! perché durante la sua vita era stato un ambizioso!.. Saulle aveva dato battaglia agli Amaleciti: la sorte pendeva incerta: egli si sentiva perduto perché già ferito, e vedeva l’esercito nemico che stava per gettarsi su di lui. Appoggiato il petto alla sua spada, e vedendo venire un soldato gli disse: “Vieni, amico, chi sei? „ — ” Sono un Amalecita. „ — “Ebbene fammi un favore: gettati su di me ed uccidimi; sono accasciato dal dolore e non saprei morire; finiscimi. „ (1I Reg. XXXI). E perché, F. M., questo miserabile volle morire per mano d’un Amalecita? Era forse il solo principe che avesse perduto una battaglia? Non stupitevi di questo, ci rispondono i santi Padri, è un principe che, durante la sua vita, s’è dato ai vizi, s’è lasciato dominare dall’invidia, dall’avarizia e da ogni altra passione. Perché muore in un modo così disonorante? Perché ha vissuto male. Tutti sanno che Assalonne era sempre stato disobbediente e ribelle al suo buon padre. L’ora della sua morte, che Dio aveva già fissata da tutta l’eternità, essendo ormai giunta, passando sotto una pianta vi restò sospeso per i capelli. Gioabbo, vedendolo, gli tirò tre frecce (II Reg. XVIII). Da che proviene, F. M., la fine disgraziata di questo principe? da questo che tutta la sua vita era stata quella di un cattivo figliuolo. Morì così perché aveva vissuto male. – Vedete dunque chiaramente, F. M., che se vogliamo fare una buona morte, dobbiamo condurre una vita cristiana e far penitenza dei nostri peccati; dobbiamo eccitare in noi, colla grazia di Dio, una profonda umiltà in un cuore pieno di rimorso d’aver offeso un padrone così buono. Ma un terzo mezzo per prepararci a ben morire, è quello di regolare la nostra morte su quella di Gesù Cristo. Quando si porta il buon Dio ad un ammalato, si porta anche la croce: questo non si fa solo per cacciare il demonio, ma molto più perché questo Salvatore crocifisso serva di modello al moribondo, e perché, gettando lo sguardo sull’immagine d’un Dio crocifisso per la sua salute, egli si prepari alla morte come vi si è preparato Gesù Cristo. La prima cosa che fece Gesù Cristo prima di morire fu di separarsi dagli Apostoli: un ammalato deve fare lo stesso, allontanarsi dal mondo, distaccarsi per quanto può dalle persone che gli sono più care, per non occuparsi che di Dio solo e della sua salute. Gesù Cristo, sapendo vicina la sua morte si prostrò colla faccia a terra nel giardino degli Olivi, pregando con insistenza. (Matth. XXVI, 39). Ecco quanto deve fare un ammalato all’avvicinarsi della morte; deve pregare con fervore e, nella sua agonia, unirsi all’agonia di Gesù Cristo. L’ammalato che vuol rendere il suo male meritorio deve accettare la morte con gioia, o almeno con una grande sottomissione alla volontà del Padre celeste, pensando che bisogna assolutamente morire per andare a veder Dio, e che in ciò consiste tutta la nostra felicità. S. Agostino ci dice che chi non vuol morire, ha il carattere di riprovato. Oh! F. M., quanto è felice in quell’ultimo momento un Cristiano che ha santamente vissuto! Egli abbandona ogni sorta di miserie per entrare in possesso di ogni sorta di beni!… Felice separazione! Essa ci unisce al nostro sommo bene, che è Dio stesso!… E quello che io vi auguro.

Credo… 

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps CXXIX:1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam: de profúndis clamávi ad te, Dómine.

[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera: dal profondo Ti invoco, o Signore.]

Secreta

Pro nostræ servitútis augménto sacrifícium tibi, Dómine, laudis offérimus: ut, quod imméritis contulísti, propítius exsequáris.

[Ad incremento del nostro servizio, Ti offriamo, o Signore, questo sacrificio di lode: affinché, ciò che conferisti a noi immeritevoli, Ti degni, propizio, di condurlo a perfezione.]

Comunione spirituale

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Marc XI:24
Amen, dico vobis, quidquid orántes pétitis, crédite, quia accipiétis, et fiet vobis.

[In verità vi dico: tutto quello che domandate, credete di ottenerlo e vi sarà dato.]

Postcommunio

Orémus.
Quǽsumus, omnípotens Deus: ut, quos divína tríbuis participatióne gaudére, humánis non sinas subjacére perículis.

(Ti preghiamo, o Dio onnipotente: affinché a coloro ai quali concedi di godere di una divina partecipazione, non permetta di soggiacere agli umani pericoli.)

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: Sulla MORTE DEL GIUSTO

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULLA MORTE DEL GIUSTO

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sulla morte del giusto.

Pretiosa in conspectu Domini, mors sanctorum ejus.

(Ps. cxv, 15).

La morte, Fratelli miei, è un giusto motivo di turbamento e di paura per il peccatore impenitente, che si vede costretto ad abbandonare i suoi piaceri. Accasciato dal dolore, assediato dal pensiero del giudizio che sta per subire, divorato innanzi tempo dal timore degli orrori dell’inferno dove ben presto sarà precipitato; egli si vede abbandonato dalle creature e da Dio stesso. Ma, per una legge al tutto contraria, la morte riempie di gioia e di consolazione l’uomo giusto che ha vissuto secondo l’Evangelo, che ha camminato sulle tracce di Gesù Cristo stesso, e soddisfatto con una vera penitenza alla giustizia divina. I giusti riguardano la morte come la fine dei loro mali, dei dispiaceri, delle tentazioni e di tutte le altre miserie; essi la considerano come il principio della loro felicità; essa procura loro l’accesso alla vita, al riposo ed alla beatitudine eterna. Ma, F. M., non v’è uomo, anche il più scandaloso, che non desideri, e non si auguri questa preziosa morte. L’inesplicabile si è che noi tutti desideriamo una buona morte, e che quasi nessuno adopera i mezzi per rendersi felice. È un accecamento difficile a spiegarsi; ora siccome desidero ardentemente che facciate una buona morte, voglio indurvi a vivere in modo da poter sperare questa felicità, mostrandovi:

1° i vantaggi di una buona morte; e

2° i mezzi per renderla buona.

I. — Se dovessimo morire due volte, una volta potremmo rischiarla; ma non si muore che una volta sola (Statutum est hominibus semel mori. Hebr. IX, 27), e dalla nostra morte dipende la nostra eternità. Dove l’albero cade, ivi resta. Se una persona, in punto di morte, si trova con qualche cattiva abitudine, la sua povera anima cadrà nell’inferno; se, invece, si trova in buono stato di coscienza, prenderà la via del cielo. O strada fortunata che ci conduce al godimento dei beni perfetti! Dovessimo anche passare per le fiamme del purgatorio, siamo sicuri d’arrivarvi. Tuttavia, questo di penderà dalla vita che avremo condotta: è certo che la nostra morte sarà conforme alla nostra vita; se abbiamo vissuto da buoni Cristiani e secondo la legge di Dio, morremo anche da buoni Cristiani per vivere eternamente con Dio. Al contrario, se viviamo secondo le nostre passioni, nei piaceri e nel libertinaggio, morremo infallibilmente nel peccato. Non dimentichiamo mai questa verità che ha convertito tanti peccatori: dove l’albero cadrà, ivi resterà per sempre (Eccli. XI, 3) . Ma, F. M., la morte per se stessa, non è così spaventosa come si vuol credere, poiché non sta che a noi il renderla felice, bella e gradita. S. Girolamo era vicino a morire: avendoglielo i suoi amici annunciato, sembrò raccogliere tutte le sue forze per esclamare: “O buona e felice notizia! o morte, vieni presto! ah! da quanto tempo ti desidero! vieni a liberarmi da tutte le miserie di questo mondo! Vieni, tu mi unirai al mio Salvatore! „ E volgendosi agli astanti: “Amici, per non temere la morte e trovarla dolce, bisogna camminare per la via che Gesù Cristo ci ha tracciata, e mortificarsi continuamente. „ Infatti è in punto di morte che un buon Cristiano comincia ad essere ricompensato del bene che ha potuto fare durante la vita; in quel momento il cielo sembra aprirsi per fargli gustare la dolcezza de’ suoi beni. Ecco, su questo punto, un bell’esempio. – S. Francesco di Sales, visitando la sua diocesi, fu pregato di recarsi da un buon contadino ammalato, che prima di morire desiderava, ardentemente di ricevere la sua benedizione. Con tutta fretta il santo Vescovo andò a lui, e trovò nell’ammalato un’intelligenza ancora lucidissima. Infatti l’ammalato testimoniava al suo Vescovo la gioia che provava nel vederlo, e domandò di confessarsi. Quand’ebbe finito, vedendosi solo col santo Prelato, gli fece questa domanda: “Monsignore. morirò io presto? „ Il santo, credendo che la paura facesse fare all’ammalato questa domanda, gli rispose per assicurarlo, che aveva visto guarire ammalati assai più gravi di lui, e che del resto, doveva confidare in Dio, al quale solo appartiene la nostra vita come la nostra morte. — “ Ma, chiese di nuovo, Monsignore, credete che io dovrò morire? „ — “Figlio mio, a questo un medico risponderebbe meglio di me: tutt’al più, vi dirò che la vostr’anima è in stato molto buono, e forse in altro tempo, non potreste avere così belle disposizioni. Il meglio che possiate fare si è di abbandonarvi interamente alla provvidenza ed alla misericordia di Dio, perché disponga di voi a suo beneplacito. „ — “Monsignore, non è il timore della morte che mi fa domandare se morrò di questa malattia; ma piuttosto il timore di vivere più a lungo. „ Il santo sorpreso da un linguaggio così straordinario e, sapendo che solo una grande virtù od un’eccessiva tristezza può far nascere il desiderio della morte, domandò al malato da che cosa provenisse questo suo disgusto per la vita. “Ah! Monsignore, esclamò l’ammalato, questo mondo è cosa tanto da poco! io non so come si possa amare questa vita. Se il buon Dio non ci comandasse di restarvi sinché Egli vi ci lascia, da molto tempo io non vi sarei più. „ — “È forse il dolore, la povertà, che vi ha così disgustato della vita? „ — “No, Monsignore, ho passato una vita serenissima fino all’età di settant’anni, in cui mi vedete e, grazie a Dio, non so che cosa sia la povertà. „ — “Forse avete avuto dei disgusti da parte di vostra moglie o dei figli? „ — “Nemmeno questo; essi non mi hanno mai recato il minimo dispiacere ed hanno sempre cercato di rendermi felice; la sola cosa che mi rincrescerebbe, lasciando questo mondo, sarebbe di doverli abbandonare. „ — “Perché dunque desiderate così ardentemente la morte? „ — Perché ho sentito dire nelle prediche tante meraviglie dell’altra vita, e delle gioie del paradiso, che questo mondo è per me, come un’oscura prigione. „ Ed allora parlando coll’effusione del cuore, quel contadino disse cose così belle e così sublimi sul cielo, che il santo Vescovo si ritirò rapito d’ammirazione, ed approfittò egli stesso di questo esempio per animarsi a disprezzare le cose create ed a sospirare la felicità del cielo. Non avevo dunque ragione di dirvi che la morte è dolce e consolante per un buon Cristiano, poiché lo libera da tutte le miserie della vita e gli dà il possesso dei beni eterni? O miserabile vita, come si può attaccarsi così fortemente a te?… Giobbe in poche parole ci dice che cos’è la vita: “L’uomo vive poco tempo, e la sua vita è ripiena di miserie. Come il fiore, non fa che apparire, e già appassisce. È come l’ombra che passa e scompare (Giob. XIV, 1, 2). „ Non v’è infatti animale sulla terra che, come l’uomo sia ripieno di miserie. Dalla testa ai piedi non v’è parte che non sia soggetta ad ogni sorta di malattie. Senza contare i timori, gli orrori dei mali che, più spesso, non ci toccheranno mai. E, la morte, F. M., ci libera da tutte queste miserie. S. Paolo, scrivendo agli Ebrei dice loro: “Noi siamo qui come poveri esiliati che non hanno dimora fissa; ma ne cerchiamo una, che è nell’altro mondo (Hebr. XIII, 14) . „ Quale gioia, F. M., per una persona esiliata dalla patria, e tenuta per molti anni in schiavitù, quando le si annuncia che il suo esilio è finito, che tornerà nella patria, vedrà i parenti e gli amici! Ora, un’anima che ama Dio, aspetta la stessa felicità e languisce, quaggiù, di desiderio d’andare a vedere il cielo in mezzo ai santi, che sono i suoi veri parenti ed amici. Essa sospira quindi ardentemente il momento della sua liberazione. La morte. F. M., è per l’uomo giusto ciò che il sonno è per il lavoratore che si rallegra all’avvicinarsi della notte, in cui troverà il riposo delle fatiche della giornata. La morte libera il giusto dalla prigionia del corpo: per questo diceva S. Paolo: “Ah! me infelice! chi mi libererà da questo corpo di morte? „ (Rom. VII, 24.) — “Togliete, mio Dio, diceva il santo re Davide, togliete la mia anima dalla prigione di questo corpo, poiché i giusti m’aspettano, fino a che m’abbiate data la mia ricompensa. (Ps. CXLI, 8); Ahi chi mi darà le ali come di colomba (Ps. XLIV, 7) ? „ E la Sposa dei cantici: ” Se avete visto il mio diletto, ditegli ch’io languisco d’amore (Cant. V, 8)! „ Ahimè! la nostra povera anima è nel nostro corpo come un diamante nel fango. O morte felice  che ci liberi da tante miserie! … S. Gregorio racconta che un povero uomo chiamato Preneste, da lungo tempo paralitico in tutte le membra, vicino a morire, pregò quelli che l’assistevano di cantare. Gli si domandò perché, e che cosa poteva rallegrarlo nello stato in cui si trovava. “Ah! disse, è perché ben presto la mia anima lascerà il corpo! Fra breve sarò liberato da questa prigione! „ Quand’ebbero cantato un momento, sentirono una soave musica d’Angeli. “Ah! disse il moribondo, non sentite gli Angeli che cantano? lasciateli, lasciateli cantare! „ e morì. Subito si sparse attorno a lui un profumo tanto soave, che la camera ne fu imbalsamata. In questo esempio vediamo adempirsi alla lettera ciò che Dio disse per bocca del profeta Isaia: “Levati, Gerusalemme, diletta mia, svegliati, poiché hai bevuto di mia mano, sino alla feccia, il calice della mia collera …, tutti i mali si sono riversati su di te… Ascolta, Gerusalemme, povera città, in avvenire non berrai più il calice della mia indignazione …; rivestiti della tua forza, Sionne; rivestiti degli indumenti della tua gloria Esci dalla polvere e spezza il giogo che grava il tuo collo… „ (Isa. LI, 17, 22; LII, 1, 2). Chi potrebbe comprendere, F. M., la grandezza delle gioie di S. Liduina? Dopo ventisette anni di malattia, rosa da un cancro e dai vermi, vedendosi al termine dei suoi mali esclamò: “ O gioia! tutti  i miei mali sono finiti! … Felice notizia! morte preziosa, affrettati! Da sì lungo tempo ti desidero!„ (RIBADENEIERA, 14 Aprile). – Quale soddisfazione per S. Clemente martire, quando dopo trentadue anni di prigionia e di tormenti gli si venne ad annunciare la sua condanna a morte! “O beata notizia! esclama; addio prigione, torture e carnefici! ecco dunque finalmente il termine della mia vita e dei miei dolori. O morte, quanto sei preziosa, oh! non tardare!…; o morte desiderata, vieni a colmare la mia felicità riunendomi al mio Dio!… „ (RIBADENEIRA, 23 Gennaio, S. Clemente Vescovo d’Ancira e martire). – Quanto dunque è felice un Cristiano, se ha il coraggio di camminare sulle tracce del divin Maestro!… Ma in che consiste la vita di Gesù Cristo? Ecco, F. M. Essa consiste in tre cose, cioè: preghiera, azioni, dolori. Sapete che nella sua vita pubblica il Salvatore si è spesso ritirato in disparte per pregare, e che era sempre in moto per la salute delle anime. Ora, bisognerebbe, F. M., che il pensiero di Dio ci fosse naturale come il respiro. Durante la sua vita di preghiera e d’azione, Gesù Cristo ha molto sofferto: ora la povertà, ora la persecuzione, ora le umiliazioni ed ogni sorta di cattivi trattamenti. “La mia vita, ci dice per bocca del suo profeta, ha finito nel dolore ed i miei anni nei gemiti, la mia forza s’è affievolita nella povertà. „ (Ps. XXX, 18). La vita d’un Cristiano può essere differente da quella d’un uomo confitto alla croce con Gesù Cristo? Il giusto è un crocifisso. Vediamo che i santi hanno trovato tanti piaceri nel dolore, che non potevano saziarsene: Vedete il gran Papa Innocenzo I: era coperto d’ulceri da capo a piedi, eppure non era ancora contento, ed aspirava sempre a nuove sofferenze. E ne domandava ogni giorno a Dio colle sue preghiere: “Mio Dio, diceva, aumentate i miei dolori, mandatemi malattie ancor più crudeli, purché però mi diate nuove grazie!„ — “Perché, gli si diceva, domandate a Dio un aumento di sofferenze? Siete tutto coperto di piaghe.„ — “Voi non sapete quant’è grande il merito delle sofferenze. Ah! se poteste comprendere quanto vale il dolore come l’amereste!„ S. Ignazio martire, temendo che i leoni e le tigri venissero, come qualche volta accadeva, a lambirgli i piedi, disse queste belle parole: “Quand’è che potrò baciarvi bestie feroci, che siete preparate pel mio supplizio? Ah! quando vi accarezzerò? Se non mi volete divorare, io vi ecciterò, affinché vi avventiate su di me con maggior furore; vi ecciterò perché vi affrettiate a divorarmi. „ Egli scriveva ai suoi discepoli: “Vi scrivo per annunciarvi quanto sono felice! morirò per Gesù Cristo, mio Dio! Tutto quello che vi domando è di non far nulla per istrapparmi alla morte, so quello che mi è vantaggioso. Io sono il frumento di Dio; e bisogna ch’io sia macinato tra i denti dei leoni per diventare pane degno di Gesù Cristo.„ (Ribadeneira. 1 Febbr.). Sentite ancora S. Andrea, che alla vista della croce su cui lascerà la vita, esclama: “O croce beata, per te sarò riunito al mio Maestro! ah! croce benedetta, ricevimi tra le tue braccia; poiché, dalle tue braccia passerò in quelle di Dio. „ La folla vedendo il buon vegliardo appeso alla croce, voleva uccidere il proconsole e distaccare il santo. “No, figli miei, gridò loro S. Andrea dall’alto della croce, lasciate, lasciate ch’io termini una vita così miserabile, poiché andrò al mio Dio. (ibid. 30 Nov.) „ S. Lorenzo è steso sulla graticola di ferro, mentre le fiamme, che un’altra volta avevano risparmiato i tre fanciulli nella fornace di Babilonia, crudelmente lo abbruciano. Egli è già arrostito da una parte, ed in compenso domanda di essere voltato dall’altra, affinché in cielo tutte le parti del suo corpo siano egualmente gloriose. Senza dubbio, M. F., questo esempio è un miracolo della grazia, che è onnipotente in chi ama Dio. Ma vedete S. Paola. Questa dama romana era torturata da violenti dolori di stomaco e preferì morire piuttosto che bere un po’ di vino che le si voleva far prendere. (Ibid. 26 Gennaio). S. Gregorio ci racconta d’un povero, ma celebre mendicante che, da molti anni paralitico, non potendosi muovere dalla paglia su cui era coricato, soffriva incredibili dolori, eppure, non cessò un momento di benedire Dio. E morì cantandone le lodi. Ah! dice S. Agostino, com’è consolante il morire colla coscienza quieta! La quiete dell’anima e la tranquillità del cuore sono i doni più preziosi che possiamo ottenere; ci dice lo Spirito Santo: non v’è piacere paragonabile alla gioia del cuore. (Eccli. XXX, 16). Il giusto, dice lo stesso dottore, non teme la morte, perché essa lo riunisce col suo Dio e lo mette in possesso di ogni specie di delizie. Vedete la gioia che mostrano i santi andando alla morte.. Vedete, ci dice S. Giovanni Crisostomo, l’intrepidezza e la gioia con cui S. Paolo va a Gerusalemme, sebbene sappia i cattivi trattamenti che l’attendono: “So che per me vi sono soltanto tribolazioni e catene; so le persecuzioni ed i mali che vi soffrirò; non importa; io non temo nulla, perché son persuaso di far l’interesse di un buon padrone, che non m’abbandonerà. Gesù Cristo stesso me lo garantisce. „ E vedendo i suoi discepoli piangere, l’apostolo aggiungeva: “Che fate, piangendo, ed affliggendo il mio cuore? poiché son pronto non solo ad esser legato, ma a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù. „ (Act. XX,) Noi non siamo sicuri, è vero, d’essere come S. Paolo, gli amici di Dio; però quantunque peccatori, se abbiamo confessato i nostri peccati con sincero dolore, e se abbiamo cercato di soddisfarli quanto ci è stato possibile, colla preghiera e colla penitenza; ma soprattutto, se ad un grande dolore dei nostri peccati va unito un ardente amore per Iddio, possiamo confidare: i nostri peccati sono stati sepolti nel Sangue prezioso di Gesù Cristo, come l’esercito di Faraone nel Mar Rosso. F. M., v’erano tre croci sul Calvario, quella di Gesù Cristo, che è la croce dell’innocenza: ma noi non possiamo aspirare a questa, perché abbiamo peccato. Poi, quella del buon ladrone, la croce della penitenza: questa dev’essere la nostra. Imitiamo il buon ladrone che approfittò degli ultimi istanti di sua vita per pentirsi, e dalla croce salì al cielo. Gesù Cristo glielo disse: “Oggi sarai meco in paradiso. „ (Luc. XXIII, 43) La terza croce è quella del cattivo ladrone, e dobbiamo lasciarla a quei peccatori che vogliono morire nel loro peccato… Ma noi, F. M., possiamo certamente, se lo vogliamo, essere nel numero di quelli che fanno una buona morte. Alla morte tutto ci abbandona: ricchezze, parenti, amici: ma ciò che è un supplizio pel peccatore, diventa pel giusto una grande gioia. Ditemi qual dispiacere potrebbe provare un buon Cristiano in punto di morte? Potrebbe addolorarsi per questi beni che ha disprezzati durante la sua vita? Il corpo? egli lo considera come un crudele nemico, che più d’una volta l’ha messo in pericolo di perdere l’anima. Forse i piaceri del mondo? No, senza dubbio, poiché ha passata la vita nei gemiti, nella penitenza e nelle lagrime. No, F. M., egli non rimpiange nulla di tutto questo. La morte non fa che separarlo da ciò che ha sempre odiato e disprezzato; cioè, dal peccato, dal mondo, dai piaceri. Andandosene egli porta con sé tutto quanto ha amato: le sue virtù e le sue buone opere; egli abbandona ogni sorta di miserie per andare ad impossessarsi di ineffabili ricchezze; abbandona il combattimento per andare a godere la pace; abbandona un nemico crudele, il demonio, per andare a riposare nel seno del migliore dei padri. Sì, le sue buone opere lo conducono in trionfo davanti a Dio, il quale gli appare non come un giudice, ma come un tenero amico che, dopo aver compatito le sue sofferenze, non desidera che di ricompensarlo. Il profeta Isaia ci insegna che le nostre buone opere andranno a sollecitare per noi la bontà di Dio, ci apriranno le porte del paradiso, e determineranno la nostra dimora in cielo. È perfettamente vero che le nostre buone opere ci accompagneranno. Ecco un bell’esempio del pio re Ezechia. Lo Spirito Santo ci mostra questo re adorno dei meriti del giusto. Egli si dà con tutto il suo cuore alla pratica delle buone opere, la sua intenzione è pura, il motivo di tutte le sue azioni è unicamente quello di piacere a Dio. Egli osserva fedelmente, e con grande rispetto tutte le cerimonie della legge. Ma che avvenne? Eccolo. Ogni cosa gli riuscì durante la vita. Ma in punto di morte tutta la sua magnificenza e tutte le sue ricchezze, che erano grandissime, lo abbandonarono; i sudditi più fedeli furono costretti ad abbandonarlo; mentre le sue buone opere non lo lasciarono. Per queste, prega il buon Dio di fargli grazia: “Ve ne scongiuro, Signore, ricordatevi che ho sempre camminato davanti a voi con cuor puro e retto; ho sempre cercato ciò che ho creduto vi fosse più gradito.„ (Isa. XXXVIII, 3). Tale è, F. M., la fine felice d’una persona che ha lavorato durante tutta la sua vita a fare tutto ciò che potesse piacere a Dio solo. “Beati, dice S. Giovanni, quelli che muoiono nel Signore, poiché le loro opere li seguono! „ (Apoc. XIV, 13) Sì, F. M., porteremo con noi quanto abbiamo di più prezioso; i beni che passano li lasceremo sulla terra, e quelli che dureranno eternamente ci seguiranno. Il solitario sarà accompagnato dal suo silenzio, da suo ritiro e da tutte le sue orazioni; il religioso dalle penitenze, dai digiuni, dalle astinenze; il sacerdote da tutti i suoi lavori apostolici: egli vi vedrà tutte le anime che aveva salvate e che saranno la sua ricompensa e la sua gloria; il Cristiano fedele ritroverà tutte le buone confessioni e comunioni fatte, tutte le virtù praticate durante la sua vita. Che morte felice F. M., quella del giusto! Ascoltate il profeta Isaia: “Dite al giusto ch’egli è felice, poiché raccoglierà il frutto delle sue buone opere (Isa. III, 10). Converrete dunque che la morte del giusto è preziosa davanti agli uomini; la sola presenza del sacerdote, che visita quel moribondo! Lo confermerà nella fede e nella speranza; se gli si parla di Dio e delle sue grazie, subito il suo amore s’infiammerà come fornace ardente; quando gli si parla degli ultimi Sacramenti, cosa che agghiaccia un peccatore di orrore e di timore, è inondato da un torrente di delizie; poiché il suo Dio verrà nel suo cuore per condurlo con sé in paradiso. San Gregorio ci racconta che sua zia S. Tarsilla, vicina a morire, esclamò fuori di sé per la gioia: ” Ah! ecco il mio Dio! ecco il mio sposo! „ e spirò in uno slancio d’amore. Vedete ancora S. Nicola da Tolentino (Ribadeneira 10 settem.). Negli ultimi otto giorni della sua malattia, quando aveva ricevuto il corpo del Salvatore, si sentivano gli Angeli cantare nella sua camera; e quando i canti cessarono egli morì: gli Angeli lo condussero al cielo in loro compagnia. Felice morte quella del giusto!… S. Teresa apparsa splendente di gloria ad una religiosa del suo ordine, l’assicurò che nostro Signore era presente alla sua morte, ed aveva condotto la sua anima in cielo. Felice l’anima che può essere assistita in morte da Gesù Cristo in persona!… Quanto è dolce e consolante il morire nell’amicizia di Dio!… Non è questa forse una prima ricompensa del bene che si è potuto fare durante la vita?

II. — So, F. M., che tutti desideriamo di fare una buona morte; ma non basta desiderarlo, bisogna anche lavorare per meritarci questa fortuna, questa grande fortuna. Volete sapere ciò che può procurarci questa fortuna? Eccolo in poche parole. Fra i mezzi che dobbiamo adoperare per ben morire, ne scelgo tre che colla grazia di Dio, ci condurranno infallibilmente ad una buona morte. Bisogna prepararvisi: 1° con una santa vita; 2° con una vera penitenza, se abbiamo peccato; e 3° con una perfetta conformità della nostra morte con quella di Gesù Cristo. – Ordinariamente, si muore come si è vissuto: è una delle grandi verità che la Scrittura ed i santi Padri ci affermano in vari luoghi. Se vivete da buoni Cristiani, siete sicuri di morire da buoni Cristiani; ma se vivete male, state sicuri di fare una cattiva morte. Dice il profeta Isaia: “Guai all’empio che non pensa che a fare il male, poiché sarà trattato come merita: alla morte riceverà il compenso del suo lavoro (Isa. III, 11) „ È però vero che qualche volta si può, per una specie di miracolo, cominciare male e finir bene; ma questo avviene così raramente che, secondo S. Girolamo, la morte è ordinariamente l’eco della vita; credete che allora ritornerete al buon Dio? no, voi perirete nel male. Ma se, pentiti, cominciate a vivere cristianamente, sarete nel numero di quei penitenti che commuovono il cuore di Dio e guadagnano la sua amicizia. Sebbene meno ricchi di meriti, pure arrivano al cielo, e Dio si serve precisamente di essi per manifestare la sua misericordia. Lo Spirito Santo ci dice: “Se avete un amico, fategli del bene prima di morire. „ « (Eccli. XIV, 13). Eh! F. M., possiamo avere amico migliore della nostra anima? facciamo ora per essa tutto ciò che possiamo; giacché quando vorremo farle del bene, non lo potremo più!… La vita è breve. Se differite di convertirvi sino all’ora della vostra morte, siete ciechi, poiché non sapete né dove né quando morrete, né se avrete qualche soccorso spirituale. Chi sa se questa notte stessa, non dovrete comparire coperto di peccati, davanti al tribunale di Gesù Cristo?… No, F. M., non dovete fare cosi: dovete purificarvi, e tenervi sempre pronti a comparire davanti al vostro giudice. Ecco un esempio che vi mostrerà come chi ritarda di giorno in giorno la sua conversione, muore come è vissuto. S. Pier Damiani ci racconta che un religioso aveva passata la maggior parte della sua vita in questioni e contese co’ suoi fratelli. Quando fu in punto di morte, i suoi fratelli lo scongiuravano di confessare i suoi peccati, di domandarne perdono a Dio e di farne penitenza, con un buon proposito di non più ricadervi, se fosse guarito. Non poterono cavargli una sola parola. Ma poco dopo, quand’ebbe ripresa la parola, parlò loro, e di che? ahimè! di ciò che era stato l’oggetto delle sue conversazioni durante tutta la sua vita: di processi e d’altri affari. I fratelli lo scongiuravano di pensare alla sua anima; tutto fu inutile: si assopì, e morì senza il minimo segno di pentimento. Sì, F. M., quale è la vita tale è la morte. Non sperate in un miracolo che Dio fa solo raramente: vivete nel peccato e nel peccato morrete. – Un gran numero d’esempi ci prova che dopo una cattiva vita, non dobbiamo aspettare una buona morte. Leggiamo nella S. Scrittura (Jud. IX) che Abimelech, principe fiero ed orgoglioso, s’impadronì del regno che doveva dividere coi fratelli, e li fece morire per regnare da solo. Mentre assediava una fortezza, essendosi gli assediati rifugiati in una torre, egli si avvicinò per appiccarvi il fuoco. Una donna che dall’alto del bastione lo vide, gli scagliò una pietra e gli spaccò la testa. Il disgraziato sentendosi ferito, chiamò il suo scudiero e gli disse: “Leva la tua spada e trafiggimi… Fammi morire subito, per risparmiarmi la vergogna d’essere stato ucciso da una donna. „ Che strana condotta, F. M.! E forse il primo principe che è stato ferito così? Perché volle che il suo scudiero lo avesse ad uccidere? ahimè! perché durante la sua vita era stato un ambizioso!.. Saulle aveva dato battaglia agli Amaleciti: la sorte pendeva incerta: egli si sentiva perduto perché già ferito, e vedeva l’esercito nemico che stava per gettarsi su di lui. Appoggiato il petto alla sua spada, e vedendo venire un soldato gli disse: “Vieni, amico, chi sei? „ — ” Sono un Amalecita. „ — “Ebbene fammi un favore: gettati su di me ed uccidimi; sono accasciato dal dolore e non saprei morire; finiscimi. „ (II Reg. XXXI). E perché, F. M., questo miserabile volle morire per mano d’un Amalecita? Era forse il solo principe che avesse perduto una battaglia? Non stupitevi di questo, ci rispondono i santi Padri, è un principe che, durante la sua vita, s’è dato ai vizi, s’è lasciato dominare dall’invidia, dall’avarizia e da ogni altra passione. Perché muore in un modo così disonorante? Perché ha vissuto male. Tutti sanno che Assalonne era sempre stato disobbediente e ribelle al suo buon padre. L’ora della sua morte, che Dio aveva già fissata da tutta l’eternità, essendo ormai giunta, passando sotto una pianta vi restò sospeso per i capelli. Gioabbo, vedendolo, gli tirò tre frecce (II Reg. XVIII). Da che proviene, F. M., la fine disgraziata di questo principe? da questo che tutta la sua vita era stata quella di un cattivo figliuolo. Morì così perché aveva vissuto male. – Vedete dunque chiaramente, F. M., che se vogliamo fare una buona morte, dobbiamo condurre una vita cristiana e far penitenza dei nostri peccati; dobbiamo eccitare in noi, colla grazia di Dio, una profonda umiltà in u n cuore pieno di rimorso d’aver offeso un padrone così buono. Ma un terzo mezzo per prepararci a ben morire, è quello di regolare la nostra morte su quella di Gesù Cristo. Quando si porta il buon Dio ad un ammalato, si porta anche la croce: questo non si fa solo per cacciare il demonio, ma molto più perché questo Salvatore crocifisso serva di modello al moribondo, e perché, gettando lo sguardo sull’immagine d’un Dio crocifisso per la sua salute, egli si prepari alla morte come vi si è preparato Gesù Cristo. La prima cosa che fece Gesù Cristo prima di morire fu di separarsi dagli Apostoli: un ammalato deve fare lo stesso, allontanarsi dal mondo, distaccarsi per quanto può dalle persone che gli sono più care, per non occuparsi che di Dio solo e della sua salute. Gesù Cristo, sapendo vicina la sua morte si prostrò colla faccia a terra nel giardino degli Olivi, pregando con insistenza. (Matth. XXVI, 39). Ecco quanto deve fare un ammalato all’avvicinarsi della morte; deve pregare con fervore e, nella sua agonia, unirsi all’agonia di Gesù Cristo. L’ammalato che vuol rendere il suo male meritorio deve accettare la morte con gioia, o almeno con una grande sottomissione alla volontà del Padre celeste, pensando che bisogna assolutamente morire per andare a veder Dio, e che in ciò consiste tutta la nostra felicità. S. Agostino ci dice che chi non vuol morire, ha il carattere di riprovato. Oh! F. M., quanto è felice in quell’ultimo momento un Cristiano che ha santamente vissuto! Egli abbandona ogni sorta di miserie per entrare in possesso di ogni sorta di beni!… Felice separazione! Essa ci unisce al nostro sommo bene, che è Dio stesso!… È quello che io vi auguro.

LO SCUDO DELLA FEDE (179)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XVI)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO TERZO

LA CHIESA

II. — I caratteri divini della Chiesa.

a) Il fatto sovrumano.

D. Credi evidente che la Chiesa abbia un’« anima divina »?

R. Questo focolare di verità e di santità nel mondo, questo fermento della povera pasta umana sempre pronta a ricadere e a inacidirsi, questa società così stupenda nella sua fondazione, nella sua espansione, nella sua esatta successione, nella sua fecondità Spirituale, nella sua perpetuità, nella sua unità ad onta di tante lacerazioni secolari, nella sua stabilità in mezzo a tutto quello che vacilla, non è forse un argomento incomparabile in favore della sua missione e della sua divinità?

D. Tu ci vedi un miracolo?

R. Vi è certamente un miracolo nel solo fatto della Chiesa, e ci vuole tutta la potenza di accecamento dell’abitudine per non accorgersene. Supponi una società di amicizia che sia fondata un giorno nelle condizioni in cui si fondò la Chiesa; sottomettila alle medesime traversie; falla durare così per due mila anni, e spandila sopra tutto l’universo con effetti proporzionati a questi: poi mi dirai che cosa pensi della sua vitalità e a quali cause umane una tale vitalità potrebbe veramente essere assegnabile.

D. Il fatto è così ampio come questo?

R. Il governo attuale e i frutti attuali della Chiesa si estendono a oltre trecento milioni di anime. Addiziona le generazioni passate, calcola le future, e computa il gregge di Cristo. Nessuna opera umana può essere, sia pure lontanamente, paragonabile a quest’opera. « Ciò sorpassa l’uomo », specialmente se si confronta il risultato coi mezzi: semplicità alla base di un’immensa complicazione; umiltà a servizio di una onnipotenza; sorgente appena visibile che dà origine a un fiume che si allarga sino a formare un oceano.

D. Ne parli come di una creazione.

R. Attese le condizioni della sua fondazione e del suo trionfo, attesa la sua struttura visibile e specialmente spirituale, la Chiesa, come dice Bossuet, è veramente «un edificio tratto dal niente, una creazione, l’opera di una mano onnipotente ».

D. Tuttavia gli storici notano, nel corso dei tempi, le cause di questo successo della tua Chiesa.

R. Ho già risposto a un argomento di questa forma, e ti dicevo: Tutto ha delle cause; ma bisogna spiegare come queste cause si trovino all’opera nel momento opportuno, senza mai fare difetto, senza fallire il loro effetto, senza lasciarsi annullare da tante altre cause di deviazione o di rovina.

D. Di quali cause contrarie parli tu?

R. Esse abbondano, e talune ebbero tutta l’apparenza di cataclismi mortali. Lunghe e terribili persecuzioni, eresie, scismi, pericoli di assorbimento da parte di capi politici, debolezza e colpe dei fedeli, a volte perfino dei pastori, invasioni barbare che parevano sommergere ogni cosa, formidabile pressione dell’Impero, grande scisma di Occidente, riforma, filosofismo, rivoluzione francese… non sono che le principali crisi. Ora la Chiesa ha attraversato tutto senza perire e senza corrompersi; essa non soccombette mai a questo doppio pericolo, che la minaccia sempre. Che cosa può umanamente spiegare questo?

D. Vi è il genio, la forza, la virtù che operano nella Chiesa come dovunque.

R. Se avviene come dovunque, ciò non spiega niente. Di fatto il genio esiste dovunque, ed è raro dovunque; la Chiesa non ne ha di più che il suo conto. La forza per lo più vi è assente. La virtù fa parte del fenomeno da spiegare. Nient’altro si può invocare che la potenza del germe e il suo adattamento all’ambiente in cui esso lavora. La Chiesa, come un vivente, trova in sé le sue forze di creazione, di accrescimento, di difesa, di riparazione, di progresso. Ciò è ad essa naturale, dato il suo essere; ma è lo stesso suo essere che lo fa divino. « La vita è creazione », dice Claudio Bernard; la Chiesa vive, ed è Iddio che crea.

D. Il vivente di cui parli fu veramente fedele al suo germe? la Chiesa attuale risponde alla sua prima istituzione?

R. Tutto l’essenziale della Chiesa attuale si trova in San Paolo.

D. I protestanti lo negano.

R. Newman intraprese un vasto lavoro per contestarlo con maggiore scienza; a misura che egli si avanzava, vedeva rivolgersi la situazione; alla fine si convertì.

D. Altri, al presente, in Francia, ritornano alla prima idea di Newman, e forse sono meglio attrezzati.

R. Vi sono oggi degli uomini di valore: essi sono meglio attrezzati se si vuole; ma la loro passione anticristiana è troppo manifesta; essa fa torto a se stessa; e succede ad essa, come sempre alla passione, di non correggere la cattiveria o il malvolere se non con la stoltezza. Del resto, ve ne sono di quelli che non capiscono niente affatto, e di quelli che capiscono tanto meno in quanto non vogliono capire.

D. La rigidità de’ suoi principii è forse la ragione della lunga durata della Chiesa e della sua resistenza alle cause di dissoluzione.

E. Resterebbe da spiegare la rigidità secolare della Chiesa in mezzo a un mondo che non è meno seducente secondo lo spirito che secondo le potenze della carne. Abbiamo dato sopra un giudizio di questa difficoltà. Ma inoltre Pascal ti oppone un ragionamento affatto contrario. « Gli stati perirebbero, dice egli, se non si facessero piegare sovente le leggi alla necessità. Ma la religione non ha mai tollerato questo e mai ne ha tatto uso. Così ci vogliono degli accomodamenti o dei miracoli.Non è strano che ci si conservi piegando, e questo non è propriamente un mantenersi. E infine ancora essi periscono interamente; non ce n’è uno che abbia durato mille anni. Ma che questa Religione siasi sempre mantenuta, e inflessibile, ciò è divino ».

D. La Chiesa sì è mantenuta indubbiamente, ma sempre in mezzo alle contradizioni.

R. Ragione di più perché essa abbia bisogno di una soprannaturale protezione. La passione degli uomini si scalda pro e contro di essa; ma è l’imparzialità del tempo che la giudica. A misura che le obiezioni e gli antagonismi andranno moltiplicandosi, la Chiesa potrà sempre più opporre loro l’argomento e la forza della sua perpetuità.

D. A che cosa attribuisci tu queste contradizioni?

R. La Chiesa è contradetta perché, giudicando dal punto di vista dell’eternità, essa è sempre in ritardo o in anticipo sopra qualche cosa, esigendo od opponendosi riguardo a qualche cosa. Essa non può così attendere giustizia se non dai fatti, non dagli uomini, che giudicano in generale, fosse pure a distanza, secondo i loro pregiudizi e le loro passioni.

D. La storia non è dunque per la Chiesa?

R. La storia, sì, ma non sempre gli storici. La storia è per la Chiesa, perché registra quello che la Chiesa ha fatto; 1a fede è a più forte ragione per la Chiesa, perché inoltre essa prevede quello che la Chiesa farà. Ma ciò che fa la Chiesa è quasi sempre sospetto a qualcuno, talvolta allo stesso credente.

D. La Chiesa non prende la propria difesa?

R. Essa lascia dire. È «un blocco di forza silenziosa », come avrebbe detto Carlyle.

D. Spieghi nello stesso modo le persecuzioni?

R. Le due questioni non possono mancare di corrispondersi. La Chiesa è perseguitata perché rivendica dei diritti e impone dei doveri; perché si paventa la sua potenza e ci si irrita delle sue pretese. Ciascun secolo mette alla prova la Chiesa, ed è per questo che essa è; e per questo che essa è, altresì, ciascun secolo la conferma, aggiungendo un nuovo abbigliamento alla sua giovane eternità.

D. Qual è per la Chiesa la suprema garanzia d’indipendenza?

R. Il martirio, Quando si è pronti a morire, si è liberi,

D. Vuoi spiegarmi il tuo pensiero?

R. Ascolta questo breve dialogo: — Taci, o io ti uccido! — La mia morte sarà la mia più alta parola. — Tutto morrà di te eccetto la tua parola. — Dunque io non morrò punto, — Vattene al diavolo! — Vado, ma in grado di poter servire Dio,

D. Giungeresti fino a rallegrarti delle persecuzioni, delle contradizioni?

R. «Vi è del Piacere a trovarsi in una nave sbattuta dalla procella, quando si è sicuri di non perire » (PASCAL).

D. Lo stato presente della Chiesa ti pare che giustifichi una tale fiducia?

R. Lo stato della Chiesa non fu mai più favorevole e più ricco di speranze. Nel 1874, non è dunque gran tempo, Disraeli, membro di un gruppo religioso dissidente e rappresentante di un grande impero, diceva al Parlamento inglese: «Io non me lo posso dissimulare, la Religione Cattolica è un organismo potente, e se mi è permesso di dirlo, il più potente che esista oggi ».

D. Certi Cattolici stessi credono a un regresso.

R. I lodatori del Passato ne dimenticano le miserie; i di tale parzialità di sguardo è certo naturale; sotto un certo aspetto essa è virtuosa, perché milita in favore del nostro ideale; ma tentiamo di vedere quello che è. La Chiesa è piena di vita; sua costituzione; il suo ultimo concentramento organico, punto di partenza di una più ricca espansione che si annunzia da ogni parte, non data che da un mezzo secolo. Ieri stesso si liberava definitivamente del temporale e accresceva così agli occhi del mondo il suo incomparabile prestigio Spirituale; la santità vi circola più che mai, e la sua potenza incivilitrice è così evidente che i gruppi politici più animati contro di essa cercano insistentemente questo focolare spirituale. L’avvenire è davvero largamente aperto davanti alla Chiesa, e benché essa sia antica, pure non è e non sarà mai vecchia. Avviene di essa, e assai meglio ancora, come della terra ad ogni primavera, dell’universo in ciascuno de’ suoi cicli. Il ricominciamento eterno è la legge di ciò che non muore.